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seconda edizione
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È vietata ogni riproduzione
ISBN 978-88-8497-172-2
INDICE
Questo testo trova origine nella ricerca condotta presso l’Istituto
Universitario di Architettura di Venezia, all’interno del Dottorato di
Ricerca in Composizione Architettonica - XVI ciclo con il titolo
Il Tema dell’Aula nelle architetture di Mies van der Rohe.
Ideazione, costruzione e procedure compositive sotto la guida del
professore Armando Dal Fabbro, che ne è stato relatore, con il
sapiente contributo critico del professore Gianugo Polesello, che
ne è stato controrelatore, e con l’attento tutoraggio della
professoressa Martina Landsberger. La tesi è stata discussa nel
2004 dinanzi alla commissione costituita dai professori
Gianni Fabbri, presidente, Marino Narpozzi e Fabrizio Spirito.
Editing
Anna Maria Cafiero Cosenza
con l'egida di
Grafica
Costanzo Marciano
Università IUAV di Venezia
Dottorato di Ricerca in
Composizione Architettonica
RINGRAZIAMENTI
Desidero ringraziare per il contributo fondativo offerto a questo
lavoro i professori:
Salvatore Bisogni il mio maestro, che ha ispirato questo studio
Gianugo Polesello
Antonio Monestiroli, che da ‘allievo’ di Mies ha apprezzato
questo studio scrivendone l’introduzione
Carlos Martí Arís
Armando Dal Fabbro per aver orientato e condiviso la struttura
della ricerca
Martina Landsberger per aver riletto e corretto il testo della ricerca
Il collegio dei docenti del DRCA dello IUAV e in particolare:
Luciano Semerani - coordinatore, per aver concesso l'egida del
DRCA a questa pubblicazione
Gianni Fabbri
Gino Malacarne
Renato Rizzi
Antonella Gallo
I dottorandi del DRCA
Patrizia Terlizzi per il conforto e l’aiuto prezioso che ha reso
possibile questo lavoro
Ilario Boniello per le discussioni su Cartesio
Carolina Cigala per i continui incoraggiamenti che mi ha fornito
Claudio Finaldi Russo per aver condiviso e ampliato molti
ragionamenti
Massimiliano Fraldi per le estenuanti e pazienti discussioni sulla
costruzione
Esther Giani per l’ospitalità rara
Ciro Iacobelli per la collaborazione alla redazione dei ridisegni
critici
Fritz Neumeyer che mi onora della sua amicizia
Valeria Pezza per le occasioni ulteriori che mi ha offerto di
riflettere sul tema
Federica Visconti per avermi convinto a pubblicare questo studio
e per aver avuto la pazienza di leggere e discutere il merito
del testo.
Dedico questo lavoro a mio Padre
6
MIES
SCUOLA
E LA SUA
Arntonio Monestiroli
7
PRESENTAZIONE
Armando Dal Fabbro
8
PREMESSA
13
14
38
41
49
IL TIPO
DELL’AULA
59
GLI EDIFICI
Definizione del tipo architettonico dell’Aula in rapporto agli edifici pubblici
Affinità e distinzione tematica degli edifici pubblici ad Aula
Il ruolo della costruzione negli edifici ad Aula
Procedure compositive: sintassi e paratassi
AD
AULA
DI
MIES
VAN DER
ROHE
60
88
95
101
110
La ricerca di Mies van der Rohe sull’Aula
La Crown Hall presso l’IIT di Chicago, 1950-1956
Il Teatro Nazionale di Mannheim, 1952-1953
La Convention Hall di Chicago, 1953-1954
La Neue Nationalgalerie di Berlino, 1962-1968
131
IL CLASSICO
132
Attualità/inattualità del tipo ad Aula, Mies van der Rohe e la questione del classico
139
RIDISEGNI ANALITICI, PROCEDURE COMPOSITIVE, ASSETTI COSTRUTTIVI
186
188
190
BIBLIOGRAFIA
INDICE DEI NOMI
INDICE DELLE OPERE
COME
‘FUTURO’
DELL’AULA
MIES
E LA SUA
SCUOLA
PRESENTAZIONE
Antonio Monestiroli
Armando Dal Fabbro
Quando penso alle aule di Mies mi torna alla mente un brano di un filosofo a me caro sul Duomo di Colonia che ho letto
tanti anni fa e che mi ha molto impressionato: «In un simile Duomo c’è posto per tutto un popolo. Infatti qui la comunità di
una città e dei suoi dintorni deve raccogliersi al suo interno. Lo spazio nella sua vastità non è suddiviso in parti fisse ma
ognuno va e viene indisturbato, affitta per l’uso momentaneo uno scanno, si inginocchia, recita le preghiere, se ne va.
