Comune di Bologna U.O. Aule Didattiche Centrali Quaderni del Planetario: percorsi didattici IV settimana dell’Astronomia 7-13 Aprile 2003 A cura di Sebastiana Lai, Angela Turricchia N° 1 - Anno scolastico 2002- 2003 L’immagine di copertina è un disegno di un bambino di seconda elementare che ha frequentato l’Aula didattica Planetario. Sebastiana Lai - Didattica dell’Astronomia - INAF- Osservatorio Astronomico di Cagliari. Angela Turricchia - Aula Didattica Planetario- U.O. Aule Didattiche Centrali Settore Istruzione -Comune di Bologna. 2 Presentazione “E Ciaùla si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell’averla scoperta, là, mentr’ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella notte ora piena del suo stupore”. 1 Una delle novelle più belle di Luigi Pirandello racconta lo stupore e l’emozione che prova il protagonista nello scoprire la luna e ci rammenta come la contemplazione della luna e del cielo stellato continui a regalarci intense sensazioni che ci spingono ad interrogare noi stessi e a porci tante domande alle quali spesso non troviamo risposta. Avvicinare i bambini e i ragazzi alla cultura scientifica e ai temi astronomici significa approntare percorsi didattici che ne rafforzino le competenze con l’uso di strumentazion i, partendo anche dai più poveri, e con linguaggi che consentano di rispondere con chiarezza alle loro curiosità ed ai loro interrogativi. L’osservazione diretta dei fenomeni e la sperimentazione di nuove metodologie didattiche devono tendere anche a sviluppare capacità pratiche e concrete che recuperino in prima istanza quelle conoscenze che, anche in epoche molto vicine a noi, facevano parte di un comune bagaglio culturale e che servivano a chiedere frutti alla terra e a navigare nei mari. I quaderni dell’Aula didattica “Planetario” del Comune di Bologna sono stati pensati come modalità di presentazione di percorsi didattici o di esperienze che si pongono l’obiettivo di coniugare l’astronomia teorica con l’astronomia osservata, realizzati in collaboraz ione con insegnanti delle scuole di Bologna e della Provincia di Bologna, e vogliono diventare un appuntamento e un punto di riferimento costante per le attività che vengono proposte agli allievi. La responsabile della U.I. Rete scolastica Dott.ssa Grazia Russo 1 L.Pirandello “Ciaula e la luna”- copyright Mondadori Editore - Segrate 3 4 I percorsi Sono presentati di seguito due percorsi didattici brevi, “Inventiamo le Costellazioni” e “Che ora è: il mezzogiorno vero”, realizzati nell’ambito dell’attività dell’Aula didattica Planetario del Comune di Bologna (U.O. Aule didattiche) da Angela Turricchia in occasione della IV settimana dell’Astronomia indetta dal MIUR in collaborazione con gli insegnanti delle classi. L’attività legata a “Inventiamo le Costellazioni” è stata svolta in collaborazione con il Centro studi Serafino Zani di Lumezzane - Brescia e ha visto l’affluenza al Planetario di 482 bambini della scuola elementare e della scuola media inferiore. L’esperienza della misura del mezzogiorno relativa al percorso “Che ora è: il mezzogiorno vero”, promossa dell’EAAE (European Association for Astronomy Education) ha visto invece il concorso di varie classi sparse nel territorio nazionale ed è stata coordinata da Angela Turricchia, in qualità di delegata dell’Associazione citata. I percorsi che ne sono scaturiti e che vengono presentati nelle pagine successive rappresentano la rielaborazione di queste e di esperienze analoghe rivisitate alla luce di una progettualità e di una metodologia didattica complessiva allo scopo di renderle operative e riproducibili anche in altri contesti scolastici. Hanno collaborato all’esperienza tutti gli insegnanti delle scuole elementari Carducci, Fortuzzi e Cremonini-Ongaro (VIII Circolo Didattico di Bologna); insegnanti delle Scuole Medie statali Testoni-Fioravanti; delle scuole elementa ri Casaralta; Don Bosco; Marella; Ercolani; Guidi; De Amicis di Bologna e della Scuola Media Statale Matteucci di Granarolo nell’Emilia- Bologna. 3 4 Inventiamo le costellazioni Introduzione “Il mito è bisogno di spiegare la realtà, di superare e risolvere una contraddizione della natura (come nasca il primo uomo per esempio), il mito è spiegazione di un rito, di un atto formale che corrisponde a esigenze della tribù (l’invocazione della pioggia), il mito è struttura delle credenze di un gruppo, di un etnos (la condanna dell’incesto) ecc. ecc. Ma, come dice la parola, il mito è innanzitutto un racconto: c’è una storia da presentare, che ha lati terribili, ma anche spesso risvolti patetici o sorridenti, ci sono dei personaggi in azione, una trama che si snoda”. Con queste parole si apre la presentazione da parte di Umberto Albini del testo ormai diventato un classico, di Robert Graves, I Miti greci.” (Longanesi, 1983, pag. V). I nomi delle costellazioni che si osservano durante il corso di un anno evocano antichi miti greci, ordiscono racconti percorsi da forti passioni e tensioni emotive, suggellando nello spazio e nel tempo dei fenomeni celesti i personaggi che essi rappresentano. Così se si trova Orione, il cacciatore, il racconto induce a cercare il Cane Maggiore e in esso la stella brillantissima nel cielo invernale: Sirio. Ma Orione non è solo un mito, la cintura di Orione rappresenta anche uno dei tre grandi cerchi del cielo, l’Equatore, segnando con una “immagine” una geometria dello spazio. Le costellazioni non tramandano dunque solo delle grandi storie, che riportano antichi interrogativi ai quali ogni civiltà apparsa sulla Terra continua incessantemente a dare risposte, ma consentono una memoria “visiva” di luoghi e tempi dello spazio costruiti dall’Astronomia. Le costellazioni circumpolari, le costellazioni dello Zodiaco, le costellazioni equatoriali emergono infatti come saperi dell’Astronomia di posizione, come problemi della scienza astronomica elaborata da oltre duemila anni di storia della scienza. Perché allora proporre un percorso che ha un obiettivo apparentemente così provocatorio quale quello di “inventare” le costellazioni? Le ragioni sono tutte di 5 ordine