11-12 maggio ’13 (G. Campa) Imposta generale sulle vendite (questa Nota è una integrazione ai §§ 1, 2 e 4 del Cap. 17) 1. Per imposta generale sulle vendite si intende una imposta con aliquota uguale che grava sulle vendite (scambi) di tutti i tipi di beni e servizi. Un’imposta di questo tipo esiste nei Paesi dell’Unione Economica Europea ma non negli Stati Uniti, sebbene nei singoli Stati della Federazione vi sia un’imposta sulle vendite con aliquote diverse tra gli Stati e anche differenziate per attività. Tuttavia, il principio che una tale imposta sia generale non è mai applicato interamente, per ragioni sociali o anche per difficoltà pratiche. Ad esempio, spesso vi sono aliquote più basse, o sono esentati, i generi alimentari di maggior consumo oppure alcuni particolari mezzi di produzione. Assumiamo, per semplicità, che l’intera attività economica si svolga in tre fasi principali: quella della produzione, quella della distribuzione all’ingrosso, e quella della vendita al dettaglio. L’imposta generale sugli scambi può essere organizzata in due modi diversi: a) essere applicata in una delle tre fasi (imposta monofase): – alla fine della produzione, quando i beni sono venduti al commerciante all’ingrosso; – sul commercio all’ingrosso, quando i beni sono scambio con i venditori al dettaglio; – sui dettaglianti quando i beni sono venduti ai consumatori finali; b) oppure, essere applicata in più fasi (imposta plurifase), di solito con aliquota minore. 2. Effetti principali da considerare. Per confrontare questi diversi modi di applicazione dell’imposta, monofase o plurifase, gli aspetti più rilevanti da tener presente sono: – effetti sul livello dei prezzi dei beni nella fase (ultima) della vendita al consumatore; – effetti sui prezzi relativi tra i beni; – effetti sull’organizzazione della produzione e distribuzione, ossia effetti di integrazione (o concentrazione) del sistema produttivo e distributivo (numero di passaggi all’interno della fase produttiva o distributiva). 3. Nel caso di un’imposta monofase sulle vendite, che grava su una sola fase della produzione o distribuzione del bene/servizio, l’effetto sul livello del prezzo finale del bene tassato è diverso secondo quale stadio essa venga applicata: alla produzione o man mano che si avvicina alla vendita al consumatore? Nella realtà, le fasi di produzione sono più di una, e anche la struttura distributiva può essere abbastanza lunga. Per intuire la diversità del risultato è necessario comprendere, innanzitutto, il meccanismo di formazione del prezzo sul mercato nel passaggio da una fase all’altra della produzione e distribuzione: → in assenza di imposta: supponiamo che la produzione del bene X si compie e termina in una sola impresa: in una situazione di concorrenza, il prezzo di vendita è pari al costo marginale che indichiamo con Cx’; l’impresa commerciale all’ingrosso (grossista) acquista al prezzo Cx’ e aggiunge a quest’ultimo il suo margine di mercato mg (ossia una percentuale di profitto, detto mark-up, ad es. 0,15, resa possibile dalle condizioni di mercato in cui opera) e vende al prezzo: Pg = Cx’ + Cx’ (mg) che indichiamo con Pg = Cx’(1+mg) [g indica il “grossista”] l’impresa commerciale al dettaglio acquista il bene al prezzo del grossista Pg e aggiunge a tale prezzo il proprio margine di profitto md (ad es. 0,25); il prezzo del dettagliante diviene: Pd = Pg + md (Pg) = Pg (1+md); al posto di Pg riportiamo la forma prima espressa e il prezzo finale al consumo diviene:1 In pratica, se il prezzo alla produzione (di fabbrica) è 100 euro, il grossista aggiunge il 15% e il dettagliante aggiunge il 25%; il prezzo finale al consumo diventa 143,75 euro. 1 1 11-12 maggio ’13 (G. Campa) Pd = Cx’(1+mg) (1+md) 3. Dopo aver compreso il meccanismo di formazione del prezzo, possiamo sapere come varia il prezzo dopo un’imposta monofase sulle vendite: – l’imposta è un’aliquota t fissa da applicare al prezzo prima della vendita; – tp è l’aliquota posta alla produzione; tg è l’aliquota sul commercio all’ingrosso; e td è l’aliquota sul prezzo di vendita al dettaglio. Nel caso di imposta alla produzione, è sul prezzo di fabbrica Cx’ che grava l’aliquota tp e il prezzo di vendita al grossista diventa: Cx’(1+tp); il grossista aggiunge il suo margine di profitto (1+mg) e il dettagliante, a sua volta, aggiunge il suo margine (1+md); – il prezzo finale (con tp) diventa: (1) P(tp) = Cx’ (1+tp) (1+mg) (1+md) Nel caso di imposta monofase sul commercio