Le Piante Allucinogene. La Storia, il Mito e la Realtà

Ente di Formazione in Discipline Bio-Naturali/Naturopatia
Reggio Calabria
Tesi II° anno
Le Piante Allucinogene.
La Storia, il Mito e la Realtà Terapeutica in Omeopatia
e Fitoterapia
Grazia Rosa Rita Surace
Relatore: Dott.ssa Giovanna Cuzzucrea
Anno Accademico 2015
Scuola di Formazione EDBN in Discipline Bio-Naturali/Naturopatia
Coordinatore Didattico/scientifico: Dott. Vincenzo Falabella
INDICE
INTRODUZIONE
3
CAPITOLO I
5
ALLUCINOGENI E CERVELLO
5
CAPITOLO II
11
ARTEMISIA ABSINTHIUM
11
ATROPA BELLADONNA
16
CANNABIS SATIVA
23
DATURA STRAMONIUM
29
HYOSCYAMUS NIGER
36
LYCOPODIUM CLAVATUM
42
MANDRAGORA OFFICINALIS
46
NICOTIANA TABACUM
54
PAPAVER SOMNIFERUM
60
VIROLA SEBIFERA
64
CAPITOLO III
66
IL REGNO DEI FUNGHI
66
AMANITA MUSCARIA
68
CONCLUSIONI
72
BIBLIOGRAFIA
74
Introduzione
Troverai più nei boschi che nei libri.
Gli alberi e le rocce t’insegneranno le cose
che nessun maestro ti dirà.
San Bernardo da Chiaravalle
Il regno vegetale costituisce da sempre una fonte inesauribile di risorse dalle
quali l'uomo, nel corso dei secoli, ha potuto attingere per soddisfare necessità di
vario ordine in molteplici campi di applicazione: necessità che, dai primordi ai giorni
nostri, sono divenute più numerose e variegate e la cui importanza, sempre più
spesso, non risulta strettamente attinente ai fini della sopravvivenza. L'osservazione
diretta degli avvenimenti fu il primo metodo con il quale l'umanità poté intuire quale
potenza si celava in molti organismi vegetali. Erano già note agli uomini dell'età
della pietra e del bronzo, seppur in modo superficiale, le virtù medicamentose di
molte erbe. Una foglia di giusquiamo raccolta a caso e posta su di una ferita,
esplicando localmente un'azione analgesica, fece probabilmente intuire all'uomo
preistorico che quella particolare pianta doveva essere dotata di qualche virtù a lui
sconosciuta e misteriosa, nondimeno la morte di un suo simile, causata
dall'ingestione di bacche di belladonna, poté insegnare ai suoi spettatori quale
pericolo o quale virtù (le stesse si utilizzavano per avvelenare le frecce), fossero
nascoste in quest'altra specie vegetale. In mancanza di mezzi atti all'investigazione
dei fenomeni naturali, gli uomini dell'era preistorica e dell'antichità, molto spesso
attribuivano a questi fenomeni (ed agli effetti delle droghe ingerite) dei significati
soprannaturali, caricando di valore simbolico, misterioso e sacro, molte delle piante
che erano soliti utilizzare, da ciò nacque il culto del divino e con esso di una
moltitudine di entità soprannaturali. Alle entità divine veniva attribuito ogni
fenomeno che non poteva essere altrimenti spiegato e ad esse ci si rivolgeva nei
momenti di bisogno e di malattia. La componente magica operava l’allontanamento
delle forze maligne, considerate come causa della malattie, mentre alle proprietà
delle piante era affidato il compito di curare i sintomi.
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Alcune testimonianze archeologiche dimostrano come, in tutti i continenti, già
migliaia di anni prima di Cristo l’uomo sia venuto a contatto con piante ritenute
“sacre”, poiché ricche di principi attivi allucinogeni e con funghi psicoattivi.
Gli allucinogeni (dal latino allucinatio, discorso delirante) sono sostanze
eterogenee capaci di alterare le normali funzioni mentali, in particolare quelle che
presiedono alla percezione, alla cognizione, alle emozioni.
L’intento di questo lavoro è quello di presentare lo scenario delle piante ad
azione allucinogena, introducendo l’aspetto etnobotanico, antropologico, storico,
mitologico, filosofico, religioso, nonché l’utilizzo terapeutico in Fitoterapia ed in
Omeopatia.
La relazione tra l’uomo e le piante allucinogene è stata rappresentata in miti,
leggende e credenze. Miti particolari sono quelli che narrano l’origine di tali piante,
che riportano un loro specifico utilizzo, in genere legato ad un rituale di culto. È
possibile incontrare miti differenti per una stessa pianta e differenti versioni per uno
stesso mito, a seconda delle differenze culturali tra popoli di origine diversa che
impiegano la stessa pianta. La fruizione di questi vegetali è caratterizzata da una
valenza sacra e tutt’ora vi è la credenza che attribuisce a tali piante un potere
soprannaturale.
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CAPITOLO I
ALLUCINOGENI E CERVELLO
Meccanismo d'azione delle sostanze psicoattive
Gli allucinogeni sono limitati ad un piccolo numero di composti chimici. Tutti
gli allucinogeni trovati nelle piante, sono composti organici che contengono carbonio
come parte essenziale della loro struttura, collegato ai processi vitali degli organismi
vegetali. Nessun costituente inorganico delle piante, come i minerali, ha proprietà
allucinogene.
I Composti allucinogeni possono essere divisi per convenzione in due grossi
gruppi: quelli che contengono azoto nelle loro strutture (molto più comuni) e quelli
che non lo contengono, questi ultimi rappresentano i principi attivi della marijuana,
composti terpenofenolici classificati come dibenzopirani e chiamati cannabinoli, in
particolare, il tetraidrocannabinolo. I composti allucinogeni con azoto nelle loro
strutture, sono alcaloidi o relative basi.
Il gruppo degli alcaloidi comprende circa 5.000 composti con strutture
molecolari complesse. Contengono azoto, carbonio, ossigeno, ed idrogeno. Tutti gli
alcaloidi hanno origine dalle piante, benché alcuni protoalcaloidi si trovino negli
animali. Sono tutti leggermente alcalini (da cui il nome), sono classificati in serie
secondo le loro strutture. Molti alcaloidi allucinogeni sono indolici o legati a
composti/gruppi indolici e la maggioranza hanno o potrebbero avere, origine
dall'aminoacido triptofano.
Molte piante medicinali e tossiche, come le piante allucinogene, devono la loro
attività biologica agli alcaloidi. Esempi di alcaloidi ampiamente stimati sono
morfina, chinina, nicotina, stricnina, caffeina.
Gli Indolici sono gli alcaloidi allucinogeni o le relative basi che contengono
tutti composti d'azoto. Il nucleo indolico degli allucinogeni spesso appare in forma di
derivati della triptammina, della feniletilammina, del tropano, del isossazolo. Tale
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specificità è certamente spiegabile con il fatto che questi composti sono simili come
struttura chimica a mediatori chimici del cervello. I farmaci psicoattivi esercitano la
loro azione sui punti di connessione tra particolari cellule cerebrali situate in
determinate aree del cervello. La massa della sostanza cerebrale è costituita da due
tipi di cellule: i neuroni, caratterizzati da un prolungamento detto assone (l’estremità
del nervo), che permette loro di entrare in contatto con altri neuroni anche molto
distanti e la glia che fornisce un supporto metabolico ai neuroni. La proprietà più
importante dei neuroni è quella di trasmettere informazioni: pensieri e sensazioni non
sono altro che il frutto della “discussione” chimica che più di 10 miliardi di neuroni
hanno tra loro. La terminazione assonica, infatti, può suddividersi in un numero
molto elevato di ramificazioni - anche più di 10.000 - ciascuna delle quali può
prendere contatto con i ricettori di un diverso neurone ricevente, trasmettendo il
segnale. Le terminazioni nervose entrano in contatto con altri neuroni o direttamente
sul corpo cellulare o, più spesso, su un altro tipo di prolungamento della cellula, il
dendrite. Convenzionalmente un impulso nasce nel dendrite e procede nel corpo
cellulare e lungo l’assone tramite un meccanismo di natura prevalentemente
elettrochimica attraverso un flusso e riflusso di ioni sodio (Na+) e potassio (K+)
secondo un meccanismo di trasmissione on-off. Il modo in cui l’impulso elettrico,
che si propaga lungo l’assone, viene trasmesso alle cellule nervose adiacenti che
sono separate da un minimo intervallo - lo spazio sinaptico - richiede l’utilizzo di
sostanze chimiche, dette neurotrasmettitori. La neurotrasmissione è un processo
chimico tramite il quale, in corrispondenza della terminazione nervosa, l’impulso
elettrico determina la liberazione di una sostanza chimica, il neurotrasmettitore, che
diffonde attraverso lo spazio sinaptico tra la terminazione stessa e il neurone
adiacente. La maggior parte dei neurotrasmettitori viene sintetizzata all’interno della
terminazione nervosa da cui si libera, altri però possono essere sintetizzati nel corpo
cellulare e trasportati lungo l’assone alla terminazione sinaptica. Una volta
sintetizzati i neurotrasmettitori sono immagazzinati in piccole strutture sferiche, le
vescicole sinaptiche, all’interno della terminazione nervosa, quando giunge l’impulso
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elettrico le vescicole si fondono con la membrana esterna della terminazione e
riversano nello spazio sinaptico le molecole del neurotrasmettitore che si legano a
recettori specifici presenti sui dendriti del neurone sinaptico, con un meccanismo
chiave-serratura. Una volta all’interno della sinapsi, dunque, la molecola di
neurotrasmettitore la attraversa e si lega a recettori specifici presenti sui dendriti del
neurone postsinaptico. I recettori sono proteine di membrana conformate in modo da
riconoscere la loro specifica molecola di neurotrasmettitore. L’interazione
neurotrasmettitore recettore innesca nella membrana sinaptica l’apertura dei canali
per gli ioni Na+, K+, Cl-, il cui passaggio attraverso le membrane provoca
l’eccitazione
o
l’inibizione
della
cellula
nervosa.
È
l’interazione
tra
neurotrasmettitore e recettore che conferisce specificità al processo sinaptico che è
un processo di breve durata : non appena si ha l’interazione, il neurotrasmettitore
viene tolto di mezzo liberando il sito per la successiva ondata di neurotrasmettitore e
la trasmissione di un nuovo impulso nervoso. Il destino del neurotrasmettitore può
però anche quello di essere reinviato dentro l’assone che lo ha emesso grazie alla
presenza sulla membrana nervosa di un sito che riconosce uno specifico
neurotrasmettitore e che attiva un sistema enzimatico che, consumando energia,
risucchia il neurotrasmettitore all’interno dell’assone. In altri casi è la glia che si
incarica di rimuovere il neurotrasmettitore. In una neurotrasmissione vi sono poi
presenti altre molecole e interazioni cellulari, denominate “secondi messaggeri”
perché intervengono tra il messaggio originario e il suo effetto finale sulla cellula
nervosa, messaggeri che traducono il riconoscimento del neurotrasmettitore da parte
del ricettore in una alterazione della velocità di eccitazione e nell’attività metabolica
generale del neurone. Tra i più importanti “messaggeri secondari” ricordiamo l’AMP
ciclico (adenosin-3’,5’-monofosfato), il GTP (guanosintrifosfato) e i fosfoinositidi.
Le sostanze psicoattive possono agire sulla trasmissione sinaptica in diversi modi:
poiché tutti i neurotrasmettitori sono formati a partire da precursori in presenza di
enzimi, un farmaco che inibisce anche uno di tali enzimi impedirebbe la formazione
del neurotrasmettitore. Un esempio sono i farmaci ipotensivi che bloccano la
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produzione di noradrenalina. Altri farmaci invece hanno una struttura chimica simile
a quella del neurotrasmettitore e sono in grado di penetrare le vescicole sinaptiche
scacciandolo fuori nello spazio sinaptico, esemplari sono le amfetamine che liberano
noradrenalina e dopamina. Altri agenti inibiscono invece gli enzimi che degradano il
neurotrasmettitore aumentandone concentrazione nello spazio sinaptico, un
meccanismo di azione tipico di alcuni antidepressivi. Infine alcune sostanze
somigliano talmente chimicamente al neurotrasmettitore da imitarne l’effetto sui
recettori, occupandone direttamente il sito,
impedendone l’accesso. Il cervello
umano è diviso in aree, alcune più recenti nella scala evolutiva, altre antichissime,
cioè presenti anche in animali inferiori. Le parti del cervello hanno funzioni diverse
e i neuroni sono organizzati in circuiti che inviano e indirizzano i messaggi in
differenti aree. La corteccia cerebrale è sede della percezione, del pensiero logico e
di certe componenti dell’attività motoria, le aree extrapiramidali sotto la corteccia
integrano l’informazione per ottenere il movimento che viene coordinato dal
cervelletto, il talamo trasmette le sensazioni alla corteccia cerebrale, il sistema
limbico, una delle parti più antiche del cervello, dà coloritura emotiva a percezioni e
pensieri, mesencefalo, ponte di Varolio e midollo allungato dirigono funzioni
fondamentali per la vita come il respirare o il battito cardiaco. Il sistema limbico in
particolare comprende diverse strutture collocate immediatamente sotto la corteccia
cerebrale e ha connessioni nervose con molte altre parti del cervello; alcune di queste
connessioni si uniscono all’ipotalamo, una parte del cervello strettamente collegata
con l’ipofisi, una ghiandola fondamentale per la secrezione ormonale. Queste
connessioni fanno sì che i nostri stati “emotivi” possano alterare i livelli ormonali di
tutto il corpo preparandolo a “fuggire” o ad “aggredire” in caso di necessità. I legami
nervosi con la corteccia cerebrale colorano di “sensibilità” i processi mentali. Si
suppone che, tra le varie strutture del sistema limbico, l’amigdala intervenga nei
comportamenti
emotivi,
come
regolatrice
dell’ipotalamo
e
dell’ipofisi.
Un’importante via nervosa invia i suoi assoni dall’amigdala all’ipotalamo, mentre
dal
Locus
Ceruleus,
i
cui
neuroni
utilizzano
la
noradrenalina
come
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neurotrasmettitore, invia reti di terminazioni nervose nell’amigdala stessa.
L’importanza del sistema limbico nella definizione degli stati emotivi si può
osservare marcando sostanze oppiacee e seguendone il percorso cerebrale : le varie
strutture del sistema limbico contengono i più elevati addensamenti dei ricettori degli
oppiati, una concentrazione che è altissima anche nel Locus Ceruleus. Negli anni
Sessanta, studiando le attività di sostanze psichedeliche o allucinogene sul cervello,
Kjell Fuxe e Annica Dahlström cercarono di definire quali erano le vie contenenti la
serotonina e scoprirono che tutte le terminazioni che nel cervello la utilizzavano
avevano origine dai “nuclei del rafe”. I neuroni contenenti serotonina, nei nuclei del
rafe, danno origine ad assoni che salgono e si ramificano nel cervello, ma in
particolare nel sistema limbico. George Aghajanian (1970) studiando non solo i
neuroni dei nuclei del rafe contenenti serotonina, ma anche quelli del Locus Ceruleus
contenenti noradrenalina ,che forniscono la maggior parte dell’input neuronale di
questo neurotrasmettitore in tutto il cervello, si accorse che le sostanze psichedeliche
influivano sul Locus Ceruleus e dimostrò che gli stimoli sensoriali (olfatto, udito,
vista, gusto e tatto) acceleravano
l’eccitazione dei neuroni del
Locus Ceruleus e che questa
eccitazione
è
notevolmente
potenziata dal trattamento con
allucinogeni. Poiché il Locus
Ceruleus è un meccanismo a
“imbuto” che integra tutti i
messaggi sensoriali in un sistema
di
eccitazione
generalizzato
all’interno del cervello, la sua
eccitazione
sensazioni
farà
che
provare
travalicano
i
confini delle differenti modalità percettive: un fenomeno chiamato sinestesia. La
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sinestesia è quella particolare percezione per cui, si “sente” la luce dell’alba
“cantare” o si “vedono” i colori dei suoni e del contatto. Anche il “senso di sé”, che
spesso conferiscono le sostanze allucinogene è probabilmente legato all’eccitazione
dei neuroni del Locus Ceruleus e alla liberazione, in tutto il cervello, di una potente
dose di noradrenalina che creerebbe un’azione allertante. Questa azione allertante
spiegherebbe lo stato mentale “trascendente”, cioè quello stato di consapevolezza
elevata che permetterebbe di scoprire l”io interiore”. Il dolore possiede analoghi
effetti di stimolazione dei siti recettoriali del cervello che emettono serotonina e
noradrenalina: trance per autotortura, tipiche degli indiani d’America come la Danza
del Sole, o di molti santi cattolici, hanno motivazioni “chimiche” analoghe a quelle
delle sostanze allucinogene. Gli allucinogeni, infatti, esplicano potenti effetti sui
ricettori della serotonina collocati nel SNC, nei vasi della muscolatura liscia, nel
tratto gastrointestinale, nei polmoni e nelle piastrine (trombociti) e sono coinvolti
nella
contrazione
della
muscolatura
liscia
gastrointestinale
e
vascolare,
nell’aggregazione delle piastrine, nell’ipertensione, nelle emicranie e nella
depolarizzazione neuronale. Derivati dell’acido lisergico sono infatti utilizzati come
farmaci antiemicranici (metisergide), stimolanti uterini e vasocostrittori (ergotamina,
ergocristina, ergonovina). Il sito S e la serotonina giocano anche un ruolo nel morbo
di Alzheimer dove le funzioni dei siti recettoriali appaiono molto ridotte.
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CAPITOLO II
ARTEMISIA ABSINTHIUM
Artemisia
Absinthium
(Assenzio)
della
famiglia: Compositae è conosciuta anche con i suoi
sinonimi: artemisia maggiore, artemisia romana,
alvina, bon maistro, cinz dragon, erba branca,
medeghetto, megu, scienzio.