didattico, naturalmente. Se le costellazioni svolgono questa fondamentale funzione di rappresentazione culturale, e di geometrizzazione dello spazio del cielo consentendo memorizzazione e orientamento allora appare evidente la necessità di rendere problemi di apprendimento degli studenti questi oggetti di insegnamento in ambito scolastico. I processi di insegnamento/apprendimento mettono in primo piano le reciproche relazioni didattiche tra insegnante/allievi e saperi da apprendere, in una situazione didattica data. Rendere esplicite queste relazioni è compito primario della didattic a disciplinare, e comporta l’identificazione dei rispettivi ruoli dell’insegnante e degli alunni rispetto ai contenuti disciplinari, posta in gioco della situazione didattica in classe. Nel percorso che presentiamo si tiene conto dell’ esigenza di descrivere operativamente le azioni professionali dell’insegnante e le azioni dell’alunno rispetto agli obiettivi del percorso Inventiamo le Costellazioni. Ricordiamo la natura complessa dell’atto dell’insegnamento/apprendimento: lungi da ogni idea di linearità d i questo processo, il percorso descritto richiede la contestualizzazione nella specificità della propria classe da parte di chi vuole ripetere l’esperienza. Creare la motivazione, consentire, cioè, che ciascuno studente attribuisca un senso all’attivit à proposta, nelle diverse situazioni in cui queste possono essere riprodotte, è cura dell’insegnante di classe. Avere a disposizione comunque una sequenza ragionata di domande, di obbiettivi, di attività da svolgere rappresenta sicuramente uno strumento utile per progettare percorsi specifici nelle realtà delle varie scuole. Uno dei vincoli posti dal carattere non lineare dell’apprendimento, come è noto, è rappresentato dall’esistenza di ostacoli epistemologici nella costruzione delle conoscenze scientifiche. Secondo l’interpretazione data Bachelard gli ostacoli epistemologici esprimono la natura problematica della costruzione dello spirito scientifico. Gli ostacoli epistemologici sono dunque rintracciabili nella storia 6 stessa della scienza. Non vanno ig norati, come ci ricorda G. Brousseau, studioso di Didattica della Matematica, quando si è interessati alla costruzione dei saperi da parte degli alunni (non solo alla trasmissione da parte dell’insegnante), poiché l’ostacolo è costituito come una conoscenza, ha un suo dominio di validità che lo rende (o lo ha reso) efficace a risolvere problemi, e per questa ragione esso è resistente al cambiamento. Superare, attraverso attività didattiche adeguate, gli ostacoli epistemologici è dunque uno degli obiettivi dichiarati dell’insegnamento/apprendimento a carattere sperimentale. Nell’astronomia uno degli ostacoli fondamentali è dato dal concetto di Spazio 1. Questo percorso costituisce un primo approccio al superamento di una idea aristotelica dello spazio, di una idea di tipo animistico ancora prevalente, secondo gli studi della scuola piagettiana, nei bambini fino a 7-8 anni. Il cammino da compiere è naturalmente molto lungo, e questa esperienza è solo il primo passo verso la costruzione scientifica dei fenomeni celesti. Occorre essere consapevoli però che in ogni azione educativa è implicata una complessità il cui obiettivo non può che essere quello di motivare gli studenti verso apprendimenti significativi. Quando si pongono i bambini di fronte ad un cielo stellato, anche quello “artificiale” del Planetario, essi appaiono sgomenti,” non mi ci raccapezzo più tra tutti quei puntini” dicono i bambini che frequentano l’Aula Didattica. Una immediata introduzione al mito, li lascia confusi nella ricerca dei “personaggi” evocati dal racconto. Far capire agli studenti la necessità di creare aggregazioni per ricordare ciò “che si vede”, e per comunicare ciò che “si è visto”, identificare, poi, attraverso queste immagini i luoghi speciali dove queste aggregazioni sono collocate rappresentano gli obiettivi più generali di questo percorso. L’esperienza personale dell’inventare rende intuitivamente più comprensibile l’atto originario del Mito e delle Costellazioni, attiva nello stesso tempo negli alunni la capacità di disting uere 1 Un’ analisi degli ostacoli epistemologici in Astronomia è contenuta in S.Lai, Analyse des conditions d’enseignabilité de l’Astronomie et de l’Astrophisique, Memoire DEA,giugno 2002 7 e separare nello spazio “ciò che appartiene “ alla figura “immaginata” da ciò che “resta fuori”, atti costitutivi preliminari ad ogni geometrizzazione della realtà. Partire dal Planetario per tornare a scuola: l’ intento didattico si manifesta nella organizzazione e gestione di ogni singola fase del lavoro proposto. L’operatrice del Planetario agisce nella funzione insegnante : guida attraverso domande la progressione dell’esperienza, istituzionalizza i risultati raggiunti, crea le basi per una valuta zione in classe, lascia aperti interrogativi sui quali l’insegnante potrà lavorare nel seguito. Ci pare questa una buona pratica di interazione scuola -territorio che permette di utilizzare le specificità di un laboratorio come il Planetario nell’ambito della progettazione didattica dell’insegnante, creando una continuità tra le attività “dentro la classe” e quelle “fuori classe”, che insieme creano il programma di scienze 2. Obiettivi • Far comprendere la necessità della geometrizzazione della realtà fenomenica come pr imo approccio scientifico all’astronomia. • Far comprendere il significato e l’importanza che ha sempre avuto, anche nella storia dell’uomo, la costruzione di “immagini nel cielo”. • Far comprendere la natura “arbitraria” di queste immagini, alle quali non corrisponde una realtà oggettiva né tanto meno una necessità di tipo “fisico”. 