la responsabilità civile dei magistrati: tra garanzie costituzionali

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Cons. Nicola Durante
(Magistrato amministrativo)
LA
RESPONSABILITÀ
COSTITUZIONALI,
CIVILE
MONITI
DEI
EUROPEI,
MAGISTRATI.
SUSSULTI
TRA
GARANZIE
REFERENDARI
E
LEGISLATIVI
Relazione resa al convegno sul tema “Giustizia oggi”, organizzato presso la Prefettura di Catanzaro il 3
dicembre 2013.
SOMMARIO: 1. La disciplina vigente; 2. Principali peculiarità e fondamento costituzionale
del sistema; 3. Problematiche di compatibilità col diritto comunitario; 4. Spinte innovatrici e
proposte referendarie.
*****
1. La disciplina vigente.
La materia della responsabilità civile dei magistrati è oggi regolata dalla legge 13
aprile 1988, n. 117 (c.d. “legge Vassalli, dal nome del ministro guardasigilli dell’epoca),
emanata a seguito dell’abrogazione referendaria degli artt. 55, 56 e 74 c.p.c., avvenuta nel
1987.
In precedenza, poteva aversi responsabilità civile del magistrato solo in caso di dolo,
frode o concussione1. In forza dell’art. 28 Cost., la responsabilità si estendeva poi allo Stato,
per immedesimazione organica.
Rispetto a tale schema, la disciplina vigente si fonda sul principio opposto: l’illecito
civile del magistrato obbliga verso il danneggiato esclusivamente lo Stato che, se
condannato, esercita la rivalsa nei confronti del proprio dipendente.
Analizzando per sommi capi il testo normativo2, si rileva che, ai sensi degli artt. 2 e 3
della legge, l’illecito può avere forma attiva3 od omissiva (c.d. “diniego di giustizia”)4.
1
Sugli aspetti generali della precedente disciplina, cfr. GIULIANI, Interpretazione della legge e responsabilità del
giudice, in garanzie processuali o responsabilità del giudice, Milano 1981, 125 ss. Essa resta comunque applicabile alle
fattispecie occorse prima dell’abrogazione, cfr. Cass. civ., Sez. III, 16 ottobre 2007, n. 21618.
1
L’art. 2 pone, tuttavia, tre importanti limitazioni all’insorgere della responsabilità.
Anzitutto, il danno deve avere natura tendenzialmente patrimoniale, essendo quello
non patrimoniale risarcibile solo se conseguente ad un’ingiusta privazione della libertà
personale.
Quindi, la fattispecie illecita dev’essere sorretta dall’elemento psicologico del dolo o
della colpa grave, riguardo alla quale ultima, il comma 3 dell’art. 2 tipizza quattro distinte
ipotesi: a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;
b) l’affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è
incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento; c) la negazione, determinata da
negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del
procedimento; d) l’emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei
casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.
Infine, per effetto della c.d. “clausola di salvaguardia” di cui al comma 2,
«nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di
interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove».
Secondo l’art. 4 della legge, l’azione di risarcimento si esercita, nei confronti del
Presidente del Consiglio dei ministri, quando il provvedimento causativo del danno è
divenuto definitivo. La stessa decade, in genere, dopo due anni dal momento in cui l’azione è
diventata esperibile.
Competente sul giudizio è il tribunale del capoluogo del distretto della corte d’appello
determinato a norma dell’art. 11 c.p.p., il quale deve preliminarmente valutare se l’azione è
inammissibile rispetto ai termini od ai presupposti di cui agli artt. 2, 3 e 4, ovvero se è
manifestamente infondata, provvedendo in tal caso con decreto motivato, impugnabile in
corte d’appello e successivamente per cassazione.
Se la domanda è ammissibile, gli atti sono trasmessi ai fini dell’azione disciplinare,
da esercitarsi entro due mesi e nel cui ambito rileva anche la colpa semplice.
2
Sugli aspetti generali della novella, cfr. FAZZALARI, Nuovi profili della responsabilità civile del giudice, in Riv.
trim. dir. proc. civ. 1988, 1027 ss.; CAPPELLETTI, Giudici irresponsabili?, Milano, 1988; BERRUTI, Sulla
responsabilità civile dei magistrati (le fattispecie della legge n. 117 del 1988), in Giur. it. 1988, IV, 235 ss.;
CORSARO-POLITI, La cosiddetta responsabilità del giudice, in Giur. it. 1989, IV, 367 ss.; BRIGUGLIOSIRACUSANO, in La responsabilità civile dello Stato giudice, Padova 1990; BIONDI, La responsabilità del
magistrato, Milano 2006; PICARDI, La responsabilità del giudice: la storia continua, in Riv. dir. proc. 2007, 288 ss.