Se non è l’ora della grande messa le cose più diverse avvengono senza incomodo nello stesso tempo. Qui si predica,
là si porta un malato, contemporaneamente si svolge una lenta processione, qui avviene un battesimo, in un altro luogo
ancora un prete legge la messa oppure benedice un matrimonio e per ogni dove persone sparpagliate stanno inginocchiate di fronte agli altari e alle immagini dei santi. Tutte queste cose sono racchiuse in un unico e identico edificio. Noi
non abbiamo qui da ricercare una rispondenza a un fine particolare ma una rispondenza al di sopra di ogni singolarità
e finitezza» (Hegel, Estetica, Berlino 1838, Milano 1963).
Mies progettando le sue aule parte dallo stesso punto di vista. Nel caso della Crown Hall, attraverso la conoscenza delle
funzioni della scuola, Mies arriva a definire un’idea generale di scuola e, fra le tante possibilità tipologiche e costruttive
che offrono i materiali e le tecnologie a disposizione, sceglie per un unico grande spazio indiviso, un’aula, un unico
grande spazio trasparente e luminoso, in cui in un solo colpo d’occhio tutte le attività della scuola sono visibili e manifestano il valore che le accomuna: quello del lavoro collettivo di studenti e docenti. Mies insegnava in questo grande spazio luminoso, in una comunità per la quale aveva voluto costruire uno spazio rispondente. Mies in questo caso non ha
costruito solo una bella scuola dunque ma ha definito anche una bella idea di scuola. Questi due fatti sono inscindibili.
La scuola e l’idea di scuola sono legati indissolubilmente in quella struttura fatta dai quattro grandi portali che danno una
forma alla scuola. Possiamo dire una forma monumentale. Il passaggio dall’idea di scuola alla sua struttura fisica è un passaggio difficile da insegnare. In questo passaggio noi siamo aiutati dalla profondità e chiarezza dell’idea di scuola.
Quanto più chiara e profonda sarà quest’idea tanto più facile sarà definire la ragione ultima dell’edificio e trovare la
forma a essa rispondente. Ma qual è la ragione degli edifici? Quella deducibile dai valori del tempo o quella tratta dal
nostro personale punto di vista sull’epoca in cui viviamo? Tale questione è in realtà una questione attuale e controversa.
Lo stesso Mies in un primo periodo dice che l’architettura è la cristallizzazione dei valori dell’epoca. Un’affermazione che
asseconda il suo desiderio di oggettività delle scelte, una sorta di astensione dal giudizio di chi progetta. Questo è un atteggiamento oggi molto diffuso. Solo più tardi Mies rovescerà la questione riconoscendo la volontà di chi progetta, (la Kunstwollen di Riegl) il suo peso determinante nell’opera, e affidando a chi progetta il compito di riconoscere i valori dell’epoca
attraverso un suo personale punto di vista. Così, anche senza rinnegare un procedimento razionale portato alle sue estreme
conseguenze, Mies riconosce l’impossibilità di un processo deduttivo dall’epoca all’opera. È necessario che l’opera risulti
dalla definizione dei valori di un’epoca, che vanno riconosciuti da chi progetta. Dunque il progetto è attività conoscitiva
della realtà, un’attività che procede dal concreto all’astratto, dalla materia all’idea, attraverso le funzioni proprie di un’epoca
storica. Un punto di vista profondamente realista eppure proiettato verso una realtà nuova, una realtà che ancora non si
conosce. A partire da questa volontà di conoscenza Mies fonda il suo progetto su un’idea di movimento dal concreto all’astratto, procedendo dal particolare al generale. È in questo movimento del pensiero dalla materia all’idea che il progetto prende forma. Attraverso tre livelli della conoscenza: dallo studio dei materiali, attraverso l’analisi delle funzioni, fino
alla conoscenza dei valori. Al centro di questo processo ci sono le funzioni. Le funzioni della nostra vita civile. Funzioni
che rendono praticabile la nostra vita, che danno senso alla nostra vita. Queste funzioni vanno analizzate nella loro particolarità ma, come abbiamo visto, è necessario andare oltre tale particolarità.
Questo è il punto centrale dell’insegnamento di Mies: il passaggio necessario dalla funzione al suo valore generale.
Tutto questo Renato Capozzi lo ha capito a fondo e restituito attraverso la sua attenta e profonda analisi del lavoro di Mies
che ha eletto a suo principale maestro.
Composizione e costruzione animano le scelte di campo del lavoro di Renato Capozzi.
Composizione assunta come regola e rigore figurativo, costruzione intesa come principio (procedimento) logico,
come aspirazione all’assoluto tettonico. La ricerca indaga il lavoro di Mies van der Rohe; in particolare il “valore”
ideativo, compositivo e costruttivo degli edifici ad Aula per i quali invenzione spaziale e soluzione tecnica coincidono.
Gli esempi presi in esame rappresentano i progetti più maturi del periodo americano dell’opera di Mies: la Crown
Hall dell’IIT di Chicago del 1950-1956; Il Teatro Nazionale di Mannheim del 1952-1953; la Convention Hall a
Chicago del 1953-1954; la Neue Nationalgalerie a Berlino del 1962-1968.
