Comune di Bologna
U.O. Aule Didattiche Centrali
Quaderni del Planetario: percorsi didattici
IV settimana dell’Astronomia
7-13 Aprile 2003
A cura di
Sebastiana Lai, Angela Turricchia
N° 1 - Anno scolastico 2002- 2003
L’immagine di copertina è un disegno di un bambino di seconda elementare che ha frequentato
l’Aula didattica Planetario.
Sebastiana Lai - Didattica dell’Astronomia - INAF- Osservatorio Astronomico di
Cagliari.
Angela Turricchia - Aula Didattica Planetario- U.O. Aule Didattiche Centrali Settore Istruzione -Comune di Bologna.
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Presentazione
“E Ciaùla si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran
conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell’averla scoperta, là,
mentr’ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce,
ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui,
che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella
notte ora piena del suo stupore”. 1
Una delle novelle più belle di Luigi Pirandello racconta lo stupore e
l’emozione che prova il protagonista nello scoprire la luna e ci
rammenta come la contemplazione della luna e del cielo stellato
continui a regalarci intense sensazioni che ci spingono ad
interrogare noi stessi e a porci tante domande alle quali spesso non
troviamo risposta.
Avvicinare i bambini e i ragazzi alla cultura scientifica e ai temi
astronomici significa approntare percorsi didattici che ne rafforzino
le competenze con l’uso di strumentazion i, partendo anche dai più
poveri, e con linguaggi che consentano di rispondere con chiarezza
alle loro curiosità ed ai loro interrogativi.
L’osservazione diretta dei fenomeni e la sperimentazione di nuove
metodologie didattiche devono tendere anche a sviluppare capacità
pratiche e concrete che recuperino in prima istanza quelle
conoscenze che, anche in epoche molto vicine a noi, facevano parte
di un comune bagaglio culturale e che servivano a chiedere frutti
alla terra e a navigare nei mari.
I quaderni dell’Aula didattica “Planetario” del Comune di Bologna
sono stati pensati come modalità di presentazione di percorsi
didattici o di esperienze che si pongono l’obiettivo di coniugare
l’astronomia teorica con l’astronomia osservata, realizzati in
collaboraz ione con insegnanti delle scuole di Bologna e della
Provincia di Bologna, e vogliono diventare un appuntamento e un
punto di riferimento costante per le attività che vengono proposte
agli allievi.
La responsabile della U.I. Rete scolastica
Dott.ssa Grazia Russo
1
L.Pirandello “Ciaula e la luna”- copyright Mondadori Editore - Segrate
3
4
I percorsi
Sono presentati di seguito due percorsi didattici brevi, “Inventiamo le
Costellazioni” e “Che ora è: il mezzogiorno vero”, realizzati nell’ambito
dell’attività dell’Aula didattica Planetario del Comune di Bologna (U.O. Aule
didattiche) da Angela Turricchia in occasione della IV settimana dell’Astronomia
indetta dal MIUR in collaborazione con gli insegnanti delle classi.
L’attività legata a “Inventiamo le Costellazioni” è stata svolta in collaborazione
con il Centro studi Serafino Zani di Lumezzane - Brescia e ha visto l’affluenza al
Planetario di 482 bambini della scuola elementare e della scuola media inferiore.
L’esperienza della misura del mezzogiorno relativa al percorso “Che ora è: il
mezzogiorno vero”,
promossa dell’EAAE (European Association
for
Astronomy Education) ha visto invece il concorso di varie classi sparse nel
territorio nazionale ed è stata coordinata da Angela Turricchia, in qualità di
delegata dell’Associazione citata.
I percorsi che ne sono scaturiti e che vengono presentati nelle pagine successive
rappresentano la rielaborazione di queste e di esperienze analoghe rivisitate alla
luce di una progettualità e di una metodologia didattica complessiva allo scopo di
renderle operative e riproducibili anche in altri contesti scolastici.
Hanno collaborato all’esperienza tutti gli insegnanti delle scuole elementari
Carducci, Fortuzzi e Cremonini-Ongaro (VIII Circolo Didattico di Bologna);
insegnanti delle Scuole Medie statali Testoni-Fioravanti; delle scuole elementa ri
Casaralta; Don Bosco; Marella; Ercolani; Guidi; De Amicis di Bologna e della
Scuola Media Statale Matteucci di Granarolo nell’Emilia- Bologna.
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4
Inventiamo le costellazioni
Introduzione
“Il mito è bisogno di spiegare la realtà, di superare e risolvere una contraddizione
della natura (come nasca il primo uomo per esempio), il mito è spiegazione di un
rito, di un atto formale che corrisponde a esigenze della tribù (l’invocazione della
pioggia), il mito è struttura delle credenze di un gruppo, di un etnos (la condanna
dell’incesto) ecc. ecc. Ma, come dice la parola, il mito è innanzitutto un racconto:
c’è una storia da presentare, che ha lati terribili, ma anche spesso risvolti patetici o
sorridenti, ci sono dei personaggi in azione, una trama che si snoda”. Con queste
parole si apre la presentazione da parte di Umberto Albini del testo ormai
diventato un classico, di Robert Graves, I Miti greci.” (Longanesi, 1983, pag. V).
I nomi delle costellazioni che si osservano durante il corso di un anno evocano
antichi miti greci, ordiscono racconti percorsi da forti passioni e tensioni emotive,
suggellando nello spazio e nel tempo dei fenomeni celesti i personaggi che essi
rappresentano. Così se si trova Orione, il cacciatore, il racconto induce a cercare il
Cane Maggiore e in esso la stella brillantissima nel cielo invernale: Sirio. Ma
Orione non è solo un mito, la cintura di Orione rappresenta anche uno dei tre
grandi cerchi del cielo, l’Equatore, segnando con una “immagine” una geometria
dello spazio.
Le costellazioni non tramandano dunque solo delle grandi storie, che riportano
antichi interrogativi ai quali ogni civiltà apparsa sulla Terra continua
incessantemente a dare risposte, ma consentono una memoria “visiva” di luoghi e
tempi dello spazio costruiti dall’Astronomia. Le costellazioni circumpolari, le
costellazioni dello Zodiaco, le costellazioni equatoriali emergono infatti come
saperi dell’Astronomia di posizione, come problemi della scienza astronomica
elaborata da oltre duemila anni di storia della scienza.
