Elettricità e Magnetismo prof. Giovanni Falcone

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Elettricità e Magnetismo
prof. Giovanni Falcone
(G. Falcone) Dipartimento di Fisica - Università della Calabria, ponte
P. Bucci, cubo 31C, Rende (CS) Italy
Current address, G. Falcone: Dipartimento di Fisica, Università della Calabria
E-mail address, G. Falcone: [email protected]
URL: http://www.fis.unical.it
Dedicato alla memoria di mia madre cui in vita ho dedicato molto meno tempo di quanto avrei
voluto
Abstract. Queste dispense si riferisco al corso di Fisica II da me svolto presso
la Facoltà di Ingegneria dell’università della Calabria nell’AA 2001-2002. Il
corso prevedeva 30 ore di lezioni tradizionali e 30 di esercitazioni. Le dispense
contengono sia le lezioni svolte che un gran numero di esercizi svolti.In un
momento di transizione del nostro sistema universitario, in assenza di adeguati
libri di testo, ritengo che sia un dovere dei docenti fornire delle dispense quanto
più vicine possibili ad un libro di testo. Nei miei ricordi di studente, non posso
non ricordare la minore difficoltà che ho incontrato nel sostenere gli esami
di cui erano disponibili o le dispense o il libro del docente del corso. Avrei
raggiunto lo scopo che mi ero prefisso se almeno una parte dei miei studenti
potesse trovare un aiuto da queste mie dispense. A tutti coloro che volessero
darmi suggerimenti per migliorare queste dispense o segnalarmi eventuali errori
porgo i miei ringraziamenti.
Contents
Prefazione
v
Chapter 1. Il campo elettrostatico
1. La legge di Coulomb
2. Il campo prodotto da più cariche puntiformi
3. Le linee di forza del campo elettrostatico
4. Esempi
1
1
5
6
7
Chapter 2. Il concetto di potenziale
13
1. Il potenziale coulombiano
14
2. Il potenziale del campo uniforme e costante
16
3. Espressione cartesiana di potenziali coulombiani
18
4. Il dipolo elettrico ed il suo momento
19
5. Potenziale a grande distanza da una distribuzione puntiforme di cariche 20
6. Dipolo in un campo elettrico esterno ed uniforme
22
7. Esempi
24
Chapter 3. Distribuzioni continue di cariche
1. Determinazione di alcuni campi
2. Determinazione di alcuni potenziali
3. Potenziali a grande distanza da un distribuzione continua
25
26
30
33
Chapter 4. La legge di Gauss
1. Flusso di un vettore attraverso una superficie
2. La legge di Gauss per il campo elettrico
3. Legge di Gauss: derivazione generale
4. Esempi
35
35
38
39
43
Chapter 5. Conduttori e Dielettrici in elettrostatica
1. Il campo elettrico nei conduttori
2. Il campo elettrico nelle vicinanze di un conduttore
3. L’induzione elettrostatica
4. Lo schermo elettrostatico
5. Potenziale di un conduttore
6. Effetto punta
7. Capacità di un conduttore
8. Capacità di un condensatore piano
9. I Dielettrici
10. Complementi: energia e densità di energia elettrostatica
51
51
53
56
56
58
60
61
62
66
72
Chapter 6. La corrente elettrica continua
85
iii
iv
CONTENTS
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
Densità di carica e di corrente
Legge di Ohm
La densità di energia elettrostatica
Complementi: cenni sulle leggi di Kirchhoff
Complementi: teoria microscopica elementare della conduzione
Complementi: carica di un condensatore
Complementi: scarica di un condensatore
85
87
93
94
96
97
99
Chapter 7. Forze agenti su cariche e correnti
1. La forza di Lorentz
2. Il lavoro della forza di Lorentz
3. Forza agente su tratti di fili: seconda formula di Laplace
4. L’azione magnetica su un circuito: il dipolo magnetico
5. Il segno dei portatori di carica nei metalli
6. Effetto Hall
7. Complementi: Circuito in moto in un campo B uniforme e costante
101
101
106
106
107
110
111
114
Chapter 8. Campi magnetici prodotti da correnti stazionarie
1. Il campo magnetico prodotto da una carica in moto uniforme
2. La prima formula di Laplace
3. Legge di Biot-Savart
4. Forza agente tra cariche in moto
5. Definizione di Ampère
121
121
122
125
130
132
Chapter 9. La legge di Faraday
1. Induzione in un circuito in moto
2. La legge di Lenz
3. Autoinduttanza ed induttanza
4. Esempi
5. L’energia magnetica: elementi
6. Il circuiti LC
7. Esempi
135
138
139
140
142
144
146
147
Chapter 10. La circuitazione e il flusso del campo magnetico
1. Circuitazione di B: il teorema di Ampère
2. Esempi
3. La corrente di spostamento di Maxwell
4. Il flusso di B attraverso una superficie chiusa
153
153
155
157
160
Appendix A. Appendice
163
Prefazione
L’organizzazione di queste dispense tiene conto sia del numero di ore in cui
erogare le lezioni tradizionali sia le conoscenze dello studente che segue il corso. Il
modulo di Fisica II consta di 30 ore di lezioni e 30 di esercitazioni. Rispetto ad
un corso tradizionale siamo ad appena un terzo delle ore frontali che una volta gli
studenti di Ingegneria ricevevano. Inoltre gli studenti avendo solo svolto il corso di
Calcolo 1, non sarebbero in grado di comprendere una formulazione locale del campo
elettromagnetico. Con questi presupposti il corso deve essere necessariamente un
corso di Elettricità e Magnetismo. In realtà, come per il corso di Fisica I lo scopo
dei due corsi è quello di fornire agli studenti le sole conoscenze di Fisica di base,
indispensabili per affrontare i corsi della nuova laurea. Il corso è allora una semplice
introduzione alle quattro leggi fondamentali dell’elettricità e Magnetismo nel vuoto.
Ogni approfondimento sulla corrente continua e non, sui conduttori, sui dielettrici,
sul magnetismo nella materia e sulla formulazione locale dei campi dovrà essere
affrontata in altri corsi del primo triennio o in alcuni del secondo biennio.
v
CHAPTER 1
Il campo elettrostatico
La conoscenza dei fenomeni elettrici e magnetici, nella forma presentata in
questo corso è relativamente recente. Tuttavia, conoscenze di fenomeni legati
all’elettricità ed al magnetismo erano noti anche ai popoli della Grecia. Infatti,
questi popoli conoscevano la resina fossile, detta ambra e la magnetite. Per arrivare
ad una prima conoscenza dei fenomeni magnetici come li intendiamo oggi bisogna
attendere il libro dell’inglese William Gilbert, del 1600. In esso si parla del magnetismo terrestre e dell’orientamento degli aghi magnetici, nonché dell’elettricità
per strofinio. La nascita dell’elettricità moderna si fonda, in ogni caso, sui lavori
del francese Charles Augustin Coulomb (1736-1806). La storia dell’elettricità e del
magnetismo, come tutte le storie relative al progresso della conoscenza umana non è
mai il contributo di pochi ed è difficile compendiare gli sforzi dei molti che ci hanno
consegnato i loro risultati. Vogliamo solo rilevare ora che la storia dell’elettricità e
del magnetismo si è mescolata con la storia della costituzione della materia e con
la storia della natura della luce. Nel corso di questo corso incontreremo alcuni dei
protagonisti ed il lavoro da essi svolto. Non procederemo in maniera storica, perché
questo approccio non spetta a questo corso, ma partiremo quasi dalla fine, ovvero
dalla costituzione della materia, in una forma semplificata.
Tutti i corpi sono costituiti di atomi. Gli atomi sono costituiti da un nucleo,
ove risiedono i neutroni ed i protoni, e da elettroni che sono localizzati intorno al
nucleo. Questo modello fu proposto nel 1917 dall’inglese Rutherford e dal danese
Bohr. Elettroni e protoni posseggono una carica elettrica, che indicheremo con qe
e qp . Per convenzione, la carica dell’elettrone è stata assunta negativa. Il protone,
possiede una carica di valore pari alla carica dell’elettrone ma di segno opposto. La
carica dell’elettrone e del protone è detta carica fondamentale ed il suo valore, è,
qe = −1, 6 × 10−19 C
qp = 1, 6 × 10−19 C
dove C sta per Coulomb, ed è l’unità di misura della carica elettrica, nel Sistema
Internazionale. Un corpo è carico quando vi è un eccesso di cariche positive o
negative. Tutti i corpi carichi risultano avere una carica che è un multiplo della
carica fondamentale.
L’elettrone fu scoperto nel 1897 dall’inglese Joseph John Thomson (1856-1940).
1. La legge di Coulomb
Il contributo più rilevante di Coulomb è stato la determinazione, per via sperimentale, di quella che oggi è nota come legge di Coulomb (1785). La legge di
1
2
1. IL CAM PO ELETTROSTATICO
Coulomb stabilisce che due corpi carichi puntiformi, posti nel vuoto ad una distanza r, esercitano l’uno sull’altro una forza la cui intensità, è data da
F0 = k0
Q1 Q2
r2
dove Q1 e Q2 sono le cariche possedute dai corpi e k0 è una costante, detta
costante di Coulomb, che nel Sistema Internazionale vale circa
k0 = 9 × 109
N m2
C2
La direzione della forza F0 è lungo la congiungente i due corpi e risulta attrattiva,se
le due cariche sono di segno opposto,e repulsiva, se sono dello stesso segno:
Nel Sistema Internazionale si usa riscrivere la costante k0 nel modo seguente
k0 =
1
4π 0
dove 0 è una costante, detta costante dielettrica del vuoto, (o permettività
assoluta del vuoto). Il suo valore, nel Sistema Internazionale è circa
0
= 8, 9 × 10−12
C2
N m2
1.1. Il campo coulombiano. Si considerino due cariche puntiformi, Q e q ed
un sistema di riferimento con l’origine sulla carica Q. Secondo la legge di Coulomb,
sulla carica puntiforme q verrà esercitata, da parte della carica puntiforme Q, una
forza la cui espressione è
(1)
F0 = ±k0
Qq
ur
r2
dove ur è il versore del vettore posizione
ur =
r
r
Nella (1) il segno positivo va preso se le due cariche sono dello stesso segno,
mentre il segno negativo va preso se le due cariche hanno segno opposto.
1. LA LEGGE DI COULOM B
3
Assumeremo, in tutta la restante sezione che entrambe le cariche siano positive.
Il vettore
(2a)
E=
F0
q
è detto campo elettrico generato dalla carica Q. Usando la (1), possiamo ottenere la forma esplicita del campo:
Q
ur
r2
Come si vede, il campo elettrico dipende dalla carica Q e dalla distanza dove
abbiamo posto la carica Q.
(2b)
E = k0
Indipendentemente dalla presenza effettiva della carica q, ad ogni punto dello
spazio intorno alla carica Q si può associare un vettore, la cui direzione è lungo la
congiungente la carica Q e la carica q, il cui verso è quello del versore posizione e
la cui intensità è data da
Q
r2
L’insieme dei vettori associabili ai punti dello spazio, con le modalità appena descritte, costituiscono il campo coulombiano della carica puntiforme Q. L’unità di
misura del campo elettrico è quella di una forza per unità di carica
(3)
E = k0
4
1. IL CAM PO ELETTROSTATICO
E=
[f orza]
N
=
[carica]
C
Un tipico valore del campo elettrico è 104 N/C.
Il campo coulombiano generato dalla carica Q non dipende dalla carica q. Tuttavia, per misurare il campo coulombiano E0 , dobbiamo, secondo la (2), prima
conoscere la forza F0 agente sulla carica q e poi dividere la forza stessa per il valore della carica q. Per evitare che ci sia una dipendenza dalla carica q usata, per
determinare il campo coulombiano, occorre che la carica q sia una carica di prova.
Per carica di prova si intende una carica che sia puntiforme e sufficientemente
piccola paragonata con Q, in maniera tale che il campo coulombiano di Q non sia
modificato apprezzabilmente dalla carica di prova. Allora, possiamo scrivere
(4)
E=
F0
Q
= k0 2 ur
q
r
q << Q
La carica di prova sarà indicata con q ed è assunta sempre positiva.
Una volta determinato il campo coulombiano di una carica puntiforme Q, usando la carica di prova, possiamo determinare la forza esercitata dalla carica Q su
una qualunque carica puntiforme Q1 ; basterà moltiplicare il campo, dato dalla (4),
per la carica Q1 :
F0 = Q1 E
(5)
Se la carica Q, non è nell’origine, ma occupa una posizione r1 , allora il campo
elettrico da essa generato, nel punto P, la cui posizione è r, sarà:
(6)
E (r) =
1
Q
(r − r1 )
4πε0 |r − r1 |3
1.2. Uso delle coordinate cartesiane. In maniera esplicita, ora scriveremo
i risultati in forma generale, ma usando le coordinate cartesiane. Gli esercizi che
faranno riferimento a campo di una o più cariche puntiformi, si potranno risolvere
con le espressioni ottenute in quosto paragrafo.
Il campo elettrico coulombiano in P dovuto alla carica Q è
E0 = k0 Q
1
uR
R2
2. IL CAM PO PRODOTTO DA PIÙ CARICHE PUNTIFORM I
5
dove
r − r1 = R
Introducendo le coordinate cartesiane dei punto P e Q :
r1 = x1 ux + y1 uy + z1 uz
r = xux + yuy + zuz
troviamo
R = (x − x1 ) ux + (y − y1 ) uy + (z − z1 ) uz
e
2
Inoltre, poiché
2
2
|R| = (x − x1 ) + (y − y1 ) + (z − z1 )
uR =
avremo
uR =
2
R
|R|
(x − x1 ) ux + (y − y1 ) uy + (z − z1 ) uz
q
2
2
2
(x − x1 ) + (y − y1 ) + (z − z1 )
In definitiva, il campo coulombiano sarà dato
E0 = k0 Q
(x − x1 ) ux + (y − y1 ) uy + (z − z1 ) uz
3/2
[(x − x1 )2 + (y − y1 )2 + (z − z1 )2 ]
Se la carica Q è posta nell’origine del sistema di riferimanto avremo
E0 = k0 Q
xux + yuy + zuz
[x2 + y 2 + z 2 ]
3/2
2. Il campo prodotto da più cariche puntiformi
Vale per il campo elettrico, il seguente principio di sovrapposizione:
Il campo elettrico di due o più cariche puntiformi è uguale al vettore somma
dei campi elettrici di ognuna di queste cariche prese separatamente.
6
1. IL CAM PO ELETTROSTATICO
In forma matematica scriveremo, per N cariche puntiformi:
(1)
E=
N
X
En
n=1
ovvero
(2)
E=
N
1 X Qn
(r − rn )
4π 0 n=1 |r − rn |3
dove Qn è la carica posta nella posizione rn ed r è la posizione del punto P, dove si
vuole calcolare il campo coulombiano.
3. Le linee di forza del campo elettrostatico
Per visualizzare il campo si usa introdurre le linee di forza del campo. Una tale
descrizione, precisiamo subito è solo approssimativa e in alcuni casi può indurre
in conclusioni sbagliate. Una linea di forza di un campo elettrico è una linea che
ha per tangente in ogni suo punto un vettore che coincide con il campo nel punto
considerato. Le linee di forza di una carica puntiforme positiva e negativa sono
mostrate sotto. Le linee di forza sono sempre dirette dalle cariche positive a quelle
negative:
Il verso delle linee di forza si comprende immaginando nei vari punti la carica
di prova. Si può immaginare che il numero di linee di forza sia proporzionale
all’intensità del campo e quindi visualizzare una maggiore o minore intensità del
campo, in una certa regione, aumentando o diminuendo, rispetto ad un’altra regione
il numero di linee di forza.
In ogni caso, non bisogna dimenticare che il campo è una funzione continua
dello spazio e quindi l’uso, naturalmente discreto delle linee di forza, può essere
fuorviante. Un modo analitico per determinare le linee di forza, ovvero per determinare le equazioni di tali linee è quello di usare la condizione di parallelismo tra
il campo E e la tangente dl alla linea di forza in un punto:
E ∧ dl =0
ovvero, in termini di componenti
dx
dy
dz
=
=
Ex
Ey
Ez
4. ESEM PI
7
4. Esempi
Esempio 1:Si determini il rapporto tra la forza di Coulomb e la forza gravitazionale che un protone esercita su un elettrone.
Ambedue le forze sono attrattive. La forza di Coulomb esercitata dal protone
sull’elettrone è data da
Qp Qe
r2
dove k0 è la costante di Coulomb ed r la distanza tra le due cariche. La forza
gravitazionale esercitata dal protone sull’elettrone è data da
F0 = k0
Mp Me
r2
dove G è la costante di gravitazione universale ed Mp ed Me la massa del
protone e dell’elettrone, rispettivamente. Facendo il rapporto tra le due forze
FG = G
F0
k0 Qp Qe
=
FG
G Mp Me
e sostituendo i valori numerici (Mp = 1, 7 × 10−27 kg, Me = 9, 1 × 10−30 kg) e
(G = 6, 7 × 10−11 N m2 /kg 2 , Qi = 1, 6 × 10−19 C) alle varie quantità , si trova
F0
= 2, 3 × 1039
FG
La forza di Coulomb è enormemente più intensa della forza gravitazionale.
Esempio 2: Trovare il campo coulombiano nel punto P di coordinate (0,0,5)
prodotte da due cariche puntiformi di uguale valore, Q1 = Q2 = Q poste nei punti
di coordinate (3,0,0) e (0,4,0).
Poiché
r1 = x1 ux + y1 uy + z1 uz
r2 = x2 ux + y2 uy + z2 uz
r = xux + yuy + zuz
troviamo
r1 = 3ux
R1 = r − r1 = (−3) ux + (5) uz
r2 = 4uy
r = 5uz
R2 = r − r2 = (−4) uy + (5) uz
8
1. IL CAM PO ELETTROSTATICO
|R1 | =
q
√
(−3)2 + (5)2 = 34
|R2 | =
Inoltre, poiché
uR1 =
avremo
r − r1
|r − r1 |
q
√
(−4)2 + (5)2 = 41
uR2 =
r − r2
|r − r2 |
(−3) ux + (5) uz
(−4) uy + (5) uz
√
√
uR2 =
34
41
Il campo coulombiano, in P, dovuto alla carica Q1 , sarà dato da
uR1 =
E1 = k0 Q
1
(|R1 |)
2 uR1
e quello dovuto alla carica Q2 sarà dato da
E2 = k0 Q
Usando le relazioni precedenti troviamo
E1 = k0 Q
−3ux + 5uz
3/2
(34)
1
(|R2 |)2
uR2
E2 = k0 Q
−4uy + 5uz
(41)3/2
In campo risultante sarà
E = E1 + E2 = k0 Q (−0, 01ux − 0, 01uy + 0, 04uz )
Esempio 3-Due cariche Q1 = 50µC e Q2 = 10µC sono poste nei punti di
coordinate (−1, 1, −3) m e (3, 1, 0) m. Si determini la forza agente su Q1 .
Possiamo scrivere i vettori posizione delle due cariche, avendo le componenti,
come
r1 = −ux + uy − 3uz
r2 = 3ux + uy
da cui, facendo la semplice differenza delle componenti omologhe, avremo
R = r1 − r2 = −4ux − 3uz
Infine
uR =
La forza agente su Q1 sarà
F12 =
|R| =
p
42 + 32 = 5
1
r1 − r2
= (−4ux − 3uz )
5
|r1 − r2 |
1 Q1 Q2
uR = 0, 18 (−0, 8ux − 0, 6uz ) N
2
4π 0 r12
Esempio 4 (Dipolo elettrico) Due cariche, uguali ma di segno opposto, sono
tenute ferme lungo l’asse z, ad una distanza l, uguale per entrambe, dall’origine del
sistema di riferimento. Si determini il campo E, in un punto P, dell’asse y.
4. ESEM PI
9
Con E+ ed E− abbiamo indicato il campo elettrico generato in P dalla carica
positiva e negativa rispettivamente. Il campo generato dal dipolo in un punto
arbitrario P è in generale, come mostreremo successivamente abbastanza complesso.
Qui la semplicità del calcolo è realizzata mediante la limitazione al solo asse y, che
è un asse di simmetria per le due cariche.
Il campo E+ generato dalla carica Q è repulsivo, mentre il campo E− è attrattivo. La distanza d, di P da Q, è uguale alla distanza di P da (−Q) ed entrambe
sono uguali a
(1)
d2 = l2 + y 2
I due campi hanno una uguale intensità:
1
|Q|
4π 0 l2 + y 2
Le componenti lungo l’asse y sono uguali e di segno contrario. Le componenti lungo
l’asse z sono uguali e dello stesso segno; il loro modulo è:
(2)
E+ = E− =
l
E+,z = E+ cos α = E+ p
2
l + y2
l
E−,z = E− cos α = E− p
l2 + y 2
allora, la risultante componente lungo l’asse z è
(3)
Ez = E+,z + E−,z =
2
|Q| l
2
4π 0 (l + y 2 )3/2
Nel caso in cui y À l (approssimazione di dipolo), si può trascurare l2 nel denominatore e la precedente relazione diventa
(4)
Ez ∼
=
2 |Q| l
4π 0 y 3
Se introduciamo la quantità dQ
(5)
dQ = 2lQ
10
1. IL CAM PO ELETTROSTATICO
detta, momento di dipolo elettrico, avremo
Ez ∼
=
(6)
1 dQ
4π 0 y 3
Esempio 5: Moto in un campo elettrico longitudinale.
Determinare la velocità di arrivo dell’elettrone sullo schermo.
Il teorema dell’energia cinetica, nel tratto d, si scrive
1
1
qe Ed = Me vf2 − Me v 2
2
2
da cui
r
2qe Ed
vf = v 2 +
Me
Poiché, nel tratto l il moto è rettilineo uniforme, la precedente espressione rappresenta anche la velocità di arrivo sullo schermo.
Esempio 6: Moto in un campo elettrico trasverso; Determinare il punto di
arrivo sullo schermo dell’elettrone e la velocità con cui vi arriva
Le equazioni utili sono
Me ax (t) = 0
Me ay (t) = −qe (−E)
da cui
vx (t) = v
vy (t) =
qe E
t
Me
x (t) = vt
→
y (t) =
1 qe E 2
t
2 Me
4. ESEM PI
11
Eliminando il tempo tra le equazioni delle coordinate si ottiene
1 qe E 1 2
x
(1)
y=
2 Me v 2
Questa è una parabola. Poiché, dopo la particella si muove di moto rettilineo
uniforme, la velocità di arrivo sullo schermo è uguale alla velocità di arrivo, in h.
Il valore di h è
1 qe E 1 2
d
(2)
h=
2 Me v 2
La velocità, in h, avrà un modulo che otterremo dal teorema dell’energia cinetica
Z
1
1
F · dr = Me vf2 − Me v 2
2
2
Poiché
Z
Z
Z
F · dr = Fx dx + Fy dy = Fy dy = qe Eh
avremo
1
1
Me vf2 = Me v 2 + qe Eh
2
2
da cui
r
qe Eh
Me
Per ottenere la direzione della velocità basta trovare la tangente alla traiettoria, nel
punto di coordinate (d, h). Facendo la derivata della (1), si trova
dy
qe E 1
x
=
dx
Me v 2
Ponendo x = d, si ottiene
qe E 1
d
(4)
tan α =
Me v 2
Rimane la determinazione di h1 . Geometricamente, si ha
(3)
vf =
v2 + 2
h1 = h + l tan α
da cui
(5)
1 qe E 1 2
qe E 1
qe E d
d +l
d=
h1 =
2
2
2 Me v
Me v
Me v 2
µ
d
+l
2
¶
CHAPTER 2
Il concetto di potenziale
Vogliamo discutere del concetto di lavoro in elettrostatica. Conviene ricordare
alcune delle considerazioni svolte sul concetto di lavoro in meccanica. Abbiamo
imparato nel corso di Meccanica che vi sono alcune forze, dette conservative, il
cui lavoro non dipende dalla conoscenza della traiettoria del corpo, ma solo dalle
posizioni iniziali e finali, come per esempio la forza di gravitazione universale, la
forza peso e la forza elastica. Per tali forze, abbiamo definito una energia potenziale:
Un punto materiale che si muove sotto l’azione di una forza conservativa passa
attraverso i diversi punti dello spazio cui è associato un ben determinato valore
della funzione energia potenziale, U (r). Il valore che viene associato al generico
punto rA è uguale al lavoro che la forza compie sul punto materiale per spostarlo
dal punto A ad un’altro O, preso come punto di riferimento per A e tutti gli altri
punti dello spazio in cui agisce la forza. Allora per le forze conservative è possibile
definire la seguente funzione
(1)
U (rA ) ≡ U (A) = L (A → O)
Se B è un altro punto dello spazio
U (B) = L (B → O)
Scegliendo una traiettoria che vada da A a B, passando anche per O, possiamo
scrivere
(2)
U (A) − U (B) = L (A → O) − L (B → O) = L (A → O) + L (O → B) = L (A → B)
cioè
(3)
L (A → B) = U (A) − U (B) ≡ −∆U
Il lavoro per spostare un punto materiale da A a B è, nel caso di forze conservative, è uguale alla variazione di energia potenziale, cambiata di segno.
Passiamo al caso di campi elettrici. Supponiamo di avere un campo elettrico
E. La forza agente su di una carica di prova q è
(4)
F0 = qE
Se la forza è conservativa, possiamo associare ad ogni punto dello spazio ove
agisce il campo una energia potenziale elettrostatica, nel modo seguente:
(5)
U (A) = LF0 (A → 0) = q
13
Z
0
A
E · dr
14
2. IL CONCETTO DI POTENZIALE
dove 0 è il punto di riferimento sopra decsritto. Si definisce potenziale in A, il
lavoro fatto dal campo sulla carica unitaria.
(6)
V (A) =
q
R0
A
E·dr
=
q
Z
0
E·dr
A
Se si ha un secondo punto si avrà
V (B) =
Z
0
E·dr
B
e la differenza di potenziale tra i due punti sarà
(7)
V (B) − V (A) =
Z
0
E·dr−
B
Z
0
A
E·dr = −
Z
B
E·dr
A
In fututo, sostituiremo dr con dl,
(8)
V (B) − V (A) = −
Z
B
E·dl
A
Il vettore infinitesimo dl, è in ogni punto tangente ad una ”linea”, l che può
essere una traiettoria di una particella reale o un ipotetico percorso.
1. Il potenziale coulombiano
Abbiamo imparato nel capitolo precedente che le proprietà dello spazio intorno
ad una carica puntiforme sono determinate dalla conoscenza del campo elettrico
coulombiano in ogni punto dello spazio. Ora mostreremo che esiste un modo alternativo di conoscere le proprietà dello spazio intorno ad una carica puntiforme.
Tale metodo alternativo consiste nella conoscenza del potenziale in ogni punto dello
spazio. Lo scopo di questo paragrafo è la determinazione dell’espressione di questo
potenziale coulombiano. Proviamo a calcolare la differenza di potenziale tra due
punti dello spazio in cui è presente una carica puntiforme Q. In particolare, calcoliamo il secondo membro della seguente relazione
V (B) − V (A) = −
Z
B
E·dl
A
nel caso di un campo generato la carica puntiforme Q è posta nell’origine di
un sistema di riferimento.
1. IL POTENZIALE COULOM BIANO
15
Sostituendo l’espressione del campo elettrico coulombiano, per una carica posta
nell’origine, nell’integrando della precedente relazione, avremo
Z
B
Q
u ·dl
2 r
r
A
dove ur è il versore radiale del campo e dl è lo spostamento infinitesimo, ovvero è
un vettore tangente alla curva che rappresenta il percorso (reale o ideale) che stiamo
esaminando. Il prodotto scalare ur ·dl rappresenta la componente del vettore dl nella
direzione radiale, ovvero dr. Allora
V (B) − V (A) = −
(1)
V (B) − V (A) = −
Z
B
A
k0
k0
¶¯B
¶
µ
µ
1
Q
1 ¯¯
1
dr=
−
k
Q
=
k
Q
−
−
0
0
r2
r ¯A
rB
rA
Notiamo subito che due punti che hanno la stessa distanza dalla carica Q hanno lo
stesso potenziale. Possiamo più in generale affermare che tutte le superfici sferiche,
con centro sulla carica Q sono superfici equipotenziali, per la carica Q. Ricordando
che il campo elettrico di una carica puntiforme è radiale, possiamo concludere che
il campo è sempre ortogonale alle superfici equipotenziali.
Assumeremo sempre che il potenziale sia nullo all’infinito (il punto di riferimento comune per tutti i punti è all’infinito ed in tale punto il potenziale è zero)
(2)
V (B = ∞) = 0
Dalla (1) avremo
(3a)
V (A) =
Z
∞
A
k0
1
Q
dr = k0 Q
2
r
rA
Se la carica Q è negativa, avremo
(3b)
All’espressione
V (A) = −k0 Q
1
rA
16
2. IL CONCETTO DI POTENZIALE
Z ∞
Q
Q
U (r)
k0 2 dr = ±k0
=
q
r
r
A
si dà il nome di potenziale coulombiano generato dalla carica Q, posta nell’origine
del sistema di riferimento. Il potenziale coulombiano, ad una distanza r dalla carica
Q è uguale al lavoro fatto dalla forza coulombiana, generata dalla carica Q su di
un corpo di carica unitaria per spostarlo da una distanza r ad una distanza infinita
dalla carica Q. Il segno coincide con il segno della carica.
Il potenziale si misura in Joule su Coulomb e si chiama Volt (V). Dalle precedenti equazioni si vede che il campo elettrico ha anche dimensioni del Volt su metri :
(4)
V0 (r) =
V
m
Se la carica non è posta nell’origine del sistema di riferimento
E=
ma occupa una posizione individuata dal vettore r0 e il potenziale deve calcolarsi
nel punto P, il cui vettore posizione è r, allora il potenziale coulombiano associato
alla carica Q, nel punto P si scrive
(5)
V0 (r) = ±k0
1
Q
Q
=±
4π 0 |r − r0 |
|r − r0 |
Notiamo subito che, essendo il campo elettrostatico coulombiano conservativo,
(per esso abbiamo potuto definire l’energia potenziale e poi il potenziale), l’integrale
di linea tra due punti qualsiasi non dipende dal percorso scelto per connettere i due
punti. In particolare, se il punto iniziale e quello finale coincidono, ovvero, se il
percorso scelto è chiuso, l’integrale di linea è nullo:
(6)
I
E · dl = 0
Si dice che la circuitazione del campo coulombiano elettrostatico è nulla.
2. Il potenziale del campo uniforme e costante
.Ci proponiamo di calcolare la differenza di potenziale tra due punti dello spazio
in cui è presente un campo elettrico uniforme e costante. Per ora non ci preoccuperemo di sapere quale distribuzione di cariche determina un tale campo (vedremo
2. IL POTENZIALE DEL CAM PO UNIFORM E E COSTANTE
17
che un tale campo si trova tra le piastre di un condensatore piano) ma solo di studiarne le proprietà. Un campo elettrico uniforme e costante è un campo che assume
in una regione dello spazio sempre lo stesso valore, in modulo direzione e verso.
Supponiamo che il nostro campo elettrico E sia diretto lungo l’asse z:
(7)
E =Euz
Abbiamo vista che la differenza di potenziale tra due punti, in uno spazio in
cui è presente un campo elettrico conservativo è
(8)
V (B) − V (A) = −
Z
B
E·dl
A
Notiamo che, per ogni spostamento ortogonale all’asse z (piani paralleli al piano
xy),
(9)
Euz ·dl =0
Quindi, se i punti A e B si trovano, su un qualunque piano, parallelo al piano
xy, avranno lo stesso valore del potenziale:
(10)
V (B) = V (A)
Si dice che, i piani ortogonali all’asse z, sono superfici equipotenziali. (In generale, una superficie equipotenziale è una superficie su cui il potenziale elettrico ha
lo stesso valore in ogni punto della superficie. Inoltre, le linee di forza del campo
elettrico sono perpendicolari, alle superfici equipotenziali, in ogni loro punto). Non
rimane che calcolare la differenza di potenziale tra due punti dello spazio nella
direzione dell’asse z. Poiché
E =Euz
dl =dxuz
segue
V (B) − V (A) = −
In definitiva,
(11a)
Z
zB
zA
Euz ·dzuz = −
Z
zB
zA
Edz = −E
V (B) − V (A) = −∆zE = E (zA − zB )
Z
zB
zA
dz
18
2. IL CONCETTO DI POTENZIALE
Se si sceglie lo zero del potenziale in z = 0, il potenziale in un punto che ha
quota z sarà (V (B) = 0)
(11b)
V (z) = −Ez
La simililarità con il campo gravitazionale terrestre, cioè quello legato alla forza
peso F = M g è marcata
V (z) = gz
3. Espressione cartesiana di potenziali coulombiani
La funzione V (r), ovvero, il potenziale coulombiano è un campo scalare, in
quanto esso associa ad ogni punto dello spazio uno scalare.