2 Un esempio di questa attività è visibile in “La vita cos’è, com’è, dov’è?” coordinata da A.Turricchia dell’Aula Didattica Planetario e in “Cielo! un percorso didattico di Astronomia e Fisica” cui l’Aula Didattica Planetario ha collaborato come coordinamento didatticometodologico. Questi percorsi sono scaricabili da rete all’indirizzo www.polare.it. 8 Conoscenze supposte acquisite. Il primo ostacolo da superare per i bambini è, al buio, la mancanza di punti di riferimento nel cielo del Planetario: le stelle appaiono come punti luminosi sparsi nella volta celeste, priva di riferimenti anche rispetto ad un ipotetico orizzonte terrestre che separi cielo e Terra. Non ci sono case o alberi come sull’orizzonte locale che fungano da base per tracciare allineamenti seppur temporanei. Occorre trovare nel cielo il riferimento rispetto al quale orientare lo sguardo e individuare le aggregazioni di punti luminosi. Questo punto è identificato dalla stella polare, attorno alla quale ruotano tutte le altre stelle. Il percorso presuppone quindi come conoscenza pregressa la capacità di individuare questo punto fisso nel cielo. Questa è una osservazione estremamente importante in quanto la ricerca di ulteriori punti di riferimento può avvenire soltanto dopo aver verificato che le posizioni relative delle stelle tra di loro rimangono fisse, sono solidali tra loro nel moto apparente del cielo. Il percorso inizia quindi con la identificazione, sotto la guida dell’operatrice, della Polare, attraverso il Carro Maggiore, spesso già noto a tutti i bambini che visitano il Planetario. Non si utilizza comunque il termine costellazione, si segue semplicemente l’allineamento dei due puntatori (le ultime due stelle del Carro Maggiore) e prolungando lo sguardo si incontra la Polare. Essa viene nominata in quanto stella “immobile” che indica il punto Nord celeste. Come si svolge l’esperienza. • Osservazione del cielo al Planetario. Occorre ricordare che il Planetario dell’Aula didattica permette di vedere il cielo come se si stesse affacciati alla finestra (vediamo cioè un quarto di cielo). I bambini devono “impratichirsi” con l’osservazione: devono cioè superare il momento emozionale di vedere tante stelle per iniziare a porsi le domande su come poter ricordare, riferire, rappresentare ciò che stanno vedendo. Si è pertanto deciso di costruire una situazione didattica che faciliti questo compito, lasciando fermo il Planetario per circa 15 minuti. (il moto reale del cielo sarebbe sufficientemente lento per considerare questa finzione “corretta” per la durata dell’esperienza così come è stata realizzata). Proprio in 9 funzione di questa scelta, di tenere il Planetario fermo, di astrarre cioè dal moto di rotazione, è stato posizionato il Planetario in modo che i bambini vedano, affacciati alla loro immaginaria finestra, la stella polare (i bambini sono cioè rivolti verso il Nord celeste). La sua identificazione è quasi immediata. • L’operatrice del Planetario (che chiameremo nel seguito semplicemente insegnante ) invita i bambini ad osservare attentamente una parte ben delineata della volta celeste, la zona circumpolare nella quale si staglia nettamente Cassiopea (costellazione circumpolare da Bologna e quindi sempre visibile nel cielo), il Carro Maggiore e a descrivere ciò che essi vedono. In questa fase possono esprimere ad alta voce le proprie impressioni e le difficoltà che incontrano nella descrizione. Ben presto il problema, corale, che si pongono è “ma io non vedo nulla!” “vedo solo dei punti”. I bambini vengono lasciati liberi di discutere e di cercare di individuare di quali punti stanno parlando. Viene utilizzata una freccia luminosa che i bambini si passano l’un l’altro per individuare le stelle di cui si parla. Ma ben presto il problema diventa: “non mi ricordo più”! Sorge pertanto la necessità di raggruppare le stelle e di trasformare in una “immagine” questi raggruppamenti. L’insegnante sollecita allora l’attenzione dei bambini verso la ricerca di “configurazioni” che suggeriscano loro una qualche “figura”, reale o fantasiosa, escludendo il raggruppamento che quasi tutti i bambini conoscono, il Carro Maggiore, per non farsi condizionare da immagini “stereotipate”. • Tra le stelle individuate gua rdando il cielo ogni bambino sceglie quelle che gli sembrano rappresentare una immagine che ritiene interessante per sé e a questo punto ciascuno deve ricordare le stelle del raggruppamento scelto, la posizione relativa delle stelle e inventare l’immagine che desidera disegnare. I metodi adottati per la rappresentazione grafica sono di due tipi: a- disegno su cartoncino che viene poi forato con un punteruolo: ogni foro una stella; b - riproduzione su carta delle stelle del raggruppamento; appoggiando la carta sul vetro si possono ripassare le stelle su un diverso foglio di carta. 10 Fig.1 - Alcuni disegni che i bambini hanno eseguito durante l’esperienza. La maggior parte dei bambini ha identificato nelle stelle una immagine di una farfalla. 11 • Ogni bambino esegue il lavoro con il metodo che preferisce e con la tecnica pittorica che desidera. Tutte le immagini ottenute vengono appese e ciascun bambino spiega quello che ha fatto. Ogni racconto provoca discussioni, scoperta di immagini comuni, meraviglia per le più fantasiose, ma soprattutto emerge da queste differenze il bisogno di trovare un linguaggio comune per comunicare la realtà fenomenica che è sopra gli occhi, uguale per tutti. La necessità di avere strument i comuni per parlare e descrivere la medesima realtà è molto sentita e avvia alla geometrizzazione, alla ricerca di un modo di rappresentare lo spazio celeste, dentro il quale collocare gli oggetti trovati. Si apre un nuovo percorso, una nuova domanda alla quale rispondere. • Sulla base dell’attività svolta l’insegnante può istituzionalizzare già alcuni risultati raggiunti affinché tutti abbiano piena consapevolezza di “ciò che si è imparato” in questa breve esperienza e può mettere in evidenza che: a. le stelle possono essere aggregate in “figure”, che le rende “riconoscibili” come aggregati solidali, e insieme ad altre vicine nello stesso cerchio di cielo individuano una “zona” ben segnata. b. Si denomina la “zona del cielo, circumpolare e si fornisce una pr ima definizione del suo significato spazio-temporale. (Stelle che si vedono tutto l’anno…intorno al polo) c. La raffigurazione delle stelle è soggettiva e quindi arbitraria. L’insegnante pone ora una domanda cruciale che sintetizziamo in: “Avete