soggettività iva dei consorzi e detrazioni del tributo

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SOGGETTIVITÀ IVA DEI CONSORZI E DETRAZIONI DEL TRIBUTO
Sommario: Premessa - 1. Natura civile e fiscale dei consorzi 1.1 Società consortili - 2. Prassi
dell’amministrazione - 3. I consorzi dediti alla ricerca scientifica e l’IVA nella prassi ufficiale - 4.
Giurisprudenza della Corte di giustizia europea – 5. La sentenza “parallela” della Comm. trib. centr. – 6.
La sentenza n. 22468 del 2004 – 7. Primo motivo: inosservanza del giudicato - 8. Secondo motivo:
erronea negazione della natura commerciale e quindi del diritto alla detrazione dell’IVA – 8.1 Attività
imprenditoriale e commerciale del consorzio – 8.2 Contraddittorietà della sentenza d’appello –
assorbimento del terzo motivo - 9. Considerazioni conclusive.
PREMESSA
La natura giuridica del consorzio, quale emerge dalle norme del codice civile, ha spesso dato
origine a problemi di coordinamento con le norme fiscali, soprattutto relativamente alla soggettività
tributaria; si evidenziano, in particolare, le asperità derivanti dall’applicazione delle norme sull’IVA,
tenuto conto che il consorzio agisce verso l’esterno in rappresentanza delle imprese consorziate, ma
“retrocede” verso l’interno (ovvero nei confronti delle imprese stesse) i risultati delle operazioni poste
in essere.
Nel caso conosciuto dai Giudici di legittimità nella recente sentenza della Sezione Tributaria
della Corte di cassazione 2.12.2004, n. 22644, si trattava di attribuire o negare a un consorzio - svolgente
attività di ricerca scientifica con la successiva cessione ai consorziati, ovvero a terzi, dei risultati della
stessa – il requisito dell’esercizio di attività imprenditoriale di natura commerciale, necessario alla legittima
detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti.
La vertenza tra il consorzio e l’Amministrazione è stata risolta dalla Suprema Corte nel senso
della “commercialità” dell’attività descritta, cassando con rinvio la sentenza della CTR rimettente.
La trattazione della questione verrà opportunamente preceduta, nel presente intervento, da una
breve ricostruzione delle problematiche involgenti i consorzi e dall’indicazione delle interpretazioni
giurisprudenziali in sede di Corte di giustizia delle comunità europee, nonché di un precedente della
Commissione Tributaria Centrale.
1. NATURA CIVILE E FISCALE DEI CONSORZI
I consorzi meritano invece un’autonoma trattazione in questa sede, in quanto portatori di
peculiarità dalle quali possono emergere problematiche tributarie di non poco conto, anche nella forma
“confinante” della società consortile.
Secondo l’art. 2602, commi 1 e 2, del c.c.:
- con il contratto di consorzio, più imprenditori istituiscono un'organizzazione comune per la
disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese;
- tale contratto è regolato dalle norme degli artt. 2603 e ss., fa tte salve le diverse disposizioni
delle leggi speciali.
- Il contratto mediante il quale il consorzio è costituito, fatto per iscritto a pena di nullità (art.
2603, comma 1), deve indicare (art. 2603, comma 2):
- l' oggetto e la durata del consorzio;
- la sede dell'ufficio eventualmente costituito;
- gli obblighi assunti e i contributi dovuti dai consorziati;
- le attribuzioni e i poteri degli organi consortili anche in ordine alla rappresentanza in giudizio;
- le condizioni di ammissione di nuovi consorziati;
- i casi di recesso e di esclusione ;
- le sanzioni per l'inadempimento degli obblighi dei consorziati.
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Se il consorzio ha per oggetto il contingentamento della produzione o degli scambi, il contratto
deve altresì stabilire le quote spettanti ai singoli consorziati, o i criteri per la determinazione di esse (art.
2603, comma 3).
Se, infine, l'atto costitutivo deferisce la risoluzione di questioni relative alla determinazione delle
quote ad una o più persone, le decisioni di queste possono essere impugnate innanzi all'autorità
giudiziaria, se sono manifestamente inique od erronee, entro trenta giorni dalla notizia (art. 2603,
comma 4).
In mancanza di una diversa determinazione nel contratto, la durata dell’organismo è stabilita in
10 anni (art. 2604 del c.c.).
La natura del consorzio emerge comunque in modo netto dall’unico comma dell’art. 2608
(rubricato “Organi preposti al consorzio”), ove è disposto che “La responsabilità verso i consorziati di
coloro che sono preposti al consorzio è regolata dalle norme sul mandato”.
