Sciacca e il pensiero russo

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Rosalia Azzaro Pulvirenti
M.F. Sciacca e il pensiero russo
Premessa
Ascoltando Sciacca a Stresa nel 1969, decisi di studiare con lui: ebbi il bene di seguire le sue
lezioni per quattro anni. Ricordo che arrivava concentrato e quasi distratto, gli occhi vivissimi e
penetranti sembravano l’immagine dell’intelligenza: l’etimologia della parola spiegava, è intuslegere…Mi diede una tesi su Il concetto di creazione in S. Tommaso d’Aquino ma alla mia laurea da
tre mesi il Maestro non c’era più. Seguita da Maria A. Raschini potei continuare ad occuparmi di
filosofia e non ho mai smesso, per non disperdere l’eredità che egli mi aveva lasciato: la fiducia
nella potenza di una teoresi viva e la passione per la sua bellezza, come dono da scambiarsi tra
amici. Lo spirito essenziale, oserei dire, del pensiero rosminiano.
Società degli Amici
Delineare alcuni tratti della “sorprendente familiarità” tra la filosofia di Sciacca e quella russa, mi
è sembrato un modo per onorare la sua geniale personalità. Il primo di questi caratteri è il fatto che
egli faceva filosofia viva più che accademica. Si rivolgeva ad amici, parlando in un modo profondo
e brillante da cui si rimaneva affascinati; anche quando non tutti capivano tutto, restava il desiderio
di “sàpere”, assaporare ancora il vero gustato (molti ricordano come attingeva all’etimologia latina
o greca per illustrare i concetti, costume della patristica e scolastica). Nel diffondere in modo
amichevole questa sapida scientia o sapientia, era consapevole di attingere all’idea di quella
Società degli Amici di Antonio Rosmini, il quale credeva profondamente nella «unione dei buoni»,
delle intelligenze di buona volontà, quasi una variazione sul tema della Comunione dei Santi.
L’aveva ideata nel 1819 come aggregazione non d’èlite, mossa anche da preoccupazioni sociali e
politiche ma “che si sottraeva consapevolmente a ogni precisa inquadratura in un movimento
politico-culturale e, in genere, a una rigida etichettatura ideologica…quella del Rosmini era la
restaurazione di un complesso organon di pensiero che si cimentasse con i principi e i metodi della
filosofia moderna”1.
Anche molti giovani russi dell’epoca avevano la stessa passione e così nacque la Silver age, l’età
d’argento che fino alla Rivoluzione bolscevica, vide in Russia fremere un autentico rinascimento
culturale e sociale. Tra loro giganteggia Vladimir S. Solov’ev, le cui geniali intuizioni ispirarono
come è noto S. Bulgakov e F. Dostoievskij, P. Florensky e V. Ern, N. Losskij e N. Berdjàev, S.
Frank e L. Šestov. Per la maggior parte si consideravano semplicemente amici che si
riconoscevano in un Maestro e non nel razionalismo di regime in Europa. Si riunivano magari in un
ristorante, però prima del familiare colloquium ascoltavano uno di loro parlare di filosofia e storia,
letteratura e società, scienza e teologia. Erano animati da amore per la patria e per la fede comune:
1
F. Traniello, Cattolicesimo conciliatorista. Religione e cultura nella tradizione rosminiana lombardopiemontese(1825-1870), Marzorati Milano 1970 pp. 20, 22.
1
in un Dio Trinità che crea l’uomo a sua immagine e continua la sua azione; nel Logos, Parola viva
presente ab initio come Esemplare del mondo, che in Gesù Cristo si incarna nella storia degli
uomini per rimanervi; nello Spirito Santo, intelletto d’Amore che non smette di ispirare ogni bel
moto della mens umana…Credevano quindi nella Sofia-Sapienza Divina, la cui raffigurazione
personificata è presente da secoli nell’iconografia bizantina2. Icona perfetta della Sapienza divina
incarnata in una creatura, è una sola sola: Maria Santissima3, colei che “con ragione viene dalla
Santa Chiesa considerata come il tipo della Sapienza”4. Perché realmente nella Madre di Dio si
riflette e si attua il disegno sapiente presente nella Mens divina al momento della creazione, che
continua in ogni uomo attraverso la Provvidenza. “È l’incarnazione di Cristo - afferma P.
Endokimov - cambia totalmente la dimensione storica5. In questo contesto ogni anima si concepisce
come ogni anima si concepisce come «l’eterno femminile» che mette al mondo il Cristo che deve
venire”6, incarnandolo ognuno in sé attraverso la sua presenza santa nel mondo della storia.