Provenienza:
Europa
(cresce
spontanea
particolarmente in Italia). L’etimologia del genere è
incerta, per alcuni autori deriverebbe da Artemisia,
moglie di Mausoleo, re della Caria, per altri è più
verosimile che sia riferibile ad Artemide, dea della
caccia, per altri ancora dalla parola greca “artemos”, sano, con allusione alle
proprietà benefiche di molte specie di Artemisia. Il nome specifico deriva dal latino
“absinthium”, nome con il quale si indicava la specie e che trae la sua origine dal
greco “absinthion” amaro (privo di dolcezza) con riferimento al sapore molto amaro
di questa pianta.
Sotto il termine Artemisia si raccolgono numerose specie di piante, circa 200,
alcune conosciute, come l’Artemisa Vulgaris e la Umbelliformis; altre poco note ma
non meno utilizzate, come l’absinthium, brevifolia,californica, mexicana.
Sono tutte piante erbacee, con foglie alterne profondamente incise tanto da
sembrare “frangiate”. Caratteristico è il loro colore verde scuro sul dorso glabro e
grigio argenteo, a volte con la presenza di peluria, nella parte ventrale.
I fiori sono dei capolini raccolti in infiorescenze racemali o paniculari.
Il frutto è un achenio sprovvisto di pappo, glabro e quasi lucido. Le parti
utilizzate sono le foglie e i fiori. Usate fresche o secche, insieme o singolarmente.
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Comunemente questa pianta viene chiamata Assenzio, dal nome di una
bevanda alcolica molto utilizzata nell’Ottocento, alla quale si devono intossicazioniallucinogene.
Principio attivo: α- e β-tujone, absintina. Il tujone è un principio attivo
contenuto anche nella Salvia Officinalis. I principi attivi sopra menzionati si trovano
soprattutto nelle foglie, negli steli e nelle sommità fiorite della pianta. L’α- ed il βtujone, dei monoterpeni, sono molecole entrambe presenti nell’olio essenziale e nelle
porzioni aeree dell’Artemisia absinthium, della Salvia sclarea, del Tanacetum
vulgaris e nelle varie specie di ginepro e cedro.
L’absintina dona il caratteristico sapore amaro e aromatico, oltre ad conferire
un odore pungente. La presenza di santonina conferisce la proprietà vermifuga,
mentre il tujone la tossicità.
La Storia, il Mito
Il nome Artemisia risale all’antica Grecia, in quanto era la pianta consacrata
alla dea Artemide, dea lunare della fertilità, Diana per i romani. Le proprietà
officinali
dell’Artemisia
Absinthium
erano
conosciute
ed
utilizzate
fino
dall’antichità: sembra infatti che la pianta venga addirittura citata in un papiro
egiziano del 1600 a.C.
Plinio e Plutarco, nel 150 a.C. riferiscono come l’assenzio venisse utilizzato in
qualità di insetticida per i campi. Apuleio e Catone, lo consigliavano per alleviare la
fatica del pellegrinaggio.
Nel medioevo si sfruttavano le proprietà stomachiche, utilizzandolo
quotidianamente nell’insaporire piatti particolarmente pesanti da digerire come
montone, oca e maiale. In alcuni paesi asiatici come la Cina, viene utilizzato in
moxibustione per alleviare i dolori e cauterizzare le lesioni.
Tuttavia le foglie ed i fiori dell’Artemisia Absinthium sono soprattutto
conosciuti in qualità di ingredienti utilizzati per la preparazione di un liquore
particolare, conosciuto, appunto, con il nome di Assenzio. Storicamente, l’inventore
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del liquore fu un medico francese, Pierre Ordinaire, che nel 1792, dopo essere
fuggito dalla Rivoluzione Francese, si stabilì a Couvet, in Svizzera.
Come molti medici di campagna, egli preparava da solo i rimedi contro le più
comuni malattie utilizzando erbe officinali. In Svizzera trovò l’assenzio maggiore
(Artemisia Absinthium) e conoscendo l’uso di tale pianta nei tempi antichi, iniziò a
sperimentarlo.
Il Dr. Ordinaire distillò un forte liquore (circa 60°di volume alcolico)
contenente oltre all’assenzio anche anice, issopo, dittamo, acoro, melissa e svariate
quantità di altre erbe comuni. Il suo assenzio divenne estremamente famoso come
toccasana a Couvet e fu denominato già da allora la Fée Verte (La Fata Verde). Si
dice che alla sua morte Ordinaire lasciò la sua ricetta segreta alle sorelle Henriod,
anch’esse di Couvet, ma alcuni credono che le sorelle producessero il loro assenzio
già molto prima di Pierre Ordinaire. Nel XIX secolo molte distillerie comparvero in
Francia e in Svizzera producendo marchi diversi di assenzio e tale liquore divenne
poi noto per la popolarità che ebbe in Francia tra gli scrittori ed artisti parigini alla
fine del XIX secolo e all’inizio del XX.
L’assenzio fu l’ispirazione del modo di vivere bohemiènne ed era la bevanda
preferita di artisti famosi, come ad esempio Van Gogh e Toulouse Lautrec. Il liquore
non veniva, di solito, bevuto “d’un fiato”, ma consumato dopo un rituale abbastanza
elaborato nel quale uno specifico cucchiaio scanalato contenente un cubetto di
zucchero era posto sopra un bicchiere e dell’acqua ghiacciata veniva versata sopra di
esso sino a raggiungere un volume pari a cinque volte quella del liquore. Gli
accessori utilizzati nei locali dell’epoca erano estremamente stravaganti: i bicchieri
ed i cucchiaini dalle fogge bizzarre davano al rito del bere un’atmosfera fascinosa e
piena di mistero.
Il successo dell’assenzio in Europa fu clamoroso, ma altrettanto rapido fu poi
il suo declino: scomparve da tutti i mercati d’Europa e d’oltre oceano in poco più di
un decennio. Le ragioni di ciò furono essenzialmente tre: innanzitutto il forte
movimento che si batteva contro l’alcolismo e che attraversò tutta l’Europa nei primi
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anni del ‘900, poi gli studi scientifici che individuarono il tujone quale neurotossina
in grado di provocare convulsioni e morte negli animali di laboratorio, infine la
pressione esercitata dai produttori di vino francesi che temevano la crescente
popolarità dell’assenzio.
Il liquore è conosciuto in Europa con nomi diversi: in Francia, sua patria
naturale, è conosciuto con il nome di absinthe, in Inghilterra con il nome di
wormwood, in Germania con il nome di wermuth, in Italia con il nome di assenzio,
appunto. Il vermut prodotto in Piemonte deve il suo nome proprio all’assenzio (dal
tedesco Wermuth) che viene usato nella sua preparazione e che conferisce al vino un
particolare aroma ed uno speciale sapore amaro.
L’absinthe ha solitamente un colore verde pallido (di qui il nome “Fata verde”)
ed ha un sapore simile ad un liquore a base di anice, ma con un aroma più aspro
dovuto alle molte erbe usate, ed un retrogusto leggermente amaro. Il contenuto
alcolico della bevanda è estremamente elevato (tra il 45 ed il 90%).
I sintomi associati ad intossicazione acuta sono rappresentati da convulsioni
(da scariche neuronali corticali), ipotensione da vasodilatazione generalizzata,
diminuzione del ritmo cardiaco ed difficoltà respiratorie.
Le Virtù Terapeutiche
Nella medicina popolare l’assenzio è stato utilizzato nella cura dei sintomi
dispeptici, oltre che come eupeptico (sostanza di intenso sapore amaro che favorisce
la digestione) e carminativo (sostanza che favorisce l'eliminazione di gas dallo
stomaco e dall’intestino).
L’assenzio possiede anche proprietà antimicrobiche. In un recente studio è
stata osservata la capacità dell’olio essenziale di inibire la crescita di Candida
Albicans e Saccharomyces Cerevisiae.
L’assenzio esercita inoltre un effetto protettivo nei confronti di insulti tossici a
carico del fegato che sembra essere parzialmente associato all’inibizione degli
enzimi microsomiali epatici.
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Ha effetto vermifugo: è uno dei benefici più efficaci dell’artemisia. L’azione,
che si esplica grazie alla santonina, è tanto efficiente che agisce anche sui vermi
parassiti, come gli elminti, di difficile eliminazione.
Ha azione tonificante: il fitocomplesso in toto presenta una azione energetica
generale su tutto il corpo. Il suo effetto è paragonabile a quello del ginseng, ma
nettamente inferiore come intensità.
Ha effetto antimalarico: dato dalla molecola dell’artemisinina, capace di
rimuovere parassiti, eliminando anche i sintomi associati alla malaria.
L’Artemisia ha un effetto antipiretico - diaforetico: capacità di abbassare la
temperatura corporea grazie alla sudorazione (diaforismo) e far sparire la febbre.
Azione utilizzata per combattere la febbre gialla.
È un antispasmodico – antiepilettico, indicata inoltre per calmare le
mestruazioni dolorose. La sua proprietà di emmenagogo (rimedio fitoterapico in
grado di stimolare l'afflusso di sangue nell'area pelvica e nell'utero e, in alcuni casi,
di favorire la mestruazione) consente di curare i disturbi mestruali nelle donne, come
le dismenorree e le amenorree, aumentando le contrazioni uterine. L'olio essenziale
di artemisia viene impiegato nelle frizioni sulle parti dolenti del corpo per attenuare
dolori causati da stanchezza, contratture muscolari o in caso di affezioni particolari
come i reumatismi.
Per uso esterno viene usata nelle frizioni, allevia i mal di pancia, i dolori al
torace e le contratture muscolari localizzate negli arti inferiori, conseguenti a sforzi
fisici intensi. Viene usata nel trattamento delle flebiti e delle varici: stimola la
circolazione del sangue. Attenua le crisi epilettiche e tiene lontani gli insetti
pericolosi con la diffusione dei suoi oli essenziali. Nella Medicina Tradizionale
Cinese, viene impiegata per la moxibustione, tecnica che utilizza coni o bastoncini
di Artemisia riscaldati su alcuni punti o zone del corpo per curare diverse patologie.
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ATROPA BELLADONNA
Atropa Belladonna L.,
appartiene alla famiglia delle
Solanacee.
È una pianta erbacea con
radice rizomatosa molto robusta
da cui sorge il fusto, semplice
per il primo tratto e poi
ramificato in tre rami che
possono raggiungere 1,50 m di
altezza.
Le foglie sono alterne nella parte bassa della pianta, mentre nella parte
superiore sono inserite a due a due dalla stessa parte del fusto: di queste una è molto
più piccola dell’altra.
La lamina è ovale ed acuminata all’estremità. Fusto e foglie possiedono
numerosi peli ghiandolari.
I fiori sono inseriti singolarmente in mezzo alle due foglie.
Il calice è diviso in cinque lobi, la corolla, di forma tubulare, si separa in
cinque lobi triangolari rivolti all’infuori ed è di colore porporino-violaceo con la base
bianco-verdastra.
I frutti sono bacche rotonde, grosse quanto ciliegie, dapprima verdi poi rosso
vivo ed infine nere e sempre circondate dalle cinque punte dei loro calici persistenti.
Nonostante l'aspetto invitante e il sapore gradevole, le bacche sono velenose per
l'uomo e l'ingestione può provocare una diminuzione della sensibilità, forme di
delirio, sete, vomito, seguiti, nei casi più gravi, da convulsioni e morte. Il periodo
balsamico va da maggio a settembre.
La tintura madre viene preparata dalla pianta intera fiorita ove la maggior parte
dei principi attivi è contenuta nelle foglie.
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I suoi costituenti principali sono alcaloidi ad azione parasimpaticolitica quali:
– atropina, determinante nella tossicologia e nella patogenesi
– iosciamina, principale alcaloide presente nella pianta fresca
– scopolamina o ioscina
Il primo principio attivo è in grado di agire sul sistema nervoso parasimpatico,
come anestetico, grazie alle sue proprietà miorilassanti. La seconda sostanza agisce
come stimolante. La scopolamina, infine, possiede un’azione sedativa. Queste
sostanze insieme, inibiscono competitivamente il legame del neurotrasmettitore
acetilcolina ai suoi recettori muscarinici del sistema nervoso centrale e del sistema
nervoso autonomo parasimpatico. Gli effetti provocati dalla Belladonna sono:
alterazioni delle capacità cognitive con amnesia e blocco dell’apprendimento,
allucinazioni,
inibizione
delle
secrezioni
salivare,
gastrica
e
intestinale,
vasocostrizione, midriasi (dilatazione della pupilla), tachicardia, nausea, vomito e, a
dosi elevate, allucinazioni, coma e morte.
La Storia, il Mito
Profumato di bellezza il nome, ma velenosa invece tutta la pianta; tanto
velenosa che il suo nome classico, dato da Linneo, di Atropa Belladonna è sinonimo
di morte. Il nome del genere Atropa deriva da Atropos, una delle tre Moire della
mitologia greca, personificazione del destino ineluttabile. Le Moire erano Clotho
(κλωθω in greco significa filare), quella che filava il filo della vita di ognuno,
Lachesis (λαχησισ in greco significa destino), quella che misurava la lunghezza del
filo ossia della vita assegnata dal destino e Atropos (ατροποσ = inflessibile) che con
le forbici lo tagliava, decretando la morte. Le donne egiziane 4000 anni fa, poi le
babilonesi, le assire, le greche, le romane e nel Cinquecento le veneziane la usarono
per preparare un cosmetico in acqua distillata che faceva dilatare le pupille, rendendo
i loro occhi ancor più neri, grandi, affascinati ed attraenti. L’atropina, uno dei suoi
alcaloidi principali, viene infatti utilizzata in oculistica per esaminare il fondo
dell’occhio. L’atropina blocca le risposte alla stimolazione colinergica del muscolo
17
sfintere dell’iride e del muscolo ciliare; l’alcaloide è in grado di dilatare la pupilla
(midriasi) e di paralizzare l’accomodazione visiva (cicloplegia). Secondo un’altra
interpretazione il nome deriverebbe invece dal francese belle-femme, termine
utilizzato nel Medioevo per designare le streghe che utilizzavano la pianta nella
preparazione di unguenti e pozioni, insieme alla Mandragora, al Giusquiamo ed allo
Stramonio, per i loro voli notturni, in realtà “viaggi” psichici. L’applicazione
dell’unguento era accompagnata da formule magiche come questa, riportata negli atti
di un processo a una strega nell’Umbria del ‘400 “Unguento unguento, mandami alla
noce di Benevento supra acqua e supra vento et supre ad omne maltempo”. Visto
che la Belladonna era considerata di proprietà del demonio chi la raccoglieva
rischiava di trovarsi faccia a faccia con il diavolo che va in giro a curare e a
raccogliere le sue piante. Si diceva che soltanto una volta l’anno, la notte tra il 30
aprile e il primo maggio, il diavolo trascurava le sue cure, quando si preparava per il
sabba della notte di Valpurga.
Nell’antica Grecia le Menadi, adoratrici di Dioniso, assumevano la belladonna
per indurre la trance. La pianta veniva chiamata “Circaeon” in riferimento alla maga
Circe, incantatrice e avvelenatrice. I sacerdoti romani di Bellonna, la Dea della
guerra, bevevano un infuso di Belladonna prima di invocare la Dea. L’esercito di
Marco Antonio, durante le guerre contro i Parti ebbe un avvelenamento di massa da
belladonna. Pare che i soldati, a corto di viveri, si siano cibati di piante raccolte nei
boschi. La morte dell’Imperatore Claudio è stata attribuita alla somministrazione di
belladonna da parte di una famosa avvelenatrice, chiamata Locusta, che fu
successivamente imprigionata e condannata a morte (68 d.C.) per questo delitto. Si
punì l’esecutrice ma non la mandante, quasi certamente Agrippina, moglie di
Claudio e madre di Nerone che salì al trono imperiale lasciato vacante da Claudio.
Anche per la morte del primo imperatore, Augusto, si sospetta un intervento con la
belladonna da parte della moglie Livia, ansiosa di vedere il figlio Tiberio sul trono.
La Belladonna ha tuttavia una lunghissima storia come medicinale. Fin dall’antichità
è stato usata come anestetico per operazioni chirurgiche.
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Galeno (129-201) il più famoso medico dell’antica Roma, nei suoi trattati, cita
gli effetti curativi della Belladonna. I frequenti avvelenamenti per ingestione delle
bacche, indussero i farmacologi del '700 a sperimentare le azioni da essa esercitate. Il
primo a studiarne l'effetto prodotto sugli organi fu Berna Albrecht von Haller che
dopo aver analizzato gli organi notò come conseguenza patologie a carico del
sistema gastroenterico e delle terminazioni nervose, ma non esitò a proporla come
rimedio nel Parkinson, seppure a piccole dosi.
La spiegazione di questi effetti giunse verso la metà dell'800, quando fu isolata
l'alcaloide atropina dalla Belladonna.
In Italia è anche denominata morella furiosa, in Germania Toll-Kirsche,
ovvero ciliegia della pazzia, ed in Inghilterra Deadly Nightshade, Belladonna
mortale. Un tempo nelle campagne si sconsigliava di adornarsene perché sarebbe
stato di cattivo augurio. Questa proprietà ha evocato però accanto ad un simbolismo
negativo un altro positivo. Gli Antichi sostenevano che, se si fossero collocate due
piantine di Belladonna all’inizio di un viale, che conduceva ad una villa, si sarebbero
respinti gli spiriti impuri. Stesso effetto avrebbero avuto i suoi fiori e steli posti
all’interno della casa.
Le Virtù Terapeutiche
Belladonna è il rimedio tipico degli "sfoghi" improvvisi, dell'infiammazione
acuta con dolore, arrossamento, gonfiore e calore. Questi tipici sintomi per cui viene
prescritta la Belladonna sono riassunti in una vecchia filastrocca inglese: "Caldo
come una lepre (febbre), Cieco come un pipistrello (dilatazione delle pupille), Secco
come un osso (blocco della sudorazione e della salivazione), Rosso come una
barbabietola (congestione del volto e del collo), Matto come una gallina (eccitazione
psico-motoria e allucinazioni)". Le infiammazioni compaiono improvvisamente,
hanno decorso repentino, sono rosse, dolenti e soprattutto pulsanti.
