versione stampabile - Dipartimento di Filosofia

Retablo.
Affabulazione e retorica nella costruzione
di una pagina di giornale
Pierluigi Panza
Una pagina di un quotidiano è un’opera d’arte composta da più elementi (un
retablo) realizzata in un tempo definito (una giornata). Il suo contenuto sono le
notizie; la sua organizzazione formale e di significato si articola secondo strumenti
retorici e persuasivi propri della dimensione estetica. Il presente saggio descrive alcuni di questi strumenti usati nella costruzione della pagina-retablo, accennando anche a ulteriori sviluppi legati alle nuove tecnologie e ai nuovi sistemi di
trasmissione di testi e immagini.
Comunicazione e derealizzazione
Se «i mass media, che sono i modi in cui l’autoconsapevolezza della società si trasmette ormai a tutti i suoi membri, non si lasciassero più condizionare da ideologie,
interessi di parte, ecc., e diventassero in qualche modo “organi” delle scienze sociali, si assoggettassero alla misura critica di un sapere rigoroso, diffondessero una
immagine “scientifica” della società»1 , risponderebbero quotidianamente a quell’ideale di “autotrasparenza” e di “oggettività” al quale aspirano le cosiddette Scienze
sociali. Ma invece che riconoscere e analizzare i “fatti” del mondo secondo i metodi pseudo-oggettivi delle “Scienze sociali” – da quelli elaborati nel campo delle
Scienze statistiche a quelli delle Scienze psicologiche e cognitive – il mondo delle
comunicazioni procede, come ha evidenziato in La società trasparente Gianni Vattimo, verso quello dell’estetizzazione e dell’affabulazione dei fatti e, in definitiva,
del reale.
1
G. Vattimo, La società trasparente, Garzanti, Milano 2000, p. 34.
c 2004 ITINERA (http://www.filosofia.unimi.it/itinera/)
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ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
Questo atteggiamento implica la comprensione di un concetto di verità inteso
come parresìa, ovvero come richiamo e rischio. Di verità intesa come messa in
gioco di chi parla. Dove “chi parla” è sempre “in posizione” e il suo “prendere la
parola per. . . ” è sempre un atto critico che partecipa alla lotta per la trasmissione di “questo” o di “quello” nel bagaglio testimoniale di una civiltà, o thesaurus.
Questo a partire da un soggetto decentrato e depotenziato, in continua interazione con le categorie della logica e del vissuto, ma che prende posizione perché è
proprio dell’individuo l’essere “in posizione” in seno alla civiltà e volersi sentire
“coessenziale” al mondo.
Questo atteggiamento dei media s’inscrive in una concezione di messa in opera
della cultura come ritematizzazione, come movimento di liberazione “dall’essere
parlato”. Questa ritematizzazione è la costruzione del sapere, che si dà come costruzione di un sapere. Come ha infatti ricordato l’epistemologo Ian Hacking nella
sua Lezione inaugurale al Collège de France del gennaio 2001, ogni «stile di ragionamento introduce nuovi modi di trovare la verità: in materia di prova e di
dimostrazione ogni stile introduce propri criteri e determina proprie condizioni di
verità»2 . È quanto tematizzato anche da Foucault3 e che Nietzsche ha sintetizzato
nel celebre aforisma «Nur als Schaffende»4 .
In questo quadro, l’individuazione e tematizzazione dei fatti del mondo operata
dai media avviene pertanto non muovendosi verso un ideale di autotrasparenza,
bensì verso quello di una progressiva decostruzione del reale, verso quella che
Vattimo ha definito una “derealizzazione”.
In tale direzione, il mondo delle comunicazioni contribuisce alla costruzione,
seppur senza molta consapevolezza, di un “de-reale” che tiene conto di almeno
due direzioni del pensiero contemporaneo: quella di base fenomenologica e quella
ermeneutica.
