UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA FACOLTÀ DI INGEGNERIA CORSO DI LAUREA IN INGEGNERIA MECCATRONICA ______ TESI DI LAUREA Sistema di Controllo per Led RGB Relatore: Ing. PAOLO MATTAVELLI Laureando: ENRICO MORO Matricola 612646-IMC ANNO ACCADEMICO 2013-2014 1 Indice Introduzione 1 Light Emitting Diode 1.1 La Luce e la sua natura corpuscolare-ondulatoria 1.1.1 Radiometria e unità fotometriche 1.1.2 Percezione del colore 1.1.3 Colorimetria 1.1.4 1.1.4 Sintesi additiva RGB 1.2 Profilo storico del Led 1.3 Principi fisici di funzionamento 1.4 Caratteristiche elettriche e termiche 1.5 Color-shift 1.6 Led a bassa-media e alta potenza 1.6.1 Chip Led SMD 5050 RGB 1.7 2 Normative di riferimento e rischio fotobiologico Controllo dei Led RGB 2.1 Driving con LMS (Linear Mixing System) 2.2 Driving con PWM (Pulse Width Modulation) 2.2.1 PWM: il MOSFET 2.2.2 Scelta del MOSFET 2.3 Controller serialmente indirizzabili 2.3.1 Driver a corrente costante WS2801 2.3.2 Il Microcontrollore: AtTiny24A 2.4 Comunicazione tra dispositivi 2.4.1 Bus Serial Peripheric Interface (SPI) 2.4.2 Bus Inter-Integrated Circuit (I²C) 2.4.3 Confronto tra I2C e SPI 2.5 Sistemi retroazionati 2 2.6 3 Progetto con AtTiny24A Le soluzioni commerciali 3.1 BlinkM 3.2 Addressable Led strip 4 Conclusioni 3 Introduzione A partire dal 2016 non saranno più prodotte lampade alogene. Sarà considerato chiuso un importante capitolo sulla storia dell'illuminotecnica, nonché necessario approfondire una grande alternativa a basso consumo, il Led. In particolare nell'ambito dell'illuminazione ad uso ricreativo (locali e luoghi pubblici, teatri, concerti, esposizioni artistiche ecc.) gli apparecchi che hanno fatto la storia fino ad ora, che contavano sulla tecnologia alogena o a scarica (MH) con uso di specchi, filtri e lenti, cominciano ad essere sostituiti dalle prime, timide, alternative Led. Il Led oltre ad essere una sorgente a luce fredda ha una lunga serie di peculiarità che lo contraddistinguono dalle altre fonti d'illuminazione. Si aprono quindi oltre ad una lista di necessità, legate al driving, anche molte possibilità sulla forma della “lampada” (anche se questo termine perderà di significato). Per la prima volta si è svincolati da tutte le regole elettriche, termiche e meccaniche legate all'apparecchio che si serviva di tecnologia alogena (o tungsteno). I produttori sono sempre più interessati alle fonti led, in particolare a bassa potenza, e venendo meno l'idea del “faretto” si preferisce spesso parlare di led disposti in punti, stringhe e matrici. Il tutto ad architettura aperta, customizzabile attorno alle forme pre-esistenti della struttura, stanza o edificio. 4 Il requisito fondamentale è la possibilità di ottenere qualsiasi colore da questi Led ad ogni istante, dando luogo ai più svariati effetti dinamici. Per ottenere questi effetti è necessario un sistema di controllo dedicato, che si interfacci all'utente tramite un software su computer o sistema embedded. Tra il computer e il led, il contenuto della “scatola nera” fa uso di mosfet, controllori e protocolli di comunicazione alternativi al celebre DMX512, data la ben diversa natura delle luci in questione. Tutto questo sistema-base apre scenari rivolti all'illuminazione domestica, forte della spinta domotica sul nostro modo prossimo di concepire l'abitazione. 5 Capitolo 1 Light Emitting Diode Le fonti di illuminazione a Led si prestano a sostituire le convenzionali lampade a causa della loro economicità e alta efficienza sull'intensità della luce percepita. In questo capitolo si prenderanno in esame elementi di fotometria, concentrandosi sulla natura fisica della luce Led, per poi analizzarne i princìpi di funzionamento e le caratteristiche termiche ed elettriche. Si concluderà con un analisi delle tipologie principali di Led, distinguendo tra bassa e alta potenza. 1.1 La Luce e la sua natura corpuscolare-ondulatoria Il termine luce (dal latino lux) si riferisce alla porzione dello spettro elettromagnetico visibile dall'occhio umano, ed è approssimativamente compresa tra le lunghezze d'onda maggiori degli ultravioletti di 380nm e minori di quelle degli infrarossi di 720nm, attraversando tutte le tonalità (viola-indaco-blu-verde-giallo- arancione-rosso). Questo intervallo coincide con il centro della regione spettrale della luce emessa dal sole che riesce ad arrivare al suolo attraverso l'atmosfera. La presenza contemporanea di tutte le lunghezze d'onda visibili, in quantità proporzionali a quelle della luce solare, forma la luce bianca. Nella fisica moderna un fascio di luce (e tutta la radiazione elettromagnetica) si comporta come un flusso di particelle composto da unità fondamentali, fotoni, ognuno dei quali ha un’energia quantizzata E il cui valore è collegato alla frequenza ν e alla lunghezza d’onda λ mediante la seguente relazione fondamentale: E = h ν = hc/λ (1) dove h è la costante di Planck e c è la velocità della luce nel vuoto. La luce si propaga a una velocità finita. Anche gli osservatori in movimento misurano sempre lo stesso valore di c, la velocità della luce nel vuoto, dove c = 299 792 458 m/s. Quando la luce passa attraverso una sostanza trasparente, come l'aria, l'acqua o il vetro, la sua velocità c si riduce a v=c/n (dove n è il valore dell'indice di rifrazione del mezzo) ed è sottoposta a rifrazione. In altre parole, n = 1 nel vuoto e n > 1 nella materia. Sebbene nell'elettromagnetismo classico la luce sia descritta come un'onda, l'avvento della meccanica quantistica agli inizi del XX secolo ha permesso di capire che questa possiede anche proprietà tipiche delle particelle. L'una o l'altra natura si manifestano a seconda di come si effettui l'esperimento di investigazione del fenomeno, tale evidenza nasce dall'interpretazione di alcuni esperimenti compiuti all'inizio del XX secolo. Tale dualismo è dovuto al fatto che il fotone è descritto da una distribuzione di probabilità che contiene tutte le informazioni dinamiche del sistema. Riassumendo la questione del dualismo onda – particella, si può dire che le radiazioni elettromagnetiche si comportano come onde quando si muovono nello spazio ma nel momento in cui interagiscono con altre particelle elementari (materiali o portatrici di forza) manifestano chiaramente la loro natura quantistica. 