Abbiamo visto che se una carica positiva Q, non è più posta nell’origine degli
assi, ma si trova fissata in r0 , allora, il potenziale generato da Q, in un punto r, è
(12)
V (r) =
1
Q
4π 0 |r − r0 |
Se usiamo le coordinate cartesiane, possiamo scrivere esplicitamente
(13)
V (r) =
1
q
4π 0
Q
(x −
2
x0 )
2
+ (y − y 0 ) + (z − z 0 )
2
3.1. Numero N di cariche puntiformi. Se si ha un numero N di cariche
puntiformi, Qn , per il principio di sovrapposizione,
potremo scrivere
(14)
V (r) =
N
1 X Qn
4π 0 n=1 |r − rn |
Se usiamo le coordinate cartesiane, possiamo scrivere esplicitamente
(15)
V (r) =
N
1 X
Qn
q
4π 0 n=1
2
2
2
(x − xn ) + (y − yn ) + (z − zn )
4. IL DIPOLO ELETTRICO ED IL SUO M OM ENTO
19
4. Il dipolo elettrico ed il suo momento
Due particelle cariche puntiformi, che distano d ed hanno carica opposta costituiscono il dipolo elettrico (si pensi all’atomo di idrogeno con l’elettrone supposto
fermo; voglio studiare il campo prodotto da tale atomo, a grande distanza da esso).
Se Q è la loro carica, il vettore
(16)
dQ = Qd
diretto lungo la congiungente tra le due cariche e verso che va da −Q a +Q è
detto momento di dipolo elettrico.
Ci proponianmo di determinare il potenziale generato da tale distribuzione di
carica, a grande distanza dal luogo ove è localizzato il dipolo.
Noi assumeremo che il dipolo sia in prossimità dell’origine del sistema di riferimento. Nelle applicazioni pratiche il dipolo è posto proprio nell’origine (vedi figura
successiva). Dal principio di sovrapposizione e dalla figura, segue
(17)
Poiché a−1
·
¸
1
Q
Q
V (r) =
−
4π 0 |r − (r0 + d)| |r − r0 |
¡ ¢−1/2
= a2
, e a2 = a · a , con a =(r − r0 ) − d , possiamo scrivere
0
−1
0 −1
|(r − r ) − d|
= |r − r |
"
1−
2 (r − r0 ) · d
(r − r0 )2
Al primo ordine, in |d| / |(r − r0 )| si può scrivere
(18)
0
|(r − r ) − d|
−1
0 −1
= |r − r |
"
1+
+
d2
(r − r0 )2
(r − r0 ) · d
(r − r0 )2
#−1/2
#
Sostituendo tale espressione nella (17) e semplificando si ottiene
(19)
V (r) ∼
=
1 dQ · (r − r0 )
1 Qd · (r − r0 )
=
3
4π 0 |r − r0 |
4π 0 |r − r0 |3
20
2. IL CONCETTO DI POTENZIALE
Supponiamo di porre il dipolo con il suo punto medio nell’origine e diretto lungo
l’asse z (vedi figura sotto).
Si avrà
1 dQ r cos θ
1 dQ cos θ
=
4π 0
r3
4π 0 r2
che in termini di componenti cartesiane, ricordando che
V (x, y, z) ∼
=
(20)
r=
diventa
(21)
p
x2 + y 2 + z 2
V (x, y, z) =
cos θ =
z
r
1
z
dQ
4π 0 (x2 + y 2 + z 2 )3/2
5. Potenziale a grande distanza da una distribuzione puntiforme di
cariche
Si supponga di avere una distribuzione di cariche puntiformi, localizzate in una
regione limitata dello spazio (un atomo con elettroni considerati fermi!).
Il potenziale si scriverà
(22)
"
µ 0 ¶2 #−1/2
N
N
1 X Qn
1 X Qn
2r · r0n
rn
V (r) =
=
+
1−
2
0
4π 0 n=1 |r − rn |
4π 0 n=1 r
r
r
5. POTENZIALE A GRANDE DISTANZA DA UNA DISTRIBUZIONE PUNTIFORM E DI CARICHE
21
Al primo ordine in (rn0 /r):
V (r) ∼
=
ovvero
1
V (r) ∼
=
4π 0
(23)
·
¸
N
r · r0
1 X Qn
1 + 2n
4π 0 n=1 r
r
PN
1 r·
n=1 Qn
+
r
4π 0
³P
N
n=1
Qn r0n
r3
´
Definendo il momento di dipolo del sistema
dQ,tot =
(24)
N
X
Qn r0n
n=1
arriviamo alla seguente espressione:
V (r) ∼
=
(25)
1 Qtot
1 dQ,tot · r
+
4π 0 r
4π 0
r3
Il potenziale, generato da una distribuzione di carica localizzata in un regione
finita, in regioni poste ad una grande distanza dalla regione ove è localizzata la
distribuzione di carica, è uguale alla somma del potenziale generato da una carica
puntuale posta nell’origine, con carica pari alla carica totale della distribuzione,
più il potenziale di un dipolo elettrico pari al momento di dipolo del sistema
posto anch’esso nell’origine.Si badi che la distribuzione di carica deve essere vicina
all’origine del riferimento, perché valgano i risultati precedenti.
Il momento di dipolo del sistema dipende, in generale, dalla posizione dell’origine
di un sistema di riferimento. Infatti, supponiamo che l’origine di un nuovo sistema
di riferimento sia spostato di b.
Il nuovo momento di dipolo del sistema sarà:
00
dQ,tot =
X
n
Qn r00n =
X
n
Qn (r0n − b) =
X
n
Qn r0n −
X
Qn b
n
Il generale, vediamo che il momento di dipolo di un sistema dipende dal sistema di
riferimento che si sceglie. Tuttavia, se il sistema è neutro, cioé se
X
Qn = 0
n
22
2. IL CONCETTO DI POTENZIALE
avremo
00
dQ,tot =
X
Qn r00n =
n
X
0
Qn r0n = dQ,tot
n
possiamo allora dire che nel caso di un sistema di cariche neutro, il momento di
dipolo di un sistema è indipendente dal sistema di riferimento. In tal caso, il
potenziale conterrà come primo termine, il contributo dipolare, perché il termine
coulombiano è nullo:
V (r) ∼
=
1 dQ,tot · r
4π 0
r3
6. Dipolo in un campo elettrico esterno ed uniforme
Ora studieremo l’energia posseduta da un dipolo in un campo elettrico uniforme
esterno. Supponiamo di avere un campo elettrico uniforme diretto lungo la direzione
dell’asse z.
(26)
E =Euz
Ricordiamo che tale campo è simile ad un campo gravitazionale terrestre locale.
Sappiamo che l’energia posseduta da un corpo di massa M1 , in unn campo gravitazionale è M1 gh1 e che quindi la sua energia potenziale dipende dall’altezza h1
che il corpo occupa, rispetto alla superficie della Terra. Se abbiamo un’altro corpo
M2 ad un’altra altezza h2 , la sua energia sarà M2 gh2 . L’energia del sistema di due
cariche dipenderà dalla posizione di entrambe le cariche. Vedremo, nel caso elettrostatico, che l’esistenza delle cariche negative rende l’energia del dipolo indipendente
dalla posizione spaziale che occupa nel campo uniforme. In altre parole, sebbene
la forza coulombiana e quella gravitazionale abbiano la stessa forma, la loro natura
fisica è molto diversa.
Supponiamo che il dipolo non sia inizialmente orientato nella direzione del
campo esterno. Sia z0 la posizione del punto medio del dipolo e θ l’angolo che
il momento di dipolo forma con la direzione del campo (in questo caso con l’asse
z). Abbiamo mostrato che in un campo elettrico uniforme e diretto nella direzione
dell’asse z, il potenziale varia solo nella direzione del campo, quindi, per determinare
l’energia potenziale del dipolo nel campo esterno è sufficiente dare le coordinate
lungo l’asse z del dipolo. SE indichiamo con z− la coordinata z della carica negativa
e con z+ quella della carica positiva, le due coordinate si potranno scrivere come
segue:
6. DIPOLO IN UN CAM PO ELETTRICO ESTERNO ED UNIFORM E
23
d
d
cos θ
z+ = z0 + cos θ
2
2
Sappiamo che la differenza di potenziale tra due punti, la cui distanza, lungo
l’asse z è ∆z è
(27)
z− = z0 −
(28)
∆V = −E∆z
Allora, nel nostro caso, avremo
(29)
∆z =
µ
¶ µ
¶
d
d
z0 + cos θ − z0 − cos θ = d cos θ
2
2
In definitiva, l’energia potenziale associata alla posizione del dipolo, posto nel
campo uniforme, sarà data da,
(30)
U = Q∆V = −QdE cos θ = −dQ · E
Possiamo concludere dicendo che l’energia potenziale di un dipolo, in un campo
magnetico esterno e uniforme, non dipende dalla posizione del dipolo nello spazio
ma solo dalla orientazione del momento di dipolo rispetto alla direzione del campo.
Per avere un quadro più completo del sistema ”dipolo”, conviene esaminare
cosa succede alle forze che agiscono sul dipolo quando è immerso nel campo esterno
uniforme. Se il dipolo non è allineato con il campo, avremo due forze uguali e
di segno contrario che agiscono su ciascuna carica. Se indichiamo con F+ e con
F− la forza esercitata dal campo sulla carica positiva e negativa rispettivamente,
troveremo
(31)
F+ =QEuz
F− = −QEuz
ovvero la risultante delle forze è nulla, ma le due forze agiscono su due cariche
differenti. Il sistema sarà soggetto ad una coppia, il cui momento non dipende dal
polo rispetto al quale lo si calcola e il suo modulo è uguale all’intensità della forza
per il braccio. In maniera esplicita, avremo
(32)
τ = F d sin θ = QEd sin θ = dQ E sin θ
e in termini vettoriali
(33)
τ = dq ∧ E
Il campo, attraverso il momento della forza, tende ad orientare il momento
di dipolo nella direzione del campo. Notiamo, inoltre, che se deriviamo, rispetto
alla variabile angolare, l’energia potenziale, associata al dipolo nel campo esterno,
U = −dQ E cos θ, troviamo proprio il momento della coppia cui è soggetto il dipolo
stesso:
d
d
(−dQ E cos θ) = −dQ E (cos θ) = dQ E sin θ = τ
dθ
dθ
Quindi, possiamo scrivere che
24
2. IL CONCETTO DI POTENZIALE
dU
dθ
Il momento tenderà ad allineare il dipolo con il campo.
(34)
τ=
7. Esempi
Esempio 1: Una sfera di massa M = 10−1 g e carica Q = 10−8 C è sospeso ad
un filo inestensibile e di massa trascurabile, in mezzo a due piani paralleli verticali
separati da una distanza d = 10cm. Calcolare la differenza di potenziale che deve
esserci tra i due piani, affinché la sfera formi un angolo di 30◦ con la verticale.
Il campo tra i due piani è
∆V
d
Sulla carica ci sono tre forze: la forza peso Fp , la forza elettrica generata dai piani
QE e la tensione del filo Fτ . All’equilibrio, si ha
E=
Fp + QE + Fτ = 0
Se si proietta tale equazione lungo la direzione ortogonale al filo si ottiene
da cui
−M g sin α + QE cos α = 0
M g tan α
∆V
=E=
Q
d
In definitiva,
M g tan α
d
Q
Sostituendo i valori numerici si trova ∆V = 566V
Esempio 2:
∆V =
CHAPTER 3
Distribuzioni continue di cariche
In molti casi reali il numero di cariche puntiformi contenute in un certo volume
può essere grandissimo o se si preferisce un corpo carico si presenta con buona approssimazione come una distribuzione continua di carica (in perfetta analogia con
la distribuzione di carica continua di materia, già incontrata nel corso di meccanica). Se le distribuzioni di cariche si possono considerare distribuite con continuità
nello spazio, o su una superficie o lungo una linea possiamo utilizzare il linguaggio del continuo per esprimere sia i campi che i potenziali. Considerato un corpo
macroscopico qualunque, si deve determinare una distribuzione infinitesima di carica, all’interno del corpo macroscopico. Questa distribuzione di carica infinitesima
diventa sorgente di un campo (o potenziale) coulombiano. Il campo ( o il potenziale) prodotto da tutto il corpo sarà la somma (la somma essendo costituita di
elementi infinitesimi diventa un integrale) di tutti i campi (o potenziali) prodotti
da tutti gli elementi infinitesimi di cui è costituito il corpo macroscopico.
0.1. Caso a: densità di carica di volume. Si può allora introdurre la
densità di carica, ρ (r0 ) come quella funzione dei punti dello spazio che moltiplicata
per il volume infinitesimo dello spazio dV = d3 r0 , rappresenta la carica totale
contenuta nel volume d3 r0 :
dQ = ρ (r0 ) d3 r0
(1)
La carica contenuta nell’intero volume finito V sarà
(2)
Q=
Z
d3 r0 ρ (r0 )
V
Per il principio di sovrapposizione, il campo (infinitesimo),
(3)
dE (r) =
1 ρ (r0 ) d3 r0
dQ
1
(r − r0 ) =
(r − r0 )
3
4π 0 |r − r0 |
4π 0 |r − r0 |3
rappresenta il campo prodotto in r dalla carica dQ = ρ (r0 ) d3 r0 contenuta nel
volumetto d3 r0
26
3. DISTRIBUZIONI CONTINUE DI CARICHE
0.2. Caso b: densità di carica di superficie. Mostreremo, nel prossimo
capitolo, che in un conduttore all’equilibrio elettrostatico, la carica in eccesso si
distribuisce sulla sua superficie. Se la carica è distribuita con continuità sulla
superficie, possiamo introdurre la densità di carica superficiale ρa (r0a ) (il vettore
r0a ora spazia su una superficie fissa), in maniera tale che
dQa = ρa (r0a ) d2 a
(5)
rappresenta la carica contenuta sulla superficie infinitesima d2 a. Il campo,
prodotto in r, dalla tale distribuzione infinitesima di carica si scriverà
(6)
dE (r) =
1
1 ρa (r0a ) d2 a
dQa
(r − r0 ) =
(r − r0 )
3
4π 0 |r − r0 |
4π 0 |r − r0 |3
La carica totale depositata su una superficie finita sarà
Z
Qa = d2 aρa (r0a )
a
ed il campo risultante si scriverà
1
E (r) =
4π 0
(7)
Z
ρa (r0a ) d2 a
|r −
a
r0a |3
(r − r0a )
0.3. Caso c: densità di carica lineare. Se di un corpo carico si vuole
sapere il suo campo in regioni molto lontane dalla regione ove esso è situato, talvolta il corpo può approssimarsi con una sola dimenzione. Quando ciò accade e
la distribuzione di carica è continua, allora si parla di distribuzione lineare e di
una distribuzione lineare di carica ρl (r0l ).La carica presente su un tratto lineare
infinitesimo si scriverà
dQl = ρl (r0l ) dl
(8)
Il campo prodotto da tale distribuzione si scriverà
(9)
dE (r) =
1 ρl (r0l ) dl
1
dQl
(r − r0 ) =
(r − r0 )
3
4π 0 |r − r0 |
4π 0 |r − r0 |3
Infine, il campo prodotto da una distribuzione lineare finita di carica si scriverà,
(10)
1
E (r) =
4π 0
Z
l
ρl (r0l ) dl
|r − r0l |
3
(r − r0l )
Nella sezione successiva mostreremo applicazioni delle tre distribuzioni di carica.
1. Determinazione di alcuni campi
Gli esempi che presenteremo hanno una caratteristica comune: il campo viene
calcolato, per l’asta lineare carica, per l’anello carico e per il disco carico in punto
posto lungo un asse di simmetria per i corpi. In tutti i casi, tale asse coincide con
l’asse x, che risulta ortogonale al sistema di carica ed è per esso asse di simmetria.
Esempio 1: Un’asta lineare di lunghezza 2l ha una densità di carica lineare
positiva ρl ed una carica totale Q. Per una distribuzione uniforme Q = 2lρl . L’asta
1. DETERM INAZIONE DI ALCUNI CAM PI
27
sia lungo l’asse y , da (−l, l) come indicata in Figura; Si determini il valore del
campo lungo l’asse x.
Calcoliamo il campo dE, generato dalla carica infinitesima dQ = ρl dy nel punto
P . Per ragioni di simmetria, la componente del campo ortogonale all’asse x verrà
eliminata dal tratto dy’, simmetrico di dy rispetto ad x. Per cui sarà sufficiente
calcolare la sola componente x del campo generato da dQ = ρl dy. La componente
x di tale campo sarà:
(1)
dEx = dE cos β
dove, il modulo del campo è
(2)
dE =
1
ρl dy
4π 0 (x2 + y 2 )
mentre il coseno sarà
x
cos β = p
x2 + y 2
(3)
Allora la componente x del campo, dovuta a dQ, sarà
dEx =
(4)
xρl dy
1
2
4π 0 (x + y 2 )3/2
Il campo risultante, prodotto da tutta l’asta, sarà
Ex =
Z
dEx =
ρl x
4π 0
Z
l
dy
1
(x2 + y 2 )3/2
L’integrale è mostrato in appendice e si trova, dopo aver posto
y
= tan α
x
−l
dy
= sec2 αdα
x
il seguente risultato
(5)
¯l
¯
ρl x
ρx
ρ
y
2l
l
¯
p
√
= l √
Ex =
¯ = l
4π 0 x2 x2 + y 2 ¯
4π 0 x2 x2 + l2
2π 0 x x2 + l2
−l
28
3. DISTRIBUZIONI CONTINUE DI CARICHE
Notiamo che se l’asta lineare diventa di lunghezza infinita, il precedente risultato
si può approssimare con
∼ ρl 1
l >> x
(6)
Ex =
2π 0 x
Il campo elettrostatico di un filo rettilineo indefinito cala con la distanza x dal filo.
Questo risultato sarà ritrovato anche con il teorema di Gauss. La (5), introducendo
la carica, Q = 2lρl , diventa
Q
1
√
4π 0 x x2 + l2
Nel limito opposto al precedente, ovvero se ci si ponne a distanze molto grandi
rispetto alle dimensioni dell’asta, cioè se x À l, si può trascurare l rispetto a x, al
denominatore, e si ottiene il campo coulombiano:
Ex =
(7)
Q 1
x >> l
Ex ∼
=
4π 0 x2
Esempio 2: Un anello di raggio R, ha una densità di carica superficiale positica
ρa ed una carica totale Q. La sua distribuzione è uniforme ed è posto nel piano yz.
Si determini il campo elettrico lungo l’asse x.
(8)
Calcoliamo il campo di una striscia infinitesima, di carica dQ , la cui caratteristica principale è di contenere punti equidistanti dal punto dove si deve calcolare
il campo. Il modulo del campo sarà:
1 dQ
1
dQ
=
4π 0 r2
4π 0 R2 + x2
Per ragioni di simmetria, le componenti del campo, diverse da quelle lungo l’asse
x, hanno risultante nulla. Allora basta determinare la componente lungo l’asse x:
dE =
x
dEx = dE cos α = dE √
R2 + x2
quindi
dEx =
dQ
x
x
1
dQ
√
=
2
2
2
2
4π 0 R + x
4π 0 (R2 + x2 )3/2
R +x
1. DETERM INAZIONE DI ALCUNI CAM PI
29
Poiché tutti gli elementi infinitesimi danno lo stesso contributo, il campo totale,
lungo l’asse x, sarà:
Ex =
1
xQ
4π 0 (R2 + x2 )3/2
Notiamo che il valore del campo, in x = 0, è nullo: ogni parte infinitesima di anello
ha una corrispondente parte simmetrica che annulla il campo. Inoltre, se x À R,
avremo
1 Q
4π 0 x2
cioè, il campo è pari a quello di una carica puntiforme Q, posta nel centro dell’anello.
Esempio 3: Un disco di raggio R ha una densità di carica superficiale ρa ed
una carica totale Q. Si determini il campo elettrico lungo l’asse x, se la densità è
uniforme ed il disco è posto nel piano yz.
Ex =
Il campo dell’anello di raggio r e spessore dr è stato trovato nel precedente
esercizio, con la differenza che la carica sull’anello precedente era una carica finita
ed ora è infinitesima ed uguale a dQ = ρa 2πrdr. Il campo infinitesimo prodotto da
quessta distribuzione di carica saràππ
dEx =
(1)
1
xdQ
4π 0 (r2 + x2 )3/2
Il campo per x > 0, sarà
Ex
=
=
ovvero
xρa
4π 0
Z
R
dr (2πr)
1
(r2
x2 )3/2
=
xρa
π
4π 0
Z
R2 +x2
0
+
·
¸
¯R2 +x2
−2
xρa
xρ
2
¯
= a √
+√
−2η−1/2 ¯ 2
40
40
x
R2 + x2
x2
(2)
Per R >> x si trova
ρ
Ex = a
2 0
µ
¶
x
1− √
R2 + x2
x2
dηη −3/2
2. DETERM INAZIONE DI ALCUNI POTENZIALI
31
Nel caso di una distribuzione lineare continua di carica, dQ = ρl (r0l ) dr0l il
potenziale coulombiano di tale distribuzione sarà
1 ρl (r0l ) dr0l
(38)
dV (r) =
4π 0 |r − r0l |
mentre il campo totale di tutta la distribuzione si scriverà
Z
1
ρl (r0l ) dr0l
(39)
V (r) =
4π 0 l |r − r0l |
Se la distribuzione lineare è lungo l’asse x, potremo scrivere
(40)
1
V (r) =
4π 0
Z
ρl (x0 ) dx0
q
(x − x0 )2 + (y − y 0 )2 + (z − z 0 )2
Nel caso di una distribuzione superficiale di carica, in cui la carica infinitesima
si scriverà dQ = ρa (r0a ) d2 a il potenziale in r si scriverà
(41)
dV (r) =
ed il potenziale totale diventerà
1 ρa (r0a ) d2 a
4π 0 |r − r0a |
Z
1
ρa (r0a ) d2 a
(42)
V (r) =
4π 0 a |r − r0a |
Nel caso specifico di una distribuzione superficiale piana continua, posta nel piano
xy, si avrà:
(43)
1
V (r) =
4π 0
Z
a
ρa (x0 , y 0 ) dx0 dy 0
q
2
2
(x − x0 ) + (y − y 0 ) + (z − z 0 )
2
Il vero problema di tutte le espressioni appena scritte è possibilità reale di effettuare le integrazione in esse contenute. Solo se i corpi macroscopici sono solidi
regolari si può effettuare una ragionevole integrazione, altrimenti in generale diventano solo espressioni formali. Per quello che ci riguarda, esse saranno calcolate solo
in casi molto particolari. Quando vi sono simmetrie particolari si potrà utilizzare
il teorema di Gauss, che discuteremo nel prossimo capitolo.
2.2. Determinazione di alcuni potenziali. Esempio 1: Determiniamo il
potenziale di un anello lungo la direzione radiale
32
3. DISTRIBUZIONI CONTINUE DI CARICHE
Il potenziale generato da una porzione infinitesi di anello è
dV =
1
ρa d2 a
1 dQ
√
=
4π 0 r2
4π 0 R2 + x2
Il potenziale prodotto da tutto l’anello sarà
Z
1
ρ dl
√ l
V =
4π 0
R2 + x2
L’integrazione è fatta su una curva che è nel piano ortogonale ad x, quindi durante
l’integrazione non solo R, ma anche x rimane costante, per cui
Z
1
Q
1
1
√
√
ρl dl =
V =
4π 0 R2 + x2
4π 0 R2 + x2
A grande distanza, x >> R, si avrà il potenziale coulombiano
V ∼
=
1 Q
4π 0 x
Esempio 2: Determinare il potenziale di un disco, lungo l’asse di simmetria
Dai risultati del precedente esercizio possiamo scrivere che il potenziale di una
anello infinitesimo del disco si può scrivere
dV =
dQ
ρ d2 a
1
1 ρa 2πrdr
1
√
√ a
√
=
=
2
2
2
2
4π 0 r + x
4π 0 r + x
4π 0 r2 + x2
ed il potenziale di tutto il disco sarà
ρ 2π
V = a
4π 0
Z
0
R
rdr
√
r2 + x2
Posto
t = r2 + x2
dt = 2rdr
avremo
ρ
V = a
20
Z
R2 +x2
x2
2
2
√ i
ρ √ ¯¯R +x
ρ hp 2
dt −1/2
= a t¯ 2
= a
R + x2 − x2
t
2
20
20
x
3. POTENZIALI A GRANDE DISTANZA DA UN DISTRIBUZIONE CONTINUA
33
3. Potenziali a grande distanza da un distribuzione continua
Abbiamo visto che nel caso di una distribuzioni puntiforme (ma localizzata)
di cariche, il potenziale a grande distanza dalla distribuzione era scrivibile come
la somma di un termine di tipo coulombiano e di un termine di tipo dipolare (il
termine successivo è quello quadripolare:
1 Qtot
1 dQ,tot · r
(44)
V (r) ∼
+
=
4π 0 r
4π 0
r3
Se si ripetono le stesse considerazioni, ma per una distribuzione continua,
si riottiene la (44), con la sola differenza, che la carica totale sarà
(45)
Qtot =
Z
ρ (r0 ) d3 r0
I
d3 r0 r0 ρ (r0 )
V
dove l’integrale è esteso allo spazio occupato dal corpo ed, il momento di dipolo
del sistema è definito come
(46)
dQ,tot =
CHAPTER 4
La legge di Gauss
Per la determinazione del campo elettrico bisogna sapere quali sono e dove sono
esattamente le sorgenti del campo elettrico. Abbiamo già visto che le sorgenti del
campo elettrico sono le cariche elettriche puntiformi. Ora stabiliremo, in maniera
generale, il legame che esiste tra una proprietà fondamentale del campo (il suo
flusso attraverso una superficie chiusa) e le sorgenti del campo stesso. Per capire
ciò che ci accingiamo a fare e la sua collocazione all’interno dell’elettromagnetismo
conviene fare alcune precisazioni. Noi dimostremo sul piano matematico che se è
vera la legge di Coulomb, il flusso del campo elettrico dipende solo dalle cariche
contenute nella superficie. Poiché il risultato, si fonda sulla validità della legge di
Coulomb, tale risultato è detto ”teorema di Gauss”. Inoltre, mostreremo che non è
vero il contrario. Cioé, che se si conosce il flusso del campo attraverso una superficie
chiusa, non sempre è possibile dedurre il campo elettrostatico (ciò è possibile solo in
casi di particolare simmetria del problema). Allora, perché parlare di legge di Gauss
nel titolo? In realtà, per poter arrivare ad una forma di equivalenza tra la legge
di Coulomb e quella di Gauss, occorre riformulare le equazioni del campo in quella
che si chiama la forma locale delle equazioni del campo. Quando avremo trovato la
formulazione locale della circuitazione e del flusso attraverso una superficie chiusa,
del campo elettrico, avremo non solo l’equivalenza ma saremo andati oltre. Più
precisamente, la formulazioni delle leggi fisiche, nella forma di forze, si è rivelata
poco efficiente nell’indagine della leggi fondamentali e la strada da percorrere è
stata intrapresa per la prima volta da Maxwell nell’elettromagnetismo. Quindi,
quella di Gauss è una legge, anche se nella veste che qui sarà presentata ha più
l’aspetto di un teorema. Fatta questa precisazione, parleremo indistintamente di
legge o teorema di Gauss.
1. Flusso di un vettore attraverso una superficie
Si abbia un tubo trasparente all’interno del quale scorre dell’acqua
35
36
4. LA LEGGE DI GAUSS
Sia δA una sua sezione e v la velocità delle particelle di fluido che si trovano a
passare per δA; la velocità è supposta costante su tutta la superficie ed è ad essa
ortogonale. La portata,
(1)
ΦδA (v) = δAv
rappresenta il volume di fluido che attraversa, nell’unità di tempo, la superficie
δA. La superficie δA ha due faccie. Vogliamo definire la faccia positiva. Sia δl il
bordo della superficie δA. Con le dita della mano destra percorriamo tale bordo,
in senso antiorario. L’area racchiusa dalla mano è la faccia positiva ed il pollice,
che risulta ortogonale a tale area, indicherà la direzione ed il verso della superficie
orientata.Tale faccia sarà indicata con un versore, ua .
Con il vettore
(2)
δA = δAua
intenderemo una superficie orientata, ovvero una superficie e la faccia positiva.
Se nel tubo ove scorre il fluido il vettore velocità non è più ortogonale alla
superficie δA, pur rimanendo costante su tutta la superficie,
1. FLUSSO DI UN VETTORE ATTRAVERSO UNA SUPERFICIE
37
la portata sarà data da
(3)
ΦδA (v) = δAv cos α
dove α è l’angolo tra il vettore velocità ed il versore ua della superficie δA. Per la
definizione di prodotto scalare, potremo anche scrivere
(4)
ΦδA (v) = δAua · v
La portata è un caso particolare di flusso di un vettore attraverso una superficie.
Più precisamente, la portata è il flusso del vettore velocità attraverso la superficie
δA.
Se si considera un nuovo vettore, come per esempio il campo elettrico E, la
quantità
(5)
ΦδA (E) = δAua · E
rappresenta il flusso del vettore E attraverso la superficie δA, nell’ipotesi che il
campo elettrico sia costante su tutta la superficie δA
Allora nel calcolo del flusso dobbiamo prima stabilire la faccia positiva della
superficie e dopo verificare l’angolo tra la direzione della superficie e quella del
campo. Se la superficie è chiusa la direzione di una qualunque superficie infinitesima
deve essere sempre quella diretta verso l’esterno:
38
4. LA LEGGE DI GAUSS
2. La legge di Gauss per il campo elettrico
Ora dimostreremo che, come conseguenza della validità della legge di Coulomb,
il flusso del campo elettrico attraverso una superficie chiusa dipende dalle cariche
puntiformi racchiuse nella superficie. Questo risultato è noto come teorema (o
legge) di Gauss.
Consideriamo una sfera di raggio r che ha nel suo centro una carica positiva
Q. Ci proponiamo di calcolare il flusso del campo elettrico E, generato dalla carica
posta nel centro della sfera attraverso la superficie totale della sfera. Consideriamo
prima il flusso di E attraverso una piccola superficie δA, della superficie sferica,
che abbiamo preventivamente suddivisa in tante superfici, su ognuna delle quale
il campo è supposto costante. Focalizziamo la nostra attenzione su una di queste
superfici:
Il campo elettrico generato dalla carica Q ad una distanza r dal suo centro è
(1)
E=
1 Q
ur
4π 0 r2
dove 0 è la costante dielettrica del vuoto e ur il versore del vettore posizione, del
sistema di riferimento con origine sulla carica Q. La superficie δa è talmente piccola
che ua è il solo versore che individua la sua faccia positiva. Siccome δa è parte di
una superficie chiusa, cioè la superficie totale della sfera, i versori delle superfici
chiuse sono sempre uscenti dalla superficie: tutti gli ua puntano verso l’esterno.
Possiamo calcolare il flusso del campo elettrico attraverso la superficie δa. Per
definizione, tale flusso è
(2)
Φδa (E) = δAua · E
e sostituendo in essa, l’espressione del campo (1), si avrà:
Φδa (E) = δaua ·
1 Q
ur
4π 0 r2
ovvero
(3)
Φδa (E) = ua · ur
δa Q
4π 0 r2
3. LEGGE DI GAUSS: DERIVAZIONE GENERALE
39
Poiché i due versori sono paralleli,ua · ur = 1; allora il flusso del campo elettrico
attraverso la superficie δa sarà dato da
(4)
Φδa (E) =
1 Q
δa
4π 0 r2
Il flusso del campo elettrico attraverso l’intera superficie sferica a, sarà la somma
dei flussi attraverso tutte le superfici δa che costituiscono la sfera:
(5)
Φa (E) =
1 QX
δa
4π 0 r2
δa
2
Poiché, l’area di una sfera è a = 4πr , la precedente espressione si riduce a
(6)
Φa (E) =
1 Q
Q
4πr2 =
4π 0 r2
0
Questa espressione, nota come teorema di Gauss e derivata per una carica posta
nel centro della sfera, è valida qualunque siano le cariche poste dentro la sfera e
qualunque sia la forma della superficie chiusa contenente le cariche.
Più precisamente, il teorema di Gauss, consente di provare che il flusso del
campo elettrico attraverso una qualunque superficie chiusa è sempre dato da
(7)
ΦA (E) =
Q
0
dove Q rappresenta la somma algebrica di tutte le cariche contenute nella superficie chiusa.
Il teorema di Gauss, si fonda, nella nostra presentazione, sulla validità della
legge di Coulomb. Conviene, tuttavia, fare alcune precisazioni. Il flusso del campo
elettrico attraverso una superficie chiusa è, sempre, data dalla somma algebrica delle
cariche contenute all’interno della superficie chiusa. Tuttavia il campo elettrico
dipende dalla configurazione istantanea di tutte le cariche che sono dentro alla
superficie chiusa. Quindi, se si cambia la configurazione delle cariche cambierà
il campo elettrico nei punti dello spazio (e anche sulla superficie) che circondano
la superficie chiusa che racchiude le cariche. Allora, sebbene il campo all’esterno
della superficie chiusa (e sulla superficie) possa cambiare (ed anche in maniera
considerevole) il teorema di Gauss afferma che il flusso del campo rimarrà inalterato,
purché nessuna carica attraversi la superficie in uno qualunque dei versi (carica
entrante oppure uscente). Questo risultato suggerisce una certa cautela nell’uso del
teorema di Gauss per la determinazione del campo elettrico.
