MIEI APPUNTI DI “SOCIOLOGIA” INTRO Il termine “sociologia” nasce nel 1839 da Auguste Comte nel testo “Corso di Filosofia Positiva”. La storia è necessaria alla sociologia poiché, essendo quest’ultima lo studio della società, necessita di tutti i dati relativi ai cambiamenti della società stessa. Per iniziare, occorre rintracciare le condizioni precedenti ad essa: la sociologia si caratterizza per un’oscillazione continua tra mutamenti e consistenza. Essa vede se ed in che modo su hanno cambiamenti nelle tradizioni o nelle idee della società, ad esempio come cambia l’idea di famiglia nel corso di un certo lasso di tempo. Con l’industrializzazione si saldano le rivoluzioni che hanno cambiato l’occidente: la prima fu la riv. scientifica (nuovo modo di pensare), la seconda fu la riv. francese (si riscrive il “dizionario” politico dell’Europa), e la terza fu la riv. industriale. Con l’industrializzazione si accentua la popolazione urbana (fabbriche, case intorno ad esse, città che sorgono dalle case). Circa all’inizio dell ‘800 le persone cominciano a spostarsi in città e alla fine del secolo si ha il passaggio di testimone tra la forza lavoro nella campagne e la popolazione nelle aree urbane. La società che ne deriva è talmente diversa da quella precedente che occorrono nuove scienze per studiarla, e da qui nasce la sociologia. DOVE NASCE Il primo dipartimento di sociologia nasce a Chicago nei primi anni del 1900. La sociologia nasce in risposta a fenomeni di segno politico, economico e sociale, che richiedono studi empirici. Essa dunque è una scienza empirica che legge la realtà per come si presenta. Si parla di sociologia occidentale quando si indica la sociologia nata in Europa, e che poi si è allargata in altri paesi dell’occidente. Essa dunque ricerca il cambiamento o il mantenimento di una certa società, chiedendosi cosa e come cambia. Bisogna ricordare che non tutto cambia alla stessa velocità. CARDINI DELLA SOCIOLOGIA I referenti analitici (cardini) della sociologia nello studio dell’agire sociale sono:  Condizioni (età, provenienza, luogo di residenza, status familiare: status culturale e status socioeconomico);  Comportamenti (fumare, rubare, fare volontariato, votare, consumare delle merci, ecc..; a volte dipendono dalle condizioni);  Vissuti (libertà del nostro agire: opinioni, valori, significati, aspettative, fiducia, elaborazioni delle esperienze). I referenti analitici producono la nostra identità. A questi si aggiunge poi lo studio dei fattori socio-­‐culturali di livello strutturale e dei fattori tecnologico-­‐
materiale. Il sociologo segue questi cardini poiché sa che questi fattori influenzano gli effetti, le scelte e i comportamenti delle persone. Le condizioni sono ascritte, ossia consegnate: non si possono scegliere (es. la condizione dell’essere figlio: non scelgo di nascere). I ruoli ascritti sono limitatori, mentre i ruoli conseguiti sono delle scelte. La socializzazione è dunque l’acquisizione dei valori e delle regole del luogo in cui viviamo. Condizioni e vissuti vanno inseriti in un ambito strutturale. I gruppi sono influenzati da due dimensioni, il sociale (famiglia) ed il culturale. Queste condizionano il nostro agire. Ogni individuo appartiene ad un sistema sociale, che ha al suo interno altri sottosistemi (come quello giuridico o religioso), e in esso si muove con una libertà limitata. L’idea di questa struttura genera diversi gradi di libertà. La chiave per la lettura dei fenomeni sociali è ricordare che siamo tutti animali sociali (ci relazioniamo con gli altri). DEFINIZIONE DI GALLINO Luciano Gallino definisce la sociologia: “è la scienza che studia, con propri metodi d’indagine e tecniche di ricerca empiriche (volte cioè a produrre direttamente i propri dati) e non empiriche, i fondamenti, i fenomeni essenziali, le manifestazioni, i processi ricorrenti di strutturazione e destrutturazione, tipici della vita associata [l’interagire tra gli individui] (e le relative trasformazioni), i condizionamenti che i rapporti e le relazioni sociali esercitano sulla formazione e l’azione degli individui e che gli individui esercitano su di essi, quali si trovano globalmente nella società e in ogni tipo di collettività seppur in minor scala; mirando come ogni altra scienza a ricondurre la varietà degli eventi particolari ad un numero limitato di leggi o proposizioni generali collegate tra loro per mezzo di schemi esplicativi e teorie di vario raggio”. Un esempio di teoria di vario raggio è la teoria della privazione relativa: nella diffusione di un mezzo innovativo (es. tecnologia), non è solo il possederlo o meno che determina il piacere o la frustrazione, ma la sua diffusione nel mondo in cui viviamo (gruppi di riferimento). Un esempio di teoria di breve raggio è invece la teoria del cultural leg (ritardo culturale): dove ci sono trasformazioni, prima si creano abitudini materiali, e solo successivamente essi vengono accettati e riconosciuti (es. figli prima del matrimonio: prima che venissero accettati erano già diffusi). Si può quindi affermare che: 1. Gli individui fanno parte di una struttura sociale; 2. Gli individui, nella loro vita quotidiana, si muovono entro una struttura sociale: ognuno di noi ha margini di libertà limitati, condizionati cioè dalla struttura delle opportunità nella quale si trova ad agire. Nel nostro vivere quotidiano nelle piccole come nelle grandi scelte, comunichiamo, agiamo e consumiamo visioni del mondo: è difficile trovare situazioni in cui l’opzione è un sola o in cui essa è evidentemente preordinata ad altre. Quando agiamo non vi è la verità, ma solo interpretazione. SISTEMA SOCIALE Complesso di posizioni o ruoli occupate o svolti da soggetti individuali o collettivi, i quali interagiscono mediante comportamenti, azioni, attività di natura specifica (economica, politica, educativa, religiosa, sportiva, ecc..), nel quadro di norme regolative e di altri tipi di vincolo che limitano la varietà degli atti consentiti a ciascun soggetto nei confronti degli altri. La trama dei rapporti e delle relazioni relativamente stabili -­‐indipendenti dall’identità degli individui o collettività coinvolti nel sistema sociale a un dato momento-­‐ che derivano da tali norme, costituisce la struttura del sistema. Il sistema sociale, abitato dalle relazioni sociali, ha dei “centri di controllo” e questi centri sono le persone. Essi sono regolati da alcune norme (es. come deve comportarsi un bambino, ecc..), e tali norme limitano la libertà delle persone. DEFINZIONE: Si può perciò definire il sistema sociale (contestualizzando la definizione dal fenomeno e dal tempo in cui esso si verifica) come la struttura dei rapporti di interdipendenza relativamente stabili che sussistono fra un determinato insieme di posizioni sociali, componenti della realtà sociale di uguale livello (es. membri della famiglia) o di diverso livello a prescindere dall’identità dei componenti che eventualmente si avvicendano come soggetti dei rapporti. Da notare che gli ultimi 30-­‐40 anni, sono definiti come anni della destrutturazione. I temi della sociologia classica e contemporanea (ordine[resistenza; stabilità]/mutamento; conflitto/integrazione sociale[coesione sociale]) All’interno dei gruppi sociali c’è sempre stata l’oscillazione tra conflitti sociali ed integrazioni: gli autori classici li hanno affrontati come CARDINI DEL CAMBIAMENTO. I PRECURSORI (prima dell’opera di Comte) erano intellettuali e non sociologi: HOBBES: potere coercitivo statuale per controllare la natura umana, ritenuta egoista e violenta (homo homini lupus). Fotografa il passaggio all’idea di stato e di potere spirituale. Per Hobbes, il potere doveva avere il consenso totale dei cittadini; SMITH: mano invisibile. Con Ferguson e gli empiristi inglesi è convinto che si possa capire la società attraverso un ragionamento, applicando il suddetto ragionamento alle cose. Per Smith, la “mano invisibile” che agisce sul mercato consente di dare un ordine e un equilibrio alle cose; TOCQUEVILLE: democrazia fra libertà, uguaglianza e partecipazione. Vede il costruirsi della democrazia e nota che c’è una connessione tra la partecipazione e la libertà del popolo; MONTESQUIEU: nelle “Lettere Persiane” presenta un ante litteram dell’immaginazione sociologica. Occorre staccarsi dal mondo in cui si vive per vedere le cose con occhi neutrali. I primi veri sociologi furono: COMTE: ordine [stabilità] e progresso [profitto] (ordine organistico). Comte non coglie l’illuminismo: per lui infatti, esso ha impedito di costruire ed occorre riformare la società in seguito all’illuminismo; SPENCER: evoluzionismo competitivo che genera differenziazione e divisione del lavoro (modello organicistico). Allo sviluppo della società associa lo sviluppo biologico (a seguito delle ricerche di Darwin). IL CONTRIBUTO DI AUGUST COMTE (1798-­‐1857) A Comte si attribuiscono vari contributi alla sociologia:  L’instaurazione di un pensiero positivo per il quale è necessaria una rifondazione scientifica della società (obiettivo del Corso di Filosofia Positiva). Si tratta di scoprire le leggi naturali invariabili dei fenomeni, ossia il come anziché il perché;  La coniazione del termine “sociologia”;  L’aver affrontato il tema della necessità di combinare l’organizzazione della società (ordine) con il suo mutamento (progresso); lo sviluppo progressivo consiste in una combinazione di forze statiche e forze dinamiche (due sotto discipline: dinamica sociale e statica sociale);  L’aver tentato di individuare una legge di sviluppo progressivo (Legge dei tre stadi);  Esito religioso del pensiero di Comte, come tentativo di fondare la morale sulla società stessa. SOCIETA’ E CULTURA (Cap.2 Giddens) In sociologia il termine Cultura si riferisce ai modi di vita dei membri di una società, o di gruppi all'interno di una società. Una Società è un sistema di relazioni tra individui, i cui membri sono legati da relazioni strutturate sulla base di una cultura comune. I due concetti sono dunque distinti, ma strettamente legati fra loro. Quando si parla di cultura in sociologia, si fa riferimento a caratteri appresi e non ereditati, si può parlare inoltre di : -­‐ cultura materiale per indicare gli artefatti prodotti da una società -­‐ cultura immateriale per indicare tutti gli oggetti simbolici. Tra i Importanti all'interno di una cultura sono i valori, le idee che stabiliscono ciò che è importante e ciò che non lo è; e le norme che sono regole di comportamento che rispecchiano i valori di una cultura. Valori e norme variano da una cultura all'altra, trasformandosi nel tempo. Anche comportamenti variano da una cultura a un'altra vi sono infatti -­‐ società monoculturali come quelle primitive con una cultura omogenea -­‐ società multiculturali come quella odierna, industrializzata e con un’ampia diversificazione culturale. Le società multiculturali sono costituite da gruppi di diverse origini; vi possono essere subculture (segmenti di popolazione appartenenti a una società più ampia e distinguibili sulla base di parametri culturali), controculture (gruppi che respingono i valori e le norme di una data società) e infine la cultura dominante. La socializzazione La socializzazione è il processo attraverso cui il bambino, o un qualunque nuovo membro (es. immigrato), apprende valori, norme e stili di vita della società di cui entra a far parte. L'individuo è sempre un soggetto attivo, che manifesta bisogni e richieste che condizionano il comportamento di chi gli sta intorno. I sociologi dividono la socializzazione in due ampie : 1. La socializzazione primaria avviene durante l'infanzia, si tratta della fase in cui il bambino, tramite al famiglia, assimila il linguaggio e i modelli di comportamento. 2. La socializzazione secondaria comincia dopo l'infanzia gli agenti sono innumerevoli:la scuola, il gruppo di pari, il lavoro. Status e ruoli sociali e identità Attraverso il processo di socializzazione gli individui imparano a conoscere i ruoli sociali Un ruolo sociale è l’insieme dei comportamenti sociali che ci aspettiamo da chi ricopre un determinato status. Esso può essere. 1. Status ascritto: è assegnato sulla base di fattori biologici (razza, sesso, età); 2. status acquisito: è ottenuto attraverso un’attività (laureto, atleta, madre). In ogni società ci sono master status, cioè status che hanno priorità su tutti gli altri e determinano la posizione sociale complessiva di una persona. Nel processo di socializzazione ciascun individuo sviluppa un senso di identità, che può essere: -­‐ sociale: Si riferisce alle caratteristiche attribuite dagli altri a un individuo in base alla sua appartenenza ad un determinato gruppo. É plurima e cumulativa. -­‐ individuale: Si riferisce al processo di sviluppo personale che distingue l'individuo dagli altri. In sociologia l'identità consiste nell’idea che un individuo ha di se stesso e di ciò che lo circonda. e di ciò che per loro è significativo. In sociologia si parla di identità sociale e identità individuale, analiticamente distinte ma strettamente correlate tra loro. I tipi di società Le società premoderne • Le società di cacciatori -­‐ raccoglitori esistevano 50.000 anni fa; sostentamento con la caccia, la pesca e la raccolta di piante spontanee. basso grado di diseguaglianza, scarso interesse per la ricchezza materiale. Le differenze legate all'età e al sesso • Le società pastorali e agricole nacquero circa 20.000 anni fa allevare animali domestici e a coltivare appezzamenti fissi di terreno. sono nomadi, migrano da una zona all'altra seguendo le stagioni. Praticano un modesto accumulo di proprietà materiali, maggiore complessità delle società di cacciatori-­‐raccoglitrici. Le società tradizionali • Nel 6000 a.C. Sorgono società che presentano sviluppo urbano, diseguaglianze di ricchezza e potere elevato, governate da re o imperatori. Uso della scrittura, dal fiorire scienze e arti, e fu dato loro il nome di civiltà. Maya, Aztechi e Incas. Le società industrializzate • Due secoli fa iniziò l'industrializzazione. la maggior parte della popolazione attiva svolge un lavoro extra-­‐agricolo, e vive in città grandi e piccole per seguire l'offerta di lavoro. Città più grandi. sistema politico è molto complesso sono state i primi stati nazionali della storia La tecnologia applicata non solo allo sviluppo economico, ma anche a quello bellico. • A partire dal diciassettesimo o le società industrializzate occidentali diedero vita al fenomeno del colonialismo, la creazione di colonie in molte delle aree occupate da società tradizionali, spesso con l'aiuto della loro superpotenza militare. • Tre tipi di società fondati nel diciannovesimo secolo. Il primo mondo rappresentava le società occidentali economie di mercato e sistemi politici multipartitici. Le società del Secondo Mondo erano quelle comuniste dell'Unione Sovietica e dell'Europa Orientale,economie centralmente pianificate, ruolo subordinato della proprietà privata e dell'impresa competitiva. sistemi politici a partito unico. I paesi in via di sviluppo erano invece denominati Terzo Mondo. • La maggior parte dei paesi in via di sviluppo si trovano in regioni che hanno subito il dominio coloniale: Asia, Africa e Sud America. sperimentano un rapido processo di urbanizzazione. non sono tutti uguali alcuni processo di industrializzazione che ha portato ad una sensazionale crescita economica negli ultimi trent'anni( paesi di nuova industrializzazione) Il mutamento sociale Il mutamento sociale è un concetto difficilmente definibile. Nel caso delle società bisogna constatare quanto e come sono cambiate le istituzioni sociali, e individuare ciò che è rimasto stabile. I tre principali fattori che hanno condizionato il mutamento sociale, sono: • Fattori ambientali. L'influenza dell'ambiente fisico sullo sviluppo sociale è visibile in situazioni estreme solo quando la società deve organizzare la propria vita in base alle condizioni climatiche. Le condizioni climatiche influenzano le società ma non influiscono sul mutamento sociale in modo rilevante • Fattori politici. l’esistenza d’istituzioni politiche autonome ha un grosso impatto sullo sviluppo sociale. In quanto da esso dipende l’inclinazione delle risorse economiche verso lo sviluppo militare. Esso ha avuto un ruolo fondamentale nella formazione di gran parte degli stati tradizionale. • Fattori culturali. I fattori culturali cui si fa riferimento sono la religione(forza conservatrice o innovatrice / oppio dei popoli) , i sistemi di comunicazione (invenzione della scrittura), la leadership(un leader forte è capace di modificare, o radicare l’ordine preesistente). Negli ultimi due secoli, il periodo della modernità, si è avuta una forte accelerazione del mutamento sociale: • Fattori economici. l’industria capitalista prevede una costante espansione della produzione e una progressiva accumulazione del denaro • Fattori politici. il ruolo economico dello stato è motore d’innovazione. Aumenta la competizione tra le nazioni e l’influenza delle nazioni occidentali su tutto il mondo • Fattori culturali. Sviluppo scientifico e secolarizzazione, ideali moderni di autorealizzazione, libertà, uguaglianza, hanno contribuito in modo decisivo al carattere critico e innovativo della mentalità moderna. VITA QUOTIDIANA (cap. 3 Giddens) LA COMUNICAZIONE NON VERBALE L'interazione quotidiana è creata dal rapporto tra quello che diciamo con le parole e quello che esprimiamo attraverso forme di comunicazione non verbale, vale a dire espressioni facciali, gesti, posture e movimenti del corpo. La comunicazione non verbale viene a volte definita come linguaggio del corpo. Un importante aspetto della comunicazione non verbale è proprio l'espressione facciale delle emozioni. EKMAN e colleghi hanno sviluppato il “sistema di codificazione dell'attività facciali” per cercare di introdurre con maggiore precisione un'area di studi sulla materia. Charles Darwin sosteneva che le modalità fondamentali di espressione delle emozioni sono le stesse per tutti gli esseri umani, e le ricerche svolte da Ekman sembrano confermarlo, quasi che essi siano fenomeni innati. Fattori culturali e individuali influenzano tuttalpiù l'esatta forma finale del movimento muscolare e il contesto in cui esso è ritenuto appropriato. Non è stata invece dimostrata l'esistenza di gesti e posture del corpo comuni a tutte le culture. Alcuni individui sono specialisti nel controllo della comunicazione non verbale e nell'accorta gestione dell'interazione con gli altri. Questa è un'abilità propria dei diplomatici, ad esempio. Pare che vi sia anche una dimensione della comunicazione non verbale legata al genere, dovuta per lo più a fattori culturali: ad esempio, in società in cui sono gli uomini a dominare, essi si possono sentire più liberi delle donne, sia nel pubblico che in privato, di entrare in contatto visivo con estranei. Se presi singolarmente, comportamenti del genere possono apparire irrilevanti, nel loro insieme contribuiscono a rafforzare i modelli del dominio di genere. Faccia e stima; nei contatti sociali gran parte di quella che genealmente chiamiamo etichetta consiste nel rinunciare ad aspetti del comportamento che potrebbero altrimenti portare a qualcuno a “perdere la faccia”. NORME SOCIALI E SCAMBIO VERBALE Gran parte delle nostre interazioni ha luogo attraverso lo scambio verbale occasionale nel corso di conversazioni informali. Lo studio della conversazione è stato fortemente influenzato dal lavoro di Goffman, ma l'autore più importante in materia è GARFINKEL, fondatore dell'etnometodologia. L'etnometodologia è lo studio degli etnometodi, ossia le pratiche di uso comune, radicate culturalmente, di cui ci serviamo per dare senso a ciò che gli altri fanno e dicono. Per comprendere una conversazione spesso è indispensabile sapere in che contesto sociale essa viene portata avanti, perché se non si conosce quello è impossibile capire il senso dei discorsi. Le forme più insignificanti di conversazione quotidiana presumono invece una comprensione condivisa fra coloro che vi partecipano. Spesso capiamo ciò che ci viene detto grazie alle supposizioni tacite che sorreggono lo scambio verbale. Queste sono state messe in luce da alcuni esperimenti di Garfinkel. Spesso nello scambio verbale vengono usate affermazioni basate sul senso comune. Si tratta di convenzioni culturali inespresse il cui rispetto è indispensabile