3
Derivante, cioè, da un comportamento, da un atto o da un provvedimento giudiziario ingiusto, posto in essere dal
magistrato nell’esercizio delle sue funzioni (art. 2).
4
Ossia, derivante dal mancato compimento di un atto d’ufficio, trascorso il termine per l’adozione dello stesso e decorsi
inutilmente ulteriori trenta giorni dal sollecito rivolto dalla parte interessata, ridotti a cinque per le istanze in tema di
libertà personale (art. 3).
2
Il magistrato che ha causato l’illecito non può essere assunto come teste, né può
essere chiamato in causa, ma può intervenire in ogni fase e grado del procedimento. La
condanna fa stato nel giudizio di rivalsa solo se il magistrato è intervenuto volontariamente in
giudizio. Non fa stato nel procedimento disciplinare. In nessun caso, fa stato la transazione
raggiunta dallo Stato con il danneggiato.
L’azione di rivalsa è promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, entro l’anno
dalla definitività della condanna. Il foro è lo stesso della causa principale e la misura della
rivalsa non può superare il terzo dello stipendio percepito dal magistrato nell’anno in cui è
proposta l’azione di risarcimento. Tale limite non si applica al fatto commesso con dolo.
Se l’illecito scaturisce da una decisione collegiale, non ne risponde il magistrato che
abbia fatto constare a verbale il proprio dissenso succintamente motivato.
Detta facoltà non è in contraddizione con la generale regola di segretezza del
contenuto della discussione sulle questioni affrontate dal collegio al fine di pervenire alla
decisione, dal momento che il verbale va inserito in un plico sigillato, le cui modalità di
conservazione sono tali da escludere la conoscibilità all’esterno dell’esistenza del dissenso5.
2. Principali peculiarità e fondamento costituzionale del sistema.
La prima peculiarità del sistema dianzi succintamente descritto riguarda la
giurisdizione e riguarda la scelta del legislatore di traslare l’azione di rivalsa – e, cioè, il
giudizio sulla responsabilità amministrativa del magistrato – dalla sua sede ordinaria (la
Corte dei conti) al giudice ordinario.
La deroga, per la sua specialità, opera nel solo ambito della responsabilità civile, con
la conseguenza che, ai sensi dell’art. 13 della legge, in presenza di un danno da reato
commesso da magistrato nell’esercizio delle funzioni, l’azione di responsabilità è esperibile
direttamente nei confronti di quest’ultimo ed anche in sede penale, tramite costituzione di
parte civile. A sua volta, l’azione dello Stato condannato al risarcimento nella qualità di
responsabile civile – c.d. azione «di regresso» – permane in capo alla Corte dei conti ed è
assoggettata alle regole generali sul pubblico impiego6.
Ma ogni qual volta un’ipotesi di reato non si configuri, la controversia sul danno
erariale causato dal magistrato nell’esercizio di funzioni giudiziarie è devoluta al giudice
5
Cfr. Cass. civ., Sez. un., 5 febbraio 1999 n. 23, secondo cui risponde di illecito disciplinare il magistrato che abbia
consapevolmente posto in essere un comportamento contrastante con detta disposizione, precisando nella motivazione
di una sentenza penale che, su una determinata questione, la decisione non è stata presa all’unanimità.
6
Cfr. Cass. civ., Sez. un., 27 maggio 2009 n. 12248.
3
civile ed il magistrato può essere chiamato a rispondere solo a titolo di rivalsa, con i limiti di
cui all’art. 3, salvo il caso del dolo7.
Questo reca in sé importanti riflessi non soltanto processuali, ma anche sostanziali,
impedendo che trovino efficacia, quanto meno diretta, per la categoria dei magistrati, tutta
una serie di istituti favorevoli, che invece la Corte dei conti applica ai pubblici impiegati in
genere, come la parziarietà dell’obbligazione, la sua intrasmissibilità agli eredi (tranne il caso
di loro indebito arricchimento), il potere riduttivo dell’obbligazione e la definizione
agevolata della lite, ai sensi dell’art. 1, commi 231-233, della legge 23 dicembre 2005, n.
266.
Venendo alla struttura dell’illecito, un’altra particolarità consiste nel fatto che il
danno cagionato dal magistrato non determina la responsabilità di questi nei confronti del
terzo, ma quella dello Stato.