6 Teoria Corpuscolare Formulata da Isaac Newton. La luce veniva vista come composta da piccole particelle di materia (corpuscoli) emesse in tutte le direzioni. D'accordo con la meccanica galileiana che prevede che le particelle (inclusi i corpuscoli di luce) si propaghino in linea retta ed il fatto che questi fossero previsti essere molto leggeri era coerente con una velocità della luce alta ma non infinita. Anche il fenomeno della riflessione poteva essere spiegato in maniera semplice tramite l'urto elastico della particella di luce sulla superficie riflettente Teoria Ondulatoria Formulata da Christiaan Huygens alla fine del XVII secolo. la luce veniva vista come un'onda che si propaga in un mezzo, chiamato etere, che si supponeva pervadere tutto l'universo ed essere formato da microscopiche particelle elastiche. Nel 1801 Thomas Young dimostrò come i fenomeni della diffrazione e dell'interferenza fossero interamente spiegabili dalla teoria ondulatoria e non lo fossero dalla teoria corpuscolare. Al contrario della teoria corpuscolare, quella ondulatoria prevede che la luce si propaghi più lentamente all'interno di un mezzo che nel vuoto. Natura Elettromagnetica Proposta da James Clerk Maxwell alla fine del XIX secolo, sostiene che le onde luminose sono elettromagnetiche e non necessitano di un mezzo per la trasmissione (viene soppiantata l'idea della trasmissione nell'etere). Inoltre afferma che la luce visibile è solo una piccola parte dello spettro elettromagnetico. Con la formulazione delle equazioni di Maxwell vennero completamente unificati i fenomeni elettrici, magnetici ed ottici, Illustrazione 1.1: Rappresentazione della natura elettromagnetica (ondulatoria) del fotone Teoria Quantistica Il modello ondulatorio sembrava quindi quello corretto fino agli inizi del Novecento, Einstein, grazie al lavoro di Max Planck sulla quantizzazione dell'energia, postulò l'esistenza di quanti di luce, in seguito denominati fotoni da Gilbert N. Lewis In altri termini, poiché la radiazione elettromagnetica è quantizzata, l’energia non è distribuita in modo uniforme sull’intera ampiezza dell’onda elettromagnetica, ma concentrata in vibrazioni fondamentali di energia. 7 1.1.1 Radiometria e unità fotometriche In ottica la radiometria è quel campo che si occupa dello studio della misura della radiazione elettromagnetica, inclusa la luce visibile. Nell'ambito dell'illuminazione domestica si necessita tuttavia di misurare le emissioni luminose tenendo conto delle tecniche fotometriche, che riguardano la luminosità così come percepita dall'occhio umano, piuttosto che la potenza assoluta. Sarà utile quindi fornire, oltre alle unità di misura assolute (radiometria), una serie di parametri relativi alla sensibilità dell’occhio (parametri fotometrici). Le grandezze fotometriche sono delle misure definite a partire dalle grandezze radiometriche mediante pesatura con la curva di risposta spettrale dell’occhio umano (detta funzione di efficienza luminosa fotopica spettrale relativa). Vengono impiegate al posto delle grandezze radiometriche in quanto quest’ultime non sono direttamente utilizzabili in scienza del colore Le grandezze fotometriche sono le seguenti (grandezze secondo SI di misura): • Energia luminosa (luminous energy) Qv: è la grandezza fotometrica che corrisponde alla grandezza radiometrica energia radiante. UDM: lumen per secondi (lm/s). • Flusso luminoso (luminous flux) Φ (phi): Quantità di energia luminosa emessa da una determinata sorgente nell'unità di tempo. UDM: lumen (lm); 1 watt = 683 lumen. • Emettenza luminosa o "luminosità" (luminous exitance) Mv: è la grandezza fotometrica che corrisponde alla grandezza radiometrica emettenza radiante. Indica il rapporto tra il flusso luminoso e la superficie emettente. UDM: lux (lx), ovvero (lm/m2) • Illuminamento (illuminance) Ev: Rapporto tra il flusso luminoso ricevuto da una superficie e l'area della superficie stessa. UDM: lux (lx), (lm/m2) • Intensità luminosa (luminous intensity) Iv: Flusso luminoso emesso all'interno dell'angolo solido unitario (steradiante) in una direzione data. UDM: candela (cd). • Luminanza (luminance) Lv: Rapporto tra intensità luminosa emessa da una superficie in una data direzione e l'area della superficie apparente. UDM: candela al metro quadrato (cd/m2). In generale una sorgente luminosa emette radiazione anche al di fuori della banda visibile, ovvero nelle bande dell’infrarosso e dell’ultravioletto, che non contribuiscono alla sensazione di luminosità. Una lampada ha una maggiore efficienza luminosa quanto più è in grado di emettere uno spettro adatto alla percezione umana. Per lo studio della percezione della luce e del colore, la grandezza fotometrica più importante è la luminanza perché è direttamente correlata con la percezione visiva. In fotometria viene definita superficie di Lambert, dal nome del fisico Johann Heinrich Lambert, quella particolare superficie per la quale la luminanza è costante in tutte le direzioni. 8 1.1.2 Percezione del colore Il colore non esiste negli oggetti, ma solo nel cervello dell'osservatore è infatti un effetto di un fenomeno percettivo. Nell'occhio la retina agisce da fototrasduttore, vale a dire permette la trasformazione dell’energia luminosa dei fotoni in impulsi elettrici, i quali vengono convogliati, già parzialmente elaborati, al cervello: tale passaggio da segnale luminoso a segnale elettrico si chiama fototrasduzione. L’occhio umano è in grado di percepire la radiazione luminosa con lunghezza d’onda compresa tra circa i 390 nm e i 730 nm, chiamato spettro visibile. Tuttavia non ha la stessa sensibilità ai diversi colori. Thomas Young Avanzò per primo la teoria tricromatica della percezione visiva (teoria dei tre recettori) attribuendo il colore alle modalità di percezione e non al mondo esterno Hermann Von Helmoltz per primo individua coni e bastoncelli e formula la teoria del tristimolo. Sulla retina, la parte sensibile dell'occhio, coni e bastoncelli presentano una diversa sensibilità alla luce riconducibile alla rispettiva organizzazione del lavoro. I coni lavorano individualmente: ciascuno di essi genera un impulso che è avviato al cervello indipendentemente. Coni S (short) Max a λ= 437 nm Coni M (Medium) Max a λ= 533 nm Coni L (Long) Max a λ= 564 nm Illustrazione 1.2: Le curve di sensibilità delle tre tipologie di cellule cono alle diverse lunghezze d'onda λ Va chiarito che queste lunghezze d'onda in realtà non sono singoli valori, ma valori medi: le cellule sensibili reagiscono con la massima intensità se la luce che le colpisce ha proprio quella particolare lunghezza d'onda, e reagiscono via via meno a mano a mano che la lunghezza d'onda si discosta da tale valore. Nel caso dei bastoncelli acromatici, invece, diverse migliaia di elementi convergono su un singolo interneurone e l'impulso che viene avviato al cervello emerge dalla sommatoria di tutti i singoli impulsi. 