inventato delle bellissime immagini. Ma ognuno ne ha individuato una diversa dagli altri: Come fare a comunicare e descrivere ciò che si vede in modo che tutti indipendentemente da dove si trovano possano comprendere ciò a cui ci si riferisce? E’ una domanda che molto tempo prima di noi gli antichi si sono posti. Hanno anche loro inventato immagini e le hanno chiamate Costellazioni. Hanno dei nomi e figure diverse a seconda dei luoghi da cui hanno osservato”. • Vengono quindi proiettate sulla cupola delle immagini di figure “tradizionali” della nostra cultura e alcune immagini di raggruppamenti caratteristici della cultura pellerossa. Viene evidenziato il fatto che questa è una pratica diffusa nel tempo nella storia, nella cultura degli uomini; ogni popolo ha 12 utiliz zato delle aggregazioni diverse e delle immagini diverse. Sono costellazioni che rappresentano immagini e storie. Ad esse sono legati i miti. Si invitano i bambini ad osservare nuovamente il cielo del Planetario e cercare tutti la costellazione di “Cassiopea” . • Si introduce quindi la nascita del mito, su cui ci si può o meno soffermare (dipende dai tempi a disposizione); resta altrimenti come una nuova pista di lavoro in classe. Il percorso termina lasciando aperti nuovi interrogativi che avviano ad osservazioni di altri fenomeni astronomici. Un solo esempio: “Perché le Costellazioni circumpolari, non tramontano mai per noi?” 13 14 Che ora è: il mezzogiorno vero Introduzione Nell’ esperienza quotidiana di tutti i bambini la misura del tempo, il “che ora è”, è rappresentato da un gesto, uno sguardo all’orologio e la risposta è “pronta”. Ma in realtà questa risposta è ben lontana dal poter essere “spiegata” da questi stessi bambini. Il tempo, di cui tutti avvertono il passare , di cui tutti hanno percezione solo indiretta attraverso il “cambiamento” è nella sua definizione un concetto astratto, la cui misura non è affatto “immediata”. La costruzione di questo concetto nei bambini è legata a fattori di ordine logico, alla maturazione del pensiero reversibile, come ci insegna J. Piaget (1979) 3. Il passaggio dal tempo percepito, legato alla memoria, al cambiamento, al tempo assoluto newtoniano comporta un processo di riequilibrazione tra il tempo “vissuto” e il tempo rappresentato, la cui costruzione richiede il superamento della identificazione in termini puramente spaziali di concetti primitivi come il prima e il dopo, l’acquisizione del concetto di simultaneità, di uguaglianza di tempi sincroni e soprattutto la valutazione di durata , che si struttura coordinando movimento e velocità di ciò che accade al di fuori di noi. La misura del tempo non è dunque un concetto intuitivo, anche se quasi mai è oggetto di un insegnamento esplicito in ambito scolastico. L’analisi storica del concetto di tempo e della sua misura mostra la complessità di questo concetto di cui si trova traccia negli stessi modelli spontanei dei bambini4: è un ostacolo epistemologico5, e come tale richiede la messa in campo di 3 Si veda l’analisi di Piaget in: Piaget J., 1979, Lo sviluppo della nozione di tempo nel bambino, La Nuova Italia. 4 Un’ analisi dello sviluppo dei concetti temporali è contenuta in : Lai S. e Proverbio E., 1992, Tempo fisico e tempo meteorologico nello sviluppo cognitivo infantile, Scuola e città, n. 9, 386-393. 5 Secondo la definizione data in Inventiamo le Costellazioni, in questo stesso volume, si veda Bachelard G.,1938-1999, La Formazione dello spirito scientifico, Cortina editore, 251-252 15 situazioni didattiche che consentano una interazione dialettica, uno scontro con la difficoltà, attraverso le quali il “vecchio” (le conoscenze spontanee dei bambini) e il “nuovo” (la conoscenza scientifica cui si mira) si ricompongano in una nuovo sapere, personalizzato e contestualizzato e poi reso generalizzabile. Nell’ambito della IV Settimana dell’Astronomia ci è parso importante rendere consapevoli i bambini del senso della misura nella scienza, rendere problematico per loro un gesto cosi quotidiano. Non è inopportuno, se si vuole costruire, per riprendere G. Bachelard, uno spirito scientifico. Sul problema della misura si determina, infatti, il divario fra il pensiero realista e il pensiero scientifico. Ne La Formazione dello spirito scientifico (1938) Bachelard scriveva: “ Il realista tocca subito con mano l’ogge tto particolare. Lo descrive e lo misura perché lo possiede…Lo scienziato, al contrario, si avvicina a questo oggetto inizialmente mal definito. E innanzitutto si appresta a misurarlo. Egli ne discute le condizioni di studio determinando la sensibilità e la portata dei suoi strumenti, quindi descrive piuttosto il suo sistema di misura che l’oggetto della sua misurazione…Lo scienziato crede al realismo della misura più che alla realtà dell’oggetto…Quando il grado di approssimazione viene fatto variare, allora l’oggetto può cambiare di natura…L’oggettività viene allora affermata al di qua, non al di là della misurazione, come metodo discorsivo e non come intuizione diretta dell’oggetto. Occorre riflettere per misurare e non misurare per riflettere.” (Bachelard, 1938-1999). La scienza costruisce i suoi oggetti, dunque, attraverso la misura. Occorre insistere sulla componente teorica degli strumenti di misura, e sulla necessità, di conseguenza, che essi non siano considerati a scuola meri strumenti pratici da utilizzare, ma siano essi stessi primariamente oggetti di conoscenza. La misura del tempo è stata sempre un problema cruciale per tutte le civiltà. Per alcuni popoli, come quello egizio, misurare il tempo era condizione essenziale per la stessa sopravivenza, perché consentiva di anticipare gli eventi ciclici naturali e 16 programmare la vita economica e sociale. La misura del tempo è stata una spinta cruciale per lo sviluppo stesso dell’Astronomia. Non si può dimenticare il peso della riforma del calendario tra le spinte che hanno portato alla stessa rivoluzione copernicana. Comprendere la storicità della costruzione scientifica, l’ impatto sociale della scienza e delle tecnologie nella soluzione dei problemi pratici della società consente