Le tematiche husserliane espresse nella Crisi delle Scienze europee e nelle Idee
per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica sono accolte, implicitamente, nella direzione che si va delineando nell’irriducibilità del “coglimento”
del fenomeno in un orizzonte di «realtà indeterminata»5 , la cui “oggettività” e,
dunque, “fattualizzazione”, è data dalla ricorrenza intersoggettiva. Ogni coglimento è un atto coscienziale individuale; la ricorrenza del coglimento in più individui
diventa la base intersoggettiva per riconoscere «l’essere in presenza di un fatto».
2
I. Hacking, “E l’uomo ricreò il mondo”, Il Sole 24 Ore, 14 gennaio 2001.
M. Foucault, Le parole e le cose, Rizzoli, Milano 1967.
4 «Solo in quanto creatori».
5 «Esseri viventi, natura e luoghi sono “qui per me”, che io presti o meno attenzione. Anche i
luoghi percepiti nella distrazione sono “qui per me”, nel mio campo di percezione. Ma il mondo
che in ogni momento di veglia mi è consapevolmente “alla mano” non si esaurisce nell’ambito di
questa compresenza, chiara od oscura, distinta o indistinta, che costituisce l’alone costante del mio
attuale campo percettivo. Nella sua solida organizzazione, esso non ha limiti. Ciò che è attualmente
percepito, ciò che è più o meno chiaramente compresente e determinato [. . . ] è in parte attraversato,
in parte circondato da un orizzonte di realtà indeterminata oscuramente consaputo» (E. Husserl,
Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica, tr. it. di E. Filippini, Einaudi,
Torino 1950, p. 104).
3
2
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Certo, si tratta di una consapevolezza di base che il mondo dei media neppure registra. Ma nell’analisi teorica è bene non dimenticare il punto di partenza: il fatto
viene riconosciuto come tale sulla base dell’intersoggettività delle percezioni delle
coscienze individuali.
Il fatto così colto diventa l’elemento di base di descrizione della Lebenswelt,
ma anche l’elemento base di un percorso di selezione e valorizzazione che trasforma questo “fatto” colto soggettivamente in una notizia-evento da registrare.
Questa registrazione dei media sottrae il “fatto” all’oblio e lo dispone alla presenza. Disponendolo alla presenza lo introduce in un percorso critico che è quello
della lotta per la cultura. Consegnato ai tempi attraverso la registrazione, infatti, la
notizia-evento potrà cadere, a sua volta, nell’oblio, oppure entrare in un circuito ermeneutico di accrescimento di valore e di appartenenza al thesaurus dell’umanità,
ovvero di appartenenza a ciò da cui l’umanità non si separa.
Questo percorso di selezione-valorizzazione è ciò che fa sì che un “fatto” sia,
ovvero è ciò che dispone il reale e lo dispone attraverso un percorso, sin dall’inizio,
interpretativo. Percorso che costituisce quella che chiamiamo l’“obiettività” del
mondo, il suo disporsi come tale, pur in ciò che comprendiamo come derealizzato.
È così che le immagini del mondo fornite dai media e dalle scienze umane,
come scrive ancora Vattimo, finiscono con il presentarsi come «l’obiettività stessa
del mondo», rendendoci quasi incapaci di riconoscere, come sentenziava Nieztsche, che «“il mondo vero alla fine è diventato favola”»6 . È chiaro, dunque, che
i media, prima ancora di mettere il lettore in presenza di interpretazioni di fatti,
presentano, anche inconsapevolmente, dei fatti che sono già interpretazioni.
Ruolo dei media
Se i fatti sono interpretazioni, e se il presentarsi di queste interpretazioni e l’accrescere attenzione sull’una piuttosto che sull’altra costituiscono la base di quella
lotta per la permanenza nella memoria della società e della civiltà di un episodio
piuttosto che un altro, la televisione, il quotidiano e il Web diventano le prime arene della costruzione del thesaurus della civiltà, che è il bagaglio di civiltà sempre
ritematizzato dal quale la società non si separa. Ma si tratta di prendere coscienza
che la ritematizzazione del thesaurus avviene attraverso l’affabulazione di ciò che
è selezionato dai media come “fatto sottratto all’oblio”, che viene disposto così
all’interno del circuito ermeneutico. La televisione, il quotidiano, il Web diventano così dei luoghi di produzione simbolica di fatti interpretati. Cioè luoghi di
narrazioni.