Lo studio muove da un assunto teorico di fondo: la possibile identificazione del tema dell’edificio pubblico con il tipo
architettonico dell’Aula. E l’ipotesi di una concreta coincidenza tra gli edifici a carattere collettivo e l’Aula è significativamente rinvenibile nelle architetture di Mies, ove la presenza di un unico spazio indiviso domina la composizione.
Renato Capozzi affronta con rigore metodologico il tema dell’Aula, a partire dalla costruzione di una “genealogia”
di opere tesa a rintracciare e chiarire i caratteri distintivi e specifici di tali manufatti. Dall’origine etimologica del termine “Aulé” all’identificazione, da parte della cultura ellenistica e poi romana, dell’Aula con il tema dell’edificio collettivo. Compiendo una perlustrazione molto accorta, la prima parte del saggio indaga l’evoluzione del tipo ad Aula
e il suo significato semantico, e come questo si è modificato nel tempo. Sarà con Hilberseimer, prima con Großstadt
Architectur (1927) e soprattutto con HallenBauten (1931) - che costituirà il primo contributo teorico di riferimento, per
questa classe di manufatti - che il tema dell’edificio pubblico ad Aula riceverà un notevole sviluppo e approfondimento.
In forma quasi manualistica, Hilberseimer promuove e anticipa quelli che saranno i temi su cui si baserà la ricerca
miesiana, anche in relazione alla costruzione della città moderna.
Gli esempi presi in esame, della Crown Hall, del Teatro nazionale di Mannheim, della Convention Hall di Chicago
e della Neue Nationalgalerie di Berlino, sono studiati e indagati, di volta in volta, nei loro aspetti ideativi, costruttivi
e compositivi. Disegni grafici, comparazioni in scala, interpretazioni geometrico-compositive, concludono, all’oggi,
la ricerca sul tema dell’Aula nei progetti di Mies.
In conclusione, lo studio, ponendosi su un piano espressamente compositivo, rintraccia alcune invarianti sintattico-compositive per questa classe di manufatti, segnalando l’attualità del tema della Aula/edificio pubblico e la sua capacità di porsi come uno dei capisaldi urbani per la costruzione e l’infrastrutturazione della città contemporanea. Così
come, il valore nelle opere di Mies, andrebbe studiato e sviluppato in una ricerca più ampia, riferita sostanzialmente
al forte legame che Mies istituisce fra Moderno e Classico in architettura. Un rapporto con la storia, per nulla nostalgico, ma sempre legato alla necessità di esprimere la modernità, l’architettura del proprio tempo, una nuova e
antichissima bellezza. In altre parole: nova sed antiqua. È la modernità del classico che ritorna trasfigurata nei progetti di Mies, nei modi di cogliere l’architettura e di trasmetterla.
6
7
PREMESSA
riflessione sulla loro identità possibile in relazione alle possibilità della costruzione e della geometria, alla scelta di
opportune procedure compositive e sintattiche. Chi inventa percorre sentieri ancora inesplorati, e in questo senso l’invenzione è alla base dell’opera d’arte: «Nel triangolo tra scienza, arte e filosofia, chi ne occupa il vertice più alto?
Il livello di problematicità può aumentare là dove ci si chiede: la scienza è soltanto scire per leges? E l’arte è solo facere per inventiones? Il significato del termine “inventio” è lecitamente rinviabile a “venire in”, cioè alla “penetrazione”
nella res e quindi alla scoperta filosofica della sua verità»10. L’ideazione tiene per così dire insieme, in termini sintetici, gli aspetti costruttivi e le regole compositive. L’ideazione chiarisce i pesi ammissibili delle scelte geometriche, proporzionali, costruttive, stilistiche e infine linguistiche.
Il metodo è necessario alla ricerca della verità
Descartes, regle IV
Questo studio si occupa di definire le regole compositive, in rapporto alle scelte costruttive, delle architetture di Mies
van der Rohe caratterizzate dalla presenza dominante della grande Aula, vale a dire di un unico spazio continuo a
carattere rappresentativo che governa l’intera composizione. In termini più generali il libro tende a definire il ruolo e
il senso più complessivo degli edifici pubblici caratterizzati dalla presenza dell’Aula, rispetto al chiarimento del tema,
delle sue ragioni costitutive, dei tipi costruttivi assunti e delle procedure compositive adottate. Il tentativo è stato quello
di fissare e sistematizzare alcuni elementi stabili dell’edificio ad Aula, classificare le sue tipologie, comprenderne il
rinnovato carattere architettonico e costruttivo, individuarne le parti architettoniche compiute ricorrenti ed eccezionali.
