dai Poemi conviviali

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GIOVANNI PASCOLI
dai Poemi conviviali
PARAFRASI
alessandro e il suo cavallo
I biografi antichi ci hanno
tramandato molte notizie
romanzate sulla vita di Alessandro
Magno. Prima di addormentarsi, ad
esempio, egli era solito leggere
qualche verso dell’Iliade che teneva
sotto il guanciale. Eccelleva su tutti
i coetanei in ogni campo: dalla
caccia ai giochi sportivi, dall’uso
delle armi all’abilità nel cavalcare.
Il suo famoso cavallo, Bucefalo, era
stato in realtà donato al padre, re
Filippo di Macedonia. L’animale
però rifiutava di farsi cavalcare e di
obbedire a qualunque comando.
Alessandro chiese allora l’onore di
domare il ribelle. Avendo intuito
che il cavallo aveva paura della
propria ombra, gli girò la testa
verso il sole, accarezzandolo e
parlandogli con dolcezza, poi gli
saltò in groppa per abbandonarsi a
un galoppo sfrenato.
Bucefalo e Alessandro divennero
inseparabili: si ameranno per
vent’anni, andranno insieme fino in
India e uniti entreranno nella
leggenda.
\A
NALISI DEL TESTO\
Il tempo della scrittura: pubblicata per la
prima volta sulla rivista «Il Convito» nel
1895, questa poesia fu poi inserita nei
Poemi conviviali (1904).
Struttura metrica: ogni sezione è formata
da tre terzine di endecasillabi a rima incatenata (ABA, BCB, CDC) più un endecasillabo isolato facente rima con D.
In Aléxandros – un altro eroe del passato trasfigurato in chiave
decadente e perciò tormentato da analoghe ansie e angosce –
Pascoli svolge il motivo del contrasto tra la realtà e il sogno,
dovuto alla sproporzione tra la brama d’infinito e d’assoluto e
la coscienza dei limiti invalicabili della natura umana.
Il significato del poemetto è questo: poiché la realtà è sempre deludente, è meglio solo sperare e sognare. Il sogno è l’infinita ombra del Vero: anche se vago e inconsistente, esso dà almeno l’illusione dell’infinito.
Nelle prime quattro strofe è lo stesso Alessandro che parla,
rivolgendosi prima ai suoi soldati e poi al padre Filippo.
I. Siamo arrivati: è {questo} il confine {della terra}. O sacro Araldo, suona la tromba! O soldati, non {c’è} altra terra {da conquistare} se non quella là (la luna) {che sta} in cielo e che si rispecchia brillando in mezzo al vostro scudo (brocchier), terra vagante
e solitaria, inaccessibile.
Dell’estrema riva potete vedere là, o mercenari della Caria,
l’ultimo fiume, l’Oceano immobile. O {soldati} venuti dalla
Macedonia e dalla Palestina, ecco, {guardate} la terra che a poco
a poco scompare e sprofonda nell’oscurità rilucente del cielo.
II. Oh fiumi {in piena} che ho oltrepassato! Voi riflettete nell’acqua limpida {l’immagine della} foresta immobile, {e} portate il
sordo rumore {delle onde} che dura {costante}.
O montagne che ho valicato! Dopo avervi oltrepassato, lo spazio
{che si vede stando} in cima a voi non appare altrettanto grande
di quello più grande che, prima {di salire su di voi}, impedivate
{di vedere}.
O monti, o fiumi, azzurri come il cielo e come il mare! Sarebbe
stata cosa più saggia decidere di fermarsi, non guardare oltre,
sognare: il sogno è l’infinita ombra della Verità.
III. Oh! {ero} più felice {quando} avevo davanti molto più cammino {da compiere}, molte più difficoltà, molti più dubbi, molto più futuro!
{Ero più felice} a Isso, quando sotto il soffio dei venti bruciava
l’accampamento notturno, in mezzo alle fittissime schiere {di
soldati}, {in mezzo} ai neri carri e ai tanti armenti.
{Ero più felice} a Pella (capitale della Macedonia), quando nel
corso delle lunghe serate, o mio Bucefalo, inseguivamo il sole
(simbolo del mistero da scoprire); il sole che fra oscuri boschi
brillava, sempre più lontano, come un tesoro.