Perché allora proporre un percorso che ha un obiettivo apparentemente così
provocatorio quale quello di “inventare” le costellazioni? Le ragioni sono tutte di
5
ordine didattico, naturalmente. Se le costellazioni svolgono questa fondamentale
funzione di rappresentazione culturale, e di geometrizzazione dello spazio del
cielo consentendo memorizzazione e orientamento allora appare evidente la
necessità di rendere problemi di apprendimento degli studenti questi oggetti di
insegnamento in ambito scolastico.
I processi di insegnamento/apprendimento mettono in primo piano le reciproche
relazioni didattiche tra insegnante/allievi e saperi da apprendere, in una situazione
didattica data. Rendere esplicite queste relazioni è compito primario della
didattic a
disciplinare,
e
comporta
l’identificazione
dei
rispettivi
ruoli
dell’insegnante e degli alunni rispetto ai contenuti disciplinari, posta in gioco della
situazione didattica in classe. Nel percorso che presentiamo si tiene conto dell’
esigenza di descrivere operativamente le azioni professionali dell’insegnante e le
azioni dell’alunno rispetto agli obiettivi del percorso Inventiamo le Costellazioni.
Ricordiamo la natura complessa dell’atto dell’insegnamento/apprendimento: lungi
da ogni idea di linearità d i questo processo, il percorso descritto richiede la
contestualizzazione nella specificità della propria classe da parte di chi vuole
ripetere l’esperienza.
Creare la motivazione, consentire, cioè, che ciascuno studente attribuisca un
senso all’attivit à proposta, nelle diverse situazioni in cui queste possono essere
riprodotte, è cura dell’insegnante di classe.
Avere a disposizione comunque una sequenza ragionata di domande, di obbiettivi,
di attività da svolgere rappresenta sicuramente uno strumento utile per progettare
percorsi specifici nelle realtà delle varie scuole.
Uno dei vincoli posti dal carattere non lineare dell’apprendimento, come è noto, è
rappresentato dall’esistenza di ostacoli epistemologici nella costruzione delle
conoscenze scientifiche. Secondo l’interpretazione data Bachelard gli ostacoli
epistemologici esprimono la natura problematica della costruzione dello spirito
scientifico. Gli ostacoli epistemologici sono dunque rintracciabili nella storia
6
stessa della scienza. Non vanno ig norati, come ci ricorda G. Brousseau, studioso
di Didattica della Matematica, quando si è interessati alla costruzione dei saperi da
parte degli alunni (non solo alla trasmissione da parte dell’insegnante), poiché
l’ostacolo è costituito come una conoscenza, ha un suo dominio di validità che lo
rende (o lo ha reso) efficace a risolvere problemi, e per questa ragione esso è
resistente al cambiamento. Superare, attraverso attività didattiche adeguate, gli
ostacoli
epistemologici
è
dunque
uno
degli
obiettivi
dichiarati
dell’insegnamento/apprendimento a carattere sperimentale.
Nell’astronomia uno degli ostacoli fondamentali è dato dal concetto di Spazio 1.
Questo percorso costituisce un primo approccio al superamento di una idea
aristotelica dello spazio, di una idea di tipo animistico ancora prevalente, secondo
gli studi della scuola piagettiana, nei bambini fino a 7-8 anni. Il cammino da
compiere è naturalmente molto lungo, e questa esperienza è solo il primo passo
verso la costruzione scientifica dei fenomeni celesti. Occorre essere consapevoli
però che in ogni azione educativa è implicata una complessità il cui obiettivo non
può che essere quello di motivare gli studenti verso apprendimenti significativi.
Quando si pongono i bambini di fronte ad un cielo stellato, anche quello
“artificiale” del Planetario, essi appaiono sgomenti,” non mi ci raccapezzo più tra
tutti quei puntini” dicono i bambini che frequentano l’Aula Didattica. Una
immediata introduzione al mito, li lascia confusi nella ricerca dei “personaggi”
evocati dal racconto.
Far capire agli studenti la necessità di creare aggregazioni per ricordare ciò “che si
vede”, e per comunicare ciò che “si è visto”, identificare, poi, attraverso queste
immagini i luoghi speciali dove queste aggregazioni sono collocate rappresentano
gli obiettivi più generali di questo percorso. L’esperienza
personale
dell’inventare rende intuitivamente più comprensibile l’atto originario del Mito e
delle Costellazioni, attiva nello stesso tempo negli alunni la capacità di disting uere
1
Un’ analisi degli ostacoli epistemologici in Astronomia è contenuta in S.Lai, Analyse des
conditions d’enseignabilité de l’Astronomie et de l’Astrophisique, Memoire DEA,giugno 2002
7
e separare nello spazio “ciò che appartiene “ alla figura “immaginata” da ciò che
“resta fuori”, atti costitutivi preliminari ad ogni geometrizzazione della realtà.
Partire dal Planetario per tornare a scuola: l’ intento didattico si manifesta nella
organizzazione e gestione di ogni singola fase del lavoro proposto. L’operatrice
del Planetario agisce nella
funzione insegnante : guida attraverso domande la
progressione dell’esperienza, istituzionalizza i risultati raggiunti, crea le basi per
una valuta zione in classe, lascia aperti interrogativi sui quali l’insegnante potrà
lavorare nel seguito.
Ci pare questa una buona pratica di interazione scuola -territorio che permette di
utilizzare le specificità di un laboratorio come il Planetario nell’ambito della
progettazione didattica dell’insegnante, creando una continuità
tra le attività
“dentro la classe” e quelle “fuori classe”, che insieme creano il programma di
scienze 2.
Obiettivi
•
Far comprendere la necessità della geometrizzazione della realtà
fenomenica come pr imo approccio scientifico all’astronomia.
•
Far comprendere il significato e l’importanza che ha sempre
avuto, anche nella storia dell’uomo, la costruzione di “immagini nel
cielo”.
•
Far comprendere la natura “arbitraria” di queste immagini, alle
quali non corrisponde una realtà oggettiva né tanto meno una necessità di
tipo “fisico”.
2
Un esempio di questa attività è visibile in “La vita cos’è, com’è, dov’è?” coordinata da
A.Turricchia dell’Aula Didattica Planetario e in “Cielo! un percorso didattico di Astronomia e
Fisica” cui l’Aula Didattica Planetario ha collaborato come coordinamento didatticometodologico. Questi percorsi sono scaricabili da rete all’indirizzo www.polare.it.
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Conoscenze supposte acquisite.