Così come repentinamente si sono presentate altrettanto velocemente
regrediscono e scompaiono. Si ha la sensazione che tutto l’afflusso di sangue si
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concentri in testa, mentre le estremità sono fredde, gli occhi arrossati, il viso acceso
da un intenso color porpora, le arterie carotidi pulsano in modo così marcato che
diventano evidenti.
Ciò può essere accompagnato da un forte dolore, un senso di pressione,
pienezza o intontimento.
Belladonna è indicata solo nel primo stadio dell’infiammazione detto anche
fase congestizia o attiva.
Infatti, è molto utile nelle cefalee congestizie e nevralgiche, che peggiorano
chinandosi in avanti o all’ingiù, sdraiandosi o assumendo qualsiasi posizione ad
eccezione di quella verticale, nella crisi allergica, nelle otiti medie congestizie, nelle
rinofaringiti, angine e laringotracheiti al loro esordio.
È un rimedio della gola per la quale presenta un’elevata affinità. Il bruciore, la
secchezza, il senso di costrizione con desiderio costante di inghiottire per alleviare la
secchezza, con o senza dolore del palato e delle tonsille sono tutti sintomi che
possono presentarsi anche in modo molto intenso. La Belladonna è il rimedio
principe contro la febbre, è molto efficace quando la temperatura sale in modo
improvviso ed è presente un malessere generale tipico dell’influenza.
Viene usata per ridurre la secrezione acida e la motilità gastrica, favorendo
quindi i processi di cicatrizzazione dell’ulcera. Viene altresì, utilizzata nel caso di
spasmi agli organi cavi, sempre con esordio e termine bruschi, esercitando in tal
modo un’azione terapeutica valida nelle coliche epatiche, nella gastrite e i problemi
intestinali, come la stitichezza, il gonfiore e la colite, nella dismenorrea, nel vomito
gravidico, nella cinetosi e nel singhiozzo.
La pianta infatti svolge un'azione antispasmodica e parasimpaticolitica, in
quanto blocca i recettori colinergici impedendone il legame con l'acetilcolina,
liberata dalle terminazioni delle fibre parasimpatiche e di quelle post-gangliari
simpatiche, che vanno alle ghiandole sudoripare e ad alcuni vasi.
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Belladonna è utile, inoltre, per i disturbi della pelle, come acne, eczemi ed
eritemi; è anche un rimedio utile in pediatria: «Compete persino con Chamomilla
Matricaria» affermò il Dottor E. B. Nash1.
È perfetta per il bimbo che un minuto prima è in piena salute e quello
successivo sta male. Si presenta molto caldo, con il visino arrossato, in stato di semistupore e che sobbalza o trasale nel sonno.
Indicata nelle convulsioni febbrili. Il Dottor M. Tètau consiglia Belladonna
anche nelle vampate di calore della menopausa, caratterizzate da arrossamenti del
viso, sensazione intensa di calore e traspirazione profusa e nell’insonnia.
Insonnia in cui, pur essendo esausti e crollando di sonno, l’addormentamento è
difficile e, quando alla fine, il sonno sopraggiunge è caratterizzato dal manifestarsi di
numerose scosse muscolari.
Infine la pianta aumenta il numero delle pulsazioni cardiache per cui viene
usata nel trattamento di alcune brachicardie.
Nei sintomi mentali viene utilizzata come rimedio di manifestazioni acute: nel
delirio violento, selvaggio, con tendenza a mordere, sputare, strappare, scappare. Il
paziente può avere allucinazioni terrifiche: vede mostri, animali che gli si scagliano
contro, fantasmi, insetti. Ha paura di cose immaginarie e tenta di fuggire. Netta
avversione per la compagnia e fastidio per il rumore. Spesso emette suoni inarticolati
e confusi. Linguaggio assurdo, spesso osceno con risate prorompenti. Talora
situazioni di grande irritabilità ed eccitabilità si verificano, soprattutto nei neonati, in
caso di febbre.
In ambito cronico è spesso rimedio del grave paziente psichiatrico che parla
rapidamente, in maniera astiosa, ha rapidi cambiamenti d’umore e passa dalla quiete
alla violenza. Talora è compresente stupor con congestione cefalica e pupille dilatate.
Il paziente è in preda a parossismi di esaltazione psichica con grande
abbondanza di idee ed immagini generalmente fantastiche ed incoerenti.
1
Eugene Beauharnais Nash, Fondamenti di terapia omeopatica, Ed. Salus Infirmorum, 2000
21
È sempre rilevabile eccessiva eccitabilità nervosa con esaltata sensibilità di
tutti gli organi di senso: il minimo tocco, un lieve rumore, la luce, allertano il
paziente.
È evidenziabile congestione cefalica con vertigini aggravate ad ogni
movimento e, in particolare, chinandosi in avanti e rialzandosi da chinati.
La Belladonna, viene utilizzata anche in ragione della similitudine dei sintomi
in Omeopatia, principalmente per i seguenti quadri sindromici:
1. faringiti, rinofaringiti, tracheobronchiti e tonsilliti
2. febbre durante l'influenza, convulsioni infantili da febbre elevata
3. cefalea vasomotoria violenta, pulsante
4. processi infiammatori locali con arrossamento, tumefazione, calore intenso,
dolore acuto, violento e pulsante (rubor-tumor-calor-dolor)
5. delirio, ipersensibilità al rumore e alla luce intensa.
In Medicina allopatica l'atropina isolata viene ancora usata come dilatatore di
pupille e come miorilassante p. e. prima di interventi chirurgici. In medicina interna è
utilizzato come antidoto per gli avvelenamenti da muscarina.
In Fitoterapia la Belladonna è usata fin dall’antichità, come spasmolitico,
narcotico, analgesico locale, antinevralgico, antiparkinsoniano, per la sua azione
anticolinergica. Ha effetto antiemetico ed è usata per la nausea gravidica e per ogni
caso di iperscialorrea. Produce effetto di soppressione della sudorazione. È efficace
nell’iperacidità gastrica e diminuisce la motilità gastroenterica, preparati a base di
Belladonna sono stati a lungo usati nel trattamento dell’ulcera gastroduodenale.
Entra nella composizione di molti preparati topici lenitivi (ulcerazioni, ragadi). È
utilizzata come antispasmodico a vari livelli: dismenorrea, pertosse, asma. È utile nel
trattamento della bradicardia e iperstimolazione vagale. L’atropina viene anche
utilizzata nel trattamento degli avvelenamenti da esteri organofosforici (ad esempio
insetticidi) e negli avvelenamenti da funghi.
22
CANNABIS SATIVA
La
Canapa
(Cannabis
sativa - L 1753) della Famiglia
Cannabaceae è una specie da
alcuni
Autori
suddivisa
in
Cannabis sativa L., Cannabis
indica Lam. 1785 e Cannabis
ruderalis Janisch. Secondo altri
Autori si tratta di una unica
specie comprendente varietà o
sottospecie.
La Cannabis Sativa è una pianta annuale dioica con fusti eretti alti fino a tre o
più metri (fino a 7 in alcune varietà), scarsamente ramificati, con peli verde-grigio.
Foglie inferiori opposte, quelle superiori alterne palmate, con 5-11 segmenti
acuminati, portate da piccioli lunghi con stipole basali, margini fittamente dentellati,
di colore più scuro sulla faccia superiore. I fiori sono piccoli, in genere unisessuati,
giallo-verdastri, riuniti in pannocchie. Il frutto è piccolo, grigio-marrone. Fiorisce in
estate e fruttifica alla fine dell’estate o in autunno. I fiori portano dei peli ghiandolari
che secernono sostanze resinose ricche di sostanze psicoattive. Le infiorescenze
maschili, che si sviluppano sull’ascella fogliare sono pannocchie formate da
numerosi racemi. Le infiorescenze femminili, più compatte di quelle maschili, sono
apicali. L’impollinazione è anemofila. I principi attivi, fenoli-cannabinoli,
cannabinoli e tetraidrocannabinoli, sono contenuti nelle infiorescenze della pianta
femminile non fecondata e in quantità minore nelle foglie sia della pianta maschile
sia di quella femminile.
Il nome generico Cannabis deriva dal greco κάνναβις (kánnabis) canapa,
parola probabilmente di origine medio-orientale (vedi il persiano kanab); il nome
23
specifico sativa dal latino “sativus”, che significa coltivato e deriva dal verbo “sero”
(seminare, piantare).
Il termine marijuana, di origine messicana (in origine Marihuana), indica le
infiorescenze femminili essiccate della Cannabis utilizzate a scopo voluttuario.
Con il nome di hashish si indica la resina ottenuta dalle infiorescenze e di
color bruno e indurita in pani concentrandone così i principi attivi.
Secondo altri storici, il temine Cannabis deriverebbe da una parola araba che
significa “erba” e secondo alcuni sarebbe legato alla parola “assassini”, che avrebbe
indicato i seguaci di un capo Ismailita della setta dei Nizariti. Il famoso “Vecchio
della Montagna”, Hasan -i Sabbāh , intorno al 1.000 DC, dalla sua fortezza di
Alamut (cioè il nido dell’aquila), nell’attuale Iran, inviava i suoi sicari che, sotto
l’effetto della droga assassinavano gli avversari. Secondo la tradizione il Vecchio
della Montagna inebriava con l’Hashish i suoi seguaci e li rendeva tossicodipendenti
per assicurarsene la fedeltà. Secondo altri, tra cui lo scrittore libanese Amin Malouf,
questa interpretazione sarebbe falsa in quanto il termine indicava i fedeli del “assass”
(fondamento), cioè i seguaci del fondamento della fede e non dei criminali. La
fortezza di Alamut sarebbe stata, secondo la tradizione, imprendibile, ma il capo
Mongolo Hulagu la conquistò e la distrusse al primo tentativo. La canapa cresce
spontanea in Asia (Iran, India settentrionale, Siberia meridionale). E’ una specie
molto adattabile alle diverse condizioni climatiche e del terreno. Le piante per la
produzione di fibra tessile preferiscono climi temperati, mentre quelle da droga sono
più adatte a climi caldi. Ampiamente coltivata per le fibre tessili fin da tempi remoti
soprattutto in Europa, e Asia.
La coltivazione per uso tessile, per cordami e per fabbricazione di carta si
accrebbe fino alla metà del XX secolo grazie alla elevatissima produttività per ettaro
(Unione Sovietica e Italia, soprattutto Piemonte e Romagna, erano i maggiori
produttori). Oltre che per uso tessile in Italia la canapa era in passato molto utilizzata
nell’industria nautica, per la produzione di cordami e di vele. L’abbandono della
coltivazione si ebbe a partire dagli anni ’50, sia per la concorrenza di altre fibre
24
naturali come sisal, cotone e juta, o di fibre sintetiche, sia per le campagne contro la
canapa da droga, culminate con il proibizionismo. Oltre che per la produzione di
fibre tessili e per le proprietà farmacologiche, la Cannabis viene coltivata per la
produzione di olio di semi di canapa (o olio di canapa).
L’olio si ottiene dalla spremitura a freddo dei semi ed è utilizzato come
combustibile, come solvente per vernici o a scopi alimentari. Da un punto di vista
nutrizionale l’olio è ricco di acidi grassi essenziali omega 3 e omega 6, è ricco di
vitamine e di antiossidanti ed ha una notevole azione anti-infiammatoria.
Da un punto di vista organolettico ha odore e sapore gradevoli e può essere
usato in sostituzione di altri oli vegetali. Il contenuto in cannabinoidi psicoattivi è
trascurabile. E’ importantissimo considerare che il contenuto in cannabinoidi delle
piante è estremamente variabile, sia in base alla varietà che alle condizioni di coltura
e preparazione. Gli effetti possono essere euforizzanti, ansiogeni, si può avere
sensazione di benessere, ilarità, aumento nel godimento delle attività ricreative,
giovialità, ma anche attacchi di panico, alterazione della percezione del tempo e dello
spazio e della memoria. Dosi elevate possono essere allucinogene. Sia la cognizione
che le attività psicomotorie possono essere alterate e molti studi dimostrano
alterazioni della capacità di guida di veicoli, con conseguente aumento degli
incidenti automobilistici. La capacità di indurre dipendenza risulta essere inferiore a
quella della caffeina, dell’alcol, del tabacco, della cocaina e dell’eroina.
La Storia, il Mito
La pianta potentemente psicoattiva è stata ed è tuttora utilizzata nelle pratiche
magiche e religiose da molti popoli fin dal più remoto passato. Sono stati trovati
tessuti di canapa del tardo VII secolo A.C. in Turchia. Esemplari sono stati trovati in
uno scavo egiziano di 4.000 anni fa. Nell'antica Thebes, la pianta veniva usata per
una bevanda con gli effetti simili all'oppio.
La tradizione Cinese posiziona l'uso della pianta prima di 4.800 anni fa.
Scritture mediche indiane, stese prima del 1.000 A.C., riportano l'uso terapeutico
25
della Cannabis. Che i primi indiani apprezzarono le sue proprietà inebrianti è
attestato dal nome che gli dettero "guida paradisiaca" e “calmante di dolori". I cinesi
parlano della Cannabis come "liberatrice dell'anima" e "generatrice di piacere". I
Veda più di 3.500 anni orsono, la includevano tra le piante più sacre e nello
Sciamanismo asiatico la droga era utilizzata per raggiungere l’estasi che permetteva
il contatto con la divinità. Storici Greci come Erodoto riferiscono che gli Sciti,
popolazione dell’Asia Centrale, usavano inalare durante le cerimonie i fumi ottenuti
gettando nel fuoco i semi della Cannabis e coltivavano la pianta lungo il Volga 3.000
anni fa. Gli Assiri la utilizzavano come incenso chiamandola qunnubu o qunnabu.
Gli Arabi invece la impiegavano sia come farmaco sia a fini mistici.
Secondo gli antichi Germani i fiori femminili erano sacri alla Dea Freya e i
Celti facevano un uso sacro della droga. In tempi più recenti i seguaci del movimento
“Rasta” (Rastafari) fumano la Cannabis come un sacramento per avvicinarsi a Dio
nelle cerimonie in onore del loro Profeta e Re, Ras Tafari Makonnen, l’ultimo
Imperatore di Etiopia Haile Selassie (anche l’acconciatura Rasta dei capelli è ispirata
alla chioma di Haile Selassie).
Il medico greco Galeno scrisse, intorno al 160 d.C., che l'utilizzo della canapa
nelle torte provoca effetti narcotici.
Nel 1840 lo psichiatra e tossicologo J.-J. Moreau de Tours, dopo avere
sperimentato su se stesso gli effetti della canapa, li descrisse e commentò in un
saggio, Du haschish et de Valienation mental, che suscitò un tale interesse negli
ambienti letterari parigini da spingere Theophile Gautier a fondare all'Hotel
Primodian il Club des Haschishins dove si consumava la droga sotto il controllo
scientifico dello psichiatra. Da quelle esperienze nacque il Poeme du haschish di
Baudelaire. Da allora molti scrittori l'hanno sperimentata, come per esempio nel
nostro secolo Walter Benjamin ed Ernst Junger.
Nel prima metà del secolo scorso, come già anticipato, siccome la canapa
serviva per la fabbricazione di funi, in Sicilia la si considerava un mezzo infallibile
per legare a sé una persona. Il venerdì, giorno che anticamente era consacrato a
26
Venere e poi, dal cristianesimo, alla Passione del Cristo, si prendevano del filo di
canapa e venti gugliate di seta colorata, a mezzogiorno in punto se ne faceva una
treccia dicendo:”Chistu è cànnavu de Christu, Servi pi attacari a chistu”
Poi al momento della consacrazione si entrava in chiesa con quella treccina in
mano che veniva tre volte annodata aggiungendo i capelli della persona amata; e
infine s'invocavano tutti i diavoli affinché la convincessero a cedere. Nella valle
piemontese di Soana, nel Canavese, durante l'ultimo giorno di Carnevale si
accendeva un fuoco per poi osservare attentamente la direzione delle fiamme: se
fossero salite in verticale, il raccolto della canapa sarebbe stato buono, se inclinate,
c'era da attendersi un prodotto scarso. In quello stesso giorno ci si doveva astenere
dalla filatura della canapa perche sarebbe stata pessima.
L'ulteriore ed estesa diffusione della canapa in Europa nella seconda metà del
secolo scorso è dovuta invece a una serie di fattori, soprattutto all'influenza del
movimento hippy americano sui giovani e al Sessantotto: oggi è diventata la droga
povera, usata e abusata malamente.
Le proprietà mediche erano già note nell’antico Egitto e in Cina. Sembra che
piante ad alto contenuto di farmaci psicoattivi fossero coltivate in India fin dal 900
a.C.. Nel medioevo la Cannabis è stata importata in Africa settentrionale e coltivata
per la produzione di droga. In America venne importata dopo il 1500 e l’uso
psicotropo si diffuse in Messico, dove veniva chiamata marijuana e da dove
raggiunse gli Stati Uniti. Nel mondo antico l’uso medicinale della Cannabis era
molto diffuso, in Cina era considerata una delle piante più importanti e indicata per il
trattamento della gotta e dei reumatismi. Nell’antico Egitto veniva utilizzata per le
emorroidi, mentre nel mondo Islamico se ne faceva uso come diuretico, antiinfiammatorio, analgesico ed antipiretico. La medicina moderna utilizza la Cannabis
o i suoi derivati per il trattamento di numerose patologie e altre possibili applicazioni
sono in studio.

( Questa è la canapa di Cristo, / serve per attaccare questo uomo)
27
Le Virtù Terapeutiche
La Cannabis è dotata di molte azioni farmacologiche. I più importanti principi
attivi sono i cannabinoidi.