all’ingrosso: sul prezzo di fabbrica Cx’ il grossista aggiunge il suo margine di profitto (1 + mg) e, quindi, applica l’aliquota d’imposta (1 + tg); il prezzo del grossista diviene: Cx’(1+mg) (1+tg) e il dettagliante aggiunge dopo il suo margine di profitto (1 + md) e vende al consumatore; – il prezzo finale (con tg) diventa: (2) P(tg) = Cx’ (1+mg) (1+tp) (1+md) Nel caso di imposta monofase sul commercio al dettaglio: l’aliquota d’imposta (1+td) viene applicata alla fine sul prezzo per il consumatore; – il prezzo finale (con td) diventa: (3) P(td) = Cx’(1+mg) (1+md) (1+td) Confrontiamo le tre forme di imposta monofase, possiamo concludere: – nell’ipotesi di parità di aliquote (tp = tg = td) è semplice intuire che il livello dei prezzi al consumo aumenta, ma in misura identica nei tre casi.; – tuttavia, a parità di aliquote, l’ammontare del gettito sarà più elevato nel caso di imposta sull’ultima fase rispetto al gettito dell’imposta sul commercio all’ingrosso e quest’ultima più elevata rispetto ad un’imposta sulla produzione2; A parità di gettito, dunque, è necessario assumere che: tp > tg > td , ossia l’aliquota t deve essere sempre più elevata se la monofase è applicata in una fase più vicina alla produzione. In tali circostanze: – l’aumento dei prezzi è tanto minore quanto più l’imposta è applicata nella fase prossima alla vendita al consumo; – l’aumento del prezzo è uguale all’imposta quando è posta nell’ultima fase fase al dettaglio; 4. L’effetto sui prezzi relativi è tanto più scarso quanto più l’imposta sulle vendite si applica nella fase finale di vendita al consumatore, ovviamente se ipotizziamo un’aliquota uniforme su tutti i beni. Vale la pena ricordare, però, che l’imposizione nella fase del commercio al dettaglio è sempre più complessa e costosa per l’Amministrazione tributaria e, d’altra parte, più difficile da controllare. Per tali ragioni, in pratica l’imposta monofase sulle vendite è introdotta, di fatto, nella fase che precede la vendita al dettaglio; nei casi concreti quando l’imposta grava su specifici settori di attività (ad es. la raffinazione del petrolio per produrre benzina e oli minerali) essa è applicata alla fine della produzione e prima che inizi la fase della distribuzione. 2 Il gettito d’imposta aumenta quando la base imponibile diviene sempre più grande con l’aggiungersi del margine di profitto mg e poi di quello md ; infatti: Cx’(1+mg) (1+md) (td)Qx > Cx’(1+mg) (tg)Qx > Cx’(tp)Qx dove Qx è la quantità venduta. 2 11-12 maggio ’13 (G. Campa) Per tali ragioni inerenti sia alla produzione sia ai problemi di complessità amministrativa e di controllo, la tassazione sulle vendite è attuata, di fatto, nelle fasi a monte della catena produttiva e distributiva. Tenendo presente che i passaggi di produzione e distribuzione sono molteplici e che i margini di profitto sono diversi secondo le attività, si deve concludere che è facile attendersi variazioni differenziate dei prezzi relativi tra i beni pur ipotizzando una aliquota uniforme. Assume importanza, in relazione all’imposta sulle vendite, il trattamento delle importazioni: quando l’imposta è applicata nella fase al dettaglio, può dirsi che tutti beni, importati o meno, abbiano lo stesso trattamento; ciò può non avvenire quando l’imposta grava ad un livello precedente. Inoltre, va tenuto presente che per ragioni sociali, di costume o di altro tipo, una serie di beni è esentata dall’imposta sulle vendite. Infine, l’imposizione monofase sulle vendite non ha particolari effetti d’integrazione, ossia effetti sugli aspetti organizzativi e sul livello di concentrazione dell’attività produttiva e distributiva. 5. Imposta plurifase sulle vendite. Un’imposta che colpisce tutti gli scambi di beni e servizi, dalla produzione alla distribuzione fino ai consumatori finali, è stata operante in Italia col nome di Imposta generale sulle entrate (IGE) e in Francia come imposta sul valore aggiunto (IVA): – quella in Italia è tecnicamente definita come imposta cumulativa sul valore pieno; – quella in Francia è definita come imposta non-cumulativa sul valore aggiunto. Una imposta sul valore pieno ha come base imponibile il prezzo di vendita da una fase all’altra (da un settore all’altro della produzione/distribuzione); con l’aliquota “cumulativa” tc , si determina che il prezzo finale al consumo è: (4) P(tc) = Cx’ (1+mg) (1+md) (1+tc)3 L’applicazione dell’imposta tc , dapprima sul prezzo alla produzione [Cx’ va moltiplicato per (1+tc)], poi