9 Viene fatta distinzione tra sensibilità scotopica e fotopica, poichè a livello strutturale dell’occhio c’è differenza tra la visione dovuta ai bastoncelli (maggiore sensibilità ma insensibile ai colori) detta scotopica e quella dovuta ai coni (minore sensibilità e sensibile ai colori) detta fotopica (Figura 1.3). Illustrazione 1.3: Curve di risposta spettrale relative alla sensibilità di bastoncelli (in azzurro) e dei coni verdi (in verde) in funzione di lunghezza d'onda λ. Queste informazioni sono centrali per comprendere come l'occhio reagisca alle componenti spettrali prodotte dal Led (specialmente RGB), poiché si tratta di una forma luminosa non continua nello spettro delle frequenze. Per questo motivo percepita dal cervello come “mancante”, (avvicinandosi, rispetto alle fonti luminose convenzionali, che sono a spettro non così discontinuo, a una condizione di scarsa luminosità). In caso di scarsa luminosità il cervello si adopera ad aprire la pupilla per convogliare più informazioni con un risultato spesso negativo per la qualità del colore percepito, la cosiddetta resa cromatica. 1.1.3 Colorimetria ''Se la sensazione che chiamiamo colore possiede delle leggi, ci deve essere qualcosa nella nostra natura che determina la forma di queste leggi. La scienza del colore è dunque una scienza della mente '' James Clerk Maxwell La valutazione del colore è prevalentemente legata a sensazioni percettive e soggettive, che danno luogo a risultati molto diversi a seconda dell’osservatore. Per un'analisi oggettiva del colore risulta quindi importante la definizione dei parametri colorimetrici Parametri colorimetrici Hermann G. Grassmann a metà del XIV secolo, partendo dalla teoria di Young e da un articolo di Helmoltz sui colori complementari, formulò per primo una teoria matematica del colore. Fonda quindi la sua teoria su dei postulati: 10 1. Ogni colore può venir rappresentato in un unico modo come combinazione lineare di tre colori primari opportunamente scelti. Più in generale: tre parametri (indipendenti) sono necessari e sufficienti per definire un colore. es.: tinta + brillanza + luminosità, oppure tinta + luminosità + saturazione, etc. 2. In una miscela additiva di due colori, una piccola variazione di un colore provoca una piccola variazione del risultato; ovvero la variazione con continuità di un componente della miscela additiva causa una sensazione di colore che varia con continuità. 3. Stimoli che provocano la stessa sensazione di colore hanno uguale azione, indipendentemente dalla loro composizione spettrale: lo stimolo di una miscela additiva non dipende dall’origine fisica, ma solo dall’aspetto del colore. 4. L’intensità totale di una mescolanza additiva di colori è la somma delle intensità totali dei colori mescolati. Spazi colorimetrici Grassmann, ispirandosi a questa teoria, fonda poi la Teoria dello spazio vettoriale tridimensionale, cioè la prima teoria matematica dei vettori: Lo spazio astratto definito dai tre parametri colorimetrici è a tutti gli effetti uno spazio vettoriale tridimensionale e le terne di parametri che definiscono univocamente ogni colore sono dei vettori. Si deve all’artista americano Albert H. Munsell il primo tentativo di accurata classificazione numerica dei colori tenendo conto dei tre caratteri fondamentali già enunciati da Grossmann, con il Munsell Book of Color, 1915 Munsell partì dall’assunto grassmanniano di classificare ogni colore con tre parametri caratteristici corrispondenti a tre attributi del colore: • Tinta: qualità cromatica di un colore (quella che comunemente si chiama “colore” ). • Saturazione: sensazione del grado di “concentrazione” di una tinta (più intensa, più sbiadita) . • Luminosità: sensazione di intensità luminosa (più scuro, più chiaro). Nel 1931 la CIE Commission Internationale de l’Eclairage (Commissione Internazionale per l’Illuminazione) definì uno spazio di colore (x, y) che comprendeva tutte le tinte visibili nello spettro più il magenta, il complementare non spettrale del verde . Un modo di rappresentare il colore e lo spazio colorimetrico basato sulle equazioni per le funzioni del tristimolo dell’osservatore standard della CIE nel 1976. Utilizzando un diagramma lineare a circonferenza a coordinate a*, b*, L* (ortogonali tra loro), il colore è propriamente espresso sotto forma degli attributi quali: tinta (ad esempio il rosso, verde, blu, giallo.), luminosità (lo stimolo acromatico che passa dal nero al bianco), e saturazione (che definisce la purezza di un colore, ovvero quanto intenso appare per quella determinata tinta). 11 Illustrazione 1.4: Rappresentazioni del colore secondo CIE, tramite coordinate X-Y e a*-b*-L* 1.1.4 Sintesi additiva RGB Per un essere umano una qualunque luce monocromatica nello spettro compreso fra i 380 e i 780 nm può essere riprodotta tramite tre fasci di lunghezza d'onda fissata, purché le rispettive intensità siano regolate opportunamente. Si può dunque affermare che qualunque colore dello spettro può essere riprodotto, sommando tre colori primari fissati con opportune intensità. Quindi ogni colore percepibile può essere rappresentato da tre coordinate, che, nel caso più semplice sono proprio le intensità dei tre colori primari. Unendo diversi valori di intensità di tre Led si può ottenere quasi tutto lo spazio colorimetrico. Nel caso dei Led la cosiddetta sintesi additiva può essere ottenuta utilizzando tre Led affiancati forniti di ottiche identiche, o un solo chip con tre Led incorporati, questo prende il nome di multiLed. Questo metodo è utilizzato in quelle applicazioni che richiedono dinamicità del colore, mentre viene scartato nel caso si voglia ottenere luce bianca, al suo posto si preferisce l'utilizzo della tecnica ai fosfori con Led blu. 12 Illustrazione 1.18: Effetto della sovrapposizione additiva delle sorgenti R G B; in ascissa il valore “hue” che individua univocamente la tonalità, in ordinata l'intensità delle tre componenti. Le terne di colori fondamentali possono essere teoricamente infinite (una terna di colori fondamentali è tale se i tre colori sono indipendenti, cioè se nessuno dei tre colori si può ottenere come combinazione degli altri due. miscelandoli in qualsiasi modo), la scelta di R G B come colori primari è correlata alla fisiologia dell'occhio umano; sono primarie le frequenze che massimizzano la differenza tra le risposte dei coni della retina alle differenze di lunghezza d'onda della luce. La differenza nei segnali ricevuti dai tre tipi di coni permette al cervello di differenziare una larga gamma di colori. Illustrazione 1.5: Rappresentazione cartesiana della sintesi additiva RGB. 13 1.2 Profilo storico dei Led I primi esperimenti basati sulle emissioni di radiazione da materiali semiconduttori ebbero inizio alla fine del XIX secolo. Henry Joseph Round, nel 1907 fu il primo a osservare l'effetto di elettroluminescenza da un diodo: riferì infatti che un cristallo di carburo di silicio emettesse una debole luce gialla applicandovi una tensione di 10V. La scoperta tuttavia passò in secondo piano. Nel 1920, in Russia, Oleg Vladimirovich losev sviluppò il primo Led, ma per alcuni decenni non si verificarono sviluppi alcuni. Le ricerche che seguirono (USA, anni '50) furono concentrate sui diodi ad emissioni infrarosse, e si cominciò per la prima volta a drogare il silicio con arseniuro di gallio. Nel 1962 naque il primo diodo in grado di generare radiazioni contenute nello spettro del visibile. Si considera il “padre” del Led, per come lo si conosce ora, lo statunitense Nick Holonyak Jr. Dagli studi di un suo allievo, M. George Craford, apparvero i primi prototipi a luce ambra, arancio e rossa. Fino al 1968 i Led a infrarosso e a luce visibile erano estremamente costosi, con prezzi attorno ai 200$ ad unità. In quell'anno la Monsanto Company fu la prima ad organizzare una produzione di massa di Led a luce visibile, usando fosfuro arseniuro di gallio (GaAsP) per produrre Led rossi impiegati come indicatori. Nello stesso anno la Hewlett Packard (HP) cominciò ad utilizzare la formula a GaAsP concessa da Monsanto. La tecnologia si rivelò subito utile nei display alfanumerici, e fu integrata nelle calcolatrici tascabili HP. Nel 1971 fu costruito da Jacques Pankove (USA) il primo esemplare a luce blu, ma con un emissione troppo modesta da potersi considerare utile a scopi illuminotecnici. Durante gli anni '70 la Fairchild Semiconductor permise di far scendere il prezzo dell'unità a 5 centesimi, grazie ad una tecnica di produzione a processo planare e ad un innovativo formato di packaging, ottenendo forte popolarità e interesse commerciale. Illustrazione 1.6: Il Light Emitting Diode, nella sua forma più conosciuta, ebbe successo grazie al processo di produzione planare e al case in resina epossidica stampato 14 Un ulteriore svolta innovativa si registra solo gli inizi degli anni '90. Shuji Nakamura può essere considerato il ricercatore che, riuscendo ad incrementare significativamente il flusso del Led blu, ha aperto l'orizzonte alle tecnologie optoelettroniche. Nel 1993 scopre un trattamento del materiale semiconduttore che permette di generare luce blu e verde ad alto flusso, utilizzando il nitruro di gallio (GaN) per un Led più brillante, mette a punto la tecnologia dei fosfori per la parziale conversione delle radiazioni blu in radiazioni gialle, ottenendo luce eterocromatica (tonalità bianca). L'inizio del terzo millennio vede aziende leader nel settore dei semiconduttori e di componenti optoelettronici sempre più indirizzati nella ricerca e nella produzione industriale automatizzata di Led su ampia scala. Nello stesso periodo anche i colossi dell'illuminazione (incandescenza, alogena, fluorescente e a scarica) si interessano alla produzione di diodi luminosi. A causa della loro efficienza luminosa, i Led si prestano bene a sostituire progressivamente i metodi di illuminazione convenzionali. Una data significativa è il 2012, anno definitivo di abolizione delle lampade a tungsteno, mentre la scomparsa dalle lampade alogene allo xenon (classe “C”) è stabilita per l'anno 2016. A partire da allora ad occupare il mercato dell'illuminazione domestica saranno solo le lampade in classe “A” e “B”, vale a dire Led e Fluorescenti. Per le cosidette “lampade a risparmio energetico”, a causa della minore efficienza e del costo legato alla difficoltà di costruzione del vetro sottovuoto piegato, si ritiene seguiranno la stessa sorte anche se non si è stabilita alcuna data. Un altro punto a favore della loro scomparsa è il danno costituito dal vetro, dai gas nocivi e dalla presenza di componenti tossici come il mercurio. Illustrazione 1.7: Il nuovo formato per l'identificazione dell'efficenza energetica per un apparecchio luminoso.La sorgente luminosa a Led appartiene alle classi di efficenza energetica A, A+, A++ 15 1.3 Principi fisici Il termine "Led" è un acronimo che sta per "Light Emitting Diode", ovvero "diodo che emette luce". I Led sono costituiti da una giunzione P-N realizzata con agenti droganti in grado di emettere radiazioni luminose quando attraversata da una corrente elettrica. Il funzionamento del Led si basa sul fenomeno detto "elettroluminescenza", dovuto alla emissione di fotoni (nella banda del visibile o dell'infrarosso) prodotti dalla ricombinazione degli elettroni e delle lacune allorchè la giunzione è polarizzata in senso diretto. Illustrazione 1.8: La giunzione P-N e andamento lungo l'asse x di: • • • densità di carica p campo elettrico E potenziale elettrico V Cambiando stato gli elettroni cedono una determinata quantità di energia sotto forma di fonone; questa quantità è vincolante per la lunghezza d'onda della luce emessa, che spazia dall'infrarosso all'ultravioletto passando per tutto lo spettro del visibile. La composizione chimica dei materiali droganti determina sia la quantità degli elettroni e delle lacune disponibili per il processo di ricombinazione, sia la differenza di energia tra gli orbitali degli elettroni. Idealmente il contenuto energetico del fonone è legato al “salto” effettuato nella giunzione PN, che dipende esclusivamente dai drogaggi rispettivi. Il tutto si traduce in differenti lunghezze 16 d'onda fondamentali, e differenti distribuzioni attorno ai valori massimi di intensità luminosa, evidenziate in figura 1.9. Dai diagrammi energetici risulta chiaramente che il Led produce gruppi di radiazioni raccolte intorno ad un valore di frequenza principale che assume il massimo valore di potenza, costituendo la cosiddetta radiazione di picco. La sua lunghezza d'onda diventa il parametro radiometrico caratterizzante. È importante notare che al di fuori di questo gruppo non compaiono altre radiazioni, e comunque la potenza in esse contenute è assai ridotta. Il Led è infatti definibile come una sorgente a banda stretta; il suo spettro è raccolto in un intervallo di lunghezze d'onda che oscilla (nelle sue potenze rilevanti) tra i 20 e i 30 nanometri. Illustrazione 1.9: spettro di emissione tipico dei Led RGB, si nota che le intensità relative sono state normalizzate Dalla 1.9 si nota inoltre una scarsa resa sulla banda del giallo-arancio. Per questo motivo nelle lampade commerciali che