La medicina tradizionale prevede l’uso della Cannabis per molte indicazioni,
soprattutto come tonico, analgesico, narcotico e antitumorale. Tra le principali
applicazioni si ricorda il trattamento dell’inappetenza dovuta a farmaci
chemioterapici, l’uso nell’anoressia e cachessia o nei disturbi psichici come la
depressione e il disturbo bipolare (psicosi maniaco-depressiva), il trattamento del
dolore, il trattamento dell’asma e soprattutto quello del glaucoma, per l’effetto sulla
pressione del bulbo oculare. Importante è l’uso come anti-infiammatorio. La
Cannabis viene utilizzata per il trattamento delle sindromi da astinenza da oppiacei.
È
in
studio
l’utilizzazione
per
il
trattamento
sintomatico
di
malattie
neurodegenerative come la Corea di Huntigton o il Morbo di Parkinson. Diversi studi
suggeriscono inoltre un’efficacia nel trattamento di alcuni tipi di tumori. Recenti
studi, condotti da studiosi internazionali, tra cui un ricercatore italiano Maurizio
Grimaldi, hanno scoperto che il cannabidiolo, un componente non psicoattivo della
cannabis, aiuta a proteggere le cellule del cervello. La ricerca, pubblicata sulla rivista
scientifica "Proceedings of national academy", ha dimostrato che il cannabidiolo
agisce come un antiossidante, cioè combatte l'invecchiamento e la morte dei neuroni.
Anche se gli studi sono in fase sperimentale questa scoperta apre nuove possibilità
nella cura dell'ictus e dei disturbi neurodegenerativi.
28
DATURA STRAMONIUM
Lo Stramonio (Datura Stramonium
L. – Linneo, 1753),
appartiene alla
famiglia delle Solanacee ed è una pianta
erbacea annuale.
Il nome del genere Datura deriva dal
sanscrito “dhattūrāh”; quello specifico,
stramonium,
deriva
forse
dal
greco
“στρυχνοσ” (strychnos) che è il nome di
una pianta velenosa, probabilmente Solanum (ma significa anche amaro) + “μανια”
(mania) = follia. In inglese è detto Jimson weed, Thornapple; in spagnolo
Estramonio; tedesco Gemeine Stechapfel; francese Stramoine, Herbe aux fous,
Herbe du diable e Trompette de la mort. Il termine inglese-americano Jimson weed
(contrazione di Jamestown weed) ha un’origine molto interessante. Nel 1676 a
Jamestown (Virginia) scoppiò la prima insurrezione dei coloni Americani contro il
governatore Inglese. Ai soldati inglesi inviati per reprimere la ribellione venne
offerta un’insalata a base di stramonio e presto gli effetti allucinogeni si
manifestarono violentemente. Secondo un resoconto del 1705 i soldati, per 11 giorni,
fornirono una commedia molto divertente riportata dalle cronache del tempo: “si
trasformarono in pazzi: uno soffiava in aria una piuma mentre un altro cercava
furiosamente di colpirla con dei fuscelli, uno, tutto nudo, sedeva in un angolo
imitando una scimmia, un quarto baciava appassionatamente i compagni ….. Tutte
le loro azioni erano piene di innocenza. Non erano però molto puliti poiché
cercavano di rotolarsi nei loro escrementi ….. Alla fine tornarono in sé, non
ricordando nulla di quanto era accaduto.” Possiamo capire che la repressione
militare non ebbe successo e quindi Jamestown venne salvata dallo Stramonio, che
da questo prese il nome di “pianta di Jamestown”.
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Presenta una radice a fittone, fusiforme, un fusto eretto che può anche
raggiungere i due metri di altezza.
Le foglie sono alterne, frastagliate ai bordi, di grandi dimensioni, picciolate,
con lamina ovale.
I fiori sono ermafroditi con calice di forma allungata composto da 5 sepali a
lobi saldati, di colore bianco con sfumature violacee.
La fioritura avviene tra luglio ed ottobre. Di giorno i fiori rimangono chiusi,
avvolti su loro stessi e si aprono solo la notte diffondendo un odore molto intenso
che attira le farfalle notturne.
Il frutto è una capsula globosa, "mela" spinosa (da cui i nomi di mela spinosa,
thornapple e Stechapfel) divisa in 4 logge, della grandezza di una noce ed irta di
spine , al suo interno si trovano numerosi semi neri a forma di fagiolo lunghi circa 3
mm. È diffuso in America, Asia ed Europa e cresce nelle regioni sub-tropicali e nei
climi temperati. In Italia è presente in gran parte delle regioni e la si può trovare
lungo i margini delle strade, nei campi incolti e vicino a ruderi.
La tintura madre viene preparata con la parte aerea, i fiori ed i frutti non
ancora maturi. I principi attivi sono costituiti soprattutto da alcaloidi: iosciamina,
atropina e scopolamina. Gli alcaloidi hanno azione parasimpaticolitica che provoca:
tachicardia, rallentamento della peristalsi intestinale, riduzione delle secrezioni,
midriasi, effetti sul sistema nervoso centrale.
La Storia, il Mito
Lo Stramonio ha una lunga storia come farmaco e come allucinogeno sacro.
Già gli antichi testi Sanscriti e Cinesi menzionano la pianta e Avicenna (Ibn Sinā, X
secolo) la cita, riprendendo probabilmente un testo di Dioscoride (primo secolo).
Nell’antica Cina si usava un infuso di Datura Stramonium e Cannabis in vino come
anestetico o come allucinogeno. In India la pianta era sacra a Shiva, delle danzatrici
nelle cerimonie offrivano bevande drogate con i suoi semi e chi ne beveva perdeva il
30
controllo della propria volontà. La pianta sarebbe spuntata dal petto di Śhiva. I suoi
fiori sono ancora oggi usati in offerte cerimoniali in Nepal.
L’uso dello stramonio è ben documentato in India e in Tibet, i suoi effetti sono
citati in diversi testi ayurvedici. Se ne parla anche nel Kāmasūtra (IV-VI secolo DC).
Nella iconografia Buddista la Datura è legata al Buddha e all’estasi
dell’illuminazione. Da un testo Buddhista Mahayana “E poi in una foresta di alberi di
datura … (Buddha) rimase assorto in contemplazione ….. poi Buddha accettò le
offerte poste nella sua ciotola di mendicante dalle divinità che albergavano nel bosco
di datura e le benedì…”
Si pensa che lo Stramonio, o piante con proprietà farmacologiche simili siano
state usate per scopi medici e ritualistici nell’antichità, e alcuni studiosi hanno
sostenuto che questa pianta venisse usata dagli antichi Greci nel Tempio di Apollo a
Delfi (Oracolo di Delfi) per indurre negli indovini le estasi di contatto con il dio.
Anche in Africa, in Etiopia, era comune l’uso della Datura Stramonium per
aprire la mente al divino.
La maggiore diffusione dell’uso magico dello Stramonio è comunque quella
del continente americano, zona di origine della maggior parte delle specie del genere
Datura. Grazie alle potenti e durature allucinazioni che induce, nelle Americhe l’uso
magico e mistico di Datura Stramonium come tramite per la comunicazione con il
mondo degli spiriti è antichissimo. Gli Zuni, indios Pueblos del Nuovo Messico,
usavano lo Stramonio nei riti sciamanici. Gli antichi abitanti della California
ingerivano i semi per comunicare con gli dei, analogamente a quanto facevano altri
popoli americani, come i Cherokee. Lo Stramonio, come le altre piante ad azione
allucinogena simile erano potenti strumenti per la divinazione: dopo aver ingerito la
sostanza, il sacerdote cadeva in una trance nella quale veniva posseduto dagli dei o
spiriti. Al risveglio svelava il contenuto delle vivide allucinazioni che poi veniva
interpretato a seconda delle necessità.
Le proprietà narcotiche e allucinogene erano poi sfruttate durante i sabba per
avere le necessarie visioni demoniache. Tanto era diffuso l’uso magico che ai tempi
31
della caccia alle streghe in Inghilterra era molto pericoloso avere uno stramonio
nell’orto per il rischio di essere accusato di stregoneria. Lo stramonio veniva
considerato come un mezzo sicuro per riconoscere le streghe: queste infatti sarebbero
state attratte irresistibilmente dall’odore di una pianta esposta sul davanzale di una
finestra.
I fiori bianchi, del calice a campanula, sono avvizziti di giorno e si aprono
soltanto la notte emanando un odore talmente fetido e disgustoso che gli animali lo
rifuggono. Per questo motivo viene denominato anche come: noce puzza, erba
puzzola, noce spinosa, pomo spinoso, erba del diavolo ed erba strega, perché fu
utilizzato dalle streghe per provocare incubi e visioni.
In epoca più recente le opere del grande pittore Fiammingo Hieronymus Bosch
raffigurano spesso scene di orge, figure mostruose e grottesche, esseri volanti,
demoni maligni di un inferno visto come un incubo spaventoso. Alcuni studiosi
hanno ipotizzato che queste immagini potessero derivare da allucinazioni ottenute
tramite il consumo di droghe usate all’epoca, quali quelle contenute negli unguenti
delle streghe. A sostegno di questa ipotesi c’è anche la presenza, nella più famosa
delle opere di Bosch, il meraviglioso “Trittico delle Delizie”, di una inconfondibile
raffigurazione del pomo spinoso dello stramonio.
Anche Kipling nel racconto “L’Ankus del Re” nei “Libri della jungla” parla di
un avvelenamento mortale con Datura somministrato con una focaccia. Thomas
Jefferson (Presidente degli U.S.A.) fu testimone del fatto che all’epoca di
Robespierre i francesi condannati alla ghigliottina, preparavano con lo Stramonio un
veleno che causava una morte rapida, evitando così di finire sul patibolo. Per secoli
lo Stramonio è stato utilizzato per il trattamento dell’asma e come anestetico nel
corso di interventi chirurgici e riduzione di fratture. L’uso antiasmatico, dovuto alla
paralisi che viene indotta dagli alcaloidi sulla muscolatura liscia dei bronchi, è molto
antico: l’uso di fumare sigari o pipe di foglia di stramonio per gli attacchi di asma è
riportato dai testi di medicina Ayurvedica e fu importato in Europa alla fine del 18°
secolo.
32
L’uso dello Stramonio come anestetico da usare durante la riduzione delle
fratture era noto agli indios Zuni del Nuovo Messico, mentre nell’antica Cina si
utilizzava come anestetico in chirurgia.
I sintomi dell’intossicazione nell’uomo sono secchezza della bocca, polso
rapido, agitazione, respiro accelerato, sete, diarrea, dilatazione della pupilla. Nei casi
più gravi compaiono convulsioni, allucinazioni, delirio, coma e talvolta morte. I
sintomi permangono in genere per 24-48 ore, ma in alcuni casi si sono protratti anche
per 2 settimane. Per il trattamento delle intossicazioni più gravi si utilizza la
fisostigmina. Questo farmaco inibisce la degradazione enzimatica della acetilcolina,
aumentandone quindi la disponibilità e quindi può antagonizzare gli alcaloidi dello
Stramonio che agiscono come antagonisti competitivi della acetilcolina stessa.
Le Virtù Terapeutiche
La sperimentazione patogenetica di Datura Stramonium provoca sintomi di
estrema violenza.
Sul sistema nervoso: delirio furioso, violento, con allucinazioni, convulsioni e
movimenti coreici, eccitazione violenta con agitazione, sussulti, convulsioni, sonno
agitato con arti che si agitano senza sosta, sogni terrificanti.
Sul sistema circolatorio: congestione cefalica, febbre alta, tachicardia,
vertigini, cefalea violenta.
Sulle mucose: arrossamento e secchezza della bocca e del faringe, voce roca,
difficoltà di parola, tosse soffocante e crisi parossistiche.
Sulla cute: eruzione rossa scarlattiniforme.
Per similitudine le ultradiluizioni omeopatiche sarebbero indicate per la cura
dei fenomeni convulsivi, per le nevrosi accompagnate da crisi di panico, per i
fenomeni allucinatori e deliranti. Cura tutti gli stati febbrili acuti, caratterizzati da
febbre elevata non remittente, dove il soggetto presenta calore secco del corpo con
sudorazione senza sollievo, congestione cefalica con arrossamento del viso,
secchezza e arrossamento della gola, accompagnati o meno da agitazione, negli
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spasmi laringei, nella tosse pertussoide violenta, nelle crisi d’asma con
manifestazioni spastiche gravi, insolazioni, disturbi da malattie esantematiche
soppresse, delirio, manie, paure, soprattutto durante episodi febbrili. Nell’insonnia
caratterizzata da incubi, dove il soggetto grida e si mette a sedere sul letto, è pieno di
terrore ma non completamente sveglio. È un rimedio per gli incubi notturni dei
bambini.
Lo Stramonio sarebbe inoltre indicato per i soggetti, sia adulti che bambini,
particolarmente ansiosi, che presentano un umore scostante e aggressività, per i
soggetti con una personalità disturbata, caratterizzata da tratti di iperattività ed
espansività alternata a complessi di inferiorità e di senso di indegnità. Lo Stramonio
è infine indicato per le persone ipersensibili e quelle che temono moltissimo il buio e
in particolar modo la notte, per le persone incapaci di sopportare la solitudine e che
necessitano di stare sempre in presenza di altri.
In Omeopatia è il rimedio omeopatico dell’agitazione violenta fisica e
intellettuale. Spesso sono pazienti che manifestano sintomi acuti per ragioni tossiche
(alcool) o per cause infettive (gravi febbri tifoidi).
Stramonium in Omeopatia è uno dei rimedi della balbuzie, soprattutto nei casi
gravi ed in particolare quando questa sia conseguente ad uno spavento. Nonostante
possa essere indicato in qualsiasi età, è particolarmente utile in pediatria soprattutto
in caso di disturbi dello spettro autistico, di deficit dell’attenzione, di inquietudine
psicomotoria anche grave, soprattutto quando queste problematiche siano attribuibili
a ritardo di maturazione.
Il quadro psichico di Stramonium può essere scatenato da una vaccinazione, da
uno spavento, da terapie tossiche o oppressive ma necessita, per manifestarsi, di una
problematica strutturale neurologica di base che si può palesare come epilessia, tic,
balbuzie, etc. Inoltre, il rimedio omeopatico Stramonium in alta diluizione agisce
come importante farmaco di ristrutturazione neurologica
Nella Medicina Ufficiale l’Atropina e la Scopolamina contenute nello
Stramonio vengono utilizzate nei preparati per la terapia sintomatica nel morbo di
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Parkinson, nel trattamento e nella prevenzione delle cinetosi (mal d’auto) e in
oculistica. Lo Stramonio è anche usato come coadiuvante nei trattamenti delle
tossicodipendenze, dal momento che attenua il delirium tremens alcolico e i sintomi
di astinenza da morfina.
In
Fitoterapia
è
utilizzato
come
antiasmatico
per
le
proprietà
anticonvulsivante. L’asma viene trattato con le foglie di Stramonio polverizzate, ma
generalmente è preferita la somministrazione sotto forma di sigarette. Questa forma
permette al fumo della Datura di andare direttamente ai polmoni ed esplicare meglio
la propria azione calmante.
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HYOSCYAMUS NIGER
Hyoscyamus Niger L., Giusquiamo
Nero è una specie appartenente alla
famiglia delle Solanaceae.
Il nome del genere deriva dal greco
“hyos” (ύος, genitivo di ύς , che significa
maiale) (più comune la forma σύς sus da
cui deriva suino) e da “kyamos” (κυαμοσ)
che significa fava. Il nome quindi significa
“fava di porco”, per il fatto che secondo la
tradizione antica il suo veleno non avrebbe
effetto sui maiali. Il nome della specie “Niger”, nero in latino, si riferisce
probabilmente al reticolo scuro del fiore.
È una pianta erbacea, annuale o biennale, villosa, vischiosa, di odore
sgradevole, con radice fusiforme ramificata.
Il fusto eretto è alto 30-80 cm. Le foglie sono molli, vellutate, ovali-bislunghe,
grossolanamente dentate. I fiori sessili formano un racemo foglioso all’estremità dei
rami. Il calice è campanulato con 5 denti acuti. La corolla imbutiforme, divisa in 5
lobi arrotondati, è di colore giallo pallido reticolata da vene bruno-violacee. Gli
stami, incurvati, sono 5. Il frutto è una capsula a pisside chiusa nel calice accresciuto.
La tintura madre viene preparata a partire dalla pianta intera fiorita.
Il giusquiamo presenta un’azione elettiva sul sistema cerebrospinale, di grado
minore sul sistema circolatorio e sulle mucose
La Storia, il Mito
Il Giusquiamo era una delle erbe predilette da streghe ed avvelenatori per le
sue proprietà stupefacenti ed allucinogene.
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Le streghe, nel Medioevo, lo includevano nella preparazione di pozioni ed
unguenti, che secondo la leggenda, utilizzavano per prepararsi al “sabba”, più
probabilmente un “viaggio” mentale simile a quello che si può compiere sotto
l’effetto di sostanze psicotrope.
La pianta è molto velenosa, poiché i principi attivi sono alcaloidi del tipo
tropanolo: alcuni dei quali, iosciamina, atropina e scopolamina. Quest’ultima assunta
in forti dosi è allucinogena e causa anche la perdita di controllo della mente, infatti è
stata utilizzata come siero della verità. L’utilizzo della scopolamina è stato tentato fin
dalla metà del ‘900 anche dalla CIA e da altre agenzie spionistiche e forse
precedentemente anche dai nazisti. È però risultato che la azione allucinogena
provoca alterazione della percezione della realtà e quindi le affermazioni
dell’interrogato sono del tutto inattendibili. Il suo uso come "siero della verità" è
stato quindi abbandonato.
Un sortilegio suggeriva di macerare in una pignatta di coccio Giusquiamo,
Lauro e Giglio insieme con latte di pecora e di mettere il tutto all’interno di una pelle
di agnello: in tal modo tutte le pecore dei dintorni avrebbero perso il latte.
Dal Giusquiamo si ricavavano anche filtri d’amore poiché grazie alle sue
proprietà allucinogene era in grado di propiziare la disponibilità dell’amante.
Lo stesso effetto si otteneva portando in tasca almeno tre foglie di giusquiamo
che possedevano, sembra, la capacità di procurare la simpatia degli avversari e
abbattere le riserve dei diffidenti.