In questi luoghi di produzione simbolica, dove “si parla” ritematizzando i fatti, l’individuo non è più capace di emanciparsi. Tuttavia non è eterodiretto da un
“Grande fratello”, come sosteneva Adorno, bensì «è parlato dalla babele comunicativa»7 del villaggio globale, che ogni giorno è produttiva di nuovi fatti simbolici.
6
7
G. Vattimo, op. cit., p. 38.
«Umanismo significava anche una certa concezione della Bildung fondata sulla autotrasparen-
3
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L’attuale mondo della comunicazione rispecchia dunque quel mondo della «continua conversazione» che, secondo il noto slogan di Richard Rorty, bisogna che
«prosegua» senza pretese di interrogazione sulla veridicità.
Su un criterio del genere – sottolinea ancora Vattimo – con tutta la svagatezza che esso comporta, anche un classico dell’ermeneutica come Gadamer
sarebbe d’accordo: è vero che nel dialogo con l’altro tutto ciò che egli dice
va preso sul serio, e non “ridotto” o “smascherato” da un preteso punto di
vista superiore, più vero, eccetera, (come in fondo si finisce di dover pensare in una prospettiva habermasiana); tuttavia anche per Gadamer si può
distinguere tra un dialogo autentico e un dialogo che tale non è [. . . ]. Sia in
Gadamer sia in Rorty, ciò che caratterizza il dialogo e la conversazione come
autentici non è la capacità di dire una verità oggettivamente adeguata, non
distorta, ma l’atteggiamento degli interlocutori: che porgono interpretazioni
o “ridescrizioni” originali, proprie.8
Questo aspetto non è un dato di assoluta novità. La novità sta nella pluralità di
coloro che contribuiscono alla costruzione della de-realtà. Se in situazioni storiche,
infatti, la rappresentazione della realtà era monopolio di una o due istituzioni (la
Chiesa, l’Impero, l’Università), e ciò comportava la possibilità di essere “realisti”
e di avviare un confronto, oggi la pluralità delle agenzie informative e, soprattutto,
la possibilità per tutti di essere terminali e produttori di fatti simbolici trasmessi
con canali informativi, ha portato a una generalizzata derealizzazione. In questo
senso, la Babele della comunicazione è il luogo ermeneutico, o almeno simbolico,
dove avviene l’oltrepassamento definitivo della metafisica e dell’aristotelismo.
La retorica della comunicazione
La società delle comunicazioni affabula la costruzione di un fatto attraverso un
sempre più complesso processo di retorizzazione e attraverso un diffuso moviza della coscienza, sull’ideale di un soggetto capace di emanciparsi in quanto si riappropriava di se
stesso e si liberava dei veli ideologici conquistando una visione “oggettiva” del mondo e della storia. Era questo un soggetto, orientato all’ideale di una piena appropriazione della verità, quello che
risultava minacciato dalla forza demoniaca dei mass media come Adorno li concepiva. Ma proprio
questo ideale dell’autotrasparenza del soggetto come scopo dell’emancipazione era stato dissolto
dalla critica dell’ideologia, dell’antropologia strutturale, dalla stessa diffusione della psicoanalisi in
una versione sempre meno idealistica [. . . ]. Adorno, quando parlava dei mass media, aveva sempre in
mente la propaganda nazista e il dottor Goebbels: la voce del “grande fratello” che parla alle masse e
impone loro, quasi in uno stato ipnotico, opinioni, comportamenti, consenso. Ma il mondo mediatico
che in quanto si andava delineando negli anni Settanta di questo secolo si configurava come una Babele piuttosto che come una totalità dipendente da un unico centro. Il modello in base a cui pensare
questa Babele non poteva più essere quello meccanico, dove un motore centrale determina i movimenti di tutti gli ingranaggi periferici. La filosofia e la sociologia critica hanno dovuto prender atto
della trasformazione della tecnologia dalla fase meccanica alla fase elettronica o informatica. Anche
senza spingerci troppo in terreni che per ora confinano con la science fiction, non è difficile vedere
che la transizione dall’egemonia, o centralità, della tecnologia meccanica a quella della tecnologia
elettronica porta con sé l’emergere del modello della “rete” al posto di quello dell’ingranaggio mosso
da un unico centro» (ibid., pp. 102-3).