I nostri russi si esprimevano su riviste dirette da uno di loro in cui pubblicavano tutti; riuscivano
ad avviare piccole case editrici col generoso contributo di qualche persona, capace di capire
l’importanza di dare spazio ad idee snobbate nei circuiti culturali à la page. Quando uno di loro
scompariva prematuramente, uno degli amici ne recitava l’elogio funebre davanti agli altri, sapendo
di commemorare un frammento immortale di pensiero e di storia dell’umanità.
Si dicevano “cercatori della verità” o “della città”, cioè promotori di una cultura abissalmente
diversa dall’arida competizione accademica venata di ideologia, ritenuta la norma: una cultura alta
ma collegata alla vita e capace di incidere sulla realtà. Anche per questo rivendicavano, insieme ai
cosiddetti “slavofili”, l’originalità irriducibile dell’esperienza storica e culturale russa; la
contrapponevano a quella dell’Occidente, del quale i sistemi di E. Kant e F. Hegel erano visti allora
come massima espressione.
Una sorprendente familiarità interiore
La comune reazione al razionalismo idealistico, avviene in nome di una stessa “particolare serietà
esistenziale” vale a dire “quel singolare atteggiamento di fronte alla vita che spesso viene
riconosciuto come tipico, se non addirittura esclusivo della coscienza russa”, atteggiamento che
“imprime alla coscienza un senso insolito e strano di responsabilità umana, responsabilità
collettiva”7. Questo “farsi carico” della cultura filosofica come missione, come tensione verso la
“città futura”, fa sì che lo spiritualismo radicale dei russi, come quello di Sciacca, abbia in comune
una certa insofferenza del presente8, in quanto è orientato da un incessante trascendimento
2
Sophia. La Sapienza diDio, a cura di Giuseppina Cardillo Azzaro e Pierluca Azzaro, 1999 Electa Milano, pp. 426.
Pavel Florenskij, La colonna e il fondamento fondamento della verità, Introduzione a cura di Elémire Zolla, p.
XXVIII, Rusconi, Milano 1998, pp. 36-663, p.390.
4
Antonio Rosmini, Calendario spirituale, Edizioni Rosminiane Stresa 2007, p. 47. Scriveva al Monte Calvario di
Domodossola il 4 giugno 1830: “Il nostro esemplare e la nostra cara maestra, dopo Gesù Cristo, è Maria Santissima. E
con ragione viene dalla santa Chiesa considerata come il tipo della sapienza, perché non c’è maggior sapienza che
questa, di viver in Dio tranquillo, e di esultare in lui con piena fiducia nella sua misericordia, rendendo laudi interiori e
grazie continue per tutte le opere della sua provvidenza, cioè per tutto, niente eccettuato”.
5
P. Endokimov, La femme et le salut du mond. Étude d’antropplogie chrètienne sur les charismes de la femme,
Tournai-Parigi 1958, p. 116.
6
P. Endokimov, La novità dello spirito, Milano 1979, pp. 257 ss.; 291; citati da Tomás Špidlìk, La spiritualità russa,
Edizioni Studium Roma 1981, pp.174, p.27.
7
Leonida Gančikov, Orientamenti dello spirito russo, ERI Torino 1958, pp. 232, p. 19.
8
Ibidem p.23.
3
2
dell’empirico9. Si tratta di un orientamento di pensiero “verticale” perché basato su un fondamento
ontologico: proprio perché vuole restare profondamente innestato nella realtà vera, come pure nel
cosmo e nella storia, “alla visione storicistica e quindi, in fondo, sempre g della realtà, contrappone
la necessità d’un suo chiarimento metafisico…Mentre «nello storicismo è assente lo spirito vero
della storia», come ebbe ad osservare N. Berdjaev”10.
“Dostoievskij per primo, m’insegnò che il problema del senso integrale della persona non può
prescindere da Cristianesimo e che vi è perfetta corrispondenza tra il problema «filosofico», il solo
essenziale, delle esigenze ontologiche dell’uomo e la «rivelazione» di Cristo”. Queste parole di
Sciacca, attestano un primato del pensiero russo nel suo itinerarium “Dall’attualismo allo
«Spiritualismo critico» (1931-1936)”11. Primato cronologico, ma non solo: egli parla di ricerca di
senso integrale, di un conoscere che non è solo razionale ed utilitaristico; parla di esigenze
ontologiche dell’uomo come problema essenziale, cioè di esistenzialismo assunto sul piano
metafisico, come anelito vitale della mens umana. Infine usa la parola «rivelazione» tra due
virgolette, che sembrano suggerire quelle “molte cose” al di là dell’unum necessarium, ovvero il
credo e l’intelligo visti come un unicum, al quale essenzialmente sono chiamati tutti: nati non foste
a viver come bruti.