fanno uso di POWER Led si può incontrare non di rado un quarto Led, con lunghezza d'onda intorno ai 580nm. Ne è un esempio la celebre lampada di design “Philips Livingcolors”. Nella tabella sono riportati i valori delle lunghezze d'onda delle rispettive componenti rossa, verde e blu tipici dei Led RGB, composizione chimica delle rispettive giunzioni PN, tensioni, correnti e luminosità sono tratte dal catalogo del chip SMD 5050 RGB. Emitting color Wavelenght Chemical composition Voltage [V] Current [mA] Luminous intensity [mcd] RED 620-630nm AlGaInP 1.8 – 2.2 20 550-700 GREEN 515-530nm GaInN - GaN 3 – 3.2 20 1100-1400 BLUE 465-475nm SiC - GaN 3.2 – 3.4 20 200-400 17 1.4 Caratteristiche elettriche e termiche Il comportamento elettrico tipico del Led non differisce dai normali diodi a giunzione. Con polarizzazione diretta, ovvero quando all’anodo è applicata una tensione positiva rispetto al catodo, si osserva che non passa corrente fino al valore di thereshold voltage (Vt valore di soglia); se la tensione applicata al diodo Led viene aumentata oltre tale valore, si verifica il passaggio di una corrente tanto più alta quanto maggiore è la tensione applicata. Illustrazione 1.9: Andamento delle curve corrente-tensione per i tre Led RGB. A causa dei differenti drogaggi vi sono comportamenti elettrici diversi Normalmente per individuare un determinato punto di lavoro sulla funzione di trasferimento del Led, ossia per “pilotarlo”, si possono intraprendere due strade: iniettando corrente o applicando un potenziale, a patto che vi sia in serie una resistenza. Per il pilotaggio in corrente si utilizzano dei driver appositi che a seconda delle necessità possono essere AC-DC o DC-DC. Gli AC-DC possono essere integrati nel corpo lampada compatto di tipo E-27 o E-40, permettendo la sostituzione della classica lampadina nei portalampada domestici. Questi driver nascono dall'esigenza di iniettare una corrente costante poiché, come si può osservare dalla 1.9, il diodo polarizzato presenta una elevata pendenza della curva corrente-tensione, quindi a piccole variazioni di tensione si ottiene il passaggio di una grande variazione di corrente. Di conseguenza sarà molto più facile mantenersi nel punto di lavoro desiderato pilotando in corrente piuttosto che applicando un potenziale. A parità di Led, il metodo a corrente costante garantisce efficienza luminosa e durata di vita maggiore, poiché individua un punto di lavoro ottimale e lo mantiene con stabilità. 18 Il metodo “a tensione costante” consiste invece nell'aggiunta di un resistore in serie al diodo, per limitarne la corrente in polarizzazione, individuando così un punto di lavoro nella funzione corrente tensione del dispositivo come in 1.10. Illustrazione 1.10: configurazione con resistenza di polarizzazione Illustrazione 1.11: Individuazione del punto di lavoro sulla curva caratteristica del Diodo a giunzione Per una situazione come quella descritta in figura 1.11, dalla regola del partitore di tensione si ricava il valore di “Rp” in funzione di rispettive tensioni di alimentazione, di polarizzazione del led e corrente che lo investe: R p= V cc −V led I led (2) Parte dell'energia fornita al singolo ramo di circuito verrà così dissipata nel resistore per effetto Joule nella resistenza di polarizzazione. 2 P diss = (V cc −V led ) Rp = 2 I led⋅R p (3) Per Led di moderata potenza la corrente di polarizzazione sarà altrettanto bassa. Poiché la potenza dissipata dall'eventuale resistenza di polarizzazione dipende quadraticamente dalla corrente che investe il dispositivo, è opportuno l'utilizzo per Led che non richiedono grandi flussi di corrente. Le prestazioni della sorgente Led dipendono da una serie di fattori fisici, che si influenzano reciprocamente. Il flusso luminoso fornito da una sorgente Led polarizzata è pressochè lineare 19 con la corrente. Questo non vale più dopo un certo limite a causa di un fenomeno di derating di corrente in funzione di temperatura. Ai fini della generazione del flusso luminoso è determinante quindi il dato della temperatura assunta nella zona di giunzione nel chip. Illustrazione 1.12: Derating della corrente diretta in funzione della temperatura. Tratto da datasheet “SMD 5050 yellow” La temperatura deve mantenersi stabile affinchè il flusso luminoso sia costante. I fabbricanti forniscono la quantità di lumen che il Led eroga quando la zona di giunzione si trova ad una temperatura di 25°C (o 40°C). Nella pratica della produzione in serie, la misurazione fotometrica viene effettuata fornendo al Led un impulso di corrente; a causa della brevità dell'impulso non si raggiunge una temperatura critica, che si otterrebbe invece con quel valore di corrente se fosse costante anziché impulsivo. Se il chip raggiungesse un valore di temperatura critica (tipicamente 85°C) andrebbe fuori uso. 1.5 Color Shift Raggiungere temperature elevate è controproducente sia per quanto riguarda la durata di vita del Led, sia per la stabilità dell'emissione ottica. Le variazioni di corrente attraverso un Led, influenzando la temperatura di giunzione, possono modificare la distribuzione spettrale di potenza. Si hanno effetti sia sulla luminosità assoluta, sia sulla lunghezza d'onda della radiazione di picco. 20 Un esempio immediatamente riscontrabile è a figura 1.13: i Led AlGaInP rosso e giallo hanno spostamenti spettrali più grandi rispetto al blu, verde e bianco a base di InGaN (Stringfellow e Craford 1997). Il fenomeno prende il nome di color-shift. 1 Illustrazione 1.13: Intensità luminosa e color-shift a tre temperature diverse, da notare la sensibilità maggiore del Led rosso all'aumento di temperatura di giunzione. Temperatura da considerarsi istantanea, non media. 