8 Ibid., pp. 105-6.
4
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mento di divulgazione che investe una pluralità di strumenti informativi, sino ai
paradossi dell’autoreferenzialità e dell’entropia propri dell’attuale mondo dell’informazione.
Oggi, dunque, nelle forme di affabulazione di una notizia, l’informazione trova
un rinnovato punto di contatto con il mondo dell’Arte, dell’Estetica e della Retorica. I rivisitati strumenti di queste discipline sono finalizzati, nel caso dell’informazione, non a un disvelamento “poietico” quanto a creare, attraverso una costruzione
“superficiale” o “di maniera” del contenuto affabulatorio9 , uno stato di shock o di
sublimità nel lettore-ricreatore.
Questo shock, ben emblematizzato dalla cosiddetta tradizionale forma retorica giornalistica dello scoop, è finalizzato a persuadere il lettore-ricreatore della
bontà del fatto-simbolico presentato, anche al fine di creare un soddisfacimento
dei desideri. E in questo senso ritorna d’attualità l’intuizione espressa da Bloch
nel Principio speranza, ovvero la necessità di coniugare la corrente fredda della
ragione con la corrente calda dei sentimenti10 .
Quotidiano retablo
Far assurgere un fatto a notizia-avvenimento è, dunque, il primo atto interpretativo
che consente di farlo entrare nel movimento di lotta per la cultura e, eventualmente,
di consentire che entri a far parte del thesaurus. Far assurgere un fatto a notizia vuol
dire, infatti, selezionarlo e privilegiarlo tra una messe di fatti che la pluralità delle
fonti informative di prima mano mette quotidianamente a disposizione.
Ma come avviene l’affabulazione in modo che intorno alla notizia selezionata
si crei consenso? Come avviene, in particolare, questa affabulazione nel più tradizionale tra i mezzi di comunicazione a disposizione del mondo dei media, ovvero il
quotidiano? Analizziamo, innazitutto, come avviene la presentazione delle notizie
in pagina e in che modo la pagina si strutturi nello spazio-tempo determinato come
un’opera d’arte (anche artigianale) quotidiana.
L’esposizione delle notizie avviene disponendole sulla pagina di un quotidiano
come parti di un retablo, ovvero di quell’opera d’arte pittorica costituita da un insieme composto da più parti. La pagina di un quotidiano, infatti, è un retablo che
viene riempito per parti e in tempi stabiliti. È un retablo quotidiano le cui singole
parti sono articolate in ordini stabiliti (colonne e righe) che vengono arbitrariamente suddivise per disporre le notizie variamente affabulate. La composizione di
9
«I mass media, in effetti, conferiscono a tutti i contenuti che diffondono un peculiare carattere
di precarietà e superficialità; esso urta duramente contro i pregiudizi di un’estetica sempre ispirata,
più o meno esplicitamente, all’ideale di opera d’arte come monumentum aere perennius, e dell’esperienza estetica come esperienza che coinvolge profondamente e autenticamente il soggetto, creatore
o spettatore. Stabilità e perennità dell’opera, profondità e autenticità dell’esperienza produttiva e
fruitiva sono certo cose che non possiamo più aspettarci nell’esperienza estetica tardo-moderna, dominata dalla potenza (e impotenza) dei media. Contro la nostalgia per l’eternità (dell’opera) e per
l’autenticità (dell’esperienza), bisogna riconoscere chiaramente che lo shock è tutto ciò che rimane
dalla creatività dell’arte nell’epoca della comunicazione generalizzata» (ibid., p. 80).