Sciacca sin dal 1943 subì prepotente il fascino letterario del pensiero russo e forse lo conobbe più
da questo punto di vista che non da quello filosofico, ma fin dall’inizio gli è chiaro che esso non va
interpretato solo sotto la cifra dell’esistenzialismo. Ricordiamo la grande attenzione che era stata
riservata alla cultura russa da Clemente Rebora: se ne era fatto traduttore come poeta ancor prima
che rosminiano. Inoltre, molti filosofi russi trovarono spazio nella “Enciclopedia Filosofica”12
curata dal Centro di Studi Filosofici di Gallarate, di cui Sciacca fu magna pars. E fu il suo amico
Elèmire Zolla, che insegnava Letteratura Anglo-americana nella stessa università di Genova, il
primo a fare tradurre e pubblicare in Italia La colonna ed il fondamento della verità di Pavel
Florenskij.
Questa alta cultura da samizdat, a lungo boicottata anche in occidente dalla storiografia ufficiale,
si ritrova ancora in parte insondata, incasellata come “esistenzialismo” o “filosofia religiosa”,
categorie piuttosto riduttive anche dal punto di vista storiografico. Può trattarsi della conseguenza
del fatto che molti pensatori russi esuli a causa della rivoluzione bolscevica, prima di tutto in
Francia trovarono modo di esprimersi e vennero quindi catalogati secondo parametri culturali già
noti o ristretti alla riflessione teologica.
Sin dal suo esordio come filosofo, nel 1831, Rosmini riassumeva “in poche parole” la sua
“professione di fede filosofica”: “…è essenzialmente religiosa e cristiana, perché tutto, la filosofia,
la politica vera, il cristianesimo ha per principio la verità”13.
Un’interpretazione riduttiva del pensiero rosminiano e sciacchiano, come di quello russo,
indubbiamente deriva da causalità temporali ma anche da sovratrutture ideologiche che rigettano a
priori il loro assunto fondamentale: “La fede ingrandisce l’uomo…perché gli impedisce di
9
Ivi p. 21.
Ivi p. 25.
11
MFS, La clessidra, Marzorati Milano 1960, p. 105.
12
Centro di Studi Filosofici di Gallarate, Enciclopedia Filosofica, Sansoni Firenze1958, 19672.
13
A. Rosmini, Lettera a M. Parma del 30 gennaio 1831, Epistolario filosofico a cura di G. Bonafede, Celebes Trapani
1968, p. 140.
10
3
restringere miseramente il tutto a se stesso, chiudendosi nella sua piccola sfera, mentre ha una
natura creata per non aver limiti di sorta”, scriveva Antonio Rosmini14.
Questa stessa metafora si ritrova nell’ultima opera di Pëtr Jàkolevič Čaadàev (1794-1856) un
originale capostipite dei più famosi pensatori russi: “Non si può dubitare che una grande parte
dell’universo è oppresso dalle proprie tradizioni, dai suoi ricordi: non invidiamole il cerchio
limitato in cui essa si dibatte…” (Apologia di un pazzo)15. Nel 1836, in una lettera a Schelling
scriveva del proprio intento di “fondere la filosofia con la religione”16. Ma la pubblicazione della
prima delle sue famose “lettere filosofiche” - ispirate, secondo la felice espressione di N. Berdjaev,
dal «dolore geniale per la Russia» - fu «come una fucilata nel pieno della notte»…“ è uno spietato
grido di sofferenza e di rimprovero contro la Russia del periodo pietroburghese…è ovvio che una
simile voce doveva suscitare un’opposizione…la stessa giovane e sempre così audace e radicale
iintelligencija russa si sentì assai disorientata”17. “Noi cresciamo senza maturare - scriveva Siamo simili a quei fanciulli ai quali non è stato insegnato a pensare per conto proprio ed essi,
diventati una volta uomini, non hanno nulla si personale, il loro sapere è del tutto esteriore, tutta la
loro anima è per così dire, fuori di essi (…) Posti tra le due grandi divisioni del mondo, tra l’Oriente
e l’occidente, appoggiandoci con un gomito sulla Cina e con l’altro sulla Germania, dovremmo
riunire in noi i due grandi principi della natura intelligente, l’immaginazione e il raziocinio, e
congiungere nella nostra civiltà le storie del mondo intero”18. Il suo j’accuse contro “una cultura