per la comunicazione quotidiana. Se vengono ignorate queste convenzioni, o se non ci si adegua agli indizi trasmessi dall'interlocutore – cambiamenti nell'intonazione, brevi pause, gesti -­‐, se, cioè, i partecipanti non cooperano alla conversazione si possono creare tensioni. Duneier e Molotch hanno messo in atto una tecnica chiamata analisi della conversazione, tecnica che esamina il significato di ogni elemento di una conversazione, dal più piccolo mugolio, riempitivo, all'esatta tempistica degli scambi (comprese pause, interruzioni e sovrapposizioni). In una conversazione la scelta dei tempi è fondamentale, un ritardo nella risposta può bastare a segnalare, ad esempio, il desiderio di cambiare argomento. I due studiosi usano la locuzione vandalismo internazionale per definire la produzione di disagio e incertezza attraverso scambi verbali tecnicamente incivili. GRIDI DI REAZIONI: per Goffman, esclamazioni inarticolate, non risposte involontarie ma rivolte ad altre persone presenti, che segnala dunque una capacità di controllo sui dettagli della vita sociale. Diamo per scontato, secondo lo studioso, un controllo continuo e complesso sull'aspetto esteriore di ciascuna delle azioni che compiamo. Ci si attende una prontezza controllata, da noi e dagli altri, cioè una dimostrazione di competenza nella routine quotidiana. LAPSUS LINGUAE: errori di linguaggio nell'ambito della conversazione. Secondo Freud nessun errore commesso nel parlare è in realtà accidentale. I lapsus verbali rivelano per un breve attimo cose che desideriamo tenere nascoste, consapevolmente o meno, mettendo momentaneamente a nudo i nostri autentici sentimenti. VOLTO, CORPO E PAROLE NELL’INTERAZIONE SOCIALE GLI INCONTRI. Spesso entriamo con altri in quella che Goffman chiama interazione non focalizzata, ovvero gli individui si limitano a mostrate reciprocamente consapevolezza dell’altrui presenza. Anche senza parlare, intratteniamo con gli altri una continua comunicazione, attraverso la mimica facciale, i gesti e la postura. L’interazione focalizzata invece si verifica quando un individuo presta direttamente attenzione a cio che altri dicono o fanno. I SEGNALATORI. IL CONTROLLO DELLE IMPRESSIONI. Questo approccio e’ chiamato modello drammaturgico. RIBALTA E RETROSCENA. Goffman suggerisce che la vita sociale puo’ essere suddivisa fra ribalta e retroscena. LO SPAZIO PERSONALE. La distanza intima (50cm), la distanza personale (50cm 1.20m), la distanza sociale (1,20m 3,50m), la distanza pubblica (oltre 3.50m) L’INTERAZIONE NEL TEMPO E NELLO SPAZIO Tutte le interazioni sono situate, avvengono cioè in un particolare luogo e hanno un particolare durata. Lo spostamento nello spazio è spesso associato a quello nel tempo: per recarmi in un determinato posto copro una certa distanza in un certo intervallo temporale. Quando si analizzano le interazioni sociali è utile tenere conto di questa convergenza spazio-­‐temporale. Regionalizzazione: per comprendere come le attività sociali sono organizzate nello spazio/tempo ci si riferisce a questo concetto, che fa riferimento al modo in cui la vita sociale si colloca nello spazio-­‐tempo. Nella società moderna è il tempo cronometrico a delimitare fortemente le nostre attività. E' l'orologio a fare da padrone, il cui sistema di riferimento temporale fu introdotto con una conferenza alla fine del 1800, durante la quale fu anche suddiviso il globo in ventiquattro meridiani correlati al meridiano zero, quello di Greenwich. Il GMT è rimasto operativo per un intero secolo, fino a quando non è stato soppiantato dal Tu, tempo universale. GENERE E SESSUALITA’ (Cap. 4 Giddens) Nel settore del lavoro si nota che la maggior parte delle donne si distribuiscono in sei settori (commercio, educazione, pubblica amministrazione, assistenza sociale, sanitaria), mentre gli uomini sul doppio dei settori. Questo dato ci dice che vi sono alcuni settori del lavoro ritenuti “femminili”: l’assistenza sanitaria ad esempio rispecchia il ruolo che la donna svolga all’interno della famiglia. Ciò conferma che quindi la divisione del genere è maggiore in molti settori. Ma come mai ciò avviene? Per rispondere si deve tenere in considerazione che anche le scelte di formazione rispecchiano l’internizzazione del genere maschile e di quello femminile: sembra esserci, appunto, una conferma soggettiva che porta alla diversificazione. Le donne sono più portate a scegliere lauree umanistiche che tecniche. Il genere quindi è in continua azione: questa dimensione appresa ha un enorme potere d’influenza e condizionamento sulle nostre vite. Tra genere e sesso esistono delle differenze, che ci danno la definizione dei componenti dell’identità di genere: -­‐ Sesso Biologico (tratti biologici tipici di quel sesso) donne: hanno figli. Uomo: produce sperma Identità di genere (trasferisce sul piano cognitivo la differenza dei tratti biologici) si sentono donne/uomini. La pubblicità, ad esempio, ne è un potentissimo indicatore -­‐ Idea di genere (potente magnete: e’ difficile sottrarsi da esso poiche’ appreso inconsapevolmente) donne: ci si aspetta portino gonne, siano brave cuoche. Uomini: ci si aspetta che portino pantaloni, che siano presi dal lavoro. -­‐ Ruolo di genere (l idea di genere in azioni) donne: la societa’ le ha assegnato il compito di accudire figli e casa. Uomo: mantenimento della famiglia. Alcune teorie sul genere sono state sviluppate da Freud, secondo cui la differenza di genere deriva dalla presenza o dall’assenza del pene. Altra è quella di Nancy Chodorow, secondo cui l’appartenenza ad un genere dipende dal maggiore o minore attaccamento che si ha verso un genitore (parla di espressività maschile). SIGMUND FREUD Freud crede che l’apprendimento delle differenze di genere nei bambini sia legato all’assenza o alla presenza del pene in quanto simboli della maschilità e della femminilità. Tale acquisizione ha inizio nella fase edipica, ossia interno ai 4-­‐5anni, fase in cui è fondamentale il rapporto con i genitori; il bambino si sente in competizione con il padre nella lotta alle per le attenzioni della madre, tanto che inizia a sviluppare la paura della castrazione da parte del padre. Quando l’infante inizia ad identificarsi con il padre, assume gli atteggiamenti aggressivi tipici della maschilità. Le bambine diversamente sono invidiose del pene simbolo della maschilità, quindi svalutano la madre, in quanto prive anch’esse di quest’organo e ricercano le attenzioni paterne; quando si identificano con la madre assumono gli atteggiamenti remissivi tipici della femminilità. Tale teoria ha suscitato molte critiche, soprattutto tra le femministe: -­‐l’identità di genere non è solo un problema di genitali, -­‐il pene da ciò risulta essere naturalmente superiore alla vagina, -­‐il padre emerge come principale fonte di autorità, -­‐questo apprendimento non può essere limitato all’età di 4-­‐5anni NANCY CHODOROW. Lei concorda con altri studiosi di psicoanalisi, smentendo Freud, che la formazione dell’identità di genere è un’esperienza molto precoce; inoltre attribuisce molta più importanza alla madre che al padre. Per lei la percezione di essere maschio o femmina deriva dall'attaccamento del bambino alla madre. Per poter acquisire un senso di sé separato, alla fine questo attaccamento deve essere spezzato: questa rottura avviene in maniera differente: Non essendoci una separazione netta dalla madre, la bambina ha un senso di sé meno separato dagli altri. La sua identità è spesso dipendente da quella di qualcun altro ciò tende a produrre nella donna sensibilità e partecipazione emotiva. I bambini invece acquistano il senso di sé in seguito ad un distaccamento più forte sviluppano così una visione più analitica del mondo, ed è più difficile per loro i intrattenere rapporti di intimità. Molte sono state le critiche alle sue teoria, non spiega infatti la lotta delle donne per conquistare la propria autonomia e indipendenza; inoltre non prende in considerazione la costituzione psicologica molto più ibrida e contraddittoria di uomini e donne. Il suo rimane comunque un contributo importante per la spiegazione dell’inespressività maschile, ossia l'incapacità degli uomini a manifestare i propri sentimenti. Interpretazioni della diseguaglianza di genere Le differenze di genere sono una fonte di disuguaglianze sociali infatti uomini e donne hanno diverso potere, prestigio e ricchezza. In quasi tutte le culture alle donne sono affidati i lavori domestici e la cura dei figli, mentre gli uomini hanno la responsabilità di mantenere la famiglia. I principali approcci alla natura delle disuguaglianze di genere a livello sociale generale sono: L’APPROCIO FUNZIONALISTA secondo cui le differenze di genere contribuiscono alla stabilità e all’integrazione sociale. TALCOTT PARSONS. Il suo principale oggetto di interessa era la socializzazione dei bambini, il cui successo dipendeva dal supporto di una famiglia stabile; una famiglia è tale se vi è presente la divisione dei ruoli lavorativi fra uomo e donna, per cui la donna svolge ruoli espressivi,(sostegno emotivo)mentre l'uomo svolge i ruoli strumentali,(sostentamento familiare).Il suo punto di vista è stato criticato da femministe e sociologi, poiché sembra giustificare la subordinazione femminile nella famiglia. JOHN BOWLBLY. la madre svolge un ruolo cruciale nella socializzazione primaria dei figli. Se la madre è assente si crea una situazione di privazione materna che rischia di compromettere la socializzazione del figlio. GLI APPROCCI FEMMINISTI Il movimento femminista ha prodotto numerosi contributi teorici che tentano di spiegare le diseguaglianze di genere e di formulare programmi per il loro superamento, principali filoni di pensiero sono: -­‐ Femminismo liberale. Esse attirano l’attenzione sui singoli fattori che contribuiscono alle disuguaglianze tra uomini e donne (sessismo, discriminazione contro le donne nel lavoro, nella scuola e nei mezzi di comunicazione). Questo approccio tende a concentrarsi sulla difesa e sulla promozione delle pari opportunità per le donne, infatti attuano un tentativo di riforma graduale del sistema dall’interno ; -­‐ Femminismo radicale. Queste femministe ritengono gli uomini responsabili dello sfruttamento femminile. L'analisi del potere patriarcale – la dominazione sistematica delle donne da parte degli uomini – è centrale ed è considerato un fenomeno universale. Considerano la famiglia come fonte principale di oppressione delle donne nella società. Le femministe radicali affermano che l’uguaglianza si può raggiungere solo con il rovesciamento dell’ordine patriarcale; -­‐ Femminismo nero. Il femminismo nero si occupa in particolare dei problemi delle donne di colore. Le donne nere, già vittime del razzismo, subiscono anche più fortemente l'oppressione della dimensione di classe . FEMMINILITA', MASCHILITA' E RELAZIONI DI GENERE Mentre la ricerca si concentrò in un primo periodo soprattutto sulla femminilità, anche grazie all'apporto del pensiero femminista, i sociologi tentano oggi di comprendere come si costruisce l'identità maschile: CONNELL ha sviluppato una teoria complessiva delle relazioni di genere e ha posto attenzione alla crisi della maschilità. Secondo lui l’ordine di genere, “ambito organizzato di pratiche umane e relazioni sociali” che definisce le forme della maschilità e della femminilità, è composto da tre dimensioni: - il lavoro: divisione sessuale delle attività; - il potere: relazioni basate sull’autorità, sulla violenza o sull’ideologia nelle istituzioni sociali e nella vita domestica; - la catessi: dinamica dei rapporti intimi, emozionali e affettivi. Esistono molte espressioni diverse della maschilità e della femminilità, che a livello sociale sono ordinate seguendo una gerarchia basata su tipi ideali. Alla sommità c'è: - la maschilità egemone(associata a eterosessualità e matrimonio, all'autorità, al lavoro e alla forza fisica) al di sotto troviamo la - maschilità complice e la maschilità omosessuale (opposta a quella egemone). Le diverse forme di femminilità sono tutte subordinate alla maschilità egemone. - La femminilità enfatizzata è il complemento della maschilità egemone, e è orientata al soddisfacimento degli interessi e dei desideri maschili. Esistono infine forme di - femminilità resistenti, che rifiutano il modello prevalente (lesbiche, single, prostitute). Connel crede che gli individui possano modificare il proprio orientamento di genere, e che questo possa portare ad una crisi nell’ordine: Crisi dell’ Istituzionalizzazione = le istituzioni tradizionali maschiliste sta declinando; Crisi della Sessualità = -­‐ con una prevalenza meno netta della maschilità egemone, limitata dalla crescente sessualità femminile e omosessuale; Crisi Formazione Interessi = gl’interessi sociali si fondano su nuove basi che contraddicono l’ordine di genere esistente. Molti studiosi pensano che sia in corso una crisi della maschilità. E', in particolare, il concetto di male breadwinner ad entrare in crisi. Non solo perché, in caso di povertà, è difficile mantenere tale ruolo, ma anche perché le donne stanno diventando sempre più indipendenti. LA SESSUALITÀ UMANA La nostra epoca ha spezzato il legame tra sessualità e riproduzione tipico delle società tradizionali. Mentre un tempo la sessualità era definita in termini di eterosessualità e monogamia coniugale, oggi si presentano forme diverse di comportamenti e orientamenti sessuali. La maggior parte degli individui in ogni società è eterosessuale; l'eterosessualità sta alla base del matrimonio e della famiglia. Tuttavia esistono forme diverse di sessualità: -­‐ Eterosessualità maschile e femminile -­‐ bisessualità maschile e femminile -­‐ omosessualità maschile e femminile -­‐ transessualità maschile e femminile La sessualità nella cultura occidentale è il prodotto di quasi duemila anni di influenza del cristianesimo. L’omosessualità esiste in tutte le culture. Vi sono culture non occidentali in cui l’omosessualità viene tollerata e persino incoraggiata, sebbene sia di norma soltanto all’interno si determinati gruppi sociali. PLUMMER ha distinto quattro tipi di omosessualità all’interno della cultura occidentale moderna: • l’omosessualità casuale, esperienza omosessuale transitoria • l’omosessualità situata, sono regolarmente praticate attività omosessuali • l’omosessualità personalizzata, gli individui preferiscono le attività omosessuali • l’omosessualità come stile di vita,individui che hanno fatto del rapporto collettivo con gli altri un aspetto fondamentale della propria esistenza (sono “usciti allo scoperto”) L’omosessualità può sfociare in: - Eterosessismo: Individui non eterosessuali sono classificati e discriminati sulla base del loro orientamento sessuale - Omofobia: Paura e disprezzo nei confronti degli omosessuali.Il processo di accettazione degli omosessuali ha subìto progressi grazie a: -­‐ pubblicazione del rapporto Kinsey sul comportamento sessuale alla metà del secolo scorso; -­‐ riconoscimento giuridico delle convivenze omosessuali; -­‐ promulgazione di leggi a protezione dei diritti degli omosessuali; La prostituzione può essere definita come la concessione di prestazioni sessuali in cambio di una ricompensa economica. L’aspetto più caratteristico della prostituzione moderna risiede nell’anonimato, cioè nel fatto che di norma la donna e il suo cliente non si conoscono. GOLDSTEIN ha classificato i diversi tipi di prostituzione in termini di impegno occupazionale e contesto occupazionale: • L’impegno occupazionale è dato dalla frequenza con cui una donna si prostituisce • Il contesto occupazionale indica il tipo di ambiente lavorativo e di processo interattivo che caratterizza l’attività di una prostituta • Il regolazionismo permette l’esercizio della prostituzione, pur confinandola nei bordelli o nelle case chiuse, ma condanna moralmente la prostituta • L’abolizionismo permette l’esercizio della prostituzione e non condanna moralmente la prostituta • Il proibizionismo vieta la prostituzione e condanna moralmente la prostituta • La criminalizzazione del cliente vieta la prostituzione, ma agisce punendo il cliente anziché la prostituta La prostituzione coinvolge anche i minori (fuggiaschi, pendolari e abbandonati). Tutte e tre le categorie comprendono sia maschi che femmine. In alcuni paesi del mondo la prostituzione minorile rientra spesso in quell’attività nota come turismo sessuale. Non esiste un fattore unico in grado di spiegare la prostituzione. La conclusione più convincente è quella secondo cui la prostituzione esprime la tendenza maschile a trattare le donne come oggetti a scopo sessuale (disuguaglianza di potere tra uomini e donne). Il riflesso delle differenze di genere nell’ambito della varie culture, pur manifestandosi con caratteristiche specifiche differenti, ripropone spesso le stesse peculiarità: • Il dominio maschile; • La differenziazione dei luoghi di lavoro; • Le disuguaglianze nel mondo del lavoro; • La distribuzione del lavoro domestico. La pratica del genere, il fatto che il genere possa essere oggetto di apprendimento inconsapevole, dimostra come di per sé esso non esista, ma sia solo il risultato di una “pratica” che poniamo in essere costantemente nel corso delle interazioni sociali quotidiane. Ciò implica che: • Il genere viene costantemente appreso nel corso della vita sociale di un individuo; • Il genere si identifica come un’istituzione sociale creata e ricreata nelle nostre interazioni sociali; • Una volta assegnata un’appartenenza di genere, la società si aspetta che gli individui attendono a tale appartenenza; • Opporsi alla propria appartenenza di genere può causare forti tensioni e malesseri nell’individuo. FAMIGLIE (Cap. 5 Giddens) La sociologia definisce la famiglia secondo alcuni aspetti e secondo le forme tradizionali (e non) che essa può assumere. Negli anni ’50, Murdock la definì come un gruppo sociale caratterizzato dalla residenza comune, dalla cooperazione economica, e dalla riproduzione. Essa comprende adulti di tutti e due i sessi, almeno due dei quali mantengono una relazione sessuale socialmente approvata, e uno o più figli, propri o adottati, degli adulti che coabitano abitualmente. Questa definizione è legata al riprodursi di una popolazione. Sulle coppie omosessuali si apre il dibattito se riconoscerle come famiglia. La coabitazione abituale crea dibattito: a volte la famiglia si separa (migranti che lascino il proprio paese), ed il raggiungimento familiare è un principio che consente l’immissione di migranti. FAMIGLIA PARENTELA E MATRIMONIO - La famiglia è un gruppo di persone legate da rapporti di parentela, all’interno del quale i membri adulti hanno il compito di educare i piccoli; - La parentela è un rapporto basato sulla discendenza tra consanguinei o sul matrimonio; - Il matrimonio è l’unione sessuale socialmente riconosciuta tra due individui adulti. MONOGAMIA, POLIGAMIA, POLIGINIA E POLIANDRIA Nelle società occidentali il matrimonio è associato alla monogamia, ossia ogni individuo può essere sposato con solo un altro alla volta; la poligamia però è molto diffusa in altri paesi ed è distinta in poliginia, che permette all’uomo di sposarsi con più di una donna alla volta e la poliandria meno comune, che invece permette alla donna di essere sposata contemporaneamente con più uomini. Il sociologo Parsons descrive le FUNZIONI PRINCIPALI DELLA FAMIGLIA: 1. la socializzazione primaria, cioè il processo di apprendimento delle norme culturali della società e 2. la stabilizzazione della personalità che si riferisce al supporto emotivo che la famiglia fornisce ai suoi membri adulti. Molti gruppi femministi studiando le esperienze delle donne nelle sfere domestiche sono arrivate ad alcune convinzioni: sulla donna continua a gravare la maggior parte dei lavori domestici, è sempre forte la disuguaglianza dei rapporti di potere nelle famiglie, in quanto la donna è spesso vittima di violenza, infine la donna tende a farsi carico non solo dei lavori pratici nella casa ma anche dei rapporti personali interni alla famiglia. Le prime leggi riguardo il DIVORZIO furono introdotte negli anni 60 del sec.scorso, prima esso veniva concesso in caso del tutto eccezionali; oggi in Italia si registrano quasi 13 divorzi ogni 100 matrimoni. Questo aumento dell’instabilità coniugale forse è dovuta alla maggiore prosperità che rende più facile il trasferimento in