3. Legge di Gauss: derivazione generale
Per capire la prossima dimostrazione ed in generale il concetto di flusso attraverso una superficie di forma arbitraria, conviene introdurre il concetto di angolo
solido. Ricordiamo che per un angolo piano α, che sottende un arco s di di una
circonferenza di raggio R, l’angolo, misurato in radianti è
s
α=
R
40
4. LA LEGGE DI GAUSS
e per un angolo infinitesimo. dα che sottende un arco infinitesimo ds, sulla stessa
circonferenza, si può scrivere
dα = Rds
Questi concetti possono essere estesi agli angoli che si estendono, non su un piano
ma nello spazio e che si chiamano angoli solidi.
Si definisce angolo solido, Ω lo spazio compreso nel parte di cono in figura e la
sua espressione matematica è
a2
a1
Ω= 2 = 2
R1
R2
Se l’angolo solido è infinitesimo, d2 Ω, esso sottende un’area infinitesima d2 a e si
può scrivere
d2 a
d2 Ω = 2
R
ovvero
d2 a = R2 d2 Ω
L’unità di misura degli angoli solidi si chiama steradiante ed il valore di un angolo
solido che sottende una sfera è 4π.
Si definisce flusso del campo E attraverso una superficie infinitesima d2 a, la
quantità scalare
(1)
dΦ (E) = E · ua d2 a
Con l’ovvia generalizzazione, il flusso attraverso una superficie finita ”a”, sarà
(2)
Φa (E) =
Z
d2 aE · ua
I
d2 aE · ua
a
mentre quello attraverso una superficie chiusa sarà:
(3)
Φa (E) =
a
La legge di Gauss afferma che il flusso del campo elettrostatico che attraversa una
qualunque superficie chiusa è proporzianale alla carica elettrica contenuta nella superficie. Più precisamente, si può provare che
3. LEGGE DI GAUSS: DERIVAZIONE GENERALE
I
a
d2 aE · ua =
41
Q
0
qualunque sia la carica Q contenuta nella superficie chiusa. Dimostreremo la legge
prima nella ipotesi che vi sia una sola carica nella superficie chiusa.
Focalizziamo la nostra attenzione su di una parte infinitesima di tale superficie chiusa. Tale piccola superficie deve essere sufficientemente piccola da essere
considerata piatta, tanto è vero che vi sarà il solito versore ua che ne individua la
direzione (uscente dalla superficie in ogni punto della superficie perché è chiusa).
Possiamo costruire una sfera con il centro posto sulla carica e raggio R passante
per la superficie infinitesima d2 a. Il campo elettrico, data la forma della forza di
Coulomb è radiale e quindi è ortogonale ad una porzione infinitesima di superficie
sferica di raggio R. Con d2 a0 indicheremo la proiezione di d2 a sulla sfera di raggio
R..Il flusso infinitesimo attraverso la superficie d2 a, del campo elettrico E si potrà
allora scrivere
(5)
E · ua d2 a =
1 Q
ur · ua d2 a
4π 0 R2
Ma
(6)
d2 a0 = ur · ua d2 a
cioé, d2 a0 è la proiezione della superficie infinitesima d2 a nella direzione radiale; ur
è il versore del campo elettrico.
D’altra parte, per definizione di angolo solido, l’area proiettata sulla sfera si
scrive:
(7)
d2 a0 = R2 d2 Ω
Notiamo la dipendenza dell’area proiettata da quadrato della distanza radiale,
ovvero da una potenza che è esattamente uguale all’inverso della forza di Coulomb.
Il risultato che troveremo dipende esclusivamente da questa incredibile coincidenza.
Combinando le due ultime equazioni possiamo scrivere:
(8)
Usando la (8), la (5) diventa
ur · ua d2 a = R2 d2 Ω
42
4. LA LEGGE DI GAUSS
1
Qd2 Ω
4π 0
Estendendo tale risultato a tutta la superficie chiusa avremo:
E · ua d2 a =
(9)
I
I
1
Q
Q d2 Ω =
4π
0
0
a
Ω
dove, per l’ultimo passaggio abbiamo usato il fatto che l’angolo solido di una
sfera è 4π.
(10)
d2 aE · ua =
3.1. Il caso di N cariche. Se le particelle cariche contenute nella sfera sono
N , per il principio di sovrapposizione, possiamo calcolare il flusso attraverso d2 a
per ciascuno dei campi prodotti da ciascuna carica separatamente. In altre parole,
se indichiamo con E1 il campo della carica Q1 , con E2 il campo della carica Q2 e
con EN il campo della carica QN potremo scrivere il flusso attraverso una superficie
infinitesima, per ciascuna carica come segue
dΦ (E1 ) = d2 aE1 · ua
dΦ (E2 ) = d2 aE2 · ua
....
dΦ (EN ) = d2 aEN · ua
Il flusso di tutte le cariche, attraverso la stessa superficie infinitesima d2 a, sarà,
dΦ (E1 , E2 , ..., EN ) =
N
X
n=1
d2 aEn · ua
ed il flusso attraverso la superficie chiusa di tutte le cariche, sarà:
(11)
Φa (E) =
I
a
d2 a
N
X
n=1
En · ua =
N I
X
n=1
a
d2 aEn · ua =
N
1 X
Qn
0 n=1
dove la somma è ovviamente estesa solo alle cariche interne alla superficie.
3.2. Il caso di cariche esterne alla superficie. Per concludere la prova
dobbiamo dimostrare ancora che il flusso attraverso una superficie chiusa è nullo se
le cariche sono esterne alla superficie. Supponiamo di avere una carica all’esterno
di una superficie chiusa
Si vede che nel calcolo del flusso attraverso la superficie chiusa, l’angolo solido,
interseca sempre due porzioni della superficie chiusa . Poiché il campo ha sempre
una direzione uscente da Q (supposta positiva) avremo due contributi al flusso, uno
positico ed uno negativo:
4. ESEM PI
E · ua d2 a1 =
E·ua d2 a2 =
43
1 Q
1 Q 2
1 Q 2 2
1
ur · ua d2 a1 =
d a1 =
R1 d Ω =
Qd2 Ω
2
2
2
4π 0 R1
4π 0 R1
4π 0 R1
4π 0
1 Q
1 Q 2
1 Q 2 2
1
ur ·ua d2 a2 = −
d a2 = −
R d Ω=−
Qd2 Ω
4π 0 R22
4π 0 R22
4π 0 R22 2
4π 0
dove R1 e R2 sono i raggi delle sfere di gauss passanti per le superfici d2 a1 e d2 a2
rispettivamente. Ciascuno dei due angoli solidi elementari dovrà essere integrato
su una semisfera e varrà (2π); quindi la somma dei due contributi sarà zero. Se
si ripetono queste considerazioni per altre cariche esterne, si ritroverà sempre, il
risultato nullo e questo completa la prova del teorema di Gauss.
Come abbiamo detto nell’introduzione al capitolo, il teorema di Gauss è, in
realtà, una legge fondamentale dell’elettromagnetismo e sebbene noi non lo proveremo, la legge di Gauss vale anche quando le cariche sono in moto.
4. Esempi
Il teorema di Gauss è un utile strumento di calcolo del campo elettrico, ma solo
nel caso in cui il problema in esame presenta delle speciali simmetrie. Mostreremo
di seguito alcuni semplici esempi del suo utilizzo.
Esempio 1- Il campo di un guscio sferico carico
Distingueremo due casi. Il campo all’interno della sfera cava (il raggio della
sfera sarà indicato con R) ed il campo all’esterno della sfera cava. Il problema del
valore del campo sulla superficie verrà affrontato più avanti. Possiamo immediatamente affermare che il campo elettrico all’interno della sfera cava è nullo. Infatti,
applicando il teorema di Gauss ad una qualunque sfera di raggio r, inferiore ad
R, troviamo, che non essendoci cariche all’interno della sfera il flusso sarà nullo.
Poiché il risultato non dipende dalla sfera attraverso la quale si è calcolato il flusso
(purché il raggio sia inferiore al raggio del guscio) dobbiamo convenire che il campo
è idendicamente nullo all’interno del guscio.
Per i punti esterni procediamo nel modo seguente. Sia P un punto che disti
r dal centro del guscio. Per ragioni di simmetria la direzione del campo in P sarà
diretta lungo la congiungente il centro del guscio ed il punto P. Se in P vi è una
carica positiva di prova (ricordiamo che è sempre positiva, per definizione la carica
di prova!) il verso del campo sarà uscente se il guscio è carico positivamente mentre
è entrante se il guscio è carico negativamente. Quindi E = Eur . Per determinare
44
4. LA LEGGE DI GAUSS
l’intensità del campo prendiamo una sfera di raggio r e centro nel centro del guscio.
Sia Q la carica totale del guscio. Il flusso si può calcolare in maniera semplice:
I
a
d2 aE · ua = Er 4πr2
ed il teorema di Gauss diventa
Er 4πr2 = ±
Q
0
da cui
(a)
1 Q
4π 0 r2
Er = ±
dove il segno dipende dal segno della carica. Il campo elettrostatico all’esterno
del guscio, è pari al campo che si avrebbe se tutta la carica del guscio fosse concentrata nel centro della sfera (analogo risultato è vero per il campo gravitazionale!).
Esempio 2 : Determinare il campo di una sfera isolante uniformemente piena
Supponiamo di dividere la sfera piena in tanti gusci sferici. Per il calcolo del
campo, nei punti esterni, se dQ è la carica contenuta in un guscio generico, si
otterrà
1 dQ
4π 0 r2
dove r è la distanza dal centro della sfera (dobbiamo immaginare tutta la carica
dQ nel centro della sfera). Per ottenere il campo di tutta la sfera piena basterà
integrare ambo i membri:
dEr = ±
da cui
(b)
Z
dEr = ±
1 1
4π 0 r2
Er = ±
Z
dQ
1 Q
4π 0 r2
Il campo elettrico all’esterno della sfera piena è uguale al campo coulombiano
che si otterrebbe se tutta la carica della sfera fosse concentrata nel centro della
sfera.
Calcoliamo il campo in un punto interno alla sfera piena.
Per calcolare il campo in un punto P, interno alla sfera, che disti r dal suo
centro dobbiamo solo considerare le cariche contenute nella sfera di Gauss di raggio
r. Per determinare la carica contenuta in tale sfera proseguiamo come segue. La
densità uniforme di tutta la sfera è
(c)
ρ=
Q
4πR3
3
Questa è anche la densità della sfera di Gauss, per cui la carica contenuta nella
sola sfera di Gauss di raggio r è
4. ESEM PI
(d)
Qr =
45
Q 4πr3
r3
=Q 3
3
R
4πR3
3
Il campo prodotto da tale carica è
1 1 r3
Q
ρ
Q
=±
r=±
r
4π 0 r2 R3
4π 0 R3
3ε0
Il campo, nei punti interni, è proporzionale alla distanza dal centro. In definitiva, il campo nei punti esterni ed interni ha la seguente forma:
(e)
Er = ±
Esempio 3- Determinare il campo di una distribuzione lineare rettilinea
Ci proponiamo di calcolare il campo elettrico ad una distanza r da una distribuzione lineare rettilinea (filo rettilineo). Supporremo che la carica sia uniformemente distribuita con una densità di carica ρl e che il filo sia lungo L (il campo va
calcolato nei punti non vicini alle estremità del filo (ipotesi di filo infinito!). Per
ragioni di simmetria il campo è ortogonale al filo e per il verso vale lo stesso discorso fatto per il guscio sferico. Per calcolare l’intensità del campo immaginiamo
un cilindro, di lunghezza l << L, con l’asse coincidente con il filo e raggio pari ad
r.
ll flusso, essendo nullo quello attraverso le basi del cilindro, sarà semplicemente
ΦE
a = Er 2πrl
mentre la carica contenuta nel cilindro sarà ρl l. Il teorema di Gauss si scriverà:
2πrlEr =
ρl l
0
46
4. LA LEGGE DI GAUSS
da cui
(f)
Er =
ρl 1
2π 0 r
Esempio 4 - Il campo prodotto da una distribuzione piana
Supponiamo di avere una superficie piana uniformemente distribuita con densità superficiale ρa . Per ragioni di simmetria il campo è ortogonale al piano (nei
punti lontano dai bordi). Per calcolare l’intensità in un punto generico P, che disti
r dal piano, condideriamo un cilindretto che contenga il punto P in esame,
il cui asse sia ortogonale al piano. Poiché non c’è carica nello spazio il flusso
attraverso il cilindretto è nullo. Indicando con u+ il versore della superficie di
base, del cilindretto, che è più lontana dal piano e con u− quello dell’altra base, il
flusso può essere calcolato esplicitamente in maniera semplice (il flusso attraverso
la superficie laterale è nullo per l’ortogonalità tra il campo ed i versori di superficie)
ed il teorema di Gauss diventa
ΦE
a = (E+ · u+ + E− · u− ) a = 0
dova ”a” è il valore delle due superfici di base del cilindro. Inoltre E+ ed
E− indicano i valori del campo sulle due basi. Poiché il campo ha sempre lo stesso
verso, sulle due basi, mentre i due versori delle basi sono uguali e contrari (si ricordi
che per una superficie chiusa i versori sono sempre scelti uscenti!) dalla precedente
equazione deduciamo che
E+ = E−
In tutto il semipiano in cui abbiamo costruito il cilindretto, essendo il cilindretto del tutto arbitrario nell sue dimensioni possiamo concludere che il campo
elettrostatico è costante ovunque:
E = costante
Per determinare il valore costante del campo immaginiamo il cilindretto esteso
fino al piano ove è distribuita la carica, ovvero una delle due basi coincide con una
porzione del piano.
4. ESEM PI
47
Il teorema di Gauss diventa ora
(E+ · u+ + E− · u− ) a =
ρa a
0
da cui
±2E =
ρa
0
Il segno + vale se la carica sul piano è positiva ed il segno meno in caso contrario.
Per l’intensità del campo possiamo scrivere
|ρa |
2 0
Esempio 5 -Il campo tra due piani paralleli con carica opposta
Il precedente risultato consente di derivare immediatamente il campo tra due
piani paralleli carichi, con una distribuzione superficiale uniforme ma opposta.
(g)
E=
Il piano caricato positivamente genererà un campo uniforme e costante, tra le
due armature, la cui intensità è data
|ρa |
2 0
ed il cui verso si allontana dal piano con carica positiva. Il piano caricato
negativamente, genera un campo costante la cui intensità è ancora data dalla (1),
ed il cui verso è diretto verso il piano con carica negativa. I due campi, si sommano
E=
48
4. LA LEGGE DI GAUSS
in ogni punto, ed avendo la stessa direzione daranno luogo ad un campo la cui
intensità è
(h)
E=
|ρa |
0
Il segno del campo, tra i due piani, è nella direzione uscente dal piano carico
positivamente. Notiamo che la forza esercitata da una armatura sull’altra è
(i)
|F| =
ρa
Q
20
Poiché,
ρa a = Q
segue
(l)
|F| =
Q2
2a 0
Esempio 6: Una piccola sfera di massa M = 0, 1g e carica Q = 10−9 C è
appesa con un filo di lunghezza l = 10cm ad un piano verticale infinito che possiede
una densità di carica superficiale pari a ρa = 10−5 C/m2 . Calcolare l’angolo α che
il filo forma con la verticale.
Il campo prodotto dal piano è
E=
|ρa |
2 0
Sulla carica ci sono tre forze: la forza peso Fp , la forza elettrica generata dal piano
QE e la tensione del filo Fτ . All’equilibrio, si ha
Fp + QE + Fτ = 0
Se si proietta tale equazione lungo la direzione ortogonale al filo si ottiene
−M g sin α + QE cos α = 0
4. ESEM PI
da cui
tan α =
Q |ρa |
QE
=
Mg
Mg 2 0
Sostituendo i valori si ottiene:
tan α = 0, 577
α = 29◦ 590
49
CHAPTER 5
Conduttori e Dielettrici in elettrostatica
Il problema che ci accingiamo a trattare è quello della determinazione del
campo e del potenziale elettrostatico prodotto da corpi macroscopici. Dobbiamo
distinguere tra il campo interno ed esterno al corpo macroscopico.Per il campo
interno conviene tuttavia fare delle immediate precisazini.
Un qualunque corpo macroscopico è costituito da una numero impronunciabile
di cariche elettriche, quindi il campo reale, detto campo elettrico microscopico, in
un qualunque punto interno al corpo è un problema non risolvibile e tantomeno in
un corso istituzionale di base. Quello di cui parleremo, ed anche brevemente, è il
campo elettrico macroscopico, che è la media spaziale del campo microscopico. Per
capire il significato di tale operazione, dobbiamo procedere come si fa normalmente
nello studio dei fluidi. Quando diremo un punto di un mezzo materiale, intenderemo
un volume infinitesimo d3 r del mezzo materiale, centrato intorno ad un punto materiale, le cui dimensioni fisiche sono tuttavia tali da contenere un numero enorme
di atomi, ma abbastanza piccolo da considerare il valore del campo costante al suo
interno. Una tale approssimazione è valida solo nel caso in cui venga assunto che
le variazioni del campo macroscopico, su una distanza macroscopica, siano piccole.
Noi assumeremo che sia sempre verificata una tale condizione. Allora si scriverà
che il campo macroscopico E, in un punto, è
E =< Emicro >
dove il simbolo <>, indica la media spaziale, che abbiamo prima spiegata. In
futuro, quando si parlerà di campo di campo elettrico, in un mezzo materiale si
intenderà sempre del campo elettrico macroscopico E.
Abbiamo stabilito il valore del campo elettrico e del potenziale di un corpo
macroscopico carico a grande distanza dal corpo macroscopico. Ora incominceremo
a studiare i corpi macroscopici nel tentativo di determinare il campo e/o il potenziale
anche nelle loro immediate vicinanze ed al loro interno. La determinazione del
campo, per distanze intermedie è un problema molto complesso che non tratteremo.
I corpi macroscopici, ai fini delle proprietà elettriche si possono dividere in diverse
categorie. Noi studieremo, in forma solo introduttiva i corpi macroscopici metallici
e quelli isolanti (o dielettrici).
1. Il campo elettrico nei conduttori
I corpi macroscopici carichi hanno una varietà di comportamenti in presenza
di un campo elettrico. Noi ci limiteremo ora all’analisi dei conduttori metallici.
Supponiamo di avere un corpo carico macroscopico. Definiamo tale corpo conduttore, se all’equilibrio elettrostatico il campo elettrico al suo interno è ovunque
51
52
5. CONDUTTORI E DIELETTRICI IN ELETTROSTATICA
nullo L’equilibrio elettrostatico è caratterizzato dall’assenza di moto delle cariche
elettriche.
Mostriamo che, in un conduttore carico, le cariche elettriche si dispongono
sempre sulla superficie di un conduttore.
Qualche precisazione è necessaria. Nei materiali ci sono sempre delle cariche
(gli elettroni ed i protoni che costituiscono gli atomi) ma, il più delle volte esse
si neutralizzano. Un esubero di cariche di un segno renderanno il corpo carico.
Vogliamo mostrare che queste cariche in esubero si porteranno, in condizioni di
equilibrio elettrostatico, sulla superficie del conduttore.
Proviamo una tale asserzione. Si prenda una qualunque superficie ”a” chiusa
all’interno del conduttore.
Il teorema di Gauss ci dice che il flusso del campo elettrico attraverso tale
superficie è proporzionale alla carica contenuta nella superficie:
(1)
I
a
d2 aE · ua =
Q
0
Poiché, per definizione il campo elettrico è assunto nullo all’interno del conduttore, il flusso sarà nullo
I
a
d2 aE · ua = 0
e ciò equivale a dire che la carica, all’interno della superficie chiusa, è nulla.
Q=0
Procedendo con una superficie chiusa a0 , sempre più grande, ma all’interno del
conduttore
2. IL CAM PO ELETTRICO NELLE VICINANZE DI UN CONDUTTORE
53
e ripetendo lo stesso discorso, si arriverà alla superficie chiusa che delimita il
conduttore. Al suo interno la carica sarà nulla e quindi, essendo il corpo comunque
carico, la sua carica si sarà portata sulla superficie. In tal caso, potremo anche
parlare di distribuzione di carica superficiale e caratterizzarla con una densità di
carica, ρa .
Osservazione: Quando si parla di corpi macroscopici è vero in generale che
si deve parlate sia di una densità di carica superficiale che di una densità di carica
di volume, perché gli effetti del corpo (il campo da esso generato sia all’interno
che all’esterno) sono dovuti in generale sia alla carica superficiale che alla carica
di volume. Nel caso di conduttori ideali, all’equilibrio elettrostatico, la carica di
volume è nulla e quindi ci si riduce alla carica di superficie. Nel caso dei dielettrici,
vedremo che, in generale sono presente entrambe le densità di carica, sebbene in
alcuni casi, una delle due, vale zero.
2. Il campo elettrico nelle vicinanze di un conduttore
Le cariche di un conduttore carico, all’equilibrio elettrostatico, si sono disposte sulla sua superficie, quindi, tale superficie rappresenterà, per il conduttore
e le sue proprietà elettriche, una regione particolare. Sicuramente il campo elettrico all’esterno del conduttore sarà diverso da zero. Poiché il campo elettrico,
all’interno del conduttore, è nullo per definizione, si pone il problema di stabilire
in quale misura la superficie presenta delle discontinuità per il campo (dal valore
nullo all’interno passiamo ad un valore diverso da zero fuori).
Si può dimostrare, con una semplice considerazione che, il campo elettrico esterno, nelle immediate vicinanze di un conduttore, deve essere necessariamente ortogonale alla superficie del conduttore. La considerazione è la seguente. Le cariche
elettriche, in un conduttore ideale, sono praticamente libere di muoversi in ogni
regione del conduttore. La presenza di un campo elettrico diverso da zero condurrebbe allo spostamento delle cariche nella direzione del campo. Indichiamo con Ei ,
il campo elettrico interno al conduttore e con E0 , il campo elettrico esterno (l’apice
”0” indica il vuoto). Decomponiamo tali campi in una componente tangenziale ed
una normale alla superficie:
(2)
Ei = Eit + Ein
E0 = E0t + E0n
Poiché, il campo elettrico è nullo all’interno del conduttore, sia la componente
tangenziale che normale del campo interno, Ei , sono entrambe nulle. Non vi è
movimento di carica all’interno del conduttore. Passiamo alla componente tangenziale del campo esterno, E0t . Se questa componente fosse diversa da zero, le cariche,
che si trovano sulla superficie, potrebbero spostarsi lungo di essa. Poiché, siamo in
elettrostatica, e le cariche sono supposte ferme sempre, dobbiamo concludere che
54
5. CONDUTTORI E DIELETTRICI IN ELETTROSTATICA
la componente tangenziale del campo esterno deve essere nulla, E0t = 0, e quindi,
del campo elettrico esterno non rimane che la componente normale alla superficie:
E0 = E0n
(3)
Possiamo concludere dicendo che il campo elettrico nelle immediate vicinanze
di un conduttore carico, all’equilibrio elettrostatico, è sempre ortogonale alla superficie del conduttore. Ovvero, il campo elettrico nelle immediate vicinanze del
conduttore potrà avere diversa da zero sola la componente ortogonale alla superficie
del conduttore.
Un procedimento analogo, per la componente ortogonale, non può essere usato,
perché una carica posta sulla superficie del conduttore, non è libera di lasciare il
conduttore e passare ”nel vuoto”. Esiste, cioé, una energia di legame, che impedisce,
in condizioni normali, ad una carica di lasciare il conduttore.
Per calcolare la componente normale, En , dobbiamo usare il teorema di Gauss.
Si consideri un cilindretto, con una base δa, appena dentro il conduttore ed una,
appena fuori dal conduttore.
Esso staccherà sulla superficie del conduttore un’area δa. Supponiamo per
semplicità che tale area sia piana e sia ρa la sua densità superficiale (la carica del
conduttore è tutta sulla sua superficie, quindi si può parlare di carica superficiale).
Supporremo che la carica sia uniformemente distribuita sulla superficie, quindi la
sua densità superficiale è costante. La carica sulla superficie sarà, allora,
(4)
Q = ρa δa
Il teorema di Gauss,
I
a
d2 aE · ua =
Q
0
2. IL CAM PO ELETTRICO NELLE VICINANZE DI UN CONDUTTORE
55
ci dice che il flusso attraverso tutto il cilindretto sarà espresso dalla relazione
I
(5)
a
ρa δa
d2 aE · ua =
0
Il flusso al primo membro, cioé il flusso attraverso la superficie totale del cilindretto,
che indicheremo per brevità Φa (E), può essere calcolato direttamente. Infatti, esso
si può scrivere come somma di due pezzi:
Φa (E) = Φia (E) + Φ0a (E)
dove l’apice ”i” si riferisce alla superficie del cilindretto, interna al conduttore e
l’apice ”0” alla superficie esterna.
Poiché il campo elettrico è nullo all’interno del conduttore, il flusso attraverso
la superficie del cilindretto, interna al conduttore, è nullo. Allora, la precedente
relazione si riduce al solo flusso attraverso la superficie esterna:
Φ0a (E) =
(6)
ρa δa
0
Φ0a
Il flusso attraverso la superficie esterna,
(E), è costituito dal flusso attraverso
la superficie laterale e dal flusso attraverso la superficie di base. Ma il campo
elettrico esterno ha solo la componente ortogonale alla superficie del conduttore,
quindi il campo elettrico è ortogonale alla superficie laterale del cilindretto e di conseguenza, il flusso, attraverso la superficie laterale esterna sarà nullo. Non rimane
che calcolare il flusso del campo elettrico attraverso la base esterna del cilindretto.
Il valore di tale flusso è uguale a
Φ0δa (E) = En0 δa
(7)
Il teorema di Gauss è diventato, in definitiva:
En0 δa =
ρa δa
0
da cui
(8)
En0 =
ρa
0
Possiamo allora dire che la componente normale del campo elettrico, in un
56
5. CONDUTTORI E DIELETTRICI IN ELETTROSTATICA
3. L’induzione elettrostatica
Supponiamo di avere un conduttore neutro e di avvicinare ad esso, molto lentamente, un conduttore carico positivamente.
Dalla parte prossima al conduttore carico appariranno, sulla superficie del conduttore delle cariche di segno negativo mentre dal lato opposto vi saranno delle
cariche positive.
Se si riallontana il corpo carico, allora la distribuzione di carica, del corpo neutro, ritorna ad essere quella iniziale. Una tale esperienza mostra che un conduttore
carico induce su di un conduttore neutro la comparsa di cariche, distribuite spazialmente in maniera differente, ma sempre tali che la loro somma algebrica rimanga
nulla su tutto lo spazio occupato dal conduttore. Il fenomeno si chiama induzione
elettrostatica e la carica che compare sul conduttore neutro si chiama carica indotta.
Tale fenomeno non ha ovviamente un analogo nel campo gravitazionale ed
in quanto tale rappresenta una importante proprietà dei corpi carichi. Inoltre,
ricordiamo che la ridistribuzione della carica indotta è sempre sulla sola superficie
del conduttore.
4. Lo schermo elettrostatico
Per illustrare, in maggiore dettaglio, il fenomeno dell’induzione elettrostatica
ed alcune sue conseguenze studieremo in maggiore dettaglio un esempio particolare. Supponiamo di avere un conduttore sferico cavo di raggio R2 (guscio sferico
senza spessore) e carica totale −Q. All’interno di tale conduttore, ed in maniera
concentrico, vi è un altro conduttore sferico pieno di raggio R1 e carica totale 4Q.
4. LO SCHERM O ELETTROSTATICO
57
Ci proponiamo di studiare il campo elettrico nelle diverse regioni indicate in
Figura e la distribuzione di carica sulle due faccie del conduttore esterno. Il campo
elettrico, nel conduttore interno, è nullo per il teorema di Gauss:
E (r) = 0
r < R1
Nella regione tra i due conduttori (regione 1), sempre per il teorema di Gauss
il campo vale
(1)
E (r) =
1 4Q
4π 0 r2
R1 < r < R2
Come già sapevamo, il campo e solo quello prodotto dalla carica contenuta nel
conduttore interno. Se non vi fosse alcun conduttore all’interno della zona cava
del conduttore esterno, il campo eletrrostatico sarebbe nullo. Allora, il conduttore
esterno svolge la funzione di schermo elettrostatico, per gli oggetti dentro la cavità.
Vediamo se lo schermo funziona anche per le cariche interne verso l’esterno. Il
campo all’esterno della regione occupata dai due conduttori (regione 2) è, sempre
per il teorema di Gauss
(2)
E (r) =
1 4Q − Q
4π 0 r2
r > R2
Il campo elettrostatico è quello prodotto dalla somma algebrica delle cariche contenute nella regione occupata dai due conduttori (la simmetria sferica fa si che il
campo è come se fosse prodotto da una carica puntiforme, di carica pari alla somma
algebrica delle caiche dei due conduttori, posta nel centro, comune, delle due sfere).
Vediamo la distribuzione di carica superficiale sulle faccia interna della sfera
esterna e su quella esterna del conduttore interno. L’induzione elettrostatica ci dice
che sulla faccia interna, del guscio sferico, vi deve essere una carica totale (−4Q).
Poichè, la carica totale presente sul conduttore esterno, deve essere (−Q), sulla
faccia esterna del conduttore-guscio esterno deve esserci una carica totale (+3Q).
In conclusione, tutto è accaduto come se sulla superficie esterna si fosse trasferita
la carica netta posta all’interno della regione occupata dai due condottori.
58
5. CONDUTTORI E DIELETTRICI IN ELETTROSTATICA
La carica nella cavità non è stata schermata dal conduttore esterno.
5. Potenziale di un conduttore
Il fatto che, all’equilibrio elettrostatico, il campo elettrico interno ad un conduttore sia nullo, implica che la differenza di potenziale tra due punti qualsiasi
all’interno del conduttore è nulla, ovvero tutti i punti interni al conduttore sono
allo stesso potenziale. Per spiegare questo risultato dobbiamo ottenere la relazione
che consente di ottenere il campo elettrico una volta noto il potenziale.Ricordiamo
che
(1)
V (A) − V (B) =
Z
B
A
E · dl
Il primo membro si può scrivere, per definizione di integrale definito, come
(2)
V (A) − V (B) = −
Z
B
dV
A
Dal confronto di queste due equazioni otteniamo
−
ovvero,
Z
(3)
B
dV =
A
Z
B
A
E · dl
−dV = E · dl
Se usiamo le componenti cartesiane, avremo
(4)
−dV (x, y, z) = Ex dx + Ey dy + Ez dz
dove dl = (dx, dy, dz). Per semplificare la nostra discussione, supponiamo che il
campo ed il potenziale dipendano solo da x. In tal caso, la (4) si può semplificare:
−dV (x) = Ex dx
ovvero, esplicitando il differenziale al primo membro:
−
dV (x)
dx = Ex dx
dx
5. POTENZIALE DI UN CONDUTTORE
59
e in definitiva,
dV (x)
dx
La (5) ci dice che, se è noto il potenziale, come funzione di una coordinata,
per ottenere la componente del campo associata alla coordinata è sufficiente fare la
derivata del potenziale e cambiargli di segno. Questo risultato è generalizzabile a
tutte le componenti. Possiamo dire che, mentre la (1) consente di ottenere il potenziale se è noto il campo, la (5) ci consente di ottenere il campo noto il potenziale
(in maniera più rigororosa bisogna parlare di derivate parziali, ma la sostanza delle
nostre affermazioni rimane).
Possiamo tornare al nostro problema. Perché un campo nullo, all’interno di un
conduttore, implica che non vi è differenza di potenziale tra due punti interni al
conduttore? Se un campo è nullo, tutte le sue componenti cartesiane sono nulle.
Dalla (5) l’unico potenziale le cui derivate sono sempre nulle, è quello costante
(indipendente da x,y,z. In conclusione, possiamo dire che il campo all’interno del
conduttore è nullo ed il potenziale è costante.