interamente appresa, importata, basata soltanto sull’imitazione…”, appare del tutto simile a quello
di Rosmini e Sciacca verso la cultura senz’anima del loro tempo. In seguito il suo pensiero confluì
in quello dei suoi amici-nemici slavofili, ma con una riserva: “Nella profondità della ricca natura
russa essi hanno scoperto le più mirabili qualità sconosciute al resto del mondo e hanno rifiutato
tutte le idee serie e benefiche, che ci sono venute dall’Europa; essi volevano instaurare sul suolo
russo un ordinamento morale del tutto nuovo che ci respingerebbe in un, nonsi sa quale, fantastico
oriente cristiano escogitato esclusivamente all’uso nostro”19. Egli ebbe il merito di fare per primo
alcune affermazioni fondamentali: “l’amore per la patria è una cosa bella, ma vi è qualcosa di più
bello - l’amore alla verità”;
Certe singolari somiglianze si possono spiegare, certo, con l’atmosfera romantica che rinfrescava
la cultura europea dell’epoca. E tuttavia questa loro comune concezione non è mai puramente
estetica e “i suoi criteri non sono più quelli di pura logicità (ossia l’universalità e la necessità del
conoscere), ma rispondono ad esigenza più profonda e più oggettiva, che gli deriva dalla
«conoscenza integrale»…l’idea della conoscenza integrale, basata sull’integralità organica della vita
è l’idea fondamentale del pensiero russo”20.
“La filosofia esistenziale è filosofia della vita, perché lo è dell’«unico necessario», afferma M.F.
Sciacca nel capitolo dedicato Le correnti personalistiche, dove si trova il paragrafo dedicato a L.
14
A. Rosmini, Antropologia Soprannaturale, ed critica in 2 voll. a cura di U. Muratore, Città Nuova Roma 1983, I
p.64.
15
Ivi, p. 46.
16
A. Herzen, Byloe i Dumy (Pasato e pensieri), p. IV, cap. XXX; cit. da Leonida GANCIKOV, Orientamenti dello
spirito russo, ERI ed. 1958, pp. 232, p. 37 nota 5.
17
Ibidem, pp. 37-39.
18
Ivi pp. 43-44.
19
Ivi p. 47.
20
Cfr. Gancikov cit. pp. 30-32.
4
Chestov. Il Dio della speranza folle. La sua importanza “è più critica”, con Chestov siamo passati
alla filosofia-teologia della Chiesa russa, che respira anch’essa nell’atmosfera della filosofia
esistenziale”21, egli afferma. ”. Sciacca, fondatore della “filosofia dell’integralità”, comprende
molto bene che “una potente vena di religiosità, discendente da Dostoievskij e da Solov’ev vivifica
il movimento culturale e religioso dei cosiddetti «filosofi russi», di cui Nicola Berdjaiev è uno dei
più geniali esponenti; cita lo “scrittore russo L. Chestov” tra coloro che “accentuano i motivi
teologici” di Kierkegaard e “concludono per la positività dell’esistenza di fronte all’Assoluto”22.
La comune novità sul piano della filosofia contemporanea, che fa il pensiero di Sciacca così
prossimo a quello russo, consiste nel ribadire il nesso essenziale tra esistenza, teoresi ed Assoluto.
Alla fine però egli manifesta una certa insofferenza nei confronti di quel che gli appare
“irrazionalismo religioso”.
Effettivamente “nessuna gnoseologia, come nessuna metodologia, riuscirà mai a scuotere la
convinzione dei russi che la comprensione della realtà si ha soltanto nell’atto integrale dello spirito,
nella totalità della vita”23. “Tale «integrale conoscenza» - da Iv. Kiréevskij sino a noi - viene
pensata come l’atto dello spirito in cui la ragione dev’essere completata dallo sforzo concorde di
tutte le facoltà dell’uomo…nell’alta sfera di questa conoscenza integrale la ragione s’incontra con
la fede e da essa viene innalzata a quella «armonia perfetta con la realtà» che, nel pensiero dei russi,
è sola a garantirci la comprensione della la comprensione della verità. Perché essa « non spezza
l’integrità dello spirito…non stacca l’uomo dal suo profondo legame con la realtà», ma piuttosto al
contrario riporta la coscienza a quella «interiore concentrazione dello spirito» ch’è la fonte naturale
del suo dinamismo esistenziale”24.