un’altra abitazione, o al fatto che ormai esistono molti meno pregiudizi al riguardo o infine anche la crescente tendenza a considerare il matrimonio sulla base della soddisfazione personale che è in grado di offrire. TIPI DI FAMIGLIE - la famiglia nucleare è costituita da 2 adulti che vivono insieme con i propri figli naturali o adottivi, mentre nella - famiglia estesa vivono insieme al nucleo familiare anche altri parenti prossimi come nonni, fratelli con mogli, zii…molto diffusa oggi è la - famiglia monoparentale in maggioranza retta da donne, la quale in genere deriva da divorzi o separazioni. Con il termine seconde nozze si indicano tutti i matrimoni successivi al primo, ma nella maggior parte dei casi essi hanno meno successo dei primi. - Le famiglie ricostituite sono quelle in cui almeno uno degli adulti ha figli nati da un precedente matrimonio o relazione; in genere devono affrontare alcune difficoltà poiché c’è sempre un genitore naturale con un influenza forte sul bambino, inoltre capita che si ritrovino insieme bambini provenienti da ambienti diversi e che possono avere aspettative diverse circa il comportamento da assumere in famiglia. IL PADRE ASSENTE, è un’espressione che negli anni ‘30era usata per indicare quelle famiglie il cui genitore era costretto ad allontanarsi per la guerra e negli anni successivi indicava che il padre era fuori tutto il giorno per provvedere al mantenimento della famiglia; oggi si riferisce a quei padri che dopo una separazione o un divorzio hanno un legame sporadico o inesistente con i figli. IL DECLINO DELLA FECONDITA’, è un fenomeno a cui si assiste fra il 1880 e 1900: il tasso di fecondità, ossia il numero medio di figli per donna è sceso moltissimo in tutta Europa a livelli mai raggiunti prima, al di sotto della soglia critica di 2.1, che è quel livello di rimpiazzo delle generazioni in quanto assicura l’equilibrio nascite/morti e la crescita zero della popolazione. ALTERNATIVE AL MATRIMONIO - La convivenza: è molto diffusa nelle società occidentali ed indica il rapporto tra 2 persone legate sessualmente che vivono insieme senza essere sposati. In genere costituisce una fase sperimentale prima del matrimonio stesso ed i giovani vi arrivano spesso in modo casuale, senza una reale programmazione. Soltanto pochi mettono in comune le risorse finanziarie e tali coppie tendono a separarsi più frequentemente di quelle sposate. - Famiglie omosessuali: in molti paesi i rapporti di coppia omosessuali non sono riconosciuti legalmente. Essi si fondano sull’impegno personale e sulla reciproca fiducia, le tre caratteristiche principali di queste relazioni sono: -­‐uguaglianza tra i partner in quanto non sono guidati da modelli culturali validi per gli eterosessuali; -­‐ ampia negoziazione: le famiglie omosessuali hanno meno aspettative riguardo a chi dovrebbe fare cosa all’interno di un rapporto, vi è quindi una più equa spartizione delle responsabilità; -­‐ essendo priva di impegno istituzionale è totalmente basata sulla fiducia. I rapporti familiari sono solitamente considerati fonte di calore e appagamento, ma possono anche essere carichi di tensioni, violenze e abusi. Spesso si verificano casi di: -
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violenza domestica: il maltrattamento fisico esercitato da un membro della famiglia contro un altro o altri suoi membri; La violenza domestica è prevalentemente una pratica maschile e le principali vittime sono i bambini, seguiti dalle donne. Ci sono anche casi di violenza domestica femminile, ma è più contenuta ed episodica di quella maschile. abuso sessuale sui minori: l’atto sessuale di un adulto con persone di età inferiore a quella prevista per poter consentire legalmente a questo tipo di attività; -­‐ è un fenomeno “scoperto" solo in tempi recenti; -­‐ non è raro e si sta dimostrando preoccupante; è presente in tutti i livelli della gerarchia sociale; è presente nelle istituzioni (scuole, collegi ecc.); è attuato in genere con l’uso della forza o la sua minaccia; per il bambino è motivo di turbamento, vergogna o disgusto; può avere conseguenze a lungo termine. incesto: un rapporto sessuale tra parenti prossimi, la forma più comune di incesto è il rapporto tra un padre e una figlia minore e costituisce anche una forma di ‘abuso’. (Esistono anche delle tipologie e delle fasi della famiglia): • Da solitaria a multipla: possono esserci genitori da soli o due, o più, nuclei familiari (es. coppia da sola con la sorella di lei/lui con un figlio); • Da matrimonio a unione (senza cioè formalizzazione): ci possono essere coppie sposate e coppie non sposate (il mutamento storico segna la differenza tra i due); • Da monogamia a poligamia: possibilità di avere famiglie con una sola coppia, oppure possibilità di formare più coppie da parte di uno dei due partner (generalmente quello maschile); • Da esogamia a endogamia: criterio antropologico spiegato da Strauss. La prima indica la possibilità di sposarsi con membri al di fuori del nucleo familiare (es. una volta evitava conflitti tra due tribù); la seconda invece prevede la ricerca del partner all’interno della cerchia familiare; • Da formazione al “nido vuoto”: dal corteggiamento, matrimonio, e procreazione si ha la fase espansionistica della coppia. Con la procreazione il volto della famiglia (intesa anche come frammentazione generazionale) muta: famiglie che per 30-­‐40 anni si sono organizzate per la tutela dei figli, i quali escono dal nucleo familiare, devono rivedere la propria organizzazione della vita (sindrome del “nido vuoto”). Il panorama della famiglia è quindi mutato. Secondo Parsons, essa aveva due funzioni principali: la socializzazione e la stabilizzazione della personalità, ossia il ruolo svolto dalla famiglia nel fornire supporto emotivo ai suoi membri adulti. Altro dato importante, riscontrato dall’ISTAT, è che le donne hanno gradualmente diminuito il tempo dedicato al lavoro domestico, mentre è aumentato quello degli uomini. Tuttavia i ruoli dei due si distinguono: l’uomo tende a ricoprire un ruolo ludico (gioco), mentre la donna quello educativo. DEVIANZA (Cap. 6 Giddens) La devianza e la criminalità sono due cose distinte: spesso un comportamento che appare strano o diverso a noi, può avere delle coesioni con le morali di qualcun altro. Le analisi della devianza prendono in considerazione:  La definizione del fenomeno;  L’estensione e la struttura del fenomeno;  Le spiegazioni avanzate (teorie causali: biologiche, psicologiche, sociologiche o economico-­‐politiche);  Il controllo sociale del fenomeno (le forme di reazione sociale: rieducativa, punitiva, terapeutica, assistenziale). DEFINIZIONE GALLINO Gallino definisce la devianza come un atto o un comportamento o espressione, anche verbale, del membro riconosciuto di una collettività che la maggioranza dei membri della collettività stessa giudica come scostamento (differenza) o anche violazione più o meno grave, sul piano pratico o su quello ideologico, di determinate norme o aspettative o credenze (come ad esempio il rapporto tra la rivoluzione scientifica e la santa inquisizione) che essi giudicano legittime, o a cui di fatto aderiscono ed al quale tendono a reagire, con intensità proporzionale al loro senso di offesa. Essenziale al significato di devianza sociale è il riferimento ad una collettività determinata ed al suo sistema di diritto, poiché non esistono devianze in sé, ma solamente definizioni di ciò che è atto conforme o atto deviante. Quando quindi si parla di devianza in termini sociologici le si attribuiscono due caratteristiche: essa è relativistica, poiché i diversi gruppi non concordano su cosa è normale e cosa è devianza (es. modo di stare a tavola cambia a seconda dei posti in cui ci si trova); ma anche interazionistica, implica oltre al fenomeno in sé anche la reazione prevista in seguito alla classificazione di esso. TEORIE SULLA DEVIANZA 1. Le spiegazioni biologiche alla devianza sono le più antiche. Lombroso (e Cowen), ad esempio, aveva ricondotto la devianza alla classificazione dell’aspetto delle persone. Si pensava infatti che chi aveva qualche difetto fisico, o fosse di corporatura robusta era portato più di altri a compiere atti devianti. Lo studio dei gemelli ha poi bocciato questa tesi: con lo stesso patrimonio genetico, si è osservato che i due possono prendere strade diverse. W.A. Sheldon: struttura fisica rivelatrice di delinquenza: soggetti Mesomorfi (muscolosi e attivi: possibili criminali), Ectomorfi (magri) e Endomorfi (grassi). 2. Le spiegazioni psicologiche: si rifanno alle teoria freudiane. Eysenck suggerì che gli stati mentali anormali sono ereditari e che predispongono un individuo a delinquere. Causa della devianza in conflitti non risolti, processi d’identificazione, meccanismi reattivi, ecc. verificatisi in particolari situazioni dell’infanzia e dell’adolescenza. Le cause, quindi, sarebbero debolezza di carattere e degenerazione morale. da ciò emerge, come credono molti studiosi, che il concetto di psicopatia spesso accompagni quello di devianza; infatti, gli psicopatici sono una minoranza di individui che reagiscono d’impulso e raramente sentono senso di colpa; a volte traggono piacere dalla violenza. 3. Le spiegazioni sociologiche invece prevedono l’eventualità dell’eredità di una mentalità anormale, che complica il processo di socializzazione di un individuo. Tuttavia non sempre accade quello che è espresso secondo questa spiegazione. TEORIE FUNZIONALISTE. (teorie dell’anomia, devianza e criminalità come esito di tensioni strutturali ed insufficiente regolazione nella società) Si hanno quattro approcci teorici:  MERTON. Teoria della tensione strutturale mezzi-­‐fini (Merton): detta anche riadattamento dell’anomia di Durkheim. La società ad un certo punto distrugge la regolazione e per un certo periodo mancano le morali. Merton raccoglie gli scostamenti di ciò che accade nella struttura sociale e ciò che accade nei singoli gruppi. La società infatti pone dei mezzi per raggiungere un certo fine, ma ci possono essere delle scostanti tra i mezzi approvati dalla maggioranza e le ambizioni di alcuni gruppi, o modalità di adattamento. Merton ne trova cinque: Modi di adattamento Accetta le mete approvate culturalmente Accetta i mezzi approvati culturalmente Conformità SI Si Innovazioni SI NO (innovano i mezzi per le stesse mete. Spesso illegali) Modi di adattamento Accetta le mete approvate culturalmente Accetta i mezzi approvati culturalmente Ritualista NO (non ha un trasporto, una routine per scelta propria) SI Rinuncia (non attiva) NO NO NO(crea nuove mete) NO(crea nuovi mezzi) Ribellione (attiva per contrastare le mete e i mezzi) Merton quindi riconduce la devianza in un sistema socio-­‐economico in cui le mete culturali, cioè i valori generalmente accettati del successo materiale, entrano in conflitto con i mezzi istituzionali previsti per il loro raggiungimento, cioè l’autodisciplina e il duro lavoro.  Spiegazioni sub-­‐culturali. Secondo Cohen e Nisbet la disomogeneità culturale presente nella società (metropoli occidentali) provocherebbe delle difficoltà nella trasmissione dei comportamenti approvati dalla società. In pratica, partono dagli studi di Merton, ma se ne differenziano perché le risposte alla tensione fra meta culturale e mezzi posseduti non sono individuali, ma mediate dai gruppi sociali (i ragazzi dei ceti operai più poveri, insoddisfatti della loro condizione, tendono ad organizzarsi in subculture delinquenziali). TEORIE INTERAZIONISTE  SUTHERLAND, CLOWARD, OHLIN. Teoria dell’associazione differenziale (Sutherland, Cloward, Ohlin): spiega il comportamento deviante con la frequentazione di culture diverse da quella originaria. In questo modo si può aver sviluppato delle resistenze contro la propria cultura. Questa è definita come una devianza attraverso socializzazione: si imprimono segni diversi da quelli della cultura d’appartenenza);  LEMERT, BECKER. Teoria dell’etichettamento (Becker): è la teoria più estrema. Si fonda sull’analisi di Howard Beker secondo il quale nessun comportamento è deviante, ma lo diviene nel momento in cui esso viene definito tale. Un individuo diviene deviato dopo essere stato etichettato come tale. L’etichettamento è dovuto in primo luogo a coloro che rappresentano le forze della  legge e dell’ordine, quindi le etichette esprimono la struttura di potere della società. Il comportamento deviante è quindi quello così etichettato, grande influenza su ciò hanno però l’abbigliamento, il paese d’origine, il modo di parlare.. Edwin Lemert sostiene che accanto alla devianza primaria (l’atto di trasgressione, che rimane spesso marginale) vada considerata la devianza secondaria, ossia l’assunzione della definizione di sé come deviante da parte del soggetto, ovvero come reazione allo stigma ricevuto e alle punizioni subite. (LO STIGMA: attributo che declassa una persona da completa a persona segnata, screditata. Da questa premessa si praticano diverse specie di discriminazione.) TEORIE DEL CONFLITTO Origini marxiste. Considera la devianza una scelta deliberata e spesso di natura politica. La scelta sarebbe effettuata per ribellione alle diseguaglianze del sistema capitalistico, quindi i comportamenti devianti sarebbero azioni politiche che mettono in discussione l’ordine sociale. Il nuovo realismo di sinistra: nuovo filone di studi criminologici nato negli anni Ottanta. Sempre di stampo neomarxista, prendeva le distanze dagli idealisti di sinistra, accusati di ammantare la devianza di romanticismo, dando poca importanza ai timori che la delinquenza suscitava in gran parte dell’opinione pubblica. Per loro, la criminologia deve impegnarsi più seriamente sui problemi concreti della criminalità e della politica sociale, anziché trattarli in astratto. Attraverso i risultati degli studi sulla vittimizzazione giungono alla conclusione che, riprendendo la riflessione sulle subculture criminali, esse non nascono dalla povertà ma dalla mancanza di inserimento sociale.  HIRSCHI. Teoria del controllo sociale (Hirschi): la possibilità di delinquere dipende dalle relazioni e dai vincoli affettivi solidi con i sottosistemi. In questo modo si è infatti molto di più coinvolti nella società, e questo rende più difficile l’essere devianti. Non tutti però delinquono allo stesso modo: vi è infatti una stratificazione anche nel passaggio da atto a sanzione. Tuttavia è difficile rappresentare statisticamente l’estensione della criminalità, perché non tutti denunciano con la stessa frequenza e vi è una certa distanza tra i reati denunciati e quelli in cui si scopre il colpevole. -­‐
Si possono porre in essere studi sulla vittimizzazione, chiedendo ad un campione di intervistati se in un dato periodo sono stati preda di reati. Anche questi tuttavia hanno un margine d’errore. -­‐
Secondo altri teorici del controllo, l’aumento dei reati deriva dall’aumento delle occasioni e dei possibili bersagli di attività criminose. Il consumismo e il benessere hanno aumentato i bersagli. Per limitarne le opportunità alcuni recenti politiche hanno attuato sistemi come la protezione del bersaglio: anziché cambiare i delinquenti, sostengono, è meglio prendere misure pratiche per limitarne l’azione. -­‐
Oppure una strategia è la ricostruzione del senso di comunità; secondo la teoria della finestra rotta c’è un rapporto diretto tra manifestazioni di degrado e insorgenza della criminalità: se in un quartiere si lascia anche una sola finestra rotta, non riparata, si fa capire ai delinquenti che nessuno si occupa della difesa di quella comunità. Qui entra in gioco il poliziotto di quartiere che dovrebbe lavorare a stretto contatto con i cittadini utilizzando la collaborazione, la persuasione e la consulenza. -­‐
Su questo solco si inserisce anche la strategia della tolleranza zero, che si applica alla piccola criminalità (vagabondaggio, vandalismo, ubriachezza) per trovare risultati anche sulla grande criminalità. Vi sono quindi due modi per studiare il fenomeno: le statistiche, che in genere sono chiuse, e le indagini ancora aperte. Occorre quindi ricordare che i soggetti devianti variano a seconda di classe, genere, età. I reati sono stati per lungo tempo un fattore prevalentemente maschile. POLLAK: Secondo lui certi delitti commessi dalle donne tendono a non essere denunciati. Poiché esse fanno prevalentemente una vita domestica, i loro reati dovrebbero dunque esplicarsi nella sfera familiare. Le donne, per lo studioso, hanno un’inclinazione naturale all’inganno e sono molto abili nel nascondere i loro reati. HEIDENSOHN: femminista, sostiene che le donne sono trattate con maggiore durezza quando sono accusate d’infrazioni ai canoni della sessualità femminile. Ne emerge una variante della doppia morale sessuale all’interno del sistema penale: mentre la violenza maschile è considerata naturale, i delitti femminili sono considerati come dovuti a squilibri psichici. -­‐ Reati maschili: dovuti a crisi della maschilità, causata da disoccupazione e incertezza che non permettono all’uomo di aspirare con fiducia alla sua posizione sociale tradizionale, ossia capo famiglia con una lunga carriera davanti. Soprattutto i giovani maschi ne sono vittima. -­‐ Donne: reati contro le donne: stupro, violenza domestica e molestie sessuali. -­‐ Omosessuali. Stigmatizzati e emarginati dalla società, sono visti come vittime innocenti ma nel contempo come persone che si meritano la violenza. I loro rapporti devono rimanere nella sfera privata, chi viola questo assunto viene rimproverato perché si rende da solo vulnerabile alla violenza. Le manifestazioni -­‐
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pubbliche omosessuali causano un “panico omofobo”, visto in usa come provocazione, tanto da poter trasformare un omicidio volontario in preterintenzionale. L’espressione reati dei colletti bianchi, coniata da Sutherland, si riferisce alle azioni criminose commesse da coloro che appartengono ai settori più benestanti della società. Ci sono numerosi tipi di reati, tra i reati più frequenti ci sono la frode fiscale, le vendite illegali, le truffe assicurative e immobiliari, l’inquinamento ambientale… Tali reati, denominato reati aziendali poiché commessi dalle imprese. La criminalità organizzata, come definizione, si applica a fenomeni che presentano molte caratteristiche delle normali attività d’affari, ma sono illegali. Comprende tutte quelle attività come il contrabbando, il gioco d’azzardo illegale, il traffico di droga e armi, la tratta d’immigrati, lo sfruttamento della prostituzione. Le prigioni, una risposta al crimine? Anche se le prigioni non sembrano adatte a riabilitare i detenuti, sembrano utili a distogliere altri dal commettere reati. Il dilemma non è risolto. RAZZA, ETNIA E MIGRAZIONE (Cap. 7 Giddens) -