L’ipotesi di una possibile coincidenza tra gli edifici a carattere pubblico con il tipo architettonico dell’Aula è chiaramente rinvenibile nelle architetture di Mies van der Rohe, ove la presenza di un unico spazio indiviso, cui sono subordinate tutte le altre articolazioni, domina la composizione. «Queste architetture vogliono costruire un grande interno:
un ambiente unico e a luce unica, in cui è possibile contenere un grande numero di persone e diverse attività essenzialmente di tipo rappresentativo»1. Come afferma lo stesso Mies «la creazione di uno spazio comune presuppone
la condivisione di valori comuni»2. Vi è una relativa indifferenza distributiva rispetto ai vari usi previsti, spesso con pochi
adattamenti facilmente intercambiabili. L’elemento distintivo è l’Aula, la sua costruzione, pur essendo differenti i modi
e le forme che la realizzano. L’obiettivo è anche quello di cogliere l’attualità di questo tema, che non sembra aver ricevuto da parte della ricerca architettonica moderna e contemporanea, con l’eccezione di pochi maestri, un adeguato approfondimento. Non è un caso, infatti, che i progetti o gli edifici pubblici ad Aula costruiti nel secolo scorso
siano pochi, e di questi solo alcuni realmente innovativi, mentre i numerosi costruiti agli inizi di questo millennio sono
prevalentemente esercizi formali o esibizioni ipertecnologiche. Il riferimento al tema primigenio - inteso come ciò che
domina una qualsivoglia composizione architettonica - quello del ricovero, della delimitazione con la formazione di
un luogo ai fini di un suo uso collettivo, implica una continua riflessione sul senso ultimo da attribuire a tali manufatti
in diretta relazione con la natura e da essa distinti in quanto artifax. Si è cercato di chiarire i nessi tra il momento
ideativo, come disvelamento e avanzamento del tema specifico, della ragione3 di ogni edificio, le tecniche costruttive e le procedure compositive adoperate. Sebbene il tema architettonico dell’Aula sia fissato, molteplici sono i modi
per esplicitarlo in rapporto ai differenti tipi di edifici pubblici. Non tutti gli elementi e le forme sono idonei a rappresentare l’identità e l’individualità dei manufatti: proprio nella selezione delle forme necessarie (grammatica) e nella
disposizione (sintassi) degli elementi sta il primo atto ideativo da cui muovere. Gli aspetti ideativi e innovativi dovranno
contemperarsi con quelli tecnico-costruttivi e con i modi della composizione al fine di ritrovare una nuova unità ed equilibrio, un moderno nihil addi capace di «nuove sintesi estetiche adeguate alle nuove esigenze e pulsioni contemporanee, non per registrarle semplicemente, ma per ricondurle a un ordine possibile oltre che auspicabile»4.
Parafrasando le categorie vitruviane, spesso ridotte e banalizzate da un’ottica ingenuamente funzionalista, si è inteso
prima esplicitare il significato attribuito alle tre questioni dell’ideazione, della costruzione e delle procedure compositive5 attraverso le quali si è poi analizzato e specificato, dal punto di vista architettonico, il tema dell’edificio pubblico e dell’ipotesi della sua costituzione in quanto Aula.
Costruzione - Essa va intesa come il fondamento epistemologico dell’architettura. La costruzione in quanto principio
dell’architettura concorre assieme al tipo che realizza il tema e attraverso la composizione a determinare il carattere11
degli edifici. È nel continuo confronto della costruzione tettonica con le geometrie, gli elementi dell’architettura, i principî compositivi e le proporzioni che si realizza l’architettura. Questi mondi formali e tecnici appaiono nelle opere
migliori intimamente connessi e indissolubili. Non si è inteso certo qui ridurre gli edifici ad Aula a mero atto costruttivo, ma chiarire i legami tra gli elementi architettonici, le soluzioni statico-costruttive che tali edifici esigono e l’idea
architettonica che li sottende nel tentativo di segnalare e approfondire le svolte rispetto al problema della costruzione
e delle tecniche che queste architetture fanno intravedere e tenendo conto che - come aveva intuito Benjamin - è proprio nel campo delle tecniche costruttive che da sempre si manifesta l’innovazione. Le soluzioni costruttive nella loro
‘verità’ determinano gran parte dell’identità degli edifici ad Aula, potendo contrastare con il loro realismo quasi ‘etico’
ogni deriva formalistica. La possibilità di coprire grandi luci in ambienti di varie forme e dimensioni è insita in tali architetture. Rafael Moneo ci ricorda che «solo accettando o patteggiando i limiti e le restrizioni che l’atto del costruire
comporta, l’architettura (l’opera) diviene ciò che essa è realmente»12. La forma non è data e non è il fine, ma è il risultato di un serrato confronto con i dati e le possibilità della tecnica: usando le parole di Mies «Noi non abbiamo
problemi di forma ma soltanto problemi costruttivi. La forma non è l’obiettivo ma soltanto il risultato del nostro lavoro.