Lo Hyoscyamus Niger fu però anche utilizzato come medicina fin
dall’antichità. Nel papiro Egizio di Ebers viene ricordata come calmante per il mal di
denti.
Lo testimoniano gli scrittori greci e latini da Dioscoride a Plinio; quest’ultimo
lo denomina “erba apollinare” attribuendone la scoperta ad Ercole, eroe solare
collegato al culto di Apollo.
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Nel IX secolo la Spongia Somnifera costituiva la prima forma di anestetico
utilizzato negli interventi chirurgici e tra i suoi componenti oltre all’oppio, il succo di
Mandragora e d’erba di Matala (Creta) si ritrova il Giusquiamo.
Questa spugna la si lasciava asciugare, la si immergeva in acqua e la si faceva
poi annusare al paziente.
Per risvegliare il paziente era invece utilizzata una spugna imbevuta di aceto
caldo. Per i Celti era sacro a Belenos, il dio del sole, poi identificato con Apollo. I
Druidi lo usavano per raggiungere l’illuminazione.
Nel Medioevo fu apprezzato per le sue proprietà analgesiche. Curiosi
incantesimi sono stati scritti nella farmacopea cinquecentesca: un filtro composto da
giusquiamo e altri ingredienti era creduto capace di uccidere istantaneamente un cane
rabbioso o di far esplodere un calice d’argento, se mischiato al sangue di lepre, e
posto nella pelle della lepre stessa, poteva essere usato per attirare e catturare altre
lepri.
Secondo Alberto Magno bruciando il Giusquiamo mescolato al sangue di
upupa femmina tutti i presenti subiscono allucinazioni.
Nel 1762 fu riscoperto da Storck, uno dei maestri della scuola di medicina di
Vienna.
Nei manicomi era sfruttato un suo alcaloide, la L-iosciamina, per calmare la
sovreccitazione dei malati mentali che sprofondavano nel sonno all’istante.
Era denominato anche “erba del mal di denti” in quanto poche gocce del suo
decotto fatte cadere nell’apertura delle carie profonde attenuavano il dolore.
Altri nomi volgari conosciuti sono: fava porcina, cassilaggine, erba da
piaghe.
In Sicilia si usava frizionare l’olio di giusquiamo sul capo per combattere i
pidocchi.
I birrai mescolavano una quantità minima del suo estratto alla birra per
incrementarne l’effetto inebriante.
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Data l’elevata tossicità di ciascun composto, sono diversi i casi di
intossicazione grave, per lo più ad opera di giovani che assumono infusi a scopo
stupefacente. L’intervallo tra la dose attiva e quella letale è molto piccolo e questo
comporta un conseguente alto rischio nell’assunzione.
Le Virtù Terapeutiche
Tutte le parti della pianta sono fortemente tossiche. I più importanti principi
attivi del Giusquiamo, sono gli alcaloidi Scopolamina o Ioscina, Atropina (DLIosciamina), e L-Iosciamina.
Queste sostanze hanno tutte gli stessi effetti e inibiscono il legame del
neurotrasmettitore acetilcolina ai suoi recettori muscarinici (esistono due sottoclassi
di recettori per la acetilcolina, chiamati nicotinici e muscarinici per la sensibilità
farmacologica rispettivamente alla nicotina e alla muscarina, prodotta dal fungo
Amanita Muscaria ).
I recettori muscarinici sono implicati nel funzionamento del sistema nervoso
autonomo parasimpatico oltre che del sistema nervoso centrale.
Gli alcaloidi del Giusquiamo provocano quindi un’inibizione del sistema
parasimpatico (e una conseguente attivazione di quello ortosimpatico) e
interferiscono anche con alcune delle attività del sistema nervoso centrale.
A dosi efficaci gli effetti sono: amnesia, allucinazioni, blocco della secrezione
salivare, gastrica e intestinale, inibizione della vasodilatazione, dilatazione della
pupilla, tachicardia, nausea, vomito e, a dosi eccessive, coma e morte. È stato
utilizzato come antispastico in caso di coliche, come sonnifero o come diuretico.
Come linimento per dolori reumatici è stato usato un macerato di foglie in alcol
mescolato a olio di oliva e una poltiglia di foglie tritate per i dolori da gotta. Si
preparavano anche supposte per emorroidi. Il fumo ottenuto scaldando i semi o gli
stessi semi venivano utilizzati per il mal di denti. Sotto forma di estratto o di tintura
era usato come analgesico o sedativo.
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Il Giusquiamo trova ancora uso nelle preparazioni omeopatiche come
antitosse, nelle infezioni di occhi e orecchie, mal di denti, convulsioni e isterismo.
Indicato quindi il suo uso anche nelle convulsioni epilettiche e non. Come anche
crampi e tremori ai polpacci ed alle dita dei piedi, nel singhiozzo.
Le foglie del giusquiamo servono a preparare sigarette antiasmatiche e sono
considerate efficaci contro il broncospasmo.
L’estratto acquoso applicato all’occhio provoca dilatazione della pupilla (oggi
per scopi oculistici, sia per osservazione del fondo dell’occhio che per preparare
l’occhio ad interventi chirurgici, si utilizza l’atropina purificata).
La radice e i semi non vengono in genere utilizzati. È noto comunque che
contengono le stesse sostanze a concentrazioni molto maggiori delle foglie e quindi il
potenziale rischio di intossicazioni per superdosaggio è maggiore.
La scopolamina trova applicazione nel trattamento e nella prevenzione delle
cinetosi, cioè del mal di mare o del mal d’auto.
La scopolamina è efficace, poiché riduce l’attività dell’acetilcolina
nell’apparato vestibolare dell’orecchio interno, che è l’organo dell’equilibrio,
sensibile ai movimenti (in caso di mal di mare i recettori muscarinici dell’apparato
vestibolare vengono iperstimolati dai movimenti della nave e trasmettono il segnale a
livello centrale, provocando il vomito per eccesso di stimoli). La scopolamina viene
somministrata mediante cerotti transdermici o gomme da masticare.
In Omeopatia viene utilizzato come rimedio nelle patologie psichiatriche ed è
spesso utile nelle fobie, stati depressivi, turbe del comportamento. Tipica di questi
pazienti è la loquacità estrema e, allo stesso tempo, la tendenza alla volgarità ed
all’oscenità. Sono pazienti che tendono a ridere, spesso in circostanze inopportune.
Il rimedio è indicato anche quando vi sia una gelosia patologica con tendenza
alla follia. È, quindi, rimedio dell’isteria, stati deliranti spesso accompagnati da
convulsioni, crisi isteriche e di tutte le manifestazioni nervose sproporzionate anche
se solitamente correlate, come causa scatenante, a delusione amorosa o
preoccupazione professionale, solitamente sopravvalutata.
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È inoltre un farmaco di molti sintomi di vagotonia: dalla midriasi alla tosse
spasmodica, agli spasmi esofagei ed addominali. È indicato anche nella paralisi
vescicale post partum con ritenzione od incontinenza urinaria, nell’assenza di
stimolo urinario nella donna gravida.
In Fitoterapia è una pianta medicinale indicata da un punto di vista terapeutico
come sedativa del sistema nervoso centrale, consigliata in caso di nevrosi
spasmodiche quali agitazioni dei pazienti psichiatrici, melanconie ansiose, tremori da
Parkinson. Per la sua azione analgesica e specifica sul nervo vago, il Giusquiamo è
anche indicato negli spasmi esofagei, gastrici, vescicolari, intestinali. Si somministra
in polvere, tintura, pillole od enteroclisma.
L’Atropina e la Scopolamina sono utilizzate come antidoti per avvelenamenti
da gas nervini come il Sarin o da insetticidi organofosforici come Malathion o
Parathion. Queste sostanze agiscono come anticolinesterasici (inibiscono gli enzimi
che degradano la acetilcolina). La maggior disponibilità di acetilcolina provoca una
iperattività dei suoi recettori che è la causa dei danni. Questo effetto è proprio
l’opposto di quello degli alcaloidi del giusquiamo: atropina e scopolamina inibiscono
i recettori per l’acetilcolina e quindi antagonizzano l’effetto dei gas nervini o degli
insetticidi.
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LYCOPODIUM CLAVATUM
Il
Licopodio
Officinale
(Lycopodium
clavatum L., 1753) è una pianta erbacea della
famiglia delle Lycopodiaceae. I Lycopodii sono
vestigia di un passato che vide il loro momento di
massimo sviluppo circa 400 milioni di anni fa. Il
nome delle piante di questo Phylum deriva dal
greco, lykos = lupo; podos = piede, conferito dagli
antichi per la somiglianza delle ramificazioni di queste piante con l’impronta di un
piede di lupo. È una pianta dotata di fusto strisciante, attorniato da foglie strettissime.
Le spighe degli sporangi sono in numero di due, tre situate alla sommità di un fusto
foglioso. Pianta crittogama, il licopodio non porta fiori. La riproduzione avviene
mediante spore contenute negli sporangi, che sono portati dalle foglie. Questi hanno
un colore giallino e maturano in estate. La pianta può raggiungere un metro di
lunghezza. Il licopodio cresce allo stato spontaneo nei luoghi freschi, nei pascoli,
nelle radure boscose dall'alta collina fin oltre i 2.000 metri di quota. Contiene un olio
essenziale, sali minerali in particolare Magnesio, ossido di Calcio, Zolfo, Alluminio,
Silicio, Manganese, cellulosa, lipidi e protidi e un folto gruppo di alcaloidi, fra cui
annotina, nicotina, lycoclavina, lycopodina e clavatossina. Questi alcaloidi hanno
dimostrato nell’animale un’attività parasimpaticotonica ed hanno molta analogia
strutturale con la morfina. In estate quando lo sporangio è maturo, si utilizzano le
spore raccolte. Questo, staccato, lascia cadere una polvere sporifera che vien fatta
rapidamente essiccare. La conservazione avviene in luogo asciutto in un vasetto di
vetro ben chiuso poiché a contatto con il fuoco la polvere di licopodio brucia
fiammeggiando. La polvere di spore che si ottiene da questa pianta si usa nel caso di
dermatiti essudative ed irritazioni cutanee in genere. In campo estetico la sua polvere
può essere distribuita sulle pelli arrossate come il talco poiché ha un effetto calmante.
Attualmente, la polvere di Licopodio, è scarsamente utilizzata in medicina
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accademica ed in fitoterapia. Talora, viene usata per cospargere la pelle dei bambini
affetti da intertrigine. Un tempo veniva usata per confezionare pillole: questo uso è
stato abbandonato, per l’impossibilità di poterle sterilizzare.
La Storia, il Mito
A causa della sua proprietà combustibile un tempo veniva adoperata per
confezionare fuochi artificiali. Questa caratteristica gli ha meritato nel linguaggio
popolare, il nome di Erba Strega, poiché la variopinta fiammata prodotta dalla
polvere sporifera all'ingenuo poteva sembrare davvero miracolosa. Per le sue
proprietà idrofobe e infiammabili viene usata per la realizzazione di fuochi o finte
esplosioni. In Germania era conosciuto come “zolfo vegetale”, per la infiammabilità
delle spore che venivano sfruttate per effetti luminosi in teatro. Con l’avvento delle
macchine fotografiche, veniva utilizzata come polvere per i flash. Il genere
Lycopodium appartiene anche alle piante psicoattive, piante usate presso alcune
popolazioni autoctone del Madagascar. Un autore francese Pierre Boiteau, ne fa
riferimento nell’articolo pubblicato nel 1967 nei Comptes Rendus de l'Académie des
Sciences di Parigi. Egli scrisse: Gli indigeni la fumano, ottenendo in tal modo una
«ebbrezza accompagnata da allucinazioni oniriche che ricordano quelle provocate
dalla canapa indiana»2. Christian Rätsch (1998) ha recentemente posto l'attenzione su
alcune specie dalle sospette proprietà psicoattive. Nel curanderismo nord-peruviano
vengono impiegate dai guaritori parecchie specie di Licopodio come farmaci,
amuleti vegetali e additivi nella bevanda di San Pedro (Trichocereus pachanoi) per
migliorare la «vista visionaria». Lycopodium clavatum L. ed altre specie di
Licopodio spontanee in Europa sono popolarmente conosciute con diversi nomi, che
indicano un antico impiego in rituali pagani e presentano una forte associazione con
le streghe: polvere degli spiriti, farina delle streghe, muschio dei serpenti, cenere del
diavolo, inquietudine. Le plantule di Lycopodium Clavatum sono state utilizzate in
Europa sin dall'antichità come stomachiche e diuretiche, impiegate anche nella cura
2
BOITEAU P. 1967. "Sur deux plantes autochtones de Madagascar utilisées à la manière du Chanvre comme
stupéfiant" Comptes Rendus de l'Académie des Sciences, sér. D, 264: 41-42.
43
del reumatismo articolare e dei disturbi epatici e vescicali, l'azione diuretica pare
essere dovuta alla presenza di alcaloidi. Nelle Indie Orientali è considerata
afrodisiaca ed è anche usata come diuretico e considerata specifica per il trattamento
di certe forme di dissenteria, allo stato fresco emana un forte odore balsamico.
gradevole. Varie specie di Lycopodio sono state usate dagli Arabi per curare,
unitamente ad altre essenze, le malattie gastriche. Trago, riferisce che la pianta si è
rivelata utile nella cura della calcolosi renale. Lycopodium era usato dai Druidi come
potente catartico. Possiamo constatare, quindi, che questa essenza, ritenuta inerte
dalla medicina accademica, abbia avuto una ricca tradizione nella medicina popolare.
Le Virtù Terapeutiche
Viene raccolta e usata da tempo come erba sedativa, ad azione antibatterica,
antipiretica, diuretica, digestiva. La pianta intera viene utilizzata in medicina
convenzionale per uso interno nei disturbi renali e urinari, nelle cistiti, nelle gastriti
e, per uso esterno in caso di dermatiti e irritazione cutanea. Alcuni medici del recente
passato hanno impiegato la pianta per la terapia della calcolosi e della gotta. In
alcune regioni della Russia e della Finlandia, la pianta viene usata sotto forma di
tisana per problemi renali, vescicali, faringo-tonsillari, reumatici, oltre che per
l’impotenza sessuale. Nella medicina cinese cura l’artrite reumatoide e i traumatismi.
Molte delle indicazioni delle spore di Lycopodium in dosaggi farmacologici sono
valide anche per le diluizioni omeopatiche. Infatti costituisce un rimedio ad ampio
raggio psicologico e somatico. È un rimedio adatto per chi soffre l'ansia del dubbio.
È un rimedio indicato nell’ulcera duodenale ed in tutte le forme dispeptiche.
Lycopodium è il rimedio più caratteristico del dismetabolismo urico, oltre alla gotta
ed all’iperuricemia, sono frequenti i calcoli renali uratici. Utile ne i disturbi
prostatici, in particolare l’ipertrofia benigna e l’impotenza con libido conservata. È il
tipico rimedio del maschio che invecchia. Lycopodium è un rimedio dell’eczema, sia
del bambino sia dell’adulto, qualora la manifestazione cutanea sia conseguenza di
una sofferenza epatica. Il prurito può essere molto intenso (fino al sanguinamento),
44
migliorato dal freddo. È utile nella dermatite seborroica, soprattutto nell’area sternale
e le manifestazioni orticarioidi croniche. Possiamo, quindi prendere atto che le
recenti ricerche di biochimica, la verifica della presenza di importanti alcaloidi e di
molti altri componenti attivi, giustifica l’importanza terapeutica di questa pianta.
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MANDRAGORA OFFICINALIS
Mandragora L. è un
genere di piante appartenenti
alla famiglia delle Solanaceae
comunemente
note
come
Mandragola.
Pianta erbacea perenne
rosulata, di odore fetido, con
grossa radice nerastra a fittone,
spesso biforcuta e ramificata in
modo ad aver un aspetto
vagamente antropomorfo.
Il Fusto è nullo o brevissimo. Le Foglie sono tutte in rosetta basale, picciolate,
glabre o irsuto-cigliate, rugoso-reticolate, a lamina oblanceolato-spatolata, intera o
dentellata, ondulata al margine e con l'apice acuminata, la venatura centrale ispessita.
I Fiori sono ermafroditi attinomorfi inseriti al centro della rosetta, con peduncoli
pubescenti di 1,5-2 cm, accrescenti nella fruttificazione. Il Frutto è una bacca
elissoide giallo-rossastra contenente numerosi piccoli semi.
La
pianta
contiene
alcuni
principi
attivi
(Hyosciamina,
Atropina,
Mandragorina, Scopolamina e Podofillina) che producono una specie di stato
ipnotico nell’individuo, simile a quello riscontrabile nella fase REM del sonno, in cui
si sogna. Inoltre questi alcaloidi possono far aumentare le pulsazioni cardiache,
producono
effetti
di
eccitazione
psicomotoria
e
psichica,
allucinazioni,
manifestazioni di riso convulso e stati deliranti.
Le loro radici sono caratterizzate da una peculiare biforcazione che ricorda la
figura umana (maschile e femminile); sembra che sia stato Pitagora uno dei primi a
descrivere la radice come antropomorfa. Insieme alle proprietà anestetiche della
pianta, questo fatto ha probabilmente contribuito a far attribuire alla Mandragora
46
poteri sovrannaturali in molte tradizioni
popolari. La Mandragora costituì uno
degli ingredienti principali per la maggior
parte
delle
pozioni
mitologiche
e
leggendarie. Nell'antichità le venivano
accreditate
virtù
afrodisiache;
era
utilizzata anche per curare la sterilità.
La grande attenzione rivolta alla
Mandragora nel corso della storia e in
diverse parti del mondo, ha stimolato la ricerca dell’etimologia del suo nome, in
relazione alle diverse culture presso le quali trovava utilizzo.
Secondo alcuni, il nome della pianta deriverebbe dalla deformazione
dell’espressione mano di drago, riferendosi in questo caso sia all’aspetto della radice
che talvolta può effettivamente ricordare la zampa e gli artigli di un drago, sia alla
superficie delle foglie, caratterizzate da rilievi carnosi simili alla pelle di un rettile.