Non si tratta dunque in nessun modo di un soggetto “assimilabile” a una società, bensì di un
accordo negoziale intercorrente tra imprenditori (individuali o societari) autonomi, avente i caratteri del
contratto di mandato, ovvero – ex art. 1703 del c.c. – del contratto con il quale una parte si obbliga a
compiere uno o più atti giuridici per conto dell'altra.
Tale natura è riaffermata nell’art. 2609, co. 2, del c.c.: “il mandato conferito dai consorziati per
l'attuazione degli scopi del consorzio, ancorché dato con unico atto, cessa nei confronti del consorziato
receduto o escluso”.
Quanto alla formazione della volontà collettiva dei consorziati, va rammentato quanto disposto
dall’art. 2607, commi 1 e 2, del Codice:
- se non è diversamente convenuto, il contratto non può essere modificato senza il consenso di
tutti i consorziati;
- le modificazioni devono essere fatte per iscritto, a pena di nullità.
È quindi imposta la regola ordinaria dell’unanimità per le deliberazioni modificative del
contratto: ne consegue che, nel contesto di una trasformazione eterogenea in società di capitali, tutti i
consorziati dovranno prestare il proprio consenso.
Secondo quanto appare, con la trasformazione della società di capitali in consorzio, si ha una
vera e propria estinzione della società, accompagnata alla contestuale costituzione di un contratto di
mandato tra gli ex – soci, nel quale un’organizzazione comune è individuata quale centro di regolazione
e amministrazione per lo svolgimento di determinate fasi dell’attività d’impresa.
Deve inoltre evidenziarsi che il consorzio può essere dotato o meno di soggettività, a seconda
che si tratti di consorzio interno o consorzio con attività esterna:
- il consorzio interno, infatti, non ha soggettività gi uridica, né autonomia patrimoniale, quindi
l’eventuale spendita del nome del consorzio è priva di effetti, salvo l’imputazione collettiva a nome dei
singoli consorziati, i quali risponderanno solidalmente ed illimitatamente delle obbligazioni;
- il consorzio con attività esterna è invece associato a una propria soggettività e ad un intenso
grado di autonomia patrimoniale del fondo consortile, in quanto il consorzio è destinato allo
svolgimento di un’attività economica che entra direttamente in relazione con i terzi.
1.1. SOCIETÀ CONSORTILI
Meno ardua appare l’interpretazione della natura delle società consortili (e l’inquadramento
dell’eventuale trasformazione di società ordinarie in società consortili).
Ai sensi dell’art. 2615 – ter del c.c., tali organismi sono infatti costituiti da s.n.c., s.a.s., s.p.a.,
s.a.p.a. e s.r.l. (quindi, da tutte le tipologie civilistiche di società commerciali), le quali assumono quale
proprio oggetto sociale quello tipico del consorzio (costituzione di un’organizzazione comune per la
disciplina o lo svolgimento di determinate fasi dell’attività d’impresa di una pluralità di soggetti).
Non si tratta dunque di un ente dalla vaga configurazione civilistico – tributaria, inidoneo ad
assumere su di sé i diritti e gli obblighi connessi alla “soggettività”, ma di una vera e propria società, la
quale ha solamente l’oggetto del consorzio.
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Di conseguenza, dal punto di vista delle imposte sui redditi, è pacifica la riconducibilità alle
fattispecie tipiche dei Titoli I e II del TUIR.
2. PRASSI DELL’AMMINISTRAZIONE
Che il consorzio svolga “in quanto tale” attività d’impresa non è affatto scontato, anche alla luce
delle elaborazioni interpretative fornite dall’Amministrazione nel corso degli anni.
La R.M. 15.5.1995, n. 122/E/6-353, ha affermato infatti che “il consorzio…non svolge una
vera e propria attività imprenditoriale, ma si limita a disciplinare e coordinare l’attività dei consorziati
(…). Analoghe considerazioni valgono nei confronti della società consortile che… al pari del consorzio,
non deve conseguire l’utile dell’opera da dividere tra le imprese riunite né correre l’alea dell’opera stessa,
dato che il risultato, in utile o in perdita, dell’affare deve prodursi direttamente in capo alle imprese
riunite”.
Negli stessi termini, vedasi – tra le altre - la C.M. 6.4.1988, n. 10/9/277.
Secondo quanto affermato poco sopra, al fine di appurare l’“imprenditorialità” dell’ente, appare
rilevante la distinzione tra consorzio “esterno” (dotato di una propria soggettività e in grado di svolgere
un’attività economica vera e propria) e consorzio “interno” (che rappresenta un mero “schermo”
frapposto tra i consorziati e i contraenti terzi).