IV. O figlio di Amynta (Filippo, padre di Alessandro)! Quando
mi misi in cammino, io non pensavo agli obiettivi {che intendevo raggiungere}. {Al momento della partenza} Timoteo il cantore
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1
2
3
4
5
6
Aléxandros
Pezetèri: sono propriamente i soldati della
guardia imperiale macedone.
Caria: regione dell’Asia Minore, da cui
provenivano molti mistofori, soldati mercenari (dal greco misthòs, “ricompensa”).
Oceano: considerato dagli antichi un gran
fiume che circondava interamente le terre
emerse.
Haemo: regione montuosa della Macedonia.
Carmelo: monte della Palestina.
nomo: canto sacro con accompagnamento
di flauto.
I
– Giungemmo: è il Fine. O sacro Araldo, squilla!
Non altra terra se non là, nell’aria
quella che in mezzo del brocchier vi brilla,
o Pezetèri 1: errante e solitaria
terra, inaccessa. Dall’ultima sponda
vedete là, mistofori di Caria2,
l’ultimo fiume Oceano3 senz’onda.
O venuti dall’Haemo4 e dal Carmelo5,
ecco, la terra sfuma e si profonda
dentro la notte fulgida {1} del cielo.
II
Fiumane che passai! voi la foresta
immota nella chiara acqua portate,
portate il cupo mormorìo, che resta.
Montagne che varcai! dopo varcate,
sì grande spazio di su voi non pare,
che maggior prima non lo invidïate.
Azzurri, come il cielo, come il mare,
o monti! o fiumi! era miglior pensiero
ristare, non guardare oltre, sognare:
copertina dei poemi conviviali
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NALISI DEL TESTO\
{1} notte fulgida: dietro l’ossimoro si individua lo spettacolo grandioso e al
tempo stesso misterioso di un cielo stellato.
{2} Capo di toro: traduzione letterale del
greco Bucefalo: era questo il nome del cavallo di Alessandro.
5
10
15
il sogno è l’infinita ombra del Vero.
20
III
Oh! più felice, quanto più cammino
m’era d’inanzi; quanto più cimenti,
quanto più dubbi, quanto più destino!
Ad Isso, quando divampava ai venti
notturno il campo, con le mille schiere,
e i carri oscuri e gl’infiniti armenti.
A Pella! quando nelle lunghe sere
inseguivamo, o mio Capo di toro {2},
il sole; il sole che tra selve nere,
sempre più lungi, ardea come un tesoro.
25
IV
Figlio d’Amynta! io non sapea di meta
allor che mossi. Un nomo6 di tra le are
intonava Timotheo, l’auleta:
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GIOVANNI PASCOLI
intonava tra gli altari un sacro canto: {canto simile a} un soffio
potente di un andare voluto dal destino (fatale) {capace di procedere} oltre la morte; esso m’è rimasto nel cuore, vivo come il
mormorio del mare in una conchiglia.
O squillo acuto, o potente spirito, che passi in alto e lanci il tuo
suono: che io possa seguirti! ma {questo non è possibile} perché
{sono arrivato} al Fine, all’Oceano, al Niente... e quel canto passa
e si perde oltre di noi.
Nelle ultime due strofe, invece, è il poeta che parla, in terza
persona, di Alessandro e dei suoi cari, ben più felici di lui, che
sono rimasti nella lontana terra natia.
alessandro a isso
(mosaico, museo nazionale, napoli)
scene di famiglia
L’immagine delle vergini sorelle,
che nel montuoso e lontano Epiro
tessono la lana milesia per il caro
assente, ci riporta alla monarchia
patriarcale dell’antica civiltà
minoica, in cui il re era un pater
familias e non disdegnava i lavori
più umili (ricorda che lo stesso
Ulisse si costruì il letto nuziale con
le proprie mani e che Nausicaa,
figlia di Alcinoo, re dei Feaci,
andava con le ancelle a lavare i
panni al fiume).
Anche se ai tempi di Alessandro la
monarchia era stata influenzata
dagli sfarzi delle civiltà orientali,
forse non è improprio pensare che
le regioni un po’ appartate come
l’Epiro e la Macedonia avessero
conservato le antiche usanze.