Passiamo ad esaminare il potenziale sulla superficie del conduttore. Siano A
e B due punti qualsiasi della superficie del conduttore. Poiché il campo vicino
alla superficie esterna di un conduttore all’equiliblio è ortogonale alla superficie del
conduttore, uno spostamento lungo la superficie è sempre ortogonale al campo,
(5)
Ex = −
quindi E · dl = 0 , qualunque sia lo spostamento infinitesimo dl lungo la superficie. Allora
Poiché
segue
(6)
Z
B
A
E · dl = 0
V (A) − V (B) =
Z
B
A
E · dl
V (A) = V (B)
Allora, tutti i punti della superficie sono allo stesso potenziale ed è proprio il
valore del potenziale sulla superficie che determina il valore del potenziale all’interno
60
5. CONDUTTORI E DIELETTRICI IN ELETTROSTATICA
del conduttore. In altre parole tutto il conduttore (interno e superficie) è allo stesso
potenziale. Si può allora parlare di potenziale del conduttore. La regione occupata
da un conduttore è una regione equipotenziale. Possiamo allora, scegliendo lo zero
all’infinito, porre, per un qualsiasi conduttore
(7)
V (A) =
Z
∞
A
E · dl
In particolare, il potenziale di un conduttore carico sferico ed isolato è
(8)
V (A) =
Z
∞
R0
1 Q
1 Q
dr =
4π 0 r2
4π 0 R0
dove R0 è il raggio del conduttore sferico w Q la sua carica totale.
6. Effetto punta
In un conduttore carico, all’equilibrio elettrostatico, la carica presente è solo
sulla superficie. Il campo dipende solo dalla densità di carica superficiale. Il campo
dipenderà da come esattamente le cariche sono disposte sulla superficie, quindi dalla
forma e dalle dimensioni del conduttore. La dipendenza generale del campo da tali
parametri è ovviamente molto complessa. Qui vogliamo solo provare che l’intensità
del campo è maggiore nei punti ove la superficie presenta un maggiore raggio di
curvatura. (effetto punta). Tale risultato, come vedremo dipende essenzialmente
dalla proporzionalità del campo elettrico, con la densità di carica e non con la carica
stessa.
Consideriamo due casi di conduttori sferici carichi ed isolati, con differenti raggi,
R ed r (R > r) e differenti cariche QR e Qr .
Facciamo in modo che i potenziali dei due conduttori siano uguali (lo si può
sempre fare operando sui valori delle cariche ed i raggi delle due sfere, oppure
connettendoli con un filo conduttore).
Poiché il potenziale di un conduttore sferico è
(1)
avremo per i due conduttori:
V (R) =
1 Q
4π 0 R
7. CAPACITÀ DI UN CONDUTTORE
VR
=
Vr
=
61
1 QR
4π 0 R
1 Qr
4π 0 r
ed uguagliando i due potenziali, si trova
R
QR
=
Qr
r
Le cariche presenti sui due conduttori risultano in rapporto diretto con i rispettivi raggi. Se il campo fosse proporzionale alla carica dovremmo concludere che il
campo è più intenso vicino al conduttore con maggiore raggio e quindi con minore
curvatura. Tuttavia il campo è proporzionale alla carica superficiale ed il risultato
precedente verrà capovolto. Infatti,
(2)
QR = 4πR2 ρR
a
che sostituiti nella (2) danno
(3)
r
ρR
a
=
ρra
R
→
Qr = 4πr2 ρra
r
ER
=
Er
R
→
RER = rEr
Le densità di carica superficiale, che determinano il valore del campo vicino ai
conduttori, sono in rapporto inverso con i raggi delle due sfere. La densità di carica
è maggiore sulla sfera più piccola, quindi l’intensità del campo è maggiore vicino
alla sfera di raggio inferiore.
7. Capacità di un conduttore
Si abbia un conduttore isolato con una carica Q. Il campo, all’esterno del
condottore, varierà a seconda della disposizione delle cariche, e quindi possiamo
dire che dipende dalla forma e dalle dimensioni del conduttore. Ciò comporta che
anche il potenziale del conduttore dipenderà dalla forma e dalle dimensioni del
conduttore.
Consideriamo, un conduttore sferico. Il potenziale di un conduttore sferico
isolato è (nell’ipotesi, lo ricordiamo, che lo zero dell’energia potenziale sia posto
all’infinito)
1 Q
4π 0 R
dove R è il raggio della sfera. Supponiamo che per qualche motivo il potenziale
del conduttore (sferico) sia cambiato (per esempio, abbiamo avvicinato un altro
conduttore) e che possiamo scrivere il nuovo potenziale:
(1)
(2)
V =
V 0 (R) = kV (R)
dove k è una costante. Poiché il raggio del conduttore non è cambiato,
V 0 (R) =
1 kQ
4π 0 R
62
5. CONDUTTORI E DIELETTRICI IN ELETTROSTATICA
la (2) può essere riscritta:
1 Q0
4π 0 R
V 0 (R) =
dove abbiamo posto
(7)
Q0 = kQ
In conclusione, quando il potenziale cambia di un certo fattore k, e dello stesso
fattore k che cambia anche la carica sul conduttore. Esiste, allora, una relazione
lineare anche tra carica e potenziale tanto che il rapporto tra queste due quantità
è una costante per il conduttore:
Q0
kQ
Q
=
=
V0
kV
V
Si definisce capacità del conduttore, e si indica con C, il rapporto costante tra la
carica posseduta dal conduttore ed il suo potenziale
Q
(9)
C≡
V
Nel S.I. la capacità si misura in Farad (F).
(8)
1C
1V
Il Farad è un valore enorme per le capacità ordinarie. Si usano allora dei
sottomultipli: il microfarad, 1µF = 10−6 F ed il picofarad 1pF = 10−12 F .
1F =
8. Capacità di un condensatore piano
Un condensatore è un sistema di due conduttori che hanno carica uguale ma di
segno opposto.
Il condensatore della figura è detto piano. La capacità C di un condensatore
è definita come il rapporto tra la carica posseduta da ognuno e la differenza di
potenziale esistente tra i due conduttori:
(1)
C≡
Q
∆V
8. CAPACITÀ DI UN CONDENSATORE PIANO
63
Supporremo che l’area dell’armatura sia a e che la distanza tra le due armature sia
d. Da come abbiamo operato per il calcolo della capacità di un conduttore sferico
isolato,(vedi esempio precedente) la determinazione della capacità di condensatore,
supposta nota la carica, si riduce al calcolo della differenza di potenziale esistente
tra le armature. Noi possiamo risalire a tale differenza dalla conoscenza del campo
elettrico tra le armature. Il campo tra le armature è stato determinato in un
precedente esempio, come campo tra due piani carichi paralleli. Esso vale
E=
ρa
0
dove ρa è la densità di carica superficiale. La differenza di potenziale tra due
punti, posti ciascuno su un’armatura, è proporzionale alla distanza di separazione
tra i due punti e decresce nella direzione del campo (vedi Cap. III, eq.(11)),
(2)
∆V = Ed
La precedente equazione, usando l’espressione del campo, prima trovata, diventa
∆V =
ρa
d
0
Moltiplicando e dividendo per la superficie a dell’armatura, si ha
aρa
d
a 0
Poiché, Q = aρa , rappresenta la carica presente su un’armatura, potremo scrivere
∆V =
Q
d
a 0
ed usando la definizione di capacità di un condensatore,
∆V =
∆V =
avremo
Q
C
a 0
d
Per aumentare la capacità di un condensatore piano possiamo o aumentare la
sua area o diminuire la distanza tra le armature.
I più comuni condensatori sono piani paralleli, cilindrici e sferici. Graficamente,
un condensatore si indica con il simbolo:
(3)
C=
8.1. Esempi. Esempio 1: Determinare la capacità di una sfera carica il cui
raggio sia pari a quello della Terra.
Consideriamo, un conduttore sferico. Abbiamo visto che il potenziale di un conduttore sferico isolato è (nell’ipotesi, lo ricordiamo, che lo zero dell’energia potenziale sia posto all’infinito)
64
5. CONDUTTORI E DIELETTRICI IN ELETTROSTATICA
1 Q
4π 0 R
La capacità di un conduttore sferico di raggio R è presto calcolata. Poiché
V =
V =
segue
Q
C
C = 4π 0 R
Per una sfera di raggio pari al raggio della Terra, R⊕ = 6, 37×106 m; troveremo
C⊕ ∼
= 7 × 10−4 F
Esempio 2: Determinare la capacità di un condensatore sferico
Un condensatore sferico è costituito da due armature sfere concentriche, una
carica positivamente e una carica negativamente. Siano R1 e R2 i raggi della sfera
positiva e negativa, dove R1 < R2 . Usando una superficie di Gauss sferica con
raggio compreso tra R1 e R2 troviamo, se Q è il valore della carica positiva del
condensatore,
I
Q
E · ua d2 a =
ε0
da cui
Q 1
Er =
4πε0 r2
La differenza di potenziale tra le due armature è
µ
¶
Z R2
Z R2
Z R2
Q
1
Q 1
1
V2 − V1 = −
E · dl = −
Er dr = −
dr =
−
2
4πε0 R2 R1
R1
R1
R1 4πε0 r
ovvero
µ
¶
Q
R2 − R1
V1 − V2 =
4πε0
R1 R2
La capacità del condensatore sferico sarà
µ
¶
R1 R2
C = 4πε0
R2 − R1
Esempio 3: Determinare la capacità di un condensatore cilindrico.
Un condensatore cilindrico è costituito da due armature cilindriche coassiali,
una carica positivamente e una carica negativamente. Siano R1 e R2 (R1 < R2 ) i
raggi della circonferenze di base ed L la loro comune lunghezza. Inoltre sia positiva
l’armatura interna. Usando un cilindro di Gauss con raggio compreso tra R1 e R2
troviamo, se Q è il valore della carica positiva del condensatore
I
Q
E · ua d2 a =
ε0
da cui
Q 1
Er =
4πε0 L r
La differenza di potenziale tra le due armature è
µ ¶
Z R2
Z R2
Z R2
Q
R2
Q 1
V2 − V1 = −
E · dl = −
Er dr = −
dr = −
ln
4πε
L
r
4πε
L
R
0
0
1
R1
R1
R1
8. CAPACITÀ DI UN CONDENSATORE PIANO
65
da cui
V1 − V2 =
Q
ln
4πε0 L
µ
R1
R2
¶
la capacità del condensatore cilindrico si scriverà
C=
4πε0 L
³ ´
1
ln R
R2
Esempio 4: Condensatori in serie
I condensatori possono essere posti sia in serie che in parallelo. Nella connessione in serie, avremo:
La prima osservazione da fare è che la carica su ciascun condensatore è la
stessa, mentre la seconda è che la differenze di potenziale totale, ai capi del sistema
somma è la somma delle due differenze di potenziale (per portare una carica unitaria
agli estremi del sistema bisogna passare attraverso i due condensatori. In tal caso
possiamo scrivere:
Q
Q
∆V = ∆V1 + ∆V2 =
+
=Q
C1 C2
µ
1
1
+
C1
C2
da cui
1
1
1
+
=
C
C1 C2
La capacità
(1)
Ceq ≡
C1 C2
C1 + C2
è detta capacità equivalente del sistema delle due capacità.
Esempio 5: Condensatori in parallelo
Nella connessione in parallelo, avremo:
¶
66
5. CONDUTTORI E DIELETTRICI IN ELETTROSTATICA
In questo caso, ai capi dei due condensatori avremo la stessa differenza di
potenziale (o sistema dei due condensatori):
Q = Q1 + Q2 = C1 ∆V + C2 ∆V = (C1 + C2 ) ∆V
da cui, la capacità equivalente del sistema, è
(2)
Ceq = C1 + C2
9. I Dielettrici
Abbiamo parlato dei conduttori, ed abbiamo imparato che in essi, può generarsi
un movimento di cariche. Tra i corpi macroscopici vi è un’altra categoria di corpi
che si comporta in maniera diversa: anche in presenza di un campo elettrico esterno
in essi non si genera un movimento di cariche. Questi corpi sono detti isolanti o
dielettrici. L’individuazione di corpi corduttori ed isolanti rientra tra gli studi
sperimentali compiuti essenzialmente da Faraday, a partire dal 1837, per dimostrare
la natura di campo anche dei fenomeni elettrici. L’idea corrente sulle forze e sulla
loro natura, ai tempi di Faraday, era essenzialmente ancora quella newtoniana.
Secondo tale visione le forze dovono agire a distanza ed essere dirette lungo la
congiungente tra due punti materiali (si pensi alla forza di gravitazione universale
ed alla forza di Coulomb). Nel 1820 Oersted, come mostreremo meglio in seguito,
aveva mostrato che le correnti possono influire sugli aghi magnetici e quest’azione
non aveva caratteristiche newtoniane. Gli scienziati incominciarono ad avere una
visione non strettamente newtoniane e cosa più importante incominciò a riapparire
il concetto di forza che opera per contatto. Secondo tale concezione una forza,
per esempio quella elettrica, si trasmette da molecola a molecola attraverso delle
linee di tensione del mezzo. Questa tensione del mezzo sarà uno degli argomenti di
ricerca più controversi per circa un secolo. Gli studi di Faraday, di cui brevemente
tratteremo in questo capitolo, portarono all’introduzione del concetto di linea di
forza (modo convenzionale di esprimere la direzione lungo la quale agisce la forza
nei casi di induzione), di atomi puntiformi ma con intorno un’atmosfera di forza e
cosa fondamentale, come vedremo tra breve, viene introdotta l’idea che i fenomeni
elettrostatici risiedono nel mezzo interposto tra due distribuzioni di cariche.
9.1. Costante dielettrica. Supponiamo di voler eseguire il seguente esperimento. Prendiamo un condensatore piano e valutiamo la sua capacità in due casi;
nel primo caso, tra le piastre del condensatore vi è il vuoto, mentre nel secondo
caso, tutto lo spazio tra le piastre del condensatore è completamente riempito da
un isolante (vetro, per esempio).
9. I DIELETTRICI
67
Indicheremo con un pedice ”0” le quantità in assenza di dielettrico. Nel precedente capitolo abbiamo trovato che la capacità di tale condensatore (vi è il vuoto
tra le armature) vale:
(1)
C0 =
0a
d
dove con ”a” abbiamo indicato la superficie di un’armatura e con ”d” la distanza
tra le due armature.
Inseriamo ora il dielettrico tra le armature. Come osservò Faraday, per la
prima volta, la capacità C del nuovo condensatore è aumentata di un fattore r ,
che dipende dal tipo di isolante. Cioé,
(2)
C=
r C0
Il fattore r ha una interpretazione fisica legata alla forza di Coulomb. Infatti,
è
la misura di quanto si riduce la forza di Coulomb, tra due cariche, quando
r
al vuoto tra le due cariche si sostituisce un mezzo materiale. Più precisamente, si
prova sperimentalmente che
1)- l’intensità della forza di Coulomb tra due cariche puntiformi, poste ad una
distanza r, nel vuoto,
F0 =
1 Q1 Q2
4π 0 r2
è sempre maggiore della forza (che indicheremo con Fm ) che si esercita tra le due
stesse cariche poste in un mezzo (isolante)
68
5. CONDUTTORI E DIELETTRICI IN ELETTROSTATICA
2)- anche per la forza di Coulomb, nel mezzo si può sempre scrivere:
(3)
Fm =
1 Q1 Q2
4π m r2
dove la quantità m (indicata anche semplicemente con ) è chiamata permettività del mezzo (allora 0 è la permettività del vuoto). Dalla prima considerazione
sperimentale segue
F0
=
Fm
m
0
≥1
La quantità
(4)
r
≡
m
0
che è il fattore che compare nella (2), è detta permettività relativa o costante
dielettrica relativa. Dalle precedenti equazioni troviamo, inoltre che
(5)
Fm =
1 Q1 Q2
F0
=
4π m r2
r
Allora, la costante dielettrica ci dice di quante volte l’intensità della forza di
Coulomb tra due cariche puntiformi, poste ad una distanza r, in un mezzo isolante, è
più piccola della forza che si esercita tra le stesse cariche, poste alla stessa distanza,
quando sono nel vuoto. Ma una riduzione della forza equivale ad una riduzione del
campo:
(6)
E=
E0
r
In conclusione, il risultato più rilevante dell’epserimento è che la presenza del
dielettrico riduce il campo elettrostatico tra le armature del condensatore.
Proviamo, ora, che è proprio la riduzione del campo elettrico la ragione dell’aumento
della capacità del condensatore piano, quando si introduce tra le sue armature il
dielettrico.
Il campo tra le armature può scriversi in termini della densità di carica superficiale come E0 = ρa / 0 per cui la (6) diventa
9. I DIELETTRICI
E=
ρa
69
Q
=
0 ra
0 r
dove abbiamo introdotto la carica Q = ρa a del condensatore. Per calcolare la
nuova capacità abbiamo bisogno della differenza di potenziale tra le armature. Essa
vale
(7)
d
∆V = Ed = Q
0 ra
Per definizione C = Q/∆V e quindi
C=
0 ra
d
=
r C0
che è quello che volevamo mostrare. Allora la costante dielettrica, definata attraverso la (3) e (4) è esattamente la stessa costante che compare nella (2). Notiamo,
infine, che dalla (7)
(8)
∆V =
∆V0
r
cioé, la permettività relativa è anche una misura della diminuzione del potenziale tra due armature quando il vuoto tra di esse viene riempito completamente di
dielettrico.
La descrizione che abbiamo appena fatto non spiega il motivo fisico del perché
la capacità aumenta con l’inserimento del dielettrico. La spiegazione può avvenire
solo se si fa un modello fisico di quello che accade. La risposta la troveremo nei
prossimi paragrafi e risiede nel fenomeno della polarizzazione.
9.2. Polarizzazione e vettore spostamento dielettrico D. Abbiamo visto
che l’applicazione di un campo elettrico, in un conduttore, produce uno spostamento
di cariche, ovvero una corrente. Lo stesso campo applicato ad un dielettrico non
produce alcuna corrente. Tuttavia ciò non significa che non vi sia alcuno spostamento di cariche. Per convincersi che comunque vi è un lieve spostamento delle
cariche, basta pensare che in presenza di un campo elettrico esterno, le cariche
positive tenderanno a spostarsi nella direzione del campo, mentre quelle negative
nella direzione opposta. Il risultato di un tale effetto è quello che le parti positive e quelle negative di ogni molecola costituenti il materiale si saranno spostate
dalla loro posizione di equilibrio in direzione opposta rispetto alla direzione del
campo (resta inteso che questi spostamenti sono dell’ordine di piccole frazioni del
diametro molecolare). Si dice che il dielettrico si è polarizzato. Quando si inserisce
il dielettrico tra le armature del condensatore, apparirà un eccesso si carica positiva
davanti all’armatura negativa ed un eccesso di carica negativa davanti all’armatura
positiva:
70
5. CONDUTTORI E DIELETTRICI IN ELETTROSTATICA
Si genera cioè, una carica polarizzata Qp che va ad aggiungersi alla carica libera
Q0 , posta sulle armature. La carica libera è responsabile del campo elettrico E0 , che
si avrebbe in assenza del dielettrico e la carica polarizzata Qp , del campo indotto
(o di polarizzazione) Ep . Il campo elettrico totale E, sarà la somma dei due campi
elettrici:
E = E0 + Ep
(9)
Il teorema di Gauss, in un mezzo dielettrico si scriverà,
(10)
ε0
I
E · ua d2 a = Q0 + Qp
La difficoltà nell’usare il teorema di Gauss nella forma (10) risiede nella difficoltà, a priori di conoscere la carica di polarizzazione. Conviene procedere alla
derivazione del teorema di Gauss, nei dielettrici, partendo dal teorema nel vuoto
ed utilizzando l’sservazione già fatta che il campo elettrico totale si riduce di un
fattore pari alla costante dielettrica relativa. Cioè, da
I
ε0 E0 ·ua d2 a = Q0
osservando che (vedi la (6))
E=
r
avremo
(11)
E0
ε0
r
I
E · ua d2 a = Q0
In questa forma, il teorema è applicabile in quanto appaiono solo le cariche
libere. Inoltre, tale espressione suggerisce di introdurre un nuovo vettore, detto
spostamento dielettrico,
(12)
D =ε0 r E
in maniera tale che il teorema di Gauss, nei dielettrici assume la forma:
9. I DIELETTRICI
(13)
I
71
D · ua d2 a = Q0
Nei dielettrici, le cariche libere sono le sorgenti del vettore spostamento, mentre
nel vuoto lo erano per il campo elettrico. Nel vuoto, i due vettori sono legati dalla
relazione:
D0 =ε0 E0
(14)
Nel vuoto, il campo coulombiano di una carica Q, posta nell’origine del sistema
di riferimento, scritto per il vettore spostamento, diventa
(15)
D0 =
1 Q
4π r2
9.3. Esempi. Esempio 1: Cosa succede alla capacità di un condensatore, se
il dielettrico non riempie tutto lo spazio tra le armature ma solo una sua metà, per
esempio? Per essere precisi, se d è la distanza tra le due armature ed a è l’area di
una delle armature, il dielettrico è assunto avere uno spessore d/2 ed area a.
Il campo E1 , nella parte riempita di isolante, sarà
E1 =
E0
r
La differenza ai capi dell’armatura sarà
d
d
1
+ E1 = ∆V0
2
2
2
Poiché la carica sulla piastra non è mutata,
∆V = ∆V0 + ∆V1 = E0
µ
1+
r
r
¶
Q0
r
= C0 2
∆V
1+ r
Esempio 2: Determinare la capacità del condensatore piano della figura sotto
C=
Le due regioni sono riempite di due differenti dielettrici le cui costanti sono ε1
8
e ε2 . Inoltre, la superficie delle armature, relative alla prima superficie è a1 = 10
a,
dove a è la superficie totale delle armature e d la loro distanza. Il sistema può essere
visto come un condensatore contenente due condensatori in parallelo. Essendo le
due capacità, date da
a1 ε1
a2 ε2
8 aε1
2 aε2
C1 =
=
C2 =
=
d
10 d
d
10 d
la capacità del sistema diventa
8 aε1
2 aε2
a
C = C1 + C2 =
+
=
(8ε1 + 2ε2 )
10 d
10 d
10d
72
5. CONDUTTORI E DIELETTRICI IN ELETTROSTATICA
Infine, poiché
εr1 =
ε1
ε0
εr2 =
ε2
ε0
troviamo
ε0 a 1
1
(8εr1 + 2εr2 ) = C0 (8εr1 + 2εr2 )
d 10
10
Esempio 3: Inizialmente viene dato un condensatore piano vuoto le cui armature hanno una superficie a e sono separate da una distanza d. Successivamente
viene introdotta una lastra di rame, di spessore d1 fra le armature del condensatore, esattamente a metà strada dalle due armature. Determinare la capacità del
condensatore piano dopo l’introduzione della lastra.
C=
La capacità del condensatore piano prima dell’introduzione della lastra è
aε0
C0 =
d
Dopo l’introduzione della lastra il sistema diventa equivalente a due condensatori
vuoti, in serie. La capacità equivalente sarà
1
1
1
+
=
C
C1 C2
dove
aε0
aε0
C1 =
C2 =
(d − d1 ) /2
(d − d1 ) /2
Le due capacità sono uguali. Sostituendo troviamo
aε0
C=
d − d1
10. Complementi: energia e densità di energia elettrostatica
Vogliamo studiare l’energia elettrostatica associata ad una configurazione di
cariche puntiformi. In sostanza, per mettere insieme diverse cariche (portarle da
una distanza infinita reciproca, ad una distanza reciproca finita) si è spesa una
certa energia. Si può allora parlare di energia associata ad una certa configurazione
di cariche.
10.1. Il caso di due cariche. Consideriamo il caso di due cariche puntiformi
e poniamoci il problema dell’energia potenziale totale associata a tale sistema. Supponiamo che la carica Q1 abbia una posizione individuata dal vettore r1 e la carica
Q2 quella individuata dal vettore r2 . Il lavoro che compie il campo E1 generato
dalla carica Q1 , per spostare la carica Q2 dal punto r2 , a distanza infinira, è
(1)
L1 (r2 → ∞) =
Z
∞
r2
F21 · dr2 = Q2
Z
∞
r2
E1 · dr2 = Q2 V1 (r2 ) = Q2
1
Q1
4π 0 |r2 − r1 |
10. COM PLEM ENTI: ENERGIA E DENSITÀ DI ENERGIA ELETTROSTATICA
73
Una volta che la carica Q2 è stata portata a distanza infinita dalla carica Q1 ,
non è più necessario calcolare il lavoro che compierebbe il campo E2 generato dalla
carica Q2 , per spostare la carica Q1 dal punto r1 , a distanza infinita, perché già con
il primo calcolo abbiamo portato le due cariche ad una distanza reciproca infinita.
Allora, avendo due cariche e volendole separare, è sufficiente calcolare il lavoro che
fa il campo di una delle due. Ovviamente, avremmo potuto calcolare il lavoro fatto
dalla carica Q2 , per spostare la carica Q1 dal punto r1 , a distanza infinita, ed
avremmo trovato:
(2)
L2 (r1 → ∞) =
Z
∞
r1
F12 · dr1 = Q1
Z
∞
r2
E2 · dr1 = Q1 V2 (r1 ) = Q1
1
Q1
4π 0 |r1 − r2 |
Come si può vedere i due lavori sono identici. Possiamo allora scrivere che il
lavoro per separare, fino ad una distanza reciproca infinita, due cariche, dovendo
essere pari ad uno solo dei precedenti lavori, sarà uguale alla metà della loro somma,
cioè,
(3)
1
1
U = [L1 (r2 → ∞) + L2 (r1 → ∞)] = [Q2 V1 (r2 ) + Q1 V2 (r1 )]
2
2
Se si indica con
U12 = Q1 V2 (r1 )
(4)
U21 = Q2 V1 (r2 )
potremo riscrivere la (3) in forma compatta:
1
U = [U21 + U12 ]
2
Nel caso di più cariche puntiformi, per ogni coppia dobbiamo scrivere una
quantità pari alla (5). Vedi sotto.
(5)
10.2. Densità di energia del campo elettrostatico. Ora vogliamo mostrare
che è possibile pensare che l’energia elettrostatica possa essere localizzata nei punti
dello spazio ove è presente il campo elettrico.
Noi vogliamo calcolare l’energia elettrostatica di un condensatore piano, assumendo che le derivazioni date per i corpi puntiformi siano valide anche per corpi
estesi.
Una possibile giustificazione di tale assunzione alla validità della (3), nel caso
di un conduttore è la seguente. Se immaginiamo di portare le due cariche, della (3)
sulla superficie di un conduttore scarico, avremo
(6)
1
1
→
U = [Q2 V (r2 ) + Q1 V (r1 )]
[Q2 V1 (r2 ) + Q1 V2 (r1 )]
2
2
dove V è il potenziale del conduttore. Allora,
U=
1
1
→
U = QV
[Q2 + Q1 ] V
2
2
dove Q = Q1 + Q2 . Supponiamo di avere, ora, un condensatore piano ed
ipotizziamo che l’energia elettrostatica, ad esso associata, si possa scrivere come
(7)
U=
74
5. CONDUTTORI E DIELETTRICI IN ELETTROSTATICA
1
1
Q1 V1 + Q2 V2
2
2
dove V1 e V2 sono i potenziali dei due conduttori. Poiché Q1 = Q e Q2 = −Q,
l’energia del sistema dipenderà dalla differenza di potenziale tra le due armature:
U=
1
Q∆V
2
Per determinare la differenza di potenziale usiamo l’espressione del campo elettrico tra le armature del condensatore:
(a)
U=
(b)
E=
ρa
0
dove a è la superficie di un’armatura. Il campo per la distanza che separa le
due armature ci darà la differenza di potenziale:
∆V =
ρa
d
0
quindi, sostituendo nella (a), si avrà:
1 ρa
Q d
2 0
U=
ovvero, poiché Q = ρa /a,
1
U=
2
(c)
0
µ
ρa
0
¶2
ad
¶2
=
Poiché, ad è il volume racchiuso tra le due armature, il rimanente fattore, potrà
interpretarsi come densità di energia, ovvero
(d)
ρE =
U
1
=
ad
2
0
µ
ρa
0
1
2
0E
2
Generalizzando il risultato ottenuto per il condensato ad una qualunque distribuzione di cariche, potremo scrivere che l’energia associata alla distribuzione di
carica è sempre scrivibile come l’integrale di volume esteso a tutto lo spazio di una
densità di energia ρE (r) (le cariche devono essere localizzate in una regione finita),
cioè,
(8)
U=
I
d3 rρE (r)
V
dove abbiamo introdotto la densità di energia del campo elettrostatico ρE (r):
(9)
ρE (r) ≡
0E
2
2
Le due ultime equazioni sono uguali alla (11). Esse ci suggeriscono una nuova
interpretazione dell’energia elettrostatica. Se E è il valore del campo elettrico in un
dato volume d3 r, a questo volume si può associare una energia elettrostatica ρE d3 r,
10. COM PLEM ENTI: ENERGIA E DENSITÀ DI ENERGIA ELETTROSTATICA
75
in maniera tale che ρE si possa interpretare come energia per unità di volume del
campo elettrostatico.
10.3. Esempi. Esempio 1: Calcoliamo l’energia elettrostatica contenuta nel
volume compreso tra due sfere concentriche di raggio R1 = 3m ed R2 = 10m, se
nel centro di esse è posto una carica puntiforme Q = 2µC.
Poiché il campo prodotto da una carica puntiforme Q, ad una distanza r, è
E=
1 Q
4π 0 r2
segue
E2 =
µ
1
4π 0
¶2
Q2
r4
Quindi
µ
¶
1
1
1
= 42 × 10−4 J
U=
d Ω
drr ρE (r) =
−
8π 0 R1
R2
4π
R1
Esempio 2: Calcolare l’energia elettrostatica immagazzinata in un condensatore sferico di raggi R1 e R2 .
Se si applica il teorema di Gauss ad una superficie gaussiana con raggio compreso tra R1 e R2 , si trova che il campo elettrico nella regione compresa tra le due
armature sferiche è:
Q 1
(a)
E=
4πε0 r2
Z
2
Z
R2
2
Per applicare la (34) dobbiamo calcolare il volume elementare compreso tra due
sfere contigue di raggio r e r + dr . Il volume di questa calotta sferica elementare è
(b)
d3 r = 4πr2 dr
Possiamo procedere al calcolo della (34). avremo
¶2
µ
¶
µ
Z R2
1
1
1
Q 1
1 Q2
(c)
UE = ε0
4πr2 dr
=
−
2
4πε0 r2
2 4πε0 R1 R2
R1
ovvero
µ
¶
R2 − R1
1 Q2
(d)
UE =
2 4πε0
R1 R2
La capacità del condensatore sferico è stata calcolata nel precedente capitolo e la
sua espressione è
µ
¶
R1 R2
(e)
C = 4πε0
R2 − R1
Notiamo che la (c) è, come deve essere anche uguale a
1 Q2
2 C
Esempio 3: Calcolare l’energia elettrostatica di un conduttore sferico isolato,
con carica Q e raggio R1 .
UE =
76
5. CONDUTTORI E DIELETTRICI IN ELETTROSTATICA
Un conduttore sferico carico depone tutta la sua energia sulla superficie esterna
della sfera. Il campo elettrico al suo interno è nullo, quindi il campo elettrostatico è
diverso da zero solo per r > R1 . Un conduttore carico sferico può essere visto come
un condensatore la cui seconda armatura è posta all’infinito. In tal caso, l’energia
elettrostatica si può ottenere dalla (c) del precedente esercizio, per R2 → ∞:
(f)
Due osservazioni
UE =
1 Q2 1
2 4πε0 R1
10. COM PLEM ENTI: ENERGIA E DENSITÀ DI ENERGIA ELETTROSTATICA
·
1
E =
4π 0
2
¸2
77
Q2
r4
ed usando le coordinate sferiche possiamo scrivere
U
=
0
2
= −
Z
∞
R
4π 0
2
¸2 2
Q
1
drr
dΩ
=
4π
r4
0
4π
·
¸2
1
1 1
1
1
Q2 =
Q2
4π 0
R
2 4π 0
R
2
Z
·
Nel caso di una carica puntiforme, (R = 0) l’energia elettrostatica diventa infinita:
· 2 ¸
Q
1
U = lim
R→0 8π 0 R
Possiamo dire che l’idea di localizzare l’energia nel campo elettrico non è consistente con la nostra ipotesi di carica puntuale.
Ora, ipotizziamo che l’elettrone sia un corpo sferico di raggio re . Vogliamo
stimare, sulla base della energia che esso possiaderebbe quale sia il valore del suo
raggio. Allora, supponendo che la carica dell’elettrone sia distribuita in una sfera
di raggio re , abbiamo appena mostrato che l’energia associata a tale distribuzione
di carica, è
1 qe2 1
2 4π 0 re
Possiamo, secondo la relatività ristretta, tale energia, può essere posta uguale
Ue =
a:
Me c2 = Ue
ovvero
1 qe2 1
2 4π 0 re
e risolvendo rispetto all’ipotetico raggio dell’elettrone, si avrà.
Me c2 =
1 qe2
1
2 4π 0 Me c2
−15
Questo valore è circa 10 m. Più propriamente, è la quantità
re =
1
qe2
= 2, 8 × 10−15 m
4π 0 Me c2
che viene chiamata raggio classico dell’elettrone.