RAZZA. Il concetto di razza è solo un costrutto ideologico: biologicamente non esistono razze(il nostro dna è uguale per circa il 70% a quello di tutti gli esseri umani) ma solo differenze tra gruppi umani, dovute agli incroci tra popolazioni con culture diverse, che vengono usate come pretesto per atteggiamenti razzisti. In sociologia per “razza” si intende l’insieme di relazioni sociali che permette di classificare gli individui o i gruppi sulla base delle loro caratteristiche biologiche (razzializzazione). - ETNIA. per molti è un elemento basilare dell’identità individuale e di gruppo,si riferisce alle particolarità culturali che caratterizzano una determinata comunità di persone. Tra le caratteristiche importanti sono: la lingua, l’abbigliamento, la storia, la stirpe, l’alimentazione…la caratteristica principale delle differenze etniche è legata al fatto che esse sono totalmente apprese. I membri di una minoranza in genere sono svantaggiati rispetto a quelli di una maggioranza e condividono un senso di solidarietà. Con il termine minoranza in sociologia s intende la posizione subordinata di un gruppo all’interno della società; in genere si concentra in alcuni quartieri, città o regioni di un paese e spesso i suoi componenti favoriscono l’endogamia, cioè il matrimonio all’interno del gruppo ,proprio per preservare la propria identità culturale. PREGIUZIO E DISCRIMINAZIONE. I pregiudizi sono opinioni, e atteggiamenti prevenuti dei membri di un dato gruppo verso quelli di un altro; sono in genere dovuti al “sentito dire” e non è molto facile cambiarli, si fondano spesso su stereotipi ossia caratterizzazioni rigide, tendenzialmente immutabili di un gruppo, contenenti a volte un fondo di verità o derivate da un meccanismo psicologico di dislocamento. La discriminazione invece riguarda i comportamenti affettivi verso i membri di un determinato gruppo, che li escludono da opportunità riservate ad altri. Il razzismo è la convinzione che alcuni individui siano superiori ad altri sulla base di differenze razzializzate, quindi è un atteggiamento di discriminazione di alcuni gruppi sociali. Spesso gli individui scaricano la loro conflittualità su un capo espiatorio , cui viene attribuita la colpa di una qualche questione; in genere è un meccanismo che viene usato contro gruppi impotenti e quindi più facili da colpire, es: gli ebrei, gli africani, i cattolici… Un altro meccanismo importante è quello della proiezione, cioè l’inconscia attribuzione di propri desideri o caratteristiche ad altri. Per lo studio dei conflitti etnici, fondamentali sono i concetti di etnocentrismo, chiusura di gruppo e allocazione differenziale delle risorse. Interpretazioni sociologiche ETNOCENTRISMO. L’etnocentrismo è la tendenza a considerare la propria cultura come superiore a tutte e a giudicare le altre in relazione ad essa; tutte le società considerano gli estranei come barbari, alieni, inferiori intellettualmente e moralmente. Attraverso studi su tale meccanismo,il filosofo Adorno ha compreso che i tratti della personalità autoritaria (fascista potenziale) derivano da un modello educativo in cui i genitori non riescono ad esprimere il proprio amore ai figli e si mantengono distaccati. CHIUSURA DI GRUPPO. La chiusura di gruppo, si riferisce ai processi tramite cui un gruppo preserva le distanze che lo separano dagli altri, utilizzando meccanismi di esclusione (limitazione del matrimonio tra membri di gruppi diversi, la restrizione delle relazioni economiche e sociali…). ALLOCAZIONE DIFFERENZIALE DELLE RISORSE. Consiste in una distribuzione irregolare dei beni materiali, che porta i membri di un gruppo ad avere potere rispetto a quelli di un altro o altri. Esempio di conflitti etnici è la pulizia etnica in Jugoslavia: l’esclusione dalla croazia dei serbi per mano dei croati e l’espulsione di musulmani e albanesi dal kosovo per mano dei serbi. Si parla di etnocentrismo, o di chiusura di gruppo, o allocazione delle persone per indicare alcuni degli atti discriminanti esistenti. Questi atti possono avere diversi aspetti: • Micro: es. discriminazione sui posti a sedere sugli autobus; • Meso: es. discriminazione nelle scuole o nel lavoro; • Macro: es. confinamento in spazi a sé come ghetti o riserve indiane. MODELLI DI INTEGRAZIONE ETNICA. – Assimilazione: prevede l’abbandono di usi e costumi tradizionali da parte degli immigrati per un’adesione ai valori e alle norme della maggioranza. . – Crogiuolo: cerca di mescolare le due tradizioni in nuove forme capaci di rielaborare i modelli culturali esistenti. – Pluralismo culturale: promuove lo sviluppo di una società pluralistica basata sul riconoscimento dell’eguale dignità delle diverse subculture. I MOVIMENTI MIGRATORI. Sono costituiti da 2 processi: - L’immigrazione, cioè l’afflusso in un paese di persone, che hanno abbandonato il proprio, - L’emigrazione, cioè l’uscita da un paese di persone che si dirigono verso un altro Dal 1945 si sono verificati QUATTRO MODELLI DI MIGRAZIONE: – Classico: (Canada, usa, Australia) in cui l’immigrazione è stata incoraggiata. – Coloniale: (Francia, gran Bretagna) favorisce l’immigrazione dalle ex colonie. – Dei lavoratori ospiti: prevede l’immigrazione su base temporanea spesso per rispondere a richieste del mercato del lavoro. – Illegale: riguarda tutti quegli immigrati che riescono ad entrare in un paese illegalmente e vi si stabiliscono. Le prime teorie delle migrazioni si sono concentrate su: -­‐ fattori di push (spinta): problemi interni al paese d’origine (es. guerre, carestie, oppressione politica) che spingono le persone all’emigrazione; -­‐fattori di pull (attrazione): caratteristiche dei paesi di destinazione (es. lavoro, libertà) che attirano gli immigrati. Le principali tendenze capaci di caratterizzare i modelli migratori dei prossimi anni sono: -­‐ accelerazione: aumenta il numero di migranti da un paese all’altro; -­‐ diversificazione: molti paesi sono destinatari di un’immigrazione più diversificata che in passato; -­‐ globalizzazione: le migrazioni assumono un carattere sempre più globale; -­‐ femminilizzazione: aumento dell’emigrazione femminile legata ai cambiamenti del mercato del lavoro globale. LA DIASPORA indica il processo per cui un’etnia abbandona il luogo del suo insediamento per disperdersi in altri paesi, spesso sotto costrizione o per circostanze traumatiche; essa è caratterizzata da alcuni aspetti chiave come il trasferimento, il ricordo comune della patria d’origine, un senso di identità etnica, un seno di solidarietà verso i membri del proprio gruppo, tensione verso la società ospite e la capacità di contribuire al pluralismo della società ospite. A seconda delle forze propulsive che determinano la dispersione di una popolazione, Cohen distingue cinque categorie di diaspore: -­‐ diaspora di vittime (africani, ebrei e armeni); -­‐ diaspora imperiale (britannici); -­‐ diaspora di lavoratori (indiani); -­‐diaspora di commercianti (cinesi); -­‐ diaspora culturale (caraibici). Le migrazioni del XX secolo hanno trasformato il volto di molti paesi europei e si possono distinguere alcune fasi: -­‐ primi due decenni del secondo dopoguerra: i paesi mediterranei prestavano a quelli nord-­‐occidentali manodopera a buon mercato; -­‐ esaurimento del boom economico: rallentamento dell’immigrazione di lavoratori verso l’Europa occidentale; -­‐ caduta del muro di Berlino (1989): nuove migrazioni a seguito dell’apertura delle frontiere fra est e ovest; -­‐ guerra nella ex Jugoslavia: esodo di 5 milioni di rifugiati verso altri paesi europei. L’immigrazione da paesi extra-­‐Ue è oggi una delle questioni più pressanti dell’agenda politica di molti Stati dell’Unione europea. I paesi che hanno aderito agli accordi di Schengen consentono il libero ingresso dagli altri paesi firmatari, perciò gli immigrati irregolari che riescono a entrare in uno qualsiasi dei paesi aderenti possono poi muoversi senza impedimenti in tutto lo spazio di Schengen.Oggi la maggior parte dei paesi dell’Ue limita fortemente l’immigrazione legale, così gli episodi di immigrazione irregolare tendono a moltiplicarsi. Generalmente si distinguono gli stranieri comunitari dagli stranieri extracomunitari: un francese che abita in Italia è uno straniero, ma comunitario (in quanto cittadino dell’Unione Europea); mentre un egiziano è uno straniero extracomunitario (in quanto non cittadino europeo) e perciò va incontro a diversi limiti e vincoli. La figura dello straniero colpisce l’immaginario collettivo (teorema di Thomas): non importa se una cosa che pensiamo sia vera o no, ma saranno vere le conseguenze che si genereranno da quel pensiero. Ciò che pensiamo o facciamo nei confronti dell’emigrazione avrà delle conseguenze reali su di essa. Sociologicamente parlando, le differenze razziali si riferiscono alle variazioni fisiche scelte dai membri di una comunità o società come etnicamente e socialmente significante. L’etnia invece si riferisce a concezioni culturali, religiose. Esse sono culturalmente apprese. L’etnia quindi è una divisione culturale, sociale e religiosa. Il gruppo etnico infatti è definito attraverso variabili sociali, culturali e religiose. Nel corso della nostra vita può accadere che cambiamo le nostre variabili, attraverso la socializzazione. Il potere dello straniero che rimane porta con se alcune visioni: • Discriminazione: comportamento effettivo nei confronti di comportamenti di un altro gruppo (agisco); • Pregiudizio: opinioni o atteggiamenti deo membri di un dato gruppo verso gli altri appartenenti ad un altro gruppo (penso). Merton definisce “intolleranti timidi” i casi in cui il pregiudizio esista senza discriminazione. Tuttavia però può accadere l’opposto: atteggiamenti discriminatori possono avvenire senza la presenza di pregiudizi. Si differenzia inoltre il pensiero stereotipo: esso è un pregiudizio che opera principalmente attraverso il pensiero stereotipo che diventa pericoloso quando ha un contenuto emozionale (qualcosa cioè che fa la differenza perché collegata agli interessi) ed è collegato ad interessi dell’individuo. Dalla stereotipizzazione, il pensiero va a dislocare (e/o proiettare) sul capo espiatorio (stranieri, ecc..) le proprie paure e le proprie diffidenze. Si assiste anche al fenomeno delle “rimesse”, ossia i soldi inviati dagli immigrati nel paese di provenienza. L’integrazione è un processo multidimensionale e bidirezionale finalizzato alla pacifica convivenza, entro una determinata realtà storica sociale, tra individui e gruppi culturalmente ed etnicamente differenti, fondato sul reciproco rispetto delle diversità etno-­‐culturali, a condizione che queste non ledano i diritti fondamentali e non mettano in pericolo le istituzioni democratiche. L’integrazione consiste sempre in un processo più o meno lungo che avviene nel tempo e va quindi colto nel tempo; essa è una meta, in quanto non si acquisisce una volta per sempre e una volta per tutte, ma va costantemente perseguita. STRATIFICAZIONI, CLASSI E DISUGUAGLIANZA (Capitolo 8 Giddens) La stratificazione sociale presuppone che esistano delle disuguaglianze all’interno di una certa società e, per quanto riguarda i fattori socio-­‐economici, abbiamo degli “strati” che si sovrappongono. Gallino afferma che essa ha almeno due dimensioni: una relativa al cosa, posizioni sociali, e l’altra relativa al quando, cioè alla dimensione temporale delle differenze. Per quanto riguarda la prima, diciamo che essa è una disposizione oggettiva o classificazione soggettiva, dall’alto verso il basso o viceversa, di una popolazione di individui o di collettività (famiglie, gruppi etnici o religiosi), ovvero di posizioni sociali o ruoli, in fasce contigue o sovrapposte. Per compiere queste classificazioni si studiano principalmente tre risorse: il denaro, il potere ed il prestigio. Occorre ricordare però che questi elementi si distribuiscono diversamente se vengono presi in base alla visione soggettiva (in un sondaggio per stabilire il livello di povertà non tutti si vedono poveri, ma rispondono alla domanda in base alla loro visione delle cose). La seconda dimensione invece è il risultato della trasmissione di generazione in generazione delle disuguaglianze-­‐ intese come condizioni in cui si trovano persone che, rispetto ad altre, non godono delle stesse possibilità di accesso a ricompense sociali come denaro, potere e prestigio (o altra importante proprietà)-­‐ a seguito della quale si strutturano veri e propri strati dentro una popolazione. SISTEMI FONDAMENTALI DI STRATIFICAZIONE DELLE SOCIETA’ Ciò lo si deve al fatto che non vi è una società compatta, ma si stratifica storicamente:  Stratificazione primordiale (schiavitù): Alcuni individui sono posseduti da altri come loro proprietà;  Stratificazione per caste: associato alle culture indiane e di credenza induista della reincarnazione. Chi disattende i diritti e i doveri della propria casta, si ritrova in una posizione inferiore nella vita successiva;  Stratificazione per ceti: pre rivoluzione francese, con nobiltà, clero e III° stato. Il ceto distingueva le persone per potere, denaro, prestigio e cultura. Compaiono poi i nobili decaduti che vendendo il proprio titolo nobiliare facevano entrare nuove persone nello strato nobiliare;  Stratificazione per classe: si può definire classe come un vasto gruppo di individui che condividono lo stesso tipo di risorse economiche, le quali influiscono fortemente sulle loro condizioni di vita. Diversamente dagli altri tipi di stratificazioni, le classi non dipendono da ordinamenti giuridici o religiosi, la collocazione de classe è almeno in parte acquisita e non prestabilita alla nascita, le classi si fondano su differenze economiche e su rapporti impersonali. La mobilità sociale è la più ampia tra tutte le stratificazioni precedenti (si passa più spesso da una classe all’altra rispetto che in passato). Tuttavia è rara la mobilità che scavalchi più classi. Teorie di stratificazione e della struttura di classe, misurazione delle classi e delle differenze di genere Quando si compie la classificazione occorre tener presente che esiste una posizione convenzionale ed un mutamento socio-­‐economico. Se si prende ad esempio il reddito come misura proporzionale, la posizione convenzionale è che tradizionalmente è il capofamiglia maschio che determina l’appartenenza ad una determinata classe. Tuttavia occorre considerare anche la differenza di genere (genere: costruzione sociale -­‐ culturale del maschile e del femminile): infatti sono sempre di più le donne lavoratrici che attraverso il reddito recepito, influenzano la classificazione. Può infatti accadere che una donna guadagni di più del marito, e perciò appartenga ad una classe superiore; oppure potrebbe accadere che una donna madre sia la sola fonte di guadagno della famiglia. Tutti questi mutamenti socio-­‐economici rendono difficile il mantenimento della posizione convenzionale. I fattori economici non sono tuttavia gli unici “divisori” dell’appartenenza ad una classe rispetto ad un’altra: anche i fattori culturali influenzano la classificazione, dal momento che i membri all’interno della classe media possono “vendere” (e quindi recepire un reddito) la propria capacità lavorativa mentale. Teoria di Karl Marx. La disuguaglianza di natura economica si viene a creare tra i capitalisti ed il proletariato, questa resisterà fino a quando i proletari riusciranno a ribellarsi con un conflitto molto aspro. Egli parla di uno sfruttamento della classe operaria, la quale, durante la giornata lavorativa, produce più di quanto riceve. Tale plus valore viene preso dai capitalisti. Questo processo porta alla pauperizzazione/impoverimento del proletariato. Parla di variabili ascritte (ereditate dalla famiglia e dalla società) ed acquisite (non ereditate ma possibili di acquisire, i capitalisti possono ottenerle) Teoria di Max Weber. Secondo lui non è solo la disuguaglianza economica a suddividere gli individui in classi, ma anche altri fattori: -­‐ Risorse culturali (posizione di mercato): distingue tra capacità e qualificazioni, chi ne possiede di più sarà più avvantaggiato. -­‐ Ceto (status): stile di vita, insieme di abitudini, in parte ereditate, in parte acquisite con l’istituzione. -­‐ Partito: gruppi di individui capace di agire in vista di obiettivi comuni. QUINDI MARX ANALIZZA LE AZIONI DEL GRUPPO SOCIALE, WEBER DEL SINGOLO Teoria di Wright. Complessifica la teoria marxiana. La disuguaglianza sociale dipende da 3 dimensioni di controllo delle risorse economiche (nel sistema di produzione del capitalismo moderno): -­‐ Controllo degli investimenti -­‐ Controllo dei mezzi fisici di produzione -­‐ Controllo della forza lavoro I capitalisti godono di una maggior forza perché riescono a controllare tutte e tre le dimensioni. Mobilità sociale: ogni passaggio di un individuo da uno strato, un ceto o una classe sociale, ad un altro. Questo passaggio può essere (PARWIN): 1. MOBILITA’ ORIZZONTALE O VERTICALE. Verticale: dal basso verso l’alto. Passare ad una classe superiore e viceversa.(mobilità ascendente e discendente). Orizzontale: movimento geografico, andare da una città o uno stato all’altra/e Spesso queste due sono combinate: ad esempio si riceve un lavoro in un’altra città che farà guadagnare di più un lavoratore, facendolo “salire” nella scala sociale. La mobilità discendente è spesso derivata dalla disoccupazione, dalle ristrutturazioni aziendali e conseguenti tagli occupazionali, e particolarmente dalla differenza di genere (colpisce soprattutto le donne divorziate, sole con dei figli, o in maternità); 2. MOBILITA’ DI LUNGO O BREVE RAGGIO: si possono avere grandi o piccoli cambiamenti; 3. MOBILITA’ INTERGENERAZIONALE O INTRAGENERAZIONALE (di gruppo/individuale): la prima è una mobilità che si osserva dal cambiamento della posizione socio-­‐economica rispetto alla generazione precedente (quando si arriva ad una determinata età). In genere è data dallo scostamento della condizione occupazionale dei figli in rapporto a quella del padre. La seconda invece guarda alla mobilità sociale che si è registrata nella vita di un singolo soggetto, ed è indicata principalmente dalla sua carriera lavorativa. Nella mobilità sociale, la classe d’origine condiziona la classe d’arrivo, perciò chi parte dalla classe operaia agricola è difficile che arrivi alla borghesia, e viceversa. Le classi GOLTHORPE propose un modello razionale della struttura di classi da usare nella ricerca empirica sulla mobilità sociale. studia la mobilità sociale e il ruolo che ha l’istruzione nelle disuguaglianze. Egli divide la società in: -­‐ Classe di servizio -­‐ Classe intermedia -­‐ Classe operaia Ad esse vengono applicati tipi di contratto diverso. Alla prima contratti di servizio, alla seconda contratti ibridi, alla terza contratti di lavoro. Le CLASSI si possono dividere in:  Classe superiore: sostanzialmente appartiene a questa classe chi è riconosciuto come “ricco”. Tuttavia non è facile classificare la gente in essa, poiché questo non sono più un gruppo omogeneo, e di fatto non costituiscono una categoria statica. All’interno li si può dividere in altre tre categorie: gli alti dirigenti aziendali (che possono anche non essere i proprietari dell’azienda), gli imprenditori industriali vecchio stile, e i capitalisti finanziari;  Classe media: i membri di questa classe occupano posizioni che gli conferiscono vantaggi materiali e culturali rispetto ai lavoratori manuali. Ad esempio possono vendere la propria capacità lavorativa mentale. Anche questa classe non possiede una coesione interna, data la diversità degli interessi dei suoi componenti;  Classe operaia: costituita dagli operai che vendono la propria forza lavoro. Nei paesi industrializzati la maggioranza di essi non vive più in condizioni di povertà, ed ha acceso alla proprietà dell’abitazione e ai principali beni di consumo. Il raggiungimento di uno standard di vita più elevato, paragonabile a quello della classe media in termini di reddito e di consumo ma raggiunto attraverso posizioni di scarse possibilità di promozione e di bassa soddisfazione del lavoro, non rappresentò però un imborghesimento della classe operaia: essi non hanno acquisito i valori, la mentalità e gli stili di vita della classe media, ma hanno subito invece una frammentazione o un vero e proprio collasso con il declino dell’industria manifatturiera e con l’impatto del consumismo;  Sottoproletariato: spesso con questa categoria si indica il segmento di popolazione collocato all’estremità inferiore della stratificazione sociale. Essi hanno un tenore di vita nettamente più basso della maggioranza della popolazione, e vi si raggruppano principalmente: disoccupati di lungo periodo, i dipendenti a lungo dai sussidi dello stato sociale (ritenuti “emarginati” o “esclusi”), e le minoranze etniche sottoprivilegiate. Spesso si inseriscono in questa categoria anche gli immigrati. MISURAZIONE DELLE CLASSI E’ molto difficile perché il termine classe viene inteso nei modi più svariati. Tuttavia si trovano modelli descrittivi, che si limitano a descrivere la struttura sociale, e modelli più solidi detti modelli relazionali, che concepiscono la struttura sociale come un sistema di relazioni (spesso caratterizzato da conflitti). Genere sessuale e stratificazione Secondo la posizione convenzionale nell’analisi delle classi, il lavoro retribuito femminile è relativamente poco rilevante rispetto a quello maschile, quindi le donne possono considerarsi come appartenenti alla stessa classe dei mariti. Ma in molte famiglie il reddito delle donne risulta fondamentale per mantenere la posizione economica e lo stile di vita della famiglia, in altre assistiamo ad una doppia appartenenza di classe, poiché l’occupazione del marito rientra in una categoria mentre quello della mogli in un’altra. Aumentano inoltre i casi in cui lo stipendio della famiglia è unicamente quello della donna. LE ORGANIZZAZIONI MODERNE (cap. 9 Giddens) Un organizzazione è l’attività