Il primo ostacolo da superare per i bambini è, al buio, la mancanza di punti di
riferimento nel cielo del Planetario: le stelle appaiono come punti luminosi sparsi
nella volta celeste, priva di riferimenti anche rispetto ad un ipotetico orizzonte
terrestre che separi cielo e Terra. Non ci sono case o alberi come sull’orizzonte
locale che fungano da base per tracciare allineamenti seppur temporanei. Occorre
trovare nel cielo il riferimento rispetto al quale orientare lo sguardo e individuare
le aggregazioni di punti luminosi. Questo punto è identificato dalla stella polare,
attorno alla quale ruotano tutte le altre stelle. Il percorso presuppone quindi come
conoscenza pregressa la capacità di individuare questo punto fisso nel cielo.
Questa è una osservazione estremamente importante in quanto la ricerca di
ulteriori punti di riferimento può avvenire soltanto dopo aver verificato che le
posizioni relative delle stelle tra di loro rimangono fisse, sono solidali tra loro nel
moto apparente del cielo. Il percorso inizia quindi con la identificazione, sotto la
guida dell’operatrice, della Polare, attraverso il Carro Maggiore, spesso già noto a
tutti i bambini che visitano il Planetario. Non si utilizza comunque il termine
costellazione, si segue semplicemente l’allineamento dei due puntatori (le ultime
due stelle del Carro Maggiore) e prolungando lo sguardo si incontra la Polare.
Essa viene nominata in quanto stella “immobile” che indica il punto Nord celeste.
Come si svolge l’esperienza.
• Osservazione del cielo al Planetario. Occorre ricordare che il Planetario
dell’Aula didattica permette di vedere il cielo come se si stesse affacciati alla
finestra (vediamo cioè un quarto di cielo). I bambini devono “impratichirsi” con
l’osservazione: devono cioè superare il momento emozionale di vedere tante stelle
per iniziare a porsi le domande su come poter ricordare, riferire, rappresentare ciò
che stanno vedendo. Si è pertanto deciso di costruire una situazione didattica che
faciliti questo compito, lasciando fermo il Planetario per circa 15 minuti. (il moto
reale del cielo sarebbe sufficientemente lento per considerare questa finzione
“corretta” per la durata dell’esperienza così come è stata realizzata). Proprio in
9
funzione di questa scelta, di tenere il Planetario fermo, di astrarre cioè dal moto di
rotazione,
è stato posizionato
il Planetario in modo che i bambini vedano,
affacciati alla loro immaginaria finestra, la stella polare (i bambini sono cioè
rivolti verso il Nord celeste). La sua identificazione è quasi immediata.
•
L’operatrice del Planetario (che chiameremo nel seguito semplicemente
insegnante ) invita i bambini ad osservare attentamente una parte ben delineata
della volta celeste, la zona circumpolare nella quale si staglia nettamente
Cassiopea (costellazione circumpolare da Bologna e quindi sempre visibile nel
cielo), il Carro Maggiore e a descrivere ciò che essi vedono. In questa fase
possono esprimere ad alta voce le proprie impressioni e le difficoltà che
incontrano nella descrizione. Ben presto il problema, corale, che si pongono è
“ma io non vedo nulla!” “vedo solo dei punti”. I bambini vengono lasciati liberi di
discutere e di cercare di individuare di quali punti stanno parlando. Viene
utilizzata una freccia luminosa che i bambini si passano l’un l’altro per
individuare le stelle di cui si parla. Ma ben presto il problema diventa: “non mi
ricordo più”! Sorge pertanto la necessità di raggruppare le stelle e di trasformare
in una “immagine” questi raggruppamenti. L’insegnante sollecita allora
l’attenzione dei bambini verso la ricerca di “configurazioni” che suggeriscano loro
una qualche “figura”, reale o fantasiosa, escludendo il raggruppamento che quasi
tutti i bambini conoscono, il Carro Maggiore, per non farsi condizionare da
immagini “stereotipate”.
•
Tra le stelle individuate gua rdando il cielo ogni bambino sceglie quelle
che gli sembrano rappresentare una immagine che ritiene interessante per sé e a
questo punto ciascuno deve ricordare le stelle del raggruppamento scelto, la
posizione relativa delle stelle e inventare l’immagine che desidera disegnare.
I metodi adottati per la rappresentazione grafica sono di due tipi:
a-
disegno su cartoncino che viene poi forato con un punteruolo: ogni
foro una stella;
b - riproduzione su carta delle stelle del raggruppamento; appoggiando la
carta sul vetro si possono ripassare le stelle su un diverso foglio di carta.
10
Fig.1 - Alcuni disegni che i bambini hanno eseguito durante l’esperienza.
La maggior parte dei bambini ha identificato nelle stelle una immagine di una farfalla.
11
•
Ogni bambino esegue il lavoro con il metodo che preferisce e con la
tecnica pittorica che desidera. Tutte le immagini ottenute vengono appese e
ciascun bambino spiega quello che ha fatto. Ogni racconto provoca discussioni,
scoperta di immagini comuni, meraviglia per le più fantasiose, ma soprattutto
emerge da queste differenze il bisogno di trovare un linguaggio comune per
comunicare la realtà fenomenica che è sopra gli occhi, uguale per tutti. La
necessità di avere strument i comuni per parlare e descrivere la medesima realtà è
molto sentita e avvia alla geometrizzazione, alla ricerca di un modo di
rappresentare lo spazio celeste, dentro il quale collocare gli oggetti trovati. Si apre
un nuovo percorso, una nuova domanda alla quale rispondere.
•
Sulla base dell’attività svolta l’insegnante può istituzionalizzare già alcuni
risultati raggiunti affinché tutti abbiano piena consapevolezza di “ciò che si è
imparato” in questa breve esperienza e può mettere in evidenza che:
a. le stelle possono essere aggregate in “figure”, che le rende “riconoscibili”
come aggregati solidali, e insieme ad altre vicine nello stesso cerchio di
cielo individuano una “zona” ben segnata.
b. Si denomina la “zona del cielo, circumpolare e si fornisce una pr ima
definizione del suo significato spazio-temporale. (Stelle che si vedono
tutto l’anno…intorno al polo)
c. La raffigurazione delle stelle è soggettiva e quindi arbitraria.
L’insegnante pone ora una domanda cruciale che sintetizziamo in: “Avete
inventato delle bellissime immagini. Ma ognuno ne ha individuato una diversa
dagli altri: Come fare a comunicare e descrivere ciò che si vede in modo che tutti
indipendentemente da dove si trovano possano comprendere ciò a cui ci si
riferisce? E’ una domanda che molto tempo prima di noi gli antichi si sono posti.