Ciò costituisce eccezione al criterio generale, ritraibile dall’art. 28 Cost., secondo cui
del danno cagionato al privato sono solidalmente responsabili e l’impiegato e l’ente pubblico
di appartenenza, in virtù del rapporto d’immedesimazione organica8.
Almeno apparentemente, la previsione dell’elemento soggettivo in termini di dolo o
colpa grave, e non di colpa semplice, non modifica la regola generale di cui all’art. 23 del
D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (T.U. sul pubblico impiego), che pure riconnette la
responsabilità civile personale dei funzionari e dipendenti pubblici – e, di riflesso, quella
dell’ente – ai soli casi di violazione dei diritti dei terzi commessi con dolo o colpa grave9.
Tuttavia, a ben vedere, è la sostanza della colpa grave desumibile dalla legge del 1988
a differenziarsi da quella ordinaria, a causa della tipizzazione dei casi in cui essa può essere
ravvisata.
Insomma, la colpa grave del magistrato, lungi dal coincidere con la nozione comune
di mancato uso della diligenza, della perizia e della prudenza professionali esigibili in
relazione al tipo di servizio pubblico o ufficio rivestito10, assurge ad una sorta di lata culpa
piane dolo comparabitur, di antica memoria.
Di modo che, non basta che la violazione della legge commessa dal magistrato sia
“grave”, perché essa dev’essere anche ascrivibile a “negligenza inescusabile”, dovendosi
7
Cfr. Cass. civ., Sez. un., 24 marzo 2006 n. 6582, riguardo all’azione di responsabilità promossa dal procuratore
regionale della Corte dei conti nei confronti di un magistrato ordinario, per il danno colposamente arrecato per il
ritardato dissequestro di due autoveicoli affidati in custodia giudiziale.
8
Cfr. Cass. civ., Sez. lav., 6 maggio 1991 n. 4951.
9
Cfr. Cass. civ., Sez. lav., 18 febbraio 2000 n. 1890, che applica la limitazione della responsabilità anche ai funzionari
onorari ed agli amministratori, come ad esempio i sindaci dei comuni.
10
Cfr. Cass. civ., Sez. I, 25 febbraio 2009 n. 4587.
4
presentare come “non spiegabile”, e cioè senza agganci con le particolarità della vicenda atti
a rendere l’errore comprensibile, anche se non giustificato11.
In altre parole, tale forma di responsabilità è sì incentrata sulla colpa grave del
magistrato, ma per come tipizzata dalle ipotesi specifiche ricomprese nell’art. 2, le quali sono
riconducibili al comune fattore della “negligenza inescusabile”, che implica la necessità di
configurare un quid pluris rispetto al paradigma delineato dall’art. 2236 c.c. Pertanto, l’errore
viene in rilevo solo quando il giudice pone a fondamento del suo giudizio elementi del tutto
avulsi dal contesto probatorio di riferimento e non quando ritiene sussistente una determinata
situazione di fatto senza elementi pertinenti, ovvero sulla scorta di elementi insufficienti, che
però abbiano formato oggetto di esame e valutazione, trattandosi in tal caso di errato
apprezzamento dei dati acquisiti12.
Pare comunque ricadere nell’alveo generale della colpa grave l’ipotesi tipizzata sub
d), che si concretizza nell’«emissione di provvedimento concernente la libertà della persona
fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione»; e lo stesso dicasi per il
diniego di giustizia ai sensi dell’art. 3, che dev’essere «senza giustificato motivo».
E non è ancora tutto, perché un’ulteriore franchigia si realizza nei casi coperti dalla
c.d. “clausola di salvaguardia” di cui all’art. 2, comma 2, secondo la quale «nell’esercizio
delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di
norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove».
La compatibilità costituzionale di tali previsioni non è in dubbio, avendo la Consulta
ripetutamente affermato che la legge n. 117 del 1988 rappresenta un ragionevole punto di
caduta tra le esigenze di tutela del soggetto danneggiato e dei valori dell’indipendenza della
magistratura, della sua autonomia e della pienezza dell’esercizio della funzione giudiziaria.
L’indipendenza garantisce infatti l’imparzialità del giudice, assicurandogli una posizione
super partes che escluda qualsiasi, anche indiretto, interesse alla causa da decidere. La
disciplina dell’attività del giudice deve perciò essere tale da renderlo immune da vincoli che
possano comportare la sua soggezione, formale o sostanziale, ad altri organi, mirando altresì,
per quanto possibile, a evitare forme di prevenzione, timore, influenza che possano indurre il
giudice a decidere in modo diverso da quanto a lui dettano scienza e coscienza13 14.
11
Cfr. Cass. civ., Sez. III, 14 febbraio 2012 n. 2107.
