Appunti di Fisica 2 Tommaso R. Cesari APPUNTI NON UFFICIALI1 (Fisica 2 - corso di Michela Cavinato) 1 Nota del redattore Questi appunti sono stati scritti da me durante il Corso (A.A. 2009-2010). Sono assolutamente indipendenti dall’iniziativa del Docente. Di queste carte non è fornita alcuna garanzia esplicita o implicita di correttezza o di completezza. In particolare, è assai probabile che risultino presenti numerosi errori delle tipologie più svariate, in primo luogo concettuali, dovuti all’imperizia del curatore. Sottolineo inoltre che non vi è stato alcuno sforzo da parte mia nel rendere gli argomenti formalmente corretti, né tantomeno nel dare loro una veste chiara e lineare. Usate dunque le informazioni che qui si contengono a vostro rischio e pericolo. Tommaso R. Cesari 1 Indice 1 Prime definizioni 4 2 La Legge di Coulomb 2.1 L’esperimento di Coulomb . . . . . . . . . . 2.2 Forza Elettrostatica e Forza Gravitazionale 2.3 La Legge di Coulomb . . . . . . . . . . . . . 2.4 Campo elettrostatico . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 5 6 6 7 3 Potenziale ed energia potenziale 3.1 Definizioni e prime proprietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2 Moto di una particella carica in un campo elettrostatico . . . . . 3.3 Richiami di Analisi Matematica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 8 12 14 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 Dipolo elettrico 17 4.1 Definizione e prime proprietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 4.2 Dipolo in un campo esterno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 4.2.1 Forza risultante sul dipolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 5 Teoremi di Gauss e della Divergenza 5.1 Teorema di Gauss . . . . . . . . . . . . . . . 5.1.1 Dimostrazione del Teorema di Gauss . 5.2 Teorema della Divergenza e applicazioni . . . 5.3 Equazioni di Maxwell per l’elettrostatica . . . 5.4 Calcolo di campo e potenziale di distribuzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . di carica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . notevoli . . . . . 22 22 23 25 25 26 6 Conduttori in equilibrio elettrostatico 31 6.1 Equilibrio elettrostatico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 6.2 Teorema di Coulomb e applicazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 6.3 Capacità elettrica di un conduttore . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 7 Condensatori 7.1 Definizioni ed esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.2 Tipi di collegamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.2.1 Collegamento in parallelo . . . . . . . . . . . . . . 7.2.2 Collegamento in serie . . . . . . . . . . . . . . . . 7.3 Energia elettrostatica di un condensatore . . . . . . . . . 7.4 Calcolo della capacità elettrica in condensatori particolari 7.5 Dielettrici e condensatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.5.1 Capacità elettrica in condensatori piani e sferici . . 7.5.2 Energia elettrostatica in condensatori piani . . . . 7.5.3 Rigidità dielettrica e polarizzazione . . . . . . . . . 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 34 35 35 36 36 37 39 39 41 44 8 Corrente elettrica 8.1 Definizioni, osservazioni, esempi introduttivi . . . . . . . . . 8.2 Principio di conservazione della carica e prime conseguenze 8.2.1 Equazione di continuità della corrente elettrica . . . 8.2.2 Regime stazionario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.3 Legge di Ohm . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.3.1 Legge di Ohm per i conduttori ohmici filiformi . . . 8.3.2 Effetto Joule . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.4 Resistori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.4.1 Collegamento in serie . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.4.2 Collegamento in parallelo . . . . . . . . . . . . . . . 8.5 Forza elettromotrice. Legge di Ohm generalizzata . . . . . . 8.5.1 Esercizi illustrativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.6 Leggi di Kirchhoff . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.7 Circuiti RC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 47 50 50 51 53 55 57 58 59 59 60 64 66 67 9 Magnetostatica 9.1 Definizioni, esperimenti e primi esempi . . . . . . . 9.2 Moto di particelle cariche in campi magnetici . . . 9.2.1 Forza di Lorentz . . . . . . . . . . . . . . . 9.2.2 Moto in un campo uniforme: ϑ = π/2 . . . 9.2.3 Moto in un campo uniforme: ϑ arbitrario . 9.3 Seconda legge elementare di Laplace e applicazioni 9.4 Principio di equivalenza di Ampère . . . . . . . . . 9.5 Campo magnetico generato da una distribuzione di 9.6 Equazioni di Maxwell per il campo magnetico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72 72 74 74 75 77 78 80 85 89 3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . corrente . . . . . 1 Prime definizioni Osservazione preliminare: nel corso di questi appunti si supporrà sempre implicitamente che tutte le funzioni abbiano tutte le regolarità di cui si ha bisogno. Non si faranno mai ipotesi esplicite in tale senso, supponendo ad esempio che tutte le funzioni trattate siano differenziabili (infinite volte), integrabili sempre e su qualunque insieme, e che gli insiemi di definizione abbiamo sempre le proprietà geometriche necessarie a soddisfare le ipotesi dei teoremi. Inoltre per alleggerire la notazione spesso non si indicheranno esplicitamente le variabili di una funzione e si utilizzeranno i pedici per sottintendere che una certa funzione è stata valutata in un punto del suo insieme di definizione. Data e.g. una funzione ⃗ux : R3 (x, y, z) → 7 → R3 , (1, 0, 0), scriveremo spesso ⃗ux = (1, 0, 0) in luogo di ⃗ux (x, y, z) = (1, 0, 0); oppure data e.g. una funzione V : R3 → R, utilizzeremo una scrittura del tipo . VA = V (xA , yA , zA ). Convenzione [Segno della carica]: si chiama carica positiva quella posseduta da una bacchetta di vetro elettrizzata per strofinio con un panno di seta. Si chiama carica negativa quella posseduta da una bacchetta di ebanite elettrizzata per strofinio con la pelle di coniglio. Definizione [Categorie dei materiali]: nei conduttori le cariche elettriche sono libere di muoversi e posso elettrizzarli per contatto. Nei dielettrici (o isolanti) le cariche elettriche non sono libere di muoversi e posso elettrizzarli sono per strofinio. Esempio [Conduttori]: metalli, il corpo umano, il suolo, i panni umidi, le soluzioni acquose. Esempio [Dielettrici]: i non metalli, la plastica l’ebanite, la bachelite, il vetro, la ceralacca, l’acqua distillata. Osservazione [Conduttori e dielettrici]: la differenza è dovuta alla composizione atomica. Un atomo è composto da un nucleo contenente protoni (carica positiva) e neutroni (carica nulla) ed intorno ha una nube di elettroni (carica negativa). La carica di un elettrone è e = 1, 6 · 10−19 C. I conduttori hanno degli elettroni, detti di conduzione (quelli più esterni), che si muovono liberamente all’interno di essi (dei conduttori). Negli isolanti gli elettroni non si possono muovere liberamente, infatti se e.g. elettrizzo una bacchetta di vetro con un panno 4 di seta, avviene un passaggio di elettroni dalla bacchetta al panno, i quali però rimangono vincolati all’area di panno che ho strofinato. Se invece elettrizzo e.g. una bacchetta di ebanite con un panno di lana, avviene uno scambio di elettroni tra il panno e la bacchetta. Definizione [Induzione elettrostatica]: avviene solo nei conduttori ed è un fenomeno che porta alla separazione delle cariche. i) Avvicinando un oggetto scarico ad uno carico positivamente gli elettroni si spostano vicino all’oggetto carico positivamente. ii) Quando avviene il contatto gli elettroni passano all’oggetto carico positivamente fino a quando entrambi i conduttori hanno la stessa carica (entrambi carichi positivamente) e si respingono. Esempio: elettroscopio a foglie. Osservazione: prendiamo un conduttore scarico collegato a terra e avviciniamo una bacchetta carica positivamente. Gli elettroni passano da terra al corpo caricandolo negativamente. Se invece la bacchetta è carica negativamente gli elettroni del corpo andranno a terra ed il corpo sarà carico positivamente. Se stacco la terra il corpo manterrà la carica. 2 2.1 La Legge di Coulomb L’esperimento di Coulomb Esperimento [di Coulomb]: sfrutta l’induzione elettrostatica tra due cariche puntiformi. Usando una bilancia di torsione, se è nota la lunghezza dell’asta verticale, la costante elastica dell’asta e l’angolo di rotazione, allora è possibile calcolare la forza. Fissate q1 e q2 osserva sperimentalmente che F ∝ 1 . r2 Fissata r, osserva che F ∝ q1 q2 . Deduce allora che è q1 q2 , r2 ove k è la costante elastica dell’asta. Spesso k viene espressa spesso nella forma F =k k= 1 , 4πε0 dove ε0 è detta costante dielettrica del vuoto e vale ε0 ≈ 8.854 · 10−12 F/m, come verrà chiarito più avanti con la definizione del Farad (F ). 5 Osservazione: i conduttori carichi hanno carica < 10−6 C. Se cosı̀ non fosse le cariche inizierebbero a respingersi. 2.2 Forza Elettrostatica e Forza Gravitazionale Fe = k Fg = G 2 q1 q2 9 Nm , con k = 9 · 10 r2 C2 2 m1 m2 −11 N m , con G = 6 · 10 r2 Kg 2 Caratteristiche comuni: - entrambe a raggio d’azione illimitato; - entrambe relativisticamente invarianti. Caratteristiche differenti: • la forza elettrostatica è sia attrattiva che repulsiva (ha 2 segni possibili); • la carica si conserva in un sistema isolato; • la carica è una grandezza quantizzata, cioè esiste solo come multiplo intero della carica dell’elettrone. + La forza gravitazionale è solo attrattiva (ha 1 solo segno possibile); + la massa non si conserva, nel senso che può essere trasformata in lavoro; + la massa è una grandezza discreta. 2.3 La Legge di Coulomb Legge di Coulomb: sia q0 una carica di prova, sia ⃗u versore avente direzione della retta congiungente la carica q alla carica di prova q0 . Allora: q q0 F⃗q,q0 = k 2 ⃗u = F⃗q0 ,q =⇒ F⃗ è repulsiva, r q q0 F⃗q,q0 = k 2 ⃗u = −F⃗q0 ,q =⇒ F⃗ è attrattiva. r 6 2.4 Campo elettrostatico 1) generato da cariche puntiformi fisse; 2) generato da distribuzione continua di carica. 1) vale il principio di sovrapposizione e quindi la forza totale esercitata su q0 è la somma vettoriale delle forze esercitate dalle cariche. Se abbiamo quindi un sistema di cariche q1 , . . . , qn che agiscono su una carica di prova q0 , è F⃗ = ) ) n ( n ( ∑ ∑ qi qi q0 ⃗ Fi = k 2 u⃗i = q0 k 2 u⃗i = q0 E, ri ri i=1 i=1 i=1 | {z } .⃗ =E n ∑ ⃗ = F⃗ /q0 viene detto campo elettrostatico. Per la precisione, la ove E carica di prova non deve alterare la distribuzione delle cariche che generano il campo, cioè deve essere ⃗ ⃗ = lim F ; E q0 →0 q0 quindi il campo non deve provocare induzione elettrostatica sui conduttori e polarizzazione sui dielettrici. 2) a) Distribuzione volumetrica (o spaziale); b) distribuzione superficiale; c) distribuzione lineare. a) Sia Ω il volume carico. Introduciamo la densità spaziale di carica ρ = ρ(x′ , y ′ , z ′ ) con unità di misura [ρ] = [C/m3 ]. Abbiamo: ∫ dq = ρ dΩ =⇒ q = ρ dΩ. Ω b) Sia Σ la superficie carica. Introduciamo la densità superficiale di carica σ = σ(x′ , y ′ , z ′ ) con unità di misura [σ] = [C/m2 ]. Abbiamo: ∫ dq = σ dΣ =⇒ q = σ dΣ. Σ c) Sia ℓ la curva carica. Introduciamo la densità lineare di carica λ = λ(x′ , y ′ , z ′ ) con unità di misura [λ] = [C/m]. Abbiamo: ∫ dq = λ dℓ =⇒ q = λ dℓ. ℓ 7 Esercizio [Distribuzione spaziale di carica]: trovare il campo elettrostatico nel generico punto P = P (x, y, z) ∈ R3 , sapendo che il volume V è positivamente carico (con densità spaziale di carica ρ) e supponendo anche P positivo. Sia dV l’ememento di volume di V in un suo generico punto interno P ′ = P (x′ , y ′ , z ′ ). Abbiamo ′ dE = E = =⇒ dq ρ dV k 2 =k 2 r r ∫ ∫ ρ(x′ , y ′ , z ′ ) dx′ dy ′ dz ′ ρ dV k 2 =k ′ 2 ′ 2 ′ 2 r V V (x − x ) + (y − y ) + (z − z ) Definizione [Linee di forza]: le linee di forza (o di campo) sono curve orientate tali che in ogni punto il campo è tangente a tale curva. Esempio [Carica puntiforme]: se q è una carica puntiforme positiva le linee di forza sono delle rette uscenti radialmente da essa. Se la carica è negativa le rette sono entranti. Il campo elettrostatico in un generico punto dello spazio P ∈ R3 è ⃗ ) = k q ⃗ur . E(P r2 3 3.1 Potenziale ed energia potenziale Definizioni e prime proprietà Definizione [Campo Elettrico]: data una forza elettrica, ovvero data una forza F⃗ (di natura qualsiasi) che agisce su una carica di prova q0 , si definisce campo ⃗ = F⃗ /q0 . elettrico (o elettromotore) il vettore E Definizione [Lavoro, Tensione]: nelle ipotesi precedenti, dato d⃗s ∈ R3 (che in fisica si pensa come infinitesimo) si definisce lavoro elementare (o lavoro infinitesimo) compiuto dalla forza F⃗ per spostare la carica q0 di un tratto infinitesimo nella direzione orientata d⃗s, la forma differenziale ⃗ · d⃗s. dW = F⃗ · d⃗s = q0 E Data c ∈ C ∞ ([a, b], R3 ) una curva orientata t.c. c(a)=A e c(b)=B, si definisce lavoro compiuto dalla forza F⃗ per spostare la carica q0 da A a B lungo c l’integrale della forma differenziale dW calcolato lungo c, i.e. ∫ ∫ B W = A(c) ∫ B B . ⃗ · d⃗s = E q0 Tc (A → B), F⃗ · d⃗s = q0 dW = A(c) A(c) dove . Tc (A → B) = ∫ B ⃗ · d⃗s E A(c) 8 è detta tensione elettrica tra A e B lungo c. Osservazione [Forza elettrica]: una forza elettrica in generale non è conservativa. Infatti siano c1 , c2 due curve da A e B, con c1 ̸= c2 , allora Tc1 (A → B) ̸= . Tc2 (A → B). Detta quindi c = c1 ∪ −c2 la curva unione tra c1 e −c2 , che risulta essere una curva chiusa, si ha pertanto I ∫ ∫ B F⃗ ·d⃗s = W = c ∫ A F⃗ ·d⃗s + A(c1 ) B(−c2 ) ∫ B F⃗ ·d⃗s = B F⃗ ·d⃗s − A(c1 ) F⃗ ·d⃗s = A(c2 ) = q0 (Tc1 − Tc2 ) ̸= 0. ⃗ come la Definita allora la forza elettromotrice (o f.e.m.) del campo elettrico E quantità I . ⃗ · d⃗s = Tc − Tc , E= E 1 2 c segue in modo ovvio che F⃗ è conservativa ⇐⇒ E = 0. Osservazione [Forza elettrostatica]: abbiamo dimostrato (nel corso di Fisica 1) che tutte le forze centrali sono conservative. Ma la forza elettrostatica è una forza centrale, quindi è di natura conservativa. Segue quindi che il lavoro di una forza elettrostatica non dipende dal percorso e tale forza ammette un potenziale. Definizione [Potenziale ed energia potenziale]: sia F⃗ una forza elettrostatica, allora sono ben definite due funzioni U e V dette rispettivamente energia potenziale (elettrostatica) e potenziale (elettrostatico) tali che ∫ ∫ B B F⃗ · ⃗s = q0 W = A . . ⃗ · ⃗s = E −∆Ue = −q0 ∆V A Le unità di misura dell’energia potenziale e del potenziale sono, rispettivamente il Joule [J] e il Volt [V ] = [J/C]. Proposizione [Calcolo di U e V]: a seconda della distribuzione della carica è possibile dare una forma più o meno esplicita al potenziale e all’energia potenziale del campo elettrico generato dalla distribuzione di carica. ⃗ il campo generato da una carica puntiforme q e sia q0 una carica di 1. Sia E prova, allora q V (r) = k r q Ue (r) = k q0 r e l’energia potenziale Ue è pari al lavoro necessario per portare le due particelle cariche a distanza infinita tra loro. 9 ⃗ il campo generato da un sistema di n cariche puntiformi fisse 2. Sia E q1 , . . . , qn , allora n n ∑ ∑ qi V (r) = Vi = k r i=1 i=1 i n ∑ qi qj 1 ∑ 1 k , Ue (r) = q i Vi = 2 i=1 2 i,j=1,...,n rij i̸=j nell’ipotesi in cui le cariche q1 , . . . , qn non risentano del campo da loro stesse generate. ⃗ il campo generato da una distribuzione continua di carica. 3. Sia E (a) Spaziale Sia V ∈ R3 il volume carico e sia ρ la densità spaziale di carica. ∫ ρ dV, V (r) = k V r =⇒ ∫ 1 Ue (r) = ρ V dV. 2 V (b) Superficiale Sia Σ ∈ R3 la superficie carica e sia σ la densità superficiale di carica. ∫ σ dΣ, V (r) = k Σ r =⇒ ∫ 1 Ue (r) = ρ V dΣ. 2 Σ (c) Lineare Sia ℓ ∈ R3 la curva carica e sia λ la densità lineare di carica. ∫ λ V (r) = k dℓ, ℓ r =⇒ ∫ 1 Ue (r) = ρ V dℓ. 2 ℓ Dimostrazione: è sufficiente dimostrare il punto 1., infatti le altre forumule seguono dalla prima ricordando che sia per il potenziale che per l’energia potenziale vale il principio di sovrapposizione. Consideriamo allora il lavoro necessario per spostare la carica di prova q0 da un punto A a un punto B dello spazio (A 10 e B arbitrari) sotto l’effetto del campo elettrostatico generato da q. Si ha ∫ B ∫ B ∫ B q0 q F ⃗ur · d⃗s = k 2 cos(ϑ) ds = WAB = F⃗ · d⃗s = | {z } r | {z } A A A =cos(ϑ) ds =dr ( ]B ) [ 1 1 1 1 = k q0 q − = k q0 q dr = k q0 q − = 2 r A rA rB A r = −∆Ue = −q0 ∆V, ∫ B Dove le ultime due identità derivano dalla conservatività del campo elettrostatico. Segue quindi Ue (r) = k q0 q + c1 , r V (r) = k q + c2 , r c1 , c2 ∈ R. Essendo poi F, E ∝ 1/r2 si ha F (∞) = E(∞) = 0. È quindi ragionevole porre U (∞) = V (∞) = 0, e quindi c1 = c2 = 0. In questa ipotesi si ha ∫ ∞ q q0 F⃗ · d⃗s = Ue (r) − Ue (∞) = k Ue (r) = | {z } r r =0 ovvero l’energia potenziale è uguale alla quantità di lavoro necessaria per portare le 2 particelle cariche a distanza infinita tra loro. Analogamente si mostra ∫ ∞ ⃗ · d⃗s = k q , V (r) = E r r che conclude la dimostrazione. Osservazione [Energia potenziale]: abbiamo appena mostrato che dato un sistema di n cariche puntiformi fisse, l’energia potenziale del sistema è data da ∑ qi qj 1 U (q1 , . . . , qn ) = k . 2 i,j=1,...,n rij i̸=j Supponendo di aggiungere una nuova carica q0 è poi possibile determinarne l’energia potenziale n ∑ qi U (q0 ) = q0 k , r i0 i=1 da cui si può ricavare l’energia totale del sistema, grazie al principio di sovrapposizione degli effetti. Si ha pertanto . U (q1 , . . . , qn , q0 ) = U (sistema) = U (q1 , . . . , qn ) + U (q0 ). Questa formula è particolarmente utile nel caso q0 sia l’unica particella mobile, infatti se ciò accade si ha ∆U (sistema) = ∆U (q0 ), 11 ovvero la variazione di energia potenziale del sistema dipende solamente dall’energia potenziale della carica q0 . Osservazione [Welettr e West ]: consideriamo il campo elettrostatico generato da una carica puntiforme q (= sorgente del campo) e poniamo entro di esso una carica di prova q0 . Abbiamo già osservato che si ha ∫ ∞ q q0 = Ue (r) = k F⃗ · d⃗s = Welettr (r → ∞) r r (= lavoro elettrostatico compiuto dal sistema per distruggere il sistema stesso). Ragionando in modo speculare si può anche pensare Ue = West (∞ → r) (= lavoro compiuto da un agente esterno per creare il sistema). Abbiamo quindi ottenuto con un ragionamento intuitivo la seguente uguaglianza Welettr = West , dalla quale si possono dedurre i seguenti fatti: i) q q0 > 0, le due cariche hanno segno concorde (e quindi si respingono). Si ha quindi Ue = West > 0 =⇒ per creare il sistema c’è bisogno di lavoro esterno positivo. ii) q q0 < 0, le due cariche hanno segno discorde (e quindi si attraggono). Si ha quindi Ue = West < 0 =⇒ per distruggere il sistema c’è bisogno di lavoro esterno positivo. 3.2 Moto di una particella carica in un campo elettrostatico Osservazione: dalla legge di Newton segue che la forza elettrostatica agente nel generico punto di R è ⃗ ⃗ = m ⃗a =⇒ ⃗a = q E , F⃗ = q E m ovvero l’accelerazione ha la stessa direzione del campo, ed ha lo stesso verso se q > 0, verso discorde se q < 0. ⃗ un campo elettrostatico e sia Teorema [Conservazione dell’energia]: sia E v ≪ c (per evitare effetti relativistici) la velocità di una generica particella carica di carica q. Detto V il potenziale del campo e supponendo che sulla ⃗ si ha che ∀A, B ∈ R3 particella agisca la sola forza elettrostatica F⃗ del campo E 1 1 2 2 m vA + q VA = m vB + q VB = cost 2 2 12 Dimostrazione: siano A, B ∈ R3 fissati. Se la particella si è spostata da A a B, allora è possibile calcolare la variazione di energia cinetica ∆Ek = 1 (2) 2 2 (1) (m vB − m vA ) = W = −∆U = −q ∆V, 2 dove (1) segue dal Teorema dell’energia cinetica (ed è pertanto vera per qualunque forza F⃗ ), mentre (2) segue dalla natura conservativa della forza elettrostatica. Abbiamo quindi dimostrato che 1 1 1 1 2 2 2 2 m vB − m vA = −(q VA − q VB ) ⇐⇒ m vA + q VA = m vB + q VB . 2 2 2 2 Dall’arbitrarietà di A, B segue la tesi. Corollario [Conservazione dell’energia]: nelle ipotesi del Teorema di conservazione dell’energia segue che: • se q > 0 e vogliamo accelerare la particella (i.e. vB > vA ) =⇒ VB < VA (i.e. ∆V < 0); • se q < 0 e vogliamo accelerare la particella (i.e. vB > vA ) =⇒ VB > VA (i.e. ∆V > 0). Osservazione: VA = VB non implica che la velocità è costante. In gen⃗ non erale possono esserci state accelerazioni e decelerazioni (ciò accade se E è costante). Osservazione [Elettronvolt]: nelle ipotesi del teorema del conservazione dell’energia, è possibile scrivere per una carica q la relazione 1 1 m vi2 + q Vi = m vf2 + q Vf , 2 2 dove i pedici i ed f indicano lo stato iniziale e finale del processo. Supponendo che la carica si trovi inizialmente in quiete la relazione appena scritta diventa q Vi = 1 m vf2 + q Vf , 2 che riscriviamo ora mettendo in evidenza l’energia cinetica finale della particella: 1 m vf2 = q (Vi − Vf ). 