3.
CONSORZI DEDITI ALLA RICERCA SCIENTIFICA E L ’IVA NELLA PRASSI UFFICIALE
I profili relativi all’IVA nei consorzi costituiti per la realizzazione di attività di studio e ricerca
sono stati eaminati nella risoluzione dell’Agenzia delle Entrata 16.3.2004, n. 42/E.
In particolare, la pronuncia di prassi ha richiamato, in tema di detrazione dell'IVA correlata ai
beni e servizi acquistati o importati, il disposto dell'art. 19, co. 2, del D.P.R. 26.10.1972, n. 633, ai sensi
del quale non è detraibile l'imposta relativa all'acquisto o all'importazione di beni e servizi afferenti operazioni esenti o
comunque non soggette ad imposta .
Tale disposizione, “…che deve essere letta ed interpretata in coerenza con quanto prescritto
dall'articolo 17 della Direttiva 77/388/CEE del 17 maggio 1977 (sul punto, per tutte, sentenza
Cass.Civ., Sez.V, n. 4419 del 26/03/2003; n. 12756 del 02/09/2002; n. 8786 del 27/06/2001),
riconosce il diritto alla detrazione dell'IVA relativa ai beni e servizi acquistati limitatamente alle ipotesi
in cui i beni e servizi medesimi siano impiegati per l'effettuazione di operazioni soggette all'imposta sul
valore aggiunto”.
Per tale motivo, nella fattispecie sottoposta all’esame della Direzione Centrale Normativa e
Contenzioso, l'imposta relativa ai beni e servizi acquistati per lo svolgimento dell'attività di ricerca e
formazione, addebitata per rivalsa, è stata ritenuta detraibile per il consorzio interpellante “…se e nella
misura in cui tali beni e servizi sono utilizzati per l'effettuazione di operazioni rilevanti ai fini IVA”.
4. GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA
Alcune importanti precisazioni relativamente all’interpretazione e all’applicazione della Sesta
Direttiva del Consiglio 17.5.1977, 77/388/CEE, con riferimento al problema delle attività svolte dai
consorzi, sono venute dalla sentenza del 29.4.2004 Corte di Giustizia delle Comunità Europee, relativa
al procedimento C-77/011 (nel caso di specie, si trattava di un’impresa pubblica portoghese del settore
minerario, partecipante a tre consorzi che svolgeva, tra le altre, l’attività di ricerca applicata e di sviluppo
tecnologico, direttamente volto all'investimento nella produzione, per mezzo di imprese associate (joint
ventures).
Tra le altre considerazioni, la pronuncia richiamata ha affermato in particolare che:
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Tale sentenza è riportata nella banca dati I quattro codici della riforma tributaria – IPSOA big, versione 6/2004.
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1) secondo l'art. 2, n. 1, della Sesta Direttiva, sono soggette all'IVA le cessioni di beni e le
prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso all'interno del Paese da un soggetto passivo che agisce
in quanto tale;
2) è soggetto passivo, ai sensi dell'art. 4, n. 1, della stessa Sesta Direttiva, chiunque esercita in
modo indipendente una delle attività economiche individuate al n. 2 dello stesso articolo;
3) la nozione include tutte le attività di produttore, commerciante o prestatore di servizi e, in
particolare, tutte le operazioni che comportino lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per
ricavarne introiti aventi un certo carattere di stabilità (con esclusione, dunque, delle operazioni a
carattere occasionale o comunque “non stabile”);
4) l'art. 17, n. 2, lett. a), della Sesta Direttiva, dispone che, se i beni e i servizi acquisiti da un altro
soggetto passivo sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo è
autorizzato a detrarre dall'IVA di cui è debitore l'imposta dovuta o assolta;
5) se un soggetto passivo effettua sia operazioni che danno diritto alla detrazione, sia operazioni
che non conferiscono tale diritto, l'art. 17, n. 5, commi 1 e 2, della Sesta Direttiva, ammette la
detrazione soltanto per il pro-rata dell'IVA relativo alla prima categoria di operazioni;
6) solamente i versamenti che costituiscono il corrispettivo di un'operazione o di un'attività
economica sono inclusi nel campo di applicazione dell'IVA, il che non vale per i versamenti risultanti
dalla semplice proprietà del bene;
7) per i lavori effettuati dai membri del consorzio nell’ambito dello stesso, sono soggette all'IVA
le sole cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso (atteso che, nel caso di specie, i
lavori effettuati dai membri del consorzio non erano remunerati, poiché conformi alle clausole del
contratto di consorzio e corrispondenti alla quota nel medesimo assegnata per ciascun membro, non era
doveva ritenersi effettuata alcuna operazione imponibile;
8) il superamento della quota di lavori fissata dal contratto di consorzio per un membro dello
stesso può però comportare il pagamento, da parte degli altri membri del consorzio, del corrispettivo
per i lavori eccedenti; in tale evenienza, questi ultimi costituiscono una cessione di beni ovvero una
prestazione di servizi effettuate a titolo oneroso (e perciò imponibili), ai sensi dell'art. 2, punto 1, della
Sesta Direttiva2.