10 E. Bloch, Il principio speranza, tr. it. di E. De Angelis e T. Cavallo, Garzanti, Milano 1994.
5
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questo retablo avviene affabulando i fatti attraverso forme di estetizzazione, retorizzazione e spettacolarizzazione. Alcune di queste forme sono veri e propri tropi
della comunicazione giornalistica, come quelli della “settimanalizzazione”, del cosiddetto “doppiopesismo” o della “raccolta di pareri” per creare un dibattito. Altre
sono adattamenti di generi storici della comunicazione: l’intervista esemplata sul
modello televisivo che appare come una forma in progress dell’enunciazione; una
rivisitazione è anche l’uso di un personaggio come maître à penser. E così come
la pubblicità è, come strumento persuasivo nell’acquisizione dei prodotti, una forma contemporanea della retorica antica, altrettanto lo sono, nella costruzione della
pagina-retablo, forme dell’affabulazione quali slogan, motti di spirito, arguzie. . .
L’utilizzo di questi strumenti retorici mette in atto l’affabulazione che si compie attraverso un processo di “decostruzione” della notizia e della pagina e una
loro riconfigurazione e risemantizzazione secondo una logica barocca di “verosimiglianza”.
Questo atteggiamento, per i critici più ortodossi e realisti, più che una decostruzione affabulatoria è una vera e propria deriva.
Settimanalizzazione, spettacolarizzazione e teledipendenza sono i tre neologismi che riassumono i notevoli mutamenti di immagine, linguaggio e contenuti impressi ai quotidiani italiani di fronte al successo di altri mezzi dell’informazione: prima i rotocalchi, poi la televisione. Sono tre derive rispetto al modello del quotidiano d’informazione e di opinione di buona qualità
che si dovrebbe differenziare dai quotidiani e dai rotocalchi popolari, sia dai
telegiornali e dai programmi d’intrattenimento che rientrano nel campo dell’attività informativa. Le derive si succedono nel tempo e si sovrappongono
all’ultima, la teledipendenza, comprende le prime due e il sensazionalismo
che appare il più agevole strumento dell’ideologia dello spettacolo.11
Queste derive o, meglio, strumenti affabulatori, sono forme retoriche ed estetizzanti che mostrano come i media siano entrati a pieno titolo nei meccanismi di
quella Società dello spettacolo profetizzata da Guy Debord12 .
Spettacolarizzazione
Lo spettacolo, come aveva evidenziato Debord, è una sorta di autoritratto del potere all’epoca della sua gestione totalitaria. Nella spettacolarizzazione, dunque, il
politico si incontra con l’estetico; e ciò non è una novità, bensì una ricorrenza nel
corso della storia umana. La novità, semmai, sta nel fatto che a celebrare questa congiunzione di politico ed estetico sia anche il mondo dell’informazione, che
dispiega le proprie modalità espressive anche in vista di questo fine.
Il quotidiano, ad esempio, ha attivato nuove formule, generi e soluzioni per
spettacolarizzare l’informazione e il commento critico.
11
12
P. Murialdi, Il Giornale, Il Mulino, Bologna 1988.
G.E. Debord, La società dello spettacolo, De Donato, Bari 1968.
6
ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
Innanzitutto, la composizione della pagina-retablo avviene sempre più privilegiando una sorta di “messa in scena” dei protagonisti della notizia in una sorta
di teatralizzazione dell’evento, che si attua attraverso soluzioni iconografiche innovative, forme grafiche “a effetto”, personalizzazione del profilo delle persone
coinvolte nei fatti. La spettacolarizzazione si attua anche attraverso la maggiore
interazione in cui si collocano gli agenti che dispongono l’informazione (fonti /
uffici stampa / giornalista / lettore), in un dialogo che diventa quasi “performativo”
nella continua ripresentazione del fatto e nell’interattività con il lettore, che diventa
produttore di testi scrivendo al quotidiano o partecipando ai forum organizzati dal
quotidiano stesso sul proprio sito Web. In questo modo La società dello spettacolo prende corpo anche sulla pagina-retablo, che diventa un “palcoscenico aperto”,
la sede di un dialogo “che deve proseguire” oltre la pagina, nell’ottica suggerita da Rorty e che si consuma in una società “destinata alla morte” e incapace di
denunciare le proprie mistificazioni, nell’ottica annunciata da Debord.