Hanno anche loro inventato immagini e le hanno chiamate Costellazioni. Hanno
dei nomi e figure diverse a seconda dei luoghi da cui hanno osservato”.
•
Vengono quindi proiettate sulla cupola delle immagini di figure
“tradizionali” della nostra cultura e alcune immagini di raggruppamenti
caratteristici della cultura pellerossa. Viene evidenziato il fatto che questa è una
pratica diffusa nel tempo nella storia, nella cultura degli uomini; ogni popolo ha
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utiliz zato delle aggregazioni diverse e delle immagini diverse. Sono costellazioni
che rappresentano immagini e storie. Ad esse sono legati i miti. Si invitano i
bambini
ad osservare nuovamente il cielo del Planetario e cercare tutti la
costellazione di “Cassiopea” .
• Si introduce quindi la nascita del mito, su cui ci si può o meno soffermare
(dipende dai tempi a disposizione); resta altrimenti come una nuova pista di
lavoro in classe.
Il percorso termina lasciando aperti nuovi interrogativi che avviano ad
osservazioni di altri fenomeni astronomici. Un solo esempio: “Perché le
Costellazioni circumpolari, non tramontano mai per noi?”
13
14
Che ora è: il mezzogiorno vero
Introduzione
Nell’ esperienza quotidiana di tutti i bambini la misura del tempo, il “che ora è”,
è rappresentato da un gesto, uno sguardo all’orologio e la risposta è “pronta”. Ma
in realtà questa risposta è ben lontana dal poter essere “spiegata” da questi stessi
bambini. Il tempo, di cui tutti avvertono il passare , di cui tutti hanno percezione
solo indiretta attraverso il “cambiamento” è nella sua definizione un concetto
astratto, la cui misura non è affatto “immediata”. La costruzione di questo
concetto nei bambini è legata a fattori di ordine logico, alla maturazione del
pensiero reversibile, come ci insegna J. Piaget (1979) 3. Il passaggio dal tempo
percepito, legato alla memoria, al cambiamento, al tempo assoluto newtoniano
comporta un processo di riequilibrazione tra il tempo “vissuto” e il tempo
rappresentato, la cui costruzione richiede il superamento della identificazione in
termini puramente spaziali di concetti primitivi come il prima e il dopo,
l’acquisizione del concetto di simultaneità, di uguaglianza di tempi sincroni e
soprattutto la valutazione di durata , che si struttura coordinando movimento e
velocità di ciò che accade al di fuori di noi. La misura del tempo non è dunque un
concetto intuitivo, anche se quasi mai è oggetto di un insegnamento esplicito in
ambito scolastico.
L’analisi storica del concetto di tempo e della sua misura mostra la complessità di
questo concetto di cui si trova traccia negli stessi modelli spontanei dei bambini4:
è un ostacolo epistemologico5, e come tale richiede la messa in campo di
3
Si veda l’analisi di Piaget in: Piaget J., 1979, Lo sviluppo della nozione di tempo nel bambino, La Nuova
Italia.
4
Un’ analisi dello sviluppo dei concetti temporali è contenuta in : Lai S. e Proverbio E., 1992, Tempo fisico e
tempo meteorologico nello sviluppo cognitivo infantile, Scuola e città, n. 9, 386-393.
5
Secondo la definizione data in Inventiamo le Costellazioni, in questo stesso volume, si veda Bachelard
G.,1938-1999, La Formazione dello spirito scientifico, Cortina editore, 251-252
15
situazioni didattiche che consentano una interazione dialettica, uno scontro con la
difficoltà, attraverso le quali il “vecchio” (le conoscenze spontanee dei bambini) e
il “nuovo” (la conoscenza scientifica cui si mira) si ricompongano in una nuovo
sapere, personalizzato e contestualizzato e poi reso generalizzabile.
Nell’ambito della IV Settimana dell’Astronomia ci è parso importante rendere
consapevoli i bambini del senso della misura nella scienza, rendere problematico
per loro un gesto cosi quotidiano. Non è inopportuno, se si vuole costruire, per
riprendere G. Bachelard, uno spirito scientifico. Sul problema della misura si
determina, infatti, il divario fra il pensiero realista e il pensiero scientifico. Ne La
Formazione dello spirito scientifico (1938) Bachelard scriveva: “ Il realista tocca
subito con mano l’ogge tto particolare. Lo descrive e lo misura perché lo
possiede…Lo scienziato, al contrario, si avvicina a questo oggetto inizialmente
mal definito. E innanzitutto si appresta a misurarlo. Egli ne discute le condizioni
di studio determinando la sensibilità e la portata dei suoi strumenti, quindi
descrive piuttosto il suo sistema di misura che l’oggetto della sua
misurazione…Lo scienziato crede al realismo della misura più che alla realtà
dell’oggetto…Quando il grado di approssimazione viene fatto variare, allora
l’oggetto può cambiare di natura…L’oggettività viene allora affermata al di qua,
non al di là della misurazione, come metodo discorsivo e non come intuizione
diretta dell’oggetto. Occorre riflettere per misurare e non misurare per riflettere.”
(Bachelard, 1938-1999).
La scienza costruisce i suoi oggetti, dunque, attraverso la misura. Occorre
insistere sulla componente teorica degli strumenti di misura, e sulla necessità, di
conseguenza, che essi non siano considerati a scuola meri strumenti pratici da
utilizzare, ma siano essi stessi primariamente oggetti di conoscenza.
La misura del tempo è stata sempre un problema cruciale per tutte le civiltà. Per
alcuni popoli, come quello egizio, misurare il tempo era condizione essenziale per
la stessa sopravivenza, perché consentiva di anticipare gli eventi ciclici naturali e
16
programmare la vita economica e sociale. La misura del tempo è stata una spinta
cruciale per lo sviluppo stesso dell’Astronomia. Non si può dimenticare il peso
della riforma del calendario tra le spinte che hanno portato alla stessa rivoluzione
copernicana.
Comprendere la storicità della costruzione scientifica, l’ impatto sociale della
scienza e delle tecnologie nella soluzione dei problemi pratici della società
consente di edificare il pensiero critico dei bambini. Se non si vuole che restino
solo “parole”, l’approccio a qualsiasi concetto scientifico, soprattutto quelli che
costituiscono
ostacolo epistemologico, non può prescindere dal fornire gli
strumenti metodologici e culturali che aiutano a capire questa evoluzione.