Cfr. Cass. civ., Sez. III, 27 novembre 2006 n. 25133.
13
Cfr. Corte cost. 19 gennaio 1989 n. 18 e, sotto il vigore della precedente normativa, C. cost. 3 maggio 1974 n. 128 e
27 marzo 1969 n. 60.
14
L’assunto è stato recentemente ripreso in un parere reso dal C.S.M. nella seduta del 14 marzo 2012, in www.csm.it,
secondo cui la legge n. 117 intende salvaguardare la libertà di giudizio del magistrato, stante il carattere spiccatamente
valutativo dell’attività giurisdizionale, la quale, per essere correttamente svolta, dev’essere “libera” e non
12
5
3. Problematiche di compatibilità col diritto comunitario.
Una prima breccia alla conformità della legge n. 117 del 1988 col diritto comunitario
si è aperta con la decisione assunta dalla Corte di giustizia CE il 30 settembre 2003, nella
causa Köbler/Republik Österreich, dov’è stato affermato che «il principio secondo cui gli
Stati membri sono obbligati a riparare i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto
comunitario che sono loro imputabili si applica anche allorché la violazione di cui trattasi
deriva da una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado. Infatti, questo principio,
inerente al sistema del Trattato, ha valore in riferimento a qualsiasi ipotesi di violazione del
diritto comunitario commessa da uno Stato membro, qualunque sia l’organo di quest’ultimo
la cui azione od omissione ha dato origine alla trasgressione».
Dunque, in base alla pronuncia, uno Stato membro è obbligato a riparare i danni
causati ai singoli, in presenza di una violazione del diritto comunitario ascrivibile, in forma
attiva od omissiva, ad un organo giurisdizionale di ultimo grado.
E’ stato inoltre notato che, a differenza delle pregresse decisioni in materia di
responsabilità dello Stato membro per violazione del diritto comunitario da parte di organi
interni15, la sentenza Köbler enuncia il criterio d’imputazione della “violazione manifesta” e
non della “violazione grave e manifesta”: cosa che lascerebbe trapelare la volontà di ampliare
i margini della responsabilità statale, quando l’illecito è riconducibile ad un organo
giurisdizionale di ultimo grado16.
La sentenza in parola, pur non riferendosi all’Italia, già pone il problema della
compatibilità comunitaria dell’art. 2 della legge n. 117 del 1988, che da un lato prevede i
diversi criteri della colpa grave (tipizzata) e del dolo e, dall’altro, esenta dalla responsabilità
per danni le violazioni commesse in sede di interpretazione di norme di diritto o di
valutazione del fatto e delle prove.
Ma a sancire definitivamente il contrasto tra i due ordinamenti è intervenuta, a
distanza di quasi tre anni, la sentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia 13 giugno
condizionabile da “atteggiamenti difensivi”, che necessariamente portano ad un approccio alla funzione giurisdizionale
di tipo meramente burocratico o anche solo acriticamente conformista.
15
Cfr. CGCE 5 marzo 1996, nelle cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du pêcheur e Factortame, dove si
indicano le tre condizioni, in presenza delle quali uno Stato membro è tenuto al risarcimento dei danni causati ai singoli
per violazione del diritto dell’Unione al medesimo imputabile, vale a dire: che la norma giuridica violata sia preordinata
a conferire diritti ai singoli; che si tratti di violazione manifesta o sufficientemente caratterizzata; che esista un nesso
causale diretto tra la violazione dell’obbligo incombente allo Stato e il danno subito dai soggetti lesi.
16
Cfr. COSENTINO, op. cit, e FERRARO, L’illecito comunitario di un organo giurisdizionale supremo (prima parte),
in Danno e resp. 2007, 530.
6
2006, nella causa C- 173/03, Traghetti del Mediterraneo s.p.a. in liquidazione/Repubblica
Italiana.
Le conclusioni di tale arresto sono trancianti: «il diritto comunitario osta ad una
legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato membro
per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario imputabile a
un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la violazione controversa risulta
da un’interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove
operate da tale organo giurisdizionale. Il diritto comunitario osta, altresì, ad una legislazione
nazionale che limiti la sussistenza di tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave del
giudice, ove una tale limitazione conducesse ad escludere la sussistenza della responsabilità
dello Stato membro interessato in altri casi in cui sia stata commessa una violazione
manifesta del diritto vigente, quale precisata ai punti 53-56 della sentenza Köbler»17.