che si da ad un costrutto per funzionare, ma a volte può anche corrispondere al costrutto stesso. Def.: un’organizzazione è un’unità sociale (o raggruppamento sociale), dotata di regole impersonali, deliberatamente costruita e ricostruita per il raggiungimento di fini specifici. Essa quindi è frutto di una libertà esplicita e non è fissa, ma cambia. Ciò contraddistingue un’organizzazione formale. Vi sono poi varie teorie dell’organizzazione: M. Weber: tipo ideale di burocrazia (Michels: tendenza organica); R. Merton: “ritualismo burocratico” e “incapacità addestrata”; M. Croizer/ A. Gouldner: principio di disciplina vs principio di competenza; P. Blau: L’importanza delle relazioni informali; A. Etzioni: tradizione e carisma nelle burocrazie; E. Goffman: istituzioni totali, ruoli, identità; M. Foucault: controllo dei corpi (e delle menti) nel tempo e nello spazio; J. Meyer/ B. Rowan: appropriatezza socialmente definita, organizzazioni come mito e cerimonia; D. Lyon: “società della sorveglianza”. Questi autori e queste teorie aiutano a scoprire come le organizzazioni hanno assunto nuove funzioni e come hanno modificato il proprio funzionamento. WEBER: afferma che le burocrazie fanno proprie le regole della razionalità e le diffondono. Ciò determina un accentuamento della razionalità. Secondo Weber vi è un tipo ideale di burocrazia, caratteristiche: -­‐ Esiste una struttura gerarchica -­‐ Regole scritte governano la condotta del personale -­‐ Il personale è costituito da funzionari stipendiati a tempo pieno -­‐ La completa separazione dalla vita privata -­‐ La rinuncia al possesso delle risorse materiali MICHELS (la legge ferrea dell’oligarchia) fotografa invece una tendenza parallela alla burocratizzazione: nota infatti che all’aumentare della burocrazia corrisponde un aumento della produzione oligarchica (effetto non previsto: contrasta con il grado di democraticità della burocrazia). Ciò è dovuto alla tendenza della burocrazia di accentrare il potere decisionale. MERTON E GOULDNER presentano una lettura tradotta di Weber: il primo trova nelle burocrazie delle disfunzioni, ossia nota come esse siano forti nel funzionamento (quindi siano di lunga durata), ma l’appoggio a regole impersonali fa si che ogni innovazione sia messa all’angolo dall’incapacità addestrata. Un esempio lo si trova con le prime esperienze informatiche: non si era abituati ad utilizzare i computer e non si era capaci di utilizzarli. Ciò crea, secondo Merton (le disfunzioni della burocrazia) delle disfunzioni, dei modelli idealtipici che non esistono nella realtà; il secondo invece ritiene che non vi sia un unico tipo di mansione da svolgere nelle burocrazie: esistono appunto dei lavori di merito che non possono sottostare a regole fisse (principio di disciplina), ma che invece sono soggetti al principio di competenza, premiando il lavoratore per le proprie capacità e competenze. Croizer vuole capire come le burocrazie funzionano. BLAU E MEYO si accorgono invece che anche nelle organizzazioni burocratiche si trova tutta una serie di relazioni informali (importanti per le decisioni). Queste possono essere ad esempio le amicizie e le inimicizie sul posto di lavoro, che possono condizionare la scelta delle persone (es. lasciare il lavoro). BURNS E STALKER (sistemi meccanici e sistemi organici). Le burocrazie sono di efficacia limitata in settori dove la flessibilità e l’innovazione sono preoccupazioni primarie. Meccanici: organizzazione con una rigida catena di controllo verticale, dipendenti con compito specifico, vertice comunica raramente. Organici, struttura relativamente flessibile. Con GOFFMAN, FOUCALT E LYON si entra nell’ambito di cambiamento di funzione. Si scoprono così delle nuove funzioni (che riguardano ad esempio il controllo, la sorveglianza e la sicurezza). Il primo si concentra sulle istituzioni totali: sono quelle organizzazioni che si impadroniscono con le norme anche dell’identità delle persone, le quali sono costrette a rinunciare alla propria identità personale. Un esempio possono essere le carceri, gli ospedali psichiatrici o i campi di concentramento. Goffman (le istituzioni totali) si concentra appunto sulla invasività delle norme, ossia sulle situazioni in cui l’organizzazione getta le proprie norme sull’intera vita delle persone. Ciò porta ad un processo di risocializzazione perché si è ricondotti a ruoli conformi all’organizzazione. Il secondo si concentra invece sulle strategia del potere organizzato per gestire le persone. Questo potere nel corso del tempo si è burocratizzato: Foucault (controllo del tempo e dello spazio) afferma che non bisogna limitarsi alle norme scritte, ma occorre vedere anche come queste norme si strutturano. Il modo in cui si affronta il controllo muta tra la società moderna e premoderna.( + sorverglianza nelle organizzazioni) Infine Lyon pone la funzione dell’organizzazione nell’ambito della sicurezza: le norme quindi escono dall’ambito amministrativo ed entrano in quello della sicurezza. Accanto alle norme si mettono a punto delle strategie, come ad esempio il riconoscere il merito o dare dei premi, volte a far sentire le persone maggiormente appartenenti all’organizzazione. INFINE MEYER E ROWAN studiano la capacità di apprendere, in riferimento al proprio ambiente, delle organizzazioni. Esse appunto si sforzano per essere come il loro ambiente le vuole. Un esempio può essere la pubblica amministrazione: essa deve essere trasparente (come cioè la vuole il proprio ambiente), e per essere tale ci sono degli sforzi normativi fatti apposta per essere trasparenti. Un altro esempio è l’uso di tecnologie che ha cambiato la visione del mondo: se si pongono a confronto un cronometro elettrico e uno yogurt si nota infatti che tutte e due le aziende produttrici hanno un proprio sito internet. Questo appunto è il tentativo che esse fanno per essere alla pari con le tecnologie (richiesta del loro ambiente). In conclusione, per accettare le richieste che provengono dal proprio ambiente, le organizzazioni mettono in campo miti e cerimonie anche se di fatto agiscono come sempre: nella capacità strategica, esse sono in grado di sembrare ciò che in realtà non sono. Tuttavia esistono delle eccezioni: in Giappone, ad esempio, il modello idealtipico è capovolto. Esiste infatti un grosso coinvolgimento del lavoratore e della famiglia nelle sorti dell’associazione, e dell’associazione nei bisogni del lavoratore e della sua famiglia. Si punta di più quindi sulla qualità che sulla quantità del prodotto. Ciò mostra un mutamento di ciò che afferma Weber. L’organizzazione della produzione vede anche il passaggio alle imprese a rete: Manuel Castelis identifica negli ultimi anni un processo di disintegrazione ancora più accentuato del modello organizzativo fatto da burocrazie verticali e razionali, ossia la diffusione di una nuova forma organizzativa che si basa su reti. Esistono sei fattori di passaggio a questo tipo di imprese: -­‐ Passaggio dalla produzione in serie alla produzione flessibile; -­‐ Crisi della grande impresa e successo della piccola impresa (come in Italia nel dopoguerra); -­‐ Diffusione di nuovi modelli i menagement (fusioni di aziende e decoalizzazione delle fabbriche); -­‐ L’applicazione del nuovo modello di produzione in licenza o in subappalto; -­‐ Crescita degli intrecci tra le grandi aziende (es. le parti di un’unica auto sono prodotti separatamente da più aziende). Occorre ricordare che i fini sono l’elemento fondamentale delle organizzazioni: essendo variabili, e a volte possono essere anche contraddittori tra loro, determinano di conseguenza il mutamento delle stesse organizzazioni. IL DIBATTITO SULLA SBUROCRATIZZAZIONE -­‐ Adhocrazia. Burocrazia che non svolge compiti standardizzati, ma si basa su piccoli gruppi di professionisti diversi che collaborano temporaneamente a singoli progetti. Composizione e funzione cambia sempre (Mintzberg). -­‐ Le organizzazioni postmoderne. Secondo Clegg i valori e gli stili di vita di alcune culture condizionano il modo di operare delle organizzazione e possono impedire il predominio delle strutture burocratiche più grandi. -­‐ La mcdonaldizzazione della società. Il processo per cui i principi di funzionamento dei ristoranti fast-­‐
food stanno conquistando spazi sempre più vasti. Ritzer sostiene che la società nel suo complesso e’ investita da questo processo. IL LAVORO (Cap. 10 Giddens) Il lavoro si può definire come lo svolgimento di compiti che richiedono uno sforzo mentale o fisico per produrre beni di necessità umane. Esso è applicazione di energia. Il lavoro è la via per procurarsi l’autosussistenza economica, l’autonomia e l’indipendenza rispetto alle scelte di valore. Esso conferisce inoltre uno status sociale, e fa parte dei meccanismi che garantiscono la nostra individualità sociale. Tuttavia l’elemento strettamente economico non è l’unico elemento da considerare: in esso infatti è presente anche una dimensione sociale, composta da elementi individuali e trasporti emotivi. Questa dimensione è anche detta dimensione identitaria del lavoro (un tempo si veniva riconosciuti per la professione che si faceva o per quella dei nostri genitori). Tutti e due questi aspetti (dimensione economica e sociale) stanno mutando, e con essi il lavoro stesso. Esistono quindi delle caratteristiche positive del lavoro retribuito:  Sicurezza del reddito: un lavoro retribuito prevede la ricezione di un reddito;  Acquisizione di competenza e capacità: possono essere formali (capacità di lavoro: si impara a fare qualcosa), o informali (capacità di convivenza: si impara a stare con le altre persone);  Diversificazione dell’esperienza: il lavoro conferisce l’accesso ad ambiti di vita diversi da quello domestico. Gli individui possono così apprezzare lo svolgimento di attività che si discostano da quelle private;  Strutturazione del tempo: organizzazione del tempo in base al ritmo di lavoro. Può essere però anche un problema;  Contatti sociali: in un contesto nuovo si acquisiscono modi di comportamento, si conoscono persone nuove, si impara una lingua, ecc..  Identità sociale: il lavoro viene di norma apprezzato per il senso di stabile identità sociale che offre. Dallo studio di Sennet, emerge un sentimento di riconoscimento sociale che fa mantenere un certo lavoro piuttosto che accettarne un altro (magari più pagato). 
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Ci sono poi più FORME DI LAVORO, dovute all’evoluzione del lavoro e del mercato del lavoro: Lavoro retribuito (salariato): si riceve un salario (per gli operai) o uno stipendio (per gli impiegati); Lavoro non salariato (economia informale e irregolare): lavoro in cui manca un contratto scritto, ma non manca il salario vero e proprio (lavoro in nero); Lavoro autonomo: diverso dal lavoro retribuito poiché non si è alle dipendenze di qualcuno (es. artigiani, liberi professionisti, ecc..); Lavoro atipico: lavoro che si allontana dal lavoro tipico (lavoro full-­‐time). Un esempio è il lavoro part-­‐
time a tempo determinato, o i lavori con contratti a termine, a progetto (ambito privato) o coordinati collaborativi (ambito pubblico), lavoro intermittente o il lavoro a chiamata (quando vi è un bisogno da parte di qualcuno); Lavoro domestico: sono presenti questioni legate al genere, poiché è principalmente svolto dalle donne; Lavoro volontario: non è remunerato, ma vi è un’esplicita scelta di chi lo compie. Viene perciò espresso gratuitamente (settore no-­‐profit o III° settore. I primi due sono lo stato e le imprese). Nelle società moderne, l’economia si basa principalmente sulla produzione industriale, che è anch’essa in continuo mutamento in funzione dell’innovazione tecnologica e del più ampio contesto socio-­‐economico. In epoca premoderna, essa era basata invece sull’agricoltura. Tuttavia oggi stiamo assistendo ad un passaggio verso una cosiddetta economia della conoscenza: in essa la crescita della ricchezza è alimentata dalle idee e dalle informazioni; la maggior parte della forza lavoro è impegnata nella progettazione e nello sviluppo dei beni materiali. TAYLORISMO E FORDISMO Il lavoro ha subito delle trasformazioni nel corso del tempo. Un primo periodo di trasformazione lo si registra dal Taylorismo-­‐Fordismo al post-­‐fordismo (periodo quindi divisibile in due fasi: industrializzazione e post-­‐
industrializzazione). Per Taylorismo si intende l’organizzazione scientifica del lavoro: Taylor cominciò quindi a monitorare e cronometrare i lavoratori, calcolando il miglior tempo per aumentare la produzione. Questo sistema però prestava scarsa attenzione alla distinzione di tale efficienza. Si parla quindi di Fordismo per indicare il sistema, sviluppato da Ford, della produzione di massa collegata allo sfruttamento dei mercati di massa. Il fordismo quindi collegò le operazioni separate del taylorismo ad un processo produttivo continuo e dinamico (catena di montaggio mobile del modello T). Tuttavia questi sistemi presentano alcuni limiti: erano particolarmente semplici da copiare, ed erano ritenuti sistemi di basso affidamento. Questo perché gli operai erano costantemente sorvegliati, e ciò produceva in loro un calo dell’impegno lavorativo ed una demotivazione (che quindi portava ad un calo di produzione). Ciò portò ad una serie di cambiamenti che presero la distanza dai principi introdotti dal fordismo (post-­‐
fordismo): si cercano infatti nuovi sistemi ad alto affidamento, in cui i lavoratori sono lasciati abbastanza liberi di controllare l’andamento ed il contenuto del lavoro, all’interno di linee guida prestabilite. Si crearono così nuovi MODELLI DI LAVORO (le trasformazioni del lavoro):  Produzione sensibile/flessibile: prevede che piccole squadre di lavoratori ad alta specializzazione impieghino tecnologie avanzate per produrre quantità ridotte di beni con caratteristiche finalizzate alla 
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soddisfazione di una specifica clientela. Ciò permette alle aziende di moltiplicare l’offerta per rispondere a quella particolare domanda; Produzione di gruppo: l’idea di fondo è quella di accrescere la motivazione dei lavoratori consentendo ai gruppi di collaborare al processo produttivo, invece di esigere da ciascun lavoratore di trascorrere la giornata svolgendo lo sempre lo stesso compito (es. circoli di qualità: piccoli gruppi che si incontrano regolarmente per discutere e risolvere i problemi di produzione. Questo modello introduce il concetto di lavoro di squadra: ai dipendenti è richiesto un lavoro meno rigido, orientato alla collaborazione con altri lavoratori e consulenti esterni su progetti a breve termine; Multiskilling: sviluppo di una forza lavoro con competenze multiple, capace di assumersi un’ampia gamma di responsabilità. Questo ulteriore modello introduce il concetto di formazione sul lavoro: anziché impiegare persone con specializzazioni ben definite, molte aziende preferiscono assumere non specialisti capaci di sviluppare nuove competenze direttamente sul posto di lavoro. Questa è una forma di addestramento economica, perché non intacca in maniera significativa il numero di ore lavorate, pur consentendo ai lavoratori coinvolti di ampliare le proprie competenze. LE DONNE E IL LAVORO Un ulteriore mutamento del lavoro è dovuto alle differenze di genere che si presentano nel suo mercato: sono sempre di più infatti le donne che entrano in questo mondo, generando mutamenti sostanziali. Dalle donne lavoratrici in casa, come casalinghe, l’industrializzazione ha introdotto nel mondo dl lavoro anche larga parte delle donne. Queste sono spesso soggette a 1). Segregazioni occupazionali di genere, ossia si considerano alcune mansioni prevalentemente tipicamente “femminili”, come lavori di segreteria e assistenza, di infermeria, ecc.. . Il lavoro domestico subisce così alcuni mutamenti: esso infatti deve essere diviso tra la componente maschile e la componente femminile. 2) Concentrazione in lavori part-­‐time e 3) Divario retributivo. La divisione domestica del lavoro: -­‐ Il lavoro domestico. Viene considerato tipicamente femminile. Questo ha un’enorme importanza per l’economia, tuttavia l’assorbimento a tempo pieno nelle occupazioni domestiche può essere fonte di isolameto ed insoddisfazione. -­‐ Cambiamenti nella divisione domestica del lavoro. L’ingresso crescente delle donne nel mercato del lavoro retribuito sta portando alla rinegoziazione dei modelli familiari tradizionali. Si intravedono significativi cambiamenti nel ruolo domestico della donna. LAVORO E FAMIGLIA Dissidio famiglia – lavoro Rimanere a casa con i figli (lavori domestici) o lavorare? Lavoro dei genitori e sviluppo del bambino. Sempre più donne entrano nel mercato del lavoro, ci si chiede quale effetto questo abbia nei confronti del benessere dei figli. Alcuni studi dicono effetto positivo, altri negativo. Pressioni sulle madri che lavorano. Anche se entrano nel mercato del lavoro, continuano a sostenere la maggiore responsabilità nella cura dei figli. E’ molto difficile conciliare il ruolo di genitore con gli impegni professionali. Anche il rapporto tra lavoro e famiglia subisce delle modifiche: con l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro, la crescita dei figli ne risulta molto modificata. Per questo motivo si sono attuate alcune POLITICHE DEL LAVORO IN FAVORE DELLA FAMIGLIA:  Orario flessibile: possibilità di determinare, entro certi limiti, il proprio orario di lavoro;  Job sharing: permette due persone di condividere i compiti, e la retribuzione di una sola posizione lavorativa;  Telelavoro: consente di svolgere da casa le proprie mansioni, o parte di esse, con l’aiuto di un computer e di un modem;  Congedi genitoriali: condizioni affinché i genitori possano occuparsi dei figli piccoli senza risentirne sul piano professionale, incoraggiando anche i padri ad assentarsi dal lavoro per collaborare alla cura dei bambini. Questa politica però presenta delle differenze tra i vari paesi europei, tra cui i più all’avanguardia sono la Norvegia ed i paesi scandinavi. Le differenze riguardano principalmente: la durata del congedo, la retribuzione durante il congedo, ed il tipo di diritto (può essere individuale e non trasferibile; familiare: sono i genitori a decidere chi dei due e in quale misura ne può usufruire; misto: combinazione dei due precedenti). Il lavoro muta con le nuove richieste delle persone, con le loro aspettative, con il progresso tecnologico, con i nuovi mercati, ecc.. . Con essi si presentano inoltre nuovi costi di produzione e per far fronte a questo aumento si cominciano a modificare i contratti (si abbassa il salario, si allunga il tempo di lavoro, ecc..), compare la delocalizzazione delle fabbriche, ecc.. . LA DISOCCUPAZIONE Per misurare il lavoro (per compiere dei sondaggi), occorre tenere presente il concetto di forze lavoro. Queste sono le persone occupate e le persone in cerca di un’occupazione. Quest’ultima categoria contiene in se le persone che, dai 15 anni in su, dichiara all’indagine sul lavoro: -­‐ Di avere una condizione professionale diversa da quella di occupato; -­‐ Di non aver effettuato ore di lavoro nel periodo di riferimento; -­‐ Di aver effettuato almeno un’azione di ricerca di lavoro nei 30 giorni che precedono il periodo di riferimento; -­‐ Di essere immediatamente disponibile (entro 2 settimane) ad accettare un lavoro, qualora gli venga offerto. Possono quindi dividersi tre categorie delle persone in cerca d’occupazione, in base alla loro condizione dichiarata:  Disoccupati in senso stretto: hanno un valore maggiore di chi cerca lavoro per la prima volta, poiché godono di una maggiore identità sociale, di maggior esperienza, ecc.. ;  Persone in cerca di I^ occupazione;  Altre persone che cercano lavoro (studenti, casalinghe, ritirati dal lavoro, ecc..). Lo stato di salute del mercato del lavoro è inoltre calcolabile grazie alcuni tassi:  Tasso di attività: rapporto tra le persone appartenenti alle forze di lavoro e la popolazione dai 15 anni in su;  Tasso di occupazione: rapporto tra gli occupati e la corrispondente popolazione di riferimento;  Tasso di disoccupazione: rapporto tra le persone in cerca di occupazione e le forze di lavoro;  Tasso di disoccupazione di lunga durata: rapporto tra le persone in cerca di occupazione da dodici mesi ed oltre, e le forze lavoro. POTERE E POLITICA (Cap. 11 Giddens) Premessa. Lo