Una strada per raggiungere questo risultato è, come suggerisce il grande
epistemologo K. Popper, quella di far inciampare i bambini nei problemi in cui è
inciampata la scienza.
Ci pare che l’esposizione del pensiero di Popper ad opera di D. Antiseri in
Epistemologia e Didattica delle Scienze (1997), riassuma in maniera esemplare
per la sua sinteticità sia le ragioni di una tale impostazione che la stessa
metodologia scientifica. “L’uomo è una memoria biologico-culturale. E quando
qualche pezzo di realtà urta contro qualcuna delle aspettazioni prodotte dalla sua
memoria, allora abbiamo i problemi. Un problema è dunque una aspettazione
delusa. 6 E i diversi uomini o i diversi gruppi inciampano in questi e non in altri
problemi perché si ricordano certe cose piuttosto che altre, cioè perché sono eredi
di questa tradizione e non di un’altra.”
La concezione del problema come aspettazione delusa, implica la natura
ipotetico-deduttiva propria della scienza: l’aspettazione presuppone, infatti, prima
l’esistenza di una ipotesi che rappresenta lo specifico punto di vista dal quale si
guardano le cose. E ancor prima delle ipotesi è l’attività “questionante”, il porsi
domande a costituire il primo passo verso la costruzione scientifica della realtà. In
questa sintesi si ravvisa, a noi pare, una progettualità che la scuola dovrebbe far
propria.
6
Il corsivo in questa frase è nostro.
17
La proposta di determinare con una misura il mezzogiorno non si identifica nella
sola
attività pratica, ma costituisce un itinerario didat tico da cui si snodano
obiettivi più generali di tipo concettuale e formativo.
Se si pone quale finalità centrale dell’insegnamento scientifico l’acquisizione di
capacità , tra queste certamente le capacità di processo, per usare il linguaggio
di R. Ka rplus 7 sono indispensabili per formare una mentalità scientifica stabile e
decontestualizzabile, in quanto
rappresentano gli strumenti intellettuali con i
quali si attua proprio la conoscenza scientifica. L’osservazione, la misurazione, la
classificazione insieme alle operazioni di inferenza e di previsione definiscono,
infatti, gli assi portanti di una scienza che si pone compiti esplicativi e non solo
descrittivi. I fenomeni diventano in questa ottica un “pretesto” per organizzare
situazioni didattic he attraverso le quali costruire queste capacità e gli stessi
concetti scientifici 8.
Trasformare una esperienza quotidiana in un “fatto scientifico” dentro la classe: è
questo l’oggetto della didattica disciplinare. Il lavoro dell’insegnante nella fase di
avvio dell’esperienza didattica è estremamente delicato, poiché la motivazione ad
apprendere è essa stessa un processo a carico dell’insegnante. L’attività che
abbiamo precedentemente definito “questionante” ne è l’avvio. Creare le
condizioni per porre domande condivise dalla classe è il terreno su cui
l’insegnante prepara gli allievi a cercare risposte che nascono dallo scontro tra ciò
che essi sanno e ciò che l’evento o fenomeno studiato pone loro davanti. Spiegare
i fenomeni comporta l’invenzione, l’utilizzazione di modelli che rendano conto di
ciò che si vede. La misura è strumento principe per mettere a confronto modello e
realtà.
Abituare a ragionare per modelli ci pare una delle prerogative più fertili cui oggi
l’astronomia può assolvere a scuola. Rende critici, creativi, argomentativi. Dietro
7
Si veda R. Karplus e al. (1975), Rinnovamento dell’educazione scientifica elementare, Zanichelli
Un esempio di applicazione di questa impostazione che ci pare ancora valida è contenuta in : Lai
S.,1990, Dall’oggetto al concetto e ritorno – Le strategie per la formazione della mentalità
scientifica, La Vita scolastica, n.12- 9-11
8
18
la determinazione del mezzogiorno vero c’è il modello di rotazione della Terra;
ma la realtà fenomenica fa “osservare” che è il Sole che si muove. Sicuramente
tutti i bambini sanno che è la Terra a muoversi: ma non hanno prove; mettere in
crisi sul piano argomentativo queste “certezze” diventa necessario se non si vuole
perdere il senso del lavoro scientifico.
Un po’ controcorrente, quindi, nella IV settimana dell’Astronomia rilanciamo la
necessità di porsi domande, fare ipotesi, creare modelli, confrontarli con la
realtà…insomma
la
metodologia
scientifica,
sperimentale,
che
sfugge
all’imperativo del “solo immagine”, solo risposte costruite da altri senza
nemmeno porsi una domanda.
I tempi dell’appre ndimento allora si dilatano, e la risposta che prima si esauriva in
un gesto ora diventa un cammino lungo il quale si intrecciano altre domande, nel
gioco infinito proprio della scienza.
Ultimo, ma non per importanza, il lavoro di cooperazione tra scuole , tra classi, tra
bambini “bravi” e “meno bravi” riconduce a fatto educativo la cultura dello
scambio, la costruzione sociale delle conoscenze. Un lavoro di confronto che
mostra in maniera esemplare il carattere interattivo della cultura in senso lato.
Il percorso che proponiamo rappresenta una sequenza “problematica”, frutto di
sperimentazioni in classe 9, e in particolare ripercorre le tappe del lavoro realizzato
nell’ambito della IV
Settimana dell’Astronomia a Bologna. Non si tratta
ovviamente di un resoconto completo di questa ultima esperienza, (non abbiamo
riportato ad es. le interessanti discussioni avvenute in classe..), ma a questa
esperienza si riferiscono invece le foto e i materiali elaborati dai bambini, qui
riprodotti.
9
Esempi di sequenze didattiche sono contenute anche in “Cielo! Un percorso di Astronomia e
Fisica per la scuola elementare e media” – Autori Vari , scaricabile dal sito http://www.polare.it
19
Obiettivi
Dal punto di vista del sapere, il percorso didattico si pone come obiettivo
disciplinare l’introduzione del mezzogiorno vero , la convenzionalità del
mezzogiorno civile e i fusi orari . Sulla base delle argomentazioni svolte
nell’Introduzione si pongono evidentemente anche
altri obiettivi più
generali che, nell’insieme, sintetizziamo nel seguito alcuni dei quali
verranno totalmente acquisiti con ulteriori esperienze .
•
Acquisire il valore della “misura” per la scienza.
•
Acquisire una metodologia scientifica e un atteggiamento critico
verso la realtà.