A partire dalla sua prima apparizione nel X libro dell’Odissea di Omero (viene
donata dal dio Hermes a Ulisse come talismano di protezione contro gli incantesimi
di Circe), è descritta come una radice nera, il cui fiore è come il latte e prosegue
"difficile impresa per gli uomini strapparla da terra ma gli dèi sono onnipotenti".
Secondo alcuni studiosi deriverebbe dal sanscrito mandros, “sonno”, e agora,
“sostanza”, oppure mandara, “paradiso”. Dioscoride, nel De Materia Medica, la
chiama nantimelon, archinen e morion, mentre in latino è Mandragoras. Gli Ebrei la
chiamano dudaim, da dum, amore. Conosciuta dagli Arabi come "mela di satana", in
passato è sempre stata oggetto di strane superstizioni, sia nell'Europa meridionale
che nel Levante.
Il medico greco Ippocrate asserisce che il suo nome è di derivazione persiana
(mehregiah). In Asia, nella medicina popolare dell’India, la Mandragora è nota come
Lakshmana, “che possiede segni fortunati”. In Francia, era nota come main de gloire,
“mano di gloria”, o mandragloire, forse dall’unione delle parole mandragora e
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Magloire, quest’ultimo nome di un elfo del folklore francese, personificato come una
radice di mandragora lavorata.
Da tutto questo se ne deduce che è un pianta che oltre a tutte le sue proprietà
esoteriche, magiche e curative, ha anche il potere di ammaliare gli uomini nel
complicato compito di cercare l’origine del suo nome, essa infatti, rapisce tutti con il
suo fascino mistico.
La Storia, il Mito
Tra tutte le piante tradizionalmente considerate magiche e spirituali,
sicuramente la Mandragora è una delle più importanti, con una storia lunga e
complessa che ha lasciato testimonianze in differenti parti del mondo. La
Mandragora è presente nell'Antico Testamento (Genesi 30-14/15), il cui taglio
narrativo mette in luce le gelosie dei vari clan e soprattutto degli harem. Rachele
vedendo che non poteva partorire figli spinse il marito, che si rifiutò, a congiungersi
con la sorella Lia. Questa però era altrettanto preoccupata poiché aveva cessato di
partorire. Entrambe offrirono così a Giacobbe le proprie schiave, Bila e Zilpa, le
quali concepirono un figlio ciascuna (ritenuto secondo la prassi orientale legittimo di
Rachele e Giacobbe). Al tempo della mietitura del grano Ruben trovò delle
Mandragore nella campagna e le portò a Lia. Gelosa del ritrovamento, Rachele offrì
a Lia di giacere con il marito in cambio delle Mandragore. Lia si recò da Giacobbe e
gli disse "È da me che devi venire perché io ho pagato il diritto di averti con le
mandragore di mio figlio". E così quella notte l’uomo si coricò con essa. Lia concepì
due figli da Giacobbe. Successivamente il Signore si ricordò (o le mandragole fecero
effetto) di Rachele, che partorì un unico figlio: Giuseppe.
Nell’antichità la pianta era sacra ad Ecate, dea delle tenebre, intimamente
legata ad Artèmide-Diana, la luna. (Donde l’idea di impiegarla nella cura
dell’epilessia, la malattia dei “lunatici”). Per il suo aspetto antropomorfo, alla radice
di Mandragora venivano conferite qualità tipicamente “umane”: come quella di
soffrire terribilmente quando la si estirpava. Per punire chi cercava di sradicarla,
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procurava la pazzia o la morte. Pertanto veniva estratta dal terreno con tutte le
cautele e attraverso particolari riti. Nell'epoca romana si credeva che la Mandragora
fosse abitata da un demone. Estratta dal terreno, il demone si sarebbe risvegliato e il
suo urlo avrebbe ucciso l'incauto raccoglitore. Conseguentemente si suggeriva un
metodo collaudato testimoniato da Teofrasto di Lesbo, poi ripreso da Plinio il
Vecchio: bisognava tracciare tre cerchi con un ramo di salice, o una spada di ferro
attorno alla pianta, (in questo specifico caso il cerchio preserva chi è fuori). Poi
doveva essere smossa la terra intorno alla radice, ammorbidita con urina femminile e
solo a quel punto una vergine avrebbe potuto raccoglierla, danzarle attorno e dire
“quante più cose è possibile sui misteri dell’amore”, guardando a ovest e ponendo
attenzione al vento poiché il suo profumo poteva ammutolire o creare allucinazioni
tali da condurre alla pazzia. Nel Medioevo gli venivano attribuite qualità magiche e
non è un caso se era inclusa nella preparazione di varie pozioni delle streghe. È
raffigurata in alcuni testi di alchimia con le sembianze di un uomo o un bambino, per
l'aspetto antropomorfo che assume la sua radice in primavera. Il rituale prevedeva di
recarsi sul posto il venerdì al crepuscolo, con un cane nero affamato. Dopo essersi
protette le orecchie, si facevano tre segni di croce sulla pianta, si scavava attorno e si
poneva attorno alla radice una corda, poi annodata al collo o alla coda del cane. Poco
lontano si poneva del cibo per l’animale, il quale strattonando staccava la radice che
emetteva un grido, un maleficio. In questo modo, il cane moriva al posto dell’uomo.
Solo allora le radici potevano essere raccolte senza pericolo. Un altro timore legato
alla raccolta era quello che la Mandragora potesse trasformarsi in un essere umano
animato, per questo doveva necessariamente essere estirpata prima che il settimo
anno si compisse e nascesse dalla pianta un embrione umano. Successivamente la
radice andava purificata, nutrita periodicamente, accudita e custodita in un luogo
sicuro, fuori dalla vista dei curiosi, poiché era considerata una creatura a metà del
regno vegetale e animale. Una pratica di purificazione era quella di lavarla in vino
rosso, avvolgerla in seta bianca e rossa e riporla in un luogo appartato.
Periodicamente si ripeteva l’operazione a ogni luna nuova. Si sosteneva che se la
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radice raccolta, purificata e resa il più possibile simile all'uomo, fosse abbigliata,
vezzeggiata, accudita e le fossero offerti pasti più volte al giorno, essa avrebbe
procurato felicità, ricchezze e salute, scacciato le forze negative, aiutato a ritrovare
gli ori nascosti ed essere una cura per tutti i mali. Alla morte del possessore, la radice
andava in eredità all’ultimogenito.
In letteratura l’omonima commedia di Niccolò Machiavelli si fa beffe delle
credenze popolari legate sia alla fertilità, sia all’uso come potente afrodisiaco.
L’infuso di Mandragola è il mezzo utilizzato per ingannare il vecchio marito
dell’onesta Lucrezia, affinché Callimaco (innamorato della bella donna) possa
giacere con lei una notte. Viene infatti detto a Nicia che per curare la sterilità della
giovane è necessario che questa beva un infuso di mandragola. La prima notte che
trascorrerà col il marito rimarrà incinta, ma come effetto collaterale l’uomo morirà.
Nicia cade nella trappola e spaventato si adopera affinché un avido frate e la suocera
convincano Lucrezia a dormire con un mendicante, della cui fine si augura come
garanzia del proprio onore. In realtà il disgraziato prescelto è Callimaco travestito,
che si dichiara alla donna, svelando il piano. Lucrezia delusa dal marito e lusingata
dalle attenzioni del giovane, lo sceglie come amante, certa che questi saprà donarle
anche il figlio che il vecchio marito è impossibilitato a darle.
Nel film spagnolo del 2006 “Il Labirinto del Fauno” il regista Guillermo del
Toro s’ispira alla credenza che la pianta favorisca i parti felici. La giovane Ofelia
riceve in dono una radice di mandragola per aiutare la madre che soffre per una
gravidanza difficile. La pratica rituale vede la bambina porre tale radice, simile a un
neonato, in una scodella di latte e collocarla sotto il letto della madre, nutrendola
ogni giorno con il proprio sangue. L’effetto benefico della mandragola è immediato.
Per converso, e certamente a causa della tossicità della radice, era utilizzata
per interrompere le gravidanze.
Nel 1615, in alcuni trattati sulla licantropia, tra i quali quello di Njanaud,
appariva l'informazione dell'uso di un magico unguento a base di mandragora che
permetteva la trasformazione in animali.
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Secondo le credenze popolari, le mandragore nascevano dallo sperma emesso
dagli impiccati in punto di morte. La mandragola può essere ricondotta ad alcune
usanze Voodoo nelle quali viene utilizzata per la costruzione di feticci, per fatture
d’amore e malefici.
In ambito magico la Mandragora è adatta per aumentare i poteri psichici, ad
esempio attraverso bagni rituali in cui aggiungere all’acqua del bagno: un litro di
acqua bollita con radice di mandragora in unione a 50 grammi di foglie di salice, 7
pizzichi di origano e 7 cucchiai di miele.
La radice di mandragora può essere usata per ungere le candele usate nei
rituali o per la creazione di oli atti alla seduzione, insieme a 7 chiodi di garofano e 7
rose rosse. La Mandragora è anche considerata un potente talismano, con la quale
vengono costruiti amuleti e sacchettini di protezione per la difesa per attrarre il
denaro, per la seduzione, contro l'impotenza o per assicurarsi la fedeltà della persona
amata.
L'incenso creato con la radice di questa pianta magica in unione con una parte
di aconito, una di elleboro nero, una di belladonna, una di giusquiamo e una parte di
olio di mandorle amare è utilizzato per entrare in contatto con la Dea Ecate; per
operazioni di difesa si usa insieme a una parte di grani di incenso, di foglie di salvia,
peperoncino e 13 gocce di olio essenziale di iperico; per l'amore passionale, insieme
sempre ad una parte di grani di incenso, una di petali di rosa e 13 gocce di olio
essenziale di verbena. Da tutto ciò si evince che non vi può essere alcun rito
esoterico efficace senza la preziosa e prodigiosa Mandragora, pianta dai poteri
infiniti e di valenza inafferrabili: La sua radice posta sotto il letto di un malato ne
guarisce il corpo e l'anima, essa può, nello stesso tempo, portare a perdizione; può
donare un sonno ristoratore, ma provoca anche pazzia; può uccidere, ma è anche un
rimedio contro il veleno dei serpenti. È in definitiva una vera e propria bilancia
sospesa fra incertezza e ambiguità.
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Le Virtù Terapeutiche
La Mandragora aveva (ed ha tutt’oggi) un impiego medicinale, afrodisiaco e
psicoattivo. Nell’antichità, il suo maggior impiego era contro le malattie oculari e il
"mal di luna" (l’epilessia). Veniva, inoltre, utilizzata esternamente come
antiflogistico ed analgesico, applicando le foglie su parti infiammate o dolenti. Nel I
secolo d.C. Dioscoride testimonia l’impiego della radice di Mandragora, stemperata
nel vino, come antidolorifico nei pazienti sottoposti a incisioni e cauterizzazioni.
Sempre come analgesico, a Roma lo stesso preparato (importato dall’Egitto) era
anche in uso (come anche la coda essiccata di vipera) contro il mal di denti.
E verso la fine del XIII secolo Arnaldo da Villanova, tra i rappresentanti più
eminenti della famosa Scuola Medica di Montpellier, nella sua Opera Omnia
improntata alle dottrine della Medicina araba (allora all’avanguardia) riporta una
“ricetta anestetica” consistente nell’applicare sul naso e sulla fronte del paziente un
panno imbibito di un miscuglio acquoso di oppio, mandragora e giusquiamo in parti
eguali, che consentiva di far “cadere il paziente in un sonno così profondo da poterlo
operare senza che sentisse dolore e potergli quindi fare qualsiasi cosa”.
A dosi minori si utilizzava per le turbe del sonno. Nonostante la sua
riconosciuta tossicità, veniva utilizzata anche per uso interno. Il succo della corteccia
della radice è un drastico purgante. Infusa nel vino, la corteccia radicale ha effetto
ipnotico e veniva somministrata a coloro ai quali si doveva amputare un arto o si
doveva intervenire con cauterizzazioni. La radice veniva utilizzata anche per la
terapia della sterilità. Esistono testimonianze sull’efficacia della tintura di
Mandragora a 1/5, nella cura delle tossi spasmodiche e per sedare la tosse estenuante
dei pazienti affetti da TBC.
In Fitoterapia viene utilizzata la radice come utile rimedio negli stati
spasmodici (singhiozzo, ulcera gastrica, coliche, tenesmo vescicale e rettale). Altro
impiego riportato è come “correttivo” delle distonie neurovegetative.
In Omeopatia, il rimedio è indicato nei pazienti inquieti, agitati, soggetti a crisi
isteriche. È farmaco specifico dei pazienti ciclotimici con alternanza di euforia e
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depressione. Il paziente accusa grande iperestesia sensoriale e varie alterazioni della
sensibilità.
È
un
rimedio
specificatamente
indicato
nelle
problematiche
infiammatorie dell’apparato digerente, con tropismo più netto per pancreas e vie
biliari. Le gastralgie sono tipicamente migliorate in flessione forzata ( come
Colocynthis), mentre le algie addominali sono attenuate dall’iperestensione (come
Dioscorea). E’ un rimedio della stipsi. È indicato nei reumatismi infiammatori, nella
gotta, nella coxartrosi e nella sciatalgia.
I preparati iniettabili contenenti Mandragora in bassa diluizione sono da molto
tempo utilizzati in Antroposofia per la terapia dell’artrosi cervicale.
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NICOTIANA TABACUM
Al genere Nicotiana appartengono
oltre sessanta specie tipiche soprattutto di
ambienti tropicali e subtropicali, in gran
parte di origine americana. Poche specie
sono spontanee dell’Australia o delle
aree del Sud Pacifico. In nome del
genere Nicotiana è stato dato da Linneo
in onore di Jean Nicot, che nel 1559 fece
conoscere
il
tabacco
in
Francia.
L’origine del termine “tabacum” è più
incerta e deriva forse dalla parola “tabago” che nella lingua Taino, parlata dalle
popolazioni Caraibiche Arawak incontrate da Colombo, indicava, secondo alcune
fonti, i rotoli di foglie di tabacco usate per il fumo e secondo altre fonti la pipa a
forma di Y usata per inalare il fumo dalle narici. La pianta veniva anche chiamata
con nomi diversi, tra cui “petum” e “cogioba”, e questi nomi compaiono anche nei
primi erbari. È anche possibile che il termine derivi invece dalla parola araba
“tabbaq”, già nota in Spagna e in Italia prima della scoperta dell’America, che
indicava una pianta medicinale, forse Inula viscosa.
La Nicotiana tabacum è una pianta erbacea annuale, di odore penetrante, alta
tra i 60 cm e i 3 metri, a seconda della varietà. I fusti sono poco ramificati, in genere
rotondi e, come le altre parti della pianta, coperti di peli ghiandolari la cui secrezione
giallastra rende la pianta vischiosa al tatto. Foglie ovali, alterne, in genere sessili o
con picciolo breve, disposte a spirale lungo il fusto, in alcune varietà possono essere
lunghe fino a 60-100 cm e larghe fino a 30-40 cm, mentre altre varietà hanno foglie
molto più piccole (8-10 cm). In alcune varietà le foglie presentano due auricole. I
fiori sono tubulari o imbutiformi, lunghi 3-5 cm, di colore bianco o crema fino al
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rosa o al carminio e crescono in gruppi numerosi (racemi). Il calice ha cinque lobi
triangolari. I frutti sono delle capsule ovoidali contenenti numerosi semi bruni.
Il tabacco contiene numerose sostanze ad azione farmacologica, di cui la più
importante è la nicotina. Contiene inoltre alcuni glicosidi, la 2-naftilammina
(sostanza potentemente cancerogena) e alcune beta-carboline, tra cui gli alcaloidi
armalinici. Queste sostanze, sono potentemente psicoattive, grazie soprattutto alla
capacità di inibire gli enzimi mono-amino ossidasi, che hanno la funzione di
demolire le molecole di neurotrasmettitori come la dopamina e la noradrenalina. Il
risultato è quindi quello di prolungare la stimolazione di molti neuroni. Le betacarboline sono inoltre inibitori del recettore GABA A (quello che viene stimolato dai
barbiturici) ed hanno quindi una azione eccitante e ansiogenica. Queste sostanze
sono le principali componenti della droga allucinogena e psichedelica Ayahuasca,
usata dalle popolazioni amazzoniche del Perù.
Tutte le parti della pianta, tranne i semi, contengono nicotina, la cui
concentrazione varia in base alle diverse varietà o specie di tabacco, alle
caratteristiche del terreno e del clima e all’età della pianta.
Da un punto di vista farmacologico la nicotina è un potente stimolante che
agisce eccitando i recettori di tipo nicotinico per il neurotrasmettitore acetilcolina. La
sua azione si esercita sul sistema nervoso centrale e sul sistema parasimpatico.
Quando il fumo del tabacco viene inalato nei polmoni la nicotina viene assorbita dal
sangue e raggiunge rapidamente il cervello dove, entro pochi secondi, stimola nei
neuroni il rilascio di neurotrasmettitori, quali l’acetilcolina, la noradrenalina, la
serotonina la dopamina e le endorfine. Queste sostanze sono responsabili della
maggior parte degli effetti, aumentando la capacità di concentrazione, l’attenzione, la
memoria, inibendo l’ansia e il dolore. Aumentando il rilascio della dopamina, la
nicotina genera anche la sensazione di appagamento. In particolare è stato dimostrato
che questa sostanza attiva il circuito mesolimbico, un’area del sistema nervoso
centrale legata alle sensazioni di piacere ed euforia.
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Dosi più elevate di nicotina possono avere una azione opposta a quelle
elencate. Questo insieme di azioni sulla attività del sistema nervoso, con la eccessiva
e prolungata stimolazione dei recettori, genera con il tempo assuefazione e
dipendenza. La nicotina è una delle droghe maggiormente capaci di provocare
dipendenza. L’uso di nicotina inibisce l’appetito e può provocare perdita di peso,
aumenta inoltre il ritmo cardiaco e la pressione e contribuisce alla formazione di
trombosi e di aterosclerosi nei fumatori. Nonostante la sua tossicità, terapie a base di
nicotina vengono utilizzate nella disassuefazione dal fumo.