Così, con l’impulso dato dalle televisioni al divismo, ormai non più circoscritto
al mondo degli spettacoli, ma esteso a quello della politica, dello sport e persino
della pubblica amministrazione, nei quotidiani ha guadagnato spazio la divizzazione delle grandi personalità. Si tratta di un vero e proprio ritorno del “cesarismo”, in
una prospettiva non dissimile da quella preconizzata da Oswald Spengler ne Il tramonto dell’Occidente13 . Anche questa è una delle più ricorrenti forme di spettacolarizzazione che possiamo scoprire sulla pagina-retablo. I divi “fanno” spettacolo
sulla pagina; la pagina viene organizzata come palcoscenico. Si ricorre a interviste
e dichiarazioni che puntano a creare “eventi” rafforzando i titoli e accentuando la
personalizzazione.
Tra tutti questi aspetti, la “teledipendenza” è forse la più marcata forme di spettacolarizzazione e decostruzione attualmente in atto sui quotidiani. Essa si coniuga
con il “gigantismo”, cioè con l’aumento delle pagine, e il proliferare dei supplementi e degli inserti, e congloba le altre due “derive” a cui accennava Murialdi.
Nell’inseguire generi e linguaggi televisivi, l’impaginazione del retablo accentua
l’aspetto di “messa in scena”. Il genere dell’intervista – un genere tipicamente
televisivo – dilaga perché è una forma di dialogo diretto, non mediato dal ruolo
critico del giornalista. Così come dilaga la presentazione sulla pagina-retablo della raccolta di pareri di illustri personaggi su un argomento, che è un corrispettivo
giornalistico del talk-show televisivo. Attraverso riassunti di quanto hanno detto, immagini e biografie sintetiche di chi parla, il quotidiano dispone così nella
maniera più efficace la sua pagina-retablo, che diventa esattamente un salotto da
talk-show dove ciascun personaggio intervistato dice la sua e il luogo attraverso cui
il lettore-telespettatore si fa un proprio parere sulla base del parere altrui.
In questo quadro, le “lettere” che il “lettore” invia al quotidiano che le pubblica sono il corrispettivo delle telefonate del telespettatore al programma televisivo
in diretta. Se per il lettore-telespettatore questa partecipazione al mezzo d’informazione segna il suo “minuto di celebrità”, l’attimo in cui egli stesso fa parte del
13
O. Spengler, Il tramonto dell’Occidente, Longanesi, Milano 1981.
7
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processo di spettacolarizzazione del mondo da protagonista e non da osservatore, per i quotidiani e per le televisioni questi sono gli spazi di un’ambigua compartecipazione dei lettori-telespettatori alla fattura della comunicazione. In questo
caso il processo, per televisioni e giornali, è biunivoco: sia la TV fa propri i metodi
dei quotidiani, sia il contrario. Talvolta, l’intreccio è addirittura esplicito: alcuni
programmi televisivi hanno generato giornali e taluni supplementi di quotidiani si
ripresentano in spazi televisivi.
In questa direzione, le nuove tecnologie offrono una possibilità di interazione
e di dialogo ancora più pervasivo tra giornalista e lettore/telespettatore attraverso
l’uso della posta elettronica aziendale o la partecipazione ai forum on-line. Si tratta
di forme di co-partecipazione che sottendono, da parte dell’organo di informazione, il tentativo di fidelizzare il lettore/telespettatore facendolo sentire protagonista
e co-essenziale all’affabulazione del mondo in atto.