5. LA SENTENZA “PARALLELA” DELLA CTC
L’identica questione – riferita allo stesso consorzio e alla stessa problematica fiscale – è stata
conosciuta, prima che dalla Sezione Tributaria della Cassazione con riferimento al periodo d’imposta
1993, dalla Commissione Tributaria Centrale, con riferimento all’atto impositivo emesso dall’ufficio
IVA di Catania per il 1989.
Lo stesso, pluriennale, contenzioso, ha quindi registrato una precisa presa di posizione –
favorevole al consorzio – risalente a data ben anteriore rispetto a quella della pronuncia della Suprema
Corte.
La sentenza della CTC, Sez. XXVI, 11.1.2000, n. 983, di seguito brevemente commentata, è
infatti intervenuta sull’atto impositivo dell’ufficio, che aveva “azzerato” l’IVA portata in deduzione dal
consorzio; il presupposto dell'avviso di rettifica impugnato era stata la considerazione secondo cui il consorzio resistente
sarebbe un consumatore finale ed avrebbe operato al di fuori dell'ipotesi di cui all'art. 4, comma 4, del D.P.R. n. 633 del
26 ottobre 1972, e non quindi come soggetto passivo d'imposta 4.
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Cfr. F. Carrirolo, Diritto alla detrazione dell’IVA , in La Settimana Fiscale n. 19/2004.
Tale sentenza è riportata nella banca dati I quattro codici della riforma tributaria – IPSOA big, versione 6/2004.
Si rammenta che, ai fini dell’IVA, la soggettività tributaria sorge sia quando è esercitata un’attività imprenditorial –
commerciale ex art. 2195, c.c., sia quando è esercitata un’attività di impresa agricola ex art. 2135, c.c., sia, infine (a norma
dell’art. 4, co. 1, D.P.R. 633/1972), quando sono esercitate attività dirette alla prestazione di servizi ch e siano organizzate in
forma d’impresa, pur non rientrando tra quelle indicate dal richiamato art. 2195, c.c.
È comunque necessario che l’attività d’impresa sia esercitata in modo stabile e continuativo, cioè non occasionale.
Evidentemente, anche il consorzio (come pure altri soggetti) può essere escluso dal campo di applicazione dell’IVA solo se e
in quanto esso non abbia oggetto commerciale.
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Le Commissioni tributarie di I e di II grado avevano ritenuta illegittima la rettifica IVA,
argomentando che il consorzio aveva quale oggetto esclusivo lo svolgimento di un'attività ausiliaria
diretta alla produzione di beni e servizi, riconducibile ad esercizio di attività commerciale ai sensi
dell'art. 2195, c.c.; era quindi ritenuta legittima la detrazione dell'IVA sugli acquisti ai sensi degli artt. 17
e 19 del D.P.R. 633/1972.
Si trattava infatti di “…un consorzio senza fini di lucro, avente ad oggetto la realizzazione e la
gestione di un centro avanzato di ricerche sviluppo in materia microelettronica, con particolare riguardo
lo sviluppo di nuove tecnologie e di prodotti suscettibili di produzione industriale nel medio periodo.
Ad esso partecipa una delle maggiori industrie produttrici di semiconduttori; nel 1993 aveva più di 300
dipendenti, disponeva di quattordici miliardi di macchinari ed impianti tecnologicamente avanzati,
presentava nel bilancio crediti per più di cento miliardi, aveva presentato più di 150 brevetti, ed era
regolarmente iscritto alla Camera di commercio”.
Pertanto, pur in assenza del “fine di lucro”, non poteva negarsi al consorzio, ai fini fiscali,
“…carattere di ente commerciale, considerato che esso rappresenta un'unità produttiva di beni e servizi
tecnologicamente avanzati, nella produzione dei quali non può non esservi un'adeguata componente di
ricerca scientifica, come normalmente avviene nel mondo industrializzato”.
“In particolare, l'attività di ricerca scientifica svolta dal consorzio resistente risulta
prevalentemente preordinata alla produzione di beni e servizi tecnologicamente avanzati, e non
sorprende che tale caratteristica risulti insolita agli uffici di un Paese nella cui realtà industriale tale
sintesi tra ricerca, sviluppo e produzione non rappresenti la regola”.