2 A seguito di questo ragionamento, ponendo Vi − Vf = 1 V olt e q = e nasce la definizione di elettronvolt come misura dell’energia cinetica. 13 Definizione [Elettronvolt]: si definisce elettronvolt e si indica con eV l’energia cinetica acquistata da un protone, inizialmente in quiete, ottenuta mediante l’applicazione di una differenza di potenziale di 1 Volt. Si ha 1 eV = 1.6 · 10−19 C V. ⃗ campo uniforme (ovvero costante nello Osservazione [Campi uniformi]: E spazio) =⇒ le linee di forza sono parallele. Corollario [Conservazione dell’energia in un campo uniforme]: nelle ipotesi del Teorema di conservazione dell’energia, si supponga che il campo elettro⃗ costante nello spazio) e diretto lungo l’asse x. Allora statico sia uniforme (i.e. E ∀x ∈ R 1 m v 2 − q E x = cost, V + E x = cost e 2 ⃗ dove si è posto E = |E|. Dimostrazione: essendo la forza conservativa, ho che ∀A, B ∈ R3 ∫ ∫ B VA − VB = B ⃗ · d⃗s = E E A ds = E(xB − xA ) A ⇐⇒ VA + E xA = VB + E xB = cost, da cui si deduce facilmente V + E x = cost ⇐⇒ V = −E x + cost, che sostituita nell’equazione che esprime la conservazione dell’energia permette di dedurre 1 m v 2 − q E x = cost, 2 che è la tesi. Esempio [2 piani indefiniti]: si considerino due piani indefiniti e paralleli posti a distanza d l’uno dall’altro. Siano entrambi carichi omogeneamente e di densità superficiali di carica rispettivamente σ e −σ. Si dimostra che il campo generato da un piano uniformemente carico ha modulo costante pari a 2σε0 . Si ha quindi che il campo totale generato dai due piani è nullo all’esterno ed è uguale a σ/ε0 all’interno di essi. In questo caso allora, determinata la costante con una condizione iniziale, si può esplicitare il potenziale come V = E x + cost. 3.3 Richiami di Analisi Matematica ⃗ in uno spazio tridimensionale R3 generato da Definizione [Operatore ∇]: un sistema di coordinate cartesiane x, y, z, con i versori indicati con ⃗ux , ⃗uy , ⃗uz 14 ⃗ (o semplicemente ∇) detto rispettivamente, l’operatore differenziale vettoriale ∇ operatore nabla (o operatore del) si definisce come ⃗ = ∂ ⃗ux + ∂ ⃗uy + ∂ ⃗uz . ∇ ∂x ∂y ∂z ⃗ e coordinate]: la definizione data dipende dal sistema di Osservazione [∇ coordinate scelto, ma è facilmente estendibile ad un qualunque sistema di coordinate. Ad esempio, nelle applicazioni capita spesso di passare in coordinate ⃗ si può facilmente trasportare nelle nuove sferiche o cilidriche. La definizione di ∇ coordinate. Riportiamo a titolo di esempio il caso delle coordinate sferiche. In tali coordinate è possibile eprimere l’operatore del nella forma: 1 ∂ ⃗ = ∂ ⃗uρ + 1 ∂ ⃗uϑ + ∇ ⃗uφ . ∂ρ r ∂ϑ r sin (ϑ) ∂φ ⃗ e altri operatori]: grazie all’operatore ∇ ⃗ è possibile riscrivere Osservazione [∇ con una notazione compatta ed intuitiva gli operatori differenziali gradiente, divergenza, rotore e laplaciano: Gradiente ⃗ = grad f ∇f Divergenza ⃗ · ⃗v = div ⃗v ∇ Rotore ⃗ × ⃗v = rot ⃗v ∇ Laplaciano ⃗ ·∇ ⃗ f = ∇2 f ∇ Osservazione[Prodotto vettoriale]: ricordo che, dati due vettori ⃗a = (a1 a2 a3 ), ⃗b = (b1 b2 b3 ) ∈ R3 il prodotto vettoriale ⃗a × ⃗b si può calcolare (in modo formale)2 come il determinante ⃗ux ⃗uy ⃗uz ⃗a × ⃗b = det a1 a2 a3 b1 b2 b3 ⃗ un campo elettrostatico e Teorema [Irrotazionalità e conservatività]: sia E sia V il suo potenziale, allora localmente ⃗ = −grad(V ) = −∇V ⃗ E ⃗ =∇ ⃗ ×E ⃗ = ⃗0. rot(E) (1) (2) Le due equazioni risultano essere equivalenti Dimostrazione: per dimostrare (1) è sufficiente osservare che per ipotesi il ⃗ è conservativo e V è un suo potenziale, ovvero la forma differenziale campo E ⃗ ⃗ E · ds è esatta, e può essere scritta localmente come l’opposto del differenziale di ⃗ = (dx, dy, dz) = dx ⃗ux + dy ⃗uy + dz ⃗uz V , si ha cioè che per ogni incremento ds ⃗ = −dV ⇐⇒ dV = −E ⃗ = −(Ex dx + Ey dy + Ez dz). ⃗ · ds ⃗ · ds E 2 Si osservi che quella qui definita non è una vera matrice, infatti i coefficienti sono ibridi: quelli della prima riga sono vettori, mentre quelli delli della seconda e della terza riga sono scalari. 15 ⃗ è dato da Osservando poi che il differenziale di V relativo all’incremento ds ⃗ = ⃗ · ds dV = ∇V ∂V ∂V ∂V dx + dy + dz ∂x ∂y ∂z ⃗ = −∇V ⃗ . segue immediatamente che E Per dimostrare (1) ⇒ (2) invece si consideri una generica superficie Σ di cui c sia la curva (chuisa) di bordo. Detto ⃗un il versore normale uscente dalla superficie, dal Teorema di Stokes segue che ∫ I ⃗ × E) ⃗ · ⃗un dΣ = E ⃗ · d⃗s, (∇ Σ c ⃗ conservativo segue che il secondo integrale (e di conseguenza il ma essendo E primo) è nullo. Essendo quindi ∫ ⃗ × E) ⃗ · ⃗un dΣ = 0 ∀Σ (∇ Σ ⃗ ×E ⃗ è anch’essa nulla. se ne deduce che la funzione integranda ∇ Rimane quindi da dimostrare il viceversa, (1) ⇐ (2), ma ciò segue immediatamente dal lemma di Poincarè. Definizione: la (2) è detta prima equazione di Maxwell per il campo elettrico (in forma locale). ⃗ indica che il verso di crescita ⃗ · ds Osservazione: il segno meno in dV = −E del campo è il verso di decrescita del potenziale. ⃗ un campo elettrostatico e sia V Definizione [Superficie equipotenziale]: sia E 3 il suo potenziale. La superficie S = {⃗x ∈ R t.c. V (⃗x) = cost} si dice superficie equipotenziale. ⃗ = ∇V ⃗ ⃗ ds ⃗ ·ds Osservazione [Superficie equipotenziale]: dall’identità dV = −E· ⃗ si deduce che se lo spostamento ds è tangente alla superficie equipotenziale, al⃗ e dV ⊥ ds. ⃗ Si ha quindi che le linee di campo ⃗ ⊥ ds lora dV = 0 e quindi E sono ortogonali alla superficie equipotenziale. Inoltre, essendo il gradiente univocamente determinato in ogni punto, si ha che per ogni punto passa un’unica superficie equipotenziale, i.e. le superfici equipotenziali non si possono intersecare. Esempio [Filo rettilineo indefinito]: nel caso di un campo generato da un filo rettilineo indefinito uniformemente carico le linee di forza sono semirette uscenti ortogonalmente al filo. Le superfici equipotenziali sono pertanto dei cilindri coassiali con il filo. Esempio [Carica puntiforme]: nel caso del campo generato da una carica puntiforme le linee di forza sono semirette uscenti dal punto in cui è posta la 16 carica. Le superfici equipotenziali sono pertanto delle sfere concentriche centrate nel punto. Esempio [Due piani indefiniti]: nel caso di un campo generato da due piani indefiniti uniformemente carichi le linee di forza sono segmenti posti tra i due piani ed ortogonali ai piani stessi. Le superfici equipotenziali sono pertanto dei piani paralleli ai due piani dati e posti tra di essi. 4 4.1 Dipolo elettrico Definizione e prime proprietà Definizione: un dipolo elettrico (o più semplicemente dipolo) è un sistema fisico costituito da due cariche puntiformi con stesso modulo q ma di segno op. posto, poste a distanza a = |⃗a| l’una dall’altra, dove si indica con ⃗a il vettore congiungente −q a q. il vettore p⃗ = q ⃗a è detto momento di dipolo elettrico, e il punto O = punto medio tra −q e q si dice centro del dipolo. Proposizione [Potenziale del dipolo]: il potenziale di un dipolo elettrico in punto O ̸= P ∈ R3 ha la forma V (r, ϑ) = k p⃗ · ⃗r q a cos (ϑ) =k , 3 r r2 dove r è la distanza di P da O e ϑ è l’angolo tra i due vettori p⃗ e ⃗r. Dimostrazione: ricordiamo che il potenziale in un punto del campo generato da una carica puntiforme q è V (r) = k rq , dove r è la distanza del punto dalla carica. Sfruttando ora il principio di sovrapposizione, si conclude immediatamente che il potenziale del dipolo si può scrivere nella forma ( ) 1 1 r2 − r1 V (r1 , r2 ) = k q − = kq , r1 r2 r1 r2 con ri distanze dalle due cariche. Applichiamo ora la cosiddetta approssimazione di dipolo, ovvero supponiamo r ≫ a. In questa ipotesi segue che r1 ≈ r2 ≈ r. Possiamo allora scrivere, a meno di questo errore di approssimazione: r1 r2 = r2 e r2 − r1 = a cos (ϑ) da cui segue immediatamente la tesi. Proposizione [Campo generato da un dipolo]: il campo elettrostatico generato da un dipolo elettrico in punto O ̸= P ∈ R3 , espresso in coordinate sferiche, ha la forma ⃗ = E(r, ⃗ ϑ) = k p (2 cos (ϑ) ⃗ur + sin (ϑ) ⃗uϑ ) E r3 17 ⃗ = −∇V ⃗ . Riscrivo allora Dimostrazione: dalle equazioni di Maxwell so che E la relazione ⃗ = ∇V ⃗ ⃗ · ds ⃗ · ds dV = −E passando in coordinate sferiche. Ho ⃗ ds ⃗ E =⇒ dV = dr ⃗ur + r dϑ ⃗uϑ + r sin (ϑ) dφ ⃗uφ = Er ⃗ur + Eϑ ⃗uϑ + Eφ ⃗uφ = −(Er dr + Eϑ r dϑ + Eφ r sin (ϑ) dφ) = ∂V ∂V ∂V = dr + dϑ + dφ ∀ (dr, dϑ, dφ) ∂r ∂ϑ ∂φ p cos (ϑ) ∂V = 2k Er = − ∂r r3 1 ∂V p sin (ϑ) =⇒ Eϑ = − =k r ∂ϑ r3 1 ∂V Eφ = − = 0 r sin (ϑ) ∂φ da cui segue immediatamente la tesi. Osservazione [Campo generato da un dipolo]: è immediato osservare che il campo elettrostatico generato da un dipolo non è mai nullo, ma, esattamente ⃗ → ⃗0 come il campo elettrostatico generato da una carica puntiforme, si ha che E se r → ∞. Infatti, dalla proposizione precedente segue che l’intensità del campo (i.e. il suo modulo) è ⃗ = |E| ]1/2 ]1/2 kp [ kp kp [ ≤ 3 4 cos 2 (ϑ) + sin 2 (ϑ) = 3 3 cos 2 (ϑ) + 1 3 r r | r {z } sempre ≥1 da cui segue immediatamente la tesi. Corollario [Campo generato da un dipolo]: lungo l’asse del dipolo il campo è sempre parallelo al momento di dipolo. Sul piano mediano il campo è sempre antiparallelo al momento di dipolo. ⃗ come la difDimostrazione: osserviamo che è possibile scrivere il campo E ⃗ ⃗ ⃗ ⃗ ferenza di due vettori E1 ed E2 t.c. E1 // r e E2 è antiparallelo a p⃗. Infatti, decomponendo il momento di dipolo lungo {⃗ur , ⃗uϑ } si ottiene p⃗ = p cos (ϑ) ⃗ur − p sin (ϑ) ⃗uϑ ⇐⇒ p sin (ϑ) ⃗uϑ = p cos (ϑ) ⃗ur − p⃗. ⃗ l’espressione appena determinata si ha Sostituendo in E ⃗ E = = 2kp cos (ϑ) ⃗ur + r3 3kp cos (ϑ) ⃗ur − r3 k 2kp k [p sin (ϑ) ⃗uϑ ] = 3 cos (ϑ) ⃗ur + 3 [p cos (ϑ) ⃗ur − p⃗] = 3 r r r k . ⃗ ⃗ 2. p⃗ = E1 + E r3 18 Da questo fatto la tesi segue immediatamente osservando i punti sull’asse sono t.c. ϑ ∈ {0, 2π}, mentre i punti sul piano mediano sono caratterizzati dal fatto che ϑ = ± π2 . Teorema [Ue del dipolo]: l’energia potenziale elettrostatica di un dipolo {q, −q} è data da ⃗ = −p E cos (ϑ), Ue = −⃗ p·E ⃗ dove p⃗ = q ⃗a è il momento di dipolo e ϑ è l’angolo tra i due vettori p⃗ ed E. Dimostrazione: sia V il potenziale del dipolo. La sua energia potenziale elettrostatica è allora determinata dalla differenza di potenziale tra le due cariche. Si ha pertanto Ue = q [V (x + ax , y + ay , z + az ) − V (x, y, z)] , dove (x, y, z) è la posizione della carica −q, (x + ax , y + ay , z + az ) è la posizione della carica q, e ⃗a = (ax , ay , az ) è il vettore congiungente le due cariche. Utilizzando l’approssimazione di dipolo (assumendo cioè |ax |, |ay |, |az | ≪ 1) è possibile approssimare tale espressione nel modo seguente Ue ≈ q [V (x + ax , y + ay , z + az ) − V (x, y, z)] ≈ [ ] ⃗ · ⃗a − V (x, y, z) = q ∇V ⃗ · ⃗a = q V (x, y, z) + ∇V = ⃗ · (q ⃗a) = ∇V ⃗ · p⃗ = −E ⃗ · p, ∇V = che è la tesi. 4.2 Dipolo in un campo esterno Segue un’analisi della forza totale risultante sul dipolo dall’azione di un campo elettrico esterno. Per comodità dividiamo quest’analisi in due casi. 4.2.1 Forza risultante sul dipolo ⃗ uniforme • E Essendo un dipolo un sistema costituito di soli due punti, per studiare la forza totale è sufficiente studiare le forze agenti sui due singoli punti che costituiscono il sistema, ovvero le due cariche. Siano allora ⃗ F⃗1 = −q E e ⃗ F⃗2 = q E Essendo la forza totale la somma vettoriale di tutte le forze segue facilmente che F⃗tot = F⃗1 + F⃗2 = ⃗0. Quindi la forza totale agente sul dipolo è nulla. Questo risultato non deve però trarre in inganno, infatti affermiamo ora (senza dimostrarlo) che il momento delle due forze F⃗2 e F⃗2 non cambia se sposto il polo. Assumendo 19 che ciò sia vero studiamo il momento delle due forze supponendo che il polo sia il centro O del dipolo. In questa ipotesi il momento totale della forza agente sul dipolo è ⃗ M ⃗1 +M ⃗ 2 = ⃗r1 × F⃗1 + ⃗r2 × F⃗2 = (⃗r2 − ⃗r1 ) × F⃗2 = ⃗a × F⃗2 = = M ⃗ = p⃗ × E ⃗ = ⃗a × (q E) =⇒ ⃗ | = p E sin (α), |M ⃗ Segue quindi che per quasi tutti dove α è l’angolo tra i due vettori p⃗ e E. gli α il momento angolare è non nullo, ed avviene quindi una torsione. Ciò ⃗ e il momento di dipolo p⃗ hanno non accade solamente quando il campo E la stessa direzione, ovvero quando α = 0 (equilibrio stabile), o quando α = 2π (equilibrio instabile). ⃗ non uniforme • E Utilizzando come sempre l’approssimazione di dipolo osserviamo che se in ⃗ possiamo affermare che (a meno di tale approssimazione) −q il campo è E, ⃗ + dE. ⃗ Le due forze agenti sulle cariche hanno allora la in q il campo è E forma ( ) ⃗ e F⃗2 = q E ⃗ + dE ⃗ , F⃗1 = −q E da cui segue che la forza totale agente sul dipolo è ( ) ⃗ ⃗ ⃗ ⃗ ⃗ ⃗ ∂ E ∂ E ∂ E ∂E ∂E ∂E ⃗ =q F⃗tot = q dE ax + ay + az = px + py + pz , ∂x ∂y ∂z ∂x ∂y ∂z ovvero, esprimendo F⃗tot nelle sue componenti cartesiane ∂Ex ∂Ex ∂Ex ⃗ Ftotx = ∂x px + ∂y py + ∂z pz = ∇Ex · p⃗ ∂Ey ∂Ey ∂Ey ⃗ y · p⃗ px + py + pz = ∇E Ftoty = ∂x ∂y ∂z ∂Ez ∂Ez ∂Ez ⃗ z · p⃗ Ftotz = px + py + pz = ∇E ∂x ∂y ∂z Avrei potuto equivalentemente sfruttare il teorema precedente partendo dalle equazioni di Maxwell per il campo elettrostatico: ⃗ tot E ⇐⇒ F⃗tot = = ⃗ ⇐⇒ −∇V ( ) ( ) ⃗ −⃗ ⃗ =∇ ⃗ p⃗ · E ⃗ =∇ ⃗ (px Ex + py Ey + pz Ez ) , −∇ p·E 20 ovvero, esprimendo Ftotx Ftoty Ftotz F⃗tot nelle sue componenti cartesiane = = = ⃗ ∂Ey ∂Ez ∂E ∂Ex px + py + pz = · p⃗ ∂x ∂x ∂x ∂x ⃗ ∂Ex ∂Ey ∂Ez ∂E px + py + pz = · p⃗ ∂y ∂y ∂y ∂y ⃗ ∂Ex ∂Ey ∂Ez ∂E px + py + pz = · p⃗ ∂z ∂z ∂z ∂z I due sistemi, in apparenza diversi, sono in realtà uguali. Per convincersee basta osservare che le derivate miste sono uguali. Quindi in generale la forza risultante agente sul dipolo può essere scritta in modo compatto nella forma ( ) ⃗ p⃗ · E ⃗ F⃗tot = ∇ ⃗ In questo semplice ma importante caso particolare, • Caso particolare: p⃗ //E utilizzando l’espressione della forza totale appena trovata, segue immediatamente che ( ) ( ) ⃗ p⃗ · E ⃗ = p∇ ⃗ |E| ⃗ ⃗ sono concordi), F⃗tot = ∇ (se p⃗ ed E ( ) ( ) ⃗ p⃗ · E ⃗ = −p ∇ ⃗ |E| ⃗ ⃗ sono discordi). F⃗tot = ∇ (se p⃗ ed E Esempi [Forza risultante su un dipolo]: i seguenti esempi mostrano alcune situazioni particolari in cui la forza totale ha una forma non del tutto ovvia. • Siano disposte lungo l’asse x una carica q > 0 (nell’origine) e un dipolo posto a destra di essa con carica −q avente ascissa x > 0 e carica q avente ascissa y > x. Allora la forza totale agente sul dipolo non è nulla ma attrae il dipolo verso la carica posta nell’origine. • In un piano sia posta una carica q nell’origine e sia posto nel semipiano x > 0 un dipolo avente centro sull’asse x, avente momento di dipolo parallelo all’asse y, e tale che la carica positiva si trovi nel semipiano y > 0. Allora la forza totale risultante è rivolta verso l’alto (è cioè anch’essa parallela all’asse y). Se viceversa la carica negativa fosse stata posta nel semipiano y > 0 la forza risultante sarebbe stata rivolta verso il basso (cioè antiparallela all’asse y. • Nello spazio tridimensionale si consideri un piano indefinito uniformemente carico. Si ponga un dipolo su una retta ortogonale al piano. Essendo il campo generato dal piano costante, si ha che la forza totale agente sul dipolo è nulla. 21 5 Teoremi di Gauss e della Divergenza 5.1 Teorema di Gauss Definizione [Flusso]: sia Σ una superficie di R3 , sia ⃗un il versore normale alla ⃗ ∈ C ∞ (R3 , R3 ). Si definisce flusso del campo vettoriale E ⃗ superficie Σ, e sia E attraverso la superficie Σ la quantità ∫ . ⃗ ⃗ · ⃗un dΣ. Φ(E) = E Σ ⃗ · ⃗un > 0 si dice che il flusso è uscente. Se E ⃗ · ⃗un < 0 si dice Nei punti in cui E che il flusso è entrante. Definizione [Superficie chiusa]: si consideri su R3 la topologia euclidea standard. Si dice che Σ ⊆ R3 è una superficie chiusa se Σ è una superficie compatta, connessa, senza bordo e orientabile3 . Convenzione [Superficie chiusa]: se il flusso è calcolato attraverso una superficie chiusa il versore normale ⃗un viene preso per convenzione con verso uscente da essa. ⃗ = 0, allora Φentrante = Φuscente . Osservazione [Flusso]: se ΦΣ (E) Teorema [di Gauss]: enunciamo qui il risultato nei due casi della gravitazione e dell’elettrostatica per una distribuzione discreta. ⃗ il campo gravitazionale generato da una massa m = ∑N mi : • Sia G i=1 ⃗ = −G m ⃗ur . G r2 n ∑ ⃗ = 4π G =⇒ Φ(G) mi , i=1 dove n ≤ N e le mi sono le masse contenute in Σ. ⃗ il campo elettrostatico generato da una carica q = ∑N qi : • Sia E i=1 ⃗ = k q ⃗ur . E r2 n ∑ ⃗ = 4π k =⇒ Φ(E) qi , i=1 dove n ≤ N e le qi sono le cariche contenute in Σ. 3 Si ricorda che per il Teorema di classificazione delle superfici una superficie siffatta è omeomorfa ad una sfera o ad un n-toro. 22 5.1.1 Dimostrazione del Teorema di Gauss Definizione 1 [Angolo solido]: sia data S ⊆ R3 una superficie sferica di raggio . R centrata nell’origine. Si definisce angolo solido la quantità Ω = A/R2 , dove A l’area della porzione di superficie sferica (che deve essere connessa) vista sotto l’angolo Ω. La sua unità di misura sono gli steradianti. Oservazione 1 [Angolo solido]: la nozione di angolo solido vuole essere un estensione nello spazio tridimensionale della nozione di angolo definita usualmente nel piano come rapporto tra l’arco di una circonferenza ed il suo raggio. Esempio 1 [Angolo solido della sfera]: ci si potrebbe chiedere quanto vale l’angolo solido sotteso da tutte la sfera. In tale caso si avrebbe Ω = (4π r2 )/r2 = 4π. Si osservi che questo valore è l’equivalente tridimensionale dell’angolo giro, ovvero dell’angolo sotteso da tutta la circonferenza. si ha in questo caso ϑ = (2πr)/r = 2π. Definizione 2 [Angolo solido]: è possibile dare in modo formale una definizione di angolo solido in termini infinitesimi. Data una superficie infinitesima dΣ, e la sua proiezione dΣ0 ortogonale al raggio uscente da un punto O e passante per dΣ, si chiama angolo solido la quantità dΩ = dΣ cos (α) dΣ0 = 2 , 2 r r dove si è indicato con α l’angolo che il versore radiale forma col versore normale alla superficie nel punto. Oservazione 2 [Angolo solido]: con questa definizione formale è possibile recuperare la definizione iniziale di angolo solido e, in effetti, estenderla a qualunque superficie in R3 , e non solo alla sfera. Si osservi a riguardo che la natura infinitesima della definizione di angolo solido permette di pensare un qualunque elemento di superficie dΣ come l’elemento di superficie sferica dΣ0 su cui essa si proietta. Calcolando sempre in modo formale l’area di dΣ0 si ottiene 0 dΣ0 = r2 sin (ϑ) dϑ dφ e di conseguenza dΩ = dΣ r 2 = sin (ϑ) dϑ dφ. Per una superficie finita Σ l’angolo solido è dato dall’integrale doppio ∫ ∫ Ω= dΩ = sin (ϑ) dϑ dφ. Σ Σ Esempio 2 [Angolo solido]: alla luce di questa definizione l’Esempio 1 si può generalizzare a qualunque superficie chiusa. Infatti data una qualunque superficie chiusa Σ, l’angolo solido sotteso dall’intera superficie è: ∫ ∫ π 2π π Ω= sin (ϑ) dϑ dφ = [φ]φ=0 sin (ϑ) dϑ = 2π [− cos (ϑ)]ϑ=0 = 4π. Σ 0 ⃗ il campo generato da una carica puntiforme q. Allora Proposizione: sia E ⃗ dipende solo dall’angolo solido e non dalla superficie né il flusso del campo E 23 dalla sua distanza dalla carica. Dimostrazione: data una qualunque superficie Σ dalle definizione precedenti segue la catena di uguaglianze ∫ ∫ ∫ 1 1 ⃗ ⃗ · ⃗un dΣ = k q Φ(E) = E ⃗ u · ⃗ u dΣ = k q cos (α)dΣ = n 2 r 2 r r Σ Σ Σ ∫ ∫ 1 = kq dΩ = k q Ω. dΣ = k q 0 2 Σ r Σ ⃗ il campo generato Teorema [Flusso attraverso una superficie chiusa]: sia E da una carica puntiforme q. Sia Σ una superficie chiusa, allora i) ii) se q è all’interno di Σ =⇒ se q è all’esterno di Σ =⇒ ⃗ = Φ(E) q = cost ε0 ⃗ =0 Φ(E) Dimostrazione: per dimostrare la i) basta sfruttare la proposizione appena dimostrata nel caso di una superficie chiusa. Ne segue che ∫ ⃗ · ⃗un dΣ = k q Ω = k q 4π = q . ⃗ = E Φ(E) ε0 Σ Per dimostrare la ii) si faccia riferimento alla figura seguente. Si consideri un cono infinitesimo con vertice sulla carica che intersechi Σ in dΣ1 e dΣ2 . Essendo il flusso del campo elettrico generato da q funzione del solo angolo solido il contributo infinitesimo dato al flusso dalle due superfici infinitesime dΣ1 e dΣ2 è dΦ1 = −kqdΩ, dΦ2 = kqdΩ, ovvero ⃗ = dΦ1 + dΦ2 = 0. dΦ(E) Integrando sull’intero angolo solido sotteso a Σ si ha quindi la tesi. 24 ⃗ il campo generato da un sistema di Corollario [Teorema di Gauss]: sia E cariche puntiformi q1 , . . . , qn . Sia Σ una superficie chiusa, allora ⃗ = Φ(E) n 1 ∑ qi . ε0 i=1 Se la carica è distribuita in modo continuo su B ∈ R3 , detta ρ la sua densità di carica, si ha ∫ ⃗ = 1 ρ dB. Φ(E) ε0 B 5.2 Teorema della Divergenza e applicazioni ⃗ un campo qualunque e sia Σ = ∂B una Teorema [della Divergenza]: sia E superficie chiusa. Allora ∫ ∫ . ⃗ ·E ⃗ dB. ⃗ ⃗ ∇ E · ⃗un dΣ = Φ(E) = B