di edificare il pensiero critico dei bambini. Se non si vuole che restino solo “parole”, l’approccio a qualsiasi concetto scientifico, soprattutto quelli che costituiscono ostacolo epistemologico, non può prescindere dal fornire gli strumenti metodologici e culturali che aiutano a capire questa evoluzione. Una strada per raggiungere questo risultato è, come suggerisce il grande epistemologo K. Popper, quella di far inciampare i bambini nei problemi in cui è inciampata la scienza. Ci pare che l’esposizione del pensiero di Popper ad opera di D. Antiseri in Epistemologia e Didattica delle Scienze (1997), riassuma in maniera esemplare per la sua sinteticità sia le ragioni di una tale impostazione che la stessa metodologia scientifica. “L’uomo è una memoria biologico-culturale. E quando qualche pezzo di realtà urta contro qualcuna delle aspettazioni prodotte dalla sua memoria, allora abbiamo i problemi. Un problema è dunque una aspettazione delusa. 6 E i diversi uomini o i diversi gruppi inciampano in questi e non in altri problemi perché si ricordano certe cose piuttosto che altre, cioè perché sono eredi di questa tradizione e non di un’altra.” La concezione del problema come aspettazione delusa, implica la natura ipotetico-deduttiva propria della scienza: l’aspettazione presuppone, infatti, prima l’esistenza di una ipotesi che rappresenta lo specifico punto di vista dal quale si guardano le cose. E ancor prima delle ipotesi è l’attività “questionante”, il porsi domande a costituire il primo passo verso la costruzione scientifica della realtà. In questa sintesi si ravvisa, a noi pare, una progettualità che la scuola dovrebbe far propria. 6 Il corsivo in questa frase è nostro. 17 La proposta di determinare con una misura il mezzogiorno non si identifica nella sola attività pratica, ma costituisce un itinerario didat tico da cui si snodano obiettivi più generali di tipo concettuale e formativo. Se si pone quale finalità centrale dell’insegnamento scientifico l’acquisizione di capacità , tra queste certamente le capacità di processo, per usare il linguaggio di R. Ka rplus 7 sono indispensabili per formare una mentalità scientifica stabile e decontestualizzabile, in quanto rappresentano gli strumenti intellettuali con i quali si attua proprio la conoscenza scientifica. L’osservazione, la misurazione, la classificazione insieme alle operazioni di inferenza e di previsione definiscono, infatti, gli assi portanti di una scienza che si pone compiti esplicativi e non solo descrittivi. I fenomeni diventano in questa ottica un “pretesto” per organizzare situazioni didattic he attraverso le quali costruire queste capacità e gli stessi concetti scientifici 8. Trasformare una esperienza quotidiana in un “fatto scientifico” dentro la classe: è questo l’oggetto della didattica disciplinare. Il lavoro dell’insegnante nella fase di avvio dell’esperienza didattica è estremamente delicato, poiché la motivazione ad apprendere è essa stessa un processo a carico dell’insegnante. L’attività che abbiamo precedentemente definito “questionante” ne è l’avvio. Creare le condizioni per porre domande condivise dalla classe è il terreno su cui l’insegnante prepara gli allievi a cercare risposte che nascono dallo scontro tra ciò che essi sanno e ciò che l’evento o fenomeno studiato pone loro davanti. Spiegare i fenomeni comporta l’invenzione, l’utilizzazione di modelli che rendano conto di ciò che si vede. La misura è strumento principe per mettere a confronto modello e realtà. Abituare a ragionare per modelli ci pare una delle prerogative più fertili cui oggi l’astronomia può assolvere a scuola. Rende critici, creativi, argomentativi. Dietro 7 Si veda R. Karplus e al. (1975), Rinnovamento dell’educazione scientifica elementare, Zanichelli Un esempio di applicazione di questa impostazione che ci pare ancora valida è contenuta in : Lai S.,1990, Dall’oggetto al concetto e ritorno – Le strategie per la formazione della mentalità scientifica, La Vita scolastica, n.12- 9-11 8 18 la determinazione del mezzogiorno vero c’è il modello di rotazione della Terra; ma la realtà fenomenica fa “osservare” che è il Sole che si muove. Sicuramente tutti i bambini sanno che è la Terra a muoversi: ma non hanno prove; mettere in crisi sul piano argomentativo queste “certezze” diventa necessario se non si vuole perdere il senso del lavoro scientifico. Un po’ controcorrente, quindi, nella IV settimana dell’Astronomia rilanciamo la necessità di porsi domande, fare ipotesi, creare modelli, confrontarli con la realtà…insomma la metodologia scientifica, sperimentale, che sfugge all’imperativo del “solo immagine”, solo risposte costruite da altri senza nemmeno porsi una domanda. I tempi dell’appre ndimento allora si dilatano, e la risposta che prima si esauriva in un gesto ora diventa un cammino lungo il quale si intrecciano altre domande, nel gioco infinito proprio della scienza. Ultimo, ma non per importanza, il lavoro di cooperazione tra scuole , tra classi, tra bambini “bravi” e “meno bravi” riconduce a fatto educativo la cultura dello scambio, la costruzione sociale delle conoscenze. Un lavoro di confronto che mostra in maniera esemplare il carattere interattivo della cultura in senso lato. Il percorso che proponiamo rappresenta una sequenza “problematica”, frutto di sperimentazioni in classe 9, e in particolare ripercorre le tappe del lavoro realizzato nell’ambito della IV Settimana dell’Astronomia a Bologna. Non si tratta ovviamente di un resoconto completo di questa ultima esperienza, (non abbiamo riportato ad es. le interessanti discussioni avvenute in classe..), ma a questa esperienza si riferiscono invece le foto e i materiali elaborati dai bambini, qui riprodotti. 