A 150 anni dalla nascita un insegnamento morale che non tramonta BENEDETTO CROCE ESULE IN PATRIA E COSCIENZA D’ITALIA LA RELIGIONE DELLA LIBERTÀ di Cataldo Greco Il 25 febbraio del 1866, centocinquant’anni fa, Benedetto Croce nacque a Pescasseroli, ora perla del Parco Nazionale dell’Abruzzo, ma allora centro di quel Mezzogiorno da soli cinque anni facente parte dell’Italia Unita e profondamente turbata dai risentimenti e dalla guerriglia sostenuta dall’ex Re Borbone delle Due Sicilie che inseguiva il sogno dell’ennesima restaurazione della vecchia monarchia che aveva rinnegato lo Statuto Costituzionale concesso nel 1848, ma poco Benedetto Croce (Pescasseroli 1866 – Napoli 1952) dopo ritirato in nome di una rigida continuità al congresso del Partito Liberale nel 1946 a Roma. Ha segnato in maniera profonda la storia della dello Stato assoluto. Cultura italiana. Nel dopoguerra si impegnò per Benedetto Croce nacque nell’anno della Terza consolidare il nuovo Stato ma respinse la guerra d’Indipendenza, da una famiglia che in candidatura alla Presidenza. parte era legata ai nuovi ideali patriottici di indipendenza nazionale e di libertà, tramite soprattutto la famiglia del cugino Silvio Spaventa, insigne patriota che subì le repressioni borboniche e, poi, fu anche Ministro nell’Italia Unita con i governi di Marco Minghetti. Croce, a diciannove anni, a causa di un terremoto, perse i genitori e, poi, crebbe con la famiglia Spaventa, soprattutto a Roma, per trasferirsi, quindi a Napoli che scelse come città più adatta ai suoi studi. Il giovane Benedetto era di famiglia possidente: l’oculata amministrazione (non egoistica) dei terreni agricoli di famiglia e i proventi delle attività letterarie (una grande fortuna) gli permisero di dedicare la vita agli studi innanzitutto di storia e di filosofia, con una produzione scientifica immensa. Sugli studi filosofici, storici e letterari di Croce è stato scritto moltissimo: essi furono anche frutto delle sue esperienze di vita che subirono e poi contrastarono i drammatici eventi degli anni che seguirono la Prima Guerra Mondiale e che portarono al ventennio mussoliniano. Così Croce pervenne a definire quella sua filosofia imperniata sulla “religione della libertà”, che non era certo una religione, ma un inno continuo ai principi e agli ideali di libertà propri della migliore ispirazione nazionale ed europea del Risorgimento italiano. In nome di questa ispirazione, Croce accettò la nomina a Ministro della Pubblica Istruzione nell’ultimo Governo di Giovanni Giolitti, nei turbinosi anni 1920-21, dopo lo stravolgente primo conflitto mondiale di cui aveva in anticipo (come Giolitti), intuito i gravi rischi non solo militari, ma anche civili e sociali. Dal 1924-25, dal delitto Matteotti e da quando Mussolini proclamò il regime dittatoriale, Croce assunse un decisivo ruolo morale e intellettuale di rigorosa opposizione, IL FARO – Periodico del Centro Studi “ Pier Giorgio Frassati ” – Cariati (CS) Pag. 1 redigendo nel ’25 il Manifesto degli intellettuali antifascisti, su proposta di Giovanni Amendola e in alternativa al Manifesto degli intellettuali fascisti redatto da Giovanni Gentile. Da allora Croce divenne “esule in Patria”, autorevolissima voce dissenziente di rilievo internazionale e molto culturalmente attiva anche attraverso la sua notissima rivista “La Critica” e la Casa editrice Laterza di Bari che culturalmente e sostanzialmente dirigeva. Proprio questa missione culturale e civile impegnò crescentemente Croce soprattutto negli anni in cui il regime fascista godeva di maggiori consensi: in tale contesto Croce intervenne ancora al Senato crescentemente fascistizzato, in particolare col memorabile discorso critico sui limiti del Concordato del 1929, stipulato fra Mussolini e il Vaticano. Ricordiamo che ugualmente Croce scrisse i suoi due libri di maggior successo, la “Storia d’Europa del secolo decimonono” e la “Storia d’Italia dal 1870 al “La Critica”, fondata nel 