Possiamo dire che, sulla base di considerazioni di tipo energetico e dimenticando per un momento che la teoria elettromagnetica che stiamo esponendo, assume le cariche puntiformi, l’elettromagnetismo classico è valido per regioni più
grandi del raggio classico dell’elettrone. In altre parole, il puntiforme è una regione lineare più piccola di 10−15 m. Potremmo dire che se ci si limita a regioni più
grandi, tutta la teoria è corretta e valida. Questa interpretazione è stato ritenuta
10. COM PLEM ENTI: ENERGIA E DENSITÀ DI ENERGIA ELETTROSTATICA
79
¡
¢¤
1 £
dLtot = − d (U12 + U13 + ... + U1N ) + (U21 + U23 + ... + U2N ) + ... + UN 1 + UN 2 + ... + UN (N−1)
2
che possiamo scrivere in forma compatta: Posto
U1 = U12 + U13 + ... + U1N
U2 = U21 + U23 + ... + U2N
...............................................
UN = UN 1 + UN2 + ... + UN (N −1)
avremo
(3)
dLtot
1
=− d
2
"
N
X
#
i=1U i
dove abbiamo posto
(4)
Ui =
N
X
Uij
j=1j6=i
Questa è l’energia potenziale associata alla posizione della i-esima particella e
prodotta dalle rimanenti N-1 particelle. Esplicitamente
(5)
Ui = Qi Vi = Qi
N
X
Vij = Qi
j=1j6=i
N
X
j=1j6=i
1
Qj
4π 0 |ri − rj |
dove Vij è il potenziale generato dalla carica puntiforme j-esima nella posizione
occupata dalla particella i-esima, mentre Vi è il potenziale generato nella posizione
occupata dalla particella i-esima da tutte le rimanenti particelle del sistema In
definitiva avremo
(6)
dLtot = −
N
N
1X X
dUij
2 i=1 j=1
j6=i
ovvero, sempre esplicitamente
(7)
dLtot
¶
µ
N
N
1X X
Qi Qj
1
=−
d
2 i=1 j=1
4π 0 |ri − rj |
j6=i
da cui, il lavoro totale finito, per trasformare il sistema da una configurazione A ad
un configurazione B sarà
80
(8)
5. CONDUTTORI E DIELETTRICI IN ELETTROSTATICA
Ltot (A → B) = Utot (A) − Utot (B) =
N
N
1X X
[Uij (A) − Uij (B)]
2 i=1 j=1
j6=i
dove A e B sono due differenti configurazioni della distribuzione discreta e puntiforme di cariche.
L’energia elettrostatica associata ad una data configurazione (ometteremo in
seguito il pedice ”tot”) sarà
N
(9)
U (A) ≡ L (A → ∞) =
1X
2 i=1
N
X
(A)
j=1j6=i U ij
dove il limite infinito indica che l’energia elettrostatica è pari al lavoro che fanno le
forze generate dalle cariche stesse, per portare le cariche ad una distanza reciproca
infinita. Allora, possiamo anche scrivere:
U (A) =
N
N
N
1X X
1X
Qi Vi (A) =
Qi Vij (A)
2 i=1
2 i=1 j=1
j6=i
per cui si avrà la seguente espressione esplicita dell’energia elettrostatica di una
distribuzione discreta di cariche:
(10)
U (A) =
N
N
1 X X Qi Qj
8π 0 i=1 j=1 |ri − rj |
j6=i
10.5. Le distribuzioni continue. La precedente equazione si applica a cariche
discrete e puntiformi di cariche elettriche statiche. Perché delle cariche si possano
considerare reciprocamente puntiformi occorre che la distanza relativa tra di esse sia
molto più grande delle dimensioni delle regioni in cui sono localizzate le cariche.Se
si vuole discutere dello stesso problema per distribuzioni di cariche che, reciprocamente non possono considerarsi puntiformi, occorre modificare la (10) e renderla
adatta a trattare le distribuzioni continue di cariche.
Ci limiteremo a trattare cariche elettriche che siano distribuite con continuità
in volumi finiti. Supponiamo di avere due cariche distribuite con continuità in due
regioni limitate dello spazio, e L3 e L03 siano i rispettivi volumi. Ponendo
dq j = ρ (r0 ) d3 r0
dq i = ρ (r) d3 r
possiamo pensare di prendere suggerimento dalla (10) e scrivere:
I I
1
ρ (r) ρ (r0 )
d3 rd3 r0
U (A) =
8π 0 L3 L03
|r − r0 |
Ma
1
V (r) =
4π 0
I
d3 r 0
L03
ρ (r0 )
|r − r0 |
10. COM PLEM ENTI: ENERGIA E DENSITÀ DI ENERGIA ELETTROSTATICA
81
è il potenziale generato dalla distribuzione contenuta in L03 , nel punto generico r,
e quindi, in definitiva, avremo:
1
U (A) =
2
(11)
I
d3 rρ (r) V (r)
L3
L’energia elettrostatica di una qualunque distribuzione di carica, a parte il fattore
1/2 è il prodotto della carica dq = ρd3 r per il potenziale, V (r) generato da tutte
le cariche presenti in tutto lo spazio, calcolato nella posizione ove è la carica.
L’espressione (11), sebbene sia stata ricavata a partire dalla distribuzione di
cariche discrete (eq.(10)), contiene un termine extra rispetto alla (10) che rende la
(11) più generale della (10).
Per capire meglio questo punto cercheremo nel prossimo paragrafo di scrivere
l’energia elettrostatica direttamente in termini del campo elettrico.
10.6. Auto-energia ed energia d’interazione. Siamo ora in grado di spiegare perché la (10) e la (11)sono differenti.
Abbiamo mostrato, anche se per il caso del solo condensatore piano che l’energia
elettrostastica può persarsi immagazzinata in tutto lo spazio ove il campo elettrico
è diverso da zero, mediante l’espressione
Z
d3 r
0E
2
(r)
(12)
U=
(13)
U = U1 + U2 + U12
2
Prendiamo due cariche Q1 e Q2 localizzate in due regioni distinte dello spazio.
Non ci interessa per ora stabilire se si possono considerare reciprocamente puntiformi o meno, perché noi calcoleremo l’energia elettrostatica ad esse associata
utilizzando la (12). Nel fare ciò, lo ricordiamo, avendo mostrato che la (12) è
equivalente alla (11) sarà come se avessimo calcolato l’energia elettrostatica delle
due cariche secondo quest’ultima. A sua volta la (11) l’abbiamo derivata dalla
(10), quindi non occorre per il momento specificare se le nostre cariche si possono
considerare o meno puntiformi.
Siano E1 ed E2 i campi elettrostatici prodotti dalle due cariche. Il campo
risultante sarà E = E1 + E2 per cui E 2 = E12 + E22 + 2E1 · E2 . Utilizzando la (12)
l’energia elettrostatica totale si potrà scrivere:
dove abbiamo posto
(14)
U1 =
0
2
Z
3
d r
E12
U2 =
0
2
Z
3
d r
E22
U12 =
0
2
Z
d3 r
2 (E1 · E2 )
Notiamo subito che l’energia elettrostatica non è additiva: l’energia prodotta dal
campo E non è la somma di quella prodotta dai campi E1 e E2 .
L’energia elettrostatica totale è costituita, nel caso si utilizzi la (12), da due tipi
di energia. L’energia del tipo U1 o U2 (sempre positiva) che è detta auto-energia (o
82
5. CONDUTTORI E DIELETTRICI IN ELETTROSTATICA
energia intrinseca) e l’energia (positiva o negativa) del tipo U12 che è detta energia
di interazione.
La prima forma di energia, l’autoenergia è assente nella (10) perché i termini
con i = j non sono presenti in essa, mentre lo sono i termini che producono l’energia
di interazione. Questo è ancora più evidente se si considera una sola carica elettrica,
per esempio la q1 . In tal caso, avremo solo l’energia U1 , essendo E2 = 0.
2
Notiamo ancora che, poiché, (E1 − E2 ) ≥ 0 segue E12 + E22 ≥ 2 (E1 · E2 ) e
quindi
(15)
U1 + U2 ≥ U12
cioè l’energia intrinseca è sempre maggiore (o uguale) dell’energia d’interazione.
Qual’è il significato fisico dell’auto-energia di una carica localizzata? Essa è
l’energia elettrostatica associata alla sua particolare configurazione e da essa stessa
prodotta. Il suo valore è pari al lavoro che le parti cariche che la costituiscono
devono compiere su loro stesse per portarsi dalla configurazione considerata ad una
distanza reciproca infinita.
Ritornando alla (11) possiamo dire che il potenziale V (r) non solo contiene il
potenziale generato da una qualunque distribuzione esterna al punto r (il punto r è
interno al volume L3 ), ma anche il potenziale generato da tutte le cariche contenute
nello stesso volume L3 . Allora scriveremo
(16)
V (r) = Vint (r) + Vauto (r)
dope il pedice ”int” indica il termine d’interazione e quello ”auto” il termine di
auto-energia (self-energy). Esso è il potenziale che la carica interna al volume L3
produce in un punto ad essa interno. Più precisamente l’auto-energia è
(17)
Uauto =
1
2
I
d3 rρ (r) Vauto (r)
V
Questa energia è pari al lavoro che le cariche contenute in un qualunque volume
finito devono compiere su loro stesse per portarsi dall’attuale configurazione ad
una configurazione in cui le distanze reciproche sono infinite. Essa indica l’energia
necessaria a formare una carica in una regione limitata dello spazio.
10.7. Esempi. √
Esempio 1: Siano date quattro cariche poste ai vertici di un
quadrato di lato d = 2m . Due di queste cariche sono positive e due negative, ma
tutte hanno valore assoluto pari Q = 10−7 C. Determinare l’energia elettrostatica
del sistema, in una qualunque configurazione (cioè si scelga a piacere la distribuzione
delle cariche positive e negative.
Scegliamo le due cariche negative, Q1 = Q2 = −Q , sull’asse x e quelle positive,
Q3 = Q4 = Q su una retta parallela all’asse x. Notiamo che qualunque sia la
distribuzione, scelta una carica, delle rimanenti tre, due sono ad una distanza
√ d
dalla carica scelta e la terza essendo lungo la diagonale è ad una distanza 2d.
allora, i quattro termini che contribuiscono all’energia del sistema sono
10. COM PLEM ENTI: ENERGIA E DENSITÀ DI ENERGIA ELETTROSTATICA
µ
¶
µ
¶
Q2
k0 Q2
Q2
k0 Q1 Q2 Q1 Q3 Q1 Q4
+
+ √
=
−√ −
2
d
d
2
d
d
2d
2d
µ
¶
µ
¶
k0
k0 Q2 Q3 Q2 Q4
Q2 Q1
Q2
Q2
Q2
=
+
+ √
−
−√ +
2
d
d
2
d
d
2d
2d
µ
¶
µ 2
¶
k0 Q3 Q4 Q3 Q1 Q3 Q2
Q2
k0 Q
Q2
=
+
+ √
−√ −
2
d
d
2
d
d
2d
2d
µ
¶
µ
¶
2
2
k0 Q4 Q1 Q4 Q2
Q4 Q3
Q2
k0
Q
Q
√
√
+
+
+
=
−
−
2
d
d
2
d
d
2d
2d
Sommando tutti i termini si ha
U = −4
k0 Q2
√ = −k0 Q2 = −9 × 109 × 10−14 = −9 × 10−5 J
2 2d
83
CHAPTER 6
La corrente elettrica continua
Un conduttore ideale all’equilibrio elettrostatico ha un campo elettrico nullo al
suo interno. Cosa succede se viene generato un campo elettrico diverso da zero al
suo interno? La risposta è la comparsa di cariche in moto, ovvero di una corrente.
La nascita della corrente elettrica è dovuta all’ideazione da parte di Alessandro
Volta (1745-18279 della pila (1800). Con la nascita della corrente sarà possibile
studiare in maniera quantitativa il fenomeno del magnetismo. Lo scopo di questo
capitolo sarà solo quello di introdurre alcuni concetti legati alla corrente elettrica,
mentre il legame tra correnti e magnetismo sarà mostrato in altri capitoli.
La corrente elettrica è definita come la quantità di carica che nell’unità di tempo
attraversa una sezione δa qualunque del conduttore:
dQ
dt
Purtroppo questa definizione non si collega direttamente al moto microscopico
delle cariche elettriche ovvero non si collega ai portatori di cariche. Per fare ciò
dobbiamo fare il piccolo modello microscopico sul moto delle cariche.
(1)
I=
1. Densità di carica e di corrente
Sia dQ la carica contenuta in un volume d3 r. La densità di carica, indicata con
ρ è definita dalla seguente relazione:
(2)
dQ = ρd3 r
Nel caso di una corrente le cariche sono in moto. I portatori possono essere
sia positivi che negativi. In ogni caso, supporremo che ciascun portatore abbia una
sola carica fondamentale. In tal caso, se si indica con n la densità numerica di
portatori, potremo scrivere:
(3)
ρ = nq
dove q è la carica fondamentale, che ciascun portatorre ha con se.
Possiamo procedere con un modello microscopico. In condizioni di equilibrio
elettrostatico, il campo elettrico in un conduttore è nullo. Se tuttavia, ai suoi
estremi si genera una differenza di potenziale, al suo interno si crea un campo
elettrico diverso da zero. Il campo elettrico produce una forza elettrica che mette
in moto le cariche elettriche mobili del conduttore. Ci limiteremo alle correnti che
non variano nel tempo (correnti stazionarie).
Si consideri un conduttore filiforme di sezione costante δa. Se tutte le cariche in
moto hanno la stessa velocità v, (questa velocità comune è detta velocità di deriva)
85
86
6. LA CORRENTE ELETTRICA CONTINUA
dopo un tempo ∆t, nel volumetto di base δa ed altezza v∆t, il numero di cariche
contenute nel suddetto volumetto sarà:
(4)
∆N = nvδa∆t
Se moltiplichiamo per la carica fondamentale ciascun membro della (4) avremo
la quantità di carica presente nello stesso volumetto:
(5)
∆Q = ρvδa∆t
Se dividiamo per l’intervallo temporale
∆Q
ρvδa∆t
=
∆t
∆t
e passiamo al limite per ∆t → 0,
lim
∆t→0
∆Q
= ρvδa
∆t
troviamo proprio la corrente che fluisce nel conduttore, cioé
(6a)
I = ρvδa
Se, introduciamo il seguente vettore, detto densità di corrente:
(7)
j = ρv
potremo scrivere
(6b)
I = jδa
Al secondo membro abbiamo il modulo di un vettore per una superficie, cioè
un tipico flusso di un vettore attraverso una superficie. Se la densità e la velocità
cambiano da punto a punto, potremo scrivere:
(8)
I=
Z
δa
d2 aua · j
Una corrente può sempre pensarsi come il flusso di un vettore densità di corrente
attraverso la superficie considerata.
2. LEGGE DI OHM
87
1.1. Densità di corrente e portatori di carica. Abbiamo detto che la
corrente, in generale può essere costituita sia da portatori di carica positiva che di
carica negativa. Potremo allora scrivere
(9)
j− = ne qe v
j+ = nqv
Ricordiamo che, per convenzione, la carica dell’elettrone è negativa. Per convenzione, si è scelto come corrente positiva quella portata dai portatori di carica
positiva, cioè
(10)
j = j+ = nqv
Nei conduttori metallici, i portatori sono gli elettroni, quindi il moto reale è
opposto a quello definito positivo per convenziane.
2. Legge di Ohm
In condizioni di equilibrio elettrostatico, il campo elettrico in un conduttore
è nullo. Se tuttavia, ai suoi estremi si genera una differenza di potenziale, al suo
interno si genera un campo elettrico. Il campo elettrico produce una forza elettrica
che mette in moto le cariche elettriche mobili del conduttore. Si è generata una
corrente elettrica nel conduttore. Ci limiteremo alle correnti stazionarie, cioè alle
correnti che non variano nel tempo.
Esperimenti condotti su una classe di conduttori, (ai quali per altro ci limiteremo) hanno mostrato che il campo elettrico che si è generata nel conduttore,
in seguito all’applicazione ai suoi estremi di una differenza di potenziale, è proporzionale allla densità di corrente
(11)
E = rσ j
dove rσ è una costante che dipende solo dal materiale, detta resistenza specifica.
La precedente equazione è detta legge locale di Ohm. La convenzione adottata per
la direzione del campo è quella che va dai punti a potenziale maggiore a quelli a
potenziale minore.
La legge di Ohm che abbiamo appena presentato ha il vantaggio concettuale di
anteporre il concetto di campo a quello di corrente: senza la creazione del campo
elettrico all’interno del conduttore non vi sarebbe il moto delle cariche e quindi
la corrente. Tuttavia, una seconda forma, detta forma integrale della legge di
Ohm,(Georg Simon Ohm, 1789-1854, Germania) è estremamente importante, perché si presta ad una immediata verifica sperimentale. Inoltre, la forma integrale
88
6. LA CORRENTE ELETTRICA CONTINUA
contiene in maniera esplicita la corrente e nel S.I. la corrente elettrica è una unità
di misura fondamentale.
Si prenda un filo conduttore, di sezione costante δa e lunghezza L.La differenza
di potenziale ai capi del conduttore può scriversi come
∆V = EL
Il campo è dato dalla legge di Ohm, per cui la precedente relazione diventa
∆V = rσ jL
Non rimane che esprime la densità di corrente in funzione della corrente. Poiché
siamo in presenza di correnti stazionarie, avremo
I = jδa
e quindi
rσ L
I
δa
∆V =
La quantità
(12)
R ≡ rσ
1 L
L
≡
δa
σ δa
si chiama resistenza del conduttore e si misura in Ohm (Ω). Allora, rσ si misura in
−1
Ωm e la quantità σ, detta conducibilità, si misurerà in (Ωm) .
La legge di Ohm dice anche che la corrente che fluisce nel conduttore è proporzionale alla differenza di potenziali ai capi del conduttore:
(13)
∆V = RI
Le dimensioni di R, nel S.I., sono quelle di Volt su Ampère,
V
A
Notiamo che per i conduttori ohmici, la corrente si può anche scrivere
Ω=
(14)
I =σ
Z
δa
E · ua d2 a
dove δa è la sezione trasversa del conduttore.
2.1. Legge di Ohm per un circuito. Per generare una corrente in un conduttore occorre stabilire una differenza di potenziale ai capi, A e B, del conduttore.
Questa differenza di potenziale viene generata da un apposito apparato, detto generatore di corrente continua o batteria, esterno al conduttore:
2. LEGGE DI OHM
89
Il precedente dispositivo è detto circuito elettrico. Il conduttore, ai fini della
corrente continua di cui stiamo discutendo, è caratterizzato dalla sola resistenza R,
mentre il generatore sarà caratterizzato da una forza elettromotrice, Vf em e da una
resistenza elettrica, RG .
Il circuito elettrico sarà schematizzata come segue
Dove il simbolo grafico
indica il generatore, mentre il simbolo
indica una resistenza. Per convenzione, la corrente fluisce, all’esterno del generatore dal polo positivo al polo negativo. La corrente che fluisce nel circuito è
determinata dalla legge di Ohm, con in serie la resistenza R ed RG :
(15)
I=
Vf em
R + RG
che possiamo riscrivere come:
RI = Vf em − IRG
Ma, RI è uguale, per la legge di Ohm, alla differenza di potenziale, ∆V , ai capi
A e B del conduttore . Quindi, la (15) si può scrivere:
(16)
∆V = Vf em . − IRG
90
6. LA CORRENTE ELETTRICA CONTINUA
La (16) ci dice che la differenza ai capi A e B della resistenza è sempre inferiore
alla forza elettromotrice Vf em fornita dal generatore (si dice che vi è una caduta di
potenziale o di tensione ai capi della resistenza). La eguaglia solo nel caso in cui il
circuito è aperto (I = 0):
(17)
∆V = Vf em
Supponiamo ora che la resistenza R del conduttore sia praticamente nulla:
In tal caso, il circuito è detto in corto circuito e dalla (5) si può derivare la
corrente Icc di corto circuito. Posto R = 0 nella (15) avremo
(18)
Icc =
Vf em
RG
In definitiva, possiamo dire che la corrente elettrica in un circuito elettrico, con
solo resistenze, può andare da un valore nullo, quando il circuito è aperto, ad un
valore massimo Icc , che si ha in corto circuito.
2.2. Esempi. Esempio 1: Resistenze in serie
Si abbiano due conduttori di resistenza R1 ed R2 in un circuito elettrico:
2. LEGGE DI OHM
91
Diremo che le due resistenze sono in serie. Vogliamo determinare la resistenza
equivalente Req (la resistenza fittizia che si può sostetuire alla due resistenze senza
cambiare le proprietà del circuito) delle due resistenze.
Ai capi delle due resistenze avremo
(1)
∆VAB = R1 I
∆VBC = R2 I
La differenza di potenziale tra i capi A e C sarà
(2)
∆VAC = ∆VAB + ∆VBC
che per la (1) diventa:
∆VAC = R1 I + R2 I = (R1 + R2 ) I
Possiamo concludere che la resistenza equivalente è
Req = R1 + R2
Esempio 2: Resistenze in parallelo
Si abbiano due conduttori di resistenza R1 ed R2 in un circuito elettrico:
Diremo che le due resistenze sono in serie. Vogliamo determinare la resistenza
equivalente Req (la resistenza fittizia che si può sostetuire alla due resistenze senza
cambiare le proprietà del circuito) delle due resistenze.
Per la legge di Ohm, la corrente nelle due resistenze saranno
I1
=
I2
=
∆VAB
R1
∆VAB
R2
La corrente totale sarà
∆VAB
I = I1 + I2 =
= ∆VAB
R
da cui
1
1
1
=
+
Req
R1 R2
ovvero
µ
1
1
+
R1
R2
¶
92
6. LA CORRENTE ELETTRICA CONTINUA
Req =
R1 R2
R1 + R2
2.3. Effetto joule. Le cariche in moto nei conduttori subiscono continuamente degli urti. Questi urti sono paragonabili ad una forza di attrito che rallenta
le particelle cariche. La presenza di questo attrito porterà alla dissipazione di parte
della loro energia che poi apparirà sotto forma di riscaldamento del conduttore
(effetto Joule). Vogliamo determinare l’energia dissipata nell’unità di tempo.
Il lavoro fatto dal campo elettrico per spostare una carica infinitesima dQ, tra
due punti del conduttore, tra i quali vi sia una differenza di potenziale ∆V è
dL = dQ∆V
Poichè la velocità iniziale e finale della carica sono identiche, ciò implica che
tutto il lavoro del campo verrà dissipato (ovvero che la forza dissipativa compie un
lavoro pari e di segno opposto a quello del campo). Il calore dissipato per unità di
tempo sarà
dL
dQ
=
∆V = I∆V
dt
dt
Usando la legge di Ohm, in forma integrale, ∆V = RI, arriviamo alla seguente
forma dell’energia dissipata per unità di tempo nel conduttore:
dL
= RI 2
dt
che esprime in forma quantitativa l’effetto Joule (e rappresenta l’energia dissipata per unità di tempo attraverso gli urti degli elettroni di conduzione del metallo
contro gli altri elettroni del metallo e le varie imperfezioni).
(19)
2.4. La forza elettromotrice e il campo elettrico non conservativo.
Abbiamo visto che per produrre una corrente occorre una sorgente di energia (la
batteria) che spinga gli elettroni in movimento nel conduttore. Il movimento degli
elettroni viene impedito dalla resistenza del circuito che si manifesta con il fenomeno
della dissipazione di energia in calore. Vogliamo mostrare che l’energia che viene
dissipata trae origine da un campo elettrico non conservativo. Consideriamo un
filo di rame di lunghezza L e sezione a chiuso. Se non si inserisce una batteria non
avremo corrente, come sappiamo. Questo risultato può essere visto in altro modo.
Se il campo elettrico esistesse dentro il conduttore esso sarebbe di tipo ohmico
j
Ra
R
E= =j
=I
σ
L
L
Calcoliamo la circuitazione di questo campo
I
I
R
dl = RI
E · dl = I
L
Se il campo è conservativo
I
E · dl = 0
e di conseguenza
RI = 0
→
I =0
3. LA DENSITÀ DI ENERGIA ELETTROSTATICA
93
La corrente elettrica non può originarsi da un campo conservativo. Allora il campo
elettrico totale in un conduttore, quando vi è corrente deve contenere anche un
campo elettrico non conservativo e questo deve originarsi dalla batteria. Allora,
in presenza di una corrente il campo elettrico totale deve essere la somma di due
parti,
Etot = Ef em +Ec
dove Ef em è la parte non conservativa del campo elettrico, mentre Ec è la parte
conservativa. Allora
I
I
R
(Ef em +Ec ) · dl = I
dl = RI
L
Poiché,
avremo
La quantità
I
I
Ec · dl = 0
Ef em · dl = RI
Vf em ,
è la forza elettromotrice della batteria.
I
Ef em · dl
3. La densità di energia elettrostatica
Abbiamo parlato di energia dissipata in un circuito percorso da corrente. Il
problema dell’energia elettrostatica, cioè dell’energia associata a cariche ferme, è
stato discusso, nei complementi del precedente capitolo. In questa sezione vogliamo
ridimostrare, usando un esempio molto semplice, che è possibile pensare che l’energia
elettrostatica sia distribuita con continuità nello spazio dove è presente il campo
elettrico. In altre parole, è possibile introdurre nello spazio dove è presente il campo
elettrostatico una densità di energia. In questo modo, la realtà del campo assumerà
un valore ancora maggiore.
Partiamo dall’energia immagazzinata in un condensatore piano. Che ci sia
energia immagazzinata lo si comprende dal fatto che accumulare cariche positive
e negative su due diverse armature ha un costo energetico che viene fornito dalla
batteria (vedi carica e scarica di un condensotore). Man mano che si accumulano i
due diversi tipi di carica sulle armature, si genera una differenza di potenziale tra
le due armature che dipende dalla carica istantanea che vi è presente
Q (t)
C
Se ipotizziamo che inizialmente non vi alcuna energia accumulata nel condensatore
possiamo calcolare il lavoro fatto dalla batteria (dal campo elettrico) per accumulare
sulle armature una carica Qf , come segue:
Z Qf
Z Qf
Q2f
Q (t)
(2)
L (i → f ) =
V (t) dQ =
dQ =
C
2C
0
0
(1)
V (t)) =
Come possiamo notare, il lavoro dipende solo dalla stato iniziale e finale, perché
il campo elettrostatico è conservativo. Poiché inizialmente non vi era energia nel
94
6. LA CORRENTE ELETTRICA CONTINUA
condensatore possiamo affermare che l’energia elettrostatica accumulata nel condensatore è
Q2
(3)
U=
2C
dove Q è la carica presente su un’armatura. Possiamo anche scrivere
1
1
(4)
U = QV = CV 2
2
2
dove V è la differenza di potenziale tra le due armature. L’ultima relazione può
essere utilizzata per derivare l’espressione dell’energia elettrostatica in termini del
campo elettrico. Sappiamo che
aε0
C=
V = Ed
d
per cui possiamo scrivere
1 aε0
1
1
(Ed)2 = ε0
(5)
U = CV 2 =
2
2 d
2
4. COM PLEM ENTI: CENNI SULLE LEGGI DI KIRCHHOFF
95
Possiamo ora enunciare le due leggi di Kirchhoff.
Prima legge: La somma algebrica dei valori delle correnti, in ogni nodo, deve
essere uguale a zero.
X
(1)
(±) Ik = 0
k
Tale legge è una conseguenza della conservazione della carica nel caso di correnti stazionarie. La (30) può essere soddisfatta solo se non si accumulano o si
perdono, cariche nel nodo. Questo vuol dire, che la quantità di corrente che arriva deve essere pari alla quantità di corrente che lascia il nodo, ovvero deve essere
soddisfatta la prima legge. Si suole indicare con il segno positivo le correnti che
lasciano il nodo e col segno negativo quelle che arrivano.
Seconda legge: La somma dei prodotti dei valori algebrici delle correnti e
delle resistenze in ogni maglia deve essere uguale alla somma algebrica dei valori
delle f.e.m. presenti nella maglia considerata.
(2)
X
k
(±) Rk Ik =
X
(±) Vf emn
n
Vogliamo tentare di spiegare la (31) ed il suo utilizzo. Innanzitutto, ricordiamo che
per convenzione il verso positivo della corrente è quello in cui fluiscono le cariche
positive. Questo vuol dire che nei conduttori in esame il verso positivo è opposto a
quello in cui realmente si muovono i portatori della corrente, gli elettroni. Inoltre,
sempre per convenzione il simbolo di batteria di corrente continua è . Il polo
negativo è ad un potenziale più basso rispetto al polo positivo. Poiché è la batteria
che fornisce l’energia alle cariche (e la batteria che ”spinge” la cariche nel circuito),
il verso positivo per la forza elettromotrice sarà (dentro la batteria) quello che
va dal polo negativo al polo positivo. Nei precedenti grafici, nella prima maglia
a sinistra sono entrambi positivi, negli altri due grafici sono entrambi negativi.
Quando la corrente attraversa la resistenza, vi è una caduta di potenziale (le cariche
perdono energia). Allora se la corrente, nella resistenza circola nel verso giusto (che
ricordiamo è fissato dalla f.e.m della batteria) sarà riportato nella seconda legge con
il segno negativo (perdita di energia). Con il segno positivo se la corrente circola
nel verso contrario. Allora la seconda legge è una conseguenza della conservazione
dell’energia e della legge di Ohm.
Nei precedenti grafici le equazioni per le maglie sono:
Vf em1 − R2 I2 + Vel,2 = 0
−Vf em1 + R1 I3 = 0
−Vf em2 + R2 I2 + R1 I3 = 0
96
6. LA CORRENTE ELETTRICA CONTINUA
Infine, siccome occorrono un numero di equazioni indipendenti pari almeno al numero di incognite circuitali, esiste una limitazione al numero di equazioni per i nodi
e le maglie. Si può suggerire di usare le equazioni per i nodi in numero uguale
al numero di nodi totali presenti nel circuito, diminuito di una unità e nel caso
delle maglie, di verificare che una maglia si differenzi da un’altra per la presenza di
almeno un elemento circuitale.
5. Complementi: teoria microscopica elementare della conduzione
Supponiamo di avere una corrente stazionaria in un conduttore (campo elettrico
costante!). Ciò vuol dire che i portatori della corrente nel conduttore (gli elettroni)
si muovono con velocità costante. La situazione è palesemente diversa dal moto delle
cariche nel vuoto. Se avessimo un campo costante nel vuoto, il moto dell’elettrone
sarebbe determinato da
(1)
Me
dv
= qe E
dt
dove qe = −e; quindi il moto dell’elettrone nel vuoto risulterebbe accelerato. Poiché
l’elettrone del mezzo si muove invece con velocità costante, dobbiamo concludere
che la presenza del mezzo fa apparire una seconda forza che annulla quella del
campo. Il modo più semplice di pensare tale forza è in termini di una forza di
attrito, proporzionale alla velocità. Possiamo allora scrivere, per il moto di una
carica in un conduttore, la seguente equazione del moto:
(2)
Me
dv
= qe E − kv
dt
dove k è una costante le cui dimensioni sono quelle di una massa divisa per il tempo.
La soluzione di tale equazione, nel caso in cui al tempot = 0 la particella carica
sia ferma, è:
(3)
·
µ
¶¸
qe
t
v (t) = E 1 − exp −
k
tr
dove abbiamo introdotto il tempo di rilassamento:
(4)
tr ≡
Me
k
Dopo un tempo pari al tempo di rilassamento, la velocità dell’elettrone, diventa
praticamente costante (velocità di deriva) ed è pari a:
(5)
vD =
qe
E
k
Possiamo far apparire il tempo di rilassamento nell’espressione della velocità di
deriva:
6. COM PLEM ENTI: CARICA DI UN CONDENSATORE
(6)
vD =
97
qe
tr E
Me
La velocità di deriva per unità di campo elettrico definisce la mobilità della carica:
(7)
qe
vD
tr
=
E
me
Se abbiamo ne cariche per unità di volume, la densità di corrente sarà:
(8)
j = ne qe vD =
ne qe2 tr
E
me
Notiamo che
(9)
vD =
j
ne qe
Se si prende un valore di j = 106 A/m2 si trova che
m
vD ∼
= 7, 4 × 10−5
s
dove abbiamo usato ne = 8, 49 × 1028 el/m3 (rame) e qe = 1, 6 × 10−19 C.
Poiché la velocità media degli elettroni di conduzione nei metalli è dell’ordine di
106 m/s, possiamo concludere che l’alta conducibilità elettrica dei metalli è dovuta
all’alta concentrazione degli elettroni di conduzione piuttosto che alla velocità con
cui essi si muovono attraverso il metallo. Inoltre se si usa la legge di Ohm, la
mobilità si può scrivere
(10)
vD
1
=
E
ne qe σ
Da una teoria microscopica si può risalire ad una espressione per la conducibilità
elettrica.
6. Complementi: carica di un condensatore
Supponiamo di avere un condensatore piano scarico e di collegarlo ad circuito
avente una resistenza R ed una batteria con una certa Vf em ed una resistenza
interna Rg .