9 Esempi di sequenze didattiche sono contenute anche in “Cielo! Un percorso di Astronomia e Fisica per la scuola elementare e media” – Autori Vari , scaricabile dal sito http://www.polare.it 19 Obiettivi Dal punto di vista del sapere, il percorso didattico si pone come obiettivo disciplinare l’introduzione del mezzogiorno vero , la convenzionalità del mezzogiorno civile e i fusi orari . Sulla base delle argomentazioni svolte nell’Introduzione si pongono evidentemente anche altri obiettivi più generali che, nell’insieme, sintetizziamo nel seguito alcuni dei quali verranno totalmente acquisiti con ulteriori esperienze . • Acquisire il valore della “misura” per la scienza. • Acquisire una metodologia scientifica e un atteggiamento critico verso la realtà. • Comprendere il valore dei modelli per spiegare i fenomeni naturali. • Comprendere il valore “convenzionale” del mezzogiorno civile. Conoscenze supposte acquisite La possibilità di riprodurre un percorso didattico già realizzato in determinate situazioni scolastiche dipende da molte variabili. La trasposizione didattica 10 in classe di uno specifico sapere è infatti funzione del tipo di scuola, del programma nel quale esso è inserito, del “tempo” dell’insegnamento in senso lato. I tempi dell’apprendimento introducono poi ulteriori condizionamenti, essendo legato alle conoscenze degli alunni “concreti” con i quali si lavora in classe e alle loro risposte ai problemi posti che fungono da filo rosso per la costruzione di nuove conoscenze. E’ quindi evidente che in classe “l’inizio” del percorso è collocato in punti differenti a secondo della trasposizione didattica operata dall’insegnante su questi concetti. E’ necessario comunque operare un’analisi a priori dei saperi in gioco, poiché alcuni di essi sono obiettivamente antecedenti e individuano in questo senso una sequenza privilegiata nella conduzione del percorso stesso. 10 Uno studio sulla trasposizione didattica dell’Astronomia è contenuta in : Lai S. e Calledda P. (a cura di), 2002, La Didattica dell’Astronomia, Supplemento n. 3 a Giornale di Astronomia. 20 Le conoscenze supposte acquisite dagli studenti per la realizzazione dell’esperienza di misura del mezzogiorno vero sono le seguenti: § La forma della Terra; è sufficiente il concetto di sfericità della Terra. § La luce e le ombre: attività pratiche sulla formazione e dimensioni delle ombre, rilevando in particolare la relazione tra altezza degli oggetti e lunghezza dell’ombra, relativamente a vari oggetti. § Il “cammino diurno del Sole”: osservazioni dirette della traiettoria del Sole nella volta celeste; occorre anche aver acquisito il fatto, anche solo a livello qualitativo, che in giornate diverse durante l’anno il “Sole sembra fare percorsi diversi” occupando quindi posizioni differenti, più o meno alte rispetto all’orizzonte locale, nel cielo. § La linea meridiana: osserva zione diretta, anche solo qualitativa, del fatto che quando il Sole si trova nel punto di massima altezza sull’orizzonte, in qualsiasi giorno dell’anno, le ombre si trovano sempre sulla stessa linea (il Sole è cioè “in meridiano”). La linea meridiana individua la linea NordSud. § Angoli, misura di angoli con il goniometro. Concetto di verticalità . Riproduzione in scala. § Gli eventi ciclici: conoscenza dei caratteri peculiari della ciclicità e della loro misurabilità, almeno a livello intuitivo. Abbiamo voluto segnalare tutti quei saperi che sono necessariamente coinvolti nell’esperienza proposta (ve ne sono anche altri, ovviamente) che consentono una lettura individuale dell’evento analizzato, la possibilità stessa di mettere in relazione ciò che si vede con ciò che era atteso , e trovare una pista per spiegare la differenza “atteso/ osservato”. Viste le conoscenze che i ragazzi devono possedere si suggerisce lo svolgimento di questo percorso nelle ultime classi elementari o nelle classi di scuola media. Può essere ugualmente svolto nelle prime classi di scuola superiore nel qual caso si può anche introdurre l’errore di misura. 21 Descrizione dell’esperienza Tempo utilizzato durante la sperimentazione: circa 20 ore. Domande di partenza tendenti a “problematizzare” la “ricerca” del mezzogiorno vero, il cui obiettivo è far emergere la connessione tra ciclicità di un fenomeno e misurabilità del tempo, considerato come intervallo/durata. Il tempo della discussione è sicuramente variabile a seconda delle esperienze pregresse dei bambini rispetto a questa problematica. E’ qui sufficiente comunque un livello anche solo intuitivo. • Partire dagli orologi: clessidre, orologi meccanici, orologi al quarzo: perché “segnano l’ora”? Attraverso l’uso e la descrizione del funziona mento di una clessidra, del meccanismo di funzionamento degli orologi far osservare: la relazione ciclicità/intervallo di tempo; la necessità di una conoscenza precisa del fenomeno ciclico osservato, ma anche la necessità di poter riprodurre un fenomeno realmente ciclico che serva come unità di misura. Fig. 2 - Il periodico scorrere della sabbia dal contenitore in alto a quello in basso, il movimento del bilanciere nell’orologio a destra rappresentano due modi diversi in cui l’uomo ha usato la periodicità di alcuni movimenti per misurare il tempo. Occorre ricordare l’estrema differenza che esiste nella definizione dell’unità di misura del tempo rispetto a quella ad esempio di lunghezza. Quando misuro una lunghezza l’unità di misura (il metro) viene utilizzata più volte, ma è sempre la stessa; quando misuro un intervallo di tempo l’unità di misura (il secondo) non è sempre la stessa, ma un secondo successivo al precedente. Da qui l’importanza per l’uomo di produrre dei fenomeni ciclici ma con il minimo errore: basti pensare alla clessidra e ai “tempi persi” in quanto non misurati al momento in cui occorre 22 capovolgerla, all’orologio con carica manuale in cui occorre ricordare il caricamento per evitare che “il tempo si fermi”, agli orologi al quarzo in cui il controllo della periodicità è data da un cristallo di quarzo. • Come è misurato il tempo senza l’orologio? Introdurre problematicamente il giorno: cos’è il giorno? E’ sufficiente una prima definizione del giorno come somma dì/notte. Il dì e la notte, come fenomeno ciclico. • Quando inizia il giorno? Da quando si “conta”? La mezzanotte , come inizio di un nuovo giorno. • Cosa rappresenta invece il mezzogiorno? Una prima definizione: la metà del giorno. • Come si fa a sapere quando è mezzogiorno? Cosa succede a mezzogiorno: il percorso del