Altre forme di spettacolarizzazione dei quotidiani seguono la ritualità degli
schemi televisivi o pubblicitari. La messa in scena sulla pagina-retablo di un “evento” particolare avviene anche attraverso una serie di “annunci” che i giorni precedenti la “grande rivelazione” vengono pubblicati sui giornali. Eventi ritenuti di particolare rilevanza vengono pubblicati, o anche anticipati, in quelle che si chiamano
“vetrina”, ovvero pagine da esposizione composte utilizzando un gran numero di
immagini. Sono palcoscenici di presentazione estetizzanti, come una vera e propria vetrina di un grande magazzino della consumer society. La vetrina è il luogo
retorico del negozio, il marchio, l’insegna, la sede della spettacolarizzazione.
Tutte queste messe in scena invecchiano appena si percepisce che il lettorericreatore non lo percepisce più come appaganti i propri desideri informativi e generali; in tal caso, il fatto-evento esce dal “cartellone” della spettacolarizzazione,
ovvero dalla scaletta-timone dell’impaginato. Nella pagina-retablo il suo posto viene assunto da un’altra rappresentazione che appaga quelli che Bloch definiva i “desideri semplici”, che i quotidiani riscontrano e rilevano anche attraverso indagini
di mercato.
Settimanalizzazione
La settimanalizzazione è un sistema di affabulazione della notizia che prevede un
approfondimento del fatto attraverso l’inserimento nella pagina-retablo di un quotidiano di elementi propri del settimanale di attualità, del rotocalco o del varietà
televisivo. Interessa pertanto il metodo di stampa, un impiego particolare delle
immagini, lo stile della titolatura e della scrittura. Talvolta la settimanalizzazione
si perfeziona anche accompagnando il quotidiano con un vero e proprio rotocalco
d’attualità. Talvolta, infine, accompagnando questo rotocalco con giochi a premi allo scopo di “fidelizzare” il lettore, così come avviene con altri prodotti della
consumer society.
Con la settimanalizzazione, la decostruzione del modello tradizionale di quotidiano avviene sul piano della temporalizzazione della notizia, che assume carattere estensivo. Sia l’approfondimento che la rimemorazione diventano elementi
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di affabulazione della notizia. La temporalizzazione avviene anche attraverso la
narrazione estensiva di un fatto-simbolico. A molte cronache e ai resoconti viene
impresso uno stile narrativo.
Anche la politica si affronta con articoli di intrattenimento, simili a una lunga
conversazione e alcuni fatti simbolici vengono narrati come vere e proprie storie.
Altre decostruzioni
La decostruzione dell’impalcato giornalistico ipostatizzato intorno all’ideale veritativo e al controllo delle fonti viene ora attuata anche attraverso altre formule retoriche, come quelle definite del “cerchiobottismo” e del “doppiopesismo”.
Queste due formule altro non sono che forme retoriche che servono per superare
la necessità di “prendere posizione”, visto che permettono di collocarsi in permanente “proposizione di tesi contrapposte”, alla luce della cui esposizione il lettorericreatore è chiamato a persuadersi della bontà dell’una o dell’altra, quando non
paradossalmente (almeno secondo la logica) di entrambe.
Per “cerchiobottismo” si intende la tendenza del quotidiano a far esprimere pareri critici su uno stesso argomento a una pluralità di persone, le cui opinioni risultino il più possibile diversificate. Per “doppiopesismo” si intende quella tendenza
a raccogliere due pareri assolutamente contrapposti sullo stesso argomento.
L’indubbio favore che queste formule offrono è la decostruzione della gerarchia
delle notizie e dei pareri, l’intersezione dei piani, la dissimulazione, il presentarsi
di ogni valutazione come chance e non come dato di passibile veridicità. Il favore
è quello di conservare una posizione di equidistanza del quotidiano rispetto a ogni
tesi e di far sì che ogni lettore-ricreatore formuli il proprio parere sulla base delle
opposte opinioni esposte.