Σ Corollario: nelle ipotesi del Teorema della Divergenza, supponendo che il ⃗ sia generato da una distribuzione continua di carica di densità ρ, si ha campo E ⃗ ·E ⃗ = ρ ∇ ε0 Dimostrazione: dal teorema della divergenza segue ∫ ∫ ∫ ∫ (Gauss) q 1 ρ ⃗ ⃗ ⃗ E · ⃗un dΣ = ∇ · E dB = = ρ dB = dB ε ε ε 0 0 Σ B B B 0 ∀B ∈ R3 , da cui segue immediatamente la tesi. Osservazione: un modo operativamente proficuo per utilizzare i risultati finora ottenuti in problemi di elettrostatica è il seguente. Con ragionamenti qualitativi si cerca di determinare la direzione e il verso del campo (magari grafica⃗ ed infine, se richiesto, si mente), poi utilizzando la legge di Gauss si ricava E, ∫B ⃗ ⃗ · ds. può calcolare il potenziale e.g. da VB − VA = E A 5.3 Equazioni di Maxwell per l’elettrostatica Osservazione [Equazioni di Maxwell per l’elettrostatica]: il teorema che segue raccoglie i risultati derivanti dalla conservatività del campo elettrostatico, dai teoremi del flusso, di Gauss e della divergenza in quattro equazioni: due di carattere differenziale (i.e. locale) e due di carattere integrale. ⃗ un campo eletTeorema [Equazioni di Maxwell per l’elettrostatica]: sia E trostatico. Allora 25 • Irrotazionalità e conservatività I ⃗ = 0, ⃗ · ds E c dove c è una curva chiusa. Localmente il risultato è esprimibile nella forma ⃗ ×E ⃗ = 0. ∇ • Teorema di Gauss ∫ ⃗ · ⃗un dΣ = 1 E ε0 Σ ∫ ρ dB. B Lo stesso risultato si può esprimere in forma locale come ⃗ ·E ⃗ = ρ. ∇ ε0 5.4 Calcolo di campo e potenziale di distribuzioni di carica notevoli Esempi 1. Sfera cava (i.e. superficie sferica) con densità superficiale di carica σ uniforme. Sia R il raggio della sfera. Da una semplice analisi è immediato convincersi che il campo sia diretto radialmente rispetto al centro della sfera, i.e. ⃗ = E(r) ⃗ E = E ⃗ur , e sia da esso uscente. Studiamo allora l’andamento del campo (e del potenziale) in funzione del raggio. • Se r ∈ [ 0, R ) =⇒ E = 0 (dal Teorema di Gauss) =⇒ V = cost • Se r ≥ R Applichiamo di nuovo il teorema di Gauss. Si consideri una superficie sferica Sr concentrica a quella data e di raggio r ≥ R. Il flusso 26 attraverso Sr è dato da ∫ ∫ q ⃗ E(r) · ⃗un dSr = E(r) ⃗ur · ⃗un dSr = = | {z } ε0 Sr Sr =1 ∫ = E(r) dSr = E(r) 4πr2 ⇐⇒ Sr [ ] 1 σ 4πR2 1 q = q = σ · Area(S ) = 2 = ⇐⇒ E(r) = R 2 r 4πε0 r 4πε0 σ R2 = ε0 r2 ∫ r ∫ +∞ ⃗ = ⃗ · ds =⇒ V (r) = − E E dξ = +∞ = σR ε0 r ∫ 2 +∞ r 1 σ R2 dξ = ξ2 ε0 [ ]+∞ 1 − = ξ ξ=r 2 = σ R ε0 r Grazie a questa analisi è possibile inoltre calcolare il valore del potenziale e.g. quando r ∈ [ 0, R ]. Infatti si ha che ∀r ∈ [ 0, R ], V (r) = cost = V (R), da cui è possibile in definitiva dedurre: se r ∈ [ 0, R ) 0 2 E(r) = σ R se r ∈ [ R, +∞ ) ε0 r2 σR se r ∈ [ 0, R ] ε 0 V (r) = 2 σ R se r ∈ [ R, +∞ ) ε0 r È importante osservare quanto segue. La carica totale presente sulla superficie sferica è q = σ · Area(SR ). Sostituendo questo valore nelle espressioni del campo e del potenziale determinati sopra otteniamo allora queste formule se r ∈ [ 0, R ) 0 E(r) = q k se r ∈ [ R, +∞ ) r2 q se r ∈ [ 0, R ] k R V (r) = kq se r ∈ [ R, +∞ ) r 27 Ovvero sia il campo sia il potenziale a distanza r ≥ R dal centro sono uguali a quelli generati da una carica puntiforme e posta nel centro della sfera, cioè per r ≥ R è come la carica fosse tutta addensata nel centro. 2. Sfera piena con densità volumetrica di carica ρ uniforme. Sia R il raggio della sfera. Da una semplice analisi è immediato convincersi che il campo sia diretto radialmente rispetto al centro della sfera, i.e. ⃗ = E(r) ⃗ E = E ⃗ur , e sia da essa uscente. Studiamo allora l’andamento del campo (e del potenziale) in funzione del raggio. • Se r ∈ [ 0, R ] Applichiamo il teorema di Gauss. Si consideri una superficie sferica Sr concentrica a quella data e di raggio r ≥ R. Con considerazioni analoghe a quelle dell’esempio precedente è facile concludere che il flusso attraverso Sr è dato da q ε0 = E 4πr2 ⇐⇒ [ ] 1 ρ 4 πr3 1 q = q = ρ · V ol(S ) = 2 3 = ⇐⇒ E(r) = r 2 r 4πε0 r 4πε0 ρ = r 3 ε0 ∫ R ∫ R ρ =⇒ ∆V = V (r) − V (R) = E dξ = ξ dξ = 3 ε0 r r ρ (R2 − r2 ) = 6 ε0 ρ =⇒ V (r) = V (R) + (R2 − r2 ), 6 ε0 dove la quantità V (R) è da determinare (lo faremo più avanti). • Se r ≥ R q ε0 = E 4πr2 ⇐⇒ [ ] 1 q 1 ρ 43 πR3 ⇐⇒ E(r) = = q = ρ · V ol(S ) = = R r2 4πε0 r2 4πε0 ρ R3 1 = 3 ε0 r 2 ∫ +∞ ∫ R ρ R3 1 =⇒ V (r) = E dξ = dξ = 2 3 ε ξ 0 r r ρ R3 1 = , 3 ε0 r 28 da cui si può calcolare il valore di V (R). In definitiva si ha ρ se r ∈ [ 0, R ] 3 ε0 r E(r) = ρ R3 1 se r ∈ [ R, +∞ ) 3 ε0 r 2 ρ 2 2 6 ε0 (3R − r ) se r ∈ [ 0, R ] V (r) = ρ R3 1 se r ∈ [ R, +∞ ) 3 ε0 r Analogamente a quanto visto nel caso della superficie sferica discusso precedentemente, detta ( ) 4 q =ρ· π R3 3 la carica totale presente sulla sfera, si ha q se r ∈ [ R, +∞ ) E(r) = k 2 r q se r ∈ [ R, +∞ ) V (r) = k r Ovvero sia il campo sia il potenziale a distanza r ≥ R dal centro si comportano come se la carica fosse tutta addensata nel centro della sfera. 3. Cilindro pieno indefinito con densità volumetrica di carica ρ uniforme. Sia R il raggio del cilindro carico. È immediato convincersi che le linee di forza del campo sono semirette giacenti sui piani ortogonali all’asse ⃗ del cilindro, ed uscenti radialmente da esso. Studiamo il modulo di E. Consideriamo una superficie cilindrica coassiale con il cilindro dato, di altezza h e raggio r. • Se r ∈ [ 0, R ] q ε0 = ⇐⇒ E(r) = =⇒ V (r) = E 2π h r ⇐⇒ q 1 ρ π r2 h 1 ρ = = r ε0 2π h r ε0 2π h r 2 ε0 ∫ R ρ ρ V (R) + ξ dξ = V (R) + (R2 − r2 ) 2 ε0 r 4 ε0 • Se r ≥ R q ε0 = E 2π h r ⇐⇒ ⇐⇒ E(r) = =⇒ V (r) = 1 ρ π R2 h 1 ρ R2 1 q = = ε0 2π h r ε0 2π h r 2 ε0 r ( ) 2 ∫ R ρR 1 ρ R2 R V (R) + dξ = V (R) + log 2 ε0 r ξ 2 ε0 r 29 Rimane cosı̀ definito V (r) a meno di una costante additiva V (R). Ponendo V (R) = 0 si ottiene ρ se r ∈ [ 0, R ] 2 ε0 r E(r) = ρ R2 1 se r ∈ [ R, +∞ ) 2 ε0 r ρ 2 2 se r ∈ [ 0, R ] 4 ε0 (R − r ) V (r) = (r) ρ R2 − se r ∈ [ R, +∞ ) log 2 ε0 R 4. Piano indefinito con densità superficiale di carica σ uniforme. È immediato osservare che le linee di forza del campo sono semirette us⃗ Consideriamo centi dal piano, ortogonali ad esso. Studiamo il modulo di E. una superficie cilindrica con asse ortogonale al piano dato. Chiaramante il flusso della superficie è non nullo solo sulle basi del cilindro. Sia S l’area di base. Sfruttando ancora una volta il teorema di Gauss si ottiene q = E 2 S ⇐⇒ ε0 q σS σ ⇐⇒ E = = = = cost. 2 S ε0 2 S ε0 2 ε0 Detta x la distanza dal piano, segue immediatamente che ∀A, B ∈ R3 vale VB − VA = E (xB − xA ) = σ (xB − xA ) 2 ε0 Fatto [Simmetria radiale]: si può dimostrare che in caso di simmetria radiale (e.g. tutti gli esempi visti sopra) vale la relazione ( ) ⃗ ·E ⃗ = 1 d r2 E ∇ 2 r dr Esempio [Simmetria radiale]: si consideri la sfera piena trattata in dettaglio nell’Esempio 2, abbiamo calcolato che ρ se r ∈ [ 0, R ] 3 ε0 r E(r) = ρ R3 1 se r ∈ [ R, +∞ ) 3 ε0 r 2 Dal fatto appena enunciato possiamo quindi calcolare la divergenza del campo in modo molto semplice. Si ha ρ ( ) se r ∈ [ 0, R ] ε0 ⃗ ·E ⃗ (r) = ∇ 0 se r ∈ [ R, +∞ ) 30 6 6.1 Conduttori in equilibrio elettrostatico Equilibrio elettrostatico Definizione [Conduttore, equilibrio elettrostatico]: si consideri su R3 la topologia euclidea standard. Modellizziamo un conduttore nello spazio come una varietà topologica C ⊆ R3 di dimensione 3 compatta, connessa e orientabile. Diciamo che C è in equilibrio elettrostatico se il campo elettrostatico della parte . ⃗ ⃗ ◦ = interna di C è nullo (i.e. E| Eint = ⃗0). C Assioma [Equilibrio elettrostatico]: un conduttore isolato tende spontaneamente ad evolvere verso lo stato di equilibrio elettrostatico. Osservazione [Conduttori in equilibrio elettrostatico]: sia C un conduttore carico in equilibrio elettrostatico con superficie di bordo esterna Σ. Dal teorema ⃗ int = ⃗0, segue che ∑ qint = 0, quindi in un di Gauss, avendo come ipotesi E conduttore carico in equilibrio elettrostatico l’eccesso di carica si distribuisce sulla superficie esterna Σ. 6.2 Teorema di Coulomb e applicazioni Teorema [di Coulomb]: sia C un conduttore carico in equilibrio elettrostatico con ∂C = Σ. Allora il campo elettrostatico da esso generato è nullo all’interno ed è costante, pari a ⃗ = σ ⃗un E ε0 sulla superficie esterna Σ, dove σ e ⃗un sono rispettivamente la densità superficiale di carica e il versore normale di Σ. ◦ . ⃗ ≡ 0 su C è immediato concludere che Vint = V |◦ = Dimostrazione: da E C ◦ cost, infatti ∀P, Q ∈ C si ha ∫ Q ⃗ =0 ⃗ · ds E VP − VQ = =⇒ Vint = cost. P Vogliamo ora dimostrare che anche V |Σ = cost. Infatti per la continuità di V si ha che ∀x̃ ∈ Σ esiste il limite (∗) lim V (x) = lim V (x) = cost, x→x̃ ◦ | {z } x→x̃ =V (x̃) x∈C dove (∗) vale per l’unicità del limite. Abbiamo cosı̀ dimostrato che Σ è una superficie equipotenziale. Ricordando quindi che le linee di campo sono sempre ⃗ ha direzione ortogonali ad una superficie equipotenziale, segue che il campo E ⃗un . Dimostriamo ora che il modulo del campo è costante e pari a σ/ε0 . Per ogni 31 punto P della superficie si approssimi localmente Σ con il suo piano tangente T in quel punto. Si ponga su tale piano una superficie cilindrica C in modo che il suo asse passi per P , sia ortogonale a T , e che le due superfici circolari di base siano equidistanti dal piano tangente. Ragioniamo sul flusso attraverso C. ⃗ int = 0 si ha che il flusso attraverso parte di superficie cilindrica imEssendo E mersa dentro C è anch’esso nullo. Essendo poi il versore normale alla superficie ⃗ laterale ortogonale al campo in ogni punto, si ha in definitiva che il flusso di E attraverso C è diverso da zero soltanto sulla superficie di base esterna Sest . Dal teorema di Gauss segue quindi che ⃗ = E Sest = Φ(E) q σ Sest = ε0 ε0 ⇐⇒ E= σ , ε0 per ogni punto di Σ, da cui la tesi. Esempio [Sfera]: sia S una sfera piena carica di raggio R, in equilibrio ⃗ int = 0. Dal teorema di Coulomb si deduce inoltre che elettrostatico. Si ha E ⃗ E(R) = σ/ε0 ⃗ur , come se si trattasse di una superficie sferica cava uniformemente carica di densità superficiale di carica σ. Esempio [Sfera-filo-sfera]: si consideri un conduttore C costruito unendo tramite un filo due sfere piene cariche S1 ed S2 di raggi rispettivamente R1 < R2 . Si supponga che non ci sia induzione elettrostatica tra le sfere. Siano V1 e V2 rispettivamente i potenziali elettrostatici di S1 e di S2 . Come evidenziato nella dimostrazione del teorema di Coulomb, in un conduttore in equilibrio elettrostatico si ha V |C = cost. Ricordando quindi il valore del potenziale elettrostatico di una superficie sferica cava uniformemente carica, si ha quindi V1 = V2 ⇐⇒ R1 σ1 R2 σ2 = ε0 ε0 ⇐⇒ ⇐⇒ R1 σ1 = R2 σ2 ⇐⇒ R2 σ1 (1) E1 = = > 1, R1 σ2 E2 dove (1) segue dal teorema di Coulomb. Concludiamo pertanto che il campo è maggiore sulla sfera con raggio minore. Convenzione [Potenziale della terra]: si pone per convenzione V (terra) = 0. Fatto [Equazione di Laplace]: per determinare la distribuzione superficiale di carica di un conduttore si deve risovere l’equazione di Laplace per il potenziale, ovvero ∂2V ∂2V . ∂2V + + =0 ∇2 V = 2 2 ∂x ∂y ∂z 2 Dimostrazione: un’idea della dimostrazione è la seguente. Si consideri un ⃗ con divergenza ∇ ⃗ ·E ⃗ = ρ/ε0 (si pensi ad esempio ai campo elettrostatico E ⃗ = −∇V ⃗ , da cui campi a simmetria radiale). Dalla legge di Maxwell segue E 32 ⃗ · ∇V ⃗ = −∇2 V = ρ/ε0 , che è detta equazione di Poisson. Essendo si ha −∇ nello spazio vuoto ρ = 0, dall’equazione di Poisson si deduce immediatamente l’equazione di Laplace ∇2 V = 0. Esempio [Conduttore isolato]: supponiamo di avere un conduttore C isolato ⃗ est si vere scarico in equilibrio elettrostatico. Se si applica un campo esterno E ifica l’induzione elettromagnetica, avendosi pertanto una separazione di cariche all’interno di C . Aspettando una quantità di tempo sufficiente a ristabilire l’e⃗ ind avrà quilibrio elettrostatico del conduttore si avrà che il campo indotto E stessa direzione e modulo del campo esterno, ma verso opposto. Infatti, doven⃗ int = 0, ed essendo il conduttore sotto l’azione di una campo esterno do essere E ⃗ int = E ⃗ est + E ⃗ ind = 0, da cui segue E ⃗ ind = −E ⃗ est ̸= 0. non nullo, si ha E Esempio [Conduttore cavo]: supponiamo di avere un conduttore cavo C isolato e carico in equilibrio elettrostatico. Si immagini ad esempio un conduttore sferico con una cavità sferica concentrica ad esso. Pensiamo C come ◦ C = Cpieno \C cav . Utilizzando il solito argomento osserviamo che presa una qualunque superficie chiusa attorno alla cavità Ccav , dalla condizione di equilibrio elettrostatico più il Teorema di Gauss segue che la somma della cariche contenute nello spazio racchiuso da tale superficie è nulla. Dall’arbitrarietà di tale scelta si ha pertanto che la somma delle cariche presenti in Ccav è nulla. In particolare ciò è vero per la superficie interna ∂Ccav . Un ulteriore prova di tale fatto può essere data considerando una qualunque curva chiusa c che intersechi sia C che Ccav . Sia ad esempio c data dall’unione di due curve c = ccond ∪ ccav , con ccond ⊆ C e ccav ⊆ Ccav . Si ha che la tensione elettrica lungo c è data da ∫ ∫ ∫ . ⃗ ⃗ ⃗ ⃗ ⃗ ⃗ · ds, Tc = Tccond + Tccav = E · ds + E · ds = E ccond ccav ccav | {z } =0 ⃗ int = 0). dove l’integrale è nullo perché C è in equilibrio elettrostatico (i.e. E Se ci fosse per assurdo una divisione di cariche nel conduttore e nella cavità, si ⃗ C ̸= 0. Dall’espressione appena ricavata seguirebbe quindi Tc ̸= 0, avrebbe E| cav in contraddizione con la natura conservativa del campo. In conclusione quindi un conduttore in equilibrio elettrostatico non vede le cavità poste al suo interno. Infatti continua ad essere nullo il campo elettrostatico in Ccav e tutto l’eccesso di carica si distribuisce sulla superficie esterna di C , come se fosse C = Cpieno . 6.3 Capacità elettrica di un conduttore Definizione [Capacità elettrica]: sia∫ C un conduttore carico e sia Σ = ∂C la sua superficie di bordo. Detta q = Σ σ(x′ , y ′ , z ′ ) dΣ la carica presente sulla ∫ ′ ′ ′ superficie del conduttore, e detto V (x, y, z) = k Σ σ(x r,y′ ,z ) dΣ il potenziale del campo da essa generato, si definisce capacità elettrica del conduttore C la 33 quantità C= q . V La sua unità di misura è il Farad [F]. Osservazione [Capacità elettrica]: la capacità elettrica di un conduttore C dipende dalla forma e dalle dimensioni di C (Σ), e dal mezzo in cui è posto (σ). Esempio [Capacità di un conduttore sferico]: sia S un conduttore sferico di raggio R con densità superficiale σ uniforme. Allora C= q q R = ε0 · |{z} R q = k = 4π · |{z} V k dimensione mezzo R |{z} f orma 7 7.1 Condensatori Definizioni ed esempi Definizione [Induzione completa]: siano C e D due conduttori agenti l’uno sull’altro tramite induzione elettrostatica. Si chiama induzione completa, quando i due conduttori sono disposti in maniera tale che tutte le linee di campo partono da un conduttore e arrivano sull’altro. Definizione [Condensatore]: si dice condensatore, e si indica con ⊣⊢, un sistema di due conduttori tra i quali vi sia induzione completa. Esempio [Condensatore piano]: si considerino A1 e A2 due piani paralleli inizialmente scarichi posti a distanza d > 0 l’uno dall’altro. Tali piani sono detti armature. Si supponga, ad esempio, di caricare l’armatura A1 con una carica q > 0. Si ha che A1 agisce tramite induzione elettrostatica completa su A2 . Aspettando una quantità sufficiente di tempo, quindi, verrà indotta sull’armatura A2 una carica −q uguale in modulo e opposta in segno alla carica iniziale da⃗ le cui ta ad A1 . Tra le due armature si viene pertanto a creare un campo E linee di campo sono ortogonali ai piani, uscenti da A1 ed entranti in A2 . Il sistema cosı̀ creato risulta allora essere un condensatore, detto condensatore piano. Esempio [Condensatore sferico]: in modo analogo è possibile costruire un condensatore sferico. Siano S1 , S2 , S3 tre sfere piene, concentriche e di raggi rispet. tivamente r1 < r2 < r3 . Si considerino allora il conduttore cavo C = S3 \S2 e il conduttore S1 , che risulta essere posto nella cavità di C . Caricando ad esempio S1 con una carica q > 0, si ha che il sistema costituito da C e S1 risulta essere un condensatore. Le linee di forza del campo indotto sono uscenti radialmente dalla superficie di S1 . 34 Definizione [Capacità di un condensatore]: la capacità elettrica di un condensatore si calcola con la formula q C= , ∆V dove q è la carica presente su una delle due armature, e ∆V è la differenza di potenziale presente tra di esse. 7.2 7.2.1 Tipi di collegamenti Collegamento in parallelo Definizione [Collegamento in parallelo]: siano dati n condensatori C1 , . . . , Cn , si dice che i condensatori sono collegati in parallelo se sono collegati come in figura: Osservazione [Collegamento in parallelo]: collegare n condensatori in parallelo equivale in effetti a definire un nuovo condensatore formato da due soli conduttori (quello superiore e quello inferiore in figura). Siano allora S l’armatura superiore e I l’armatura inferiore di questo nuovo condensatore. Supponiamo che la carica complessiva di S sia q. Per l’induzione completa si ha quindi che la carica complessiva su I è −q e quindi il sistema S,I cosı̀ definito risulta a sua volta un condensatore. Teorema [Ceq parallelo]: siano dati n condensatori C1 , . . . , Cn collegati in parallelo. Allora la capacità elettrostatica del sistema (detta capacità equivalente) è data da: n ∑ Ceq = Ci i=1 Dimostrazione: siano definiti S ed I come nell’osservazione precedente, siano V |S e V |I i rispettivi potenziali dei due conduttori superiore ed inferiore, e siano ∆Vi le differenze di potenziale dei singoli condensatori Ci . È immediato . convincersi che per ogni i si ha ∆Vi = V |S − V |I = ∆V . Per ogni i = 1, . . . , n si ha, per definizione di Ci qi = Ci ∆Vi = Ci ∆V. Sommando membro a membro si ottiene quindi n ∑ i=1 qi = n ∑ i=1 Ci ∆V = ∆V n ∑ Ci i=1 35 ⇐⇒ n ∑ i=1 ∑n Ci = i=1 qi ∆V , ma il secondo membro dell’ultima equazione è per definizione la capacità elettrica totale del sistema Ceq . 7.2.2 Collegamento in serie Definizione [Collegamento in serie]: siano dati n condensatori C1 , . . . , Cn , si dice che i condensatori sono collegati in serie se sono collegati come in figura: Teorema [Ceq serie]: siano dati n condensatori C1 , . . . , Cn collegati in serie. Allora la capacità elettrostatica del sistema è data da: ∑ 1 1 = Ceq Ci i=1 n Dimostrazione: senza perdere in generalità supponiamo che inizialmente l’armatura sinistra di C1 sia stata caricata di carica q > 0, mentre le altre sono scariche. Allora a causa dell’induzione completa l’armatura destra di C1 si carica negativamente di carica −q, mentre l’armatura sinistra di C2 si carica positivamente di carica q. Ragionando in modo induttivo si dimostra facilmente che tutti i condensatori Ci hanno la stessa carica q (sulla loro armatura sinistra). Per i = 0, . . . , n, siano Vi i potenziali sugli (n + 1) conduttori costituenti il sistema. La differenza di potenziale ∆Vi = Vi − Vi−1 dell’i-esimo condensatore è data allora da q Vi − Vi−1 = . Ci Sommando membro a membro si ha che la differenza di potenziale totale è n ∑ n n ∑ ∑ q 1 . =q (Vi − Vi−1 ) = Vn − V0 = ∆V = Ci Ci i=1 i=1 i=1 ⇐⇒ ∆V = q n ∑ 1 C i i=1 ⇐⇒ ∑ 1 ∆V = . q Ci i=1 n ⇐⇒ Riconoscendo ora q come la carica totale presente sul sistema, dall’ultima relazione segue la tesi. 7.3 Energia elettrostatica di un condensatore Teorema [Energia (potenziale) elettrostatica di un condensatore]: sia C un condensatore, sia C la sua capacità elettrica e V il suo potenziale elettrostatico. 