In definitiva, con qualche accento “critico” extrafiscale, la sentenza della CTC ha precisato in
termini netti che la ricerca scientifica e tecnologica è “attività commerciale” (o ausiliaria a quella
propriamente commerciale), in grado di far scaturire la soggettività IVA e la conseguente “pacifica”
detraibilità dell’imposta assolta sugli acquisti.
6. LA SENTENZA N . 22644/2004
La Corte di cassazione si è pronunciata sul contenzioso tra l’Amministrazione Finanziaria e un
consorzio svolgente attività di ricerca scientifica senza fine di lucro, secondo finalità mutualistiche e ad
esclusivo beneficio di una “consociata”.
La vicenda era stata originata dall’avviso di rettifica notificato il 21.9.1995 dall'ufficio IVA di
Catania, con il quale era contestata al consorzio l’indebita detrazione dell'imposta passiva.
Su tale questione si erano registrate le seguenti decisioni dei Giudici di merito:
1) sent. 14.12.1996, n. 362/06/96, della CTP di Catania, favorevole al consorzio ricorrente, che
aveva annullato l’avviso di rettifica;
2) sent. 20.6.2001, n. 92/09/01 della CTR della Sicilia, la quale aveva accolto il gravame
dell’ufficio, affermando che “il consorzio, avendo ad oggetto statutario attività di ricerca scientifica
senza scopo di lucro, indirizzata nei suoi risultati esclusivamente in favore della consociata S.T...
secondo finalità mutualistiche, non svolgeva in via esclusiva o principale attività commerciale, ma
doveva considerarsi alla stregua di un consumatore finale e non aveva, pertanto, titolo per detrarre in
sede di dichiarazione annuale l'IVA corrisposta sugli acquisti effettuati per la propria attività”. Inoltre, i
Giudici d’appello avevano affermato che “la cessione dell'attività di ricerca alla S.T... e i contributi che
detta società forniva al Consorzio per ripianare le perdite annuali costituivano attività tra loro distinte,
svolte al di fuori di un rapporto sinallagmatico, non costituendo la prima (cessione dell'attività di
ricerca) prestazione di servizio e i secondi (contributi per il ripianamento delle perdite) specifico e
correlato corrispettivo della suddetta cessione”.
Avverso la sentenza della CTR era stato proposto ricorso per cassazione da parte del consorzio,
mentre avevano resistito con controricorso il Ministero dell'economia e delle finanze e l'Agenzia delle
Entrate.
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7. PRIMO MOTIVO: INOSSERVANZA DEL GIUDICATO
Il primo motivo di ricorso sostenuto dal consorzio si imperniava sull’asserita violazione degli
artt. 2909, c.c., 324, c.p.c., nonché 1, commi 2, e 62, del D.lgs. 31.12.1992, n. 546, oltre che sull’omessa
motivazione su di un punto decisivo della controversia, per inosservanza del giudicato formatosi sulla
natura di impresa commerciale del Consorzio a seguito delle decisioni della CTC nn. 98 e 99 del 2000
(la prima delle due pronunce citate è stata esaminata nel sup. paragrafo 5).
Come evidenziato sopra, la CTC era pervenuta al riconoscimento della natura commerciale del
consorzio, sulla base di valutazioni estese all'intero arco temporale considerato dall'ufficio.
Secondo il consorzio ricorrente per cassazione, la circostanza che il giudizio riguardasse un
accertamento relativo ad un’annualità diversa da quelle sulle quali si era formato il giudicato doveva
reputarsi irrilevante, poiché la natura non commerciale dell'attività svolta …rappresentava l'unico ed unitario
presupposto logico giuridico di tutte le rettifiche effettuate a carico del consorzio relativamente agli anni dal 1988 al 1993 e
dovendosi ritenere, sulla scorta di una consolidata giurisprudenza - formatasi anche con riferimento alla materia tributaria
e ai casi in cui le controversie relative alle singole rettifiche annuali dipendano dalla soluzione di una medesima questione
giuridica -, che il giudicato si estende anche agli accertamenti che si ricollegano in modo inscindibile con la decisione,
formandone il presupposto, così da coprire tutto quanto costituisce il fondamento logico giuridico della pronuncia.
Il motivo è stato ritenuto infondato, poiché “…colui che afferma il passaggio in giudicato di
una sentenza resa in altro giudizio, deve dimostrare l'avvenuta formazione del giudicato”, producendo
“…idonea certificazione, dalla quale risulti che (la sentenza) non è soggetta a impugnazione, non
potendosi ritenere né che la mancata contestazione di controparte sull'affermato passaggio in giudicato
significhi ammissione della circostanza, né che sia onere di quest'ultima dimostrare il secondo elemento
dell'unica fattispecie costituente il giudicato (sentenza non impugnabile)”.