98
6. LA CORRENTE ELETTRICA CONTINUA
Al tempo t = 0, facciamo la connessione ed una certa corrente incomincia a
fluire nel circuito, mentre le armature si caricano. L’aumento di carica sulle armature continuerà fino a che la quantità di carica accumulata non sarà tale da ostacolare l’arrivo di una qualunque altra carica sulle armature (il segno della differenza
di potenziale ai capi del condensatore è sempre opposto a quello della batteria). Ci
proponiamo di descrivere quantitativamente un tale fenomeno. Abbiamo visto che
in assenza del condensatore l’equazione del circuito era
(R + RG ) I = Vf em
Poiché in condensatore è in serie con la resistenza, l’equazione per il circuito
diventa
(1)
∆VC + (R + RG ) I = Vf em
dove ∆VC è la differenza di potenziale ai capi del condensatore, ovvero
(2)
∆VC (t) = Q(t)/C
Allora, la (1) diventa
Q (t)
+ Rt I (t) = Vf em
C
(3)
dove abbiamo posto
(4)
Rt = R + RG
Differenziamo la (3):
1 dQ (t)
dI
+ Rt
C dt
dt
Ma la corrente che circola è pari alla vatiazione temporale della carica sul
condensatore, cioé, I = dQ/dt, quindi
0=
0=
ovvero
1
dI
I + Rt
C
dt
dI
dt
=
I
Rt C
che può essere facilmente risolta. Si trova
I (t) = I0 e−t/τ
(5)
dove I0 = Vf em /Rt , è il valore della corrente all’istante iniziale e τ = 1/Rt C.
Per ottenere la legge di carica, basta integrare la (5):
ovvero
dQ
= I0 e−t/τ
dt
7. COM PLEM ENTI: SCARICA DI UN CONDENSATORE
(6)
Q (t) = I0
Z
t
99
0
dt0 e−t /τ
0
Ritornando all’espressione della carica troviamo:
(7)
Q (t) =
dove abbiamo posto
(8)
´
³
´
I0 ³
1 − e−t/τ = QM 1 − e−t/τ
τ
QM = CVf em .
QM rappresenta la carica massima che si può depositare su un’armatura. Per
t À τ,
(9)
Q (t) → QM
7. Complementi: scarica di un condensatore
Supponiamo di avere un condensatore piano di capacità C, con una certa carica
Q0 . Stacchiamo la batteria ed esaminiamo quello che accade nel circuito che ora è
diventato
Indichiamo con Q (t) , I (t) , ∆V (t)i valori istantanei della carica dell’armatura
positiva, della corrente che fluisce (la corrente è positiva quando fluisce dall’armatura
positiva a quella negativa) e della differenza di potenziale tra le armature del condensatore. Il condensatore funziona come un generatore: le cariche vengono spinte
attraverso il circuito. La differenza di potenziale ai capi della resistenza è quella
fornita dal condensatore ∆VC (t) = Q (t) /C per cui la legge di Ohm
∆VC (t) = RI
diventa
Q (t)
= RI
C
La corrente elettrica che fluisce nel conduttore è uguale alla diminuzione di carica
che va subendo il condensatore, cioè I = −dQ/dt. La precedente equazione diventa
dQ
Q
+
=0
dt
RC
(1)
ovvero,
dt
dQ
=−
Q
RC
100
6. LA CORRENTE ELETTRICA CONTINUA
la cui soluzione è
t
Q (t) = Q0 e− τ
(2)
dove
(3)
τ = RC
è il tempo durante il quale la carica del condensatore si riduce del fattore 1/e
del suo valore iniziale. Derivando rispetto al tempo la carica, otteniamo il valore
che ad ogni istante ha la corrente nel circuito:
Q0 −t/τ
= I0 e−t/τ
e
RC
dove I0 è il valore istantaneo della corrente al tempo t=0. Notiamo che, durante
la scarica, sia la carica che la corrente diminuiscono con la stessa legge esponenziale:
(4)
I (t) =
Q (t)
= e−t/τ
Q0
I (t)
= e−t/τ
I0
CHAPTER 7
Forze agenti su cariche e correnti
Per molti secoli il magnetismo rimase separato dallo studio dei fenomeni elettrici. La svolta che avvicinò il magnetismo all’elettricità avvenne tra il 1819 e il
1820, per opera di H.C. Oersted (1777-1851), professore di fisica presso l’Università
di Copenaghen. Durante un ciclo di lezioni, sugli effetti termici delle correnti, e
sulla possibile influenza della corrente sugli aghi magnetici, si accorse che, nel caso
in cui il filo e l’ago erano paralleli, la corrente deviava l’ago di una bussola. Si
era provato che le correnti elettriche influivano sui magneti naturali. Nel prossimo
capitolo studieremo i risultati essenziali dei lavori che parlano dell’influenza delle
correnti sui magneti naturali (e tra di loro). Ora procederemo in maniera opposta
e parleremo dell’influenza dei magneti naturali sulle cariche in moto e quindi sui
fili percorsi da corrente. In altre parole, poiché la corrente elettrica può influire
sui magneti è ragionevole pensare che anche i magneti con il loro campo possono
influire sulle correnti elettriche. Le correnti elettriche sono cariche in movimento e
quindi ci aspettiamo che una forza, prodotta dai magneti possa agire sulle cariche
in moto.
1. La forza di Lorentz
L’esperienza ha mostrato che su una carica Q, che si muove con velocità v, in
una regione in cui è presente il vettore induzione magnetica B, si esercita una forza,
data da
(1)
F = Qv ∧ B
Il verso della forza dipende anche dal segno della carica Q.
Tale forza è detta forza di Lorentz. La (1), come nel caso della forza di Coulomb
per il campo elettrico, può essere presa come definizione di B. L’unità di misura di
B è chiamata tesla (T ) ed è uguale ad una forza diviso per l’unità di carica e per
la velocità:
101
102
7. FORZE AGENTI SU CARICHE E CORRENTI
Vs
Ns
= 2
Cm
m
All’unità V olt × secondo si dà il nome di Weber (Wb). Allora
B=
Wb
≡ 1T esla (T )
m2
Una Tesla è una quantità molto elevata. Si pensi che il campo magnetico vicino
alla superficie della Terra è 0, 5 · 10−4 T . Talvolta si usa il Gauss (G) una unità di
misura presa in prestito dal Sistema CGS di Gauss: 1G = 10−4 T .
Se nella stessa regione è presente anche un campo elettrico la forza totale agente
sulla carica diventa:
B=
(1a)
F = QE + Qv ∧ B
1.1. Esempi. Mostriamo alcune applicazioni della forza di Lorentz:
Esempio 1: La frequenza di ciclotrone
Si abbia un campo uniforme B ed una particella con carica Q, che si muove con
velocità v in un piano ortogonale a B. Su di essa si eserciterà una forza magnetica
che supporremo avere il verso disegnato in figura:
La particella si muoverà su di una circonferenza e quindi la forza magnetica
produrrà un’accelerazione centripeta che può essere subito derivata:
ac =
ovvero
QvB
M
v2
QvB
=
R
M
da cui possiamo ricavare sia il raggio della circonferenza
(a)
R=
Mv
QB
sia la velocità angolare (unità di misura: Radianti/s)
v
QB
=
R
M
sia la frequenza (unità di misura: giri/s)
(b)
(c)
ωc =
νc =
ωc
QB
=
2π
2πM
1. LA FORZA DI LORENTZ
103
Tale frequenza è detta di ciclotrone e come si vede non dipende dalla velocità della
particella carica. Allora, qualunque sia la velocità della particella essa si muoverà
su di una circonferenza, il cui raggio dipende dalla velocità, ma la cui frequenza di
rotazione è la stessa per tutte le velocità.
Esempio 2: I selettori di velocità
Nell’equazione che governa il moto di una particella carica Q immersa in un
campo elettrico E e in un campo B,
dv
= QE + Qv ∧ B
dt
manovrando sui valori dei due campi si può rendere nulla la forza agente sulla
particella, in corrispondenza di un determinato valore della velocità. In tal caso
(d)
M
(e)
E = −v ∧ B
e sulla particella che si muove, in un piano ortogonale a B, con una velocità, il
cui valore, è
E
B
non agirà alcuna forza. In altre parole, operando sui campi E e B si possono
selezionare particelle con differenti valori delle velocità (quelle per le quali vale la
(f)), in quanto esse e solo esse si muoveranno indisturbate attraverso i due campi,
mentre le altre saranno deviate.
Esempio 3: Il moto in un campo magnetico uniforme
Risolveremo ora, con un maggior dettaglio, il problema del moto di una particella carica in moto in un campo magnetico uniforme e costante nel tempo.
Supponiamo di avere un campo B, uniforme e costante nel tempo diretto lungo
l’asse z (B = Buz ) e di voler risolvere la seguente equazione:
(f)
v=
(g)
M
dv
= Qv ∧ B
dt
Tale equazione può decomporsi nelle sue tre proiezioni lungo gli assi cartesiani:
(h)
M
dvx
= vy BQ
dt
M
dvy
= −vx BQ
dt
M
dvz
=0
dt
104
7. FORZE AGENTI SU CARICHE E CORRENTI
Notiamo immediatamente che la componente della velocità lungo l’asse z, ovvero
nella direzione del campo, è costante. Il moto della particella è uniforme nella direzione del campo, mentre è, come mostreremo, praticamente circolare uniforme,
nel piano ortogonale alla direzione del campo. Per sostituzione diretta si può verificare che le equazioni per le altre due componenti della velocità sono
(i)
vx (t) = A cos (ωt + φ)
vy (t) = D sin (ωt + φ)
dove
(l)
ω = ωC ≡
B0 Q
M
A = −D
A=
q
2 + v2 = v
v0x
0y
Il valore di A dipende dal valore delle componenti iniziali della velocità lungo i
due assi x ed y, ovvero dal valore delle componenti della velocità nel piano ortogonale
al campo B.
Le soluzioni per le velocità possono essere integrate e si ottiene:
(m)
x (t) = x0 +
A
sin (ω C t + φ)
ωC
y (t) = y0 +
A
cos (ω C t + φ)
ωC
Come annunciato, il moto, nel piano ortogonale al campo magnetico, è un
moto circolare, con una frequenza pari alla frequenza di ciclotrone. Il raggio di tale
circonferenza si trova facilmente. Quadrando le (m) si ha
2
(x (t) − x0 ) =
A2 2
sin (ω C t + φ)
ω 2C
2
(y (t) − y0 ) =
A2
cos2 (ω C t + φ)
ω 2C
e sommando membro a membro si ottiene
2
2
(x (t) − x0 ) + (y (t) − y0 ) =
A2
ω 2C
da cui
R=
A
v
=
ωC
ωC
che è il raggio di ciclotrone. In conclusione, il moto di una particella carica,
in un campo magnetico uniforme e costante nel tempo è la composizione di un
moto traslatorio uniforme nella direzione del campo e circolare uniforme nel piano
ortogonale al campo.
Esempio 4: Campi elettrici e magnetici incrociati
Supponiamo di avere, oltre ad un campo B, uniforme e costante nel tempo
anche un campo elettrico E uniforme e costante nel tempo.
1. LA FORZA DI LORENTZ
105
L’equazione del moto che dobbiamo risolvere è
dv
= QE + Qv ∧ B
dt
Per risolvere tale equazione useremo il seguente artifizio. Ci porteremo prima
in un differente sistema di riferimento, in moto rispetto al precedente (quello dal
quale la velocità della particella in moto è v) con una velocità
M
(n)
E∧B
B2
Rispetto a tale nuovo riferimento la velocità della particella in moto è
V=
v0 = v −
(o)
E∧B
B2
e la nuova equazione del moto diventa
(p)
dv0
Q
= qE + qv0 ∧ B + 2 [(E ∧ B) ∧ B]
dt
B
Poiché (a ∧ b) ∧ c = (a · c) b − (b · c) a, troviamo
M
(E ∧ B) ∧ B = B (B · E) − B 2 E
(q)
e la (p) diventa
dv0
Q
= Qv0 ∧ B + 2 B (B · E)
dt
B
Nell’ipotesi che il campo elettrico e quello magnetico siano ortogonali, il secondo
termine al secondo membro è nullo e si può scrivere
(r)
M
dv0
= Qv0 ∧ B
dt
Nel nuovo sistema di riferimento il campo elettrico è scomparso. La (s) è
stata risolta nel precedente esempio. Assumiamo che il campo magnetico sia nella
direzione dell’asse z e il campo elettrico sia diretto, rispetto al riferimento iniziale,
lungo l’asse x. Allora, la soluzione del problema del moto, nel riferimento iniziale,
diventa
(s)
M
106
7. FORZE AGENTI SU CARICHE E CORRENTI
x (t) = x0 +
A
E
sin (ω C t + φ) + t
ωC
B
y (t) = y0 +
A
cos (ω C t + φ)
ωC
2. Il lavoro della forza di Lorentz
Qualunque forza agente su una particella, spostandola, compie un lavoro. Il
lavoro può essere positivo, negativo o nullo. Se il lavoro, fatto lungo una traiettoria
chiusa risulta nullo, normalmente si dice che la forza è conservativa. Ora calcoleremo
il lavoro fatto dalla forza di Lorentz su di una carica in moto, per mostrare che la
condizione, perché una forza sia conservativa, è un pò più stringente. Il lavoro
infinitesimo fatto dalla forza di Lorentz, su di una carica in moto, con velocità
dL = Qv ∧ B · dr
poiché la velocità e lo spostamento infinitesimo sono paralleli, il secondo membro è sempre nullo. Conclusione, il lavoro fatto dalla forza di Lorentz è sempre
nullo; in altre parole, la forza di Lorentz non provoca alcuna variazione di velocità
della particella carica.
Se si calcola il lavoro, lungo una traiettoria chiusa, si troverà che esso è nullo.
Si potrebbe concludere che la forza di Lorentz è conservativa. In realtà, nella
definizione di forza conservativa deve essere aggiunta la ipotesi che la forza sia
dipendente solo dalle coordinate. Poiché, la forza di Lorentz dipende dalla velocità
della particella, pur essendo il lavoro lungo un percorso chiuso nullo, manca alla
forza di Lorentz una condizione per poterla definire conservativa.
3. Forza agente su tratti di fili: seconda formula di Laplace
Supponiamo di avere un filo metallico percorso da una corrente I, posto in una
regione in cui è presente un campo costante ed uniforme B. Sia L la lunghezza del
filo ed δa la sua sezione trasversa.
Prendiamo un tratto di filo di lunghezza δl, in maniera tale che il campo B
agente su ciascuna carica in movimento (la loro velocità è assunta costante ed uguale
alla velocità di deriva), nel tratto considerato, sia costante (in modulo direzione e
verso e non dipenda dal tempo). Con queste precisazioni, possiamo dire che su
ciascuna carica in moto, all’interno del tratto considerato, agisce la stessa forza di
Lorentz e la forza totale agente su tutto il tratto di filo considerato sarà la somma
delle forze che agiscono sulle singole cariche:
4. L’AZIONE M AGNETICA SU UN CIRCUITO: IL DIPOLO M AGNETICO
(2)
107
Fδl = Qδl v ∧ B
dove Qδl è la carica totale delle cariche in moto, con velocità v, contenute nel tratto
δl. Se ρ è la densità di cariche in moto, la carica totale contenuta nel tratto δl si
può scrivere come
(3)
Qδl = ρδaδl
Allora,
Qδl v = ρδaδlv = jδaδl
Nell’ipotesi di una corrente stazionaria, la corrente si può scrivere I = jδa e
(4)
Qδl v = Iδl
dove la direzione ed il verso della corrente sono state prese δl. La forza magnetica
esercitata da B sul tratto di filo diventa
(5)
Fδl = Iδl ∧ B
che è nota come seconda formula di Laplace. Se il conduttore è rettilineo ed il
vettore B è costante ed uniforme per l’intero tratto del filo, avremo:
(6)
Fl =
X
δl
Fδl = Il ∧ B
Chiameremo la (6) forza di Laplace del campo magnetico sui conduttori rettilinei percorsi da corrente. La (6) può essere usata per definire e misurare il campo
B. Il campo di induzione magnetica B si misura in
B=
N
mA
4. L’azione magnetica su un circuito: il dipolo magnetico
La forza di Laplace ci dice come il campo magnetico esercita la sua forza su
tratti di un filo. Ma un tratto di filo non costituisce un circuito, quindi per sapere
la reale azione magnetica su di un filo percorso da corrente dobbiamo chiudere il filo
e trasformarlo in circuito. Utilizzeremo come circuito una spira quadrata (circuito
elementare a forma quadrata, sufficientemente piccolo e rigido da avere, la superficie
che esso racchiude un unico versore). Si abbia, allora, una spira quadrata rigida,
percorsa da corrente I, con i lati paralleli agli assi x ed y, immersa in una regione
dello spazio in cui è presente il campo B, supposto costante ed uniforme in tutto
lo spazio dove è presente la spira e diretto lungo la direzione positiva dell’asse x
(B = Bux ).
108
7. FORZE AGENTI SU CARICHE E CORRENTI
Dividiamo il calcolo della forza agente su tutta la spira in quattro pezzi, tanti
quanti sono i lati della spira. Numeriamoli come in Figura. Nei tratti 1 e 3, la
corrente è parallela (o antiparallela) al campo, quindi non si esercita alcuna forza
sulle cariche in moto che costituiscono la corrente in tali tratti. Possiamo dire che
sui tratti 1 e 3 del filo non si esercita, da parte del campo, alcuna forza. Nei due
tratti rimanenti avremo invece:
F2 = Il2 ∧ B = IlBuy ∧ ux = −IlBux ∧ uy = −IlBuz
F4 = Il4 ∧ B = −IlBuy ∧ ux = IlBux ∧ uy = IlBuz
Queste due forze sono uguali ma di segno opposto.
Sebbene la forza totale sia nulla, poiché le due forze non agiscono lungo la stessa
retta di azione (agiscono su due rami differenti del circuito), vi sarà una coppia che
tenderà a far ruotare la spira intorno al suo centro. Possiamo dire che l’azione del
campo magnetico su di una spira non è una forza ma un momento di una coppia.
Il momento della coppia non dipende dal polo rispetto al quale i momenti sono
calcolati e risulta uguale al prodotto dell’intensità della forza per il braccio (che in
questo caso è uguale alla lunghezza di un lato della spira). Allora, il momento della
coppia agente sulla spira sarà:
(7)
τ = Il2 B
4. L’AZIONE M AGNETICA SU UN CIRCUITO: IL DIPOLO M AGNETICO
109
Tale momento si può pensare costituito da due pezzi: la corrente per l’area
della spira (Il2 ) ed il campo B. Se aggiungiamo a Il2 il versore nella direzione
dell’asse z (cioè ortogonale alla superficie piana determinata dalla spira) potremo
definire un nuovo vettore, dI , che chiameremo momento di dipolo magnetico:
(8)
dI = Il2 uz
In generale, il momento di dipolo sarà il prodotto di una corrente per un’area
orientata. Direzione e verso sono determinate dal verso della corrente e dalla regola
della mano destra usata per orientare le aree. Allora, l’azione del campo magnetico
sulla spira è pari al momento di una coppia e la sua espressione si potrà scrivere,
in termini vettoriali, come segue:
(9)
τ = dI ∧ B
Le dimensioni del momento di dipolo magnetico, sono quelle di una corrente
per un’area (Nel SI si misurerà in Ampère metro quadro):
dI = Am2
Come agisce il momento della coppia? Se la spira avesse la direzione del suo
momento nella direzione del campo (in questo caso la spira sarebbe nel piano yz) il
momento sarebbe nullo (posizione di equilibrio della spira). Se si discosta da tale
posizione, il momento della coppia tenderà a far assumere alla spira un orientamento
perpendicolare al campo magnetico: la spira si gira in modo da allineare dI con B.
Se la spira fosse ancorata in modo appropriato (per esempio per il suo centro) essa,
allontanata dalla posizione di equilibrio oscillerebbe intorno a tale posizione fino a
quando non la raggiungerebbe.
Possiamo generalizzare il precedente risultato e dire che l’azione del campo
magnetico, uniforme e costante, su di un circuito elementare di forma qualsiasi è
pari al momento di una coppia, che si ottiene come prodotto vettoriale tra il momento di dipolo magnetico, associato al circuito, ed il campo magnetico. In definitiva, l’azione magnetica sulle cariche in moto è riconducibile ad una forza (quella
di Lorentz) ma l’azione magnetica su circuiti è sempre un momento e l’elemento
caratterizzante il circuito è il momento di dipolo magnetico. In altre parole, l’azione
110
7. FORZE AGENTI SU CARICHE E CORRENTI
dei campi magnetici sui circuiti è più simile all’azione elettrica sui dipoli elettrici,
che non all’azione elettrica su cariche elettriche. Questa similarità sarà analizzata
in maggior dettaglio nei complementi.
Per determinare il verso del momento magnetico associato ad una spira, si usa
la regola della mano destra (dovuta ad Ampère): Se le dita seguono la corrente che
circola nella spira, il pollice indicherà il verso del momento magnetico.
Se le spire sono N , parallele ed immerse nello stesso campo B omogeneo ed
uniforme, il momento di dipolo magnetico sarà dato da
(10)
dI = N Il2 ua
4.1. Campo magnetico su aghi magnetici. Comportamento analogo a
quello della spira si riscontra per un ago magnetico immerso in un campo magnetico. Si può associare, ad ogni ago magnetico, un momento magnetico dM che è
una grandezza che dipende solo dall’ago magnetico, la sua direzione e verso va dal
polo sud a quello nord, ed anche per esso si trova sperimentalmente che l’azione del
campo sul magnete si riduce all’azione di un momento torcente la cui espressione è
(11)
τ ∝ dM ∧ B
La similarità tra ago magnetico e spira percorsa da corrente fu individuata da
Ampère ed è nota come teorema di equivalenza di Ampère.
4.2. Esempi. Ora mostrremo alcuni esempi di azioni magnetiche su spire percorse da correnti
Esempio 1:
5. Il segno dei portatori di carica nei metalli
Stabiliamo se è importante sapere, per la corretta applicazione della forza di
Laplace sui conduttori, il segno delle cariche in moto. Supponiamo che le cariche
in moto siano le cariche positive e siano dirette lungo l’asse x:
6. EFFETTO HALL
111
Inoltre, lungo l’asse y sia diretto il campo B. In tal caso, la forza di Lorentz,
agente su ciascuna carica, e quindi sull’intero conduttore, è diretta lungo l’asse z.
Supponiamo ora che le cariche in moto siano le cariche negative (questa è la realtà).
Esse si muoveranno ancora lungo l’asse x, ma nel verso negativo dell’asse.
Tuttavia, poiché il segno della carica delle particelle è cambiato, la forza di
Lorentz su ciascuna carica, e quindi su tutto il conduttore, sarà ancora diretta
lungo la direzione positiva dell’asse z. In conclusione, non ha importanza la determinazione del segno delle cariche in moto, per la corretta applicazione della forza di
Laplace. In altre parole, dalla conoscenza dell’azione dei campi magnetici, esterni,
sui conduttori filiformi, non è possibile stabilire il segno dei portatori di carica nei
conduttori. Possiamo allora dire che il vettore uv indica il verso della corrente I,
senza alcuna altra precisazione (anche se il moto reale è opposto al verso convenzionale della corrente).
6. Effetto Hall
Una corrente elettrica in un conduttore equivale al moto di cariche elettriche
al suo interno. Queste cariche essendo microscopiche non sono visibili. Si pone
allora il problema di determinare il loro segno e la loro densità. Oggi sappiamo che
le cariche in moto sono gli elettroni ma nel secolo scorso non si conosceva la loro
natura. Nel 1879 Edwin Hall elaborò un esperimento per determinare sia il segno
delle cariche in moto che la loro densità di carica.
Supponiamo di avere un conduttore non più filiforme ma a forma di parallelepipedo come in figura
112
7. FORZE AGENTI SU CARICHE E CORRENTI
Assumiamo che la corrente fluisca nella direzione dell’asse x. Inoltre, il conduttore è immerso in un campo B diretto lungo la direzione dell’asse y. Non
conoscendo il segno delle cariche in moto analizziamo cosa accade ad una carica
in moto, nel conduttore, sia di segno positivo che di segno negativo. Poiché, la
corrente fluisce lungo la direzione dell’asse x, una carica positiva si deve muovere
lungo tale direzione. Poiché la corrente è costante noi possiamo scrivere che
(12)
I = nqvδa
dove n è la densità numerica delle cariche in moto, q la loro carica, v la loro
comune velocità costante, mentre δa è la sezione trasversa (la base) del nostro
conduttore. δa = ld dove l è la larghezza del conduttore, mentre d è lo spessore.
Allora, una carica positiva si muove lungo l’asse x con velocità v data da
(13)
v=
I
nqδa
Poiché la carica è in moto in un campo magnetico B, su di essa si esercita la
forza di Lorentz la cui intensità è
(14)
F = qvB
La direzione ed il verso sono quelle dell’asse z: le cariche positive tenderanno
ad accumularsi sulla faccia che è ortogonale alla direzione positiva dell’asse z (e
quelle negative sulla faccia che è ortogonale alla direzione negativa dell’asse z );
Se invece le cariche in moto sono negative, la direzione della velocità sarà lungo
l’asse x ma nella direzione negativa;
6. EFFETTO HALL
113
La forza di Lorenz agente sulle cariche è ancora data dalla (3) ed essendo cambiato sia il segno delle cariche che quello delle velocità, la sua direzione e verso sarà
ancora quello dell’asse z positivo: le cariche negative tenderanno ad accumularsi
sulla faccia che è ortogonale alla direzione positiva dell’asse z (e quelle positive
sulla faccia che è ortogonale alla direzione negativa dell’asse z ).
Allora, se le cariche in moto sono positive, un voltmetro, collegato alle due
faccie del conduttore, direbbe che la faccia superiore è a potenziale maggiore di
quella inferiore se le cariche in moto sono positive e viceversa nel caso in cui le
cariche in moto sono quelle negative. La semplice polarità del potenziale darà il
segno delle cariche in moto.
Ma come valutare questo potenziale? Le cariche, siano esse positive o negative,
non si accumulano indefinitivamente ma solo fino a quando il campo elettrico, EH ,
detto di Hall, generato dalle cariche che si accumulano, non generi una forza sulle
stesse cariche tale da uguagliare la forza di Lorentz che le ha deviate e costrette
ad accumularsi. Cioé, l’accumulazione avviene fino a che non vale la seguente
uguaglianza:
(15)
qEH = qvB
Al campo EH corrisponde una differenza di potenziale ∆VH , detta di Hall, tra
la faccia superiore ed inferiore del conduttore, il cui valore è
∆VH = EH d
ovvero
(16)
∆VH = vBd
Sostituendo l’espressione (14) di v nella (16) si ha
(17)
∆VH =
BI
nql
All’inverso della densità di carica dei portatori,
(18)
CH =
1
nq
si dà il nome di costante di Hall. La (17) la possiamo riscrivere come
114
7. FORZE AGENTI SU CARICHE E CORRENTI
BI
l
Dal segno della costante di Hall deriviamo la natura delle cariche in moto e dal
suo valore, nota la carica elettrica, deriviamo la densità numerica delle stesse. Si
vede che l’effetto Hall può essere utilizzato per determinare il campo B, da misure
di potenziale di Hall:
(19)
(20)
∆VH = CH
B=
l
CH I
∆VH = k∆VH
7. Complementi: Circuito in moto in un campo B uniforme e costante
Vogliamo studiare il moto generale di un circuito in un campo magnetico uniforme e costante. Vedremo che è conveniente partire dalla determinazione del lavoro
necessario a spostare tale circuito da una configurazione iniziale ad una finale. Il
motivo è che tale lavoro dipenderà solo dalla configurazione iniziale e finale. Ovvero,
sarà possibile assuciare ad ogni configurazione del circuito una energia potenziale
magnetica.
Supponiamo di spostare un circuito, percorso da una corrente I , in un campo
di induzione magnetica B, uniforme e costante Per sapere il lavoro che stiamo
compiendo possiamo uguagliare il nostro lavoro con quello che farebbe la forza di
Laplace per spostare lo stesso circuito. Poiché il campo B esercita su di un tratto
di circuito una forza data da
(21)
dF = Idl ∧ B
possiamo calcolare il nostro lavoro come se questo lavoro fosse fatto da tale forza.
Poiché lo spostamento infinitesimo che subisce il circuito non è legato alla velocità
di alcuna particella microscopica (ricordiamo che le particelle cariche del circuito si
muovono con una velocità media costante pari alla velocità di deriva) indicheremo
lo spostamento infinitesimo con dR,
il lavoro compiuto dalla forza magnetica sarà:
(22)
Ma
dL = I (dl ∧ B) · dR
7. COM PLEM ENTI: CIRCUITO IN M OTO IN UN CAM PO B UNIFORM E E COSTANTE 115
(23)
(dl ∧ B) · dR = (dR ∧ δl) · B
Notiamo, che qui a differenza del caso della forza di Lorentz, il prodotto misto
è diverso da zero, in ogni caso, perché lo spostamento dR , non ha mai la direzione
della corrente e quindi anche delle cariche. Il vettore, come si evince dalla figura,
(24)
dR ∧ dl = d2 aua
rappresenta l’area elementare spazzata, nel suo moto, dall’elemento di circuito dl.
Allora,
(25)
(dl ∧ B) · dR = B · ua d2 a = dΦ (B)
è il flusso infinitesimo di B attraverso l’area spazzata dall’elemento infinitesimo
di circuito durante il suo spostamento infinitesimo. Notiamo che misurandosi B in
W b/m2 (o Tesla) il flusso di B attraverso una superficie si misura in weber. Quindi,
si può scrivere:
(26)
dL = IdΦ (B)
dove tale flusso è positivo se B e ua formano un angolo acuto, ovvero se la terna
dR, dl, B è sinistrorsa.
Passiamo ora al calcolo del lavoro fatto dal campo per spostare di un tratto
infinitesimo tutto il circuito.
Sommando tutti i lavori elementari, relativi ai vari dl che costituiscono il circuito, trovi-32946A305Tf22I544su3.1198nvi-329nu291-32(cui8(i).u29.24778-4.N1Tf1.473.9s(s)-3.4(e)2.9(l8-2n
116
7. FORZE AGENTI SU CARICHE E CORRENTI
Troveremo che
(28)
L (i → f ) = IΦa (B)
dove ora Φa (B) rappresenta il flusso del campo B attraverso la superficie spazzata
dall’intero circuito nel suo spostamento finito dalla configurazione iniziale a quella
finale.
Il precedente risultato è molto difficile da utilizzare praticamente perché prevede
la conoscenza di tutte le modifiche che subisce il circuito dalla configurazione iniziale
a quella finale. In realtà, questo problema può essere evitato, trasformando il flusso
al secondo membro, in una differenza tra due flussi, uno legato al circuito nella
configurazione iniziale ed uno legato alla configurazione finale.
Per fare ciò, chiudiamo la superficie spazzata con altre due superfici, una che
abbia per contorno il circuito nella posizione iniziale ed una che abbia per contorno
il circuito nella posizione finale
In una prossimo capitolo, discuteremo di una importante proprietà del campo
B, ovvero che
(29)
I
d2 aB · ua = 0
cioè che il flusso del campo B attraverso una qualunque superficie chiusa è sempre
7. COM PLEM ENTI: CIRCUITO IN M OTO IN UN CAM PO B UNIFORM E E COSTANTE 117
nullo (non ci sono né sorgenti né pozzi nel campo B). Allora, se si applica la
precedente proprietà alla superficie chiusa appena costruita, si può scrivere
Φa (B) + Φai (B) + Φaf (B) = 0
ovvero
(30)
Φa (B) = −Φai (B) − Φaf (B)
ed il lavoro precedentemente calcolato diventa
(31)
¤
£
L (i → f ) = I −Φai (B) − Φaf (B)
Il lavoro non dipende dal percorso che compie il circuito ma solo dalla configurazione del circuito nella posizione iniziale e finale. E vi dipende dal flusso del
campo magnetito attraverso una qualunque superficie che abbia per cortorno il circuito nella posizione iniziale e finale. Ma ora sorge un problema con i versi delle
due superfici ai ed af . Nel nostro calcolo non vi era ambiguità perché abbiamo
adoperato una superficie chiusa ed era in entrambi i casi uscente dalla superficie
chiusa. Ora i circuiti, nella posizione iniziale e finale fanno da contorno a superfici
aperte e sappiamo che in tal caso dobbiamo usare la regola di percorrenza, lungo
il verso della corrente. Ricordando che il verso della corrente è quello di dl , vediamo subito che mentre il segno usato, per il circuito nella posizione iniziale, è
coincidente con il verso corretto che si ottiene con la nuova regola, il segno, nella
configurazione finale è opposto a quello che si ottiene con la regola di percorrenza
del bordo. Dobbiamo allora cambiare di segno al flusso attraverso la superficie che
ha per contorno il circuito nella posizione finale. Allora, convenendo di adottare il
verso di orientazioni delle superfici, il risultato (31) sarà modificato in:
(32)
£
¤
L (i → f ) = I Φaf (B) − Φai (B)
Il lavoro fatto dal campo B dipende solo dai flussi concatenati con la configurazione
iniziale e finale del circuito e non dalle posizioni intermedie che assume il circuito
stesso, ovvero dal suo moto attraverso lo spazio
Ciò suggerisce la possibilità di introdurre una funzione energia potenziale associata ad ogni configurazione del circuito nel modo seguente: Associata al circuito
in una certa configurazione A, noi associamo una energia potenziale magnetica che
è pari al lavoro che il campo magnetico compierebbe per portare il circuito dalla
configurazione A ad una 0,di riferimento per tutte
(33)
UA ≡ −IΦA (B) + cost.
dove ΦA (B) rappresenta il flusso attraverso una qualunque superficie che abbia per
contorno il circuito nella posizione 1. La costante arbitraria potrebbe essere posta,
per esempio, uguale a zero in corrispondenza di una configurazione del circuito per
il quale il flusso concatenato sia nullo.