1Il color-shift è legato sia alla temperatura di giunzione, sia alla corrente, sia ai meccanismi di degrado dei singoli Led; 21 1.6 Tipologie di Led È necessario fare una distinzione tra Led a bassa-media e alta potenza. Un Led ad alta potenza, detto POWER Led, è caratterizzato da un case a forma piatta (tecnologia SMT). Viene spesso montato su particolari PCB (printed circuit board) con strato superficiale isolante e sottile, su cui alloggiano le piste di rame per l'alimentazione, e interno metallico per garantire una migliore dissipazione del calore, per questo prendono il nome di MC-PCB (Metal Core PCB). Vengono inoltre equipaggiati con una lente di riflessione-dispersione dalle migliori caratteristiche di conduzione termica e resistenza all'usura da calore e radiazione luminosa. Illustrazione 1.14: Chip RGB montato su MC-PCB, e rispettive connessioni. si nota come siano stati stagnati i connettori dei tre anodi Per la progettazione dei POWER-Led è necessario dunque tener conto dei fattori termici dimensionando il sistema per un efficace dispersione del calore, talvolta non è sufficiente l'utilizzo delle MC-PCB, si ricorre in tal caso a dissipatore metallico nella faccia opposta del porta-Led. Illustrazione 1.15: Schema termico di un Led con dissipatore (POWER-Led) 22 I Led a bassa potenza hanno un consumo tipicamente inferiore al Watt e sono ben più economici, non richiedendo particolari accorgimenti per la dispersione del calore. Ovviamente a costo di un minor flusso luminoso. Inoltre con i POWER Led è pressoché obbligatorio il metodo del pilotaggio in corrente costante, poiché operano a potenze tipicamente maggiori, per un consumo di potenza che va dal Watt alle decine di Watt, superando il centinaio per applicazioni industriali. Se scegliessimo di pilotare in tensione questi dispositivi dovremo servirci di più grandi resistori, la cui potenza dissipata si fa tanto più elevata quanto il quadrato della corrente di polarizzazione. I Led a bassa e media potenza (fino a 0,5W) necessitano di meno corrente, prestandosi bene al controllo con resistore. Vantaggi principali dei Led a bassa potenza rispetto ai POWER Led: • Con i Led ad alta potenza si presenta spesso una luce poco uniforme, che è causata da un campo più largo (ad esempio 80 mm di distanza di mixing). Con i Led a bassa potenza, viene usato di solito un numero maggiore di unità rispetto alla distanza, e il risultato è un aspetto più uniforme dell'applicazione luminosa. • Nella progettazione di Led a bassa e media potenza, si ottiene una migliore gestione termica come risultato di un calore meno concentrato. Con i POWER Led c'è un costo legato alla necessità di smaltire il calore sviluppato. I motivi fin'ora visti hanno promosso negli ultimi anni una maggiore attenzione delle aziende produttrici verso Led a bassa-media potenza, nell'ambito dell'illuminazione domestica. Per l'illuminazione stradale si tende invece ad affidarsi a potenze più elevate perché si necessita di mantenere una distanza significativa tra punto luce e superficie da illuminare. Illustrazione 1.16: struttura tipica del POWER Led. Il dissipatore non sempre è presente, qualora si riveli sufficente la MC-PCB per mantenere una temperatura di giunzione adeguata 23 Un esempio di Led utilizzato nelle applicazioni di illuminazione domestica a bassa potenza è il chip Led SMD 5050 RGB, un chip Led che incorpora tre Led, Rosso, Verde e Blu. La sigla rappresenta un modello standard per dimensioni forma e potenza. SMD (Surface Mounted Device), rappresenta un componente sviluppato secondo la tecnica SMT, ovvero la tecnologia sviluppata per connessioni superficiali dei microcomponenti elettronici. Questa architettura ha caratterizzato l'assemblaggio in serie eseguito a macchina, data la praticità delle connessioni nel processo di stagnatura. Illustrazione 1.17: Chip SMD 5050 RGB, in una delle sue versioni Questo chip Led viene organizzato in strip, matrici, o inserito nelle lampade con attacco standard. Il formato compatto, l'economicità, e la non necessità di misure per dissiparne il calore (opera a 60mA di regime, sommati) hanno fatto di questo prodotto un grande successo commerciale. Nei tre Led RGB incorporati nel chip smt 5050, a causa dei diversi drogaggi, le funzioni di trasferimento corrente-tensione sono differenti, e di conseguenza le tensioni di polarizzazione hanno valori diversi. Per questo motivo, nelle applicazioni che richiedono un alimentazione in tensione costante, per ottenere una adeguata corrente di polarizzazione è necessario porre in serie ai tre Led le rispettive resistenze opportunamente pesate. (la tensione nel caso delle strip Led è in comune e le resistenze sono integrate). Illustrazione 1.18: Led strip di 5m, integra un totale di 600 multi-Led chip smd 5050 e altrettanti resistori, si può tagliare ogni 3 Led. 24 1.7 Normative di riferimento e rischio fotobiologico Nei sistemi che utilizzano i Led come sorgente per l'illuminazione, le Norme da applicare sono: CEI EN 62031 “Moduli Led per illuminazione generale – Specifiche di sicurezza”, CEI EN 61347-12 + 61347-2-13 “Unità di alimentazione di lampada – Parte 2-13: prescrizioni particolari per unità di alimentazione elettroniche alimentate in c.c. o in c.a. per moduli Led”, CEI EN 62384 “Alimentatori elettronici alimentati in c.c. o in c.a. per moduli Led – Prescrizioni di prestazione”. Per la sicurezza fotobiologica , la Norma di riferimento è la CEI EN 62471 “Sicurezza fotobiologica delle lampade e dei sistemi di lampade” che è una guida per la valutazione e il controllo dei rischi fotobiologici derivanti da tutte le sorgenti ad ampio spettro incoerente, compresi i Led, alimentate elettricamente, e che emettono radiazione ottica nel campo di lunghezze d’onda compreso tra 200 nm e 3000 nm. Di più recente istituzione la Norma CEI 76-10 “Sicurezza fotobiologica delle lampade e dei sistemi di lampada-Guida ai requisiti costruttivi relativi alla sicurezza della radiazione ottica non laser” che analizza in particolare il rischio legato alle esposizioni a sorgenti luminose che operano nello spettro degli ultravioletti, raggi infrarossi e luce blu. I Led interessano lo spettro della luce blu, che avrebbe un effetto destabilizzante sul ritmo circadiano, quello cioè che segue il nostro corpo nell'arco di 24 ore. Le alterazioni del ritmo circadiano sono direttamente collegate a problemi di salute piuttosto seri, che vanno dall'obesità al cancro. La luce blu ha un effetto sulla melanopsina, una proteina presente in alcune cellule fotosensibili negli occhi, le stesse cellule che comunicano al cervello come regolare il ritmo circadiano. La melanopsina è più sensibile a frequenze tra i 440 e i 460 nanometri, (tra il blu e l'indaco), frequenze che interessano proprio lo spettro di emissione dei Led a luce blu, presenti nei Led RGB ma anche nei Led bianchi (tecnologia ai fosfori). È stato osservato inoltre che l'esposizione alla luce blu porta poi a una riduzione dei livelli di melatonina, un ormone legato al ritmo circadiano e che tra le altre cose determina l'equilibrio tra le ore di veglia e quelle di sonno. Considerati questi fatti Abraham Haim dell'Università di Haifa propone che tutti i sistemi di illuminazione esterna siano privi di luci con lunghezze d'onda inferiori ai 540 nm, "per ridurre gli effetti della riduzione della melatonina e l'alterazione del ritmo circadiano in umani e animali". Resta ancora da determinare in che misura la luce blu porti a una riduzione della melatonina, l'argomento è forte oggetto di studi. 