Estratto: Luce

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Silvana Pierini
LUCE
Prefazione di
Neuro Bonifazi
Edizioni Helicon
GIORNI DI CERA
Le mie mani sono ferme
nella tasca della memoria,
ripasso i giorni
avanti e indietro
quasi a tesserne la tela mancante,
sprofondo nei dolori
ci perdo i sensi
per giorni e notti.
Quanto tempo perduto
a rincorrermi
e quanto ne passerà ancora
prima che gli occhi
chiudano il sole
fra le palpebre
e il vento fra i capelli.
Quante volte
ho dormito
scambiando il giorno
alla notte del nulla
e non ho sentito
la brezza leggera
di chi
mi è passato accanto.
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NINFEA
PASSI
Giorni immobili
chiusi nelle mani del tempo.
Il silenzio si fa cielo.
I bisbigli del vento
echeggiano
fra i pensieri
dolorosi da contenere.
Gli occhi sfogliano
nel libro dei ricordi
le parole,
le vicinanze perdute
le strade ritrovate dal cuore
come un cercatore d’oro
insonne.
Il desiderio
di tornare al grembo della vita
mi trascina a briglia sciolta.
La speranza s’affaccia
nel luccichio
di un timido raggio di sole
assonnato,
sboccia
una ninfea
di luce.
Sono nel vento
dei miei pensieri palustri
di raggi di sole sbiadito,
manca ai miei piedi
un prato verde
in cui sentire
l’energia della terra.
I miei passi
raccolgono
come acqua piovana
goccia dopo goccia
i passi di chi come me
non sapeva dove andare
abbassando le palpebre
ad ogni pioggia fredda
di lance affilate
avvelenate,
alle ferite aperte
che ho riempito
di fiori freschi di campo.
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MALINCONIA
LA NUVOLA E IL FIUME
Quanto tempo
starò ancora così,
a marinarmi
nei miei pensieri spinosi,
per quanto tempo ancora
sentirò quest’aria pesante
attorno a me
quest’odore di terra bruciata
saccheggiata.
Una guerra è passata di qua.
Le mie mani
non si muovono più
ne è rimasto il disegno
il contorno.
I miei occhi
sono fermi
ad un bivio lontano,
quasi sbiadito.
È l’ora della stretta di mano
tra il giorno e la sera.
Tutto si attenua
e si prepara
al mistero della notte.
L’aria è dolce
e mi alza da questo corpo pesante
come una nuvola che guarda il fiume
che guarda i suoi contorni
di battaglie funeste,
nostalgie
aggrappate come scimmie
e dolore
che si propaga
come fuoco
nelle mie profondità.
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SCHEGGIA
A MIO PADRE
Confinarsi
dentro a un cerchio
una corazza di radici di quercia.
Rimanere a guardare il fiume
che ti trascina
e sentire fin dove
si arriva a sopportare il dolore
divenuto scheggia.
A che vale
riempirsi di pretesti
arrotondando le soluzioni
spostando le proprie ragioni.
Voglio solo credere
che anche lui mi appartenga.
Rimango
inutile scappare
non c’è posto lontano
cielo o strada
mare o sole
che lo strappi dal cuore,
lo guardo affondare
le sue unghie nel petto
e sento
fin dove
vuole arrivare.
Nella luce del mezzogiorno
sei uscito dall’acqua
con un colpo di coda d’argento,
in quell’istante
ho visto il tempo imbiancarti la pelle
e ho avuto paura.
Tu come un cavaliere invincibile
hai tagliato gli anni
come legna di quercia,
hai cavalcato le stagioni della fatica
in un rodeo caparbio
in una scommessa mai perduta,
hai amato il cuore della vite come il sole
hai sentito il sudore del giorno
irrorare i solchi della pelle.
Gli occhi hanno camminato più delle parole
e la mente come un fossile
conservato dalle fresche acque
splende
di luce propria.
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