Il rigetto del primo motivo, fondato solamente sull’asseritamente dovuto rispetto del giudicato,
non ha precluso ai Giudici di legittimità l’esame puntuale della decisione della CTR, conclusosi – come
risulterà chiaro più avanti – con l’affermazione della soggettività IVA del consorzio, in ragione della
“commercialità” dell’attività svolta, e dunque del diritto alla detrazione dell’imposta relativa agli acquisti.
8. SECONDO
MOTIVO: ERRONEA NEGAZIONE DELLA NATURA COMMERCIALE E QUINDI
DEL DIRITTO ALLA DETRAZIONE DELL ’IVA
Il secondo motivo del ricorso, che ha prevalso nel determinare l’orientamento della Sezione
Tributaria, con effetti “assorbenti” anche nei confronti del terzo motivo, consisteva nell’affermata
violazione e falsa applicazione:
- degli artt. 4 e 19 del D.P.R. 633/1972;
- dell’art. 87, comma 4, del D.P.R. 22.12.1986, n. 917;
- dell’art. 2195 del c.c. (atteso che non era vero, a detta del consorzio ricorrente, che esso
“…non svolgeva in via esclusiva o principale attività commerciale, in quanto non produceva né
trasformava beni materiali e perseguiva non uno scopo di lucro, ma finalità mutualistiche”; l'attività
d'impresa può infatti avere quale proprio oggetto “…anche la produzione di beni immateriali”, ed è
“…compatibile con la mancanza di scopo di lucro e può avere come destinatari singoli soci o associati”;
- dell’art. 112 del c.p.c. (perché la CTR avrebbe esaminato la fattispecie in modo totalmente
svincolato rispetto alla pronuncia di primo grado);
- dell’art. 53 del D.lgs. n. 546/1992;
- nonché nell’insufficiente o contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, per
essere stati negati, “…sulla base di incongrue e non coerenti argomentazioni, la natura commerciale del
Consorzio e il diritto di questo alla detrazione dell'Iva corrisposta sugli acquisti”.
Il ricorrente deduceva altresì l’inesatta applicazione dell'art. 19 - ter del decreto IVA, dato che la
CTR aveva affermato che la detraibilità dell'imposta corrisposta sugli acquisti era preclusa a causa della
mancanza di una contabilità separata, “…senza tener conto che, nel caso di specie, l'attività del consorzio riguardava
esclusivamente la gestione di un centro di ricerca e sviluppo a fini industriali e che l'obbligo della contabilità separata non
ricorre quando l'attività principale o esclusiva dell'ente ha natura commerciale”.
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Ancora, erano contestati il travisamento delle risultanze processuali e la contraddittorietà di
motivazione, perché la sentenza d’appello aveva:
1) Il motivo è fondato nei termini qui di seguito precisati. identificato l'oggetto del consorzio
nell'attività di ricerca scientifica, anziché in quella di ricerca e sviluppo a fini industriali (concorrente allo
svolgimento di un'attività produttiva di natura imprenditoriale);
2) trascurato di considerare che la modifica apportata nel 1989 allo statuto del consorzio al fine
di consentire la cessione a terzi dei risultati delle ricerche era destinata ad ammettere la destinazione al
mercato, originariamente non prevista, del prodotto finale della ricerca, accentuando in tal modo la
natura imprenditoriale dell'attività consortile;
3) affermato contraddittoriamente che gli atti di cessione, con i quali il consorzio metteva a
disposizione della S.T. (consorziata) i risultati della propria attività di ricerca, erano effettuati a fronte
dell'impegno della stessa S.T. a ripianare il debito di bilancio dell'ente consortile, e che tuttavia le due
operazioni costituivano attività distinte, svincolate da alcun rapporto sinallagmatico;
4) prospettato un improprio parallelismo con il regime IVA riservato alle aziende ospedaliere
del SSN, le cui prestazioni non sono invece considerate attività commerciale per espressa disposizione
dell'art. 4, co. 5, del decreto IVA, avente carattere derogatorio.
La violazione dell’art. 112, c.p.c., è stata esclusa dalla Cassazione sulla base dell’assunto che la
CTR aveva in realtà “…provveduto alla disamina critica della fattispecie sulla base dei motivi di
appello”.