E non è tutto, perché, non avendo la Repubblica italiana dato seguito alla statuizione,
la Commissione ha aperto una procedura di infrazione ai sensi dell’art. 260 del Trattato, in
base al quale «quando la Corte di giustizia dell’Unione europea riconosca che uno Stato
membro ha mancato ad uno degli obblighi ad esso incombenti in virtù dei trattati, tale Stato è
tenuto a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte comporta».
Quindi, la Sezione III della Corte, con sentenza del 24 novembre 2011, in causa C379/10, Commissione europea/Repubblica italiana, accogliendo il ricorso, ha dichiarato che:
«la Repubblica italiana, escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni
arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile ad un organo
giurisdizionale nazionale di ultimo grado, qualora tale violazione risulti da interpretazione di
norme di diritto o da valutazione di fatti e prove effettuate dall’organo giurisdizionale
medesimo, e limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave, ai sensi dell’art.
2, commi 1 e 2, della legge 13 aprile 1988, n. 177, sul risarcimento dei danni cagionati
nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati, è venuta
meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del principio generale di responsabilità degli
Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi
giurisdizionali di ultimo grado».
In particolare, la Corte ha censurato la circostanza per cui, nell’ordinamento interno
italiano, l’attività di interpretazione di norme di diritto e di valutazione di fatti e prove è
17
Per una ricostruzione della vicenda processuale, cfr. ROPPO, Responsabilità dello Stato per fatto della giurisdizione
e diritto europeo: un case story in attesa del finale, in Riv. dir. priv. 2006, 348 ss. Si veda, altresì, CONTI,
Responsabilità per atto del giudice, legislazione italiana e Corte Ue. Una sentenza annunciata, in Corr. giur. 2006,
1513 ss.
7
esente da responsabilità anche nei casi di dolo o colpa grave, il che contrasta col diritto
europeo.
Inoltre, quanto meno nell’interpretazione seguìta dalla Corte di cassazione, il
contenuto proprio del dolo e della colpa grave non è affatto equivalente a quello della
violazione del diritto vigente di matrice comunitaria, ma è ben più rigoroso.
Il richiamato distinguo operato dalla Corte di giustizia ha permesso di sostenere che
essa, mentre ha ritenuto radicalmente contrario al diritto dell’Unione l’art. 2, comma 2, si è
mostrata più concessiva nei confronti del comma 1, a patto, però, che la Corte di cassazione
interpreti il requisito della colpa grave in termini tali da corrispondere al requisito di
“violazione manifesta del diritto vigente”, come fissato dalla giurisprudenza europea.
Quanto agli effetti della decisione, le conseguenze tratte dallo stesso autore18 sono nel
senso che, attesa la natura di fonte del diritto attribuibile alle sentenze della Corte di giustizia
e stante il fatto che la decisione del 24 novembre 2011 è stata adottata con i poteri dell’art.
260 del Trattato, le norme interne in contrasto col diritto sovranazionale non sono più
applicabili.
Questo, però, non deve condurre ad affermare un duplice livello di tutela per il
cittadino leso da condotte illegittime di magistrati: maggiormente garantistico, quando si fa
valere la trasgressione di norme comunitarie (posto che, in questo caso, è sufficiente che la
violazione si caratterizzi in relazione ai requisiti individuati dalla Corte di giustizia nel caso
Köbler) e più severo, ove la trasgressione riguardi la legge nazionale (occorrendo dimostrare
il dolo o la colpa grave del magistrato e, soprattutto, che la violazione non possa essere
ricondotta nell’alveo dell’interpretazione di una norma di diritto o della valutazione del fatto
e delle prove).
Una tale disparità determinerebbe infatti, nel diritto interno, un grado di protezione
più basso di quello accordato alle violazioni del diritto comunitario, ponendo il problema
della legittimità del diverso regime a fronte della medesima situazione soggettiva lesa, in
relazione al canone di uguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. ed in relazione
all’art. 54 Cost. che impone, al massimo livello, l’osservanza della Costituzione e delle leggi.
Non di meno, occorre osservare che la prima decisione in tema della Corte di
cassazione ha, sia pure incidentalmente, enunciato il divisamento opposto, essendosi ritenuto
che l’esclusione della responsabilità per errata interpretazione di norme di diritto od errata
valutazione del fatto e della prova continui a valere, laddove non venga in rilievo una
18
Cfr. PACE, Le ricadute sull’ordinamento italiano della sentenza della Corte di giustizia dell’UE del 24 novembre
2011 sulla responsabilità dello Stato-giudice, in Riv. assoc. it. costituzionalisti 2012, 1, 1 ss.