36 Detto West il lavoro esterno per spostare della carica da un’armatura ad un’altra, si ha West = ∆U , ove 1 U = CV2 2 Dimostrazione: ricordiamo che nel caso finito il lavoro esterno necessario per disporre n particelle cariche nello spazio è Wn = 1 k 2 ∑ n qi qj 1 ∑ = qi rij 2 i=1 i,j=1,...,n ∑ i̸=j j=1,...,n j̸=i k {z | n 1 ∑ qj = qi Vi . rij 2 i=1 } =Vi La generalizzazione al caso contino richiederà la sostituzione della sommatoria della cariche con un’integrazione estesa da 0 al valore q della carica presente su di un’armatura. Si ragiona nel modo seguete. Supponiamo di voler spostare un elemento di carica dq da un’armatura all’altra sotto l’azione della differenza di potenziale V del condensatore. Il lavoro esterno elementare necessario per compiere quest’azione è dato dalla forma differenziale dWest = V dq = q dq, C integrando tale forma differenziale dallo stato di condensatore scarico (carica nulla) fino ad esaurire tutta la carica q si ottiene quindi ∫ q ′ ∫ q q ′ 1 1 1 1 dq = q ′ dq ′ = q2 = C V 2 . |{z} C 0 C 2 2 0 C =(C V )2 Dalla natura conservativa della forza, è chiaro che si può scrivere West = ∆U = Uf in − Uiniz = Uf in , infatti allo stato iniziale il condensatore è scarico e pertanto l’energia iniziale è nulla. Da quest’ultima uguaglianza segue dunque la tesi. 7.4 Calcolo della capacità elettrica in condensatori particolari Esempio [Condensatore piano]: sia P un condensatore piano di dimensioni limitate, aventi armature di area finita Σ, poste a distanza d l’una dall’altra. Supponiamo di caricare un’armatura di una carica q = σ Σ, dove σ è la densità superficiale di carica. Per quanto visto sullo studio del campo e del potenziale di una superficie piana uniformemente carica, sappiamo che all’interno del conden⃗ = σ/ε0 ⃗ux , e V = E x + cost, da cui possiamo dedurre immediatamente satore E che la differenza di potenziale del condensatore piano è ∆V = E d = 37 σ d, ε0 potendo quindi calcolare immediatamente la capacità elettrica come C= Σ q σΣ = ε0 = ε0 . ∆V σd d Si ha quindi che la capacità elettrica di un condensatore piano aumenta all’aumentare della superficie delle armature e al diminuire della distanza tra esse. Esempio [Condensatore sferico]: sia S un condensatore sferico di raggi R1 < R2 < R3 . Supponiamo di aver caricato la sfera più interna di una carica q. Per il principio di sovrapposizione e sfruttando la conoscenza del potenziale di una superficie sferica uniformemente carica è possibile determinare facilmente il potenziale del condensatore come ) ( 1 1 1 − + se r ∈ [ 0, R1 ] kq R1 R2 R3 ( ) 1 1 1 − + k q se r ∈ [ R1 , R2 ] r R2 R3 V (r) = ( ) 1 1 1 kq kq − + = se r ∈ [ R2 , R3 ] r r R R 3 3 kq se r ∈ [ R3 , +∞ ) r La differenza di potenziale risulta quindi essere ( ) 1 1 R2 − R1 ∆V = V (R1 ) − V (R3 ) = k q − = kq , R1 R2 R1 R2 dalla quale si può infine calcolare la capacità elettrica come C= q R1 R2 4π ε0 R1 R2 =q = . ∆V k q (R2 − R1 ) R2 − R1 Si ha quindi che la capacità elettrica di un condensatore piano aumenta all’aumentare dei raggi delle armature e al diminuire della distanza tra esse. Esempio [Condensatore cilindrico]: sia C un condensatore cilindrico, formato cioè da due superfici cilindriche coassiali di raggi R1 < R2 . Sia d = R2 − R1 la distanza tra esse e sia h la comune altezza. Si facciano le seguenti assunzioni su R1 , R2 , d ed h: • d ≪ R1 , e d ≪ R2 , cioè R1 ≈ R2 (vogliamo cioè che le due superfici cilindriche siano molto vicine); • h ≫ R1 , e h ≫ R2 (vogliamo cioè che l’altezza sia molto grande, idealmente infinita, per poter avere l’induzione completa). 38 Al fine di determinare la differenza di potenziale del condensatore ∫ R2 ∆V = V (R2 ) − V (R1 ) = E dr, R1 calcoliamo il valore del campo per r ∈ [ R1 , R2 ]. Si consideri allora una superficie cilindrica chiusa, coassiale con le due armature, e di raggio R1 ≤ r ≤ R2 . Sfruttando il teorema di Gauss otteniamo q q 1 2π r h E = ⇐⇒ E = , ε0 2π ε0 h r da cui si ricava il valore della differenza di potenziale ( ) ∫ R2 q q 1 R2 d= log ∆V = 2π ε0 h R1 r 2π ε0 h R1 e conseguentemente il valore esatto della capacità elettrica C= 2π ε0 h ( ). 2 log R R1 A questo punto è però possibile utilizzare l’ipotesi aggiuntiva che avevamo fatto su raggi, e distanza dei due cilindri per semplificare notevolmente l’espressione della capacità appena determinata. Dal fatto che d/R1 ≈ 0 possiamo scrivere ( ) ( ) ( ) R2 R1 + d d d log = log = log 1 + ≈ , R1 R1 R1 R1 inoltre, essendo R1 ≈ R2 , anche le aree dei cilidri saranno simili, cioè 2π R2 h ≈ . 2π R1 h = Σ. Alla luce di queste approssimazioni, quindi, si pò riscrivere la capacità elettrica nella forma Σ C = ε0 , d ovvero anch’essa cresce al crescere della superficie del condensatore e al diminuire della distanza tra le due armature. 7.5 7.5.1 Dielettrici e condensatori Capacità elettrica in condensatori piani e sferici Esperimento [Condensatori piani e dielettrici]: abbiamo mostrato che le capacità elettrica (nel vuoto) di un condensatore piano è: C0 = Σ q0 = ε0 , ∆V0 h detta h la distanza tra le armature. Inseriamo ora una lastra di dielettrico di spessore s < h tra di esse. Misurando sperimentalmente la differenza di potenziale, si osserva che ∆V < ∆V0 , ⇐⇒ 39 ∆V0 > 1, ∆V ovvero che essa diminuisce da quella del vuoto. Inoltre si osserva che la differenza di potenziale diminuisce all’aumentare dello spessore della lastra. Ponendo quindi s = h si misurerà quindi una certa differenza di potenziale ∆Vk = ∆Vmin che sarà la minima possibile per un condensatore piano riempito con quel dielettrico. Si osserva infatti che, a temperatura fissata, la quantità V0 /Vk dipende solo dal dielettrico e si pone per tanto V0 . . = k = εr > 1, Vk detta costante dielettrica relativa del dielettrico. Essendo k = k(T ), si è poi dimostrato che ad una temperatura approssimativa T ≈ 300 K si ha k ≈ 1, 00059 per l’aria, k≈4 per la carta, k ≈ 6, 5 per la porcellana. Per quanto visto sul calcolo della capacità elettrica dei condensatori piani si ha ∆V = E h, dove E è il modulo del campo. Supponendo di aver riempito il condensatore di un dielettrico con costante relativa k, si ha quindi Ek = Vk V0 E0 = = < E0 , h kh k poiché k > 1. Si ha quindi che anche l’intensità del campo diminuisce con l’introduzione del dielettrico nel condensatore. La diminuzione di intensità del campo è pari a ( ) ( ) 1 k−1 E0 = E0 1 − = E0 , E0 − Ek = E0 − k k k da cui è possibile riscrivere il campo Ek in funzione di E0 nella forma ( ) ( ) k−1 σ0 σ0 k − 1 Ek = E0 − E0 = − . k ε0 ε0 k Definendo poi densità superficiale della carica di polarizzazione la quantità k−1 . σp = σ0 k si ha Ek = (< σ0 ) , σ0 σp − . ε0 ε0 La definizione di σp deriva dal fatto (provato sperimentalmente) che se sulle armature abbiamo una carica libera q0 , allora sulle facce del dielettrico abbiamo una cosiddetta carica di polarizzazione k−1 . qp = q0 k 40 (< q0 ) . Calcoliamo ora la capacità elettrica relativa del condensatore piano in cui sia stato inserito un dielettrico. Si ha Ck = q0 q0 =k = k C0 ∆Vk ∆V0 (> C0 ) . Definendo poi la costante dielettrica assoluta del dielettrico come ε = k ε0 , si può scrivere ( Ck = k Σ ε0 h ) Σ =ε , h ritrovando un’espressione formale analoga a quella della capacità elettrica di un condensatore piano nel vuoto. Il risultato si può generalizzare ad una lastra di spessore s ≤ h, come si vede nella legge che segue. Legge [Condensatori piani e dielettrici]: si consideri un condensatore piano con piastre di superficie Σ, distanti h l’una dall’altra, e nel quale sia stata inserita una lastra di dielettrico di altezza x ≤ h e costante dielettrica relativa k. La capacità elettrica del condensatore, dopo l’inserimento della lastra, diventa C= ε0 Σ h−x+ x k . Esperimento [Condensatori sferici e dielettrici]: con un’esperienza analoga a quella dei condensatori piani completamente riempiti con dielettrici, ricordando che per un condensatore sferico nel vuoto si ha C0 = 4π ε0 R1 R2 , R2 − R1 C0 = 4π ε R1 R2 . R2 − R1 si può concludere 7.5.2 Energia elettrostatica in condensatori piani Definizione [Condensatore isolato]: sia C un condensatore carico di carica q0 . Si dice che C è isolato se la carica libera q0 è costante (q0 = cost). Definizione [Condensatore collegato ad un generatore]: sia C un condensatore. Si dice che C è collegato ad un generatore (di forza elettromotrice, o di fem) se la differenza di potenziale ∆V0 di C è costante (∆V0 = cost). Teorema [Energia elettrostatica e dielettrici]: sia C un condensatore piano completamente riempito di un dielettrico di costante dielettrica relativa k. A seconda di come viene inserita la lastra di dielettrico, si distinguono due casi: 41 i) se C è isolato, allora – l’energia elettrostatica del condensatore diminuisce con l’inserimento della lastra; – è necessario che le forze del campo spendano un lavoro positivo per attirare la lastra di dielettrico; – l’energia elettrostatica del condensatore dopo l’inserimento della lastra è 1 Uk = ε Ek2 Σ h 2 ii) se C è collegato ad un generatore, allora – l’energia elettrostatica del condensatore aumenta con l’inserimento della lastra; – è necessario che il generatore spenda un lavoro positivo per attirare la lastra di dielettrico; – il lavoro compiuto dal generatore si può scrivere come Wgen = W + ∆Uel , dove W è il lavoro necessario per attirare la lastra e ∆Uel è la variazione di energia elettrostatica del condensatore. Dimostrazione: dimostriamo separatamente i due casi. i) Dal calcolo generale dell’energia elettrostatica di un condensatore sappiamo U = 12 C V 2 = 21 q V . Nel caso in esame a seguito dell’inserimento della lastra di dielettrico rimane q = q0 = cost (poiché il condensatore è isolato), mentre la differenza di potenziale diminuisce come mostrato nell’esperimento precedente. Si ha in definitiva Uk = 1 1 V0 1 q 0 Vk = q 0 = U0 < U0 , 2 2 k k da cui segue che ∆U = Uf in − Uiniz = Uk − U0 < 0, ovvero l’energia elettrostatica del condensatore diminuisce con l’inserimento della lastra. Dalla natura conservativa delle forze elettrostatiche si può inoltre scrivere −∆U = Wel > 0, dove Wel è il lavoro compiuto dalle forza del campo per attirare la lastra di dielettrico. È dunque necessario che tali forze spendano un lavoro positivo per compiere l’operazione. Riprendendo ora l’espressione dell’energia elettrostatica del dielettrico dopo l’inserimento della lastra, abbiamo ( ) 1 1 1 1 Σ ( 2 2) 1 E02 1 2 U0 = C0 V0 = ε0 Σh = E0 h = k ε0 Uk = k k 2 k 2 h 2 k2 1 = ε Ek2 Σ h, 2 42 che è l’ultima parte della tesi. ii) Lavoriamo ora nell’ipotesi in cui V0 = cost. Avendo precedentemente dimostrato che a seguito dell’inserimento in un condensatore di una lastra di dielettrico la capacità elettrica aumenta (ovvero Ck > C0 ), osserviamo quanto segue. Per definizione è qk . q0 C0 = < Ck = . V0 V0 Essendo quindi Vk = V0 costante, deve essere q0 < qk , ovvero il generatore deve fornire al condensatore una quantità di carica ∆q = qk − q0 > 0. Ragioniamo ora sull’energia elettrostatica del condensatore dopo l’inserimento della lastra. Abbiamo Uk = 1 1 Ck V02 = k C0 V02 = k U0 > U0 , 2 2 da cui segue che ∆Uel = Uf in − Uiniz = 1 2 V ∆C > 0, 2 0 ovvero l’energia elettrostatica del condensatore aumenta con l’inserimento della lastra. Consideriamo ora il lavoro effettuato dal generatore per attirare la lastra, esso è Wgen = V0 ∆q = V02 ∆C > 0, quindi è necessario che il generatore spenda un lavoro positivo per attirare la lastra di dielettrico. In virtù della conservatività delle forze in esame è possibile inoltre scrivere Wgen = −∆Ugen = V02 ∆C ⇐⇒ ∆Ugen = −V02 ∆C. Grazie a quest’espressione possiamo ora calcolare la variazione di energia totale del sistema come la quantità ∆Utot = ∆Uel + ∆Ugen = 1 1 2 . V0 ∆C − V02 ∆C = − V02 ∆C = −W, 2 2 dove il lavoro W che compare all’ultimo membro è il lavoro totale necessario ad attirare la lastra. Da quest’ultima relazione si conclude immediatamente Wgen = ∆Uel + W, che conclude la dimostrazione del teorema. 43 7.5.3 Rigidità dielettrica e polarizzazione Definizione [Rigidità dielettrica]: si dice rigidità dielettrica il valore massimo di campo elettrico, espresso in kV /mm (kilovolt su millimetro) che si può applicare all’interno di un dielettrico, prima che questo perda le sue proprietà isolanti. Esempi [Rigidità dielettrica]: alcuni esempi di rigidità dielettrica (espressi in kV /mm) sono i seguenti: aria secca 3 vetro 20 vuoto +∞ Osservazione [Condensatori e dielettrici]: è utile inserire un dielettrico in un condensatore perché aumenta la capacità elettrostatica e la rigidità dielettrica del condensatore4 . Il fatto è che nei problemi concreti si è interessati ad immagazzinare più energia possibile all’interno di un condensatore, da cui la necessità di aumentarne capacità e rigidità. Un’altro fatto da non trascurare è che la presenza di un dielettrico solido tiene le armature alla distanza fissa desiderata senza aver bisogno di operare con forze esterne. Per farsi un’idea di quanta poca energia riesca ad immagazzinare un condensatore si consideri l’esempio seguente. Esempio [Energia accumulabile in un condensatore]: vogliamo costruire un condensatore piano ad aria che accumuli 100 kJ di energia5 . Troviamo quale dev’essere il volume minimo tra le armature. Sfruttiamo la formula trovata nel teorema precedente che esprime la quantità di energia accumulata in un condensatore isolato in cui è stato inserito un dielettrico. Si ha 1 Uk = ε Ek2 Σ h. 2 Nel caso esame sono noti Uk = 100 kJ, ε = k ε0 ≈ 1.00059 ε0 , e E = Emax ≈ 3 kV /mm. Abbiamo scelto proprio il valore della rigidità dielettrica dell’aria perchè il problema ci chiede che il volume sia minimo. Perché ciò accada è ovviamente necessario rendere massima l’intensità del campo. In queste ipotesi quindi si può esplicitare il volume Σ h come Σh = 2 Uk 2 · 100 · 103 ≈ ≈ 2500 m3 . 2 k ε0 Emax 1.00059 · 8.8542 · 10−12 · 9 · 1012 Quindi per accumulare abbastanza energia da tenera accesa una lampadina per 15 minuti sarebbe necessario e.g. un condensatore di forma cubica con lato di 13.5 m. Definizione [Polarizzazione di un dielettrico]: con il termine polarizzazione (elettronica) di un dielettrico si indica la formazione di un dipolo elettrico al4 Dove con rigidità dielettrica del condensatore si intende la rigidità dielettrica del dielettrico posto tra le due piastre. Nelle applicazioni, se non diversamente specificato, si suppone che tra le due piastre ci sia aria secca. 5 L’energia necessaria a tenere accesa una lampadina da 100W per un quarto d’ora. 44 l’interno di esso a causa dell’azione di un campo esterno. Interpretazione fisica [Polarizzazione di un dielettrico]: nei dielettrici (a differenza di quanto accade nei conduttori) tutti gli elettroni sono legati agli atomi da legami molto forti e non se ne allontanano spontaneamente. Per far avvenire la separazione occorre agire dall’esterno, ad esempio tramite lo strofinio con un panno. Se si applica al dielettrico un campo elettrico esterno avviene soltanto uno spostamento locale delle cariche che costituiscono gli atomi. In un atomo di un dielettrico in condizioni normali e in assenza di un campo elettrico esterno la distribuzione degli elettroni è in media simmetrica rispetto al nucleo: essa viene rappresentata come una nube circolare di carica negativa che occupa una zona intorno al nucleo (posto al centro della sfera) di raggio pari alle dimensioni dell’atomo; il baricentro della carica negativa corrisponde con la posizione del ⃗ il centro di massa della nube nucleo positivo. Sotto l’azione di un campo E negativa subisce uno spostamento in verso contrario al campo, il nucleo in verso concorde al campo e si raggiunge una posizione di equilibrio in cui questo effetto è bilanciato dall’attrazione tra le cariche di segno opposto. In tale modo abbiamo ottenuto un dipolo. Definizione [Molecole polari e non]: insiemi di atomi compongono molecole che possono essere divise in due categorie. • Una molecola si dice non polare se non presenta un momento di dipolo intrinseco, ovvero se (presa come sistema isolato) non risulta polarizzata. Una molecola non polare può comunque essere polarizzata tramite polarizzazione elettronica se inserita in un campo elettrico. • Una molecola si dice polare se presenta un momento di dipolo intrinseco, overo se (presa come sistema isolato) risulta polarizzata. Questo accade o per il tipo di legame (per esempio ionico), o per l’asimmetria delle molecole. Si dice in questo caso che la molecola subisce una polarizzazione per orientazione. Esempi [Molecole polari e non]: esempi di molecole non polari sono O2 , N2 . Esempi di molecole polari sono H2 O, NaCl. Osservazione/Definizione [Polarizzazione]: un dielettrico in un campo acquista un momento di dipolo medio microscopico che è parallelo e concorde con il campo. Tale momento di dipolo si indica con < p⃗ >. Definizione [Vettore di polarizzazione]: possiamo rappresentare la polarizzazione elettrica dei dielettrici con un vettore nel modo seguente. Si consideri e posto in un campo esterno E. ⃗ Sia V ⊆ V e un sottoinun dielettrico di volume V e sieme di V contenente ∆N atomi (o molecole). Sia ∆V la misura di V. Definiamo 45 . η = ∆N/∆V. Possiamo allora scrivere la quantità ∆N ∆N ∆⃗ p . 1 ∑ ∆N ∑ p⃗i = p⃗i = = η < p⃗ > . ∆V ∆V i=1 ∆V i=1 ∆N Con queste premesse chiamiamo vettore di polarizzazione e indichiamo con le scritture formali che seguono, la quantità . p⃗ = lim ∆V→0 ∆⃗ p . d⃗ p . dN . < p⃗ > = η < p⃗ > . = = ∆V dV dV e Esempio [Vettore di polarizzazione]: si consideri un dielettrico di volume V. −6 e Sia V ⊆ V di forma cubica, con spigolo di raggio ℓ = 10 m. Si ha ∆V = 10−18 m3 . Supponiamo che sia η = 1025 m−3 . Segue allora che il numero di atomi contenuti in V è ∆N = ∆V η = 107 atomi. Definizione [Omogeneità]: un dielettrico si dice omogeneo se la costante dielettrica relativa k è uguale in ogni suo punto. Definizione [Isotropia]: un dielettrico si dice isotropo se gode di simmetria spaziale in tutte le direzioni, ovvero se le sue molecole non si dispongono secondo una configurazione privilegiata ma omogeneamente entro tutto il proprio volume. Un dielettrico che non sia isotropo si dice anisotropo. Esempio [Anisotropia]: i cristalli sono anisotropi, infatti la struttura cristallina che posseggono delinea una configurazione delle molecole ben definita, violando la proprietà di distribuzione omogenea entro tutto il loro volume. Osservazione [Anisotropia]: in un dielettrico anisotropo le caratteristiche elettriche non sono uguali ovunque, ma dipendono dal punto. Definizione [Polarizzazione omogenea]: sia dato un condensatore piano con le due armature poste orizzontalmente caricato con densità superficiale di carica σ0 . Supponiamo che la superficie superiore sia caricata di carica +σ0 , e quella ⃗ il campo generato dal condensatore all’interno inferiore di carica −σ0 . Sia E di esso. Si introduca ora in esso una lastra di dielettrico che (in generale) non riempia completamente lo spazio tra le due armature, ma la si ponga anch’essa orizzontalmente ed equidistante da esse. Sia il dielettrico omogeneo, isotropo e con vettore di polarizzazione p⃗ uniforme. Si consideri ora un volumetto di . dielettrico di forma cubica. Indichiamo tale volumento con dV = dΣ dh, ove dΣ e dh sono rispettivamente la sua area di base e la sua altezza. Per quanto visto precedentemente ogni atomo i del dielettrico acquista un momento medio di dipolo p⃗i , e questo accade ovviamente anche per gli atomi di dV. Essendo dV ⃗ del condensatore, ad esso si può però anche associare sotto effetto del campo E ⃗ Si ha quindi d⃗ un vettore di polarizzazione d⃗ p parallelo ad E. p = p⃗ dV = p⃗ dh dΣ. 46 . Definiamo il versore direzione di p⃗ come ⃗up , e definiamo inoltre d⃗h = dh ⃗up . Alla luce di queste definizioni si può quindi scrivere . d⃗ p = p⃗ dh dΣ = p ⃗up dh dΣ = (p dΣ) d⃗h = dqp d⃗h. In definitiva quindi possiamo pensare il volumetto con le due superfici superiore e inferiore caricate rispettivamente di carica −dqp e +dqp . Estendendo questo ragionamento a tutto il dielettrico si avrà quindi che la superficie superiore del dielettrico sarà carica con densità superficiale di carica −σp , mentre quella inferiore −σp . Il processo finora descritto prende il nome di polarizzazione omogenea. Dalla sovrapposizione dei campi generati da queste quattro distribuzioni di carica (ovvero ±σ0 /2 ε0 quelli generati dalle armature, ∓σp /2 ε0 quelli generati dalle due superfici della lastra), si può quindi dedurre immediatamente l’andamento del campo in ogni punto dello spazio. Si ha 0 al di sopra dell’armatura superiore σ 0 tra l’armatura superiore e la superficie superiore della lastra ε 0 σ0 σp − tra le due superfici della lastra E= ε ε0 0 σ 0 tra la superficie inferiore della lastra e l’armatura inferiore ε 0 0 al di sotto dell’armatura inferiore 8 8.1 Corrente elettrica Definizioni, osservazioni, esempi introduttivi Osservazione preliminare: Nell’analisi che seguirà, supporremo che tutti i conduttori utilizzati siano solidi (metalli). In questo caso si ha che il numero di elettroni liberi per unità di volume è Nelib Nat 1 . = ne = n ≈ 1028−1029 3 , V V m dove con Nat si è indicato il numero di atomi di cui è composto il conduttore. Si può inoltre scrivere Nat NAv NAv = = ρ, V Vmol A 1 dove NAv = 6, 02 1023 mol è il Numero di Avogadro; A, espressa in g/mol, è la massa di una mole; e ρ, espressa in g/m3 , è la densità del metallo: ρ = M/V = A/Vmol . Esempio: nel caso del rame (Cu) si ha ne = 1. Nel caso dell’alluminio (Al) si ha ne = 3. 