In questo modo il quotidiano-retablo elude quel compito selettivo-critico che
storicamente gli era stato affidato. Che era anche quello di essere “in posizione”.
Il fatto-simbolico viene costruito e affabulato secondo due versioni contrapposte,
indipendentemente dall’auteticità di entrambe le tesi, salvaguardando per il lettore
la possibilità di scelta.
Tutto teso al bilanciamento delle posizioni, la pagina-retablo si configura attraverso queste formule anche come opera “pilatesca”, sfuggendo all’essere “in
posizione”, che già è un esser “in posizione” relativistico. Questo doppiopesismo,
pertanto, è un segno di equilibrio, ma è anche un residuo metafisico: al suo fondo
c’è infatti il credo che una delle opposte tesi possa essere “vera” o più autentica
o prevalente sull’altra. Ma è improponibile porre su quale fondamento dovrebbe
affermarsi tutto ciò. L’assumere posizione, in confronto al doppiopesismo, finisce
paradossalmente con la disinvolta consapevolezza di appartenere al mondo della
derealizzazione, dove il dialogo “continua” al di fuori di un campo di “veridicità”.
Analoga al doppiopesismo è la messa in scena della “costruzione del dibattito”
attraverso la giustapposizione di tesi, alla quale abbiamo già accennato parlando
del talk-show. La pagina del quotidiano riflette la sala del bar sport o l’aula tribunizia come arena del dibattito o della messa in scena del dibattito. La presenza
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ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
di fotografie dei partecipanti al dibattito costruito ad hoc appaga sia il desiderio
dei lettori di riconoscersi in volti noti sia la costruzione del consenso attorno a un
personaggio. La scelta dell’immagine, che muove da un massimo celebrativo al caricaturale, alla caricatura vera e propria, incide nell’immaginario per la costruzione
del consenso intorno al personaggio. La caricatura, in particolare, ne accentua poi
nella pagina-retablo anche le caratteristiche “morali” del personaggio. Il dibattito,
naturalmente, non deve procedere per articolazione logica, ma dev’essere semplificato attraverso quelle forme di moderna retorica che sono il motto, l’arguzia e lo
slogan. Il procedere per facili metafore, metonimie, sineddochi, motti, facilita la
comprensione delle pseudo-posizioni e consente la comprensione del dialogo nella
benjaminiana “distrazione”. La ricezione del messaggio, del resto, avviene sempre
più per parti: il motto e lo slogan aiutano a fissare rapidamente lo stato dell’arte
nel lettore-ricreatore.
L’interazione tra i media
L’interazione tra i media (giornali, riviste) tra di loro e con il broadcast (televisioni
e Web) amplia il grado di affabulazione e accentua l’autoreferenzialità, la ridondanza, la gemmazione dell’informazione secondo una costruzione sempre più rizomatica e quindi, in generale, ermeneutica. In questo senso il retablo si duplica
in uno specchio o in una riproduzione sempre più anonima e incontrollata, come le
duplicazioni che avvengono sul Web. La notizia, come l’opera, per dirla con Gadamer, «si offre alla distesa dei tempi» ed entra nel circuito comunicazionale che
è, poi, una delle sedi del “gioco ermeneutico” in cui la pagina-retablo si dispone.
Non è l’unico gioco, però: l’oblio è l’estremo opposto di questa consegna, fatto
salvo il deposito “istituzionale” presso i grandi memorizzatori sociali (biblioteche,
emeroteche, ecc.) ora digitalizzati e dunque consultabili a distanza. Qui l’informazione e il commento riposano nell’attesa di un risveglio critico che li faccia
riemergere dal grado più anonimo del thesaurus, che è quella massa di documenti
dalla quale l’umanità non si separa. E il trasmigrare del documento cartaceo nell’orizzonte del broadcast (siti Web, canali televisivi satellitari) fornisce un esempio nell’onnipervasività della pagina-retablo e dell’autoreferenzialità del sistema
dell’informazione.
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