studio del potere è di fondamentale importanza in sociologia in quanto è un fenomeno pervasivo, onnipresente nelle relazioni sociali. Potere ed autorità In termini generali, il potere è la capacità di individui o gruppi di far valere la propria volontà, anche contro le resistenze altrui. Tradizionalmente sono state distinte diverse forme di potere: -­‐ il potere economico; esercitato da coloro che possiedono beni materiali o risorse finanziarie -­‐ il potere ideologico; esercitato da coloro (intellettuali, predicatori, giornalisti) che sono in grado di influenzare le opinioni altrui -­‐ il potere politico; esercitato da chi detiene gli strumenti della forza fisica (nelle società moderne lo stato). L’autorità è una forma legittima di potere; ciò significa che quanti sono soggetti all’autorità ne riconoscono la fondatezza e acconsentono ad essa. Il concetto di Stato Uno stato consiste in un apparato politico(un parlamento o altre forme di assemblea, un governo, una pubblica amministrazione) che esercita su un determinato territorio il monopolio legittimo della forza fisica Tutte le società moderne sono statinazione, cioè stati in cui la grande maggioranza della popolazione è composta da cittadini che si considerano parte di una medesima nazione. Le loro principali caratteristiche sono assai diverse da quelle degli stati tradizionali: -­‐ Sovranità. I territori degli stati tradizionali erano sempre delimitati in modo impreciso e il potere centrale esercitava su di essi un controllo piuttosto debole. La sovranità aveva dunque sc arsa rilevanza; al contrario, tutti gli statinazione sono stati sovrani -­‐ Cittadinanza. Negli stati tradizionali la maggioranza della popolazione era priva di diritti ed estranea alla vita politica (ad eccezione delle classi dominanti), al contrario, la maggior parte degli individui che vivono dentro i confini di uno stato nazione è costituita da cittadini che hanno gli stessi diritti e doveri -­‐ Nazionalismo.Gli statinazione sono associati alla nascita del nazionalismo, definibile come un insieme di simboli e credenze che esaltano il senso di appartenenza a una determinata comunità nazionale. Il nazionalismo ha fatto la sua comparsa solo con lo sviluppo dello stato moderno. TIPI DI REGIMI POLITICI Due sono le forme fondamentali di regime politico: la democrazia e l’autoritarismo. La democrazia Democrazia significa“governo del popolo” e si distingue significativamente da quelli in cui a governare sono monarchi, tiranni, dittatori o aristocrazie. Il regime democratico ha assunto forme differenti a seconda delle diverse epoche storiche, delle diverse società e delle diverse interpretazioni date al concetto. Il “popolo”, ad esempio, è stato variamente identificato con i proprietari, gli uomini bianchi, gli uomini istruiti, i soli uomini, gli adulti. La democrazia è ritenuta in generale il sistema politico che meglio di ogni altro è in grado di assicurarel’uguaglianza politica, la protezione delle libertà la difesa dell’interesse comune, il soddisfacimento dei bisogni, la promozione morale dell’individuo, l’efficacia dei processi decisionali nell’interesse generale. -­‐ Democrazia diretta. In una democrazia diretta(o partecipativa) le decisioni vengono prese insieme dai detentori dei diritti politici, come avveniva nell’antica Grecia, ma nelle società moderne non è possibile che tutti partecipino attivamente a tutte le decisioni. Una forma di democrazia diretta che ancora sopravvive nelle democrazie moderne è il referendum. -­‐ Democrazia rappresentativa. La forma di democrazia oggi più comune è la democrazia rappresentativa, cioè quel regime politico in cui le decisioni riguardanti una comunità sono prese non da tutti i suoi membri detentori dei diritti politici, bensì da loro rappresentanti eletti a questo fine. L’autoritarismo Nei regimi autoritari la partecipazione popolare è negata oppure fortemente limitata in quanto le esigenze e gli interessi dello stato hanno la precedenza su quelli del cittadino e dove non è possibile il formarsi di una opposizione e la rimozione di un leader (come in Cina o in molti paesi arabi). DIFFUSIONE GLOBALE DELLA DEMOCRAZIA Alla metà degli anni Settanta potevano considerarsi autoritari più di due terzi dei regimi politici del mondo. Oggi quella percentuale si è ridotta a meno di un terzo. La caduta del comunismo I regimi politici di tipo comunista erano presenti nell’ex Unione Sovietica e negli altri paesi dell’Europa orientale, oggi sopravvivono soltanto in Cina, in Corea del Nord, a Cuba e in pochi altri paesi. Essi sono sistemi monopartitici: esiste solo il partito comunista che esercita un potere incontrastato sull’intera società, controllando non solo il sistema politico ma anche quello economico e molte altre sfere sociali. In occidente pochi avevano previsto la formidabile catena di eventi innescatasi nel 1989 che portò al crollo di un regime comunista dopo l’altro attraverso una serie di “rivoluzioni di velluto”. Dalla caduta dell’Unione Sovietica e la costituzione di repubbliche quali l’Ungheria, la Polonia, la Bulgaria..., i processi di democratizzazione si sono diffusi in tutto il mondo; anche quegli stati dove ancora resiste il regime comunista, come la Cina, hanno dovuto coniugare l’autoritarismo con una lenta apertura all’economia di mercato in quanto la “globalizzazione della democrazia” continua a ritmo spedito in tutto il mondo. L’affermazione della democrazia La democrazia si è dimostrata il regime politico “migliore” per diversi morivi: -­‐ in primo luogo, la democrazia si accompagna di norma all’economia di mercato che si è dimostrata indiscutibilmente superiore alla pianificazione comunista come sistema di produzione della ricchezza -­‐ in secondo luogo, la globalizzazione intensifica contatti e rapporti di ogni tipo al di là dei confini nazionali e stimola una maggiore partecipazione politica dei cittadini in molte aree del mondo -­‐ in terzo luogo, la diffusione di nuovi mezzi di comunicazione, in particolare della televisione satellitare e di Internet, fa sì che i governi non riescano a conservare il controllo delle informazioni cui attingono i cittadini, che fanno sempre più resistenza alla propaganda di regime. Lo studioso americano Francis FUKUYAMA ha parlato di “fine della storia” in quanto la dissoluzione dell’Unione Sovietica avrebbe segnato la completa sconfitta dell’ideologia marxista, il trionfo mondiale del capitalismo, la scomparsa di ogni possibile alternativa ad esso e l’universalizzazione della democrazia occidentale come forma di governo. Il paradosso della democrazia La democrazia sta incontrando quasi ovunque delle difficoltà: il paradosso della democrazia è ben strano: da un lato essa si sta diffondendo in tutto il mondo, dall’altro le società dove le istituzioni democratiche sono più antiche sono anche oggetto di una forte disillusione in quanto quote crescenti di popolazione sono insoddisfatte o indifferenti nei suoi confronti. Perché tanta insoddisfazione? Come ha osservato il sociologo americano Daniel BELL, i governi nazionali sono troppo piccoli per affrontare le grandi questio (la concorrenza economica mondiale, la distribuzione dell’ecosistema terreste) e troppo grandi per affrontare quelle piccole (i PARTITI E SISTEMI DI PARTITO NEI PAESI OCCIDENTALI Un partito politico può essere definito come un ‘organizzazione orientata alla conquista del potere politico; nel contesto democratico i partiti mirano al controllo legittimo del governo attraverso il processo elettorale. Esistono diversi sistemi di partito ma tendenzialmente i sistemi elettorali maggioritari (vince chi raccoglie più voti) producono sistemi bipartitici (o quantomeno bipolari) mentre i sistemi elettorali proporzionali(i seggi vengono distribuiti in ragione delle percentuali divoto ottenute) tendono a produrre sistemi multipartitici. E’ però improbabile che un singolo partito riesca ad ottenere la maggioranza; si formano così governi di coalizione che possono produrre governi deboli e il Continuo ricorso alle elezioni anticipate con lo scopo di “ricalibrare” i rapporti di forza tra partiti e coalizioni. Nei paesi europei occidentali esistono partiti di diversa origine. Alcuni si fondano sulla confessione religiosa, altri sull’appartenenza etnica o linguistica. Alcuni rappresentano determinati interessi socio-­‐economici, altri sono di ispirazione ambientalista. I grandi partiti di massa, tuttavia, sono ormai largamente pluralisti dal punto di vista culturale e interclassisti dal punto di vista sociale. IL CAMBIAMENTO POLITICO E SOCIALE Talvolta il cambiamento politico e sociale può essere ottenuto solo attraverso il ricorso a forme non ortodosse di azione politica. L’esempio più vistoso di azione politica non ortodossa è la rivoluzione vale a dire il rovesciamento di un ordine politico attraverso un’azione violenta di massa. Più frequentemente l’attività politica non ortodossa più comune è quella dei movimenti sociali. Un movimento sociale è definibile come un’azione collettiva tesa a perseguire un interesse o un obiettivo comune attraverso iniziative esterne alle istituzioni. Essi sono una caratteristica del nostro mondo quanto le organizzazioni formali e burocratiche alle quali essi si oppongono. Globalizzazione e movimenti sociali Esistono movimenti sociali piccolissimi ma anche costituiti da milioni di persone. I movimenti sociali nascono spesso con l’obiettivo dei provocare un cambiamento (movimenti di protesta); in contrapposizione possono sorgere contromovimentiche difendono lo status quo. Spesso l’azione dei movimenti sociali produce la modificazione di leggi o politiche. I movimenti sociali sono tra le forme più potenti di azione collettiva (movimento americano per i diritti civili, movimento femminista, movimenti ambientalisti). I nuovi movimenti sociali A partire dalla seconda metà del secolo scorso si è verificata una proliferazione di movimenti sociali in tutti i paesi del mondo. Sono spesso definiti nuovi movimenti sociali perché si ritiene che siano un prodotto specifico della società tardo moderna e che differiscono profondamente dalle forme di azione collettiva delle epoche precedenti. Tecnologia e movimenti sociali. Nell’età dell’informazione è diventato infatti possibile che questi nuovi movimenti sociali dispersi in tutto il mondo si coalizzino in enormi reti internazionali che, grazie alla comunicazione elettronica, hanno la capacità di rispondere immediatamente agli eventi, accedere a fonti di informazione, premere su multinazionali, su governi e organismi internazionali. Internet ha dimostrato la sua capacità di unire al di là di ogni frontiera fisica o culturale. A questo proposito si è parlato di netwars, ovvero di conflitti internazionali generalizzati che hanno per oggetto non più risorse o territori, come in passato, ma l’informazione e la capacità di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica. I MOVIMENTI NAZIONALISTI Tra i più importanti movimenti sociali del mondo contemporaneo vi sono quelli nazionalisti. La crescente interdipendenza dei paesi del mondo non ha comportato la fine del nazionalismo, anzi per certi versi lo ha rafforzato. Nazionalismo e societa’ moderna. Il principale teorico del nazionalismo è forse Ernest GELLER secondo cui il nazionalismo e il concetto dio nazione erano sconosciuti alle società tradizionali. Esso è il prodotto della nuova società di massa creata dall’industrialismo (a partire dalla fine del 1700) sia perché esso determina la necessità di un apparato statalemolto più efficace che in precedenza poiché l’universo di riferimento non è più il villaggio locale ma una società di massa, sia perché oggi l’istruzione generalizzata, basata su una lingua ufficiale insegnata nelle scuole, è lo strumento principale attraverso il quale una società di massa può organizzarsi ed essere tenuta unità. La teoria di Geller non spiega però le passioni che il nazionalismo è in grado di suscitare. La sua forza è probabilmente collegata alla capacità di creare identità, qualcosa di cui gli individui non possono fare a meno. Le nazioni senza stato La presenza di etnie diverse da quella maggioritaria in uno stato nazionale può produrre il fenomeno delle nazioni senza stato: -­‐ Il primo caso è quello in cui lo stato nazionale riconosce le differenze culturali della minoranza etnica permettendo un certo grado di autonomia (Scozia e Galles in Gran Bretagna, Paesi Baschi e Catalogna in Spagna) -­‐ Il secondo caso è quello di nazioni senza stato che godono di un’autonomia maggiore (Quebec in Canada, Fiandre in Belgio) anche grazie alla struttura degli stati di cui fanno parte: Canada e Belgio sono stati federali) -­‐
Il terzo caso è quello di nazioni senza stato il cui riconoscimento è negato con la forza dagli stati nazionali ospitanti (Curdi in Turchia, SDiria, Iran e Iraq, Palestinesi in Medio Oriente, ceceni in Russia, Tibetani in Cina) STATO NAZIONALE, IDENTITÀ’ NAZIONALE E GLOBALIZZAZIONE Mentre in alcune regioni dell’Africa nazioni e stati nazionali non sono ancora compiutamente sviluppati, in altri parti del mondo si parla di “fine dello statonazione” in seguito alla globalizzazione che spingerebbe sempre più verso un “mondo senza confini” in cui l’identità nazionale sarà sempre più debole. Tuttavia non sarebbe esatto affermare che stiamo assistendo al tramonto dello stato nazionale. Per certi versi sta accadendo esattamente il contrario. Oggi ogni paese del mondo è uno stato nazionale o aspira ad esserlo: lo stato nazionale è divenuto un’istituzione politica universale MASS MEDIA E COMUNICAZIONE (cap.12 di Giddens) I mass media sono, a partire dalla nascita della società di massa (fine XIX secolo) i principali canali della comunicazione sociale. Essi influenzano l’esperienza personale e l’opinione pubblica, in quanto strumenti di accesso alla conoscenza da cui dipendono molte attività sociali. I GIORNALI derivano dai pamphlet e dai fogli di informazione del ’700; divengono ‘quotidiani’ a partire dal XXIX secolo ⇒ migliaia (o milioni) di lettori; ospitano molti tipi di informazione in un formato ridotto e di facile riproduzione. I giornali sono stati a lungo il principale mezzo di trasmissione delle informazioni a un pubblico di massa.L’avvento della radio, del cinema e della televisione ha ridotto l’influenza dei giornali. LA TELEVISIONE. Dalla sua diffusione a metà del secolo scorso ha registrato un costante aumento della sua influenza nel campo dei media. Le reti televisive possono essere di 2 tipi: -­‐ generaliste , e quindi accessibili -­‐ ad accesso condizionato: accessibili agli abbonati (trasmissioni criptate) Moltissime ricerche cercano di valutare l’effetto dei programmi televisivi, in particolare sui bambini. Le scene violente sono abbondanti nei programmi televisivi, soprattutto nei programmi per bambini. Teorie sui media HABERMAS. Legato alle teorie della scuola di francoforte, analizza lo sviluppo dei media dall’inizio del 18°sec ad oggi, delineando la nascita della sfera pubblica, ossia un’arena di pubblico in cui poter discutere questioni generali. Essa secondo lui ha origine nel 700 nei salotti e nei caffè di Londra, Parigi e altre città europee. Egli quindi introdusse l’idea che si potessero risolvere problemi politici attraverso la discussione pubblica. BAUDRILLARD. Ritiene che l’impatto dei moderni mass media sia diverso da quello di tutte le altre tecnologie; inoltrre crede che i media producano una iperrealtà fatta di simulacri ossia immagini che ricevono senso solo da altre immagini e non hanno fondamento nella realtà esterna. THOMPSON. Analizza la relazione tra i media e lo sviluppo delle società industriali e crede che i media hanno avuto un ruolo centrale nella creazione delle istituzioni moderne. Egli distingue 3 tipi di interazione: faccia a faccia, che avviene in compresenza, in forma dialogica, con un’ampia gamma di indizi simbolici ed ha destinatari specifici, mediata, che implica l’uso di una tecnologia mediale, implica una separazione dei contesti, un prolungamento nello spazio e nel tempo, è dialogica, con pochi indizi simbolicie diretta a destinatari specifici, infine la quasi-­‐interazione mediata, che implica una separazione dei contesti, un prolungamento nello spazio e nel tempo, è monologica, con pochi indizi simbolici e è diretta ad una rete infinita di destinatari. NUOVE TECNOLOGIE: esse hanno modificato il mondo delle telecomunicazioni basandosi su 4 processi innovativi: il continuo incremento della potenza dei computer, il decremento dei costi, lo sviluppo delle comunicazioni via satellite e via fibra ottica e la digitalizzazione dei dati, che ha consentito la multimedialità ed è alla base dei media interattivi. Internet: nasce al Pentagono nel 1969 con il nome di Arpanet, e con l’obiettivo di consentire agli scienziati che lavoravano nella Difesa in diverse zone d’America di mettere in comune le risorse e condividere l’uso di strumenti costosi. Con la diffusione dei Pc esso si è sviluppato enormemente indiversi ambiti della vita; a causa della sua enorme influenza ha indotti molti studiosi a parlare di nuove disuguaglianze sociali in termini di divario digitale, cioè di accesso alle tecnologie della comunicazione elettronica. Internet sta modificando molti aspetti di vita quotidiana, e sta aprendo nuovi canali di comunicazione e interazione. GLOBALIZZAZIONE DEI MEZZI DI COMUNICAZIONE: 5 sono i cambiamenti fondamentali che hanno contribuito alla creazione di un nuovo ordine mediatico globale: - una crescente concentrazione della proprietà (i media globali sono guidati da un piccolo gruppo di grandi imprenditori), - un passaggio dalla proprietà pubblica a quella privata delle aziende dei media e delle telecomunicazioni, - uno sviluppo di strutture aziendali transnazionali per permettere investimenti e acquisizioni internazionali, - integrazione dei prodotti mediali, e - aumento delle fusioni aziendali. Perché studiare la tecnologia in una prospettiva sociale? La risposta a questa domanda può essere il fatto che le tecnologie si evolvono, dal momento che sono necessarie alla società, e si riproducono nel tempo solo se rispondono a esigenze umane o se rientrano all’interno di specifiche modalità d’uso già consolidate. Un ulteriore risposta alla domanda precedente può essere data dal fatto che gli esseri umani si evolvono in concomitanza con le tecnologie che utilizzano. Tuttavia a volte gli esseri umani restano fermi mentre la tecnologia avanza. Per capire come ciò avviene occorre vedere come sono mutate le relazioni dei giovani con le nuove tecnologie. In questo modo le nuove generazioni sono portate ad una conoscenza maggiore delle vecchie per quanto riguarda le tecnologie relative ai mezzi di comunicazione (es. social network, ecc..), ma sono maggiormente inesperte per quel che riguarda le finalità richieste dal mondo del lavoro (come ad esempio la programmazione). Su questo tema si prendono in considerazione QUATTRO AUTORI FONDAMENTALI: Marshall McLuhan: secondo lui il mezzo è il messaggio (rispetto al contenuto che esso veicola prevale l’influenza della natura di un mezzo di comunicazione). Un esempio può essere la lettura di un libro contrapposta alla visione del film: spesso accade che le immagini catturino l’attenzione dello spettatore più che la storia stessa. Ciò porta l’organizzazione di diverse società a variare a seconda dei cambiamenti dei mezzi di comunicazione che esse adottano. I media elettronici stanno ad esempio portando alla nascita del cosiddetto “villaggio globale”: ogni evento può essere seguito in tutto il mondo in tempo reale, cosicché tutti partecipino simultaneamente agli stessi eventi. Un esempio di esemplificazione dei tablet e dell’editoria è l’ i pad. Jügen Habermas: afferma che nel 700, nei salotti e nei caffè europei, dove le persone usavano incontrarsi per discutere questioni di attualità sollevate dai giornali, che stavano allora nascendo, si sviluppò la cosiddetta “sfera pubblica” (intesa come arena di pubblica discussione nella quale si potevano affrontare questioni di interesse generale e si potevano formare diverse opinioni). Tuttavia lo sviluppo dell’industria culturale ha reso questa sfera pubblica, in gran parte, una finzione (l’industria culturale punta a vendere informazione, abbassa l’autonomia critica: disincentiva l’approfondimento): la politica viene presentata dai media come una sorta