Non esiste una forma valida in sé. La forma più perfetta è sempre condizionata, nasce assieme alla funzione, è
l’espressione più elementare della sua soluzione. La forma come fine è formalismo, e noi la rifiutiamo. Allo stesso modo
lo stile non è un nostro obiettivo»13. Per Mies infatti la costruzione diventa ‘struttura’, nel senso più alto del termine: ordine espressivo.
Ideazione (Invenzione) - Ci si riferisce non tanto alla creazione di forme inedite ex nihilo 6, quanto piuttosto al disvelamento di principî organizzativi sintattici ed espressivi, alla definizione e reificazione di un’idea che esige una profonda conoscenza della ragione degli edifici pubblici per costruire architetture che siano condivise e riconoscibili. Per
ideazione si intende la ricerca di nuove forme necessarie, di nuovi temi e di più progrediti assetti stilistici7 ed estetici
capaci di produrre «nuove sintesi formali»8. L’innovazione tematica o re-invenzone avviene nel senso di in-venio, cioè
di trovare nella ‘cosa’9, e ciò implica una conoscenza profonda del senso da attribuire a tali manufatti assieme a una
Composizione - Per gli edifici pubblici ad Aula sono state investigate le procedure compositive adottate e sperimentate e in che modo tali regole interagiscono con le ipotesi figurative, con la precisazione del tema e con i dati tecnico-costruttivi: con l’obiettivo dell’individuazione degli elementi stabili o meno stabili di tali architetture, il ruolo sintattico
loro assegnato, e i rapporti di dipendenza, di necessità o d’inclusione tra gli elementi ricorrenti presenti in tali manufatti e l’Aula. Il tentativo è stato quello di definire se esista la permanenza di alcuni temi e principî compositivi e individuare gli avanzamenti possibili, rispetto alle nuove esigenze organizzative e di senso. Sono state approfondite
le relazioni tra le parti, i sistemi di controllo proporzionale, le articolazioni volumetriche, il ruolo delle questioni dimensionali evidenziando come le norme compositive si adeguano e spiegano le tecniche per creare un senso appropriato al rinnovato apparato costruttivo. Si è evidenziato come le procedure compositive adottate in tali manufatti
in generale possono essere di tipo sintattico quando le varie parti costituenti l’edificio sono riassunti in un unico volume o di tipo paratattico quando alla precisazione e gerarchizzazione degli elementi e delle parti costitutive fa riscontro una loro individuazione in volumi distinti e/o accostati. «Comporre significa usare ciò che si sa (Gaudet): il
ciò che si sa non va inteso come complessivo bagaglio di soluzioni preformate ma come conoscenza e riconoscimento di regole all’interno di un più vasto procedimento logico»14. I materiali della composizione sono per l’appunto
gli elementi dell’architettura di là da una loro possibile interpretazione semantica. L’operazione analitica di discretizzazione in elementi dell’oggetto architettonico, per sua natura continuo, è utile innanzitutto per ritrovare le leggi che
presiedono alla concatenazione e alla proporzione di tali parti o sistemi di parti, che ne costituiscono l’ossatura compositiva. Il chiarimento del passaggio dal sistema classico auto-commisurato degli ordini alla scomposizione, tutta moderna, dell’oggetto architettonico in piani, punti e rette quali ‘figure individue’ è in tal senso fondamentale. Gli elementi
sono ridotti a solidi: piani, volumi, sostegni che, solo a partire dalla loro messa a contrasto, determinano un tutto architettonico e si emancipano dalla loro ovvietà e individualità astratto-geometrica per nominarsi e identificarsi come
atti della costruzione. È di primaria importanza il passaggio tra la disposizione e l’individuazione planimetrica degli
elementi e la loro rappresentazione tridimensionale. Tema, questo, cruciale nella storia delle teorie compositive, come
traspare dalle osservazioni di Palladio sulla maniera di ‘voltare le stanze’ e sulle loro corrette proporzioni. L’obiettivo
8
9
deve rimanere quello di costruire edifici dotati di finezza e concisione, ma al tempo stesso proiettati allo spazio natura intesa come «nuovo contesto generale dell’architettura e della città»15.
La costruzione di nuove ipotesi sintattico-costruttive e di senso per edifici ad Aula necessita di un’attenta analisi conoscitiva sia del tema architettonico, a partire dalle formulazioni illuministe, sia delle opere costruite o progettate nel
corso di questo secolo innanzi tutto dai maestri del Movimento Moderno «questo non per ricavarne immediatamente
delle soluzioni preformate sia sotto il profilo compositivo che linguistico, ma per verificare l’ipotesi di una progressività della ricerca architettonica»16. Non si vuole assumere il rapporto analisi-progetto in termini deterministici quanto
piuttosto costruire una genealogia di opere tesa a chiarire i caratteri distintivi e specifici di tali manufatti, un sistema
ordinato e intellegibile per puntare al dis-velamento del senso attuale dei manufatti e delle forme con cui rappresentarlo. Per questo motivo il libro è articolato in due parti principali distinte ma tra loro correlate in senso circolare ed
euristico17.