8
violazione manifesta del diritto dell’Unione europea imputabile ad un organo giurisdizionale
nazionale di ultimo grado, essendo soltanto quest’ipotesi in contrasto con gli obblighi
comunitari dello Stato italiano, e ciò alla luce della Corte di giustizia del 24 novembre 2011,
nella causa C-379/1019.
Dello stesso tenore è, infine, la proposta di modifica della legge n. 177 del 1988,
inserita dal Governo nel disegno di legge comunitaria per il 2013 licenziato l’8 novembre
2013, dove la responsabilità dello Stato per violazione chiara e manifesta è prevista solo in
relazione al diritto comunitario ed agli atti riferibili ad un organo giurisdizionale nazionale di
ultimo grado20.
4. Spinte innovatrici e proposte referendarie.
E’ opinione diffusa che un’esegesi giurisprudenziale ritenuta troppo “partigiana”21 ha
progressivamente contribuito a confinare la responsabilità civile dei magistrati ad un ruolo
marginale, quasi si trattasse dell’extrema ratio per i casi di stridente ingiustizia, infondendo
nel sentimento popolare un senso di tradimento dello spirito referendario del 198722.
In proposito, a titolo di contributo interpretativo, si è avanzata la tesi23 per cui la
“clausola di salvaguardia” debba trovare applicazione solo per l’error in iudicando e non per
l’error in procedendo: sarebbero così assoggettati a responsabilità piena i casi in cui la norma
violata non costituisce parametro di giudizio, ma semplice regola di condotta processuale.
In queste ultime ipotesi, infatti, «il giudice non “decide”, ma opera la ricognizione dei
propri comportamenti leciti e doverosi, come qualunque altro destinatario di una qualunque
norma o, se si vuole, come qualunque altro soggetto il cui comportamento sia da quella
norma disciplinato. Nello stabilire ciò che egli può o deve fare, il giudice non può
“giudicare” in senso proprio, per l’assorbente considerazione che egli non è terzo imparziale
e indifferente, ma è anzi il principale soggetto interessato all’esito del suo “giudizio”».
19
Cfr. Cass. civ., Sez. III, 22 febbraio 2012 n. 2560.
Cfr. BEROCCI, Responsabilità civile dei magistrati. Sì in Cdm, ma solo per violazioni Ue, in Il Messaggero 9
novembre 2013.
21
Secondo i dati forniti da BEROCCI, art. cit, a fronte di 400 cause avviate nei tribunali italiani dal 1989 ad oggi, solo
4 si sono risolte con condanna. Al contrario, dal 1950 al 2010 lo Stato ha subito 1382 condanne dalla Corte di
Strasburgo per violazione dei diritti dell’uomo derivanti dall’attività giudiziaria, di cui 238 per violazione del diritto ad
un equo processo, 1139 per eccessiva durata del processo e 5 per mancanza di un’effettiva assistenza legale. Le
condanne sono, pertanto, ammontate a 111 milioni di euro, quanto all’eccessiva durata dei processi ed a 323 milioni di
euro, quanto all’ingiusta detenzione per errore giudiziario.
22
Cfr. BIONDI, op. cit., 188.
23
Cfr. LUISO, L’attività interpretativa del magistrato e la c.d. clausola di salvaguardia, in Corr. giur. 2008, 5, 730 ss.
20
9
La teoria richiamata, senza dubbio accattivante, deve tuttavia fare i conti non soltanto
con le opinioni dottrinarie contrarie24, ma soprattutto con i princîpi tralaticiamente espressi
dalla Suprema Corte, a mente della quale la clausola di esenzione «non tollera riduttive
letture, perché giustificata dal carattere fortemente valutativo della attività giudiziaria e,
come precisato dalla Corte costituzionale (nella sentenza 19 gennaio 1989 n. 18), attuativa
della garanzia costituzionale della indipendenza del giudice (e del giudizio)»25; essa si
applica «senza eccezioni per le norme processuali, e dunque includendo quelle che fanno
carico al giudice d’esaminare i temi in discussione influenti per la decisione e di dare
contezza delle ragioni della decisione stessa»26.
A muovere verso un rinnovamento sono stati, in epoca recente, due quesiti referendari
non ammessi alla tornata del 2014 per mancato raggiungimento del quorum di
cinquecentomila sottoscrizioni, a mezzo dei quali si chiedeva l’abrogazione della legge 13
aprile 1988 n. 117, limitatamente all’art. 2, comma 2 (la c.d. “clausola di salvaguardia”) e/o
all’art. 5 (in tema di delibazione di ammissibilità della domanda).