V. E dicendo queste parole egli (Alessandro) piange, dopo essere
giunto, ansante {al limite stesso della terra}: piange dall’occhio
nero come la morte; piange dall’occhio azzurro come il cielo,
perché nell’occhio nero la speranza si fa sempre più vana (irrealizzabile) e nell’occhio azzurro {si fa} sempre più forte il desiderio: è questa la sua sorte...
Egli sente in lontananza fremiti di belve; egli sente, inarrestabili,
forze sconosciute, che gli passano davanti, nell’immensa superficie {dell’Oceano}, come {il rumore prodotto} da mandrie di elefanti (sono le voci del mistero che egli non può penetrare).
VI. Intanto nel selvaggio e montuoso Epiro, le sue (di Alessandro) sorelle vergini filano la lana milesia per il caro Assente. A
notte tarda, tra le ancelle industriose, esse ruotano il fuso fra le
dita morbide e bianche come la cera, e il vento si muove e si
muovono le stelle.
Olimpia (la madre di Alessandro) smarrita in un sogno (rapita,
cioè, in fantasticherie), ascolta il suono di una fontana; ascolta,
nella vuota tenebra infinita, le grandi querce stormire.
Tra Alessandro, che ha scelto l’azione, la corsa verso l’infinito, e la madre e le sorelle, che hanno invece scelto di sognare e
di condurre una vita semplice e operosa, queste hanno fatto la
scelta migliore.
umberto boccioni, il sogno
(1908-1909), milano, coll. palazzoli)
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dai Poemi conviviali
soffio possente d’un fatale andare,
oltre la morte; e m’è nel cuor, presente
come in conchiglia murmure di mare.
O squillo acuto, o spirito possente,
che passi in alto e gridi, che ti segua!
ma questo è il Fine, è l’Oceàno, il Niente...
e il canto passa ed oltre noi dilegua. –
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NALISI DEL TESTO\
{3} dall’occhio nero ... dall’occhio azzurro: il primo è simbolo dei limiti della
natura umana; l’altro, della bellezza del
sogno. Così Pascoli interpretò la leggenda secondo la quale Alessandro Magno
aveva gli occhi di colore diverso.
{4} lo sperar ... il desiar: infiniti sostantivati (= la speranza ... il desiderio).
{5} come trotto di mandre d’elefanti: bel
verso allitterante che, anche per il ritmo
incalzante determinato dalla collocazione
degli accenti tonici (3a e 6a sillaba), riproduce la corsa cadenzata di quegli animali
selvatici.
{6} Epiro aspra e montana: gli aggettivi
sono al femminile, quasi fossero accordati con un “regione” sottinteso.
{7} milesia lana: epiteto esornativo di
evidente derivazione classica. La lana di
Mileto (in Asia Minore) era particolarmente pregiata.
V
E così, piange, poi che giunse anelo:
piange dall’occhio nero come morte;
piange dall’occhio azzurro {3} come cielo.
Ché si fa sempre (tale è la sua sorte)
nell’occhio nero lo sperar, più vano:
nell’occhio azzurro il desiar {4}, più forte.
Egli ode belve fremere lontano,
egli ode forze incognite, incessanti,
passargli a fronte nell’immenso piano,
come trotto di mandre d’elefanti {5}.
VI
In tanto nell’Epiro aspra e montana {6}
filano le sue vergini sorelle
pel dolce Assente la milesia lana {7}.
A tarda notte, tra le industri ancelle,
torcono il fuso con le ceree dita;
e il vento passa e passano le stelle.
Olympiàs in un sogno smarrita
ascolta il lungo favellìo d’un fonte,
ascolta nella cava ombra infinita
le grandi quercie bisbigliar sul monte.
C O N S E G N E
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1. Osserva i due che del v. 11 e del v. 14 e individuane la funzione grammaticale.
2. Scegli se l’aggettivo felice del v. 21 ha valore
n attributivo
n predicativo
n di nome del predicato
n di apposizione.
3. Rileggi i vv. 35-36. Qual è il soggetto grammaticale? Trascrivi il testo in costruzione diretta.
4. Elenca i termini aulici di derivazione greca presenti nella lirica.
5. Individua la figura retorica (di posizione) presente nel v. 56.
6. Individua il fenomeno metrico presente nel v. 57.
7. Chiarisci il significato di cava (v. 59).
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