25 Capitolo 2 Controllo dei Led RGB In questo capitolo si prendono in esame le varie tipologie di driving del Led con un approfondimento sui mosfet nella tecnica pwm e i metodi legati al controllo di sistemi con più Led, con degli esempi di circuiti integrati e protocolli di comunicazione tra i dispositivi. Si approfondiranno inoltre degli elementi circuitali utili alla progettazione di un sistema di controllo per numerose strip-Led RGB, delle dimensioni di un metro l'una (7,2W massimi ad ogni strip). 2.1 Driving con LMS La corrente diretta è proporzionale alla potenza luminosa di un Led su un ampio campo di funzionamento, il dimming2 del Led, pertanto può pertanto essere realizzato con modulazione della corrente di polarizzazione. La tecnica appena citata prende il nome di LMS (Linear Mixing System) ovvero metodo lineare o pilotaggio con corrente in DC. Con questa tecnica la corrente, continua, viene modulata da un opportuno circuito secondo lo stato di polarizzazione del Led, ma mantenuta al minimo possibile. Con un controllo di tipo LMS si necessita mantenere una corrente stabile e accurata per ottenere risultati ottimali. Illustrazione 2.1: Schema esemplificativo di un driver Led a corrente costante. 2 Dimming (letteralmente “oscuramento”) è un termine che deriva dalla tecnica di modulazione d'intensità utilizzata nelle normali lampade alogene o a incandescenza, per mezzo di dispositivi chiamati “dimmer”, con cui si modula l'intensità luminosa. 26 I dispositivi appena citati prendono il nome di Driver a corrente costante, o Driver DC. La struttura si propone di garantire una corrente costante di polarizzazione attraverso il/i Led, per mezzo di un resistore che funge da sensore di corrente. È possibile collegare in parallelo più stringhe di Led, ma risulta sconveniente per la necessità di un resistore ad ogni stringa, con perdite in efficienza. Definendo l'efficienza dell'alimentazione come il rapporto tra la potenza erogata dal Led e la potenza erogata dalla fonte, si giunge alla formula (4). Efficency = P Led P Led + P Supply Losses+ P Curr Sensor (4) Questa tecnica è particolarmente utile con tensioni di alimentazione non costanti, come nel caso dell'alimentazione tramite batterie, in quanto assicura un efficienza ottimale indipendentemente dal grado di carica della batteria. 2.2 Driving con PWM Poiché i Led possono essere rapidamente accesi e spenti senza effetti nocivi, il dimming può essere realizzato anche utilizzando un metodo chiamato modulazione di larghezza. Regolando la relativa durata dell'impulso e il tempo tra gli impulsi, si può regolare l'intensità apparente del Led. Questa tecnica può essere facilmente implementata elettronicamente tramite un controllo digitale diretto. La modulazione di larghezza di impulso, dall’inglese pulse-width modulation o PWM, è un tipo di modulazione analogica in cui l’informazione è codificata sotto forma di un segnale ad onda quadra, in cui con periodo prefissatosi fa variare il tempo di segnale positivo (“on”) rispetto al tempo totale. Il rapporto tra il tempo di on e il tempo di ciclo prende il nome di duty cycle. T t t ̄ = 1 ∫ X (t)⋅dt = 1 ∫ X max⋅dt = on X max = δ c⋅X max X Ts 0 Ts 0 Ts s on (5) Un duty cycle pari a 0% indica un impulso di durata nulla, in pratica assenza di segnale, mentre un valore del 100% indica che l’impulso termina nel momento in cui inizia il successivo. Illustrazione 2.2: Il segnale modulato PWM può essere realizzato mediante un comparatore tra tensione di riferimento desiderata e onda triangolare 27 Illustrazione 2.3: Il valore medio dell'onda quadra è ottenuto con il prodotto tra tensione massima e duty cycle Il concetto base è variare il tempo di ‘‘on’’ dell'onda quadra per ottenere una luminosità d’uscita che è proporzionale al duty-cycle desiderato. PWM è l’approccio più comune per il color-mixing e dimming Led. Il cervello umano mantiene per circa 0,025-0,01s l'immagine percepita ad ogni “frame”, non percepisce così un eventuale discontinuità della sorgente luminosa. In questo modo è possibile alimentare in onda quadra il Led, senza che si noti la differenza tra il momento in cui è acceso o spento. A patto che il semiperiodo dell'onda non superi i 25 millisecondi, la percezione della luminosità agirà con un operazione di media lineare, idealmente, sull'intensità della radiazione percepita. La temperatura di giunzione segue un andamento pressoché lineare con la corrente di polarizzazione, di conseguenza al variare del duty-cycle Tj non cambia, cosi da indurre un cambiamento in luminosità senza spostare la radiazione di picco (color shift). Oltre a questo fenomeno, vi sono altre non idealità legate sia alla percezione della intensità luminosa nell'uomo, sia all'aspetto circuitale-elettrico 3, che non permettono di trattare il rapporto tra duty cycle e intensità percepita come esattamente lineare. Questa non idealità, che dipende anche dal Led in questione (sia esso R, G o B), può essere ovviata preimpostando nel sistema di controllo una legge di mixing-dimming pesata adeguatamente, che tenga conto di questi effetti per compensarli, oppure implementando un sistema a retroazione. Riguardo l'accuratezza raggiunta con questa tecnica bisogna tener conto del numero di bit con cui è stato quantizzato il segnale di partenza, tipicamente 8 bit per canale (256 livelli di profondità), per un totale complessivo di 24 bit che rappresenta l'intera scala cromatica, a tutte le intensità e saturazioni. 3 Una non idealità circuitale è per esempio quella dei transitori di commutazione. 28 Gli svantaggi della PWM rispetto al driving in corrente DC sono legati alla presenza di commutazioni, (emissione elettromagnetica EMI) oltre al fatto che la corrente assorbita non sempre è la minore possibile, e non sempre è costante durante il tempo di “on”. Sommariamente, la tecnica PWM risulta più economica e facile da implementare, mentre LSM ha priorità su applicazioni che necessitano maggiore efficienza e accuratezza, in particolare viene adottata nei power Led, evitando così importanti consumi legati alla resistenza di polarizzazione. 