La Storia, il Mito
Già nel suo primo viaggio del 1492 Cristoforo Colombo osservò che i nativi
coltivavano e utilizzavano il tabacco sia come medicinale che per gli effetti piacevoli
del fumo e riferì che l’inalazione del fumo provocava talvolta la perdita di
conoscenza. Secondo i resoconti del viaggio, gli abitanti di Cuba e di Haiti fumavano
le foglie in forma di sigari.
Il tabacco giunse in Spagna verso il 1528, dove venne coltivato a usi medici.
Nel 1559 Jean Nicot, ambasciatore Francese in Portogallo, portò un esemplare della
pianta in Francia, e utilizzò le foglie per curare un’emicrania della regina Caterina de
Medici e un’ulcera al figlio, Francesco II. Per questo il tabacco venne chiamato erba
di Nicot o erba della regina e in onore di Nicot. Oggi usiamo i nomi di Nicotiana e di
Nicotina. In Europa il tabacco ebbe fama di medicamento portentoso, guadagnandosi
il nome di “erba sacra” e in un libro del 1571 sulle piante medicinali se ne vantano
gli effetti su 36 diverse malattie.
Negli stessi anni il cardinale Prospero Di Santacroce, che era stato Nunzio
Apostolico in Portogallo, introdusse il tabacco in Italia, nello Stato della Chiesa, e ne
avviò la coltivazione ed il commercio. La pianta a Roma veniva chiamata “Erba di
Santacroce” e la sua famiglia mantenne a lungo un ruolo di primo piano nel
commercio del tabacco, al punto che a Roma le rivendite avevano come insegna la
croce dello stemma di famiglia. Si è detto che Sir Walter Raleigh abbia portato per la
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prima volta il tabacco in Inghilterra, in realtà il tabacco era già conosciuto, ma fu
Raleigh a renderne l’uso popolare presso la corte Inglese (sembra che Raleigh abbia
portato per primo in Inghilterra anche le patate, o quanto meno ne abbia introdotto la
coltivazione in Irlanda). Dopo i primi entusiasmi giunsero le critiche, tanto che nel
1604 il Re Giacomo I di Inghilterra denunciò il tabacco come dannoso per i polmoni
e il cervello, oltre che disgustoso per l’olfatto. Nello stesso anno però vennero
istituite pesanti tassazioni sull’importazione, a dimostrare l’interesse economico.
Il fumo del tabacco ottenne un grande successo nei paesi dell’Impero
Ottomano dove giunse alla fine del ‘500. Nei primi tempi venne usato come
medicamento ma il suo uso venne criticato da molti medici del mondo Islamico, che
ne denunciarono la pericolosità, al punto che il Sultano Murad IV nel 1633 proibì il
fumo, ma evidentemente senza molto successo, se il successore di Murad IV, il
Sultano Ibrahim, detto il Pazzo, revocò il divieto e impose una tassa e nel 1682 si
rilevò che uomini e donne del mondo Islamico si erano ormai convertiti all’uso. La
coltivazione del tabacco si sviluppò in Nord America a partire dal 1602, importata da
Bermuda, divenne rapidamente una delle maggiori risorse che, insieme al cotone
stimolò lo sviluppo degli stati del sud e l’importazione di schiavi dall’Africa. Sembra
che la prima coltivazione realmente produttiva di tabacco del Nord America sia stata
impiantata in Virginia da John Rolfe (1585–1622), marito della celebre indiana
Pocahontas. Nella seconda metà dell’800 l’uso del tabacco, fumato o masticato
raggiunse nel Nord America rurale una diffusione enorme, con donne e bambini
anche di 8 anni accaniti fumatori di pipe fatte con il tutolo di mais. I Maya
consideravano il tabacco come pianta sacra e lo usavano come droga per indurre
trance e visioni per il contatto con le divinità. Si utilizzavano anche infusi da
somministrare come clisteri per ottenere la trance. La Nicotiana è tuttora molto
utilizzata per indurre trance mistiche dagli sciamani di molte popolazioni indigene
Sud Americane. Le foglie vengono usate per preparare infusi da bere o da usare per
clisteri, masticate, fumate o producendo un fumo da introdurre per clistere. Il tabacco
entra anche nella composizione della Ayahuasca (ayawasca in lingua quechua),
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bevanda sacra allucinogena amazzonica e andina. Un uso particolare delle
popolazioni amerindie del Canada era quello di preparare un collirio che avrebbe
provocato la visione degli spiriti. Gli “indiani pellerossa” del Nord America
fumavano a scopo rituale e propiziatorio la “pipa della pace” o “calumet”. La pipa
conteneva una miscela di erbe, chiamata da alcune delle popolazioni indigene
“Kinnikinnick” composta in genere da Nicotiana rustica e da altre piante ad azione
psicotropa, come lo stramonio. È da notare che il termine “calumet” non è una parola
delle lingue amerindie, ma deriva dal vocabolo francese chalumeau (dal greco
calamos, canna), che indica uno strumento musicale simile al clarino usato nel XVII
e XVIII secolo).
Oggi, Nicotiana tabacum è uno dei vegetali più studiati, non soltanto nella
ricerca applicata, dato il suo grande interesse economico, ma anche nella ricerca di
base. Questa pianta è infatti caratterizzata da una rapida riproduzione e veloce
accrescimento ed è facilmente modificabile geneticamente (produzione di OGM a
scopo di ricerca). Per questi motivi il tabacco è stato usato per molti studi di interesse
generale, tra cui quelli sulla regolazione della moltiplicazione delle cellule (ciclo
cellulare), sulla risposta delle piante ai patogeni, sui meccanismi della sintesi di
molte sostanze e sullo stress ossidativo.
Le Virtù Terapeutiche
I primi esploratori delle Americhe riferirono che gli indigeni usavano il
tabacco come narcotico e per curare ascessi, ulcere, ustioni e molte altre patologie
come il mal di testa, il catarro e la diarrea. Amerigo Vespucci riporta anche l’uso del
tabacco per preparare un dentifricio (questo uso è ancora diffuso in India dove viene
anche commercializzato un prodotto). Gli Inca coltivavano il tabacco che
utilizzavano a scopo medicinale. Il tabacco è molto usato nella medicina tradizionale
di numerosi paesi, soprattutto del Sud America.
In Fitoterapia, le foglie, fresche o secche o macerate in modi diversi vengono
utilizzate per indurre narcosi o vomito, per curare ferite infette, dermatiti, micosi
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cutanee, per prevenire la calvizie, per trattare la dismenorrea o per indurre il
travaglio del parto, come antielmintico, per il morso di serpenti, come antireumatico,
come repellente per insetti o contro i pidocchi. La pratica erboristica Europea ha
utilizzato ampiamente il tabacco con le più diverse indicazioni, ad esempio come
antispastico, diuretico, antiemetico, espettorante, sedativo, anti-nausea e per la cura
del mal di mare. Applicato esternamente viene utilizzato come antireumatico, per
affezioni cutanee e contro la puntura degli scorpioni o di insetti.
In Omeopatia è il rimedio per gli improvvisi attacchi di ansia con crisi di
oppressione e grande irrequietezza. Depressione mentale con palpitazioni, difficoltà
digestive ed aritmia. La nicotina ha un effetto rilevante a livello neurovegetativo:
tipica è la vertigine con nausea, pallore, sudorazione fredda e sensazione di lipotimia.
Spesso concomitano anche scialorrea e tendenza al vomito, tutti sintomi peggiorati
dal minimo movimento e migliorati all’aria aperta. Il paziente avverte sensazione di
vuoto allo stomaco, tendenza alla diarrea acquosa, senso di costrizione precordiale
con polso irregolare, palpitazioni, poliuria e senso di prostrazione estrema. È
utilizzata per l’Angina pectoris con crisi di palpitazione e dolore retrosternale, spesso
accompagnate da stato sincopale.
È inoltre significativa per l’Arterite periferica con claudicatio intermittens e
sensazione di freddo all’arto coinvolto.
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PAPAVER SOMNIFERUM
Il
Papavero
Papavero
da
domestico
oppio
(
o
Papaver
somniferum - L. 1753 ) Della
Famiglia
delle
Papaveraceae,
il
genere Papaver comprende circa 125
specie delle regioni temperate e
subtropicali, più raramente di quelle
alpine e fredde dell’Europa, Asia,
Nord America, Africa e Australia.
Comprende piante erbacee perenni o
annuali
(16
presenti
nei
Paesi
europei). In Europa e nel bacino del Mediterraneo compreso tra l’Iran ed il Pamir,
zona di origine dei frumenti coltivati, con ogni probabilità i papaveri, infestanti delle
colture, sono stati introdotti con il seme di questi cereali (specie archeofite) e ad essi
legati, come per ben noto Papaver rhoeas.
Papaver somniferum è largamente coltivata per la produzione di oppio
soprattutto nei Paesi dell’Europa e dell’Asia sud-orientale (specialmente in India) e
Asia Minore; in molti altri stati anche come pianta ornamentale e per i semi usati
come condimento e dai quali si estrae olio. Il nome del genere "papaver" viene dal
latino "papa" = pappa, (dei fanciulli), perché nell’antichità si mettevano i petali, il
succo o i semi nel cibo per favorire il sonno dei bambini. Può essere anche connesso
a "pap"= sbocciare, la stessa che dà origine a papula, vescichetta o al termine
sanscrito papavara, succo velenoso. Il nome specifico deriva dai termini latini
“sómnium” = sonno e “féro” = io porto, riferiti alle proprietà narcotiche di questa
specie. Pianta erbacea a ciclo annuale a radice fittonante, alta da 20 a 140 cm con
fusto eretto, semplice o poco ramoso, robusto, cavo, subglabro e glauco. Foglie di
colore verde-azzurro, inferiori generalmente con breve picciolo, quelle cauline sono
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alterne, da ovate a lanceolate od oblunghe, lunghe 6-12 cm, sessili, ondulate, glaucocerose, alla base cordato-amplessicauli, con lobi profondi e ottusi lungo il bordo.
Tutte le parti della pianta se incise gemono un latice biancastro, contenuto in dotti
latticiferi presenti nel mesocarpo della capsula che rapidamente rapprende ed
imbrunisce all’aria ed è noto come oppio; questo contiene più di trentacinque
alcaloidi oppiacei, soprattutto morfina ( dal 9% al 17% ), codeina, tebaina,
papaverina, narcina, narceina, laudanina, narcotina, noscapina, ecc., oltre a resine,
proteine, gomme, zuccheri, sali, acido meconico e altri acidi organici e mucillagine.
La varietà Nigrum sono tradizionalmente impiegati per aromatizzare pane e dolci
tradizionali, oltre che carni speziate e come guarnizione, soprattutto nella tradizione
ebraica, nel nord ed est Europa e nelle zone montane e alpine. Questa è una pianta di
sapore molto amaro e odore sgradevole, caratteristico, che possiede proprietà
sedative, ipnotiche e narcotiche, deprimenti i centri bulbari, stupefacenti, che le
conferiscono azione analgesica, antispastica, bechica, sudorifera ed antidiarroica. I
sintomi di avvelenamento sono l’arrossamento del viso, capogiri, atonia in generale,
indebolimento del battito del cuore, fino alla morte per arresto cardiaco. Dalla
spremitura a freddo dei semi si ottiene un olio inodore ricco di acido oleico e
linoleico, con sapore di mandorle, di ottima qualità e con proprietà emollienti e
lenitive, dal resto si ottiene un olio non adatto al consumo ma impiegabile per
unguenti, saponi e colori. La morfina, principale suo derivato, è un antidolorifico
assai potente che crea però assuefazione ed è prescritta in medicina solo in caso di
malattie terminali ed altri casi che determinano dolori insopportabili, oppure per
arrestare violente diarree.
La Storia, il Mito
I primi documenti che testimoniano l’uso dell’oppio come analgesico
risalgono a più di 5.000 anni fa, alla civiltà Sumera (Asia minore e medio oriente),
ma vi sono ipotesi verosimili che fanno risalire l’impiego di questa pianta a 8.000
anni orsono. In seguito l’oppio fu usato dagli Assiri e dagli Egizi, seguiti dai Greci e
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dai Romani. I Greci antichi rappresentavano Hypnos, il sonno, con il capo coronato
di papaveri o con questo fiore in mano, allo stesso modo raffiguravano Thanatos, la
morte, e Nyx, la notte. Sulla loro scia i pittori barocchi ornarono di papaveri la fronte
di Oblivione d'Amore, un fanciullo alato, assopito presso la fonte Cizica, la cui acqua
aveva il potere di cancellare dalla mente gli amori passati. Anche gli Assiri
conoscevano l'oppio, come testimonia un bassorilievo della dinastia Teglathphalazar,
che rappresenta un sacerdote e un re ornati di fiori di loto e di papavero, e chini su un
uomo addormentato. Gli Egizi avevano cominciato a coltivarlo intorno al 1.500
Avanti Cristo, come testimonia nel V secolo Erodoto che nel secondo libro delle
Storie lo chiama nepenthes (ne, privativo, e penthos, pena). In Grecia l'oppio, noto
fin dai tempi preomerici, era probabilmente utilizzato nei Misteri Eleusini per la
preparazione di cibi e bevande che si davano agli iniziati. Si diceva infatti che
Demetra aveva trovato il papavero da oppio vicino alla città di Sicione, nel
Peloponneso. A loro volta le sue sacerdotesse avevano assunto il fiore come insegna
e ne decoravano le are. Nel mondo romano il papavero da oppio giunse soltanto dopo
la conquista della Grecia. Plinio il Vecchio descriveva il metodo di estrazione
dell'oppio dalle sue capsule, mentre Virgilio accennava nelle Georgiche alla pianta
donatrice di un sonno che dona l'oblio. Nel I secolo si diffuse nel mondo romano la
teriaca, un farmaco inventato da Galeno che conteneva sessanta diversi elementi fra
cui dosi abbastanza elevate di oppio. Nel Medioevo tali nozioni passarono anche agli
Arabi che successivamente lo introdussero in India e quindi in Cina verso il IX
secolo dove trovava impiego come antidissenterico e fu solo dopo il XVII secolo che
si diffuse come droga voluttuaria, e come tale raggiunse e si diffuse in Europa verso
la fine del XVIII secolo. L’oppio, sotto forma di laudano, divenne nell'Ottocento la
droga di molti scrittori e poeti, un'evasione dalla realtà opprimente della nuova
società industriale e dai suoi idoli borghesi, fino a trasformarsi in un idolo ispirando
una religione laica. Ma si tratta soltanto di un'illusoria, limitata uscita dal tempo che
dà all'oppiomane l'illusione di avere conquistato l'atarassia, il distacco dalle
preoccupazioni. Ma al ritorno dal viaggio subentra un senso di malessere che si
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accentua via via che s'instaura il fenomeno della tolleranza e si aumenta la dose per
mantenere gli stessi effetti: si diventa irrequieti, ansiosi, insonni, lacrimano gli occhi,
il corpo è indolenzito e possono verificarsi anche tremori diffusi. Anche la capacità
creativa va scemando. Conseguenze più gravi, fino alla morte, provocano la morfina
e l'eroina, sostanze chimiche tratte dall'oppio. La prima tuttavia agisce anche come
farmaco per i pazienti affetti da forti dolori
Fu Friedrich Wilhelm Sertürner (1783-1841) farmacologo e farmacista
tedesco, che nel 1806 in laboratorio isolò quel “principium somniferum” che
successivamente, nel 1811, lo stesso ricercatore descrisse questa sostanza alcalina
chiamandola “morphium”, ispirandosi al dio greco del sonno Morfeo.
Le Virtù Terapeutiche
La medicina popolare utilizzava i petali nell’infuso per favorire un sonno
migliore, come espettorante, calmare la tosse, cattiva digestione, condizioni dolorose.
Tutt’ora in Erboristeria e Fitoterapia vengono utilizzati i petali in taglio tisana
come sedativo e per favorire il sonno, come calmante la tosse, nel trattamento di
bronchiti catarrali. Gli alcaloidi presenti nel papavero sono utilizzati in medicina
come sedativi della tosse e a scopo antidolorifico, perché in grado di agire a livello
dei recettori del dolore. Dal lattice gli alcaloidi estratti, utilizzati in medicina, sono la
morfina come antidolorifico e la codeina (presente in molte formulazioni
farmaceutiche contro la tosse).
Opium è un rimedio omeopatico utilizzato nei disturbi da: forti shock
psicologici (paure, spaventi, rabbie, vergogne, gioie improvvise) o fisici
(intossicazioni acute, eccessiva esposizione al sole, malattie virali gravi). L’uso di
farmaci inibitori della reattività organica (antiinfiammatori, psicofarmaci, etc.), di
antibatterici, di alcoolici, sono altrettanti fattori eziologici importanti. Utile anche
nelle intossicazioni sia farmacologiche che chimiche (iodio, piombo, gas tossici,
fumo di carbone, etc.). Opium è molto valido nella depressione psichica e nello
squilibrio neuro-vegetativo
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VIROLA SEBIFERA
Virola (noce moscata selvaggia) è un albero
appartenente
alla
famiglia
delle
Miristicacee
(Myristicaceae R. Br., 1810) che vive nell’America
tropicale. Si presenta come albero di medie dimensioni.