47 Definizione [Corrente elettrica]: siano C1 e C2 due conduttori sufficientemente lontani affinché non avvenga tra essi induzione elettrostatica. Siano V1 > V2 i rispettivi potenziali. Supponendo di collegare C1 e C2 con un filo (anch’esso metallico) si avrà spontaneamente un moto ordinato di elettroni da C2 verso C1 , ovvero dal conduttore a pontenziale più basso verso il conduttore a potenziale più alto. Questo moto ordinato di elettroni prende il nome di corrente elettrica. Definizione [Portatore di carica]: si dice portatore di carica una particella mobile dotata di carica, solitamente di carica elettrica. A seconda del tipo di portatore di carica deputato al trasporto della corrente, i conduttori elettrici si suddividono in conduttori elettronici (o conduttori di prima specie) e conduttori ionici (o conduttori di seconda specie). Grazie alla definizione di portatore di carica è inoltre possibile generalizzare la definizione appena data di corrente elettrica. Si pone cioè che lo spostamento ordinato di portatori di carica elettrica in una determinata direzione è detto corrente elettrica. Esempio [Portatori di carica]: gli elettroni sono portatori di carica elettrica. Portatori di carica sono anche gli ioni liberi in una soluzione elettrolitica (detti anioni se negativi, cationi se positivi) o nel plasma. Le lacune di un semiconduttore si comportano come portatori di carica positiva. Altri portatori di carica sono, per esempio, i radicali liberi. Alcune particelle subatomiche come i quark o i gluoni osservabili in un acceleratore di particelle trasportano cariche di natura non elettrica. Osservazione [Corrente elettrica]: se si vuole creare un flusso continuo di corrente elettrica tra due conduttori, è ovviamente necessario che i due conduttori siano collegati ad un generatore (si deve far sı̀ che la differenza di potenziale rimanga costante). Curiosità storica [La pila]: il primo generatore di fem fu la pila o cella voltaica (o elettrovoltaica), inventata da Volta nel 1800. Era composta da due dischi, uno di Cu+ ed uno di Zn− separati da una soluzione acquosa di H2 SO4 (Acido solforico). I dischi si caricano a causa delle reazioni chimiche tra gli elettrodi e le armature. Se si collegano i dischi con un filo metallico si avrà uno scambio di elettroni dallo Zn− al Cu+ (la corrente avrà segno opposto). Osservazione [Conduzione]: la conduzione può avvenire, oltre che in un solido, sia in un gas che in un liquido. I gas sono praticamente isolanti, ma essendo ionizzati basta creare un campo elettrico in essi per renderli dei conduttori, grazie a coppie di portatori di carica di segno opposto. Nella soluzione elettrolitica ci sono 4 portatori. Anche i semiconduttori in alcune situazioni si comportano come conduttori. In generale nei conduttori il moto delle cariche è ostacolato dalla cosiddetta resistenza del conduttore. Ciò non accade nei superconduttori (stagno, piombo, zinco, alcune leghe metalliche, ceramiche), perché a tempera- 48 ture opportune (cioè pochi Kelvin) hanno resistenza praticamente nulla. Definizione [Velocità di deriva]: sia C un conduttore. Ogni portatore in C è ⃗ dove q = ±e. Un portatore positivo acquisterà soggetto ad una forza F⃗ = q E, quindi una velocità parallela e concorde al campo, mentre un portatore negativo acquisterà velocità parallela e discorde al campo. Tale velocità è detta velocità di deriva, e si indica con ⃗vd± . Definizione [Intensità di corrente]: sia C un conduttore. All’interno di C si consideri una superficie Σ e si indichi con ∆q la quantità di carica complessiva che passa attraverso Σ in un certo intervallo di tempo ∆t. Si definisce intensità di corrente (elettrica) attraverso Σ la grandezza scalare ∆q . dq . i = lim , = ∆t→0 ∆t dt la cui unità di misura è l’Ampère A = C/s. Definizione [Densità di corrente]: sia C un conduttore. Sia n il numero dei portatori di carica positiva per unità di volume, ognuno di essi di carica e, e che si muove entro il conduttore con velocità di deriva ⃗vd . Si definisce vettore densità di corrente la quantità (vettoriale) . ⃗j = n e ⃗vd . Osservazione [Densità e intensità di corrente]: Sia Σ una superficie contenuta in un conduttore. Dalla definizione di densità di corrente segue immediatamente che ∫ ⃗j · ⃗un dΣ, i= Σ ovvero che l’intensità di corrente è il flusso della densità di corrente attraverso la superficie Σ. Osservazione [Densità e intensità di corrente]: Sia Σ una superficie contenuta . in un conduttore. Se Σ ⊥ ⃗j (e di conseguenza a ⃗vd ), e | ⃗j | = j = cost su Σ6 , allora i i = j Σ ⇐⇒ j = , Σ cioè la densità di corrente è la corrente che attraversa l’unità di superficie perpendicolare alla direzione del moto delle cariche. 6 Si assume che ciò sia sempre vero se il conduttore è filiforme. 49 8.2 Principio di conservazione della carica e prime conseguenze Fatto [Principio di conservazione della carica]: Sia V un volume contenuto in un conduttore con superficie di bordo ∂V = Σ. Allora vale la relazione ∫ ⃗j · ⃗un dΣ = − ∂qint , i= ∂t Σ dove qint è la carica contenuta in V al variare del tempo. Osservazione [Principio di conservazione della carica]: dalla relazione ∫ ⃗j · ⃗un dΣ i= Σ segue che i aumenta quando una carica positiva esce da Σ (o una carica negativa entra), mentre, viceversa, i diminuisce. Infatti i contributi positivi all’integrale vengono da quelle parti di Σ in cui ⃗j · ⃗un > 0 (ovvero ⃗j “punta verso l’esterno”) e rappresentano una carica positiva che esce da Σ (o una carica negativa che entra). Analogamente per i contributi negativi. Grazie a questa osservazione si giustifica il segno meno della formula precedente, infatti se l’integrale è complessivamente positivo, la carica all’interno diminuisce e quindi ha derivata negativa. 8.2.1 Equazione di continuità della corrente elettrica Teorema [Equazione di continuità (della corrente elettrica)]: Sia V un volume contenuto in un conduttore con superficie di bordo ∂V = Σ. Sia ρ la densità della carica qint contenuta in V. Allora vale la relazione ⃗ · ⃗j = − ∂ρ ∇ ∂t Dimostrazione: sostituiamo l’espressione integrale di qint nel principio di conservazione della carica. Si ha (∫ ) ∫ ∂ V ρ dV ∂q int ⃗j · ⃗un dΣ = − i= =− . ∂t ∂t Σ Essendo poi V costante nel tempo, è possibile passare la derivata (rispetto al tempo) sotto il segno di integrale. Si ha quindi ∫ ∫ ∂ρ ⃗j · ⃗un dΣ = − dV, Σ V ∂t da cui, sfruttando il teorema della divergenza per il primo membro, si ottiene l’identità ) ∫ ∫ ∫ ( ∂ρ ∂ρ ⃗ ⃗ ⃗ ⃗ ∇ · j dV = − dV ⇐⇒ ∇·j+ dV = 0 ∀V ∈ R3 ∂t V V ∂t V 50 Infine, dall’arbitrarietà della scelta di V segue ⃗ · ⃗j + ∂ρ = 0 ∇ ∂t ⇐⇒ ⃗ · ⃗j = − ∂ρ , ∇ ∂t che è la tesi. Osservazione [Equazione di continuità]: il teorema appena enunciato esprime in forma locale il principio di conservazione della carica. 8.2.2 Regime stazionario Corollario [Regime stazionario]: nelle ipotesi del Principio di conservazione della carica si supponga che la carica contenuta in V sia costante nel tempo. Si ha allora ∫ ⃗ · ⃗j = 0. ⃗j · ⃗un dΣ = 0, i= ∇ Σ Dimostrazione: la prima formula segue immediatamente dal Principio di conservazione della carica. La seconda si ricava altrettanto facilmente sfruttando l’Equazione di continuità. Definizione [Regime stazionario]: quando si ha intensità di corrente costante nel tempo (come nel caso del teorema precedente) si parla di regime stazionario. Definizione [Vettore solenoidale]: sia φ ⃗ una funzione a valori in R3 . Se il flusso di φ ⃗ è nullo attraverso qualunque superficie chiusa (ovvero se la suo divergenza è identicamente nulla), si dice che φ ⃗ è solenoidale. Osservazione [Regime stazionario]: è immediato osservare che in regime stazionario (con i = 0) il vettore densità di corrente ⃗j è solenoidale. Esempio [Regime non stazionario]: un esempio di regime non stazionario è il seguente. siano C1 e C2 due conduttori di potenziali V1 > V2 . Supponendo di collegare C1 e C2 con un filo (anch’esso metallico) si avrà un passaggio di corrente elettrica tra i due. Pertanto il sistema è soggetto ad un campo che varia nel tempo, di conseguenza varia la velocità di deriva ⃗vd , e quindi anche la densità di corrente ⃗j. Ne segue quindi che l’intensità di corrente i non è costante. Esempio [Regime stazionario]: consideriamo un conduttore a forma di tronco di cono di superfici di base S1 ≤ S2 . Si osservi che non assumiamo come ipotesi che S1 ̸= S2 , ricade pertanto in questa analisi anche il caso di un conduttore di forma cilindrica. Supponiamo che il conduttore si trovi in un regime stazionario (con i = 0). Sia V una sua porzione ottenuta sezionando il tronco di cono con due piani ortogonali al suo asse, e prendendo la parte di conduttore tra essi compresa. Si ha quindi che anche V risulta essere un tronco di cono. Chiamiamo . Σ = ∂V, e Σ1 ≤ Σ2 le due basi di V. Sia ⃗j la densità di corrente di V. Tenendo 51 conto della geometria del problema (per cui risulta ⃗j ⊥ ⃗un in ogni punto della superficie laterale di V e ⃗un2 = −⃗un1 in ogni punto delle superfici Σ1 e Σ2 ), dalla condizione di stazionarietà si ha ∫ ∫ ∫ ⃗j · ⃗un dΣ = j⃗1 · ⃗un1 dΣ1 + j⃗2 · ⃗un2 dΣ2 = 0 ⇐⇒ Σ ∫ Σ1 ∫ Σ2 j⃗1 · (−⃗un1 ) dΣ1 = Σ1 j⃗2 · ⃗un2 dΣ2 , Σ2 da cui segue immediatamente che i1 = i2 , ovvero che in condizioni stazionarie l’intensità di corrente è la stessa attraverso ogni sezione del conduttore. Se il conduttore è a sezione variabile la densità di corrente e quindi la velocità di deriva sono maggiori dove la sezione è minore7 . Osservazione [Regime stazionario]: è importante osservare che nelle applicazioni pratiche si può assumere la condizione di stazionarietà anche se l’intensità di corrente non è costante nel tempo: essa può variare purché la carica che per unità di tempo entra in una data superficie chiusa Σ sia uguale a quella che ne esce, sempre nell’unità di tempo. Osservazioni sperimentali mostrano che l’osservazione rimane vera finché il tempo che caratterizza la variabilità dell’intensità di corrente è grande rispetto al tempo che impiegherebbe la luce ad attraversare il volume compreso in Σ. Questo criterio si fonda sul fatto che una perturbazione elettrica, ad esempio una variazione di carica, localizzata in un certo istante in un dato punto, si propaga con velocità c = 3 · 108 m/s. Se il tempo di propagazione è piccolo rispetto agli altri tempi in gioco, si ammette che la perturbazione venga avvertita istantaneamente in ogni punto. Esempio [Regime stazionario]: si consideri un conduttore cilindrico (filiforme) di rame con sezione di 4 mm2 e i = 8 A (che è la massima intensità di corrente prima che il rame si fonda) disposto lungo l’asse x. Calcoliamo la velocità di deriva. i 8 A A j = n e vd = = = 2 · 106 2 , Σ 4 · 10−6 m2 m da cui si può esplicitare la velocità di deriva vd = 2 · 106 m m ≈ 10−4 , ne s s stimando un numero di elettroni n appropriato per tale superficie. Si osserva sperimentalmente che detta v la velocità che possiedono gli elettroni nel loro moto caotico, si ha v ≈ 1010 , vd 7 Una situazione analoga accade nel moto di un fluido incomprimibile in regime stazionario lungo un condotto a sezione variabile. 52 quindi la velocità di deriva vd ≪ v è di molti ordini di grandezza più bassa della velocità degli elettroni. L’elettrone non si muove nel circuito con velocità vd , la velocità di deriva è utile solo perché ordina il movimento. Infatti sia d = 10 km la distanza di una lampadina dal generatore di corrente elettrica. Se la velocità di deriva è quella calcolata sopra: vd ≈ 10−4 m , s allora il tempo che ci mette un elettrone per andare dal generatore alla lampadina è d t= ≈ 108 s, vd che sono circa 3 anni! 8.3 Legge di Ohm Fatto sperimentale [Legge di Ohm8 ]: sia C un conduttore metallico isotropo (ma non necessariamente omogeneo) sotto l’azione di un campo elettrostatico ⃗ tale che E, ⃗ ⃗ = ρ ⃗j, ⃗j = σ E o, equivalentemente E dove σ è detta conduttività ed è una caratteristica intrinseca del materiale che dipende dalla temperatura T , mentre ρ è detta resistività (o resistenza specifica), ed è ρ = 1/σ. Si dice allora che C è un conduttore ohmico. Le due equazioni sopra riportate prendono invece il nome di legge di Ohm. Osservazione [Legge di Ohm]: la legge di Ohm dice che in un conduttore ohmico il campo elettrostatico è proporzionale alla densità elettrica, cioè la ⃗ ∝ ⃗j, cioè forza elettrica è proporzionale alla velocità di deriva. In formule E F⃗ ∝ ⃗vd . Modello [Modello classico della conduzione elettrica nei metalli (DrudeLorentz, 1900)]: in un conduttore metallico isolato supponiamo quanto segue: • gli ioni del reticolo cristallino del metallo sono fissi; • gli elettroni di conduzione si muovono attraverso il reticolo in modo completamente disordinato (non esiste una direzione privilegiata per il loro moto), la velocità media (ovvero la velocità del sistema) è quindi nulla; • vi sono continui urti tra elettroni e ioni. Tra un urto e il successivo il moto è libero e la traiettoria rettilinea, cosicché la traiettoria di ciascun elettrone è costituita da una successione di segmenti di retta, con direzione e lunghezza variabili (è cioè una spezzata poligonale); 8 In effetti questa legge è soltanto una definizione. 53 • l’insieme delle traiettorie è completamente casuale e pertanto non si ha un flusso netto di carica, cioè una corrente, in nessuna direzione; • è possibile definire un tempo medio τ ed un cammino libero medio l tra due urti successivi, legati dalla relazione v = l/τ , dove v è la velocità degli elettroni nel metallo9 . Teorema [Conduttività]: sia C un conduttore ohmico sotto l’effetto di un ⃗ Allora la velocità di deriva ⃗vd degli elettroni e la concampo elettrostatico E. duttività σ di C sono date, rispettivamente, da n e2 τ τ ⃗ F, σ= , m m dove m è la massa dell’elettrone. Dimostrazione: consideriamo un generico elettrone contenuto nel conduttore. La forza agente su di esso è data da ⃗vd = ⃗ F⃗ = m ⃗a = −e E, quindi alla distribuzione casuale ed isotropa della velocità degli elettroni si sovrappone una certa velocità di deriva ⃗vd , caratterizzata da un’accelerazione ⃗ −e E . m Essendo però la velocità di deriva molto piccola rispetto alla velocità dell’elettrone, da ⃗vd ≪ ⃗v possiamo far seguire, in modo approssimativo, che τ sia in⃗ In sostanza quando la velocità di deriva è sufficientemente dipendente da E. bassa l’intervallo di tempo tra due urti successivi dell’elettrone contro uno ione ⃗ praticamente non cambia. Si può poi dimostrare che sotto l’azione del campo E le traiettorie delle particelle si deformano da segmenti in archi di parabola. Dette ora rispettivamente ⃗vi e ⃗vi+1 le velocità dell’elettrone subito dopo l’i-esimo e subito prima dell’i + 1-esimo urto, si ha pertanto ⃗a = ⃗ −e E τ. m Definiamo allora la velocità di deriva come la media delle velocità subito prima dell’N -esimo urto, con N → +∞. Si ha ] ( ) [ N N eτ ⃗) 1 ∑ 1 ∑( E = ⃗vd = lim ⃗vi+1 = lim ⃗vi − N →+∞ N →+∞ N N i=1 m i=1 ( ) N 1 ∑ eτ ⃗ eτ ⃗ τ ⃗ = lim E=− E= F, ⃗vi − N →+∞ N i=1 m m m {z } | ⃗vi+1 = ⃗vi + = 0 (dal modello) 9 Da non confondere con la loro velocità media. Gli elettroni non si staccano dal metallo, quindi la loro velocità media deve essere nulla. D’altro canto, utilizzando il tempo medio e il cammino libero medio è comunque possibile definire una quantità che dia una misura quantitativa del loro stato di agitazione. 54 che è la prima delle due formule da dimostrare. Per dimostrare l’espressione della conduttività basta ricordare la definizione di densità di corrente e sfruttare l’ipotesi di conduttore ohmico. Si ha cioè ⃗ = n e2 τ E, ⃗ ⃗j = n e (−⃗vd ) = n e e τ E m m ⃗ da cui la tesi. ma essendo C un conduttore ohmico si ha ⃗j = σ E, 8.3.1 Legge di Ohm per i conduttori ohmici filiformi Definizione [Resistenza]: sia C un conduttore ohmico filiforme avente per asse una curva h di estremi A e B, e sezione variabile Σ(h). Sia ρ la sua resistività. Si definisce resistenza la quantità . R= ∫ B ρ A(h) dh . Σ(h) La sua unità di misura è l’Ohm Ω, dove [Ω = V /A] (come verrà chiarito più avanti dalla Legge di Ohm per i conduttori ohmici filiformi). Teorema [Resistenza del tronco di cono]: sia C un conduttore ohmico filiforme omogeneo a forma di tronco di cono avente asse di lunghezza h e raggi delle circonferenze di base rispettivamente b ≥ a. Sia ρ la sua resistività. Allora la sua resistenza è data da ρh R= πab Dimostrazione: supponiamo che l’asse del tronco di cono sia parallelo all’asse x, e abbia estremi 0 e h. Siano b ≥ a i raggi delle basi maggiore (posta in prossimità dell’origine) e minore (posta nel punto x = h) rispettivamente. Si consideri una qualunque sezione piana del tronco di cono effettuata con un piano ortogonale all’asse x e posta a distanza x dall’origine (i.e. dalla base maggiore). Sia r il raggio della circonferenza determinata da tale sezione. Dalla definizione di resistenza si ha ∫ h ρ R= dx. π r2 0 Per calcolare esplicitamente il valore della resistenza cerchiamo un cambio di variabile che permetta di esprimere x in funzione di r. Dalle proprietà geometriche dei coni segue questa relazione di proporzionalità tra lunghezze e raggi: h : (h − x) = (b − a) : (r − a), esprimibile equivalemtemente nella forma h(r − a) = (h − x)(b − a). 55 Esplicitando la x si ha quindi la formula di cambio di variabile desiderata x=h (r − a) + h, a−b che passando ai differenziali si traduce nella relazione dx = h dr. a−b Effettuando il cambio di variabili nell’integrale sopra determinato si ha [ ]b ∫ h ∫ a ∫ b ρh ρh ρ ρh 1 1 1 R = dx = dr = − 2 dr = = 2 2 π r π (a − b) r π (a − b) r π (a − b) r a 0 b a ( ) ρh 1 1 ρh a−b ρh = − = = , π (a − b) b a π (a − b) ab πab che è la formula ricercata. Corollario [Resistenza del cilindro]: sia C un conduttore ohmico filiforme omogeneo di forma cilindrica10 con basi di area Σ e altezza h. Sia ρ la sua resistività. Allora la sua resistensa è data da R=ρ h . Σ Teorema [Legge di Ohm per i conduttori ohmici filiformi]: sia C un conduttore ohmico di forma cilindrica collegato ad un generatore. Sia V la differenza di potenziale tra le due superfici di base e sia R la sua resistenza. Si ha V = R i. Dimostrazione: sia h l’altezza del cilindro e sia Σ l’area di base. Dalle ipotesi in essere segue che all’interno del cilindro si viene a creare un campo elettrico ⃗ parallelo all’asse del cilindro, e percorso da una corrente elettrica di densità E, ⃗ ⃗j = 1 E. ρ Il regime è stazionario, l’intensità di corrente ha lo stesso valore attraverso qualunque sezione del conduttore, e vale pertanto i=jΣ= Σ E ρ ⇐⇒ E= ρ i. Σ Tra campo elettrico e differenza di potenziale sussiste invece la relazione ∫ B ⃗ = E h. ⃗ · ds V = E A 10 Questo risultato si generalizza in modo ovvio a conduttori filiformi omogenei di forma qualunque, di sezione costante Σ e di lunghezza dell’asse h. Si è qui riportato il caso particolare del cilindro perché è il caso più comune nonché il più utilizzato nelle applicazioni. 56 Sostituendo l’espressione di E sopra determinata e utilizzando la definizione di resistenza si trova immediatamente V =Eh= ρ i h = R i, Σ che è la tesi. Esempio [Resistenza]: i metalli, come già detto, sono in generale buoni conduttori, ad esempio oro, argento e rame hanno una resistività ρ ≈ 10−8 Ω m. Il vetro e il quarzo invece sono cattivi conduttori, avendo rispettivamente ρ ≈ 1014 Ω m, e ρ ≈ 1017 Ω m. 8.3.2 Effetto Joule ⃗ per mantenere in Definizione [Potenza]: la potenza spesa dalla forza F⃗ = e E moto la carica e con velocità ⃗vd è ⃗ · ⃗vd . P = F⃗ · ⃗vd = e E Se nel conduttore ci sono n portatori per unità di volume la potenza spesa per unità di volume è ⃗ = ⃗j · E, ⃗ PV = n P = n e ⃗vd · E dove ⃗j è la densità di corrente del conduttore. Proposizione [Potenza]: la potenza che bisogna spendere per far circolare la corrente elettrica i in un tratto di conduttore di sezione costante Σ e lunghezza h è P = i2 R, dove R è la resistenza del conduttore. Dimostrazione: dalla definizione di potenza per unità di volume, possiamo subito scrivere che la potenza che bisogna spendere per far circolare la corrente elettrica i in un tratto di conduttore di sezione Σ e lungo h è esattamente la potenza per unità di volume moltiplicata per il volume interessato. Si ha pertanto P ⃗ hΣ = = PV h Σ = ⃗j · E i j E h Σ = i |{z} E h = iρj h = iρ h= |{z} Σ ρj = i/Σ = i2 ρh = i2 R, Σ che è la tesi. Fatto sperimentale [Effetto Joule]: un conduttore percorso da corrente elettrica aumenta di temperatura. 57 Dimostrazione: ricordando la definizione termodinamica di potenza come P = ∂W , ∂t si ricava immediatamente l’espressione del lavoro in funzione della potenza. Si ha ∫ t P dτ. W = t0 Sapendo poi l’espressione della potenza in funzione di resistenza e intensità di corrente, si ottiene la formula ∫ t ∫ t W = P dτ = i2 Rdτ = i2 R ∆t. t0 t0 Questo è il lavoro necessario per vincere la resistenza opposta dal reticolo cristallino al moto ordinato degli elettroni, e, da un punto di vista termodinamico, esso viene assorbito dal conduttore, la cui energia interna aumenta. Di conseguenza aumenta la temperatura del conduttore. Osservazione [Effetto Joule]: Se il conduttore entro cui scorre la corrente elettrica è isolato termicamente dall’ambiente il processo porta alla fusione del metallo; se invece il conduttore è in contatto termico con l’ambiente la sua temperatura cresce fino a che si raggiunge uno stato di equilibrio in cui l’energia interna non varia più e il lavoro elettrico viene ceduto all’ambiente sotto forma di calore (purché naturalmente la temperatura di equilibrio sia inferiore alla tempratura di fusione del conduttore). Osservazione [Conduttori non ohmici]: nei conduttori in cui non vale la legge di Ohm è comunque possibile definire una funzione f , che dipende dall’intensità di corrente, tale che V = f (i). i Sperimentalmente si vede che per far circolare corrente è necessario applicare un certo potenziale iniziale V0 > 0. 