NOTA BIOGRAFICA DI GONZALO ALVAREZ GARCIA Gonzalo Alvarez Garcia è nato a Leon, Spagna, nel 1924. Ancora giovanissimo si trasferisce prima a Milano, poi a Roma, infine a Palermo dove attualmente vive. Dal 1967 al 1982 ha organizzato e diretto il Museo Storico e il Centro di Documentazione dell’Alfa Romeo di Milano, pubblicando contestualmente diversi libri sull’automobilismo e la storia industriale. Conferenziere di fama internazionale, ha scritto saggi di critica letteraria e artistica, pubblicati sul “Sole 24 Ore”, “Il Giornale di Sicilia”, “Cronache Parlamentari della Regione Siciliana”, “Colapesce” e altre riviste. Prima insegnante al Seminario di Palermo e alla Scuola di Servizio Sociale “S.Silvia” diventa, successivamente, professore a contratto presso la Facoltà di Scienze Politiche di Palermo. Ha pubblicato numerose opere tra le quali ricordiamo: Isla del Recuendo, poesie, traduzioni e presentazione di Leonardo Sciascia (1957); Spagna 500 anni di dittatura, saggi del 1975; Quando ero un ragazzo, poema con quindici acqueforti di Raffaele Romano (1978); Le zie di Leonardo, libro di narrativa (1985); Gattopardi e gentiluomini. Storia della Targa Florio (1987); Sicilia/Spagna, due culture a confronto (1997); Tra guerra e pace, raccolta di liriche (2005); Ho parlato male di Garibaldi (2011); Nidi di airone. Memorie di un prete franchista (2011); Dios a la vista (2013). Saggista e narratore di autentico spessore è a suo modo un pensatore autonomo e originale che ha saputo prendere posizioni decise e ferme nell’arco della sua lunga e feconda esistenza, posizioni ed esperienze che si concretizzano in una scrittura fluida e coinvolgente, di caldo humus mediterraneo. La consapevolezza drammatica del franchismo, la dittatura vista come oppressione non solo materiale, la scelta prima dello stato religioso (fu prete anche qui a Palermo, nella splendida Chiesa della Soledad a Piazza Vittoria), poi la crisi e, quindi, il ritorno allo stato laicale, hanno impegnato non poco questo intellettuale che si continua ad interrogare e ad interrogare il mondo e gli uomini. Il suo punto di verifica resta il dubbio, che senza dogmatismi si dispiega nella ricerca, nel sogno, nel simbolo e nella volontà di conoscere, per dare senso e valore all’esistenza. La lezione di Spinoza gli è congeniale e converge con le fonti plurali della Filosofia, della Letteratura, e dell’Arte, alimenti indispensabili per la sua anima, che resta inquieta e vigile ancora oggi. L’anticonformismo di Gonzalo non è di maniera e disdegna l’utilitarismo. Amico e sodale di Sciascia per anni, non accettandone alcune visioni e convincimenti, anche nella pratica della letteratura, ha coraggiosamente espresso le sue posizioni critiche senza aver paura d’infrangere numenti e credenze. In ciò sostenuto soprattutto da un uomo di cultura ed editore raffinatissimo quale è stato Vanni Scheiwiller a Milano, il quale gli pubblicò testi fondamentali. Al coraggio dell’intellettuale libero si unisce, in Gonzalo, l’autenticità e l’umanità profonda che sono il sigillo di una vita intera spesa per la Cultura. Egli è partecipe di questa straordinaria modalità vitale vivendo - senza retorica, però - la specificità della Sicilia, la sua bellezza, le sue potenzialità, la grande storia e le contraddizioni, i lutti, il contrasto che si fa a volte accecante fra il bene e il male, che da sempre l’isola propone come controversia ancora non sempre risolta. Scrive Gonzalo sulla Sicilia: “La Sicilia è un paese contraddittorio, pieno di luce accecante e di ombre cupe. Nei Siciliani più sensibili e in chi, come me, non è siciliano, la Sicilia suscita sentimenti contrapposti: odio e disprezzo estremi, ma anche ammirazione e amore illimitati. Penso alle vaste discariche di abitazioni umane che hanno deturpato le città, le coste, le colline e i siti archeologici più belli e al servilismo e alla rassegnazione con cui il popolo siciliano mansuetamente si è piegato al volere della delinquenza organizzata e di una classe politica tanto inetta e tanto priva del senso dello Stato da dimostrarsi inadeguata a debellare l’invasione dei topi e ad amministrare le risorse idriche di un’isola che galleggia nell’acqua dolce. Ma penso anche all’esatta geometria dei templi greci che si sono inseriti come la palma o il cipresso nella geografia appassionatamente barocca dell’Isola e che da secoli regalano ai visitatori di tutto il mondo le più pure emozioni estetiche. Penso ai suoi magistrati e poliziotti e imprenditori che, a decine, hanno sacrificato la loro vita per difendere la libertà e la dignità di uno Stato che non si è dimostrato degno di tanto sacrificio; ai suoi uomini di cultura moderni, dal De Roberto e il Verga a Pirandello, da Elio Vittorini a Quasimodo, da Lampedusa a Sciascia, da Guttuso e Migneco a Emilio Greco e a tanti altri di minor fama, ma non di minor sostanza. Grazie a loro, sotto il suo apparente mantello di cenere e il suo aspetto di eterno malato terminale, questa Sicilia ha continuato a esportare idee e valori etici ed estetici in un mondo come il nostro che si è reso incapace di riconoscere altra legge che non sia quella della violenza preventiva e altri valori che non siano quelli che possono essere quotati in borsa”. Nelle riflessioni di Gonzalo Alvarez Garcia, un punto nodale è però la narrazione e, in particolare, il suo universo poetico, mai frammentato e semmai riconducibile ad un essenziale tessuto poematico, alla tensione morale e civile che lo anima, così come hanno notato critici autorevoli come Aldo Gerbino e Piero Longo. Quest’ultimo ha sottolineato la ratio della poesia di Gonzalo, “Che sorregge lucidamente la scansione metrica del suo dettato poetico, la cadenza sonora della sua parola icastica ed essenziale attraverso la quale, lo spessore intellettuale della sua opera di narrativa e saggistica, sa farsi canto ed elegia, carme civile e meditazione spregiudicata che attraversa il tempo e lo spazio del suo vissuto per costituirsi voce di un “pensiero forte” che sfida il facile compromesso di quel minimalismo esistenziale che ha segnato la cultura e ogni fare estetico dell’ultimo Novecento, rinunciando all’utopia e negando la speranza e ogni possibile armonia tra l’uomo e la natura”. Estremamente interessanti risultano essere le poesie dedicate alla sua donna, Octavia, alla delicatezza del vero Amore, all’importanza dell’amicizia, all’indicibile bellezza della natura, all’armonia del Cosmo, allo stile dell’uomo autenticamente libero. La poesia per Gonzalo, dunque, è umanità, etica ed estetica, sentimento, impegno. Non è la ricerca dell’appagamento e tanto meno della facile notorietà che tramonta presto al vaglio di ciò che realmente dura nella storia. Afferma lapidariamente Gonzalo: “La poesia non è più poesia quando è celebrata dalla fama. E’ poesia quando la senti scorrere nelle arterie della parola come scorre il sangue nelle vene”. A cura di Maria Patrizia Allotta e Tommaso Romano