Le foglie sono lucide, verde scuro, con grappoli di
piccoli fiori gialli che emettono un odore pungente. Il
legno è rossiccio per la colorazione rossastra della
linfa. La corteccia di queste piante contiene diversi
alcaloidi allucinogeni, in particolare Bufotenina e
Dimetiltriptamina di cui si utilizza il succo ottenuto
mediante incisione della corteccia che contiene un composto dalla proprietà
allucinogena e infiammatoria. Alcune tribù del bacino Amazzonico usano la pianta
per rituali sciamanici e religiosi: con i semi e la corteccia essiccata si prepara una
polvere molto fine, che viene inalata attraverso una lunga canna, una estremità della
quale termina nella narice del soggetto che aspira, mentre dall'altra un assistente
aiuta l'inalazione soffiandovi dentro. È anche usato dagli sciamani come ingrediente
in Ayahuasca (infusi o decotti psicoattivi). Gli stregoni durante le danze fumano la
corteccia interna essiccata per curare le febbri in quanto essa è molto energica. Gli
indiani fanno bollire la corteccia e la usano per scacciare gli spiriti del male.
Le Virtù Terapeutiche
Gli amerindi usano il lattice per trattare le ulcere e ascessi. I peruviani e
colombiani lo utilizzano comunemente per le malattie fungine e scabbia, anche per i
disturbi di stomaco e vescica
In Fitoterapia, Myristica Sebifera è indicato per accelerare i processi di
maturazione e di suppurazione dei paterecci e degli ascessi superficiali, per curare le
infiammazioni della pelle e del periostio, per le infezioni su base traumatica. Sembra
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essere efficace nel trattamento di infezioni micotiche cutanee causate da Candida
Albicans. È utilizzato per il trattamento di disturbi come coliche, infiammazioni,
reumatismi, dispepsia e disfunzione epatica.
In Omeopatia il rimedio Myristica Sebifera ha un’azione elettiva sui tessuti
cellulari dove provoca infiammazioni flemmonose e ascessi. Con le sue proprietà
antisettiche svolge un’azione sulle suppurazioni dell’orecchio medio, sulle fistole
anali, sull’infiammazione della parotide, sui paterecci. Il medicinale può essere
utilizzato per via esterna in forma di impacchi o di pomate.
65
CAPITOLO III
IL REGNO DEI FUNGHI
Il Regno dei Funghi o Miceti è un Regno a sé stante, distinto da quello
vegetale e animale con oltre 1.500.000 specie di organismi caratterizzati da:

assoluta mancanza di tessuti differenziati ed elementi conduttori;

riproduzione tramite spore e non attraverso stadio embrionale come per animali e
piante.
Tra le varie specie di Funghi sussistono notevoli differenze per dimensione,
struttura ed attività metabolica. Al Regno dei Funghi appartengono organismi molto
semplici, unicellulari (come i lieviti) ed organismi più complessi, pluricellulari, con
struttura vegetativa organizzata in cellule filamentose dette ife o micelio primario.
La parete delle cellule vegetali è costituita essenzialmente da cellulosa, un
polisaccaride; nei Funghi, invece, è composta da chitina, la stessa proteina che è
presente nell'esoscheletro degli Artropodi (Insetti, Ragni, Crostacei).
La chitina è molto più resistente della cellulosa alla degradazione dei microbi,
al caldo, al freddo ed alla siccità. Le cellule costituenti le ife possono essere mono o
polinucleate ed essere separate da setti. La presenza di setti è caratteristica distintiva
di alcuni gruppi di Funghi.
Le ife si sviluppano all'interno del substrato di crescita fino a formare un
reticolo intrecciato, il micelio. Caratteristica di alcuni Funghi è l’emissione di luce,
come, per esempio, nel Clitocybe dell'ulivo (Omphalotus olearius) che si illumina
grazie alle lamelle del cappello.
I Miceti si riproducono in maniera asessuata o sessuata (maggior parte)
attraverso la produzione di spore. I Funghi sono eterotrofi, ovvero ricavano sostanze
nutritive dall'ambiente esterno assorbendole attraverso le pareti. Rivestono un ruolo
ecologico importantissimo poiché decompongono il materiale organico presente nel
terreno e permettono la chiusura del ciclo della materia, rendendola nuovamente
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disponibile all'organizzazione da parte delle piante verdi. Nonostante molte specie
possano vivere e riprodursi in ambiente acqueo, la maggioranza di essi si è adattata a
svilupparsi in substrati solidi e, particolarmente, nei terreni. Molto spesso, i Miceti si
sviluppano all’interno di piante ed animali causando malattie o decadimento. Molti
Funghi attaccano anche alimenti e manufatti di diversi materiali: dal cuoio ai
cosmetici, dai farmaci agli idrocarburi. Per questa versatilità sono fondamentali in
ambito industriale ed alimentare e correntemente utilizzati per produrre vino, birra,
pane, formaggi, antibiotici ed acidi industriali. In genere, sono un'importantissima
risorsa alimentare in quanto ricchi di varie sostanze nutritive. Diverse specie
possiedono proprietà anticancerogene, altre contribuiscono ad abbassare il livello di
colesterolo ematico, altre ancora contengono vitamine ed aminoacidi. A differenza
delle piante che accumulano glucosio sotto forma di amido, i Funghi lo accumulano
sotto forma di glicogeno, come gli animali.
I Funghi In Omeopatia E Omotossicologia
La diluizione omeopatica dei principi attivi sintetizzati dai Funghi rappresenta
una grande opportunità per sfruttarne appieno le potenzialità terapeutiche. Le recenti
ricerche in Micoterapia, relative soprattutto ai Funghi orientali, aprono nuove
prospettive di studio e di lavoro. L’Omotossicologia ha compiuto passi interessanti in
tal senso annoverando – in Materia Medica – una serie di Funghi medicinali. Funghi
già patrimonio della Materia Medica Omeopatica come :
– Agaricus Emeticus
– Agaricus Muscarius
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AMANITA MUSCARIA
L’Amanita Muscaria L., appartenente alla
Famiglia delle Amanitaceae. È anche conosciuta con i
suoi sinonimi quali Agaricus Muscarius; Ovolo
malefico; Ovolaccio; Segnabrise
Provenienza: Ubiquitario: cresce in autunno nei
boschi di conifere e di latifoglie
Principio attivo: muscimolo, acido ibotenico,
muscazone , muscarina.
Il fungo cresce nei sottoboschi di Europa, Asia e
America; può raggiungere un’altezza di 25 cm, un
diametro alla base di 3 – 4 cm e un diametro del cappello di 20 cm. Il suo colore va
dal rosa-arancio al rosso vivo, secondo il luogo di crescita; il cappello porta
numerose macchie che variano dal bianco al giallo; il gambo è provvisto di anello.
L’Amanita Muscaria è una specie velenosa di fungo. Il suo nome può
erroneamente ricondurre ad una tossina, la muscarina, che in realtà è contenuta nel
fungo solo in minima quantità.
L’origine del nome, dal latino muscarius = attinente alle mosche, risale al
tredicesimo secolo, questo fungo veniva usato per attirare le mosche, ciò è dovuto ad
una delle sue sostanze tossiche, e precisamente all’acido ibotenico che è un
insetticida che attira e cattura le mosche: da qui il nome di “muscaria”. Tuttavia, vale
la pena ricordare come la muscarina sia stata estratta per la prima volta proprio da
questo fungo. Viceversa, i principi biologicamente attivi contenuti in quantità totale
circa del 20% nella Amanita Muscaria sono derivati dell’isoxazolo: l’acido
ibotenico, il muscimolo ed il muscazone. Queste molecole sono psicoattive, essendo
in grado di indurre uno stato di intossicazione simile a quello prodotto dall’alcool
etilico con fenomeni di eccitazione, sedazione, allucinazioni e movimenti
spasmodici.
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La Storia, il Mito
Dalla letteratura risulta che alcune popolazioni artiche e della Siberia
Occidentale (popolo Khanty, Chukchi, Koryak ed altri), abbiano tradizionalmente
fatto uso di Amanita Muscaria sia in ambito religioso che per migliorare le
prestazioni psicofisiche degli individui. Sembra che i guerrieri vichinghi
consumassero il fungo prima delle battaglie per ottenere uno stato di “frenesia”
dovuto al muscimolo. Alcuni popoli artici hanno riservato l’uso del fungo ad
individui che avessero particolari legami con la religione, altri popoli invece non ne
hanno confinato l’uso a particolari classi sociali. L’Amanita Muscaria è stata
utilizzata in ambito magico-religioso per avere contatti con il regno dei morti, per
comunicare con gli spiriti, per curare malattie, per interpretare i sogni, vedere nel
passato, prevedere il futuro, visitare nuovi mondi. Secondo alcuni studiosi risulta
addirittura che, in alcune popolazioni, il fungo sia stato considerato alla stregua di un
essere soprannaturale. L’uso di Amanita Muscaria per migliorare le performance
psicofisiche è stato riservato ai momenti di duro lavoro o ai momenti di intenso
esercizio fisico (durante la caccia, la corsa etc.). Il fungo è stato anche utilizzato in
particolari situazioni di vita sociale e di gruppo all’interno delle diverse comunità. In
questi contesti sono state ricercate la sensazione di felicità, allegria, prontezza di
spirito, stato euforico, le piacevoli allucinazioni visive e uditive che derivano
dall’assunzione del fungo. Alcune popolazioni artiche continuano ad utilizzare
ancora oggi il fungo nei loro cerimoniali. Date le sue proprietà stimolanti, potrebbe
essere stato l'ingrediente fondamentale del soma e dell'haoma, bevande
rispettivamente hindu e zoroastriana. L’Amanita Muscaria viene consumata cruda,
cotta, essiccata o sottoforma di estratto o decotto.
Le Virtù Terapeutiche
L’ingestione del fungo provoca intossicazione grave. Il veleno agisce sul
sistema neuro-motorio provocando eccitazione e accentuata incoordinazione motoria,
come dopo un’ubriacatura. Questi sintomi possono essere accompagnati da spasmi
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muscolari e dolore soprattutto agli arti, tremore, bruciore, prurito, formicolio,
arrossamento e gonfiore delle varie parti del corpo (orecchie, naso, faccia, mani e
piedi).
Sinteticamente al rimedio si può attribuire l’etichetta che meglio lo identifica:
Agaricus è il rimedio dell’ubriaco.
Si usa nei seguenti principali casi, quando i sintomi corrispondono e si
associano alle caratteristiche del rimedio:
 Alcool: abuso di bevande alcooliche, con desiderio di bere.
 Vertigini che compaiono alla vista del sole o di luce viva.
 Geloni con sintomi da congelamento.
 Anziani che hanno una circolazione del sangue più lenta e che sono lenti a
raccogliere le idee.
 Bambini lenti ad apprendere e a camminare, che hanno difficoltà di
concentrazione, memoria debole, intelligenza poco sviluppata, scarsa resistenza
allo studio.
 Febbre: quando i soggetti vanno facilmente in delirio durante la febbre e
avvertono ondeggiamento della testa, con brividi di freddo che percorrono la
schiena dall’alto verso il basso.
 Cefalea con sensazione di ondeggiamento e con la sensazione dolorosa di uno
spillo conficcato al lato dx del capo. Le cefalee sono spesso scatenate dal lavoro
intellettuale ed associate a sussulti e dolori alla spina dorsale.
 Spasmi e Tremori: spasmi dolorosi agli arti, soprattutto alle gambe, alleviati dal
calore del letto; i tremori scompaiono durante il sonno e riappaiono al mattino.
 Tic, Convulsioni.
 Prurito anche senza eruzioni della cute, che dopo essersi grattati lasciano la
sensazione di aghi ghiacciati.
 Dolori alla colonna vertebrale con la sensazione che la schiena possa rompersi
chinandosi e sensazione di freddo alla stessa spina dorsale.
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 Orecchie, Naso, Viso, Mani e Piedi caldi e gonfi. Conseguenze dopo esposizione
al freddo con sintomi da congelamento.
 Stomaco e Intestino: nausea e vomito con eruttazioni e singhiozzo, diarrea con
gorgoglii e borbottii del ventre.
 Apparato Respiratorio: irritazione delle mucose con respirazione difficile e tosse
spasmodica che peggiora mangiando e lascia come strascico un mal di testa
persistente.
 Utero: prolasso post-climaterio con sensazione di Bearing Down (gli organi sono
trascinati verso il basso, come se stessero per cadere fuori), in special modo se il
soggetto è una donna slanciata, nervosa, agitata.
Agaricus può essere utile per i soggetti ansiosi, insicuri e timorosi o per coloro
che hanno pensieri morbosi in ordine alla morte. L'apprensione per la propria salute
può generare una paura ossessiva di essere affetti da malattie gravi quali il cancro.
Tra i sintomi si osservano apatia grave e avversione per la conversazione, oppure
delirio e loquacità e, in casi estremi, stati estatici, euforia e ipomania, nonché
alterazione delle prospettiva. Come spesso accade per i rimedi omeopatici e come
prevedibile dallo studio dell’avvelenamento da questo fungo, il quadro clinico del
rimedio è caratteristicamente bimodale. Può essere, quindi, indicato in caso di
tendenza all’estasi e all’eccessiva fantasia accompagnata da loquacità, desiderio di
cantare, profetizzare, comporre versi, abbracciare e baciare gli amici. E’ un quadro
psicotico, a volte delirante, che può portare a non riconoscere le persone care e a
scagliare oggetti contro colui che accudisce l’individuo. Talora aumenta il coraggio
con una sorta di esaltazione. Oppure quando c’è avversione per la conversazione,
indisposizione ad eseguire ogni sforzo fisico e mentale, irritazione per la presenza di
persone care o amici, ostinazione, caparbietà. Possibili momenti di grande rabbia e
furore con aggressività verso se stessi e gli altri. In genere, il paziente non riesce a
trovare la parola adatta, tende a non rispondere alle domande che gli vengono
formulate. Predisposizione alla prostrazione con sensazione di malessere generale.
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CONCLUSIONI
Tutte le cose sono veleno e nulla è senza veleno;
solo la dose ne determina la velenosità
Paracelso
Le sostanze tossiche e psicotrope contenute nelle piante, sono utili e curative
se utilizzate correttamente.
Nel 1991 due escursionisti tedeschi scoprirono su un ghiacciaio delle Alpi
altoatesine, un cadavere che si rivelò essere l’Uomo del Similaun (battezzato Ötzi).
Quest’uomo preistorico aveva con sé una sacca contenente diverse cose tra cui dei
grossi frammenti di un fungo chiamato Piptoporus betulinus; questo fungo si
sviluppa in lamine sui tronchi degli alberi. La particolarità sta nel fatto che esso
contiene l’acido agarico, un potente lassativo e una resina oleosa che risulta tossica
per alcuni batteri e parassiti intestinali. Gli studiosi scoprirono nel 1998, da una più
approfondita autopsia dell’apparato digerente di Ötzi che l’intestino conteneva le
uova di un parassita chiamato Trichuris trichiura per cui l’uomo di Ötzi era a
conoscenza di essere affetto da questo parassita (che causa dolori addominali) e
come cura sapeva di poter usare il fungo che aveva con sé per le proprietà lassative e
antiparassitarie. L’uomo di Ötzi, 3.300 anni prima di Cristo, sapeva della sua
malattia e aveva trovato un adeguato rimedio erboristico come cura!
Questo ci insegna che i nostri antenati scoprirono le virtù di molte erbe
curative ed oggi gran parte di quelle erbe sono alla base della fitoterapia moderna, e
dell’omeopatia e come principi attivi anche della farmacologia. Gli effetti degli
allucinogeni sono ancora ben lungi dall’essere totalmente individuati. In passato,
intorno agli anni ‘60 c’è stato un certo interesse da parte degli studiosi nei confronti
di molte piante e funghi allora utilizzati dai giovani “rivoluzionari”. LSD, mescalina,
psilocibina. Oggi, i consumatori moderni utilizzano i principi attivi delle piante
allucinogene per scopi “voluttuari” come “smart drugs”.
Negli ultimi decenni la ricerca ha scoperto una sorprendente serie di composti
chimici di origine vegetale, capaci di straordinari effetti creando così nuovi campi
72
nella scienza medica quali la psicofarmacologia, la fisiologia, le scienze del
comportamento. Oggi infatti, coesistono diversi campi d’indagine che hanno come
oggetto lo studio delle sostanze allucinogene, l’interesse è rivolto sia all’azione
farmacologica che tali sostanze hanno sull’essere umano, sia come modello di
psicosi, in quanto sono in grado di indurre o mimare artificialmente stati simili alle
psicosi endogene. Nell’ambito di quest’area, nuovo impulso è stato dato alla ricerca
farmacologica, allo scopo di sviluppare nuovi farmaci tesi a contrastare le
manifestazioni psicotiche. Un altro ambito si occupa d’indagare il potenziale
terapeutico di tali sostanze, in aggiunta alla psicoterapia. Le applicazioni al momento
sono molteplici, dal trattamento dell’alcolismo a quello dell’ansia e della
depressione, dei disturbi sessuali e di personalità, del dolore oncologico, ecc. La
ricerca sugli allucinogeni riguarda inoltre le manifestazioni mistiche e religiose che
vengono occasionalmente indotte da tali sostanze e gli effetti favorenti la creatività.
Nel corso di questi ultimi anni si stanno rivalutando molto le piante. Oggi si stima
che circa il 25% dei medicinali moderni deriva direttamente o indirettamente dalle
piante, percentuale che sale al 60% nel caso di particolari categorie farmacoterapeutiche, come quella dei farmaci antitumorali. L'industria farmaceutica ha
recentemente dimostrato un rinnovato interesse verso lo studio delle piante officinali,
sia come sorgente per l'isolamento di nuove molecole, sia per lo sviluppo di farmaci
fitoterapici (fitocomplessi) standardizzati, rispondenti ai criteri di efficacia, qualità e
sicurezza propri dei medicinali di sintesi. In quanto, essi hanno dimostrato di
possedere un migliore profilo tossicologico ed una relativa innocuità rispetto ai
farmaci sintetici, sia nella cura delle patologie di modesta entità che in quelle
croniche. Infatti, è opinione condivisa da molti che per alcune malattie soggette a
lungo decorso e trattamento, siano, qualora possibile, preferibili i rimedi naturali,
generalmente meglio tollerati.
L’uso millenario delle erbe riscoperto negli ultimi decenni consente un
approccio alla salute e alla malattia più in armonia con la dimensione spirituale,
mirato al mantenimento dell’equilibrio psicofisico della persona.
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