La prima parte si occupa della definizione, in sede teorica, dei caratteri invarianti ed essenziali del tipo architettonico dell’Aula, del rapporto tra i vari temi di edifici pubblici e l’assunzione unificante dell’Aula; dell’approfondimento
delle tecniche costruttive e delle procedure compositive presenti in tali manufatti. In tale ambito sono individuati e messi
a confronto alcuni exempla della storia e della modernità. L’adozione metodologica dei riferimenti ha lo scopo di indagare le procedure compositive, le strutture organizzative e le soluzioni tecniche attraverso le quali tali edifici di volta
in volta hanno selettivamente specificato e chiarito la loro ragione, dando via via risposte più avanzate e adeguate
alle necessità che il loro tempo esprimeva. Gli exempla indagati/studiati, ordinati secondo un orizzonte sincronico,
vogliono restituire nel loro complesso un’idea di architettura ben orientata, in cui l’identità tra architettura e costruzione
sia manifesta e siano manifesti, enumerabili, descrivibili e quindi intellegibili, principî sui quali tale idea si fonda e si
rivela nell’opera. Il riconoscimento di un’idea di architettura è nell’identificare un sistema di regole che stanno alla base
del fare e che gli oggetti esemplari riflettono e spiegano: significa riconoscere la necessità di una teoria, di un progetto d’ordine condiviso, cioè di un progetto stilistico che è ineffettuale «al di fuori dell’esperienza classica»18. Non
si vogliono dedurre le opere dalla teoria - intesa come insieme ordinato di proposizioni che affermano l’esistenza di
relazioni stabili tra determinati concetti - né viceversa assegnando solo al ‘fare’ la primazia ma stabilire una circolarità efficiente tra exempla (gli osservati) e principia (l’osservazione), tra praxis e Theoria. La Theoria infatti ‘osserva’
le opere e da esse trae le sue regole, tali regole vanno poi verificate e anche emendate nel continuo confronto con
l’esperienza. La scelta di limitare a pochi maestri e quindi a poche ‘architetture esatte’ il campo di investigazione
muove dal convincimento che esse, anche se in differenti epoche, hanno rappresentato e continuano a rappresentare un preciso modo di intendere l’architettura (da Vitruvio a Lukács) e il suo farsi collettivo, che non punta alla esibizione di forme gratuite ma che parte dalla conoscenza della ragione dei manufatti, dalla possibilità di riconoscere
dei tipi trasmissibili e delle forme riconoscibili.
La seconda parte, che logicamente sviluppa e verifica la prima, ma che allo stesso tempo ne ha guidato e chiarito
la struttura, riguarda lo studio approfondito delle architetture ad Aula di Mies van der Rohe e in particolare: la Convention Hall di Chicago (1950-1956); il Teatro Nazionale di Mannheim (1952-1953); la Crown Hall presso l’IIT
di Chicago (1953-1954) e la Neue Nationalgalerie di Berlino (1962-1968).
La scelta metodologica è stata quella di analizzare - scomporre il tutto in parti e ricomporre le parti nel tutto19 - le architetture civili di Mies dopo averne definiti i caratteri generali attraverso un punto di vista orientato: il ‘filtro selettivo’
dell’Aula. In tal senso, lungi dal voler proporre una ennesima esegesi di tipo storico-critico sull’opera di Mies, si è inteso selezionare e individuare alcune questioni teoriche e snodi problematici a partire dalle sue architetture, attraverso
la loro misurazione e il riconoscimento dei sistemi di regole che ciascuna di esse propone, partendo dal presupposto - come si è anticipato - che in architettura non si dà Theoria, che è ‘visione razionale’ delle forme, senza le opere,
le quali come ci ricorda Carlos Martí Arís «sono le autentiche depositarie della conoscenza tanto in architettura quanto
in qualsiasi attività artistica»20. Questo non per negare l’importanza e il ruolo della teoria ma sottolineando la necessità
che essa sia in qualche modo ‘estratta’ dagli esempi concreti dell’architettura nel suo farsi concreto e non ‘astratta’21