118
7. FORZE AGENTI SU CARICHE E CORRENTI
Esempio: Possiamo pensare alla spira quadrata già discussa:
Nella posizione della figura il flusso di B attraverso la spira è nullo. Possiamo
scegliere tale posizione come posizione di riferimento (vedremo che è anche una
posizione di equilibrio) e scrivere che
(34)
U1 ≡ −IΦa1 (B)
che esplicitata diventa
U1 = −I
Z
δA
B · ua d2 a
dove δA è la superficie della spira. Avremo ancora
Z
U1 = −IB · ua
d2 a = −IB · ua δA
δA
Introducendo il momento di dipolo magnetico della spira
dI = ua δAI
si ottiene
(35)
U = −dI · B
L’energia potenziale magnetica associato ad un circuito immerso in un campo
magnetico uniforme e costante non dipende dalla posizione del circuito nello spazio
ma solo dal suo momento di dipolo magnetico.
Questo risultato è molto simile a quello già trovato di un momento di dipolo
elettrico in un campo elettrico uniforme e costante:
(36)
U = −dQ • E
Ritorniamo alla (35). Abbiamo mostrato, in un precedente paragrafo che la
forza risultante sulla spira era nulla. Poiché la forza agente sulla spira è il gradiente
dell’energia potenziale campiato di segno, la (35) ci conferma il valore nullo della
forza risultante sulla spira..
7. COM PLEM ENTI: CIRCUITO IN M OTO IN UN CAM PO B UNIFORM E E COSTANTE 119
Sul circuito però potrà agire una coppia diversa da zero, come abbiamo già
visto. Se il circuito è libero di muoversi entro il campo magnetico, tenderà ad
assumere una posizione che corrisponda all’energia potenziale minima, ovvero al
flusso concatenato massimo, come abbiamo già vista nell’esempio della spira.
Sia gli amperometri che i galvanometri si fondano su tale principio, ovvero sono
costituiti da circuiti che quando sono percorsi da corrente, sono soggetti ad una
coppia il cui momento si ottiene derivando l’energia potenziale rispetto all’angolo
di rotazione:
∂U1
∂Φa1 (B)
=I
∂θ
∂θ
Nel caso della spira, indichiamo con θ l’angolo che in generale forma il momento
di dipolo magnetico con il campo. L’energia potenziale si scrive
(37)
τ =−
U = −dI B cos θ
La derivata rispetto a θ ci darà
τ =−
∂U
= dI B sin θ
∂θ
Possiamo allora scrivere
(38)
τ = dI ∧ B
Analogo risultato è stato ottenuto per il dipolo elettrico in un campo elettrico
uniforme e costante
(39)
τ = dQ ∧ E
CHAPTER 8
Campi magnetici prodotti da correnti stazionarie
Abbiamo studiato gli effetti di un campo B, prodotto da un magnete su cariche
in moto e su circuiti percorsi da corrente. Abbiamo visto che le spire si comportano come dipoli magnetici, possiamo ora passare ad esaminare i campi magnetici
prodotti da correnti elettriche stazionarie. Ma le correnti stazionarie sono cariche in
moto uniforme con la velocità di deriva. Nel precedente capitolo abbiamo derivato le
forze agenti sui fili percorsi da corrente, ora deriveremo i campi magnetici prodotti
da correnti stazionarie partendo da campo magnetico prodotto da una carica in
moto uniforme.
1. Il campo magnetico prodotto da una carica in moto uniforme
La corrente è fatta da cariche in moto. Si può considerare la velocità di deriva
come la velocità media costante con cui le particelle cariche si muovono nel conduttore. Nel precedente capitolo abbiamo usato questo fatto per derivare la forza
magnetica agente su fili rettilinei. Abbiamo detto che, se si conosce la forza agente
su una carica in moto in un conduttore (forza di Lorentz), la forza agente su tutto il
filo sarà data dalla somma vettoriale delle forze agenti su tutte le cariche in moto nel
filo. Abbiamo così, semplicemente sostituito, nella formula della forza di Lorentz,
al prodotto della carica per la loro comune velocità (in realtà, velocità media), il
prodotto della corrente per la lunghezza del filo:
(1)
Qv = Iδl
Se le correnti stazionarie, sono cariche in moto con velocità costante, il campo
magnetico prodotto da un filo, dovrebbe potersi considerare come la somma dei
campi magnetici prodotte dalle singole cariche in moto nel filo. Sebbene il problema
sia un pò più complesso noi assumeremo che realmente sia possibile considerare il
campo prodotto da una corrente satzionaria come la somma dei campi prodotti
dalle singole cariche. Allora, per determinare il campo prodotto da un filo percorso
da corrente è sufficiente sapere il campo prodotto da una singola carica e sommare,
questo campo su tutte le cariche presente in un filo.
Poniamoci nel caso più semplice possibile e supponiamo di avere una carica
positiva Q0 in moto con velocità costante v0 , il cui modulo sia molto minore della
velocità della luce (v0 ¿ c), e che all’istante t considerato passi per l’origine.
Assumeremo che, il campo prodotto dalla carica Q0 nel punto P , il cui vettore
posizione sia r, si può scrivere
(2)
B0 (r) = ε0 µ0 v0 ∧ E0 (r)
121
122
8. CAM PI M AGNETICI PRODOTTI DA CORRENTI STAZIONARIE
dove E0 (r) è il campo coulombiano che, all’istante t, la carica Q0 genera nel
punto P (il campo dipende dalla posizione istantanea della carica Q0 ).
La costante µ0 , detta permeabilità magnetica del vuoto, vale
Ωs ∼
Ωs
= 4π × 10−7
m
m
Poiché, il campo coulombiano generato dalla carica Q0 nel punto P è
µ0 = 12, 56 × 10−7
E0 (r) =
(3)
1 Q0
ur
4πε0 r2
potremo scrivere
µ0 Q0 0
v ∧ ur
4π r2
Questo è in campo di induzione magnetica che, una carica, passante per l’origine
degli assi, con velocità v0 , genera nel punto P .
(4)
B0 (r) =
2. La prima formula di Laplace
Possiamo ora determinare il campo magnetico generato da un tratto di filo,
percorso da corrente, che sia centrato sull’origine di un sistema di riferimento.
Se indichiamo con dl la lunghezza del tratto di filo, con dQ0 la carica totale che
è in moto, nel filo e sia v0 la loro velocità comune, dalla (4) potremo scrivere:
2. LA PRIM A FORM ULA DI LAPLACE
(5)
123
µ0 dQ0 0
v ∧ ur
4π r2
Ma per la (1) questa equazione diventa:
dB0 (r) =
µ0 I
dl ∧ ur
4π r2
Questa relazione è detta prima formula di Laplace ed esprime il campo magnetico, prodotto da un tratto di filo, posto nell’origine del sistema di riferimento
e che si suppone possa essere percorso da una corrente I, in un punto che disti r
dall’origine. In realtà, questa formula è valida anche se il tratto di filo non è posto
nell’origine, ma in un punto qualsiasi dello spazio. Bisogna solo ricordarsi che la
distanza r è la distanza istantanea dal tratto di filo ed ur un versore, diretto dal
filo al punto in cui si intende calcolare il campo.
Il limite della (6) è che essa non può essere sottoposta a verifica diretta, perché
in un tratto di filo, non passa corrente.
(6)
dB0 (r) =
2.1. Esempi. Esempio 1: Assumendo vera la prima formula di Laplace si
determini il campo B nel punto P del seguente circuito percorso dalla corrente I.
Separiamo il calcolo dei tre tratti. Poiché vale la prima legge di Laplace
µ0 I
dl ∧ ur
4π r2
i contributi al campo dai tratti 1 e 3 sono nulli (dl e ur sono paralleli o antiparalleli
nei due tratti). Rimane il tratto di arco di circonferenza di raggio R. La direzione
di B è ortogonale al piano del circuito (piano del foglio) ed è entrante, per tutti e
tre i tratti. Tutto il tratto è la somma di tanti tratti infinitesimi dl. Tutti distano
R dal punto P ed i vettori dl e ur sono ortogonali. Allora ogni tratto contribuisce
con un campo dB dato da
dB =
µ0 I
dl
4π R2
Se l0 è la lunghezza dell’arco di circonferenza, sommando tutti i contributi
avremo
(a)
dB =
(b)
B=
µ0 I
l0
4π R2
124
8. CAM PI M AGNETICI PRODOTTI DA CORRENTI STAZIONARIE
Poiché
(c)
l0
R
è la misura dell’arco in radianti, lo stesso campo B può scriversi come:
θ=
µ0 I
θ
4π R
Esempio 2: Assumendo vera la prima formula di Laplace si determini il campo
B nel centro di una spira di raggio R percorsa da una corrente I.
Usando la (b) del precedente esempio
(d)
B=
(b)
B=
µ0 I
l0
4π R2
con l0 = 2πR si trova
µ0 I
2 R
La direzione del campo è ortogonale al piano della circonferenza ed il verso è
entrante il piano.
Esempio 3: Il circuito in figura giace nel piano xy ed è percorso da una corrente
di 1A. Se i raggi delle due semicirconferenze sono rispettivamente R1 = 1m e
R2 = 2m si determini il valore del campo di induzione magnetica B, nel punto P ,
centro delle due circonferenze (se serve, si usi per µ0 il valore numerico 4π × 10−7 .
(e)
B=
I contributi lineari al campo sono nulli. Il campo B prodotto da un settore
circolare di lunghezza l0 è
µ I
B = 0 2 l0
4π R
Il campo prodotto da una semicirconferenza nel suo centro è
µ0 I
4 R
Se si sceglie l’asse z come asse positivo, avremo
µ
¶
1
1
µ I R1 − R2
µ I
= 0
B= 0
−
4
R2 R1
4 R1 R2
B=
Sostituendo i valori numerici
B=
4π × 10−7
4
µ
1−2
2
¶
=−
10−7
2
Il campo risultante è ortogonale all’asse xy ed è diretto lungo la direzione negativa
dell’asse z
3. LEGGE DI BIOT-SAVART
125
3. Legge di Biot-Savart
Ora applicheremo la prima formula di Laplace ad un circuito filiforme rettilineo
indefinito, di sezione trascurabile. Ci si propone di calcolare il campo nel punto P .
Si veda la seguente figura:
Tutte le parti infinitesime, in cui si può pensare diviso il filo rettilineo contribuiscono, per la direzione e il verso, allo stesso modo. Il modulo infinitesimo del
campo si può scrivere:
µ0 dl
µ dx
I sin α = 0 I 2 cos β
4π r2
4π r
Scriviamo x, r in funzione di β:
(7)
dB =
(8)
dx = yp sec2 βdβ
x = yp tan β
Essendo 1/ cos β = sec β = r/yp , avremo
dx = yp sec2 βdβ = yp
(9)
r2
r2
dβ
=
dβ
yp2
yp
Allora,
dB =
µ 1 r2
µ0 dx
I 2 cos β = 0 I 2 dβ cos β
4π r
4π r yp
ovvero
(10)
dB =
µ0 I
dβ cos β
4π yp
Il campo risultante, prodotto dal filo rettilineo indefinito, sarà
Z 0
Z π/2
µ I
µ I
(11)
B= 0
dβ cos β + 0
dβ cos β
4π yp −π/2
4π yp 0
da cui
(12)
B=
µ0 I
4π yp
Z
π/2
−π/2
dβ cos β =
µ0 I
µ I
π/2
sin β|−π/2 = 0
4π yp
2π yp
Abbiamo, così mostrato che il campo prodotto da un filo rettilineo indefinito,
in un punto che disti d dal filo, è
126
8. CAM PI M AGNETICI PRODOTTI DA CORRENTI STAZIONARIE
(13)
B=
µ0 I
2π d
La (13) è nota come legge di Biot-Savart. Essa è una legge e non una formula,
come le due formule di Laplace, perché essa è verificabile direttamente e fu stabilita
nel 1820 dai francesi Jean-baptiste Biot (1774-1862) e Félix Savart (1791-1841). La
direzione del campo B è nel piano della circonferenza, ortogonale al filo, con centro
sul filo e passante per P e risulta ad essa tangente. Le linee di forza del campo di
induzione magnetica, prodotte dal filo sono delle circonferenza, ortogonali al filo e
con centro su di esse. Per determinare il verso si può usare la regola della mano
destra: se si pone il pollice nella direzione della corrente, e le dita nella direzione
del punto P , quando si chiude la mano, le dita della mano destra indicheranno il
verso del campo.
3.1. Esempi. Esempio 1:La precedente relazione può essere utilizzata anche
per calcolare il campo prodotto da un filo di lunghezza finita. Supponiamo di voler
calcolare il campo prodotto da un filo di lunghezza L in un punto P posto ad una
distanza d da uno degli estremi del filo (vedi Fig.)
Nella (11) il contributo dal primo integrale è nullo. Nel secondo integrale
basterà porre β 1 come estremo superiore:
(f)
µ I
B= 0
4πd
Z
β1
cos βdβ =
0
µ0 I
µ I
L
sin β 1 = 0 √
4πd
4πd L2 + d2
3. LEGGE DI BIOT-SAVART
127
Esempio 2: Calcoliamo il campo prodotto da un filo di lunghezza finita L, in
un , punto P, posto ad una distanza d, ma in una posizione qualunque, intermedia
(L = Lγ + Lβ )
Dalla (11) otterremo
B=
ovvero
µ0 I
4π d
Z
0
dβ cos β +
−γ
µ0 I
4π d
Z
β
dβ 0 cos β 0
0
µ0 I
µ I
µ I
sin γ + 0 sin β = 0 (sin γ + sin β)
4π d
4π d
4π d
che si può anche riscrivere come


µ I
Lβ
Lγ

B = 0 q
+q
4π d
2
2
L +d
L2 + d2
B=
γ
β
Esempio 3: Forza esercitata da un filo rettilineo indefinito su di un filo finito
di lunghezza L
Il campo prodotto dal filo ad una qualunque distanza x dal filo è
B1 =
µ0 I1
2π x
128
8. CAM PI M AGNETICI PRODOTTI DA CORRENTI STAZIONARIE
La sua direzione è determinata da −uz . La forza agente su un tratto infinitesimo
del secondo filo è
µ I1
dF = I2 dxux × B1 = B1 I2 dxuy = 0 I2 dxuy
2π x
Per avere la forza risultante dobbiamo integrare (la direzione ed il verso sono determinati da uy )
¶
µ
Z d+L
µ0
µ0
dx
d+L
F =
I1 I2
=
I1 I2 ln
2π
x
2π
d
d
Esempio 4: Campo magnetico sull’asse di una spira circolare
Ci proponiamo di calcolare il campo magnetico B in un punto qualunque
dell’asse x, che coincide con l’asse della spira circolare. Come sempre dobbiamo
usare la formula di Laplace
µ I
dB = 0 2 dl ∧ ur
4π r
Il campo dB deve essere ortogonale al piano individuato ed il suo modulo sarà
µ I
dB = 0 2 dl
4π r
perché i due vettori dl e ur sono ortogonali. Questo risultato può essere riscritto
come
µ
I
dl
dB = 0 2
4π R + x2
Se decomponiamo il campo dB in una componente lungo l’asse x ed una componente nel piano ortogonale all’asse x, possiamo notare che la componente ortogonale all’asse x ha sempre un’analoga componente di segno opposto (prodotto
dall’elemento circuitale simmetrico a dl rispetto al piano xz). In ultima analisi, per
calcolare il campo di tutta la spira dobbiamo solo sommare i contributi di tutti i
dl nella direzione dell’asse x. In altre parole, il campo risultante, nel punto P sarà
I
I
µ
dl cos β
B = dB cos β = 0 I
4π
R2 + x2
Poiché tutto l’integrando è costante durante l’integrazione,avremo
I
µ
µ0 cos β
µ
cos β
cos β
dl = 0 I 2
B=
2πR = 0 I 2
R
I 2
2
2
4π R + x
4π R + x
2 R + x2
3. LEGGE DI BIOT-SAVART
129
Non rimane che esprimere il cos β in termini di R e x, cioè
R
cos β = √
2
R + x2
per cui
(a)
B=
µ0
R2
I
2 (R2 + x2 )3/2
Questo risultato per x = 0 (il campo al centro della spira) diventa
(b)
B=
µ0 I
2 R
x=0
che avevamo già trovato.
A grande distanza dalla spira, troviamo (trascurando R rispetto ad x al denominatore)
(c)
B=
µ0 IR3
2 x3
x >> R
Ma IR2 è il momento di dipolo magnetico dI della spira, per cui possiamo scrivere
µ0 dI
x >> R
2 x3
che va confrontato con l’analogo del campo elettrico generato, da un dipolo elettrico,
a grande distanza dal dipolo.
Esempio 5: Il campo magnetico lungo l’asse di un solenoide
(d)
B=
Il solenoide è costituito da un insieme di spire circolari. Si può pensare il
campo come la somma dei campi prodotti dalle singole spire. più esattamente, il
campo risultante è uguale al campo prodotto da una distribuzione continua di spire,
percorse dalla stessa corrente. Se si prende la formula
(a)
B=
µ0
R2
I
2 (R2 + x2 )3/2
del precedente esercizio, si vede che dobbiamo prima valutare il campo prodotto
dalle spire che sono contenute nel tratto (x, x + dx). L’unica quantità che varia
nella (a) è la corrente prodotta dalle spire contenute nel tratto considerato. Poiché
la densità lineare delle spire è costante e vale n = N/L la corrente prodotta dalle
spire contenute nel tratto considerato sarà
(b)
dI = nIdx
130
8. CAM PI M AGNETICI PRODOTTI DA CORRENTI STAZIONARIE
per cui, il campo prodotto dalle spire nel tratto considerato diventa
(c)
dB = n
R2
µ0
dx
I
2 (R2 + x2 )3/2
Il campo risultante sarà
B=n
µ0
I
2
Z
x2
x1
R2
(R2 + x2 )3/2
dx
Conviene passare alla variabile angolare
x = R tan α
dx = R sec2 αdα
Otterremo
(d)
B=n
µ0
I
2
Z
α2
cos αdα = n
α1
µ0
I (sin α2 − sin α1 )
2
Se assumiamo P al centro del solenoide e si assume il solenoide rettiline indefinito
(R è molto piccolo rispetto ad L) gli angoli tendono a π/2 e −π/2 ed il risultato
diventa
(e)
B = µ0 nI
Il campo all’interno di un solenoide rettilineo indefinito, il campo magnetico è praticamente costante ovunque e risulta proporzionale alla densità lineare delle spire e
alla corrente che circola nelle spire.
4. Forza agente tra cariche in moto
Possiamo pensare di utilizzare la forza di Lorentz e la legge del campo generato
da una carica in moto lento ed uniforme, per calcolare le forza, che reciprocamente
si inducono due cariche in moto uniforme e lento. Supponiamo, per semplicità di
calcolo, che la carica positiva Q0 , in moto con velocità costante v0 , all’istante t,
sia nell’origine degli assi, ed il verso della corrente sia lungo la direzione positiva
dell’asse x. Inoltre, consideriamo i seguenti tre casi per la carica Q, che supporremo
sempre positiva e posta, sull’asse y, ad una distanza r, dall’origine. I tre casi si
distingueranno per la direzione e verso della velocità v.
4.1. Caso a: v è parallela a v0 . Per calcorale la forza agente su Q, e prodotta
da Q0 abbiamo bisogno della forza di Lorentz
(14)
FQ (r) = Qv ∧ B0 (r)
dove E0 (r) è il campo coulombiano che, all’istante t, la carica Q0 genera nel punto
P, dove è posta la carica Q.
Il campo prodotto dalla carica Q0 nel punto P è:
(15)
B0 (r) = ε0 µ0 v0 ∧ E0 (r)
4. FORZA AGENTE TRA CARICHE IN M OTO
131
Il campo dipende dalla posizione istantanea della carica Q0 . Poiché le due
cariche sono entrambe positive, il campo E0 (r) è diretto lungo la direzione positiva
dell’asse y. Poiché v0 è nella direzione dell’asse x, il campo magnetico B0 (r) è
diretto lungo l’asse z.
v0 = v0 ux
E0 (r) = E 0 uy
B0 (r) = B 0 uz
→
Possiamo ora sapere la direzione della forza FQ (r): Poiché v è nella direzione
posiutiva dell’asse x e B0 (r) è diretto lungo l’asse z, la forza FQ (r) è diretta lungo
l’asse y, ma con verso opposto alla direzione positiva dell’asse.
(16)
v = vux
B0 (r) = B 0 uz
→
FQ (r) = −FQ uy
Per calcolare la forza che agisce si Q0 e prodotta dalla carica Q, dobbiamo
riusare la forza di Lorentz:
FQ0 (0) = Q0 v0 ∧ B (0)
(17)
dove:
B (0) = ε0 µ0 v ∧ E (0)
(18)
Qui, E è il campo elettrico generato dalla carica Q nell’origine degli assi, in cui
è posta la carica Q0 . Quindi
v = vux
per cui
(19)
E (0) = −Euy
→
B (0) = −Buz
FQ0 (0) = FQ0 uy
Poiché si può mostrare che le due forze sono di pari intensità, in questo caso
le due forze obbediscono alla terza legge di Newton. Se le due particelle invece di
avere velocità parallele avessero avuto velocità antiparallele, invece di essere attrattive le forze sarebbero state repulsive. Ma in ogni caso, le due forze rimanevano
newtoniane.
132
8. CAM PI M AGNETICI PRODOTTI DA CORRENTI STAZIONARIE
4.2. Caso b: v è ortogonale a v0 . 1) Supponiamo che la carica Q0 abbia le
stesse caratteristiche del caso a, mentre invece la direzione ed il verso della carica
Q siano nella direzione positiva dell’asse y. Poiché, non sono cambiati i seguenti
vettori,
v0 = v0 ux
E0 (r) = E 0 uy
→
B0 (r) = B 0 uz
la forza agente sulla carica Q,
FQ (r) = Qv ∧ B0 (r)
(20)
sarà diretta lungo l’asse x
.
2) Se supponiamo che la carica Q sia diretta lungo l’sse z, allora la forza agente
su tale carica
(21)
FQ (r) = Qv ∧ B0 (r)
risulterà nulla, perché la velocità ed il campo magnetico sono paralleli. In
conclusione, con la sola eccezione di velocità parallele o antiparallele, la forza di
Lorentz non obbedisce alla terza legge di Newton. Questo carattere non newtoniano
ha creato non pochi problemi alla forza di Lorentz. Solo la constatazione che la
terza legge di Newton è in contrasto con la propagazione finita delle interazioni, ha
ristabilito l’importanza di tale forza.
5. Definizione di Ampère
Molto prima della scoperta della forza di Lorentz, nel 1820 circa il francese
André Marie Ampère (1775-1836) rilevò che due fili percorsi da corrente si attraggono o si respingono. Si considerino due conduttori paralleli, rettilinei, di lunghezza
infinita e di sezione trasversale trascurabile, posti nel vuoto, ad un distanza di un
metro. I due conduttori giacciono nel piano yz e le correnti sono dirette lungo l’asse
z. Indicheremo con 1 e 2 i due conduttori.
CHAPTER 9
La legge di Faraday
In un precedente capitolo abbiamo analizzato l’azione di un campo magnetico
costante su di un circuito percorso da corrente. In questo capitolo, vogliamo analizzare la possibilità da parte del campo magnetico di generare una corrente. Abbiamo
visto che per generare una corrente occorre porre in un circuito una batteria (generatore di corrente). E’ la batteria, che mediante la sua energia chimica fornisce,
l’energia alle cariche per farle compiere il giro del circuito. Non a caso abbiamo
caratterizzato la batteria mediante una forza elettromotrice Vf en (energia per unità
di carica). Ancora, possiamo dire che è la batteria che genera il campo elettrico
che muove le cariche nei conduttori. La questione che ora vogliamo analizzare è
se, per esempio, un campo magnetico esterno possa generare un campo elettrico
in un conduttore e questi a sua volta possa far muovere i portatori e generare una
corrente. In altre parole, oltre alle batterie, esistono dei meccanismi che possano
mettere in moto i portatori di carica nei conduttori. La risposta a questa domanda
fu trovata dall’inglese Michael Faraday (1791-1867) che nel 1831 eseguì e quantificò
il seguente esperimento.
Supponiamo di avere un circuito, nel quale inseriamo un galvanometro, ma nel
quale non è presente alcun generatore di corrente (figura a sinistra).
Non essendoci alcuna sorgente di energia (forza elettromotrice) non dovremmo
avere alcun passaggio di corrente. Infatti il galvanometro non segna alcuna corrente.
Prendiamo ora un magnete naturale ed avviciniamolo al circuito (figura a centro);
Se facessimo un tale esperimento osserveremmo che il galvanometro segna il passaggio di una corrente. Allo stesso identico risulta giungeremmo se avvicinassimo il
circuito al magnete (figura a destra). Potremmo allora pensare che il qualche modo
si è prodotta nel circuito una forza elettromotrice, che diremo indotta che consente
il passaggio di corrente nel circuito:
135
136
9. LA LEGGE DI FARADAY
Modifichiamo un poco l’esperimento. Supponiamo che inizialmente il circuito
ed il magnete siano vicini ma fermi. Nel circuito non passa alcuna corrente, come
si potrebbe vedere dal galvanometro. Se ora si allontana o il magnete o il circuito,
finchè vi è un moto relativo tra i due, il galvanometro segna una corrente, ma di
segno opposto alla precedente:
Tutto accade come se vi fosse una forza elettromotrice (indotta) ma di segno
opposto nel circuito. Il risultato complessivo di tutti gli esperimenti è sintetizzabile
dalla seguente affermazione: Finché il magnete ed il circuito sono in moto relativo,
appare una forza elettromotrice indotta nel circuito che genera un passaggio di
corrente.
Discutiamo ancora un esperimento. Si abbia un magnete naturale (per esempio,
un anello di ferro) a forma di ciambella.
Da un lato(a destra) è avvolto un circuito, con una batteria inserita (circuito
primario), mentre dall’altro lato (a sinistra) abbiamo un circuito (circuito secondario) senza batteria ma con un galvanometro inserito. Quando si chiude il circuito
primario appare nel secondario una corrente, che diventa di segno opposto quando
si riapre il circuito primario. Poiché, nel secondo circuito è cambiato solo il campo
9. LA LEGGE DI FARADAY
137
magnete possiamo concludere dicendo che quando un circuito è immerso in un
campo magnetico variabile, si genera in esso una forza elettromotrice indotta.
La conclusione alla domanda di partenza di partenza è che un campo magnetico per poter generare una corrente deve essere variabile. Ma non è la semplice
variazione del campo a generare la corrente indotta, ma la risposta è quella trovata
per primo da Faraday. Egli, infatti giunse alla seguente conclusione generale (legge
di Faraday): la corrente elettrica indotta in un circuito, in presenza di un campo
magnetico, è proporzianale al numero di linee di forza del campo che attraversano
il circuito nell’unità di tempo.
Parlare di corrente indotta significa anche parlare di forza elettromotrice indotta Vfind
em . Infatti, se R è la resistenza del circuito avremo sempre
Vfind
em
R
D’altra parte, il vantaggio di parlare di forza elettromotrice è nel suo legame diretto
con il campo elettrico indotto. Infatti, se indichiamo con l il generico circuito
potremo scrivere
I
ind
(2)
Vf em = E · dl
I ind =
(1)
l
dove E è il campo elettrico indotto. Ed è in termini della forza elettromotrice indotta che Newmann e Lenz formularono quantitativamente la legge di Faraday. La
legge di Faraday, tradotta in linguaggio matematico dice che la forza elettromotrice
indotta in un circuito l è uguale alla variazione, col segno cambiato, del flusso del
campo magnetico,concatenato con il circuito:
(3)
I
d
E · dl = −
dt
l
µZ
¶
B · ua d a
2
al
dove al è una qualunque superficie che abbia l per contorno.
La prima considerazione che viene di fare è quella che non sono i campi magnetici stazionari a generare le correnti ma i campi variabili e che dobbiamo aspettarci sempre un’associazione tra campo magnetici variabili (secondo membro)
e campi elettrici variabili (primo membro). La legge (3) è la prima legge esplicita
dell’elettromagnetismo. Dobbiamo usare, per la prima volta la parola ”elettromagnetismo”, e non elettricità o magnetismo, perché essa collega per la prima volta il
campo magnetico (attraverso la variazione del suo flusso) alla variazione del campo
elettrico (variazione del campo elettrico lungo un circuito-percorso). In altre parole,
per la prima volta, si evidenzia che una variazione di un campo magnetico genera
una variazione del campo elettrico. Infine, osserviamo in maniera esplicita, che il
campo elettrico, in generale, non è più conservativo:
I
E · dl 6= 0
La forza elettromotrice indotta è, ai fini della corrente che percorre un circuito,
esattamente uguale alla f.e.m. di una batteria, per cui se nel circuito è presente
anche una batteria, bisognerà sommare algebricamente le differenti forze elettromotrici. Allora, il campo elettrico, sarà in generale fatto di una parte la cui origine
è dovuta ad una distribuzione di carica ed una parte la cui origine dovrà essere
138
9. LA LEGGE DI FARADAY
legata a variazioni di flusso di campo magnetico attraverso la superficie concatenata, con il circuito.
1. Induzione in un circuito in moto
Nel precedente paragrafo per spiegare il moto degli elettroni in un circuito
(corrente) abbiamo fatto ricorso ad un campo elettrico indotto. Ora mostreremo
che la stessa legge può essere spiegata facendo ricorso alla forza di Lorentz, almeno
nel caso in esame.
Supponiamo di avere un circuito poggiato nel piano xy (vedi Figura) immerso
in un campo di induzione magnetica B uniforme, diretto lungo la direzione dell’asse
z. Il tratto AB di lunghezza l, si può spostare, nel piano xy, senza attrito.
Supponiamo che nell’intervallo di tempo infinitesimo dt, il tratto compreso tra
A e B si sposti con velocità v verso destra, nella direzione positiva dell’asse y. Lo
spostamento infinitesimo subito dal tratto AB sarà stato dr = vdt. Quando il
tratto AB si sposta, anche gli elettroni di conduzione si spostano con velocità v e la
forza di Lorentz F = qe vB agisce su di loro e li sposta, nel verso che va da B ad A
(qe = −e) (per convenzione, una corrente antioraria, verso ABCD, deve circolare nel
circuito). Per capire quello che accade facciamo un passo indietro e supponiamo di
trattare il lato del circuito che si sposta come se fosse isolato dal resto del circuito.
Allora, la forza di Lorentz tenderebbe ad accumulare nell’estremo A degli elettroni
(e delle cariche positive sull’estremo B). Tra i punti A e B si genera una differenza
di potenziale (forza elettromotrice indotta).
Ciò che è accaduto finora si può sintetizzare nel modo seguente. Abbiamo
spostato un pezzo di metallo (fatto un lavoro). Poiché siamo in un campo magnetico, viene indotta ai capi della barretta una forza elettromotrice. Abbiamo
trasformato, mediante la presenza del campo magnetico un lavoro meccanico in
una differenza di potenziale, quindi in una possibilità di utilizzo elettrico dello
stesso. Infatti, se ora poggiamo il tratto di circuito tra A e B sul resto del circuito
passa una corrente, che in parte dissiperà l’energia in effetto Joule ma una parte
può comunque essere utilizzata (è nato il motore elettrico!).