In ambito legislativo, un concreto tentativo di superamento dell’assetto corrente è
stato avanzato con un emendamento al disegno di legge comunitaria del 2011 presentato dal
deputato Gianluca Pini della Lega Nord, il quale, sebbene respinto27, ha trovato vasta eco
nell’opinione pubblica. Esso, in sintesi, si concretizzava nella possibilità, per il danneggiato,
di esperire l’azione risarcitoria direttamente nei confronti del magistrato, nella sostituzione
dei requisiti del dolo e della colpa grave con quello della violazione manifesta del diritto e
nell’assoggettamento a responsabilità dell’attività di interpretazione delle norme di diritto28.
Ciò non di meno, è stato notato come l’ipotesi di una responsabilità diretta del
giudice, per altro estesa all’interpretazione del diritto, si ponga in contrasto non solo col
24
La tesi non convince COSENTINO, La responsabilità civile del magistrato tra inefficienze interne, moniti della
Corte di giustizia e modelli alternativi, in Danno e resp. 2010, 3, 230 ss., secondo cui, invece, «l’attività espletata è
sostanzialmente equiparabile. In entrambi i casi, la sussunzione della fattispecie concreta a quella astratta, delineata dal
legislatore, implica un’attività di tipo interpretativo».
25
Cfr. Cass. civ., Sez. III, 27 novembre 2006 n. 25123.
26
Cfr. Cass. civ., Sez. III, 5 dicembre 2002 n. 17259 e 31 maggio 2006 n. 13000.
27
In realtà, l’emendamento è stato approvato dalla Camera dei deputati, ma non dal Senato.
28
Secondo l’emendamento, «chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un
provvedimento giudiziario posto in essere da magistrato in violazione manifesta del diritto o con dolo o colpa grave
nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato e contro il soggetto
riconosciuto colpevole per ottenere il risarcimento dei danni». Inoltre, «ai fini della determinazione dei casi in cui
sussiste la violazione manifesta del diritto ai sensi del comma 1, deve essere valutato se il giudice abbia tenuto conto di
tutti gli elementi che caratterizzano la controversia sottoposta al suo sindacato, con particolare riferimento al grado di
chiarezza e di precisione della norma violata, al carattere intenzionale della violazione, alla scusabilità o inescusabilità
dell’errore di diritto. In caso di violazione del diritto dell’Unione europea, si deve tener conto se il giudice abbia
ignorato la posizione adottata eventualmente da un’istituzione dell’Unione europea, se non abbia osservato l’obbligo di
rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267, terzo paragrafo, del Tfue», nonché se abbia ignorato manifestamente la
giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea.
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principio di indipendenza della magistratura come sancito dalla Corte costituzionale, ma
altresì con gli auspici degli organismi europei, contenuti nella raccomandazione del Comitato
dei ministri del Consiglio d’Europa del 17 novembre 2010 n. 1229 e nella Carta europea sullo
statuto dei giudici30.
Essa, inoltre, non avrebbe pari negli ordinamenti giuridici avanzati, che disciplinano
la materia con l’immunità assoluta propria dei Paesi di common law (U.S.A., Gran Bretagna,
Canada), o con limitazioni ancora più rigorose di quelle previste dalla legge n. 117 del 1988
(Germania), alla responsabilità del solo Stato con possibilità di rivalsa in ipotesi di carattere
del tutto eccezionale (Francia, Belgio, Portogallo) od addirittura con esclusione della rivalsa
(Paesi Bassi), mentre, nell’unico ordinamento che prevede una azione diretta (Spagna), vi è
comunque un filtro preventivo subordinato alla verifica di requisiti particolarmente rigidi31.
Per ultimo, è stato posto in luce come, estendendosi la responsabilità del magistrato a
qualsiasi forma di violazione manifesta del diritto, si darebbe occasione al giudice del
risarcimento di valutare l’operato di giudici appartenenti ad altre giurisdizioni, vanificando di
fatto la giurisdizione del giudice amministrativo, che verrebbe sottoposto ad un sindacato di
merito ai fini risarcitori da parte del giudice ordinario, in spregio agli artt. 103 e 113 Cost.32
Presso la commissione giustizia della Camera dei deputati risultano attualmente
pendenti:
- la proposta di legge C.990, a firme Gozi, Bruno e Giachetti, del partito democratico,
presentata il 17 maggio 2013, la quale, premesso che la combinazione dei vari filtri previsti
dalla legge n. 117 del 1988 ha reso la stessa «pressoché inapplicata in più di venti anni dalla
sua entrata in vigore», mira ad abrogare la clausola di salvaguardia e la tipizzazione dei casi
di colpa grave e del diniego di giustizia, oltre che a consentire il risarcimento anche del
danno non patrimoniale, a sottoporre l’azione di rivalsa alla giurisdizione della Corte dei
conti ed a prevedere che questa sia esercitata dallo Stato nei confronti del magistrato per il
rimborso dell’intero onere sostenuto in sede di condanna;
- la proposta di legge C.1735, a firme Leva, Verini, Russomando e Ferranti, del
partito democratico, presentata il 25 ottobre 2013, la quale, premessa l’intenzione «di farsi
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In base ai quali «l’interpretazione della legge, l’apprezzamento dei fatti o la valutazione delle prove effettuate dai
giudici per deliberare su affari giudiziari non deve fondare responsabilità disciplinare o civile, tranne che nei casi di
dolo e colpa grave» (punto n. 66) e che «soltanto lo Stato, ove abbia dovuto concedere una riparazione, può richiedere
l’accertamento di una responsabilità civile del giudice attraverso un’azione innanzi ad un tribunale» (punto n. 67).