8.4 Resistori Definizione [Resistore]: sia R un conduttore ohmico caratterizzato da una determinata resistenza R e da una potenza massima Pmax . R si dice resistore e si indica con il simbolo che segue. Si suppone che un resistore venga collegato in un circuito in regime stazionario. 58 8.4.1 Collegamento in serie Definizione [Collegamento in serie]: si dice che n resistori sono collegati in serie se hanno a due a due un solo estremo in comune, come nella figura che segue. Teorema [Resistenza equivalente]: siano R1 , R2 due resistori collegati in serie. Sia V la differenza di potenziale tra i due capi (a sinistra di R1 e a destra di R2 ). Si ha allora V = Req i P = i2 Req = e V2 , Req dove Req = R1 + R2 è la somma delle resistenza dei due resistori e si dice resistenza equivalente. Dimostrazione: per dimostrare la prima relazione basta osservare che detti VA , VB , VC i potenziali rispettivamente prima di R1 , tra R1 ed R2 , e dopo R2 , (con VA > VB > VC ), si ha { VA − VB = R1 i . =⇒ VA − VC = V = R1 i + R2 i = (R1 + R2 ) i, VB − VC = R2 i che è la prima formula. La seconda formula si ricava in maniera analoga. 8.4.2 Collegamento in parallelo Definizione [Collegamento in parallelo]: si dice che n resistori sono collegati in parallelo se hanno a due a due entrambi gli estremi in comune, come nella figura che segue. Teorema [Resistenza equivalente]: siano R1 , R2 due resistori collegati in parallelo. Sia V = VA − VB la differenza di potenziale tra i due capi. Si ha allora V = Req i e P = i2 Req = V2 , Req dove la resistenza equivalente ( Req = 1 1 + R1 R2 )−1 è il reciproco della somma dei reciproci delle resistenze dei due resistori. 59 Dimostrazione: l’intensità di corrente i = i1 + i2 (vedi immagine), raggiunto il nodo, si divide in due parti (in generale diverse). Sia i1 l’intensità di corrente passante attraverso il primo resistore R1 , e sia i2 quella relativa a R2 . Dalla legge di Ohm segue che per entrambi i resistori vale la relazione i1 R1 = i2 R2 = V. Esplicitando quindi i1 e i2 in funzione di Ri e V si può scrivere ( ) V V 1 1 i = i1 + i2 = + =V + , R1 R2 R1 R2 da cui segue immediatamente la prima formula. Con ragionamenti analoghi si deduce la formula della potenza. 8.5 Forza elettromotrice. Legge di Ohm generalizzata Teorema [Campo elettromotore]: si consideri un circuito chiuso percorso da corrente elettrica composto da un generatore di fem e da una resistore. Allora ⃗ che genera il moto di cariche è di natura non conservativa il campo elettrico E e ha la forma { ⃗ el E all’esterno del generatore ⃗ , E= ∗ ⃗ ⃗ E + Eel all’interno del generatore ⃗ el è il campo elettrostatico, E ⃗ ∗ si definisce campo elettromotore e ha dove E natura non conservativa. Vale inoltre la relazione ⃗ ∗ | > |E ⃗ el |. |E Dimostrazione: detta R la resistenza e i l’intensità di corrente del circuito, applicando la legge di Ohm ai capi del resistore si ha ∫ B ⃗ = R i, ⃗ · ds VA − V B = E A cioè la legge di Ohm mette in relazione il campo elettrico del generatore con la corrente elettrica che scorre nel circuito. Consideriamo allora l’integrale del campo elettrico esteso a tutto il circuito. Si ha I ⃗ = RT i, ⃗ · ds E | {z } . =E 60 dove RT è la resistenza totale del circuito. Il primo membro corrisponde però alla definizione di fem, la formula appena enunciata afferma pertanto che per ⃗ ottenere nel circuito una corrente di intensità i (̸= 0) sia necessario un campo E la cui circuitazione non sia nulla. Ne segue che non può essere un campo elettrico ⃗ el a far circolare le cariche nel circuito, in quanto esso è conservativo, e per E tanto la fem da esso prodotta è sempre nulla. La sorgente di fem deve pertanto avere nel suo interno delle forze di natura non elettrostatica, non conservative, che possano determinare il moto continuo delle cariche. Nel caso in esame, ovvero quello di un circuito con resistenza R collegato ad un generatore, siano G+ e G− i poli del generatore, sui quali sono accumulate rispettivamente le cariche ⃗ el prodotto da tali +q e −q. Come abbiamo già visto il campo elettrostatico E + − cariche è sempre diretto da G verso G , sia nel conduttore che nel generatore, in accordo col fatto che I ∫ G− ( ∫ G+ ( ) ) ⃗ ⃗ ⃗ ⃗ el · ds Eel · ds = Eel · ds + E = 0, ext G+ int G− dove il primo termine è l’integrale calcolato lungo il conduttore esterno, mentre il secondo è calcolato all’interno del generatore. Il passaggio di una carica positiva all’interno del generatore dal polo negativo G− al polo positivo G+ non ⃗ el . Deve esistere quindi all’interno può quindi avvenire per effetto del campo E ∗ ⃗ del generatore un campo E di natura non elettrostatica, che definiamo campo ⃗ che esiste nel circuito ha la forma elettromotore, per cui il campo E { ⃗ el E all’esterno del generatore ⃗ E= ⃗∗ + E ⃗ el all’interno del generatore . E ⃗ si scrive quindi La fem del campo E I E= ∫ G− ⃗ = ⃗ ds E· G+ ∫ ⃗ ⃗ Eel ·ds+ G+ G− ( ∫ ) ∗ ⃗ ⃗ ⃗ Eel + E ·ds = G+ G− . ⃗ = ⃗ ∗ ·ds E Tc (G− → G+ ). ⃗ dunque non è conservativo e la sua fem coincide con la tensione Il campo E ⃗ ∗ calcolata lungo una linea c interna11 al generatore del campo elettromotore E − + che va da G a G . Passiamo ora a dimostrare la disuguaglianza tra i moduli dei campi. Tale disuguaglianza è in realtà ovvia, perché per avere un moto di ⃗ ∗ | > |E ⃗ el | in modo che cariche nel verso voluto deve necessariamente valere |E risulti ∫ G+ ( ) ⃗ > 0. ⃗∗ + E ⃗ el · ds E G− All’esterno del generatore il moto delle cariche lungo il conduttore è dovuto ⃗ el , a sua volta generato dall’azione del campo elettromotore invece al campo E ⃗ ∗. E 11 Invece lungo una qualsiasi linea da G− a G+ esterna al generatore la tensione di E ⃗ ∗ è ⃗ ∗ nullo all’esterno del generatore. nulla, essendo E 61 Definizione [Resistenza interna]: tenendo conto della costruzione dimostrata nel teorema precedente, e del fatto che la corrente i che attraversa il conduttore esterno passa anche nel generatore, definiamo la resistenza interna r mediante la relazione ∫ G+ ( ) . ⃗ = ⃗∗ + E ⃗ el · ds E r i. G− Corollario [Legge di Ohm generalizzata ad un circuito chuiso]: si consideri un circuito formato da un generatore di fem E con resistenza interna r e da un resistore con resistenza R nel quale scorre corrente elettrica con intensità i. Vale allora la formula E = (R + r) i, . dove la quantità R + r = RT è la resistenza totale del circuito. Dimostrazione: dalla definizione di forza elettromotrice e di resistenza interna, e sfruttando la legge di Ohm per i conduttori ohmici filiformi segue I E ∫ = ∫ G+ G− ⃗ + ⃗ el · ds E = G+ = G− ⃗ = ⃗ · ds E ∫ ( ⃗ ⃗ · ds E G+ G− ∫ ) G+ + ext G− ( ) ⃗ ⃗ · ds E = int ( ) ⃗ = ⃗∗ + E ⃗ el · ds E R i + r i = (R + r) i, che è la formula ricercata. Osservazione [Interpretazione fisica della legge di Ohm generalizzata]: si osservi che il corollario appena enunciato (che deriva direttamente dalla definizione di resistenza interna) estende la legge di Ohm anche all’interno del generatore. Pertanto un generatore è caratterizzato dalla fem E, ovvero dalla tensione del campo elettromotore tra i due poli, e dalla resistenza interna r. Si osservi inoltre che dal corollario appena enunciato è possibile risalire in modo ovvio alla corrente i, noti E e RT . Si ha infatti la formula i= E , R+r ovvero la corrente che circola nel circuito è direttamente proporzionale alla forza elettromotrice che la genera, e il fattore correttivo è tanto peggiore quanto più è alta la resistenza totale del circuito stesso. Sempre da questa legge è poi possibile dedurre la formula seguente: VG+ − VG− = R i = E − r i, ovvero la ddp misurata ai poli del generatore è minore della fem se nel circuito circola corrente, ed è tanto più piccola di E quanto più grande è la resistenza interna. Grazie a questa osservazione è possibile dare una definizione operativa alla forza elettromotrice. Si supponga infatti di staccare il conduttore esterno 62 (circuito aperto). Nel generatore si instaura allora una condizione di equilibrio in quanto l’accumulo di carica sui poli impedisce un ulteriore spostamento di carica ⃗∗ + E ⃗ el = 0, e (a causa della repulsione elettrostatica). Si ha quindi i = 0, i.e. E quindi VG+ − VG− = E. In questo modo è possibile definire operativamente la fem E. Si ha infatti che essa è uguale alla ddp misurata ai capi del generatore a circuito aperto. Corollario [Conservazione dell’energia]: il lavoro fornito dal generatore (E, r) per far circolare la corrente i lungo un circuito con resistenza R nell’intervallo di tempo ∆t = t − t0 , in generale, ha la forma ∫ t W (t) = (R + r) i(t) i(t) dt. t0 Se l’intensità di corrente è costante nel tempo, allora W (t) = (R + r) i2 ∆t, e la potenza del generatore (dissipata nelle resistenze) è pari a P = (R + r) i2 = E i. Dimostrazione: dalla Legge di Ohm generalizzata abbiamo la formula E = (R + r) i. Ricordando che la forza elettromotrice E è definita come il lavoro compiuto dal generatore per trasportare una carica unitaria lungo il circuito, per ottenere il lavoro fornito dal generatore per far circolare la corrente è sufficiente moltiplicare la forza elettromotrice per la carica totale trasportata q. Si ha allora W = E q = (R + r) i q. Ricordando la definizione di intensità di corrente dq . =i dt è possibile scrivere la carica q in funzione di i come segue: ∫ t q= i(t) dt. t0 Riscriviamo quindi il lavoro nella forma ∫ t W (t) = (R + r) i(t) i(t) dt, t0 che è la forma sopra enunciata. Nel caso particolare in cui i è costante le altre due formule sono ovvie ricordando che la potenza è definita come la derivata del lavoro rispetto al tempo. 63 8.5.1 Esercizi illustrativi Esercizio 1: si consideri il circuito seguente, composto dal collegamento in serie di due generatori e tre resistori, supponendo che nel circuito scorra una corrente i diretta da A verso B. Calcoliamo la differenza di potenziale tra A e B. Tenendo conto della legge di Ohm, della definizione di forza elettromotrice e del verso della corrente, abbiamo: VA − VC V D − VC = = i R1 E1 VD − VE VE − VF VF − VB = = = i R2 E2 i R3 Cambiando di segno la seconda equazione e sommando membro a membro si ottiene a primo membro una somma telescopica. Risulta quindi esplicitata la differenza di potenziale nella forma VA − VB = i R1 − E1 + i R2 + E2 + i R3 , che può essere riscritta nella forma VA − VB + E1 − E2 = i RT , . dove si è posto RT = R1 + R2 + R3 . In questo caso vale quindi questa relazione, che dice che la somma della differenza di potenziale con le forze elettromotrici (prese con segno positivo se concordi al verso di scorrimento della corrente, negativo se agenti in verso opposto) è uguale alla resistenza totale del circuito moltiplicata per l’intensità di corrente. Questo non è un fatto isolato, vale infatti in generale il seguente risultato. Teorema [Legge di Ohm generalizzata]: si consideri un circuito composto dal collegamento in serie di n resistori di resistenze R1 , . . . , Rn ed m generatori di forze elettromotrici E1 , . . . , Em collegati con ordine arbitrario nel circuito. Sia i l’intensità di corrente e V la differenza di potenziale ai capi del circuito. Si ha allora12 n ∑ V + Ek = i RT , k=1 12 In queste formule le forze elettromotrici sono da pensarsi con segno positivo se concordi al verso di scorrimento della corrente, con segno negativo altrimenti. 64 ∑m dove RT = h=1 Rh è la resistenza totale del circuito. Se invece il circuito è chiuso questa relazione assume la forma n ∑ Ek = i RT . k=1 Esercizio 2: si consideri il seguente circuito. Calcoliamo la differenza di potenziale ai capi del circuito. Le differenze di potenziale ai capi dei vari elementi del circuito sono date da VA − VC = iR VB − VC = E cambiando quindi di segno la prima equazione e sommando membro a membro otteniamo VB − VA = E − i R < E, osserviamo cioè che la differenza di potenziale ai capi del circuito è minore della forza elettromotrice del generatore. Se nel circuito non scorresse corrente (circuito aperto), si avrebbe invece VB − VA = E, in accordo con quanto visto nella trattazione precedente. Esercizio 3: consideriamo lo stesso circuito di prima, ma con la corrente che circola nel verso opposto. Calcoliamo la differenza di potenziale ai capi del circuito. Le differenze di potenziale ai capi dei vari elementi del circuito sono date da VC − VA = iR VB − VC = E Da cui si ottiene VB − VA = E + i R > E, osserviamo quindi che in questo caso la differenza di potenziale ai capi del circuito è maggiore della forza elettromotrice del generatore. Anche in questo caso se nel circuito non scorresse corrente si avrebbe invece VB − VA = E. 65 8.6 Leggi di Kirchhoff Definizione [Nodo, ramo, maglia]: si definisce nodo il punto d’incontro di almeno tre conduttori. Si definisce ramo una qualunque disposizione in serie (ad esempio di condensatori o resistori) compresa tra due nodi. Si definisce maglia un circuito chiuso formato da almeno due rami. Legge [Legge di Kirchhoff ai nodi]: la somma algebrica delle correnti entranti ed uscenti da un nodo è nulla. In formule n ∑ ik = 0. k=1 Legge [Legge di Kirchhoff alle maglie]: si consideri un circuito composto da un numero arbitrario di generatori di forze elettromotrici e di resistori. Allora la somma algebrica delle fem di una maglia13 è uguale alla somma algebrica delle differenze (o cadute) di potenziale su ciascun resistore della maglia. In formule n ∑ k=1 Ek = n ∑ Vk = k=1 n ∑ (ik Rk ) k=1 Procedimento [Risoluzione di esercizi]: un buon procedimento da seguire per risolvere gli esercizi sui circuiti è il seguente: 1. si individuano il numero di maglie indipendenti ed il numero di correnti indipendenti (ci sono tante correnti indipendenti quante maglie indipendenti); 2. si sceglie il verso delle correnti; 3. si applicano le leggi di Kirchoff per trovare relazioni tra correnti, fem e resistenze. Esempio: si consideri il circuito elettrico in figura. 13 Anche qui le fem sono da pensarsi con segno positivo se concordi al verso di scorrimento della corrente, con segno negativo altrimenti. 66 Seguiamo i punti del procedimento standard. 1. In questo circuito ci sono 2 maglie indipendenti, quella superiore e quella inferiore (segnate rispettivamente con M1 e M2 ). Ci sono pertanto due correnti indipendenti i1 e i2 . 2. Scegliamo per le correnti il verso disegnato in figura. 3. Da Kirchoff alle maglie otteniamo le seguenti relazioni (rispettivamente per la prima e per la seconda maglia): −E1 + E2 + E3 E2 8.7 = (i1 + i2 ) R3 + i1 R1 = (i1 + i2 ) R3 + i2 R2 Circuiti RC Studieremo in questa sezione i cosiddetti circuiti RC in serie, ovvero circuiti composti dal collegamento in serie di un condensatore e di un resistore. Teorema[Circuito RC, C scarico]: si consideri un circuito chiuso formato dal collegamento in serie di un generatore (E, r), un resistore (R′ ) ed un conden. satore (C) inizialmente scarico. Dette R = R′ + r la resistenza totale del circuito . e τ = R C la costante di tempo del circuito, allora • la carica delle armature in funzione del tempo ha la forma ) ( t q(t) = E C 1 − e− τ ; • l’andamento della corrente in funzione del tempo è dato da i(t) = 67 E −t e τ; R • il lavoro totale speso del generatore è dato da WG = E 2 C; • il lavoro dissipato sulla resistenza per effetto Joule è WP = E2 C , 2 pari a metà del lavoro totale speso dal generatore; • l’energia accumulata dal condensatore è indipendente dalla resistenza, ed è anch’essa pari a metà del lavoro speso dal generatore, avendosi Ue = E2 C . 2 Dimostrazione: il circuito iniziale può essere pensato come un circuito ad esso equivalente formato da una sola resistenza R = R′ + r, come illustrato in figura. All’istante iniziale il condensatore è scarico. Sempre in t = 0 supponiamo di chiudere l’interruttore e lasciare cosı̀ che la corrente cominci a circolare all’interno del circuito. Calcoliamo ora le differenze di potenziale ai capi dei vari elementi del circuito. Si ha VB − VA VB − V D VD − VA = E = i(t) R q(t) = C (Legge di Ohm) q (Perché C = ) V Sommando membro a membro le ultime due equazioni si ottiene quindi un’identità con il secondo membro della prima equazione: E = i(t) R + dq q(t) q(t) = R+ . C dt C Dividendo per R si ottiene infine l’equazione differenziale dq 1 E (t) + q(t) = , dt τ R 68 che è un’equazione differenziale lineare del primo ordine a coefficienti costanti. Come si può verificare immediatamente la soluzione è data da q(t) = k e− τ + E C, t dove k è una costante reale da determinare imponendo le condizioni iniziali. Richiedendo quindi che la carica sulle armature all’istante iniziale sia nulla (vero per ipotesi in quanto il condensatore è inizialmente scarico) si ha q(0) = 0 ⇒ k = −E C. La carica sulle armature assume pertanto la forma ( ) t − τ q(t) = E C 1 − e . Per ottenere la corrente è quindi sufficiente derivare la carica rispetto al tempo, ottenendo l’espressione i(t) = t E dq E C −t (t) = e τ = e− τ . dt τ R Ricordiamo ora che per la conservazione dell’energia per la potenza deve essere per ogni t PG = PR + PC , dove PG è la potenza totale emessa dal generatore, PR è la potenza dissipata sulla resistenza e PC è la potenza utilizzata per caricare il condensatore. Calcoliamo queste tre quantità PG PR E2 − t e τ R E2 − 2 t = i2 (t) R = e τ R = E i(t) = Per calcolare PC occorre prima determinare la differenza di potenziale ai capi del condensatore. Si ha ( ) t q(t) VC (t) = VD − VA = = E 1 − e− τ . C Ora scriviamo in modo formale la relazione che lega l’energia potenziale elettrostatica al potenziale per una carica elementare dq. Si ha dUe = VC (t) dq. Segue quindi che la potenza spesa nella carica del condensatore è ( ) t t dUe E2 − τ PC = = VC i(t) = 1−e e− τ . dt R 69 È quindi possibile calcolare i lavori WG svolto dal generatore, WR dissipato nelle resistenze e WP = Ue utilizzato per caricare il condensatore. Abbiamo pertanto ∫ +∞ E2 WG = PG (t) dt = τ = E2 C R 0 ∫ +∞ E2 τ E2 C WR = PR (t) dt = = R 2 2 0 ∫ +∞ E2 C PC (t) dt = Ue = 2 0 Il teorema è quindi completamente dimostrato. Osservazione [Circuito RC, C scarico]: osserviamo, riguardo alla corrente, che i(0) = mentre i(t) E R t→+∞ −→ 0, come se il circuito fosse aperto. Per quanto riguarda le differenze di potenziale invece si ha t VR (t) = i(t) R = E e− τ e ( ) t − τ VC (t) = E 1 − e t→+∞ −→ 0, t→+∞ E. −→ quindi a regime la differenza di potenziale ai capi della resistenza è nulla, mentre l’intera forza elettromotrice E si concentra nella differenza di pontenziale ai capi delle armature del condensatore. Ribadiamo inoltre che l’energia accumulata dal condensatore non dipende dalla resistenza. Metà della potenza è dissipata per effetto Joule e l’altra metà è utilizzata per caricare il condensatore. Osserviamo anche che il processo di)carica è molto rapido, infatti: ( se t = τ , allora q(τ ) = q0 1( − 1e ≈) q0 · 0, 63, se t = 5 τ , allora q(τ ) = q0 1 − e15 ≈ q0 · 0, 993. Quando il condensatore è carico si dice che il circuito è in regime stazionario. Teorema [Circuito RC, C carico]: si consideri un circuito chiuso formato dal collegamento in serie di un resistore (R) ed un condensatore (C) inizialmente carico. Dette q0 la carica libera sulle armature del condensatore all’istante . iniziale e τ = R C la costante di tempo del circuito, allora • la carica delle armature in funzione del tempo ha la forma t q(t) = q0 e− τ ; 70 • l’andamento della corrente in funzione del tempo è dato da i(t) = q0 − t e τ; τ • tutta la potenza viene dissipata sulla resistenza per effetto Joule, avendosi PR = q02 − 2 t e τ R C2 e di conseguenza Wtot = WR = U0 , dove U0 è l’energia elettrostatica del condensatore al tempo zero. Dimostrazione: all’istante iniziale il condensatore è carico e la sua energia è U0 = 1 q02 . 