Sole e la sua massima altezza. • Si propone, quindi, di misurare l’ombra più corta di uno gnomone per sapere quando è mezzogiorno. • Costruzione di uno gnomone. La costruzione di uno gnomone può risultare estremamente semplice se si sceglie di utilizzare un semplice bastone conficcato in terra; in questo caso basta usare un filo a piombo per verificare la verticalità dello gnomone rispetto al suolo. Se invece si sceglie di utilizzare uno gnomone fissato su una base, occorre verificare che la base sia appoggiata “in piano”, in caso contrario la verticalità dello gnomone non esiste e quindi qualunque misura risulta falsata. Si possono utilizzare gnomoni già costruiti oppure costruirne di diverso tipo. Occorre comunque che lo gnomone abbia una superficie opaca e ruvida altrimenti si formano fastidiosi effetti di diffrazione; non deve neppure essere appuntito, altrimenti è difficile, per lo stesso motivo, verificare la direzione dell’ombra. Se si vuole ovviare a questo fenomeno si può costruire sulla parte alta dello gnomone un piano con un foro con dimensioni di circa un centimetro di diametro. Il fascio luminoso del Sole che entra dal foro lascia sul terreno una chiazza luminosa, il punto da prendere in considerazione è il centro della chiazza luminosa. Occorre fare attenzione al fatto che in questo caso non parliamo di ombra, ma di chiazza luminosa. Le dimensioni di uno gnomone non sono qualificanti dell’esperienza. 23 • Decisione sulla giornata in cui svolgere l’attività e sincronizzazione degli orologi con le classi coinvolte. Nel nostro caso abbiamo collaborato con classi di Foggia, Treviso, Bologna, Firenze, Torino. All’aperto • Durante lo svolgimento dell’esperienza si suggerisce di dividere la classe in gruppi di lavoro, ai quali affidare specifici compiti per ciascuna delle attività previste: § Osservare l’orologio, e dare il “tempo” per effettuare la misura dell’ombra. § Misurare l’ombra con uno spago o direttamente con un me tro; servono almeno due bambini, per fissare l’origine dell’ombra tenendo fermo lo spago, ed uno che segna la fine dell’ombra. § Segnare in un quaderno ora e relativa lunghezza dell’ombra. § Telefonare alle altre classi d’Italia coinvolte per comunicare l’ora in cui si è registrata l’ombra minima oppure comunicare attraverso forum o chat che possono essere opportunamente predisposte. • Osservazione delle ombre durante le ore più vicine al mezzodì per definire il momento in cui l’ombra risulta essere più corta (c he corrisponde quindi al momento di massima altezza del Sole sull’orizzonte locale). In particolare intorno al mezzodì è bene fare misure ogni 5 minuti. Almeno due bambini, per un reciproco controllo (vedere la Fig. 3 per vedere diversi “gnomoni” usati da diverse classi) • Materializzare il fascio di luce del Sole attraverso un filo che collega la cima del bastone (gnomone) con l’ombra minima. Otteniamo, percettivamente, un triangolo i cui tre lati sono rappresentati dal bastone, dall’ombra e dal “filo” che materializza il fascio di luce. • Nel momento in cui si registra l’ombra minima, l’insegnante invita tutti i bambini a guardare l’ora. Ci si accorge che l’ora segnata dall’orologio non 24 coincide con il mezzogiorno determinato in quell’istante dall’ombra più corta. Perché? Fig. 3 – Gnomoni diversi utilizzati nell’esperienza realizzata a Bologna. A sinistra uno gnomone che fa parte di un complesso di strumenti del Quartiere Savena di Bologna 11. Al centro uno gnomone vivente e a destra un esempio di gnomoni personalizzati (ogni bambino ha costruito il “suo volto”). Problema da tenere presente nelle attività con i bambini è la “verticalità dello gnomone” di cui si è parlato nel testo. • Sorge dunque un problema: il mezzogiorno locale non coincide con il mezzogiorno segnato dall’orologio. • Attraverso le telefonate si completano i dati provenienti dalle altre classi. Ci si rende conto che l’ora del mezzogiorno vero a Bologna non coincide con quella delle altre città coinvolte. Come mai? E’ questo il problema da spiegare. In classe • In classe riportare il triangolo in scala, e misurare gli angoli. Identificare l’angolo che rappresenta l’altezza del Sole sull’orizzonte locale. Anche se questo dato non è immediatamente riutilizzato, esso rappresenta una base di discussione e 11 Un resoconto di una attività utilizzando gli orologi solari di questo quartiere in Massaro F., Turricchia A. Giornale di Astronomia settembre 1999, vol 25 n.3 pag 22-26 25 confronto per altre piste di lavoro (un esempio di questo lavoro è mostrato in Fig.4). Fig. 4 - Una rappresentazione dell’attività da parte di ragazzi di scuola media inferiore. La rappresentazione piana di questa esperienza non è facile. per ragazzini delle scuole elementari risulta più immediato posizionare lo gnomone direttamente in classe e rappresentare oltre alla lunghezza dell’ombra la corrispondente posizione del Sole sul vetro della finestra. Successivamente la discussione permette di rielaborare e collegare le diverse variabili. Come si vede dal disegno, la IV Settimana dell’Astronomia è stata eseguita in ora legale, per cui il mezzogiorno è “spostato” di un’ora rispetto mezzogiorno solare. Fig.5 - La cartina con i dati raccolti. Le classi che hanno partecipato all’esperienza a Bologna sono posizionate in situazioni che vanno dalla periferia Est della città , alla zona ovest (lungo la direttrice della via Emilia). 