•
Comprendere il valore dei modelli
per spiegare i fenomeni
naturali.
•
Comprendere il valore “convenzionale” del mezzogiorno civile.
Conoscenze supposte acquisite
La possibilità di riprodurre un percorso didattico già realizzato in determinate
situazioni scolastiche dipende da molte variabili. La trasposizione didattica 10 in
classe di uno specifico sapere è infatti funzione del tipo di scuola, del programma
nel quale esso è inserito, del “tempo” dell’insegnamento in senso lato. I tempi
dell’apprendimento introducono poi ulteriori condizionamenti, essendo legato alle
conoscenze degli alunni “concreti” con i quali si lavora in classe e alle loro
risposte ai problemi posti che fungono da filo rosso per la costruzione di nuove
conoscenze. E’ quindi evidente che in classe “l’inizio” del percorso è collocato in
punti differenti a secondo della trasposizione didattica operata dall’insegnante su
questi concetti. E’ necessario comunque operare un’analisi a priori dei saperi in
gioco, poiché alcuni di essi sono obiettivamente antecedenti e individuano in
questo senso una sequenza privilegiata nella conduzione del percorso stesso.
10
Uno studio sulla trasposizione didattica dell’Astronomia è contenuta in : Lai S. e Calledda P. (a cura di),
2002, La Didattica dell’Astronomia, Supplemento n. 3 a Giornale di Astronomia.
20
Le conoscenze supposte acquisite
dagli studenti per la realizzazione
dell’esperienza di misura del mezzogiorno vero sono le seguenti:
§
La forma della Terra; è sufficiente il concetto di sfericità della Terra.
§
La luce e le ombre: attività pratiche sulla formazione e dimensioni delle
ombre, rilevando in particolare la relazione tra altezza degli oggetti e
lunghezza dell’ombra, relativamente a vari oggetti.
§
Il “cammino diurno del Sole”: osservazioni dirette della traiettoria del
Sole nella volta celeste; occorre anche aver acquisito il fatto, anche solo a
livello qualitativo, che in giornate diverse durante l’anno il “Sole sembra
fare percorsi diversi” occupando quindi posizioni differenti, più o meno
alte rispetto all’orizzonte locale, nel cielo.
§
La linea meridiana: osserva zione diretta, anche solo qualitativa, del fatto
che quando il Sole si trova nel punto di massima altezza sull’orizzonte, in
qualsiasi giorno dell’anno, le ombre si trovano sempre sulla stessa linea (il
Sole è cioè “in meridiano”). La linea meridiana individua la linea NordSud.
§
Angoli, misura di angoli con il goniometro. Concetto di verticalità .
Riproduzione in scala.
§
Gli eventi ciclici: conoscenza dei caratteri peculiari della ciclicità e della
loro misurabilità, almeno a livello intuitivo.
Abbiamo voluto segnalare tutti quei saperi che sono necessariamente coinvolti
nell’esperienza proposta (ve ne sono anche altri, ovviamente) che consentono una
lettura individuale dell’evento analizzato, la possibilità stessa di mettere in
relazione ciò che si vede con ciò che era atteso , e trovare una pista per spiegare la
differenza “atteso/ osservato”. Viste le conoscenze che i ragazzi devono possedere
si suggerisce lo svolgimento di questo percorso nelle ultime classi elementari o
nelle classi di scuola media. Può essere ugualmente svolto nelle prime classi di
scuola superiore nel qual caso si può anche introdurre l’errore di misura.
21
Descrizione dell’esperienza
Tempo utilizzato durante la sperimentazione: circa 20 ore.
Domande di partenza tendenti a “problematizzare” la “ricerca” del mezzogiorno
vero, il cui obiettivo è far emergere la connessione tra ciclicità di un fenomeno e
misurabilità del tempo, considerato come intervallo/durata. Il tempo della
discussione è sicuramente variabile a seconda delle esperienze pregresse dei
bambini rispetto a questa problematica. E’ qui sufficiente comunque un livello
anche solo intuitivo.
•
Partire dagli orologi: clessidre, orologi meccanici, orologi al quarzo:
perché “segnano l’ora”? Attraverso l’uso e la descrizione del funziona mento di
una clessidra, del meccanismo di funzionamento degli orologi far osservare: la
relazione ciclicità/intervallo di tempo; la necessità di una conoscenza precisa del
fenomeno ciclico osservato, ma anche la necessità di poter riprodurre un
fenomeno realmente ciclico che serva come unità di misura.
Fig. 2 - Il periodico scorrere della sabbia dal contenitore in alto a quello in basso, il movimento del
bilanciere nell’orologio a destra rappresentano due modi diversi in cui l’uomo ha usato la
periodicità di alcuni movimenti per misurare il tempo.
Occorre ricordare l’estrema differenza che esiste nella definizione dell’unità di
misura del tempo rispetto a quella ad esempio di lunghezza. Quando misuro una
lunghezza l’unità di misura (il metro) viene utilizzata più volte, ma è sempre la
stessa; quando misuro un intervallo di tempo l’unità di misura (il secondo) non è
sempre la stessa, ma un secondo successivo al precedente. Da qui l’importanza
per l’uomo di produrre dei fenomeni ciclici ma con il minimo errore: basti pensare
alla clessidra e ai “tempi persi” in quanto non misurati al momento in cui occorre
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capovolgerla, all’orologio con carica manuale in cui occorre ricordare il
caricamento per evitare che “il tempo si fermi”, agli orologi al quarzo in cui il
controllo della periodicità è data da un cristallo di quarzo.
•
Come è misurato il tempo senza l’orologio? Introdurre problematicamente
il giorno: cos’è il giorno? E’ sufficiente una prima definizione del giorno come
somma dì/notte. Il dì e la notte, come fenomeno ciclico.
•
Quando inizia il giorno? Da quando si “conta”? La mezzanotte , come
inizio di un nuovo giorno.
•
Cosa rappresenta invece il mezzogiorno? Una prima definizione: la metà
del giorno.
•
Come si fa a sapere quando è mezzogiorno? Cosa succede a mezzogiorno:
il percorso del Sole e la sua massima altezza.
• Si propone, quindi, di misurare l’ombra più corta di uno gnomone per
sapere quando è mezzogiorno.