da esse recuperando, in ciò, la fondamentale distinzione operata da Giorgio Grassi tra i due modi di costruzione
teorica del ‘trattato’ e del ‘manuale’. Rendere evidenti le identità tematiche delle varie architetture selezionate in rapporto ai luoghi in cui si collocano, alle relazioni che esse stabiliscono con la costruzione complessiva della città, alle
procedure compositive che sottendono in stretta e insopprimibile relazione con le scelte costruttive e con i caratteri architettonici che mettono in scena è stato l’obiettivo di questo lavoro nella convinzione che le opere debbano essere
continuamente interrogate secondo l’ipotesi che non esistono punti di vista oggettivi ma solo ‘letture profonde e consapevoli’. Gli edifici studiati, nel declinare ognuno differenti temi, forme e dimensioni, sono accomunati dalla scelta
10
dell’Aula come «forma architettonica capace di rappresentare il loro carattere collettivo, una sorta di Ur-tipo, di tipo
originario, in cui le articolazioni funzionali sono poste in secondo piano»22. La scelta sintetica dell’Aula non impedisce tuttavia a tali manufatti di affermare la loro ragione costitutiva ma, al contrario, consente, in tutti i casi presi in
esame, un notevole avanzamento nella precisazione dei temi che i vari edifici affrontano. La loro caratterizzazione
e individualità tematica è realizzata attraverso le adeguate soluzioni costruttive in stretto rapporto con le procedure
compositive adottate23. Cambiano cioè in modo relativo le maniere con cui sono costruiti, ma con variazioni che riguardano più l’affinarsi delle tecniche e del linguaggio che il senso particolare e il valore di ogni edificio. Tali manufatti - infrangendo dogmi, canoni e convenzioni - rappresentano delle discontinuità profonde e aprono la strada alla
costruzione di nuove regole. L’avanzamento, la deroga - come ci ricorda Apollinaire - produce una discontinuità ma
sempre rispetto a qualcosa, ha bisogno di una serie di materiali già sedimentati da cui partire, determina sì una frattura ma che attende di essere ricomposta conoscendo le regole che si vorrebbero violare.
Le architetture ad Aula di Mies sono state analizzate utilizzando le tre categorie dell’ideazione, della costruzione e
della composizione e contemporaneamente attraverso il metodo del ‘rilievo critico’ ovvero la riduzione alla stessa
scala, il ridisegno con la medesima grafia dei progetti e le rielaborazioni grafico/interpretative dell’assetto compositivo, proporzionale/modulare e costruttivo, cercando di chiarirne le regole e i principî che essi sottendono.
L’approfondimento degli exempla programmaticamente prescinde dalle particolari valenze o collocazioni di tipo urbano, partendo dal presupposto che parlare di contesto per queste architetture risulta inadeguato in quanto esse non
commentano un luogo, un tessuto ma, al contrario, lo determinano, lo sintetizzano, ne riformulano i caratteri e le relazioni d’ordine24. Il vero contesto entro cui tali edifici si pongono può tornare piuttosto a essere il ‘tutto aperto’ del
territorio, la dimensione «marcatamente estensiva»25 della città contemporanea. Così, individuate le norme che questi edifici sottendono nella loro costituzione e autonomia, si è poi verificata nei vari casi la loro capacità di orientare
e influenzare i particolari contesti urbani in cui sono collocati, constatando che spesso tali manufatti, assieme con altri
di pari grado, sono capaci di relazionarsi tra loro secondo tensioni di natura topologica, di influenzare e riassumere
il tessuto urbano circostante.
Infine il libro, riprendendo e riferendosi ad altre esperienze26 e verificando l’attualità del tema, ha voluto identificare
alcune regole compositivo-architettoniche e nuove possibili risposte e riformulazioni tematiche per la costruzione degli
edifici pubblici ad Aula basate sulla loro capacità di porsi ancora come ‘capisaldi’, come ‘punti fissi’ per la costruzione e l’infrastrutturazione della città contemporanea riproponendo una riflessione sul futuro del classico come risposta
alla disarmante condizione di questi anni.