26 • Raccolta dei dati di tutte le classi e loro collocazione nella cartina dell’Italia (la Fig. 5 mostra i dati raccolti); si osserva che i mezzogiorni si sono verificati in istanti diversi. Inizia quindi una discussione tendente a spiegare il perché di queste differenze. La discussione deve portare alla necessità di costruire dei modelli che permettano di spiegare le caratteristiche rilevate. Mettere in campo i modelli di rotazione della Terra, e del Sole intorno alla Terra. Chi si muove? Non è necessario arrivare in questo momento ad una risposta definitiva a questa domanda, che richiede un lavoro ulteriore di indagine: è invece necessario, ai fini del nostro problema, dimostrare l’equivalenza dei fenomeni che si creano sia che si muova la Terra, sia che si muova il Sole. Eventuale utilizzo di una animazione al computer. • La discussione deve concludersi con una esercitazione pratica delle due ipotesi contemplate. Il valore formativo di questo confronto tra pari, in classe va ben aldilà dell’obiettivo pur importante di trovare una spiegazione al problema ape rto. Essa fornisce a tutti i membri della classe un esempio sulla metodologia scientifica, sul valore del dibattito per convalidare un’ipotesi “vincente”. L’aspetto argomentativo assume in questa fase del lavoro in classe una importanza primaria, non potendosi accettare “opinioni” che non siano raffrontabili con la realtà fenomenica osservata. • Qualunque sia il modello adottato (si può accettare, cioè, di parlare di “moto del Sole”, invece che di rotazione della Terra) ciò che è necessario rilevare riguarda: § il verso del moto § i luoghi della Terra sullo stesso meridiano “vedono” il Sole contemporaneamente § i luoghi posti su meridiani differenti “vedono” il Sole in successione, e lo “vedono” prima quelli più ad Est. • L’uso del mappamondo aiuta a “visualizzare” gli effetti del moto (sia Terra o Sole). Si può dare ora una definizione precisa di “giorno”, come l’intervallo di tempo che intercorre tra due successivi passaggi del Sole in 27 meridiano. L’insegnante può istituzionalizzare12 anche rispetto al concetto di “giorno” come evento ciclico, definito attraverso un quadro teorico che permette di rappresentare e prevedere (insomma “conoscere”) il fenomeno, alla base della misura del tempo. • Sorge a questo punto un ulteriore problema: come mai allora gli orologi segnano TUTTI mezzogiorno? La discussione deve portare gli studenti alla introduzione della necessità di raggiungere un accordo sulla definizione del mezzogiorno dell’orologio per comodità degli abitanti di una nazione, di uno stato... • Conclusione: ma allora il mezzogiorno è lo stesso per tutti i popoli o no? E’ agevole a questo punto introdurre e definire i fusi orari. Il mezzogiorno è uguale per quelli che…..Può essere utile un’esercitazione sul mappamondo per scoprire cosa succede in un qualsiasi gior no sui vai punti della Terra. La situazione migliore è quella di posizionare il mappamondo in modo che rappresenti perfettamente la situazione del punto in cui ci troviamo. Per questo basta smontare un mappamondo dal suo supporto e posizionarlo in modo che “sia orientato con esattezza e stabilità come se fosse una copia esatta della terra, sospesa nello spazio, vale a dire con il suo asse polare parallelo all’asse della terra ed in più, con il punto geografico stampato sul mappamondo corrispondente alla località nella quale si sta eseguendo la realizzazione fatta risultare sulla sommità del globo”(C.L. Stong, 1960) 13. In questa attività si pongono altri problemi, legati al concetto di latitudine, che apre un altro interessante percorso da compiere, nel caso in cui questo concetto non sia stato ancora assimilato. 12 Con questo termine ci si riferisce al lavoro dell’insegnante, più precisamente il concetto di istituzionalizzazione identifica il momento nel quale il sapere acquisito viene “ufficializzato” dall’insegnante come sapere della classe e collocato nella specifica disciplina di riferimento. 13 La descrizione analitica della “meridiana universale” da cui è tratto il brano citato, è contenuta in C.L.Stong, 1960, Lo scienziato dilettante (contenente materiali pubblicati da Scientiphic American tra il 1952 e il 1960), Sansoni editore. Ulteriore descrizione di questo strumento (con il nome mappamondo parallelo) è contenuta in N. Lanciano, 2002, Strumenti per i giardini del cielo, Quaderni di Cooperazione Educativa. 28 Come è evidente da questa traccia, molte domande restano aperte, molti altri itinerari si intersecano con questa esperienza: a noi queste domande aperte sembrano il segno inequivocabile della complessità della conoscenza e della necessità di raccogliere la sfida della scienza, che non si chiude mai in sé stessa. Una esperienza che ci piace estendere a tutti i bambini e ai loro insegnanti. 29 30 Bibliografia di riferimento Antiseri D. 1977, Epistemologia e Didattica delle Scienze, Armando, 38 Bachelard G.,1938-1999, La Formazione dello spirito scientifico, Cortina editore, pag. 251-252 Karplus R. et al., 1975, Rinnovamento dell’educazione scientifica elementare , Zanichelli Graves R., I Miti greci.” (Longanesi, 1983, V) Lai S. e Proverbio E., 1992, Tempo fisico e tempo meteorologico nello sviluppo cognitivo infantile , Scuola e città, n. 9 Lai S., 2002, Trasposizione Didattica:vincoli del sistema scolastico in Lai S. e Calledda P. (a cura di), 2002, La Didattica dell’Astronomia, Supplemento n. 3 a Giornale di Astronomia , 13-27 Lai S.,1990, Dall’oggetto al concetto e ritorno – Le strategie per la formazione della mentalità scientifica , La Vita scolastica, n.12, 9-11 Lai S., 2002, Analyse des conditions d’enseignabilité de l’Astronomie et de l’Astrophisique, Memoire DEA- Francia , 20-35 Lanciano N., 2002, Strumenti per i giardini del cielo, Quaderni di Cooperazione Educativa, 47-55 Massaro F., Turricchia A., settembre 1999, Giornale di Astronomia, vol 25 n.3 pag 22-26 Perrin-Glorian M.J.,1994, Théorie des situations didactiques : naissance, développement, perspectives, in Vingt ans de didactique des mathematiques en France, Ed. La Pensée Sauvage, Grenoble, 97-147. Piaget J., 1979, Lo sviluppo della nozione di tempo nel bambino, La Nuova Italia Stong C.L., 1960, Lo scienziato dilettante (contenente materiali pubblicati Scientific American tra il 1952 e il 1960), Sansoni editore. AA.VV “Cielo! un percorso di Astronomia e Fisica per le scuole elementari e medie”- www.polare.it 31 32 Indice Presentazione pag. 1 Inventiamo le costellazioni Introduzione pag. 3 Obiettivi pag. 6 Conoscenze supposte acquisite pag. 7 Come si svolge l’esperienza pag. 7 Che ora è: il mezzogiorno vero Introduzione pag.13 Obiettivi pag.18 Conoscenze supposte acquisite pag.18 Descrizione dell’esperienza pag.20 All’aperto pag.22 In classe pag.23 Bibliografia di riferimento pag.29 Indice pag.31 33