1902 fu una 1915”, due autentici inni alla libertà che erano insite delle maggiori riviste del ‘900. Cessò le negli ideali e negli sforzi di realizzazione del pubblicazioni nel ’44. «Grande spazio di tempo – scrisse il filosofo - al quale costituzionalismo e della crescita civile e sociale in ripenso non senza meraviglia». Europa e del Risorgimento e della crescita e del consolidamento del nuovo Stato italiano. La casa napoletana di Croce, pur sorvegliatissima dalla polizia del regime, fu punto d’incontro fra intellettuali ed esponenti d’opposizione. Il filosofo venne rispettato (salvo alcune devastazioni della casa e ripetute minacce, iniziative di singoli esaltati), come “esule in Patria”, perché era protetto dalla sua autorevolezza internazionale e dalla stima e simpatia di molti cittadini italiani. Negli anni della Seconda Guerra Mondiale Croce accentuò ancor più il proprio impegno morale e civile di faro culturale ammiratissimo di un’altra Italia, impregnata di ideali di libertà per i quali si impegnò anche come Ministro in Governi dopo la caduta del fascismo e quando l’Italia era ancora divisa in due e campo di battaglia, fino ad essere eletto all’Assemblea Costituente dove tenne memorabili discorsi, sempre coerenti con la missione civile che aveva assunto negli anni più bui del regime. Ma, va detto, Croce non cercò la candidatura alla Presidenza della Repubblica che gli venne insistentemente offerta. Quando Benedetto Croce morì nel 1952, alla presidenza della Repubblica Luigi Einaudi svolgeva il suo “magistero morale”, sempre in nome di quell’altra Italia che ambedue, pur differenti, avevano parallelamente sognato negli anni più bui della prima metà del Novecento. IL FARO – Periodico del Centro Studi “ Pier Giorgio Frassati ” – Cariati (CS) Pag. 2 L’IMPORTANZA DEL POTERSI SEMPRE DIRE CRISTIANI All’interno della vasta produzione di Benedetto Croce occupa un posto particolare un breve saggio risalente al 1942, intitolato “Perché non possiamo non dirci Cristiani”. Si tratta di uno scritto citato di frequente, che incuriosisce fin dal titolo: per quale motivo colui che è considerato il patriarca del pensiero laico dell’Italia novecentesca volle avvertire i contemporanei che sarebbe stato impossibile dichiararsi non Cristiani? E quale Cristianesimo aveva in mente? Per rispondere al secondo interrogativo è importante ricordare che lungo le pagine del suo saggio Croce non ricorre mai al termine “Cristo”, che è l’appellativo con il quale si riconosce la divinità di Gesù e la sua figliolanza prediletta divina. Per il filosofo di Pescasseroli, il Nazareno fu un Grande Maestro di etica, ma metteva in dubbio la certezza del Figlio di Dio. Il Cristianesimo ha rappresentato la più profonda rivoluzione morale della Storia dell’Umanità e l’insegnamento diffuso col suo fondatore costituisce l’appello più alto che sia mai stato rivolto agli uomini affinché si elevassero spiritualmente. Di qui prende origine anche la risposta alla prima domanda. Interpretato in questi termini, il Cristianesimo agli occhi di Croce si presenta come una componente preziosa e inalienabile della nostra civiltà. «Ci sentiamo – si legge nel saggio del 1942 – direttamente figli del Cristianesimo». Nella religione Cristiana non c’è niente di misterioso e di miracoloso, la filosofia idealista e storicistica di cui, sulla scia di Hegel, Croce si fa paladino rappresenta una sorta di realizzazione del Verbo Cristiano depurato da ogni richiamo alla Trascendenza. Il pensatore abruzzese si dimostra pienamente convinto della sublime statura morale di Cristo e sostiene che proprio per tale motivo «la polemica antiecclesiastica, che percorre i secoli dell’età moderna, si è sempre arrestata e ha taciuto riverente al ricordo della persona di Gesù, sentendo che l’offesa a lui sarebbe stata offesa a se medesima, alle ragioni del suo ideale, al cuore del suo cuore». IL FARO – Periodico del Centro Studi “ Pier Giorgio Frassati ” – Cariati (CS) Pag. 3