2 C Sempre per t = 0 chiudiamo l’interruttore e lasciamo che la corrente scorra nel circuito. Non essendoci generatore si ha E = 0 e di conseguenza per ogni tempo VC (t) = VR (t) q(t) dq = i(t) R = − R, C dt ⇐⇒ dove il segno meno nell’ultima uguaglianza è dovuto al fatto che la carica sta diminuendo. Dividendo l’epressione appena trovata per R, otteniamo dq q(t) + = 0. dt τ Questa è un’equazione differenziale lineare del primo ordine omogenea. La sua soluzione è data da t q(t) = k e− τ , dove k è una costante reale che va determinata imponendo le condizioni iniziali. Imponiamo allora che la carica presente sulle armature all’istante iniziale sia q0 (dall’ipotesi che il condensatore sia inizialmente carico). Si ha allora q(0) = k = q0 , da cui t q(t) = q0 e− τ . Per ottenere la corrente elettrica è ora sufficiente derivare la carica. Otteniamo quindi dq q0 − t i(t) = − = e τ. dt τ Da cui possiamo esplicitare VC (t) = VR (t) = i(t) R = 71 q0 − t e τ. C La potenza dissipata nella resistenza è PR = i2 (t) R = e di conseguenza il lavoro totale è ∫ Wtot = q02 − 2 t e τ R C2 +∞ i2 (t) R dt = U0 , 0 ovvero tutta l’energia viene dissipata nella resistenza. Osservazione [Circuito RC, C carico]: è importante osservare che l’analisi appena svolta può essere effettuata solamente se τ ≫ t, dove t è il tempo che ci mette il segnale ad attraversare il circuito. 9 9.1 Magnetostatica Definizioni, esperimenti e primi esempi Esempio [Magnete naturale]: l’esempio per eccellenza di magnete naturale, da cui il nome stesso, è la magnetite14 . Esperimento [Magnetite]: supponiamo di immergere la magnetite nella limatura di ferro. Allora la limatura si dispone maggiormente in due punti, detti poli del magnete. Supponiamo ora di avere un magnete attaccato ad un filo. Prendiamo un altro magnete e avviciniamo uno dei suoi poli ad uno dei poli del primo magnete. Poi ripetiamo l’esperimento avvicinando l’altro polo del secondo magnete allo stesso polo del primo magnete. si osserva che in un caso i due magneti tenderanno a respingersi, mentre nell’altro ad attrarsi. Si definisce allora canonicamente il polo positivo, detto polo nord. L’altro polo verrà invece detto polo negativo, o polo sud. Definizione [Magnete]: si definisce magnete un qualunque solido dotato delle proprietà fisiche della magnetite mostrate in questo esperimento. Esempio [Magneti artificiali]: le calamite sono i magneti artificiali per eccellenza. Esperimento [Calamite temporanee e permanenti]: si osserva sperimentalmente che mettendo a contatto una bacchetta di ferro e una di acciaio con un 14 La formula chimica della magnetite è Fe O , ma si può trovare indicata anche come 3 4 FeO · Fe2 O3 (o FeO × Fe2 O3 ). Questo perché essa è formata da una parte di Wustite (FeO) e da una parte di Ematite (Fe2 O3 ). 72 magnete, si hanno comportamenti diversi. Infatti quando la bacchetta di ferro viene messa a contatto con il magnete, si magnetizza anch’essa. Quando però la bacchetta viene staccata essa perde immediatamente le suo proprietà magnetiche, ovvero si smagnetizza. Ciò non accade con l’acciaio. Infatti anch’esso si magnetizza dopo il contatto con il magnete, ma a differenza del ferro, esso rimane magnetizzato per un lungo periodo (per anni) anche dopo che viene staccata dal magnete. In virtù di questo esperimento si dice che il ferro è un magnete temporaneo, mentre l’acciaio è permanente. Esperimento [Campo magnetico terrestre]: si è osservato sperimentalmente che la Terra stessa è un magnete. Infatti essa possiede due poli magnetici i quali si comportano allo stesso modo dei poli magnetici della magnetite. Supponiamo di prendere un ago magnetico (una calamita) come quelli utilizzati nelle bussole. Esso si comporta come un dipolo e si posiziona pertanto parallelamente alla linea di campo del campo magnetico generato dalla Terra, passante per il baricentro dell’ago. Per convenzione si chiama polo nord il polo dell’ago che punta il nord geografico, che risulta però essere il polo sud del campo magnetico. Il verso della linea di campo è il verso dell’ago (da sud a nord). Coulomb ha osservato sperimentalmente che la forza tra i poli puntiformi è proporzionale a 1/r2 , dove r è la distanza dai poli. Esperimento [Calamita spezzata]: riprendiamo l’esperimento iniziale della limatura di ferro. Immergendo una calamita nella limatura abbiamo detto che si osserva sperimentalmente che essa tende a disporsi principalmente attorno ai due poli. Spezziamo ora in due la calamita. Ciò che si osserva è che la limatura si dispone principalmente ai due poli di ogni pezzo della calamita iniziale, cioè in ognuno dei due pezzi si sono formati due poli di segno opposto e di stessa carica. Da questo esperimento segue in particolare che non esiste il monopolo magnetico. Definizione [Campo di induzione magnetica]: sia M un magnete. Il campo generato dal magnete si dice campo di induzione magnetica (o campo magnetico), ⃗ La sua unità di misura nel sistema internazionale è il Tesla e si indica con B. T . Si ha N T = . Am Un’altra unità di misura molto usata per il campo magnetico è il Gauss G (1 G = 10−4 T ). Esempi [Campo di induzione magnetica]: il campo magnetico sulla superficie della terra è di circa 0, 4 G. Per un magnete da laboratorio B ≈ 2, 5 T , mentre per le piccole calamite è B ≈ 10 mT . Osservazione [Campo di induzione magnetica]: dato un magnete M , utiliz⃗ zando un ago magnetico è possibile studiare le linee di campo di B. 73 Osservazione sperimentale [Cariche e campi magnetici]: nel 1811 Oersted osservò che le cariche in moto generano dei campi magnetici. 9.2 9.2.1 Moto di particelle cariche in campi magnetici Forza di Lorentz Legge sperimentale [Forza di Lorentz]: sia data una particella di massa m, di ⃗ Si suppongano m, q, B ⃗ carica q e di velocità ⃗v posta in un campo magnetico B. indipendenti dal tempo. • ⃗v = 0. Se la particella è ferma (in un sistema di riferimento solidale alle sorgenti del campo magnetico) si trova che su di essa non agisce nessuna forza: F⃗ = 0, in accordo con fatto che l’interazione magnetica si manifesta solamente tra cariche in movimento. • ⃗v ̸= 0 (v ≪ c). Se invece la particella è in moto con velocità ⃗v (piccola rispetto a quella della luce) rispetto al suddetto sistema di riferimento, si verifica che su di essa agisce una forza, detta forza di Lorentz15 , tale che ⃗ F⃗ = q ⃗v × B Osservazioni [Forza di Lorentz]: il modulo della forza di Lorentz è F = q v B sin (ϑ). • Escludendo i casi banali, si può quindi concludere che F =0 ⇐⇒ ϑ = 0, π. • È inoltre possibile caratterizzare allo stesso modo la situazione fisica in cui la forza di Lorentz è massima. Si ha π F = Fmax = q v B ⇐⇒ ϑ = . 2 • Osserviamo inoltre che dalla definizione si deduce immediatamente che F⃗ ⃗ ovvero che la forza è ortogonale al è ortogonale tanto a ⃗v quanto a B, piano generato dalla velocità e dal campo magnetico. La direzione di F⃗ è data dalla solita regola della vite destrogira. 15 In alcuni testi questa forza viene detta forza magnetica, e con il termine forza di Lorentz si indica la somma di tale forza con la forza dovuta al campo elettrico. Si ha cioè ⃗tot = q (⃗v × B ⃗ + E) ⃗ F 74 • Si presti particolare attenzione al fatto che la forza di Lorentz non è, in generale, conservativa. Non si confonda tale forza con una forza elettrostatica (la forza elettrostatica è parallela al campo, mentre la forza di Lorentz gli è ortogonale). • Essendo la forza di Lorentz ortogonale alla velocità in ogni punto, risulta di conseguenza essere ortogonale alla traiettoria. Sfruttando pertanto la definizione di lavoro e il teorema dell’energia cinetica, è possibile scrivere . ∆Ek = W = ∫ Q ⃗ = 0, F⃗ · ds P quindi per qualsiasi spostamento dal punto P al punto Q nella regione in ⃗ l’energia cinetica della particella rimane cui esiste il campo magnetico B costante in quanto la forza di Lorentz non compie lavoro sulla particella. Essa non comunica alla particella un’accelerazione tangenziale, ma soltanto un’accelerazione centripeta. In altre parole, quando una particella carica si muove in un campo magnetico la sua velocità cambia in direzione, ma non in modulo. 9.2.2 Moto in un campo uniforme: ϑ = π/2 Proposizione [Moto in un campo uniforme: ϑ = π/2]: sia data una particella ⃗ uniforme. Detta ⃗v la di massa m e carica q immersa in un campo magnetico B velocità della particella, supponiamo che all’istante iniziale ⃗v sia ortogonale a ⃗ 16 . In queste ipotesi si ha che: B i) il moto della particella è circolare uniforme, essendo il raggio di curvatura della traiettoria costante, dato da r= mv ; qB ii) la velocità angolare (vettoriale) è costante, indipendente dalla velocità tangenziale e parallela al campo magnetico, essendo ω ⃗ =− q ⃗ B; m iii) il periodo del moto circolare uniforme è costante, dato da T = 2πm . qB Dimostrazione: dimostriamo separatamente i vari punti della proposizione. 16 Ovvero sia ϑ = π/2 nella formula del modulo della forza di Lorentz. 75 ⃗ uniforme e la velocità v ortogonale a B ⃗ i) Essendo il campo magnetico B ⃗ produce all’istante iniziale, la forza di Lorentz (anch’essa ortogonale a B) ⃗ Quindi la velocità una variazione della velocità ancora ortogonale a B. della particella in qualsiasi istante successivo giace nel piano ortogonale ⃗ individuato dalla velocità iniziale. Il moto della particella si svolge a B dunque in tale piano. Ricordando l’osservazione appena enunciata, ribadiamo che l’accelerazione tangenziale guadagnata dalla particella a fronte dell’azione della forza di Lorentz è in realtà nulla, quindi l’unica accelerazione non nulla inferta da tale forze è quella centripeta. Ponendo quindi nell’espressione del modulo della forza di Lorentz ϑ = π/2, otteniamo F = q v B sin (π) 2 = q v B = m acp = m v2 , r dove nell’ultima uguaglianza17 compare il raggio di curvatura r, che risulta quindi essere costante e pari a r= mv . qB Avendo dimostrato che v è costante, che il moto è piano e che il raggio di curvatura è costante, ne segue quindi che il moto compiuto dalla particella è circolare uniforme. Volendo essere ancora più precisi, la traiettoria della particella è un arco di circonferenza di raggio r. È una circonferenza ⃗ è definito e completa se la particella resta sempre nella regione in cui B uniforme. ii) La velocità angolare (scalare) si calcola immediatamente dalla sua definizione ω= v qB = . r m In termini vettoriali, ricordando l’espressione dell’accelerazione centripeta ⃗acp = ω ⃗ × ⃗v , si ha ⃗ = m ⃗a = m ⃗acp = m ω F⃗ = q ⃗v × B ⃗ × ⃗v = −m ⃗v × ω ⃗, dove nell’ultima uguaglianza si è sfruttata la proprietà antisimmetrica del prodotto vettoriale. Confrontando il secondo e l’ultimo membro di questa catena di uguaglianze segue quindi ω ⃗ =− q ⃗ B. m Questa relazione, indipendente dall’angolo ϑ (per cui valida anche se ϑ ̸= ⃗ Se la la π/2), mostra che la velocità angolare è sempre parallela a B. ⃗ e quindi, dalla punta di B, ⃗ carica q è negativa ω ⃗ ha lo stesso verso di B il moto appare antiorario; se viceversa q è positiva, allora ω ⃗ è opposta a 17 Dimostrata in Fisica 1 per una forza qualunque e quindi di validità generale. 76 ⃗ e il moto appare orario. Inoltre la formula trovata per ω B ⃗ non dipende dal valore della velocità, infatti r varia proporzionalmente a v secondo la formula determinata al punto precedente, e il loro rapporto resta costante. Di consegueza: iii) il tempo impiegato a percorrere una circonferenza, ovvero il periodo del moto circolare uniforme (e la frequenza di rivoluzione) non dipendono dal raggio dell’orbita e dalla velocità con qui questa viene descritta, valendo sempre 2π 2πm T = = . ω qB 9.2.3 Moto in un campo uniforme: ϑ arbitrario Proposizione [Moto in un campo uniforme: ϑ arbitrario]: sia data una parti⃗ uniforme. Detta cella di massa m e carica q immersa in un campo magnetico B ⃗v la velocità della particella, supponiamo che all’istante iniziale l’angolo formato ⃗ sia un certo ϑ ∈ [0, 2 π). In queste ipotesi si ha che: da ⃗v e B i) il moto della particella è elicoidale uniforme, essendo il raggio di curvatura della traiettoria costante, dato da r= m v sin (ϑ) , qB ed essendo il passo d’elica (ovvero la quantità di cui la particella si sposta ⃗ dopo il trascorrere di un periodo) dato da lungo B p= 2 π m v cos (ϑ) qB ii) la velocità angolare (vettoriale) è (come nel caso precedente) costante, indipendente dalla velocità tangenziale e parallela al campo magnetico, essendo q ⃗ ω ⃗ = − B; m iii) il periodo è (come nel caso precedente) costante, dato da T = 2πm . qB Dimostrazione: dimostriamo soltanto il primo punto, in quanto il secondo e il terzo continuano ad essere veri, perché come osservato prima, la dimostrazione dei punti ii) e iii) della proposizione precedente nel caso ϑ = π/2 aveva in realtà validità generale, non essendo i due risultati mostrati dipendenti da ϑ. . Scomponiamo allora la velocità iniziale nelle due componenti ⃗vn = v sin(ϑ) ⃗un 77 . ⃗ e ⃗vp = ⃗ La forza magnetica agente sulla ortogonale a B v cos(ϑ) ⃗up parallela a B. particella risulta quindi essere ⃗ = q (⃗vn + ⃗vp ) × B ⃗ = q ⃗vn × B. ⃗ F⃗ = q ⃗v × B ⃗ è un moto Abbiamo pertanto che il moto proiettato in un piano ortogonale a B circolare uniforme con velocità vn , uguale a quello descritto nella proposizione precedente. Seguendo lo stesso ragionamento di prima si ha quindi che il raggio di curvatura è dato da m vn m v sin(ϑ) r= = , qB qB e la velocità ancolare è sempre data da ω ⃗ =− q ⃗ B, m ⃗ non c’è forza, ⃗vp resta costante e essendo indipendente da ϑ. Siccome lungo B ⃗ il moto proiettato nella direzione di B è rettilineo uniforme. La composizione ⃗ e del moto rettilineo del moto circolare uniforme in un piano ortogonale a B ⃗ uniforme lungo B dà luogo ad un moto elicoidale uniforme, avente come asse la ⃗ Nel tempo direzione di B. 2πm T = , qB indipendente da v e pari al periodo del moto circolare uniforme, la particella di ⃗ della quantità sposta lungo B p = vp T = 2 π m v cos (ϑ) , qB ⃗ il verso detta passo d’elica, che risulta pertanto anch’essa costante. Fissato B, di percorrenza dell’elica corrisponde al verso di percorrenza del moto circolare e quindi è dato dalla stessa regola trovata nel caso precedente. 9.3 Seconda legge elementare di Laplace e applicazioni Teorema [Seconda legge elementare di Laplace]: consideriamo un conduttore ohmico filiforme percorso da corrente elettrica in regime stazionario. Sia ⃗j = j ⃗uj ⃗ si la densità di corrente. Immergendo il conduttore in un campo magnetico B ha, in modo formale, la scrittura ⃗ = i ds ⃗ × B, ⃗ dF ⃗ rappresenta la forza di Lorentz infinitesima agente sulle cariche presenti dove dF . ⃗ = in un volumetto elementare contenuto nel conduttore Σ ds, e ds ds ⃗uj . In termini finiti, sia c la curva che definisce l’asse del conduttore. Si ha allora ∫ B ( ) ⃗ ×B ⃗ . F⃗ = i ds A (c) 78 Dimostrazione: la corrente elettrica in un conduttore è dovuta al moto degli elettroni sotto l’azione del campo elettrico applicato tramite un generatore. Se n è il numero di elettroni liberi per unità di volume, ciascuno con carica −e, e detta ⃗vd la loro velocità di deriva, la densità di corrente si scrive ⃗j = −n e ⃗vd ed è parallela e concorde al campo elettrico applicato, come abbiamo mostrato in precedenza. Quando il conduttore percorso da corrente è immerso in un campo magnetico, a ciasucn elettrone è applicata la forza di Lorentz ⃗ F⃗L = −e ⃗vd × B. Attraverso gli urti che gli elettroni in moto hanno con gli ioni del reticolo cristallino tale forza è trasmessa alla massa del filo conduttore, che ora e in seguito supporremo indeformabile. In un tratto elementare di conduttore lungo ds e di sezione Σ sono contenuti n Σ ds elettroni, e la forza risultante è pertanto ⃗ = n Σ ds F⃗L = −(Σ ds) n e v⃗d × B ⃗ = Σ ds ⃗j × B ⃗ = Σ j ds ⃗uj × B. ⃗ dF Ricordando quindi la relazione i = Σj e definendo il vettore ⃗ = ds ⃗uj ds segue immediatamente la legge enunciata: ⃗ = i ds ⃗ × B. ⃗ dF Per passare alla forma finita si integra la forza elementare appena definita lungo ⃗ l’asse del conduttore. Osserviamo a tale proposito che non abbiamo assunto B uniforme, quindi nell’integrazione varia anch’esso (in generale) punto per punto. ⃗ sia lo stesso in qualunque punto di una qualsiasi sezione, Si assume però che B appunto perché il conduttore è filiforme. La corrente si porta fuori dal segno di integrale in quanto stazionaria. Corollario [Seconda legge elementare di Laplace]: nelle ipotesi della seconda legge elementare di Laplace, si supponga che l’asse del filo sia rettilineo e che il campo magnetico sia uniforme. Si ha allora ⃗ F⃗ = i ⃗l × B, dove ⃗l = l ⃗uj , con l lunghezza del filo. Corollario [Seconda legge elementare di Laplace]: nelle ipotesi della seconda legge elementare di Laplace si supponga che l’asse del filo sia curvilineo (definito da una curva piana di estremi A e B) e che il campo magnetico sia uniforme. Si ha allora ⃗ F⃗ = i ⃗l × B, dove ⃗l = l ⃗uj , con l lunghezza del segmento congiungente il punto A con il punto B. 79 Dimostrazione: senza perdere in generalità supponiamo che il filo sia con⃗ e B ⃗ decomposti nelle loro tenuto nel piano xy. Scriviamo allora i vettori ds componenti: ⃗ = (dx, dy, 0), B ⃗ = (Bx , By , Bz ). ds Il prodotto vettoriale tra ⃗ux ⃗ ×B ⃗ = det dx ds Bx ⃗ eB ⃗ è quindi dato da ds ⃗uy ⃗uz dy 0 = (dy Bz , −dx Bz , dx By − dy Bx ). By Bz ⃗ è costante, si ricava pertanto la forza Tenendo conto che B ∫ B ⃗ F = i (dy Bz , dx Bz , dx By − dy Bx ) = A (c) = i (∆y Bz , −∆x Bz , ∆x By − ∆y Bx ) ⃗ ScomMostriamo ora che l’espressione appena trovata corrisponde a i ⃗l × B. ⃗ poniamo il vettore l lungo gli assi coordinati. Essendo c una curva piana, anche il vettore congiungente A e B giacerà sul piano xy. Si ha pertanto ⃗l = (∆x, ∆y, 0). Calcoliamo allora il valore dell’espressione da verificare: ⃗ux ⃗uy ⃗uz ⃗ = i det ∆x ∆y 0 = i (∆y Bz , −∆x Bz , ∆x By − ∆y Bx ), i ⃗l × B Bx By Bz che è lo stesso valore determinato per F⃗ . Osservazione: il corollario appena enunciato afferma che la forza magnetica agente su un filo che giace in un piano ed è immerso in un campo magnetico uniforme non dipende dalla lunghezza del filo, ma solo dai punti iniziale e finale. Corollario [Seconda legge elementare di Laplace]: nelle ipotesi del corollario precedente, sia c una curva chiusa. Si ha allora F⃗ = 0. Dimostrazione: basta applicare il corollario precedente con punto iniziale uguale a punto finale ⇒ l = 0. 9.4 Principio di equivalenza di Ampère Osservazione [Forza magnetica]: da un punto di vista meccanico la forza ⃗ agente su un corpo deve considerarsi come la risultante magnetica F⃗ = q ⃗v × B 80 di un sistema di forze applicate in punti diversi, ovunque ci sianno cariche in movimento; essa provoca quindi uno spostamento in accordo con il teorema del ⃗ moto del centro di massa. In generale, oltre ad avere la risultante F⃗ = q ⃗v × B, il sistema di forze magnetiche presenta un momento risultante diverso da zero, per cui è possibile che vi siano delle rotazioni. In questo paragrafo ci occupiamo per semplicità soltanto di circuiti piani rigidi percorsi da corrente ed immersi un un campo magnetico uniforme. In tal caso la forza risultante sul conduttore è nulla e il circuito non si sposta (né si deforma, essendo rigido), però il momento risultante può essere diverso da zero e mettere in rotazione il circuito. Proposizione [Momento meccanico di una spira piana rigida]: consideriamo una spira rettangolare rigida, di lati a e b, percorsa dalla corrente i stazionaria. Orientiamo il versore ⃗un , normale al piano in cui giace la spira, in accordo con la solita convenzione della vite destrogira. Supponiamo che la spira sia immersa in ⃗ uniforme, che forma l’angolo ϑ con ⃗un . Allora il circuito un campo magnetico B ⃗ , tale che è dotato di un momento meccanico M M = (i a B)(b sin(ϑ)) = i Σ B sin(ϑ), dove si è posto Σ = a b = “area della superficie compresa nella spira”. Dimostrazione: come si deduce dalla figura seguente, le forze magnetiche F⃗3 ed F⃗4 sui lati RS e P Q sono eguali e contrarie e hanno la stessa retta di azione: ciascuna di esse è la risultante di un sistema di forza ⃗ applicata nel centro del lato, e nel loro insieme formano parallele F⃗ = q ⃗v × B, una coppia di braccio nullo18 e quindi di momento angolare nullo. Le forze F⃗1 18 Ricordiamo un sistema di forze formato da due forze di uguale intensità ma di verso opposto prende il nome di coppia di forze. Il braccio di una coppia di forze corrisponde alla distanza fra le linee di azione delle forze. Il momento di una coppia di forze, è invece il prodotto dell’intensità di una delle due forze per il braccio della coppia. 