8.1. ATTIVITÀ IMPRENDITORI ALE E COMMERCIALE DEL CONSORZIO
Per quanto riguarda poi l’“imprenditorialità” e “commercialità” dell’attività esercitata, è chiarito
che, a norma dell’art. 2195, co. 1, n. 1), c.c., richiamato dall'art. 4, comma 1, D.P.R. 633/1972,
costituisce attività imprenditoriale commerciale anche l'attività industriale, diretta alla produzione di beni o di
servizi, ossia quella attività produttiva non solo di beni materiali e immateriali, ma anche di servizi, che sia finalizzata
(…) alla realizzazione di una nuova utilità e sia organizzata, attraverso il coordinato impiego di risorse umane,
strumentali e finanziarie, per conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, restando irrilevante lo scopo di lucro, che
riguarda soltanto il movente soggettivo che induce l'imprenditore a esercitare la propria attività.
Può pertanto costituire attività imprenditoriale di natura commerciale quella rivolta, com’era
stato riconosciuto nell’ipotesi prospettata dalla stessa sentenza d’appello, “…allo svolgimento di ricerca
scientifica e alla cessione a consociati o a terzi dei risultati di tale ricerca in vista della loro utilizzazione industriale e
commerciale”.
Sono comunque ritenute irrilevanti, in capo al consorzio, sia la mancanza dello scopo di lucro,
sia la finalità mutualistica, poiché lo stesso art. 4, commi 3 e 4, del decreto IVA, dispone che si considerano
compiute nell'esercizio di imprese le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate ai propri associati dai consorzi che
abbiano per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale, o comunque effettuate nell'esercizio di attività
commerciali, così stabilendo - almeno implicitamente e in relazione al regime giuridico dell'IVA - la compatibilità tra la
natura commerciale dell'attività consortile e la destinazione ai propri associati, con finalità mutualistica, del risultato di
tale attività commerciale.
Insomma: anche in presenza di “finalità mutualistiche” (e quindi, oggettivamente, non
lucrative), può nondimeno sussistere il presupposto applicativo dell’IVA, il quale sorge “alla fonte”,
ovvero aderendo alla “commercialità” dell’attività svolta, i cui proventi sono poi eventualmente
distribuiti “mutualisticamente”. Il momento in cui si perfeziona il presupposto IVA è dunque distinto,
sia dal punto di vista “storico” che da quello concettuale, rispetto a quello in cui emerge lo scopo non
lucrativo.
Secondo la Cassazione, non aveva poi fondamento l’affermazione della CTR, secondo la quale –
sulla base del’art. 19 – ter del D.P.R. 633/1972 - poteva essere ammessa in detrazione solamente
l'imposta relativa agli acquisti fatti nell'esercizio di attività commerciale, a condizione che tale attività
fosse gestita con contabilità separata e quindi secondo una modalità che, nel caso in esame, non era
stata osservata.
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L’art. 19 – ter richiamato, infatti, “…trova applicazione nei confronti degli enti che non abbiano
per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale o agricola (Cass. 25 maggio 2001, n.
7145), come si evince dal tenore del comma 1 dello stesso art. 19 - ter - che fa espresso ed esclusivo
riferimento agli enti menzionati nel quarto comma dell'art. 4 del D.P.R. n. 633/1972, ossia agli enti di
cui al n. 2 del secondo comma del medesimo articolo, che non abbiano per oggetto esclusivo o
principale l'esercizio di attività commerciale o agricola - e dal riferimento, contenuto nel secondo
comma dell'art. 19 - ter, alla circostanza che l'attività commerciale o agricola sia gestita con contabilità
separata da quella relativa all'attività principale”.
Contrariamente alle previsioni del decreto IVA, il consorzio ricorrente per cassazione svolgeva
in via principale, se non esclusiva, attività di ricerca scientifica per destinarne i risultati ai propri
consociati o a terzi; tale attività, alla luce delle osservazioni sopra esposte, e prescindendo dalla
successiva fase della “destinazione”, rivestiva natura commerciale.
Inoltre, la CTR aveva trascurato l’avvenuta devoluzione (“travaso”) a favore della consociata
S.T. dei risultati dell’attività scientifica svolta, per l’ulteriore utilizzazione degli stessi in campo
industriale e sul mercato, oltre al “…positivo apporto fornito dal Consorzio alla economia del
Mezzogiorno” e ai …risultati dal medesimo conseguiti anche nel campo occupazionale e nella realizzazione di progetti
di ricerca finalizzata all'espansione e alla qualificazione dell'apparato produttivo del Mezzogiorno (…), così
implicitamente riconoscendo la dimensione imprenditoriale dell'attività…, almeno sotto il profilo della sua attitudine a
produrre nuove utilità economiche.