di spettacolo mentre gli interessi economici trionfano su quelli pubblici. L’opinione pubblica non si costruisce attraverso una discussione aperta e razionale, ma attraverso il controllo e la manipolazione. I nuovi media hanno accelerato la crisi del giornalismo nelle sue forme più standardizzate, agevolando al contempo la nascita di nuove tipologie di informazione dal basso, come ad esempio il giornalismo civico partecipativo. Esso è una sintesi tra il giornalismo partecipativo, in cui i cittadini si trasformano in autori di contenuti messi online a disposizione di qualsiasi persona che a sua volta vi può contribuire, modificando il testo in maniera partecipativa; ed il giornalismo civico, in cui i giornalisti invece di limitarsi a “raccontare notizie” hanno l’obiettivo di aiutare i cittadini a capire la complessità dei problemi della loro comunità, svolgendo una funzione di mediazione tra le istanze presentate dai singoli e le Istituzioni chiamate a risolvere le problematiche. Nel giornalismo civico partecipativo quindi l’obiettivo è, come nel caso del giornalismo civico, quello di contribuire al miglioramento della qualità della vita dei cittadini, ma in questo caso non è il giornalista a raccogliere la voce dei cittadini, ma sono gli stessi cittadini a creare blog o portali in cui inseriscono i propri contributi secondo il modello del giornalismo partecipativo (di cui un esempio è per l’appunto il blog di Beppe Grillo). Dagli anni ’90 vengono abbandonate le forme di comunicazione che sembravano consolidate come ad esempio la lettura del giornale cartaceo e a pagamento, e sostituite da nuove modalità di fruizione dell’informazione come Google news. Ciò determina delle ripercussioni sui posti di lavoro, facendo entrare in crisi la categoria dei giornalisti, e culla società nel suo complesso. Il giornalismo d’inchiesta, ad esempio, essendo troppo costoso viene sostituito dal giornalismo realizzato su notizie d’Ansa non controllate. Diventa nel tempo sempre più evidente che chi controlla la produzione delle notizie iniziali comincia a controllare tutti segmenti informativi successivi a causa di una diffusa mancanza di approfondimento. Per trattenere i pochi lettori rimasti inoltre si punta su sensazionalismo e semplificazione. Si veda a riguardo anche le attuali polemiche in Italia sull’argomento. Jean Baudrillard: afferma che l’avvento dei mass media e in particolare dei media elettronici come la televisione, ha trasformato la natura stessa della nostra vita: es. la tv non si limita a ‘rappresentarci’ il mondo, ma sempre più definisce cosa esso sia. La realtà è anche quella rappresentata e diffusa dai media (concetto di iperrealtà). Questa iperrealtà è fatta di simulacri: immagini che ricevono senso solo da altre immagini e perciò non hanno fondamento in alcuna altra “realtà esterna”. Nessun leader politico può oggi vincere un’elezione se non appare costantemente in televisione, per radio o sui giornali: l’immagine televisiva del leader è la “persona” che la maggior parte degli spettatori conosce. Egli non è più colui che fa, ma colui che appare. Iper-­‐percezione del reale: La distanza fisica tra gli interlocutori produce una «vera e propria semiosfera» in cui tutto viene interpretato come estremamente significativo anche quando non in realtà non lo è [De Rosa 2001]. Si pensi solo ai silenzi e ritardi provocati dalla tecnologia. L’interazione a distanza è tuttavia estremamente carente di informazioni rispetto a quella faccia a faccia, così si tende a chiudere i buchi informativi con informazioni plausibili piuttosto che reali (esempio delle chat online testuali degli inizi degli anni ’90, quando non esistevano ancora le webcam). Si apre così la teoria di Thomas: se gli uomini definiscono reali certe situazioni, esse saranno reali nelle loro conseguenze. La realtà dunque è una costruzione sociale. Un esempio di questa teoria può essere data dalla Santa Inquisizione o dall’Olocausto: in questo caso un gruppo di persone era davvero convinto che esistessero le streghe o sulla superiorità razziale e questa convinzione ha portato poi altri a credere alle stesse cose. Dopo un po’ di tempo quindi quel concetto venne preso per vero, per reale. Riguardo alle chat online si devono tenere conto di alcune osservazioni: per più di un anno la ricercatrice Bechar-­‐Israeli [1995] ha studiato presso l’Università di Gerusalemme gli pseudonimi scelti dai visitatori di Chat notando come le persone cambino raramente il proprio pseudonimo, solitamente collegato a qualche caratteristica personale. Quindi: poca creatività, poca stravaganza, nel tentativo di raggiungere il risultato migliore con il minimo sforzo, in breve gli utenti sono economisti poco creativi (cosiddetti utenti pigri). Questi studi sono importanti in quanto pongono all’attenzione della comunità scientifica la possibilità che la crescente popolarità della comunicazione mediata dal computer non sia dovuta alla voglia di fuggire la realtà o di esprimere la propria creatività. Altro fattore da tener presente è il concetto di rappresentazione: l’interazione in chat altro non è che un gioco di azioni orientate reciprocamente in cui ogni partecipante modula le proprie mosse anticipando in se stesso i significati che queste avranno per la persona con cui interagisce [Paccagnella 2000/93]. L’interlocutore a sua volta interpreta questi segnali simbolici per costruire un oggetto del desiderio con attributi di forma, consistenza tattile, odore, ecc. che derivano anche dalle sue esperienze, aspettative e conoscenze [Stone 1995/19,112]. In tutti i casi è evidente l’importanza giocata dall’interpretazione e dal contesto (esperienze e processo di socializzazione) e come il significato della rappresentazione non sia esclusivamente veicolato dalla rappresentazione stessa, ma emerga dall’interazione e sia continuamente rinegoziato tra gli interlocutori. John Thompson: per lui i media elettronici e l’industria culturale non impediscono la formazione di un pensiero critico: le persone non sono recettori passivi dei messaggi, ma anzi si creano da sé le proprie opinioni. Thompson distingue tre forme di interazione: • faccia a faccia: contesto di compresenza, ricca di indizi simbolici, rivolta a destinatari specifici, di tipo dialogico; • mediata: utilizzo di una tecnologia mediale (la stampa, la trasmissione elettrica, l’elettronica), prolungamento nello spazio e nel tempo, ha luogo direttamente tra individui specifici (es. tra due persone che si parlano al telefono), di tipo dialogico, ma non offre la stessa gamma di indizi simbolici dell’interazione faccia a faccia; • quasi-­‐interazione mediata: è costituita da quelle particolari relazioni sociali che sono create dai mass media. Come quella mediata, è caratterizzata dal prolungamento nello spazio e nel tempo e da una gamma ristretta di indizi simbolici, ma non connette direttamente individui specifici, bensì una serie indefinita di destinatari potenziali. È fonologica: es. un programma televisivo. I mass-­‐media modificano gli equilibri tra pubblico e privato nelle nostre vite, ma arricchiscono la sfera pubblica di elementi di dibattito. Un esempio di ciò che afferma Thompson lo si riscontra nell’utilizzo dei videogiochi o nella visione di un film in lingua originale: le persone apprendono o si abituano a prendere decisioni rapide, in modo intuitivo ed istintivo. Collegato a Thompson è Steve Johnson: con le sue ricerche, riportate nel libro “Tutto quello che fa male ti fa bene”, afferma che esistono alcuni luoghi comuni molto duri a morire, come ad esempio quello che afferma che la televisione e i videogiochi farebbero male ai figli. Eppure, fatto strano, è un dato di fatto che il quoziente di intelligenza delle nuove generazioni è molto più alto di quello che si registrava solo venticinque anni fa. Come dimostra Steven Johnson l'effetto che i videogiochi e alcune serie televisive hanno sul cervello di chi ne fruisce è estremamente positivo. Ricorrendo infatti alle neuroscienze, all'economia e alla teoria dei media, Johnson prova che quella che si è sempre considerata come 'spazzatura', è in grado di potenziare la vivacità dell'intelligenza di chi ne fruisce. LA NASCITA DELLA RETE Per descrivere la nascita della rete si prendono come riferimento tre periodi: Avvento del computer (anni ‘40/50) •
Sua diffusione di massa (anni ‘70/80) •
Messa in rete dei computer (anni ’90/2000) •
“La Rete nasce dall’intersezione fortuita a partire dal dopoguerra fra scienza, ricerca militare, cultura cultura, hacker ed è da intendere come un ambiente culturale che determina una svolta tecnologica” [Manuel Castells]. All’epoca della Guerra Fredda infatti in America ci si pose la questione del rischio dell’attacco nucleare da parte dei sovietici. Si aprirono così tre possibilità: adottare una rete centralizzata, una rete decentralizzata, o una rete distribuita. Le prime due però correvano il rischio di far crollare l’intero sistema, così si decise di adottare una rete distribuita. L’industrialismo è stato un paradigma produttivo dall’epoca della rivoluzione industriale (produzione in fabbrica di beni e servizi), ma negli anni 90 si concretizza definitivamente l’informazionalismo, che vede al centro delle strutture produttive l’informazione (online e offline). Si va verso una network society in cui il potere sta nelle mani di chi produce e gestisce grandi quantità di informazioni (condizioni della crisi del giornalismo). Alla fine degli anni 90 nascono le DotCom (aziende dedicate allo sviluppo di siti web), si diffondono connessioni sempre più rapide a Internet, nascono corsi di laurea e di specializzazione per la creazione di nuove professionalità, milioni di persone credono fermamente che la tecnologia digitale stia arricchendo chiunque la utilizzi e acquistano azioni di imprese del settore.Tuttavia nel marzo del 2000 la bolla speculativa esplode facendo fallire in maniera repentina aziende, perdere milioni di posti di lavoro e di dollari. La fiducia cieca nelle nuove tecnologie viene messa in discussione. Da questa crisi la rete esce modificata: internet da deposito informativo, com’era esistito fino a quel momento, diviene un mezzo d’interazione (da internet come informazione a internet come relazione). Appare così l’idea generica di democraticità e accessibilità, con gli utenti che producono i propri contenuti e collaborano online. Si cita spesso La saggezza delle folle (James Surowiecki, 2004) in cui si suggerisce che le masse siano intelligenti più dei singoli: • Cognizione – Pensiero ed elaborazione di informazioni più rapidi, affidabili e meno soggetti a influenze politiche rispetto alle deliberazioni di esperti o gruppi di esperti; • Coordinazione – Capacità di sfruttare risorse in maniera coordinata come nel traffico quotidiano, nell’afflusso ai ristoranti, ecc.. ; • Cooperazione – Come gruppi di persone possono creare reti senza un sistema centrale che controlli il loro comportamento. Tuttavia non tutti sono d’accordo con questa visione: poiché non tutte le folle o i gruppi si dimostrano davvero saggi, e alcuni (Lovink 2007, Metitieri 2009) sostengono che in realtà il web 2.0 corrisponde ad una deriva individualistica, e non comunitaria, del web. In particolare i blog sono considerati come luoghi di pubblicazione solipsistica, premianti chi ha un forte capitale sociale da spendere, in cui il post originale pubblicato dal proprietario del blog non è uguale alla risposta del lettore e gli utenti sono ospiti, non partner paritari e tanto meno antagonisti. In più essi danno vita a comunità di persone che la pensano allo stesso modo. Si arriva così al concetto del Cloud computing, ossia l’insieme di tecnologie informatiche che permettono l'utilizzo di risorse hardware (storage, CPU) o software distribuite in remoto. Un esempio è Google apps, o di nuovo l’i pad. ISTRUZIONE (Cap. 13 Giddens) L’istruzione sociale è più legata alla gioventù: essendosi estesa nel ‘900, l’istruzione ha assorbito sempre di più i giovani. Nasce come accessorio dell’industrializzazione: essa è funzionale alla preparazione dei giovani nei ruoli che andranno a coprire nel mondo del lavoro. L’istruzione è anche il luogo in cui si affrontano vari argomenti e quindi è in momento di socializzazione. Anche la scuola è soggetta alla modifica: dove vi è l’istruzione si ha un incremento dello sviluppo socio-­‐
economico. Tuttavia si può verificare il cosiddetto “drop-­‐out”, tipicamente nei luoghi in cui costa molto mandare i giovani a scuola, o dove essi sono l’unica fonte di reddito della famiglia, o dove si richiede ai giovani di lavorare e lasciare la scuola. Altro fenomeno è il “nets”: non si trovano più giovani nell’istruzione e nel lavoro (essi lasciano la scuola per lavorare, non trovando lavoro diventano scoraggiati). Sistema scolastico italiano Nel 2001, la laurea era posseduta dal 7-­‐8% della popolazione (minoranza qualificata, élite). La licenza media era posseduta dall’86%. L’istruzione subì varie trasformazioni: con la legge Casati del 1859 si ebbe la nascita del sistema scolastico italiano. Nel 1962 si formò la scuola media unica; nel 1969 vi fu l’ingresso libero nelle università. “Attualmente” (ultimi 15 anni) si assiste al fenomeno del reforming-­‐organizaztion: periodo di continue riforme scolastiche. Vi è anche una nuova prospettiva, quella dell’apprendimento per tutto l’arco della vita. Nel presente e futuro dell’istruzione si assiste ad una privatizzazione della stessa istruzione e/o ad una privatizzazione della sua gestione (vi è l’inserimento del modello aziendale nell’università). L’istruzione influisce poi anche sulla stratificazione sociale, e lo status familiare d’appartenenza incide sull’istruzione: l’istruzione tocca tutti ma in maniera relativa allo status familiare di provenienza). Esistono poi delle teorie sociologiche sull’istruzione:  J. Coleman: istruzioni e disuguaglianza. Nota come la scuola mantenga le differenze di status e come studiare con altri giovani, appartenenti ad altri strati della società, possa migliorare la propria situazione;  B. Bernstein: i codici linguistici. Sostiene che i ragazzi provenienti da entroterra diversi sviluppano nei primi anni di vita CODICI diversi che influenzano la loro successiva esperienza scolastica. Secondo Bernstein, i codici mutano a seconda della famiglia di provenienza: ciò porta differenti difficoltà nell’apprendimento se si utilizza un codice che non è conforme alla propria famiglia d’appartenenza (un figlio di operai avrà più difficoltà a studiare filosofia e storia nei licei rispetto ai suoi compagni che provengono da famiglie agiate);  I. Illich: istruzione e società. Secondo lui, la scuola trasmette in maniera occulta un programma, che tende a riflettere lo status quo: le varie tipologie di scuole tendono ad istruire un cambio dei lavoratori. Inoltre essa tiene lontani dalla strada i giovani (occupa il loro tempo). Le scuole svolgono quattro compiti fondamentali: custodia, distribuzione degli individui nei ruoli occupazionali, apprendimento dei valori dominanti ed acquisizione delle capacità e delle conoscenze socialmente approvate. Il programma occulto insegna ai ragazzi che il loro ruolo nella vita è quello di sapere qual è il proprio posto e starsene lì tranquilli. Egli crede che la scuola tenda a inculcare un consumo passivo, ossia l’accettazione acritica dell’ordine sociale esistente attraverso la disciplina; per questo è favorevole a descolarizzare la società ISTRUZIONE E RIPRODUZIONE CULTURALE Bourdieu introduce il concetto di riproduzione culturale, che indica i modi in cui la scuola contribuisce a perpetuare di generazione in generazione le disuguaglianze sociali ed economiche. Rafforza le differenze di valori e di prospettive sottintese alla diversità di interessi e di gusti. La scuola impone agli allievi regole disciplinari. I ragazzi della classe lavoratrice vanno incontro a uno shock culturale molto più forte di quello dei ragazzi provenienti da un retroterra più privilegiato, motivati a raggiungere buoni risultati scolastici, ma il modo di parlare e di agire, non è conforme a quello degli insegnanti. L’INTELLIGENZA: comprende molte qualità diverse e non collegate tra loro, e può essere definita come ciò che viene misurato dai test del Qi, qupoziente intellettivo. Questi test sono costruiti con un punteggio medio di 100 punti e risultati presentano un’elevata correlazione con le prestazioni scolastiche, e con le differenze sociali, economiche ed etniche. L’intelligenza inoltre non può essere espressa con un solo indicatore, non deriva fondamentalmente dalla dotazione genetica, gli individui non possono essere collocati lungo una sola scala d’intelligenza e il livello dell’intelligenza non è immutabile. Fondamentale è anche l’intelligenza emotiva che ha un ruolo pari a quello del Qi nel determinare le nostre opportunità di vita; essa indica la capacità di saper gestire le proprie emozioni quali le motivazioni, l’autocontrollo, l’empatia… concetto importante è anche quello dell’ apprendimento permanente secondo cui la conoscenza può nascere da ogni tipo di contatto e contesto: una conversazione, l’uso di internet, la visita ad un museo… in questo senso i confini tra scuola e mondo esterno diventano sempre più sottili. Belle Curve Wars Gruppo di noti studiosi che afferma: -­‐ l’intelligenza non puo’ essere espressa da un singolo indicatore -­‐
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gli individui non posssono essere significativamente collocati lungo una sola scala di intelligenza l’intelligenza non deriva fondamentalmente dalla dotazione genetica il livello di intelligenza non e’ immutabile L’università cominciò a divenire di “massa” dagli anni ’80. Da alcuni anni si registra un calo delle immatricolazioni. Diffusa è anche la sottovalutazione dell’educazione, il cosiddetto “overeducation”: i laureati hanno spesso gli stessi posti dei diplomati, e con la stessa o addirittura minor paga. Inoltre si nota l’alto tasso di disoccupazione, sia tra i neodiplomati, sia tra i neolaureati: essa muta anche a seconda delle zone geografiche. LA RELIGIONE (Cap.14 Giddens) La religione fa parte della civiltà: attraverso il suo assetto culturale, l’inclinazione spirituale, si hanno diverse visioni del mondo. Sia in Durkheim che in Weber, essa è un fattore importante che influenza l’agire sociale. In essa infatti si mettono in luce anche differenze di genere, non solo sul piano biologico, ma anche sul piano del ruolo sociale. La classificazione della religione di Bellah mostra la sua evoluzione storica: - Tipo di religione primitiva: figure mitiche ancestrali - Arcaica: culto e sacrifici - Storica: salvezza basata su azioni virtuose, di libera volontà - Protomoderna: rapporto diretto individui e soprannaturale - Moderna: ricerca di un codice etico personale Ha una forte influenza sulla vita degli uomini e sul loro modo di percepire la realtà. La religione non deve essere identificata con il monoteismo, poiché la maggior parte delle religioni sono politeiste, non deve essere identificata con le prescrizioni morali che orientano il comportamento dei credenti, non mira a spiegare le origini del mondo e non deve essere identificata con una dimensione soprannaturale. Essa ricorre a dei simboli (divinità personificate, forze divine, figure non divine) per ispirare sentimenti di timore o riverenza ed è collegata a riti o cerimonie praticati dalla comunità di credenti (pregare, cantare, mangiare o non mangiare alcuni cibi, digiunare). TIPI DI RELIGIONE. IL TOTEISMO, è la credenza nelle virtù taumaturgiche dei totem (tipici delle tribù indiane dell’America settentr); in tali società ogni gruppo di parentela possiede un totem, cui sono collegate varie attività rituali. L’ANIMISMO: è la credenza negli spiriti benigni o maligni che si crede che popolino lo stesso mondo degli uomini. - Le tre religioni monoteiste più influenti nel mondo sono: IL GIUDAISMO O EBRAISMO nacque ca 1000anni a.C., i primi ebrei erano nomadi caratterizzati dalla fede in un unico Dio onnipotente che richiedeva l’obbedienza a rigidi codici morali e dal considerare la propria come la sola vera religione. Oggi ca 14 milioni di persone sono ebree. Il CRISTIANESIMO nacque ca 2000 anni fa come filiazione del giudaismo;crede in Gesù, ebreo ortodosso ritenuto Messia. Inizialmente i cristiani furono perseguitati fino a quando l’imperatore Costantino adottò il Cristianesimo come religione ufficiale dell’impero romano. Oggi ca 2miliardi sono cristiani; le sue principali ramificazioni sono il cattolicesimo, il protestantesimo e l’ortodossia. L’ISLAM, nasce dagli insegnamenti del profeta Maometto nel 6°sec d.C. e attribuisce ad un unico Dio, Allah, il dominio su tutta la vita umana e naturale. Esso si fonda su cinque pilastri: la ripetizione del credo islamico, la ripetizione 5 volte al giorno delle preghiere prescritte, l’osservanza del Ramadan, l’elargizione di elemosine e il pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita. - Tra le religioni dell’Estremo oriente L’INDUISMO è la più antica ed è politeista; la sua maggioranza crede nella reincarnazione, ossia che tutti i viventi siano parte di un processo di nascita, morte e rinascita. Inoltre esso è costituito dal sistema delle caste, che crede che gli individui nascano in una particolare posizione gerarchica in termini sociali e rituali che riflette la loro condotta nelle precedenti incarnazioni. Gli induisti sono circa un miliardo. IL BUDDISMO è una delle tre religioni etiche deriva dagli insegnamenti di Siddharta Gautama, il Buddha vissuto nel 6°sec a.C.; il suo obiettivo è quello di raggiungere il nirvana, il totale appagamento spirituale. Il confucianesimo si è molto diffuso in cina; confucio era un insegnante, il iù saggio dei saggi, vissuto nel 6°sec a.C. molto importante in tale religione era la venerazione dei morti. Il taoismo, si basa sulla meditazione e sulla non violenza per attingere alla vita superiore; fondato da Lao-­‐