• Costruzione di uno gnomone. La costruzione di uno gnomone può risultare
estremamente semplice se si sceglie di utilizzare un semplice bastone conficcato
in terra; in questo caso basta usare un filo a piombo per verificare la verticalità
dello gnomone rispetto al suolo. Se invece si sceglie di utilizzare uno gnomone
fissato su una base, occorre verificare che la base sia appoggiata “in piano”, in
caso contrario la verticalità dello gnomone non esiste e quindi qualunque misura
risulta falsata. Si possono utilizzare gnomoni già costruiti oppure costruirne di
diverso tipo. Occorre comunque che lo gnomone abbia una superficie opaca e
ruvida altrimenti si formano fastidiosi effetti di diffrazione; non deve neppure
essere appuntito, altrimenti è difficile, per lo stesso motivo, verificare la direzione
dell’ombra. Se si vuole ovviare a questo fenomeno si può costruire sulla parte
alta dello gnomone un piano con un foro con dimensioni di circa un centimetro di
diametro. Il fascio luminoso del Sole che entra dal foro lascia sul terreno una
chiazza luminosa, il punto da prendere in considerazione è il centro della chiazza
luminosa. Occorre fare attenzione al fatto che in questo caso non parliamo di
ombra, ma di chiazza luminosa. Le dimensioni di uno gnomone non sono
qualificanti dell’esperienza.
23
•
Decisione sulla giornata in cui svolgere l’attività e sincronizzazione degli
orologi con le classi coinvolte. Nel nostro caso abbiamo collaborato con classi di
Foggia, Treviso, Bologna, Firenze, Torino.
All’aperto
•
Durante lo svolgimento dell’esperienza si suggerisce di dividere la classe
in gruppi di lavoro, ai quali affidare specifici compiti per ciascuna delle attività
previste:
§
Osservare l’orologio, e dare il “tempo” per effettuare la misura
dell’ombra.
§
Misurare l’ombra con uno spago o direttamente con un me tro;
servono almeno due bambini, per fissare l’origine dell’ombra
tenendo fermo lo spago, ed uno che segna la fine dell’ombra.
§
Segnare in un quaderno ora e relativa lunghezza dell’ombra.
§
Telefonare alle altre classi d’Italia coinvolte per comunicare
l’ora in cui si è registrata l’ombra minima oppure comunicare
attraverso forum o chat che possono essere opportunamente
predisposte.
•
Osservazione delle ombre durante le ore più vicine al mezzodì per
definire il momento in cui l’ombra risulta essere più corta (c he corrisponde quindi
al momento di massima altezza del Sole sull’orizzonte locale). In particolare
intorno al mezzodì è bene fare misure ogni 5 minuti. Almeno due bambini, per un
reciproco controllo (vedere la Fig. 3 per vedere diversi “gnomoni” usati da
diverse classi)
•
Materializzare il fascio di luce del Sole attraverso un filo che collega la
cima del bastone (gnomone) con l’ombra minima. Otteniamo, percettivamente, un
triangolo i cui tre lati sono rappresentati dal bastone, dall’ombra e dal “filo” che
materializza il fascio di luce.
•
Nel momento in cui si registra l’ombra minima, l’insegnante invita
tutti i bambini a guardare l’ora. Ci si accorge che l’ora segnata dall’orologio non
24
coincide con il mezzogiorno determinato in quell’istante dall’ombra più corta.
Perché?
Fig. 3 – Gnomoni diversi utilizzati nell’esperienza realizzata a Bologna. A sinistra uno gnomone
che fa parte di un complesso di strumenti del Quartiere Savena di Bologna 11. Al centro uno
gnomone vivente e a destra un esempio di gnomoni personalizzati (ogni bambino ha costruito il
“suo volto”). Problema da tenere presente nelle attività con i bambini è la “verticalità dello
gnomone” di cui si è parlato nel testo.
•
Sorge dunque un problema: il mezzogiorno locale non coincide con il
mezzogiorno segnato dall’orologio.
•
Attraverso le telefonate si completano i dati provenienti dalle altre
classi. Ci si rende conto che l’ora del mezzogiorno vero a Bologna non
coincide con quella delle altre città coinvolte. Come mai? E’ questo il
problema da spiegare.
In classe
• In classe riportare il triangolo in scala, e misurare gli angoli. Identificare
l’angolo che rappresenta l’altezza del Sole sull’orizzonte locale. Anche se questo
dato non è immediatamente riutilizzato, esso rappresenta una base di discussione e
11
Un resoconto di una attività utilizzando gli orologi solari di questo quartiere in Massaro F., Turricchia A.
Giornale di Astronomia settembre 1999, vol 25 n.3 pag 22-26
25
confronto per altre piste di lavoro (un esempio di questo lavoro è mostrato in
Fig.4).
Fig. 4 - Una rappresentazione dell’attività da parte di ragazzi di scuola media inferiore. La
rappresentazione piana di questa esperienza non è facile. per ragazzini delle scuole elementari
risulta più immediato posizionare lo gnomone direttamente in classe e rappresentare oltre alla
lunghezza dell’ombra la corrispondente posizione del Sole sul vetro della finestra.
Successivamente la discussione permette di rielaborare e collegare le diverse variabili. Come si
vede dal disegno, la IV Settimana dell’Astronomia è stata eseguita in ora legale, per cui il
mezzogiorno è “spostato” di un’ora rispetto mezzogiorno solare.
Fig.5 - La cartina con i dati raccolti. Le classi che hanno partecipato all’esperienza a Bologna
sono posizionate in situazioni che vanno dalla periferia Est della città , alla zona ovest (lungo la
direttrice della via Emilia).
26
• Raccolta dei dati di tutte le classi e loro collocazione nella cartina
dell’Italia (la Fig. 5 mostra i dati raccolti); si osserva che i mezzogiorni si sono
verificati in istanti diversi. Inizia quindi una discussione tendente a spiegare il
perché di queste differenze. La discussione deve portare alla necessità di costruire
dei modelli che permettano di spiegare le caratteristiche rilevate. Mettere in
campo i modelli di rotazione della Terra, e del Sole intorno alla Terra. Chi si
muove? Non è necessario arrivare in questo momento ad una risposta definitiva a
questa domanda, che richiede un lavoro ulteriore di indagine: è invece necessario,
ai fini del nostro problema, dimostrare l’equivalenza dei fenomeni che si creano
sia che si muova la Terra, sia che si muova il Sole. Eventuale utilizzo di una
animazione al computer.