sul prezzo praticato dal grossista [Cx’ (1+tc) (1+mg) va moltiplicato per (1+tc)] e infine sul prezzo al dettaglio [Cx’ (1+tc) (1+mg) (1+tc) (1+md) va moltiplicato per (1+tc)], fa intuire che il fattore (1+tc) è applicato per 3 volte; è evidente che il peso dell’imposta si cumula secondo il numero dei passaggi dell’attività produttiva. L’imposta italiana, tipo Ige, infatti, gravava su tutti i passaggi che avvenivano nella formazione del bene/servizio: quindi, l’imposta in tale situazione si accumula sempre di più seguendo la catena della produzione e distribuzione fino al consumatore finale, sul quale inciderà effettivamente l’intera imposizione tramite la traslazione sul prezzo finale di consumo. Ovviamente, a parità di gettito l’imposta (tc) “plurifase sul valore pieno” deve avere un’aliquota molto più bassa rispetto ad una aliquota “monofase”; infatti, l’Ige italiana ha avuto un’aliquota attorno al 3-4 per cento. Tuttavia, pur se il livello dell’imposta cumulativa è molto basso, essa crea effetti distorsivi e negativi di gran lunga più elevati delle imposte monofase. Infatti, si intuisce che l’effetto sul prezzo finale dipende dalla organizzazione della produzione e della distribuzione; quindi, l’imposta plurifase cumulativa provoca effetti indesiderati sulla struttura industriale e distributiva, ossia effetti di integrazione e concentrazione abbastanza rilevanti, determinati artificiosamente solo dall’imposizione e non da esigenze tecniche o economiche. Anche gli effetti sui prezzi relativi saranno molteplici, perché dipendono dalla diversa attività per ciascun bene/servizio. Questa imposta cumulativa è stata soppressa in Italia con la Riforma Tributaria del 1973/74, che ha introdotto l’Imposta sul valore aggiunto (Iva) già sperimentata in Francia e voluta esplicitamente dalla Comunità Europea per ragioni di armonizzazione tributaria, di minori effetti sul livello dei prezzi e di assenza di effetti sui prezzi relativi tra i beni e tra i Paesi comunitari. 3 11-12 maggio ’13 (G. Campa) 6. Imposta sul Valore Aggiunto. Il valore aggiunto è l’incremento di valore del bene/servizio in ciascuna fase produttiva e distributiva. Da un punto di vista puramente “contabile” e per il calcolo effettivo dell’imposta in ciascuno stadio: – il “valore aggiunto” è la differenza tra il valore del bene/servizio alla vendita e il valore dei materiali o altro acquistati per la produzione e la distribuzione; Un’imposta sul valore aggiunto (tv) si applica innanzitutto sul valore aggiunto della prima fase (Cx’), poi sul valore aggiunto del mercato all’ingrosso (che è indicato solamente dal margine di profitto mg) e, infine, sul valore aggiunto del dettagliante indicato solamente da md ). Il prezzo finale al consumo è: (5) P(tv) = Cx’ (1 + tv ) [1+mg (1 + tv)] [1+md (1+tv)] Da un punto di vista di comprensione economica è possibile intuire che: – il valore aggiunto corrisponde al valore dei fattori impiegati per produrre o distribuire; – ossia, ai salari (per il lavoro impiegato) + gli interessi (per il capitale impiegato e consumato) + i profitti (per il fattore imprenditoriale) + le rendite (uso di risorse scarse, es. terreni); Inoltre, il valore finale (ossia il prezzo di vendita al consumatore) del bene/servizio non è altro che la somma dei valori aggiunti ottenuti in tutte le fasi di produzione e distribuzione. Da questa constatazione si deduce che: – l’imposta plurifase sul valore aggiunto ha gli stessi effetti di un’imposta monofase al dettaglio sul prezzo finale al consumatore; vale a dire: • sul livello dei prezzi al consumo dopo l’imposta (effetto inflattivo); • sui prezzi relativi (effetti discriminatori sulle attività di produzione e consumo); • sul gettito d’imposta ottenuto, etc. Quanto agli effetti ora descritti, in precedenza al punto 4 abbiamo rilevato che un’imposta sulle vendite del tipo monofase al dettaglio è certamente il metodo preferibile; tuttavia, abbiamo anche messo in evidenza le difficoltà amministrative di realizzazione e di controllo. Con un’imposta sulle vendite tipo “valore aggiunto”, invece, questa difficoltà può essere superata perché obbliga a disciplinare l’intera attività economica (produttiva e distributiva) con un sistema di contabilità e fatturazione generale (semplificata per le piccole imprese e quelle familiari) che obbliga a tenere un rendiconto di tutti gli acquisti e vendite, in modo da rendere possibile la valutazione “contabile” del valore aggiunto di ciascuna impresa. 4