Ci chiediamo: il poderoso dinamismo della filosofia dell’integralità, il fondamento della sua
interiorità oggettiva, non scaturisce e non perviene alla stessa fonte naturale? La fede, non
costituisce per Sciacca “la via della libertà dalle costrizioni imprescindibili del formalismo logico”
(scolastico o cartesiano, attualistico o hegeliano), non rappresenta anche per lui la sicura risoluzione
“d’ogni preclusione immanentistica che viene imposta dalla fenomenologia moderna della realtà”25?
Qualcuno può obiettare che tutto ciò può andar bene, ma per la teologia. Se gli elementi addotti
finora non bastano, per convincerci di una profonda “familiarità interiore” tra l’amore russo per la
sofia e lo spiritualismo filosofico di Sciacca, se facciamo nostra la stessa sua insofferenza verso un
presunto “irrazionalismo”, forse è perché non possiamo dimenticare la lezione introduttiva di
Rosmini, eco del pensiero dell’Aquinate: “La Filosofia non si stabilisce sopra alcuna autorità, né
pur divina, non che umana, poiché la filosofia è ragionamento e non altro che ragionamento”26.
Ma a nostro avviso, nell’avvicinarsi al suo specifico modo di essere, vi è la necessità di “utilizzare
teoreticamente” la filosofia russa. Si tratta cioè di superare l’atteggiamento che Sciacca confessava
di avere, nel 1938, nei confronti dello stesso Rosmini: “Né allora né negli anni successivi seppi
utilizzare teoreticamente il Rosmini, sviato dal vederlo ancora nel Nuovo Saggio, che risente molto
di Kant e della cultura del tempo, dalla mia formazione idealistica, dal mio <spiritualismo>,
impostato nella linea di quello del Carlini, per cui il problema teologico è di pura <spiritualità> e di
21
Ivi, p. 233.
M.F. Sciacca, Il problema di Dio e della religione nella filosofia attuale, Marzorati Milano 19644 pp.391, p.192-193.
23
Gancikov cit., p.32.
24
Ivi, p.29.
25
Ivi.
26
A. Rosmini, Introduzione alla filosofia. Degli studi dell’autore, 49, p.91.
22
5
pura fede, e impedito dalla mia immaturità teoretica, anche se proprio in quell’anno mi davano la
cattedra universitaria”.
Questa limpida confessione di Michele Federico chiarisce molto bene i motivi per i quali si tende a
rifiutare al pensiero russo il titolo di vera filosofia, e a guardarlo con sospetto dal punto di vista
della teologia (ortodossa), allo stesso modo come dalla cattolica venne visto quello di Rosmini. Per
una sorta di immaturità teoretica. Si viene sviati dal vederlo solo in certe opere, si risente della
cultura del tempo e della formazione idealistica, ci si scontra con un certo “spiritualismo puro” che
rifiuta il ragionare su Dio. Sciacca superò questa fase, Ern invece non ne ebbe il tempo. Motivi
come questi credo, gli fecero preferire Gioberti rispetto a Rosmini, dal quale era stato totalmente
preso, quando si preparava alla cattedra universitaria scrivendo sui due italiani, poco prima della sua
scomparsa.
Questa precisa espressione - sorprendente familiarità interiore - viene usata in riferimento a
Rosmini proprio da un filosofo russo, Vladimir Francevic Ern27, che insieme all’amico d’infanzia
Florenskij s’ispirava apertamente a Vladimir Sergèvič Solov’ev. Ern parlò di “sorprendente
familiarità interiore” tra il pensiero di Rosmini e la filosofia russa, quasi due parti di un unicum che,
secondo il mito platonico, tendono a ritrovarsi per scoprire di essere corrispondenti. Ern se ne
occupò direttamente durante il suo lungo soggiorno in Italia, ospite a Roma del poeta V. Ivanov ai
primi del ‘900. Di Rosmini lesse moltissimo e ne scrisse in vari articoli, pubblicati su “Bogoslovskij
Vestnik (Il Messaggero teologico), che era la “principale rivista teoretica della Chiesa Ortodossa
russa, edizione dell’Accademia Spirituale; il direttore in quel tempo fu il rinomato teologo e
filosofo sacerdote P. Pavel A. Florenskij”28, il quale recitò l’elogio funebre sul fraterno amico
Vladimir, in occasione della sua morte repentina, avvenuta a trentacinque anni il 29 aprile (12
maggio) 1917. Dei pensatori russi Ern fu forse, anche grazie a Rosmini, il più filosofo, come
riconobbero i suoi stessi amici. “Presso Presso l’università il 19 maggio doveva aver luogo
l’assemblea della società religioso-filosofica, dedicata alla memoria del filosofo, ma l’attenzione
dell’uditorio fu catturata interamente da altri interventi e dai comitati degli industriali, e la
commemorazione fu messa da parte. “Così ti ha salutato la nostra patria russa”, ricordava con
amarezza E. Ja. Archipov. Un successiva assemblea tuttavia ebbe luogo il 22 maggio nella casa di
M.K. Morozova, in vicolo Mertvij; intervennero e parlarono G. A. Racinskij, S.N. Durylin, N.A.