11
caso, artificiale o di natura che sia»45. Questi manufatti - ci ricorda ancora Bisogni in un’altra occasione46 - sono «privi
di ogni naturalità, in quanto essi stessi contenenti la natura come ordine astratto e in pari tempo reale». Hilberseimer,
prima di addentrarsi nei problemi organizzativi e costruttivi dei vari tipi di edifici ad Aula che classifica (StadtHallen,
Festhallen, Sporthallen fino ai complessi espositivi), riporta varie architetture d’elezione: il Pantheon, la Basilica di
Massenzio, Santa Sofia, la Chiesa di San Pietro a Roma e il Palazzo della Ragione a Padova. Tali riferimenti devono
essere tutti in qualche modo superati e trascesi in un processo di ideazione/invenzione, in una continua semplificazione e in un asciugamento delle forme di queste opere paradigmatiche al punto da renderle irriconoscibili in quanto
referenti originari. L’ambizione è quella di costruire dei manufatti che contengono, rinnovandole, tutte le architetture
con le quali, faticosamente e volontariamente, ci si è misurati. Le forme della storia vanno selettivamente giudicate,
la storia è «il territorio delle scelte», delle affinità e non del rifugio. Hilberseimer assume esplicitamente l’identità tra
Aula ed edificio pubblico e gli esempi a lui contemporanei che riporta - il concorso per la Società delle Nazioni di
Hannes Meyer e di Le Corbusier, la Jarhunderthalle di Max Berg, la Stadhalle di Magdeburgo di Johannes Göderitz, la Halle Stadt und Land di Bruno Taut o la splendida Fiera di Breslavia dello stesso Berg - verificano tale ipotesi
di partenza. Questi progetti, assieme ai grandi edifici tecnici come la Turbinenfabrik AEG di Peter Behrens47 o quelli
destinati allo sport, svelano le enormi possibilità espressive e tecniche insite nell’adozione dell’Aula e apriranno agli
approfondimenti successivi compiuti innanzi tutto da Mies van der Rohe in maniera quasi assiomatica e apodittica
ma anche da alcuni progetti di Le Corbusier come il Parlamento e l’Alta Corte di Giustizia a Chandighar o la Chiesa
del Convento de la Tourette. Questi due ultimi progetti, in particolare, definiscono due atteggiamenti compositivi entrambi presenti nell’opera di Le Corbusier. Nell’Alta Corte di Giustizia il corposo e fitto sistema delle sale d’udienza,
articolato attorno ad una promenade architecturale, viene limitato dal grande ‘gesto a reazione poetica’ del portico
di ingresso in modo analogo al lucernario tronco conico del Parlamento che denunciava nel corpo stereometrico dell’edificio la presenza dell’aula assembleare. La grande ‘tenda risvoltata’ rappresenta l’intero manufatto che, composto di ricorrenze e ripetizioni, si mostra come un’unica grande copertura - una sorta di emblema - che contiene e supera
le articolazioni interne definendo il carattere unitario e rappresentativo dell’istituzione. Di contro, nel Convento de la
Tourette, recuperando la memoria delle sale capitolari, lo stesso Le Corbusier assume il tema dell’identificazione di
un unico volume ad altezza costante molto verticalizzato, quasi totalmente cieco, e con forte carattere stereotomico
al quale vengono giustapposti due volumi più bassi subordinati, la sacrestia e soprattutto la cripta che adotta, per
contrappunto, forme sinuose più complesse senza mettere in discussione l’autorevolezza e la primazia sintattica del
grande invaso per la liturgia. A sottolineare tale intangibilità del volume, la chiesa si accosta significativamente alla
C del Convento senza trovare alcuna connessione, se non di tipo funzionale, che possa omologarlo al sistema iterativo delle celle dei religiosi, volendone in qualche modo rappresentare la riassunzione.
A tali esempi (paradigmatici) proposti dai maestri seguiranno altri non meno significativi (emblematici) sviluppati a partire dall’immediato dopoguerra. Valgano per tutti alcuni edifici di Arne Jacobsen come il Municipio e la Biblioteca di
Rödrove in cui, in temi differenti e usi collettivi distinti, si sperimentano ulteriori modi di comporre l’Aula con le parti ricorrenti. Nel Municipio di Rödrove la Sala del Consiglio si individualizza in un volume autonomo affacciato sul grande
prato antistante, chiuso su due lati, vetrato sui restanti e collegato alla lama degli uffici comunali in corrispondenza dell’atrio di ingresso a tutta altezza. Nella Biblioteca invece si accorda il sistema della piastra-recinto - un grande rettangolo aureo completamente chiuso all’esterno che contiene con i depositi le sale di lettura affacciate su patii interni con quello dell’Aula centrale quadrata per le manifestazioni collettive, definita da una copertura emergente rastremata
ai bordi e sorretta da quattro esili colonne. Il tetto in tal modo si pone quale elemento plastico fortemente espressivo,
staccato sull’intero perimetro, librandosi sul volume lapideo sottostante, completamente rivestito in marmo nero, quasi
a volersi riferire, come era avvenuto nel Crematorio di Asplund, all’idea del grande atrio tetrastilo della domus. Ancora il Padiglione dei Paesi Scandinavi alla Biennale di Venezia di Sverre Fehn sviluppa il tema dello spazio indiviso
attraversato dalla natura e non presenta sistemi subordinati relazionati all’Aula dominante ma lavora sull’identificazione di un grande vuoto - porzione definita del suolo naturale - coperto da un tetto traforato che non occlude la vista
del cielo e il passaggio della luce. Si tratta ancora una volta di un grande riparo semi-aperto incassato per due lati
nel terreno e per altri due completamente aperto o vetrato definito da una copertura libera da appoggi interni in travi
lamellari di cemento precompresso molto ravvicinate ma non collegate all’estradosso che, significativamente, rimandano a una costruzione in legno. Le travi secondarie poggiano su una grande trave trasversale che scarica, a sua volta,
su di un setto contro terra e un pilastro composito. La chiarezza del sistema costruttivo, l’estrema trasparenza della copertura - che consente anche l’irruzione di alcuni tronchi degli alberi lasciati in situ - riproduce l’idea di uno spazio naturale ma allo stesso tempo artificiale, ‘selezionato e misurato’ e, per questo, conoscibile.
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