Tze nel 6°sec a.C. •
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Teorie sulla religione MARX, crede che essa rappresenti l’autoalienazione umana, un rifugio di fronte alle difficoltà quotidiane; egli la definisce come “l’oppio dei popoli”, poiché rimanda felicità e ricompense alla vita ultraterrena, insegnando la rassegnata accettazione delle condizioni date dall’esistenza presente (forte elemento ideologico). DURKHEIM, egli crede che il totemismo rappresenti la più elementare e semplice religione. Egli la definisce in base alla distinzione tra sacro e profano: gli oggetti e i simboli sacri sono separati dagli aspetti ordinari dell’esistenza che rappresentano il regno del profano. Inoltre crede che le attività rituali che caratterizzano tutte le religione rafforzano il senso di solidarietà del gruppo, poiché distaccano dalle preoccupazioni terrene e trasportano in una sfera più elevata. WEBER, concentra i suoi studi su le religioni mondiali, capaci di raccogliere vaste masse di credenti e di influenzare il corso della storia universale. Egli sottolinea il rapporto tra mutamenti sociali e religione e spiega che essa non è necessariamente una forza conservatrice, ma di grande spinta verso cambiamenti sociali. Tipi di organizzazioni religiose LA CHIESA, è un’associazione di grandi dimensioni e ben organizzata in una struttura formale e burocratica,incentrata su una gerarchia di funzionari; ad essa si appartiene dalla nascita per trasmissione familiare. LA SETTA è un’associazione piccola e poco organizzata, spesso in polemica con la chiesa, mira a seguire la “vera via” e in genere si ritira dalla società esterna, chiudendosi in comunità autonome. LE CONFESSIONI sono sette che si sono raffreddate e non sono più gruppi di protesta attiva ma organismi istituzionalizzati. I CULTI sono simili e differenti dalle sette; sono l’associazione meno strutturata e più transitoria, poiché sono costituiti da membri che respingono i valori della società esterna. SECOLARIZZAZIONE Caratteri secolarizzazione: per capire se si sta verificando un evento di secolarizzazione, bisogna controllare tre parametri: Seguito (è un parametro oggettivo, e corrisponde al numero dei membri); Influenza sociale (in passato tale influenza era massima, oggi non più; tutte le organizzazioni religiose nel mondo hanno perso influenza sociale); Religiosità (riguarda la fede e i valori) La religione delle chiese tradizionali appare in forte declino nelle società occidentali, con l’importante eccezione degli USA. I dati comunque dimostrano che il processo di secolarizzazione non è avvenuto ovunque. Norris e Ingleheart, analizzando la frequenza con cui le persone nate nel Novecento si recano in un luogo di culto, hanno riscontrato importanti differenze in tre tipi di paesi che essi definiscono rispettivamente post-­‐
industriali, industriali e agricoli. Nei post industriali (occidentali) il dato di frequenza è minore, in quelli industriali (ex comunisti e sudamericani) non si è verificata alcuna differenza, e negli agricoli (gran parte dell’Asia e dell’Africa) è addirittura aumentata. Inoltre, anche a livello dei paesi occidentali rimangono numerose differenze, e il ruolo della religione è molto più complesso di quello prospettato dalal tesi della secolarizzazione. Religiosità e spiritualità rimangono comunque importanti nella vita di molte persone, anche se preferiscono non praticarle nelle strutture delle chiese tradizionali. Alcuni studiosi hanno ipotizzato un passaggio ad una “fede senza appartenenza”: si continua a credere in Dio o in una forza superiore, ma si pratica la propria fede al di fuori delle forme religiose istituzionalizzate. Il fenomeno della secolarizzazione è dunque utile a spiegare quanto accade all’interno delle chiese tradizionali, ma al religione appare capace di assumere vesti inedite. NUOVI MOVIMENTI RELIGIOSI, con tale termine s’indicano tutte quelle associazioni religiose che si sono diffuse nei paesi occidentali accanto a quelle consolidate. In genere sono una derivazione di esse. Sono divisi in 3 categorie: 1. Movimenti di affermazione del mondo, privi di riti e teologie formali, concentrati sul benessere spirituale dei membri (Scientology, New Age), 2. Movimenti di negazione del mondo, critici verso il mondo esterno, richiedono ai membri cambiamenti radicali di vita, e sono finalizzati alla conquista della partecipazione personale, 3. Movimenti di adattamento al mondo, sono i più simili alle religioni tradizionali, enfatizzano la vita religiosa interiore. La perdurante diffusione di questi nuovi movimenti smentisce dunque la tesi sulla secolarizzazione. L’arretramento delle religioni tradizionali non comporta un tramonto della religione. Non tutti gli studiosi, tuttavia, sono d’accordo: la partecipazione a nuovi movimenti, frammentati e disorganizzati, sarebbe poco più che un passatempo o un stile di vita. MOVIMENTI MILLENARISTI: il millenarismo è un movimento che si attende la salvezza collettiva dei suoi membri: - I seguaci di Gioacchino, 13°sec, il movimento si ispira agli scritti profetici dell’abate Gioacchino da Fiore; i gioacchinisti furono condannati e iniziarono a guardare la chiesa come la meretrice di Babilonia e il papa come l’anticristo. - La danza dello spirito, diffuso tra gli indiani del Nord America nel tardo 19°sec, credevano che sarebbe giunta una catastrofe universale che avrebbe inaugurato una nuova era di prosperità. Il fondamentalismo religioso: è una risposta alla globalizzazione, è un atteggiamento che vuole imporre un’interpretazione letterale dei testi fondamentali di una religione e una loro applicazione a tutti gli aspetti della vita. I suoi sostenitori credono che la propria visione del mondo sia l’unica corretta; l’accesso al vero significato delle scritture è permesso a pochi interpreti dotati così di grande autorità. Fondamentalismo islamico: l’islam ha sempre stimolato l’attivismo, la lotta contro i miscredenti e contro chi porta la corruzione nella comunità musulmana. Nel corso del tempo però l’islam si è fratturato al suo interno. Tale movimento ha suscitato nel tempo diverse forme di risveglio islamico anche estreme come i massacri della popolazione civile ad opera dei fondamentalisti in Algeria, l’instaurazione del regime talebano in Afganistan, la ribellione antirussa in Cecenia, gli atti terroristici di Al Quaeda in USA e Europa… Il fondamentalismo cristiano vede la Bibbia come una guida concreta per tutti gli aspetti della vita, e nasce contro la crisi morale prodotta dalla modernizzazione. Questo movimento riscuote molti consensi in tutti gli USA. IN PIU’ METODI E TECNICHE DI RICERCA SOCIALE Di fronte alla nuova situazione, la Scuola di Chicago propose un nuovo metodo di studio. Si parla quindi dell’approccio quantitativo e di quello qualitativo: non esistono fenomeni qualitativi o quantitativi, ma approcci/punti di vista quantitativi e qualitativi allo studio dei fenomeni. Ad esempio, se si vuole studiare l’occupazione in agricoltura può esserci l’approccio quantitativo (quanti sono? che età anno?), oppure quello qualitativo (perché lo fanno? che aspirazioni hanno? come sono cambiate tali aspirazioni?). Vi è quindi la possibilità di cogliere gli aspetti più quantificanti e quelli qualificanti: tuttavia bisogna ricordare che è difficile trovarli insieme a causa dei molti costi (nel senso che ci vuole molto tempo, molto denaro e molte persone per affrontarle). Molte indagini sono però qualitative. Gli approcci al paradigma empiristico partirono da Galilei, passando per il positivismo (Comte: esistono già delle leggi naturali), per l’oggettivismo, e la spiegazione (si mettono insieme gli oggetti oggettivati. I metodi e le tecniche usate sono quantitative. A questo paradigma si può affiancare quello umanista: da Aristotele, passando per l’interpretativismo (un’aspetto si coglie sia in senso oggettivo, ma anche attraverso opinioni soggettive, ossia le interpretazioni. Esse sono probabilistiche, come affermato da Weber), il soggettivismo (si da la parola ai soggetti, o intervistandoli o cercando la loro parola scritta), la comprensione. I metodi usati in questo caso sono di tipo qualitativo. L’approccio quantitativo, quando non è la I^ ricerca in merito ad una determinata materia, inizia guardando le teorie esistenti, che generano una deduzione, la quale si traduce in un’ipotesi (es. si vuole studiare il razzismo nelle città universitarie italiane: si dividono i soggetti in due categorie. Una racchiude chi non ha avuto una lunga formazione scolastica, mentre l’altra chi invece l’ha avuta ma vive in una condizione economica-­‐culturale poco elevata). A questo punto, si mette a punto la ricerca attraverso delle domande chiuse a opzioni, e si mettono insieme le diverse sezioni (es. esperienze sociali, valori famigliari, valori religiosi, ecc..). Si fa poi una rilevazione: non potendo chiedere a tutti si compie in genere una selezione. Poi si organizzano i dati raccolti inserendoli in un programma di elaborazione statistica (es. si chiede quante persone hanno risposte in un certo modo e quante hanno risposto diversamente). I risultati così ottenuti portano all’induzione, ossia a rivedere la teoria per aggiornarla su quella materia. L’approccio qualitativo invece si basa sull’osservanza diretta, sull’interrogare direttamente le persone, e leggendole: solo ascoltando la vita, i racconti di esse, si può trovare il momento o il concetto che si cerca. Si introduce con questo approccio l’operativizzazione: dal problema (es. mobilità sociale; razzismo; devianza; religiosità, ecc.), ai concetti/proprietà (es. status socio-­‐culturale) agli indicatori (es. titolo di studio padre, titolo di studio madre, reddito padre, reddito madre: simboli numerici di proprietà che assumono valori variabili, ovvero assumono più stati), all’indice del concetto (es. indice di status socio-­‐culturale). Col problema del razzismo, ad esempio, si cercano i concetti interni che possono centrare con il suo manifestarsi. Può quindi essere lo status socio-­‐culturale che è indicato da degli indicatori (occupazione della madre/padre o il titolo di studio della madre/padre), ossia simboli numerici che assumono valori variabili. Unendo questi indicatori si ha un indice dello status socio-­‐culturale che consente di risalire al concetto centrale che riteniamo possa centrare con il manifestarsi del razzismo. Questo status viene poi indicato come basso (più incline al manifestarsi del razzismo), medio o alto. Tra concetto/proprietà e indicatore c’è un rapporto di rappresentazione semantica (di ‘indicazione’): il concetto è legato all’indicatore per il proprio valore. Gli strumenti utilizzati da questi due approcci possono essere: • Il questionario: qualcosa che è già stato scritto, stampato; • L’intervista: qualcosa che non è scritto (anche se le domande sono già state preparate). • Si può andare da una massima strutturazione della domanda (approccio quantitativo), ad una minima strutturazione (approccio qualitativo). • Esistono anche alcune annotazioni su principi e accorgimenti: • Esaustività semantica (questionario): le opzioni che si danno devono esaurire tutte le possibilità di risposta (a volte infatti possono mancare delle opzioni di risposta); • Responsivness (questionario): è il rispondere sempre allo stesso modo (es. quando le domande sono troppo lunghe e noiose). Per evitarlo si può intervenire invertendo la scala o la domanda (così si impedisce di barrare a caso le risposte); • Univocità della domanda (questionario): a volte, due soggetti rispondono allo stesso modo ma hanno un’interpretazione diversa della domanda (es. investire sugli immigrati: si per un aiuto, si per mandarli via); • Non direttività (intervista): si fanno domande generali, senza manifestare l’interesse reale dell’intervistatore (che ne pensi di...? a proposito, come risolveresti il problema?). CONDIZIONE GIOVANILE Come categoria sociale, i giovani sono nati nell‘800. Dal 1997 al 2007 si nota l’aumento del 30% degli ultra 80enni; quelli tra i 50 ed i 60 anni aumentano del 12%. Ciò è causato dalla crescita dei “baby boom”. I giovani e gli adulti (25-­‐49 anni) rimangono invariati; si nota il calo degli adolescenti e dei bambini. Questo è un problema in quanto il ricambio generazionale tende a ridursi. Alcuni paesi come Asia e America Latina, hanno un’alta percentuale giovanile (30-­‐35%). Tra il ’95 ed il 2005 si registra un aumento dell’età in cui le donne abbandonano la famiglia (in Italia a 28 anni). L’età d’uscita è uno degli indicatori principali che segnano l’ingresso nella vita adulta, che da indipendenza economica e più libertà decisionale. I maschi invece tendono ad uscire dalla famiglia più tardi rispetto alle femmine. Esistono vari eventi che mostrano questa differenza di genere:  Abbandono della casa d’origine;  Vita con il partner;  Vita con il partner e i figli;  Matrimonio. Anche l’età in cui si hanno dei figli mostra questa differenza: in genere sono più giovani le donne e più vecchi i maschi. Fondamentale è poi la questione del lavoro: spesso non si esce di casa poiché vi è la mancanza del lavoro. Diffuso è anche l’adeguamento ad un lavoro che si trova, anche se esso non soddisfa le proprie aspettative. Si definisce quindi un giovane come un adulto in formazione (giovinezza come transizione): in questo modo però si compie una lettura da “adulti”. Esistono alcuni aspetti definitori, come l’età e le fasi: la giovinezza oggi si sta trasformando. Infanzia, adolescenza, e giovinezza sono le fasi d’evoluzione. Di fatto oggi si dice che la giovinezza inizi a 15 anni. L’istituto IARD, nel 1983, in base ad alcuni aspetti, constatò che si era giovani tra i 15 ed i 24 anni. In 20 anni, si è portato questo limite a 34 anni. Ciò è avvenuto sulla base di 5 soglie principali:  Conclusione della fase formativa-­‐scolastica;  Possesso di un lavoro;  Fuoriuscita dal nucleo familiare originario;  Matrimonio;  Maternità o paternità. Oggi si sono già modificati 4 di questi aspetti: L’età di attraversamento della prima soglia: ciò sposta in avanti la giovinezza. Questa è la fase in cui si è -­‐
addestrati ad entrare nella società adulta e si acquisiscono valori e competenze; L’ordine di partenza e di passaggio da una soglia all’altra; -­‐
Il periodo di temo che intercorre tra il raggiungimento della I^ soglia ed il completamento della -­‐
transazione alla vita adulta con la sistemazione dell’ultimo tassello; La dimensione di soggettività è divenuta più rilevante. -­‐
Importante è anche il fatto che possono esistere più condizioni giovanili: la giovinezza infatti varia a seconda dei vari aspetti sociali (provenienza, presenza o meno del lavoro, etnia, genere, famiglia, ecc..). Tuttavia occorre ricordare inoltre che le crisi degli ultimi anni hanno modificato tutto ciò: le mode, la musica, e specialmente il ’68 hanno modificato la concezione della giovinezza. Oggi la giovinezza è caratterizzata dall’allontanamento dalla politica: negli anni ’80 i giovani erano sempre visti con sospetto, in seguito all’esperienza avuta con il ’68. Tuttavia oggi giorno si assiste ad una profonda lontananza dei giovani dalla politica. Studiare i giovani vuol dire studiare il mutamento sociale che si manifesterà una volta che quei giovani sono cresciuti: il modo di pensare muta infatti all’aumento dell’età. Un modo per compiere questi studi, può essere quello di guardarli in modo generazionale: il concetto di generazione indica un riferimento importante per cercare di isolare gruppi sociali e differenziali tra loro, sulla base di criteri, variabili e caratteristiche tipicamente appartenenti alle scienze sociali. Cavalli sostiene che il momento in cui si è più propensi ad apprendere sia tra i 16 ed i 25 anni. In questo periodo infatti siamo attraversati da tante esperienze, che lasciano un segno su di noi, il quale segno ci condiziona (maggiormente o meno a seconda delle esperienze vissute). Egli dice: “Grosso modo tra i 16 e i 25 anni di età si formano i valori, le opinioni e gli atteggiamenti che riguardano la sfera sociale e politica. [...] L’approccio generazionale suggerisce l’ipotesi che l’esperienza di un evento storico-­‐politico, quando cade nella fase formativa del ciclo di vita, produca un processo sociale di apprendimento. [...] Si viene a formare così, attraverso l’elaborazione cognitiva degli eventi-­‐chiave ai quali si è stati esposti, una sorta di memoria collettiva generazionale, fatta di credenze, convinzioni, simboli, miti, attribuzioni di senso, che è destinata a durare relativamente a lungo. Infatti, con il consolidarsi degli anni e delle mappe cognitive, queste diventano sempre meno ricettive e funzionano da filtro che scarta esperienze e informazioni dissonanti che ne metterebbero in discussione l’integrità, recependo soltanto quelle esperienze e informazioni che confermano e consolidano credenze e convinzioni acquisite”. Karl Mannheim afferma che per studiare i giovani occorre tener presente due aspetti, che devono essere considerati uniti: -­‐ Nesso generazionale: condivisioni di medesimi eventi e/o processi storici; -­‐ Unità generazionale: presenza di similarità di posizioni lungo la scala socio-­‐economica (immette la stratificazione sociale nello studio generazionale). Questi due elementi uniti formano una generazione. Quando si studiano i giovani occorre porre tre attenzioni, si possono cioè individuare tre effetti che intervengono a differenziare tra loro i vari gruppi di diverse età: -­‐ L’effetto età, legato ai processi evolutivi di maturazione della personalità; -­‐ L’effetto generazionale, relativo all’esposizione ad esperienze significative di tipo storico-­‐sociale nella fase formativa del ciclo della vita; -­‐ L’effetto periodo, connesso allo specifico momento storico nel quale viene condotta l’osservazione. Si possono studiare anche gli extragiovani come una generazione: tra loro infatti, al posto del denaro, della casa, e della stabilità economica, si affermano i grandi valori come la famiglia, la giustizia, ecc.. . Le “tipologie” di giovani sono tante rispetto al mutare dei rapporti con la famiglia, con i valori, con la scuola, con il lavoro, con la politica, con i consumi, ecc.. . Dal giovane delle “3M” degli anni ’50 del XX sec. si è passati alla “generazione invisibile”: essendo pochi, si conta di meno. Diffuso è il fenomeno del “bowling alone”: i giovani come gli adulti, i giovani e gli adulti: per studiare i giovani occorre studiare gli adulti, essendo la giovinezza la preparazione per l’età adulta. L’ “agency” è la capacità soggettiva di intraprendere un comportamento: occorre leggere in quello che fanno ciò che vogliono esprimere, ossia il cambiamento. L’agency quindi porta i giovani ad essere l’oggetto di studio ed il soggetto dell’azione.