Berdjaev, S.N. Bulgakov; furono letti anche discorsi inviati da A.S. Glinka-Volzhskoj e padre P.A.
Florenskij. Qualcosa di questi interventi fu in seguito pubblicato. Il tema del Logos, della lotta,
dell’autodeterminazione morale e intellettuale, che risuona nelle caratteristiche della fisionomia
spirituale di Ern, era dominante anche nella sua filosofia. “Nella parola logos - egli scrisse nella
prefazione alla sua opera programmatica “La lotta per il logos” (Bor’bà za Logos) - secondo me si
riuniscono tutte le peculiarità della filosofia che è stata quasi del tutto dimenticata dalla modernità e
che io considero l’unica cosa reale e vera, sana, necessaria. Il Logos è una “parola d’ordine” che
invita la filosofia a richiamare in vita la scolastica e il ragionamento astratto e, senza forzare la vita
in schemi ma, al contrario, ascoltandola attentamente, la invita a diventare un’interprete ispirata e
sensibile del suo significato divino, della sua gioia intrinseca, dei suoi obiettivi profondi”29.
27
Rosalia AZZARO PULVIRENTI, Ern e Rosmini: Una sorprendente familiarità interiore, Trauben, Torino, 2006, pp.
C. Bergamaschi, Bibliografia Rosminiana, (anno 1913), ed., voll. vol. p. 4.
29
Tratto da: Marchenko O.V., Grigorij Skovoroda e il pensiero filosofico russo del XIX-XX secolo. Ricerche e
materiali. Parte I, Moskva 2007, pp. 241-263 (traduzione di Laura Ferrari).
28
6
Solo nel 1990 le opere di V. F. Ern hanno potuto vedere la luce e non tutte, in un’edizione
critica30 a cura del prof. Nikolaj Kotrelev, docente di Letteratura Universale presso l’Accademia
delle Scienze di Mosca. Egli ci ha raccontato che dalla fine degli anni ’60 svolgeva presso a Mosca
le funzioni di bibliotecario addetto a selezionare le opere di pensiero “sovversivo”, pubblicate oltre
la cortina di ferro. In segreto fedele all’Ortodossia, si interessò alla filosofia cristiana di Rosmini
conosciuta in russo attraverso le opere di Ern. Data la sua conoscenza della lingua italiana, scoprì
che questa filosofia era ancora viva in Italia per opera di Michele Federico Sciacca. Così,
avvalendosi delle sue funzioni, dal 1968 al 1980 fece pervenire in Russia molti dei suoi volumi.
Alla caduta del muro di Berlino, egli ottenne l’incarico di pubblicare le opere di Ern. N. Kotrelev è
dal 1994 tra i soci fondatori di “Sofia: idea russa, idea d’Europa”31, Associazione Internazionale di
Alti Studi e Documentazione fondata nel 1994 da Giuseppina Cardillo Azzaro (anche lei insegnò a
Genova, prima che a Roma), per approfondire lo studio della Sophia-Sapienza divina, vista come
fonte di unità tra scienza vita ed arte, unico “ponte” tra i due “polmoni” in grado di ridare ossigeno
all’Europa.
Non ci resta dunque che approfondire qualche elemento di carattere teoretico, per continuare il
nostro viaggio alla scoperta di questa “sorprendente familiarità interiore”. Spero che ciò serva a
gettare nuova luce sulla straordinaria attualità del pensiero di Sciacca, specialmente agli occhi dei
nostri amici russi. Se poi volessimo incamminarci sulla scia di Ern, servendoci di qualche parte del
suo scritto maggiore su Rosmini ancora inedito, potrebbe anche aprirsi qualche spiraglio per
qualche nuova interpretazione del loro pensiero.
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