8.2. CONTRADDITTORIETÀ DELLA SENTENZA D’APPELLO – ASSORBIMENTO DEL TERZO MOTIVO
La sentenza d’appello è ritenuta altresì “inadeguata” sul piano logico, dato che essa aveva
escluso la “sinallagmaticità” degli apporti di denaro erogati dalla consociata S.T. (cessionaria dei risultati
dell’attività di ricerca), finalizzati a ripianare le perdite del consorzio.
Le “ulteriori e più marginali censure” contenute nel secondo motivo di ricorso, così come quelle
contenute nel terzo motivo (con il quale il consorzio aveva denunciato la violazione e la falsa
applicazione degli artt. 112 del c.p.c., 1, comma 2, del D.lgs. 546/1992, nonché 51, 54 e 55 del D.P.R.
633/1972, nonché l’omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia) risultavano
assorbite nella decisione della Corte, che ha accolto il secondo motivo (in relazione al quale la sentenza
d’appello è stata cassata), con rinvio ad ad altra sezione della CTR della Sicilia.
9. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Il requisito della “commercialità” del soggetto passivo del rapporto tributario si ricollega a
problematiche rilevanti sia nel settore impositivo dell’IVA, che in quello delle imposte sui redditi.
In campo IRES, va evidenziato che la categoria degli enti non commerciali comprende le
associazioni non riconosciute, i consorzi, i comitati, i circoli, le congregazioni, le casse mutue.
In estrema sintesi, l’ente è “non commerciale” se il suo oggetto esclusivo o principale non è
commerciale, esulando dalle previsioni dell’art. 55 del TUIR, relativo al reddito d’impresa, mentre non
assumono alcuna rilevanza la natura pubblica o privata dell’ente, né la rilevanza sociale delle finalità
perseguite, né infine l’assenza del fine di lucro o la destinazione dei risultati.
Per quanto concerne i criteri distintivi degli enti non commerciali rispetto a quelli commerciali,
devono considerarsi i seguenti “punti fermi”:
per gli enti residenti, l'oggetto esclusivo o principale dell'attività è determinato in base alla legge
(di norma, per gli enti pubblici), all'atto costitutivo o allo statuto, se esistente in forma di atto pubblico
o di scrittura privata autenticata o registrata; se tali atti (o tali forme) mancano, l'oggetto principale
dell'ente è determinato in base all'attività concretamente esercitata;
per gli enti non residenti, l’esame dell'oggetto principale dell'attività dev’essere, in ogni caso,
svolto sulla base dell'attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato.
Per l’IVA, l’art. 19 – ter si occupa della detrazione del tributo, precisando che:
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per gli enti indicati nell’art. 4, co. 4, è ammessa in detrazione, a norma degli articoli precedenti e
con le limitazioni, riduzioni e rettifiche ivi previste, la sola imposta relativa agli acquisti e alle
importazioni effettuati nell'esercizio di attività commerciali o agricole (art. 19 – ter, comma 1);
la detrazione spetta a condizione che l'attività commerciale o agricola sia gestita con contabilità
separata da quella relativa all'attività principale e conforme alle disposizioni di cui agli artt. 20 e 20 - bis
del D.P.R. 600/1973; l'imposta relativa ai beni e ai servizi utilizzati promiscuamente nell'esercizio
dell'attività commerciale o agricola e dell'attività principale (non “imprenditoriale”) è ammessa in
detrazione per la parte imputabile all'esercizio dell'attività commerciale o agricola (art. 19 – ter, comma
2);
la detrazione non è ammessa in caso di omessa tenuta, anche in relazione all'attività principale,
della contabilità obbligatoria a norma di legge o di statuto, né quando la contabilità stessa presenti
irregolarità tali da renderla inattendibile; per le regioni, le province, i comuni e i loro consorzi, le
università e gli enti di ricerca, la contabilità separata è realizzata nell'ambito e con l'osservanza delle
modalità previste per la contabilità pubblica obbligatoria a norma di legge o di statuto (tali disposizioni
si applicano anche agli enti pubblici di assistenza e beneficenza, a quelli di previdenza e all'ACI (art. 19
– ter, commi 3 e 4).
Secondo le affermazioni della Suprema Corte nella sentenza qui esaminata, il consorzio che
svolge attività di ricerca scientifica – attività alla quale sicuramente consegue una “ricaduta” economica,
e che è oggettivamente “commerciale”, sfugge alle regole restrittive in tema di detrazione stabilite
dall’art. 19 – ter, e tale circostanza non è inficiata dalla successiva e distinta destinazione mutualistica dei
vantaggi economici ricevuti.
Fabio Carrirolo
Funzionario dell’Agenzia delle Entrate
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