81 ed F⃗2 sui lati QR e SP sono invece caratterizzate dai seguenti valori. • Intensità19 : |F⃗1 | = |F⃗2 | = i a B. • Direzione20 : dir(F⃗1 ) = dir(F⃗2 ) = “retta ortogonale al piano del foglio”. • Verso21 : – F⃗1 è uscente dal piano del foglio; – F⃗2 è entrante nel piano del foglio. Pertanto anche le due forze F⃗1 ed F⃗2 costituiscono una coppia, e il braccio di tale coppia di forze, che risulta non nullo in generale, è dato da braccio(F⃗1 , F⃗2 ) = b sin(ϑ), come chiarito dalla figura seguente. In definitiva è possibile dunque determinare il modulo del momento della coppia come il prodotto M = (i a B)(b sin(ϑ)) = i Σ B sin(ϑ), dove si è posto Σ = a b = “area della superficie compresa nella spira”. ⃗ sarà parallelo al piano della spira, e più precisamente la direzione Il vettore M ⃗ (illustrate nella precedente figura della spira) sono determinate e il verso di M dalle solite regole della vite. Definizione: sia data una spira piana rigida percorsa da corrente i ed immersa ⃗ si definisce momento magnetico della spira il vettore in un campo magnetico B. m ⃗ = i Σ ⃗un , 19 Dalla seconda legge elementare di Laplace per i circuiti rettilinei, in quanto B ⃗ è ortogonale ai lati a. 20 Dalla definizione di forza magnetica. 21 Dalle definizioni di forza magnetica e di prodotto vettoriale. 82 dove si è indicato con ⃗un il vettore normale al piano della spira. Osservazione [Momento magnetico e momento meccanico]: grazie alla definizione di momento magnetico appena enunciata è possibile determinare il momento meccanico della proposizione precedente mediante la formula ⃗ =m ⃗ M ⃗ × B. Questo non è un caso particolare, dovuto alla geometria rettangolare del problema; si può infatti estendere questo risultato a circuiti piani di forma qualunque, come preciseremo nel seguente teorema. Teorema [Momento meccanico di una spira piana]: consideriamo una spira piana rigida percorsa dalla corrente i stazionaria. Orientiamo il versore ⃗un , normale al piano in cui giace la spira, in accordo con la solita convenzione della vite destrogira. Supponiamo che la spira sia immersa in un campo magnetico ⃗ uniforme, che forma l’angolo ϑ con ⃗un . Sia Σ l’area della superficie compresa B nella spira. Allora il circuito è dotato di un momento meccanico ⃗ =m ⃗ M ⃗ × B. dove m ⃗ è il momento magnetico della spira. Dimostrazione: un’idea informale della dimostrazione è la seguente. Approssimiamo il circuito con n circuiti rettangolari adiacenti, tutti percorsi dalla stessa corrente i con verso tale da avere le normali concordemente orientate (si veda la figura seguente). Le correnti che passano nei lati in comune sono uguali ed opposto per cui gli effetti del campo magnetico si annullano e restano solo gli effetti prodotti sul contorno esterno, coicidente (in modo approssimativo) col circuito. L’approsssimazione è tanto migliore quanto più n è grande e al limite, per n infinitamente grande, si avranno dei circuiti rettangolari elementari, aventi area dΣ infinitamente piccola. Definiamo allora il momento magnetico del generico circuito elementare come ⃗ = i dΣ ⃗un . dm Si avrà, per ogni circuito elementare, un momento meccanico dato da ⃗ = dm ⃗ × B. ⃗ dM 83 Per ricavare il momento meccanico del circuito totale sarà quindi necessario integrare sull’intera area Σ, avendosi pertanto (∫ ) ∫ ∫ ∫ ⃗ = ⃗ ×B ⃗ = ⃗ =i ⃗ =i ⃗ = M dM dm dΣ ⃗un × B dΣ ⃗un × B Σ Σ Σ Σ ⃗ =m ⃗ = i Σ ⃗un × B ⃗ × B, che è il risultato voluto. Osservazione [Momento meccanico di una spira piana]: dal teorema appena enunciato segue ovviamente che il momento angolare è nullo soltanto quando m ⃗ ⃗ La posizione con ϑ = 0 risulta essere di equilibrio stabile, quelè parallelo a B. ⃗ tende la con ϑ = π di equilibrio instabile. Per qualunque altro valore di ϑ M a far ruotare la spira in modo che il momento magnetico m ⃗ diventi parallelo ⃗ Sospendendo opportunamente la spira in assensa di attriti è e concorde a B. pertanto possibile generare in questo modo un modo oscillatorio armonico. Il comportamento oscillatorio della spira percorsa da corrente e immersa in un campo magnetico ricalca esattamente quello di un dipolo elettrico posto in un campo elettrico esterno. D’altra parte anche un ago magnetico ha un comportamento del tutto simile quando posto in un campo magnetico. Questa identità di comportamento tra spira e ago magnetico nei riguardi delle azioni meccaniche subite quando posti in un campo magnetico uniforme venne generalizzata da Ampère sotto forma di un postulato, detto principio di equivalenza di Ampère, che ora enunciamo. Postulato [Principio di equivalenza di Ampère]: per quanto riguarda gli effetti magnetici, una qualunque spira piana di area dΣ percorsa dalla corrente i in regime stazionario è equivalente ad un dipolo magnetico elementare di momento magnetico ⃗ = i dΣ ⃗un , dm posto ortogonalmente al piano della spira e orientato rispetto al verso della corrente secondo la regola della vite. Osservazione [Confronto campo elettrostatico/magnetico]: a seguito dei risultati appena enunciati si possono sottolineare diverse analogie tra campo elettrico e campo magnetico, raccolte in questa tabella. ⃗ E p⃗ ⃗ = p⃗ × E ⃗ M ⃗ Ue = −⃗ p·E ⃗ B m ⃗ ⃗ =m ⃗ M ⃗ ×B ⃗ Um = −m ⃗ ·B Il campo magnetico, come il campo elettrico, agisce sulle cariche polarizzandole. Se il campo magnetico è uniforme si definisce quindi un momento di dipolo magnetico grazie al quale, con una formula analoga a quella del campo elettrico, è possibile calcolare il momento meccanico di rotazione. Infine si può definire l’energia di orientazione magnetica Um , grazie al quale si possono 84 dedurre espressioni di forza, momento, e lavoro magnetico. Se il campo magneti⃗ non è uniforme è invece necessario utilizzare il principio di equivalenza di co B Ampère e passare alla notazione integrale per poter esprimere queste grandezze. Ad esempio l’energia di orientazione magnetica risulta definita dalla formula ∫ ∫ ∫ . ⃗ ·B ⃗ =− ⃗ = −i Um = − dm i dΣ ⃗un · B Bn dΣ, Σ Σ Σ ⃗ lungo la direzione normale alla dove con Bn si è indicata la componente di B spira. 9.5 Campo magnetico generato da una distribuzione di corrente Osservazione preliminare [Prove sperimentali]: per la maggior parte dei risultati di questo paragrafo non sono presenti dimostrazioni analitiche, perché quasi tutti questi risultati sono stati provati sperimentalmente e dalle analisi sperimentali sono poi state dedotte le formule che seguono. Osservazione [Principio di sovrapposizione]: anche per i campi magnetici vale il principio di sovrapposizione. Legge [Legge di Biot-Savart]: si consideri nel vuoto un conduttore filiforme rettilineo infinitamente lungo percorso dalla corrente i stazionaria. Allora il campo magnetico generato dal filo in un punto P dello spazio dipende solamente dalla distanza r da esso, secondo la relazione µ0 i ⃗ B(r) = ⃗ut × ⃗un , 2π r dove i versori ⃗ut e ⃗un sono rispettivamente il versore tangente e quello ortogonale al filo. Dimostrazione: dalla simmetria cilindrica del problema si può dire immediatamente che le linee di campo sono circoferenze con centro sul filo e contenute il piano ortogonali al filo, quindi il campo dipende dalla sola distanza da esso. Si osserva poi sperimentalmente che i B(r) ∝ , r dove la costante di proporzionalità dipende dal mezzo in cui si propaga il campo magnetico e dal sistema di unità di misura utilizzata. Noi esprimiamo la legge utilizzando il Sistema Internazionale e supponiamo che il filo si trovi nel vuoto. La costante risulta quindi essere µ0 cost = , 2π dove µ0 è la permittività magnetica del vuoto ed è pari a µ0 = 4 π · 10−7 85 Tm . A Sostituendo questa costante nell’esprezzione iniziale si trova quindi la tesi. Osservazione [Legge di Biot-Savart]: per fili generici la legge è stata elaborata da Biot-Ampère-Laplace, ed è nota come prima legge elementare di Laplace. Ovviamente dalla prima legge elementare di Laplace è possibile ricavare la legge di Biot-Savart come suo caso particolare. Legge [Prima legge elementare di Laplace]: si consideri nel vuoto un conduttore filiforme di lunghezza e forma arbitrarie percorso dalla corrente i stazionaria. Allora il campo magnetico generato da un elemento di filo in un punto P dello spazio posto a distanza r è dato da µ0 i ⃗ ⃗ dB(r) = ds × ⃗ur , 4 π r2 . ⃗ = dove ds ds u⃗t è il prodotto dell’elemento di lunghezza ds con il versore tangente al filo in quel punto, mentre il versore radiale ⃗ur è ha la direzione e il verso del vettore congiungente l’elemento di filo con il punto P . Osservazione: nelle ipotesi della prima legge elementare di Laplace, segue ovviamente che il campo magnetico generato da un conduttore filiforme di lunghezza e forma arbitrarie percorso dalla corrente i stazionaria si calcola come µ0 ⃗ B(r) = i 4π ∫ ⃗ ds × ⃗ur , r2 c dove c è l’asse del filo. Corollario [Legge di Ampre-Laplace]: nelle ipotesi della prima legge elementare di Laplace, supponiamo che il circuito in cui scorre la corrente sia chuiso. Allora il campo magnetico generato dal circuito a distanza r da esso è dato da I ⃗ µ0 ds × ⃗ur ⃗ B(r) = i . 4π r2 Proposizione [Circuito non filiforme]: si consideri un conduttore non filiforme di volume V percorso da corrente i stazionaria. Sia ⃗j la densità di corrente. Allora il campo magnetico generato dal circuito in un punto P posto a distanza r è dato da: ∫ ⃗ j × ⃗ur ⃗ = µ0 dV, B 4 π V r2 dove ⃗ur è il versore radiale. Dimostrazione: si consideri un elemento di superficie dV di forma cilindrica avente basi di superficie dΣ e lunghezza ds posto con asse parallelo alla direzione . ⃗ = della densità di corrente ⃗j = j ⃗uj . Definiamo il vettore ds ds ⃗uj come il 86 vettore avente modulo ds e direzione e verso della densità di corrente. Essendo il volumetto dV filiforme posso allora scrivere ⃗ = j dΣ ds ⃗ = ⃗j dΣ ds = ⃗j dV. i ds Per trovare il campo magnetico è ora sufficiente integrare il campo magnetico ⃗ generato da dV sul volume del circuito, sfruttando la prima legge elementare dB di Laplace. Ottengo pertanto ) ∫ ∫ ( ∫ ⃗ µ0 µ0 i ⃗ j × ⃗ur ⃗ = ⃗ = B dB ds × ⃗ u = dV, r 2 4 π r 4 π r2 V V V che è la tesi. Osservazione [Azioni elettrodinamiche fra circuiti percorsi da corrente]: consideriamo due fili rettilinei indefiniti paralleli all’asse z, posti a distanza d l’uno all’altro, giacenti nel piano yz e percorsi da correnti i1 e i2 rispettivamente. Il campo magnetico generato dal filo 1 a distanza d (quindi agente sul filo 2), dalla legge di Biot-Savart, è dato da ⃗ 1 (d) = µ0 i1 ⃗uz × ⃗uy = − µ0 i1 ⃗ux . B 2π d 2π d Sfruttando poi la seconda legge elementare di Laplace possiamo determinare la forza infinitesima agente su un elemento del filo 2 a causa del campo magnetico generato dal filo 1. Si ha ( ) µ0 i1 µ0 i1 i2 ⃗ ⃗ ⃗ dF12 = i2 ds × B1 = (i2 dz u⃗z ) × − ⃗ux = − dz ⃗uy , 2π d 2π d quindi se le due correnti sono equiverse la forza avrà natura attrattiva, altrimenti repulsiva. La forza per unità di lunghezza avrà la forma dF⃗12 µ0 i1 i2 =− ⃗uy . dz 2π d . Ponendo l = dz nella formula precedente il modulo della forza per unità di lunghezza risulta essere µ0 i1 i2 F = . l 2π d Quindi presi due fili (a sezione trascurabile) posti a distanza di 1 m l’uno dall’altro e percorsi entrambi da corrente di intensità 1 A, allora la forza per unità di lunghezza è µ0 N F = = 2 · 10−7 . l 2π m Proposizione [Campo magnetico di una spira circolare]: si consideri nel vuoto una spira circolare di raggio R percorsa da una corrente i stazionaria. Allora il 87 campo magnetico generato dalla spira in un qualunque punto P dell’asse è dato da µ0 R2 i ⃗ B(x) = ⃗ux , 2 2 (R + x2 )3/2 dove la direzione di ⃗ux è quella dell’asse della spira, il verso è dato dalla regola della vite, e x è la distanza di P dal piano della spira. Dimostrazione: supponiamo che la spira sia una circonferenza centrata nell’origine degli assi e contenuta nel piano yz e che la corrente i circoli in senso antiorario se la spira è vista dalla punta dell’asse x. In questo modo il versore ⃗ux dell’enunciato è effettivamente il versore ⃗ux dell’asse x. Ciò che ci proponiamo di fare ora è di applicare la prima legge elementare di Laplace e poi integrare sulla circonferenza per trovare il campo totale22 . Calcoliamo il campo elementare generato dal tratto di spira in prossimità del punto (0,0,R). Detto ϑ l’angolo che il versore radiale forma con l’asse delle z, si ha ⃗ut ⃗ur ⇒ ⃗ut × ⃗ur ⃗ 1 =⇒ dB = −⃗uy , = sin(ϑ) ⃗ux − cos(ϑ) ⃗uz , = cos(ϑ) ⃗ux + sin(ϑ) ⃗uz , µ0 i ⃗ µ0 i = ds × ur = ds [cos(ϑ) ⃗ux + sin(ϑ) ⃗uz ]. 4 π r2 4 π r2 Analogamente calcoliamo il campo elementare generato dal tratto di spira in prossimità del punto (0,0,-R). Detto ϑ l’angolo che il versore radiale forma con l’asse delle z, si ha ⃗ut ⃗ur ⇒ ⃗ut × ⃗ur ⃗ 2 =⇒ dB = ⃗uy , = cos(ϑ) ⃗uz + sin(ϑ) ⃗ux , = cos(ϑ) ⃗ux − sin(ϑ) ⃗uz , µ0 i ⃗ µ0 i = ds × ur = ds [cos(ϑ) ⃗ux − sin(ϑ) ⃗uz ]. 4 π r2 4 π r2 Applicando il principio di sovrapposizione sommiamo quindi i due campi appena calcolati, determinando il campo elementare generato dalla sovrapposizione del campo magnetico generato da (0,0,R) e di quello generato da (0,0,-R). Otteniamo in tal modo ⃗ 1+2 = µ0 i ds cos(ϑ) ⃗ux . dB 2 π r2 Detto r ⃗ur il vettore radiale congiungente il generico punto della spira con il punto P , si può poi esplicitare cos(ϑ), osservando che vale R = r cos(ϑ) ⇐⇒ cos(ϑ) = R . r 22 Per la precisione applicheremo la legge a due elementi di circonferenza antipodali, sommeremo e poi integreremo l’espressione cosı̀ determinata su una semicirconferenza. Ciò è possibile grazie al fatto che anche per i campi magnetici vale il principio di sovrapposizione. 88 Il campo magnetico elementare assume pertanto la forma ⃗ 1+2 = µ0 i ds R ⃗ux = µ0 i R ds ⃗ux . dB 2 π r2 r 2 π r3 Usando il teorema di Pitagora è ora possibile eliminare r dall’espressione, si ha allora iR ⃗ 1+2 = µ0 dB ds ⃗ux . 2 π (R2 + x2 )3/2 Per ottenere l’espressione finale non rimane ora che integrare l’espressione cosı̀ trovata lungo la semicirconferenza (e non lungo la circonferenza, perchè abbiamo sommato due contributi antipodali). Il campo magnetico finale sarà pertanto ∫ ⃗ B(x) ∫ πR πR µ0 iR ds ⃗ux = 2 2 π (R + x2 )3/2 0 0 ∫ πR µ0 iR µ0 iR = ⃗ u ds = ⃗ux π R = x 2 2 3/2 2 2 π (R + x ) 2 π (R + x2 )3/2 0 µ0 R2 i ⃗ = B(x) = ⃗ux , 2 2 (R + x2 )3/2 = ⃗ = dB che è la tesi. 9.6 Equazioni di Maxwell per il campo magnetico ⃗ un campo magnetico nel vuoto, Teorema [Equazioni di Maxwell23 ]: sia B generato da una corrente i stazionaria. Allora • Teorema di circuitazione di Ampère I ⃗ = µ0 i, ⃗ · ds B c dove c è una curva chiusa concatenata alla corrente24 . Lo stesso risulato si può esprimere localmente25 nella forma ⃗ ×B ⃗ = µ0 ⃗j, ∇ dove ⃗j è la densità di corrente. 23 Le quattro equazioni che seguono (due in forma integrale e due in forma differenziale), prendono il nome di equazioni di Maxwell per il campo magnetico. In sostanza con equazioni di Maxwell si intende semplicemente l’insieme dei due risultati del Teorema di Ampère e del flusso, visti sia in forma locale, che globale. 24 Si dice che una curva chiusa c è concatenata alla corrente (o al circuito) se c è il bordo di una superficie Σ tale che il circuito attraversi Σ trasversalmente (e non parallelamente). 25 Dal risultato in forma locale appare evidente la non conservatività del campo magnetico. 89 • Teorema del flusso per il campo magnetico ∫ ⃗ · ⃗un dΣ = 0. B Σ Anche in questo caso si può esprimere il risultato localmente26 , nella forma ⃗ ·B ⃗ = 0. ∇ Dimostrazione: dimostriamo separatamente le due parti del teorema. • Teorema di circuitazione di Ampère – Forma integrale ⃗ sia generato da un filo rettilineo indefinito con Supponiamo che B corrente stazionaria ed uscente dal piano del foglio. Per la legge di Biot-Savart abbiamo µ0 i ⃗ B(r) = ⃗ut × ⃗un . 2π r Consideriamo adesso come particolare curva chiusa concatenata alla distribuzione di corrente una circonferenza contenuta in un piano ortogonale al filo, con centro su di esso e di raggio r (stiamo quindi supponendo r costante). In questa ipotesi abbiamo ⃗ = µ0 i ds, ⃗ · ds B 2π r ⃗ hanno la stessa direzione. Scriviamo inoltre l’elemento ⃗ e ds infatti B di circonferenza in funzione dell’angolo al centro: ds = r dϑ, da cui otteniamo ⃗ = µ0 i dϑ. ⃗ · ds B 2π Integrando questa espressione da un punto P ad un punto Q sulla circonferenza si ottiene quindi ∫ Q ⃗ = µ0 i ϑ, ⃗ · ds B 2π P (c) ovvero l’integrale dipende solo dall’angolo (e non dal raggio). Mostriamo ora che questo risultato ha validità generale, e non dipende dal fatto che abbiamo scelto una circonferenza per concatenare la corrente. Siano allora P̃ e Q̃ due generici punti di R3 e sia c̃ una curva 26 Dal risultato in forma locale si vede che il campo magnetico è sempre solenoidale. 90 qualunque da P̃ a Q̃. Chiamiamo r la distanza del filo dal generico punto della curva (in questo caso ovviamente r non è costante in generale). Per ogni punto P̄ appartenente alla curva consideriamo la circonferenza SrR̄ di raggio rP̄ centrata sul filo, contenuta in un piano ad esso ortogonale e passante per P̄ . Il contributo infinitesimo all’integrale risulta quindi essere ⃗ = B(P̄ ) (ds cos(α)) , ⃗ P̄ ) · ds B( dove B(P̄ ) = µ0 i 2 π rP̄ ⃗ in direzione di e (ds cos(α)) è la proiezione dello spostamento ds ⃗ ⃗ B(P̄ ). Osservando però che il vettore B(P̄ ) è orientato come il vettore tangente in P̄ ad SrR̄ , si ha che (ds cos(α)) è anche uguale alla ⃗ in direzione alla tangente alla cirproiezione dello spostamento ds conferenza, e risulta pertanto uguale all’elemento di circonferenza di SrR̄ . Si ha quindi ds cos(α) = rP̄ dϑ e di conseguenza ⃗ = B(P̄ ) (rP̄ dϑ) = µ0 i rP̄ dϑ = µ0 i dϑ. ⃗ P̄ ) · ds B( 2 π rP̄ 2π L’integrale assume per tanto la forma ∫ Q̃ ∫ Q̃ µ0 i µ0 i ⃗ = ⃗ · ds B dϑ = ϑ, 2 π 2π P̃ (c̃) P̃ (c̃) che dipende soltanto dall’angolo ϑ. Presa pertanto una qualunque altra curva ĉ da P̃ a Q̃ si ha ∫ Q̃ ∫ Q̃ ⃗ = µ0 i ϑ, ⃗ = ⃗ · ds ⃗ · ds B B 2π P̃ (ĉ) P̃ (c̃) poiché l’integrale dipende solamente dall’angolo. La scelta di prendere proprio una circonferenza non lede pertanto la generalità. L’integrale esteso a tutta la circonferenza varrà allora I ⃗ = µ0 i 2 π = µ0 i, ⃗ · ds B 2π che è la tesi. – Forma locale Sia Σ una qualunque superficie tale che ∂Σ = c. Applicando il teorema di Stokes all’equazione di Maxwell in forma integrale otteniamo I ∫ ∫ ⃗ ⃗ ⃗ ⃗ ⃗j · ⃗un dΣ, ∀Σ B · ds = (∇ × B) · ⃗un dΣ = µ0 i = µ0 c Σ ⇒ Σ ⃗ ×B ⃗ = µ0⃗j. ∇ 91 • Teorema del flusso per il campo magnetico Non dimostriamo qui il risultato del teorema in forma integrale. Passiamo subito alla dimostrazione del caso locale, assumendo vero l’enunciato globale. La dimostrazione diventa quindi immediata, infatti utilizzando il teorema della divergenza segue che ∫ ∫ ⃗ ⃗ ·B ⃗ dV = 0, ∀Σ, ∀V B · ⃗un dΣ = ∇ V Σ ⃗ ·B ⃗ = 0, =⇒ ∇ e con questa uguaglianza concludiamo la dimostrazione del teorema. Osservazione [Teorema di Ampère]: nella dimostrazione del teorema di circuitazione di Ampère abbiamo osservato che l’integrale ∫ Q ⃗ = µ0 i ϑ, ⃗ · ds B 2π P (c) dipende solo dall’angolo. Questo fatto ha una conseguenza molto importante. Supponiamo di avere un filo indefinito percorso da corrente uscente dal foglio. Se prendiamo una curva chiusa c che non sia concatenata con i, allora la circuitazione del campo lungo c sarà nulla. Infatti dati P e Q due punti qualunque sulla curva si ha ∫ Q ∫ Q ∫ P ∫ Q I ⃗ = 0, ⃗ − ⃗ = ⃗ + ⃗ = ⃗ · ds ⃗ · ds ⃗ · ds ⃗ · ds ⃗ · ds B B B B B c P (c) Q (c) P (c) P (−c) perché gli ultimi due integrali, anche se calcolati su curve diverse, sono estesi dallo stesso punto di partenza allo stesso punto di arrivo. Questo ci dice che la circuitazione del campo magnetico “non vede” le distribuzioni di corrente, a meno che la curva lungo cui si calcola la circuitazione sia concatenata ad esse. Alla luce di questa osservazione è possibile generalizzare il teorema di Ampère. ⃗ il campo magnetico generato nel Teorema [di circuitazione Ampère]: sia B vuoto dalle correnti stazionarie i1 , . . . , im . Sia c una curva chiusa che concateni n ≤ m correnti. Si ha allora I n ∑ ⃗ = µ0 ⃗ · ds B ik . c k=1 Osservazione [Teorema di Ampère]: osserviamo che l’equazione di Maxwell in forma locale è compatibile con la condizione di stazionarietà della corrente ⃗ · ⃗j = 0), infatti applicando l’operatore divergenza ad entrambi i membri (∇ dell’equazione di Maxwell si ottiene un’identità: ⃗ · (∇ ⃗ × B) ⃗ = µ0 ∇ ⃗ · ⃗j = 0, ∇ 92 in quanto la divergenza del rotore di una qualunque funzione è sempre identicamente nulla. Vala la pena di osservare ciò perché questa sarà proprio la condizione che cadrà quando si considereranno correnti che variano nel tempo. Le equazioni di Maxwell in questa forma risulteranno quindi sbagliate ed andranno pertanto opportunamente generalizzate. Curiosità [Spettrometro magnetico]: lo spettrometro magnetico serve per trovare particelle con lo stesso rapporto carica su massa. Funziona nel modo seguente. Si consideri una sorgente di ioni (ad esempio un gas ionizzato). Si applichi una differenza di potenziale alla sorgente. In questo modo gli ioni vengono accelerati, e, una volta entrati in un campo magnetico uniforme, compiranno una semicirconferenza ed andranno a sbattere contro una lastra fotografica. Tutte le particelle che sbattono nello stesso punto hanno lo stesso rapporto. 93