30
Che, al § 5.2, prevede che solo lo Stato sia civilmente responsabile in via diretta e limita la rivalsa al ricorrere di
presupposti restrittivi.
31
Per un maggiore approfondimento delle precedenti considerazioni, si rinvia al parere reso dal C.S.M. il 14 marzo
2012, in www.csm.it ed al parere reso dall’Ufficio studi del Consiglio di Stato, in www.giustizia-amministrativa.it.
32
CHITI, La responsabilità civile dei giudici quale “cavallo di Troia” per modificare il riparto della giurisdizione?, in
Giorn. dir. amm. 2012, 10, 1008 ss.
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carico delle criticità che sono derivate dall’applicazione della legge n. 117 del 1988 e al
tempo stesso cercare di recepire le indicazioni provenienti dalla Corte di giustizia
dell’Unione europea», vuole sottoporre a sindacato risarcitorio l’attività di interpretazione e
di valutazione in caso di dolo, nonché di manifesta violazione di norme di diritto ovvero di
travisamento del fatto o di una prova, che ledano i diritti fondamentali della persona, nonché
eliminare le ipotesi tipizzate di colpa grave, il filtro preliminare di ammissibilità dell’azione
ed il limite della rivalsa dello Stato sul magistrato.
Presso la commissione giustizia del Senato della Repubblica risulta pendente la
proposta di legge S.1070, a firme Buemi, Nencini e Longo, del gruppo autonomie, presentata
il 1° ottobre 2013, dove, premesso come «la legge n. 117 del 1988 abbia avuto, per varie
ragioni, una scarsissima applicazione », si prevede che la condanna contro lo Stato faccia stato
nel giudizio di rivalsa e nel procedimento disciplinare anche se il magistrato non è intervenuto
volontariamente nel processo contro lo Stato e si assegna alla Corte di cassazione il compito di
valutare, nelle forme di cui all’art. 2043 c.c., la responsabilità civile dei magistrati che «salvo
il caso di ignoranza inevitabile [omissis], si discostino dall’interpretazione della legge »,
assicurata dalla medesima Corte.
Va infine registrata la richiesta avanzata al C.S.M. l’8 ottobre 2013 dai consiglieri
superiori Zanon e Nappi, di apertura di una pratica per la formulazione al Parlamento di una
proposta di modifica delle norme sulla responsabilità civile dei magistrati.
Nel particolare, le modifiche suggerite consistono, in sintesi, nel richiamo alla
«violazione manifesta del diritto vigente» (piuttosto che al dolo od alla colpa grave) come
criterio d’imputazione della responsabilità dello Stato e nell’abrogazione della clausola di
salvaguardia. Verrebbe invece mantenuto in piedi il vaglio preliminare di ammissibilità
dell’azione.
Parallelamente, la clausola di salvaguardia ed i requisiti del dolo e della colpa grave
andrebbero a refluire nel giudizio di rivalsa, operando a valle dell’eventuale condanna dello
Stato, ossia nel rapporto interno tra Stato e singolo magistrato.
Il risultato cui – con diversi mezzi e sensibilità – tendono tutte le descritte spinte
innovatrici sta, dunque, nel contemperare indipendenza e responsabilità dei giudici: termini
che, nella filosofia della Costituzione, solo apparentemente si pongono in inconciliabile
antinomia, non potendo concepirsi che l’indipendenza si traduca in una sostanziale
irresponsabilità degli organi della magistratura o che determini la nascita di un potere
operante al di fuori dell’organizzazione statale ed al di sopra delle sue stesse leggi33.
33
Cfr. ZANON-BIONDI, Il sistema costituzionale della magistratura, Bologna, 2006, 160.
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