Riguardiamo quantitativamente quello che sta succedendo. La forza magnetica
genera la differenza di potenziale indotta ai capi A e B. Questa differenza a sua
volta genera un campo elettrico indotto E che si opporrà alla forza magnetica,
ovvero
qe E = qe vB
la differenza di potenziale tra A e B , equindi tra due punti qualunque del
circuito, sarà data da
2. LA LEGGE DI LENZ
(4)
139
El = vBl
Mostriamo ora che il secondo membro indica una variazione di flusso concatenato con il circuito. La variazione infinitesima del flusso concatenato con il circuito,
poiché il campo è uniforme, dipenderà solo dalla variazione infinitesima della superficie, d2 a = lvdt , (ovvero, in termini vettoriale, −d2 auz = dr × dl ) e quindi si
avrà
dΦ (B) = B · ua d2 a = −Bd2 a = −Blvdt
dove il segno meno deriva dal fatto che il verso della corrente indotta, verso
ABCD, è tale che la superficie spazzata ha una direzione positiva opposta al campo
(usare la regola di percorrenza del bordo). Si può anche dire che, la corrente indotta
genera un campo magnetico indotto che tende di opporsi alla variazione del flusso
(vedi legge di Lenz, sotto). La variazione, nell’unità di tempo, del flusso concatenato
sarà:
(5)
d
dt
µZ
al
¶
B · ua d2 a = −Blv
Ponendo insieme la (4) e (la (5) troviamo
(6)
El = −
d
dt
µZ
al
¶
B · ua d2 a
Poiché il tratto è parte di un circuito, possiamo dire che si è generata una f.e.m.
indotta , Vfind
em che sarà data da:
Z
I
d
(7)
E · dl = −
B · ua d2 a
dt al
l
Abbiamo così mostrato che, nel caso di circuito in moto, la legge di Faraday è
deducibile dalla forza di Lorentz. Tuttavia, siccome è il solo caso in cui ciò avviene,
dobbiamo concludere che comunque la legge di Faraday è una legge fondamentale
dell’elettromagnetismo.
2. La legge di Lenz
Il modo più semplice di determinare la polarità della f.e.m indotta è deducibile
dalla legge di Lenz: la f.e.m indotta ha una polarità tale da opporsi sempre alla
causa che l’ha prodotta. In termini di corrente, si può dire che la direzione della
corrente indotta è sempre tale da produrre un campo magnetico che si oppone alla
variazione di flusso che l’ha generata (legge di Lenz ).
L’esempio dato nel precedente paragrafo è molto significativo e noi ora lo approfondiremo. Mostriamo che nel caso del circuito in moto, il campo indotto, genera
una forza che tende a frenare il moto del tratto di circuito in movimento, responsabile della corrente indotta stessa. Sappiamo che il tratto AB ha lunghezza l, ma
ora aggiungiamo ad esso una resistenza R ed una massa M . La corrente indotta,
che è nata quando abbiamo mosso il filo verso destra, è diretta nel verso che va da
A a B (direzione positiva dell’asse x). Il campo magnetico è nella direzione positiva
dell’asse z, quindi la forza di Laplace agente su tale filo sarà, con le scelte fatte,
140
9. LA LEGGE DI FARADAY
(a)
F = −I ind lBuy
La forza è nella direzione opposta al movimento del tratto di filo e quindi tende a
frenare il movimento. Se si trascura l’autoinduzione e l’attrito tra i fili possiamo
scrivere
M v̇ = −I ind lB
e poiché
I ind =
Vfind
Blv
em
=
R
R
troviamo
M v̇ = −
l2 B 2
v
R
da cui
µ 2 2 ¶
l B
t
vx (t) = vx (0) exp −
MR
(b)
La velocità si sarà dimezzata dopo un tempo
µ 2 2 ¶
l B
vx (0)
= vx (0) exp −
t
2
MR
ovvero
t1/2 =
MR
ln 2
l2 B 2
3. Autoinduttanza ed induttanza
Se il flusso di B concatenato con un circuito varia, la legge di Faraday ci dice
che nel circuito si genera un campo elettrico indotto, e quindi una f.e.m. indotta
che tende a ridurre l’effetto della variazione del flusso secondo la seguente legge:
(8)
Vfind
em
d
=−
dt
µZ
¶
B · ua d a
2
al
Consideriamo ora un singolo circuito (si pensi ad una spira circolare) percorso
da corrente I. Se la corrente subisce una variazione, il flusso del campo B, generato
dalla stessa corrente, concatenato con lo stesso circuito varierà.
3. AUTOINDUTTANZA ED INDUTTANZA
141
Anche in questo caso nel circuito si genererà una f.e.m. indotta (ora detta autoindotta) che tenderà di ostacolare la variazione del flusso concatenato. Si dimostra
che il flusso di B, concatenato con il circuito, risulta essere sempre proporzionale
alla corrente che circola ad un dato istante nel circuito stesso:
(9)
Z
al
B · ua d2 a = LI
dove L è un coefficiente che dipende solo dalla geometria del circuito. Tale
coefficiente è detto induttanza (o autoinduttanza) del circuito. Allora, la legge di
Faraday può assumere una forma differente:
(10)
Vfind
em = −L
dI
dt
ovvero, la f.e.m. autoindotta, in un circuito in cui circola una corrente, è
proporzionale alla variazione della corrente che circola nel circuito. L’induttanza L
si misura in Henry (H):
L = H = Ωs
L’Henry è un valore piuttosto grande di induttanza: i valori delle induttanze
di uso frequente sono comprese tra i valori µH = 10−6 H e mH = 10−3 H.
Si abbiano ora due circuiti separati (due spire circolari) percorsi da correnti I1
e I2 :
142
9. LA LEGGE DI FARADAY
Se varia la corrente che circola nel circuito 1, il flusso concatenato con il secondo
circuito varierà. Si dimostra che, il flusso concatenato con il circuito 2 risulta
proporzionale alla corrente I1
(11)
Z
B1 · ua d2 a = L21 I1
Z
B2 · ua d2 a = L12 I2
a2
dove il coefficiente, (detto di mutua induzione) dipende solo dalla natura geometrica
dei due circuiti. In maniera analoga, al variare della corrente I2 , nel circuito 1
varierà il flusso concatenato e si dimostra che
(12)
a1
dove il coefficiente di mutua induzione dipende solo dalla geometria dei due
circuiti, anzi si verifica che L21 = L12 . Anche i coefficienti di mutua induzione si
misurano in Henry.
4. Esempi
Esempio: Determinare l’induttanza di un solenoide rettilineo ideale di lunghezza
l costituito da N spire.
Per ciascuna spira del solenoide possiamo assumere che il flusso concatenato
Φ (B) sia lo stesso. Allora, il flusso concatenato con tutto il solenoide sarà N Φ (B)
per cui, se con L indichiamo l’induttanza del solenoide, avremo
(a)
N Φl (B) = LI
dove I è la corrente che circola nel solenoide. Allora,
(b)
L=
N Φ (B)
I
Se con a indichiamo la sezione interna del solenoide, il flusso di B, (B è costante
ed ortogonale alla sezione) attraverso una spira qualunque sarà
(c)
Φ (B) = Ba
4. ESEM PI
143
Il campo magnetico nel solenoide rettilineo indefinito ideale (vedi capitolo sulla
legge di Ampère-Maxwell) è
(d)
B = µ0 nI
dove n = N/l, è la densità lineare delle spire. Allora, la (c) diventa
(e)
Φ (B) = µ0 nIa
e l’induttanza, espressa dalla (b), divententà
N µ0 nIa
= µ0 n2 al
I
L’induttanza è proporzionale al quadrato della densità lineare delle spire (n2 ) ed al
suo volume (al) interno.
Esempio 2: Cosa sta succedendo nel circuito?
Il prodotto di R per la corrente che fluisce nel circuito è uguale alla somma
delle f.e.m. presenti nel circuito, quindi:
(f)
L=
RI = Vf em + Vfind
em
da cui
(g)
RI = Vf em − L
dI
dt
dove Vf em è la f.e.m. del generatore e Vfind
em è quella indotta. La soluzione di tale
equazione (vedi la carica di un condensatore) è
(h)
I (t) =
Vf em
[1 − exp (−t/τ )]
R
dove abbiamo introdotto il tempo
(i)
τ≡
L
R
La corrente all’inizio cresce rapidamente, poi rallenta e poi tende al valore finale
Vf em /R. Arrivato al valore finale, noi potremmo togliere f.e.m. esterna (generatore)
e vedere in quanto tempo il circuito scarica l’energia accumulata.
Il circuito, senza la f.e.m. esterna verifica la seguente equazione
(l)
L
dI
+ RI = 0
dt
con la condizione iniziale (il valore finale è ora valore iniziale)
144
(m)
9. LA LEGGE DI FARADAY
I0 =
Vf em
R
La soluzione della nostra equazione è
(n)
·
¸
Vf em
R
I (t) =
exp − t
R
L
L’intensità di corrente si smorza esponenzialmente.
Gli induttori sono costituiti da solenoidi ed il loro simbolo è
5. L’energia magnetica: elementi
La similarità tra il condensatore per il campo elettrico e l’induttore per il campo
magnetico, ci inducono a pensare che anche nell’induttore viene immagazzinata
dell’energia magnetica. Sul piano della descrizione qualitativa possiamo dire che
quando un generatore esterno inizia ad erogare corrente nel circuito, la f.e.m indotta
si oppone all’aumento di corrente e quindi il generatore deve compiere un lavoro per
vincere l’opposizione della f.e.m. indotta. Questo lavoro si trasformerà in energia
immagazzinata nell’induttore e può essere ripresa, quando si toglie il generatore
esterno.
Passiamo al calcolo diretto. Quando la corrente cresce con una rapidità pari a
dI/dt, la f.e.m. indotta, Vfind
em è data
(13)
Vfind
em = −L
dI
dt
Se moltiplichiamo per I tale espressione otteniamo il lavoro per unità di tempo
compiuto dall’induttore:
IVfind
em = −IL
dI
dt
quindi l’energia immagazzinata per unità di tempo è
(14)
dU
dI
= IL
dt
dt
ovvero
dU = ILdI
che integrata, con I (t = 0) = 0, darà
5. L’ENERGIA M AGNETICA: ELEM ENTI
(15)
U=
145
1 2
LI
2
Una tale espressione può essere usata facilmente per una verifica sperimentale. Per
il condensatore avevamo trovato U = Q2 /2C. Poiché L = Φ (B) /I, avremo una
seconda forma per l’energia magnetica
(16)
U=
1
Φ (B) I
2
5.1. La densità di energia magnetica. L’espressione dell’induttanza di un
solenoide rettilineo indefinito ideale verrà calcolate negli esempi e si troverà:
(17)
L = µ0 n2 al
dove µ0 è la permeabilità magnetica del vuoto, n è la densità lineare delle spire del
solenoide, a la sezione interna del solenoide ed l la sua lunghezza. Sostituendo la
(17) nella (15) troviamo
(18)
U=
1
µ n2 I 2 (al)
2 0
Poiché il campo B, all’interno di un solenoide rettilineo indefinito ideale, è
(19)
B = µ0 nI
la (18) diventa
(20)
U=
B2
al
2µ0
La (20) suggerisce di interpretare la quantità
(21)
uB =
B2
2µ0
come una densità di energia magnetostatica (energia per unità di volume). Possiamo
dire che per ogni volume unitario, interno al solenoide, vi è una quantità di energia
che è proporzionale al quadrato del campo B.
Questo risultato ha una validità generale: in ogni punto dello spazio in cui è
presente un campo di induzione magneta si può pensare immagazzinata un’energia
per unità di volume espressa dalla (21).
146
9. LA LEGGE DI FARADAY
6. Il circuiti LC
Supponiamo di avere in serie un induttore ed una capacità. Se il condensatore è
inizialmente carico, possiamo immaginare che a partire da un certo istante iniziale,
inizierà a fluire una corrente. L’equazione di Kirchhoff, in presenza anche di una
resistenza, sarebbe
(a)
RI = ∆V − L
dI
dt
si riduce, specificando la differenza di potenziale ai capi del condensatore, ∆ϕ =
−qC, a
(b)
L
q
dI
+
=0
dt
C
che scritta per la carica
(c)
L
q
d2 q
+
=0
2
dt
C
Se confrontiamo tale equazione con quella per l’oscillatore armonico semplice (particella che è legata ad una molla su di un piano senza attrito)
(d)
M
d2 x
+ kx = 0
dt2
vediamo che (x− > q; k− > 1/C ed M − > L) possiamo subito scrivere la soluzione
come segue:
(e)
q (t) = q0 cos (ω 0 t + φ)
dove abbiamo posto
(f)
1
ω0 ≡ √
LC
Quello che succede nel circuito è la seguente cosa: Alternativamente, le armature
del condensatore si caricano di cariche di segno opposto, e ciò avviene fino a quando
la carica di un certo segno non si è trasferita sull’armatura opposta a quella dove
era inizialmente. Dopo di ché, si inverte il processo, che in assenza di attrito (la
resistenza!), oscillerebbe per sempre. Se al tempo iniziale q (t = 0) = q0 , la fase
iniziale può essere posta uguale a zero, e la soluzione diventa:
(g)
q (t) = q0 cos (ω 0 t)
7. ESEM PI
147
In tal caso, la corrente si evolve nel tempo secondo la seguente legge:
q0
sin
I (t) = − √
LC
(h)
µ
t
√
LC
¶
7. Esempi
Esempio 1: Si abbia una spira quadrata, ferma, in un campo magnetico uniforme, ma variabile nel corso del tempo, secondo la legge
(1)
B = B0 sin (ωt)
La spira è nel piano xy e la direzione ed il verso del campo sono lungo l’asse z.
Poiché il circuiro è fermo, la derivata temporale si può portare dentro l’integrale
ed applicarla solo al campo
I
(2)
l
E · dl =
Z
al
−
∂B
· ua d2 a
∂t
ovvero, esplicitando
I
l
Z
∂
[B0 sin (ωt)] uz · ua d2 a
∂t
al
Z
uz · uz d2 a
= −B0 ω cos (ωt)
E · dl = −
al
= −B0 ω cos (ωt) al
Se la spira, non è nel piano xy, ma forma un angolo α con l’asse z, allora
uz · ua = cos α ed il precedente risultato diventa
(3)
I
l
E · dl = −B0 ω cos α cos (ωt) al
Esempio 2: Consideriamo una spira quadrata, inizialmente a riposo, nel piano
xy, ma poi ruotante, intorno all’asse x, con velocità angolare ω 0 . Il campo B è nella
direzione positiva dell’asse z, ed è costante ed uniforme, B = B0 .
148
9. LA LEGGE DI FARADAY
Se la spira è inizialmente nel piano xy, l’angolo che la spira forma con il piano
xy (o equivalentemente l’angolo che la normale alla superficie forma con l’asse z) si
scriverà
α = ω0 t
(1)
La legge di Faraday, si scrive
I
d
E · dl = −
dt
l
µZ
¶
B · ua d a
2
al
ed il flusso di B, attraverso l’area variabile sarà
Z
(2)
al
B · ua d2 a = B0 al cos (ω 0 t)
per cui
(3)
I
l
E · dl = −
d
(B0 al cos (ω 0 t)) = B0 al ω 0 sin (ω 0 t)
dt
Esempio 3: Si abbia una spira quadrata, inizialmente ferma nel pianoxy.
Successivamente inizia a ruotare intorno all’asse x, con velocità angolare ω 0 , ed è
immersa in un campo magnetico variabile, diretto lungo l’asse z, la cui legge è
(1)
B (t) = B0 sin (ωt)
7. ESEM PI
149
Rispetto al precedente esempio avremo
α = ω0 t
(2)
La legge di Faraday, si scrive
I
l
E · dl = −
d
dt
µZ
al
¶
B · ua d2 a
ed il flusso di B, attraverso l’area variabile sarà
Z
(3)
al
B · ua d2 a = B (t) al cos (ω 0 t)
per cui
(4)
I
l
E · dl = −
d
dB (t)
(B (t) al cos (ω 0 t)) = −
al cos (ω 0 t) + B (t) al ω 0 sin (ω 0 t)
dt
dt
che esplicitata diventa
(5)
I
l
E · dl = −B0 ω cos (ωt) al cos (ω 0 t) + B0 sin (ωt) al ω 0 sin (ω 0 t)
e se ω = ω 0 , avremo
I
l
E · dl = −B0 ωal [cos (ωt) cos (ωt) − sin (ωt) sin (ωt)]
= −B0 ωal cos (2ωt)
(6)
Esempio 4: Un conduttore di un metro si muove, nel piano xy, parallelamente all’asse x con velocità V = 2, 50uy m/s. Sapendo che esso si muove in un
campo uniforme e costante, diretto lungo l’asse z, B = 0, 50uz T , trovare la forza
elettromotrice indotta ai capi del conduttore.
Abbiamo visto che per il circuito in moto
dΦ (B)
= BlV
dt
che, esplicitamente calcolato, diventa
150
9. LA LEGGE DI FARADAY
dΦ (B)
= 1, 25V
dt
Esempio 5: Trovare la forza elettromotrice indotta, in un conduttore rettilineo, lungo 2 metri, immerso in un campo magnetico uniforme e costante, B =
0, 50uy T , che si muove nella direzione dell’asse z, con una velocità
¢
¡
v = 2, 50 × sin 102 t uz m/s,
Poiché il circuito è in moto
¢
¡
E = v ∧ B = −1, 25 × sin 102 t ux
Allora
I
l
E · dl =
Z
0
2
¢
¡
¢
¡
−1, 25 × sin 102 t ux · ux dx = −2, 50 × sin 102 t V
Esempio 6: Un conduttore filiforme è posto nel piano xy, e racchiude una
superficie di 0, 50m2 . Il conduttore è immerso in un campo uniforme, ma variabile,
secondo la seguente legge
¡
¢
B = 0, 02 cos 102 t [uy + uz ]
Poiché, il circuito è fermo, la legge di Faraday, si scrive
I
l
e
E · dl =
Z
al
−
∂B
· ua d2 a
∂t
7. ESEM PI
avremo
I
l
¢
¡
∂B
= −2 sin 102 t [uy + uz ]
∂t
E · dl =
Z
al
151
ua d2 a = uz d2 a
¡
¢
¡
¢
¡
¢
2 sin 102 t d2 a = 2 sin 102 t al = sin 102 t V
CHAPTER 10
La circuitazione e il flusso del campo magnetico
Abbiamo gia detto che per determinare completamente un campo vettoriale
dobbiamo dare il valore della sua circuitazione ed il flusso del campo attraverso
una superficie chiusa. In questo capitolo determineremo sia la circuitazione sia
il flusso. Incominceremo con la circuitazione del campo magnetico. Divideremo
il risultato in due parti. Nella prima ci limiteremo alle correnti stazionarie ed il
risultato che otterremo va sotto il nome di teorema di Ampère. Nella seconda parte
mostreremo la correzione apportata da Maxwell e solo allora il teorema assumerà
una validità generale e diventerà una legge fondamentale dell’elettromagnetismo.
Infine, parleremo del flusso del campo magnetico attraverso una superficie chiusa.
1. Circuitazione di B: il teorema di Ampère
Ci limiteremo alla sua dimostrazione nel caso in cui il campo è prodotto da un
filo rettilineo indefinito (campo di Biot-Savart) percorso da corrente stazionaria.
Distinguiamo tra due casi.
Caso a. Supponiamo che il filo percorso da corrente sia ortogonale al piano
ove giace il percorso lungo il quale calcoleremo la circuitazione:
Il percorso non si avvolge intorno al filo. Poiché, il percorso non è legato al moto di
alcuna particella, per non confondere con lo spostamento infinitesimo, noi indicheremo con dl il vettore infinitesimo, tangente al percorso, in ogni punto, di modulo
dl , dove con l , indichiamo il percorso, misurata lungo lo stesso percorso.
I tratti 2 e 4 sono nella direzione radiale mentre i tratti 1 e 3 sono parti di circonferenza con raggio rispettivamente uguale a R1 e R3 . Il prodotto scalare è nullo
nei tratti 2 e 4, quindi non viene alcun contributo da questi due tratti. Nei rimanenti tratti il campo B e lo spostamento infinitesimo sono paralleli o antiparalleli,
per cui:
153
154
10. LA CIRCUITAZIONE E IL FLUSSO DEL CAM PO M AGNETICO
Z
1+3
B · dl = −
Z
Bdl +
1
Z
3
Bdl = −B
Z
dl + B
1
Z
3
dl = −
µ0 I
µ I
L1 + 0
L3
2π R1
2π R3
dove L1 e L3 sono le lunghezze degli archi delle due circonferenze. Usando la
definizione di misura di un arco in radianti, potremo anche scrivere:
Z
µ I
µ I
B · dl = − 0
θR1 + 0
θR3 = 0
2π R1
2π R3
1+3
dove θ è l’angolo che sottende sia l’arco 1 che l’arco 2. Possiamo concludere,
dicendo che, per un percorso che non avvolga il filo, la circuitazione è nulla, almeno
per un campo prodotto da un filo rettilineo indefinito.
Caso b: Prendiamo ora un circonferenza che giri intorno al filo.
Il tal caso, la circuitazione si calcola anche facilmente e si trova, essendo B e dl
paralleli e concordi e B costante su una circonferenza con centro sul fili,
(2)
I
B · dl =
I
µ I
Bdl = 0
2π R
I
dl =
µ0 I
2πR = µ0 I
2π R
La circuitazione, quando il percorso avvolge il filo è proporzionale alla corrente che
fluisce nel filo.
Se il percorso si avvolge N volte intorno al filo allora
(3)
I
B · dl = N µ0 I
Sebbene abbiamo dato una dimostrazione in un caso molto semplice l’esperienza
mostra che i due risultati valgono qualunque sia la forma del circuito percorso da
corrente stazionaria che produce il campo e qualunque sia il percorso scelto per la
circuitazione.
Più in generale data una qualunque linea chiusa la circuitazione lungo di essa
del campo magnetico generato da un sistema comunque complesso di correnti è
uguale alla somma algebrica delle correnti concatenate (diremo che un percorso
è concatenato con un circuito se esso non può, a causa del circuito percorso dalla
corrente, ridursi ad un punto) con la linea, ciascuna corrente essendo presa come
positiva (negativa) se fluisce in verso concorde (discorde) con quello con cui avanza
2. ESEM PI
155
una vite che giri nel verso fissato sul percorso ed essendo contata tante volte quante
volte la linea è con essa concatenata. Scriveremo tutto ciò come segue:
I
(4)
B · dl = ±µ0
X
In
n
2. Esempi
Il teorema di Ampère può essere usato per determinare il campo magnetico
prodotto da da circuiti con particolari simmetrie, come in elettrostatica il teorema
di Gauss può essere utilizzato per determinare il campo elettrico per distribuzioni
di cariche con particolari simmetrie.
Vediamo qualche caso:
Esempio 1: Si può ritrovare il campo B prodotto da un filo rettilineo indefinito.
Si procede in maniera inversa rispetto alla dimostrazione fatta per provare il
teorema di Ampère. Assumiamo valido il teorema di Ampère:
I
(a)
B · dl = µ0 I
Per ragioni di simmetria il campo prodotto dal filo in un punto che disti r dal
filo sarà tangente alla circonferenza di raggio r e centro sul filo. Scegliamo il verso
(ovvero la corrente) in maniera tale che il campo sia parallelo allo spostamento
infinitesimo. Possiamo allora prendere come percorso proprio la circonferenza che
passa per il punto P e la precedente relazione diventa
B2πr = µ0 I
da cui
(b)
B=
µ0 I
2π r
che è proprio la legge di Biot-Savart.
Esempio 2: Determinare il campo B all’interno di un solenoide rettilineo
indefinito ideale.
Un solenoide è costituito da un filo conduttore sottile, avvolto a forma di elica
cilindrica, a spire circolari molto numerose e ravvicinate. Il solenoide si può allora
considerare come costituito da tante spire circolari percorse dalla stessa corrente.
Per ragioni di simmetria il campo B all’interno di un solenoide rettilineo indefinito
ideale è diretto lungo l’asse comune delle spire. All’esterno del solenoide, nelle zone
lontane dai bordi il campo è talmente debole da potersi considerare nullo.
156
10. LA CIRCUITAZIONE E IL FLUSSO DEL CAM PO M AGNETICO
Ci proponiamo di calcolare il campo B sull’asse comune delle spire. Useremo
il teorema di Ampère per determinare tale campo. Il percorso, lungo il quale
calcoleremo la circuitazione è quello in figura, dove abbiamo disegnato una sezione
longitudinale.
La scelta del circuito è stata fatta in modo da semplificare il calcolo della
circuitazione del campo B:
Z
I
Z
Z
Z
B · dl = B · dl + B · dl + B · dl + B · dl
1
2
3
4
dove abbiamo separato i comtributi alla circuitazione nei quattro tratti.
Poiché il campo B è praticamente nullo all’esterno del solenoide, dal tratto 1 vi
sarà un contributo nullo e sempre nulli saranno i contributi dei tratti 2 e 4 perché
il campo B e lo spostamento infinitesimo sono ortogonali. Rimane il tratto 3, dove
il campo B risulta parallelo e concorde con lo spostamento lungo tutto il tratto.
Allora,
I
(c)
B · dl = Bl
dove l è la lunghezza del tratto del percorso 3. Il teorema di Ampère, se le
spire, comprese nel tratto di persorso sono N si scriverà
I
(d)
B · dl = N µ0 I
dove I è la corrente che percorre l’avvolgimento (e quindi ogni spira). Ponendo
insieme la (c) e la (d) troviamo
Bl = N µ0 I
da cui
(e)
B = nµ0 I
dove abbiamo introdotto la densità lineare delle spire, n = Nl /l, supposta
costante.
Possiamo dire che in un solenoide indefinito, in tutti i punti dell’asse il campo B
ha lo stesso valore (modulo, direzione e verso). Tale valore non dipende dal raggio
delle spire ma solo dalla corrente e dalla densità lineare delle stesse.
3. LA CORRENTE DI SPOSTAM ENTO DI M AXW ELL
157
Esempio 3: Determinare il campo B all’interno di un solenoide toroidale
ideale.
Per ragioni di simmetria le linee di forza del campo devono essere circonferenze
con centro sull’asse della figura toroidale:
Il campo B sarà tangente alle circonferenze e costante su ciascuna di esse. La
circuitazione, lungo una qualunque circonferenza di raggio r si calcola facilmente e
si trova
I
B · dl = 2πrB
Il teorema di Ampère ci dice che
I
B · dl = N µ0 I
dove N sono le spire che costituiscono l’avvolgimento. Dalle due equazioni
deduciamo:
µ0 I
N
2π r
Il campo è inversamente proporzionale alla distanza r dal centro della figura
toroidale.
(f)
B=
3. La corrente di spostamento di Maxwell
Abbiamo visto nello studio dei campi magnetici variabili, (legge di Faraday)
che ad essi è sempre associata la comparsa di un campo elettrico variabile (che
poi è responsabile della corrente indotta). La legge di Ampère sulla circuitazione
è valida per correnti stazionarie e quindi campi magnetici non variabili nel tempo.
In particolare, in regioni in cui non ci sono correnti (per esempio nel vuoto) noi
possiamo scrivere
I
(1)
B · dl = 0
l
Se confrontiamo tale equazione con la legge di faraday
¶
µZ
I
d
(2)
E · dl = −
B · ua d2 a
dt
l
al
158
10. LA CIRCUITAZIONE E IL FLUSSO DEL CAM PO M AGNETICO
ci accorgiamo di una palese asimmetria. La variazione di un campo magnetico può
generare un campo campo elettrico variabile, ma nella prima equazione manca al
secondo membro un termine che ci dica come la variazione di un campo elettrico
possa generale un campo magnetico variabile. Ovviamente, questa osservazione,
dettata più dalle conoscenze del poi, non è in generale sufficiente ad affermare
l’esistenza di un tale termine, ma in questo caso, per maxwell fu uno delle motivazioni che lo spinsero ad indagare sull’esistenza dell’eventuale termine mancante.
Ora ci occuperemo della derivazione del termine mancante, ovvero di quella che
Maxwell chiamò corrente di spostamento. Ai tempi di Maxwell la quasi totalità
della comunità dei fisici credeva nell’esistenza dell’Etere, una sostanza che permeava tutto lo spazio vuoto. Sebbene una tale sostanza non fosse mai stata trovata,
Maxwell, per ragioni di conservazione della carica elettrica, ipotizzò che anche nel
vuoto, occorresse introdurre nel teorema di Ampère una ulteriore corrente, detta di
spostamento, non legata al moto delle cariche, ma ad una sorta di polarizzazione del
vuoto. Vogliamo vedere di ricavare questa espressione della corrente di spostamento
di Maxwell. Ricordiamo che il teorema di Ampère si scrive
(3)
I
l
B · dl = µ0 I
Consideriamo il seguente circuito, che contiene un condensatore, un generatore di
corrente variabile ed un percorso l che gira intorno al conduttore. In figura è anche
evidenziato la superficie a1 che ha l per contorno.
Abbiamo una corrente variabile che comunque possiamo scrivere come flusso
del vettore densità di corrente attraverso la sezione trasversale del conduttore:
Z
(4)
I = d2 aj · ua
a
dove a è la sezione trasversa del conduttore. Ma nei conduttori vale la legge di
Ohm,
(5)
j = σE
per cui, la corrente può anche scriversi
Z
I = σ d2 aE · ua
a
3. LA CORRENTE DI SPOSTAM ENTO DI M AXW ELL
159
Infine, poiché il campo elettrico è diverso da zero praticamente solo nel conduttore,
possiamo sostituire nell’integrale, al posto della sezione trasversa del conduttore,
l’area della circonferenza a1 :
Z
d2 aE · ua
I=σ
a1
Possiamo, allora scrivere il teorema di Ampère per correnti variabili
I
(6)
l
B · dl = σ
Z
a1
d2 aE · ua
Se ora manteniamo la scelta del percorso l , ma usiamo una superficie differente, che abbia sempre l per contorno, ma che attraversi una delle armature del
condensatore ci troveremo in presenza di una contraddizione.
Il secondo membro della (1) vale zero. In altre parole, se con a2 indichiamo
la nuova superficie, il flusso di E attraverso a2 è nullo, pur avendo l per contorno.
Poiché ciò non può essere, dobbiamo ipotizzare che anche nei luoghi dove non è
presente un moto reale di cariche esiste un’altra corrente che renda il calcolo del
flusso diverso da zero. Per fare ciò dobbiamo indagare la situazione fisica tra le
armature del condensatore. Il campo elettrico tra le armature è
E0 =
ρ0a
0
ρ0a
dove è la densità di carica superficiale istantanea delle armature del condensatore.
Poiché la carica Q0 accumulata sulle armature è Q0 = ρ0a a0 , dove a0 è la superficie
dell’armatura, avremo
E0 =
Q0
0
0a
da cui, possiamo derivare la carica istantanea presente sull’armatura:
Q0 =
In maniera più generale, potremo scrivere
0E
0 0
a
160
10. LA CIRCUITAZIONE E IL FLUSSO DEL CAM PO M AGNETICO
Q0 =
(7)
0
Z
a0
E0 · ua d2 a
Ma, il flusso del campo elettrico attraverso una qualunque armatura è uguale
al flusso attraverso la superficie a2 , in quanto le linee di forza del campo elettrico
che attraversano un’armatura sono uguali a quelle che attraversano la superficie a2
(le linee di forza del campo tra le armature nascono su di una armatura e finiscono
sull’altra armatura):
(8)
0
Z
a0
E0 · ua d2 a =
0
Z
a2
E0 · ua d2 a
a2
E0 · ua d2 a
In definitiva,
0
(9)
Q =
0 Φa2
0
(E ) =
0
Z
Poiché la carica Q0 varia nel tempo vi è, tra le armature una corrente ID , detta
corrente di spostamento, data da
(10)
ID =
dQ0
=
dt
dΦa2 (E 0 )
=
0
dt
d
0
dt
µZ
a2
¶
E0 · ua d2 a
Abbiamo almeno nel caso mostrato trovato una espressione esplicita della corrente
di spostamento. Il teorema di Ampère deve scriversi, nella sua forma generale:
(12)
I
l
B · dl = µ0 (I + ID )
Questa è una legge fondamentale dell’elettromagnetismo. Nel vuoto, I = 0 avremo
¶
µZ
I
d
2
0
B · dl = µ0 0
E · ua d a
(13)
dt
l
a2
che mostra la cercata simmetria con la legge di Faraday. La corrente di spostamento
è essenziale nel caso di campi rapidamente variabili ed è stata determinante per
dimostrare che la luce è un fenomeno elettromagnetico, ma nel caso di correnti e
campi lentamente variabili il suo effetto è trascurabile.
4. Il flusso di B attraverso una superficie chiusa
Abbiamo visto che le linee di forza del campo magnetico di un filo rettilineo indefinito sono delle circonferenze concentriche intorno al filo. Si potrebbe dimostrare
in maniera diretta, in casi un pò più complessi, che le linee di forza del campo magnetico sono sempre linee chiuse. Più in generale, si è mostrato sperimentalmente
che le linee di forza del campo magnetico sono sempre chiuse. Questo vuol dire
che, il numero di linee di forza che entrano attraverso una superficie chiusa sono
uguali alle linee di forza che escono dalla superficie. In maniera formale, possiamo
4. IL FLUSSO DI B ATTRAVERSO UNA SUPERFICIE CHIUSA
161
assumere, sulla base di evidenze sperimentali, che il flusso del campo magnetico
attraverso una qualunque superficie chiusa è sempre nullo:
I
(14)
B · ua d2 a = 0
La (14) esprime anche la mancanza di monopoli magnetici.
APPENDIX A
Appendice
The appendix fragment is used only once. Subsequent appendices can be created using the Chapter Section/Body Tag.
163
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