•
La discussione deve concludersi con una esercitazione pratica delle due
ipotesi contemplate. Il valore formativo di questo confronto tra pari, in classe va
ben aldilà dell’obiettivo pur importante di trovare una spiegazione al problema
ape rto. Essa fornisce a tutti i membri della classe un esempio sulla metodologia
scientifica,
sul
valore del dibattito per convalidare un’ipotesi “vincente”.
L’aspetto argomentativo assume in questa fase del lavoro in classe una
importanza primaria, non potendosi accettare “opinioni” che non siano
raffrontabili con la realtà fenomenica osservata.
• Qualunque sia il modello adottato (si può accettare, cioè, di parlare di
“moto del Sole”, invece che di rotazione della Terra) ciò che è necessario rilevare
riguarda:
§
il verso del moto
§
i luoghi della Terra sullo stesso meridiano “vedono” il Sole
contemporaneamente
§
i luoghi posti su meridiani differenti “vedono” il Sole in
successione, e lo “vedono” prima quelli più ad Est.
• L’uso del mappamondo aiuta a “visualizzare” gli effetti del moto (sia
Terra o Sole). Si può dare ora una definizione precisa di “giorno”, come
l’intervallo di tempo che intercorre tra due successivi passaggi del Sole in
27
meridiano. L’insegnante
può istituzionalizzare12 anche rispetto al concetto di
“giorno” come evento ciclico, definito attraverso un quadro teorico che permette
di rappresentare e prevedere (insomma “conoscere”) il fenomeno, alla base della
misura del tempo.
•
Sorge a questo punto un ulteriore problema: come mai allora gli orologi
segnano TUTTI mezzogiorno? La discussione deve portare gli studenti alla
introduzione della necessità di raggiungere un accordo sulla definizione del
mezzogiorno dell’orologio per comodità degli abitanti di una nazione, di uno
stato...
•
Conclusione: ma allora il mezzogiorno è lo stesso per tutti i popoli o no?
E’ agevole a questo punto introdurre e definire i fusi orari.
Il mezzogiorno è uguale per quelli che…..Può essere utile un’esercitazione
sul mappamondo per scoprire cosa succede in un qualsiasi gior no sui vai punti
della Terra. La situazione migliore è quella di posizionare il mappamondo in
modo che rappresenti perfettamente la situazione del punto in cui ci troviamo. Per
questo basta smontare un mappamondo dal suo supporto e posizionarlo in modo
che “sia orientato con esattezza e stabilità come se fosse una copia esatta della
terra, sospesa nello spazio, vale a dire con il suo asse polare parallelo all’asse
della terra ed in più, con il punto geografico stampato sul mappamondo
corrispondente alla località nella quale si sta eseguendo la realizzazione fatta
risultare sulla sommità del globo”(C.L. Stong, 1960) 13. In questa attività si
pongono altri problemi, legati al concetto di latitudine, che apre un altro
interessante percorso da compiere, nel caso in cui questo concetto non sia stato
ancora assimilato.
12
Con questo termine ci si riferisce al lavoro dell’insegnante, più precisamente il concetto di
istituzionalizzazione identifica il momento nel quale il sapere acquisito viene “ufficializzato”
dall’insegnante come sapere della classe e collocato nella specifica disciplina di riferimento.
13
La descrizione analitica della “meridiana universale” da cui è tratto il brano citato, è contenuta
in C.L.Stong, 1960, Lo scienziato dilettante (contenente materiali pubblicati da Scientiphic
American tra il 1952 e il 1960), Sansoni editore. Ulteriore descrizione di questo strumento (con il
nome mappamondo parallelo) è contenuta in N. Lanciano, 2002, Strumenti per i giardini del cielo,
Quaderni di Cooperazione Educativa.
28
Come è evidente da questa traccia, molte domande restano aperte, molti altri
itinerari si intersecano con questa esperienza: a noi queste domande aperte
sembrano il segno inequivocabile della complessità della conoscenza e della
necessità di raccogliere la sfida della scienza, che non si chiude mai in sé stessa.
Una esperienza che ci piace estendere a tutti i bambini e ai loro insegnanti.
29
30
Bibliografia di riferimento
Antiseri D. 1977, Epistemologia e Didattica delle Scienze, Armando, 38
Bachelard G.,1938-1999, La Formazione dello spirito scientifico, Cortina editore,
pag. 251-252
Karplus R. et al., 1975, Rinnovamento dell’educazione scientifica elementare ,
Zanichelli
Graves R., I Miti greci.” (Longanesi, 1983, V)
Lai S. e Proverbio E., 1992, Tempo fisico e tempo meteorologico nello sviluppo
cognitivo infantile , Scuola e città, n. 9
Lai S., 2002, Trasposizione Didattica:vincoli del sistema scolastico in Lai S. e
Calledda P. (a cura di), 2002, La Didattica dell’Astronomia, Supplemento n. 3 a
Giornale di Astronomia , 13-27
Lai S.,1990, Dall’oggetto al concetto e ritorno – Le strategie per la formazione
della mentalità scientifica , La Vita scolastica, n.12, 9-11
Lai S., 2002, Analyse des conditions d’enseignabilité de l’Astronomie et de
l’Astrophisique, Memoire DEA- Francia , 20-35
Lanciano N., 2002, Strumenti per i giardini del cielo, Quaderni di Cooperazione
Educativa, 47-55
Massaro F., Turricchia A., settembre 1999, Giornale di Astronomia, vol 25 n.3
pag 22-26
Perrin-Glorian M.J.,1994, Théorie des situations didactiques : naissance,
développement, perspectives, in Vingt ans de didactique des mathematiques en
France, Ed. La Pensée Sauvage, Grenoble, 97-147.
Piaget J., 1979, Lo sviluppo della nozione di tempo nel bambino, La Nuova Italia
Stong C.L., 1960, Lo scienziato dilettante (contenente materiali pubblicati
Scientific American tra il 1952 e il 1960), Sansoni editore.
AA.VV “Cielo! un percorso di Astronomia e Fisica per le scuole elementari e
medie”- www.polare.it
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32
Indice
Presentazione
pag. 1
Inventiamo le costellazioni
Introduzione
pag. 3
Obiettivi
pag. 6
Conoscenze supposte acquisite
pag. 7
Come si svolge l’esperienza
pag. 7
Che ora è: il mezzogiorno vero
Introduzione
pag.13
Obiettivi
pag.18
Conoscenze supposte acquisite
pag.18
Descrizione dell’esperienza
pag.20
All’aperto
pag.22
In classe
pag.23
Bibliografia di riferimento
pag.29
Indice
pag.31
33