2.2.1 PWM: Il MOSFET Scegliendo la PWM come metodo di pilotaggio del Led, è necessario scegliere un MOSFET adeguato alle necessità elettriche delle strip-Led. Il MOSFET ha il compito di abilitare o meno la chiusura del circuito di alimentazione dei Led, viene controllato da un segnale Vgs che corrisponde all'onda quadra modulata in larghezza (PWM). Ad ogni diverso duty cycle delle componenti R G e B corrispondono una tinta, luminosità e saturazione diversi, ossia lo spazio dei colori. Ogni strip-Led necessita quindi di tre mosfet. Il successo così elevato dei mosfet in applicazioni di commutazione deriva da: • bassa potenza richiesta per il pilotaggio a parità di potenza commutata; • velocità di commutazione; • bassa caduta di tensione fra drain e source quando il mosfet è chiuso. Illustrazione 2.4: Struttura di un mosfet a canale N. I MOSFET sono transistori ad effetto di campo dotati di 3 terminali: source, drain e gate. 29 Possono essere a canale N o a canale P: • Canale N Vgs>0 Vds>Vgs. • Canale P Vgs<0 Vds<Vgs. Il gate è il terminale di comando del mosfet: variando la tensione presente fra gate e source si modifica la corrente che scorre fra drain e source. A differenza dei BJT il mosfet si pilota in tensione. Per questo motivo il gate sottoposto ad una tensione fissa non assorbe corrente. Infatti, fra il gate e il resto del componente è interposto uno strato isolante di ossido di silicio che isola elettricamente il gate da source e drain. Il nome MOSFET nasce proprio da questa caratteristica (Metal Oxide Semiconductor FET). A causa dello strato di ossido isolante, tra gate e source, e tra gate e drain si vengono a formare capacità parassite Cgs e Cgd i cui effetti sommati sommati si riassumono in C iss, ovvero la capacità vista in ingresso dal gate. Illustrazione 2.5: Effetti capacitivi e schema equivalente del mosfet canale N Durante la commutazione le capacità si caricano e scaricano generando una corrente parassita in ingresso al gate. Il valore della corrente è legato a quella della reattanza capacitiva Xc, il cui valore è calcolabile con la formula (6) dove f è la frequenza in Hz del segnale impulsivo e Ciss il valore in Farad della capacità vista dal gate. Xc= 1 (2 π∗ f comm∗C iss ) (6) Questo valore è rilevante quando si progetta un circuito che utilizza i mosfet, poichè la parte di circuito che pilota il gate deve essere sufficientemente potente da fornire la corrente richiesta durante le commutazioni. Se questa ipotesi non è validata, ovvero se la reattanza di gate è troppo bassa, possono verificarsi danni al generatore di segnale. Nel caso pratico, 100Hz possono ritenersi un valore adeguato rispetto le esigenze tecniche, mentre il valore di “Ciss” lo si può intercettare nella curva in funzione di V ds, presente nei 30 datasheet (Illustrazione 2.7). La corrente che si disperde nel gate può essere calcolata con la legge di Ohm, scegliendo un valore opportuno di tensione Vgs, (maggiore della tensione di soglia). I gate = V gs Xc (7) 2.2.2 Scelta del MOSFET Un Mosfet completamente polarizzato alla tensione di 5V prende spesso il nome di “Logic-Level Gate Drive”nei datasheet, e ha tipicamente una tensione di soglia V th minore di 2V. Sappiamo che nel nostro caso specifico deve trattarsi di un canale N, dato che dovrà abilitare le connessioni alle masse per chiudere i circuiti, sarà quindi posizionato tra l'anodo e GND, (il +12V infatti è in comune). È ora necessario conoscere il valore di corrente I d che il mosfet dovrà essere in grado di sopportare. Ogni strip Led consuma 7,2W massimi al metro (luce bianca, 12V continui, 60 Led/metro). Approssimando alla situazione in cui i Led RGB assorbano uguali quantità di corrente ciascuno, per 12V risultano 200mA per canale (colore) massimi. Questo dato permette un primo orientamento per la scelta del MOSFET. Per una situazione così descritta, una scelta opportuna potrebbe essere il NXP – BSH111. Illustrazione 2.6: BSH111 in formato SOT-23 (Small Outline Transistor) Questo mosfet a canale N è in grado di mantenere una corrente continua I d di 335mA ed ha una tensione di soglia tipica di 1V. In seguito vedremo che la tensione di gate scelta dovrà necessariamente essere compresa tra 1,8V e 5V. 31 Il valore della capacità vista dal gate per una V ds pari a 12V è sotto ai 20pF, che con una frequenza di switch di 1kHz 4, dalle formule (6) e (7) porta a valori di corrente prossimi a 0,6mA. Illustrazione 2.7: Capacità “Ciss”, “Coss” e Cgd in funzione della tensione applicata tra drain e source nel BSH111 (in scala logaritmica). 4 La frequenza scelta pari a 1kHz è un paramentro esemplificativo. Il cervello, secondo meccanismi non ancora del tutto chiariti, esegue un'operazione di "assemblaggio" dei singoli fotogrammi, interpretandoli come una continuità. Questo succede da 25/60Hz in su. Per i led si sceglie spesso 100Hz 32 Illustrazione 2.8: Screenshot della commutazione a 100Hz su NXP BSH111. Vgd = 3V3. Vsd = 12V. Illustrazione 2.9: La stessa configurazione con una frequenza di commutazione di 100KHz. Presenta un transitorio comunque trascurabile in ingresso. 33 2.3 Controller serialmente indirizzabili Per quanto riguarda il cuore del controllo per i Led RGB, ovvero il dispositivo che pilota i mosfet in base a delle istruzioni e input, sono state sviluppate svariate soluzioni commerciali. In seguito si prenderà in esame come esempio un driver per Led indirizzabile in bus seriale (WS2801). Seguirà un esempio di microcontrollore che in comune con il driver avrà solo il packaging SOIC-14 e un prezzo simile (AtTiny24A). 2.3.1 Driver a corrente costante WS2801 Il WS2801 è un driver per a corrente costante. E 'adatto per applicazioni con Led disposti in cascata. I WS2801 dispongono di 3 canali di uscita, ogni canale può guidare una corrente costante fino a 150mA. Questi canali andranno direttamente collegati ai Led, ma se la corrente fornita non fosse sufficiente è possibile configurarlo per il controllo in PWM. Questo integrato necessita di essere essere indirizzato tramite protocollo I²C. Ad ogni frame vengono trasmesse tre sequenze di dati da 8 bit (24 per frame). Per la trasmissione dei dati in cascata su lunga distanza, il WS2801 integra uno stadio d'uscita in push-pull che permette di raggiungere distanze di 6m tra i dispositivi collegati in cascata, con frequenza di clock supportata di 2 Mhz. • Supporta sia il controllo in tensione PWM, sia la funzionalità di driver a corrente costante programmabile; • dispone di tre canali indipendenti PWM (frequenza di aggiornamento a 2.5KHz); • bufferizza autonomamente dati e clock per la comunicazione al dispositivo seguente in cascata; • Tensione di alimentazione 3.3 ~ 5.5V. per ogni multi-Led che si vuole introdurre sarà necessario uno di questi integrati, è una soluzione senz'altro comoda poiché, a differenza di un microcontrollore non necessita di programmazione, contiene già le periferiche hardware che sono necassarie per interpretare il codice fornito dallo standard I²C. Illustrazione 2.10: Le dimensioni del formato SOIC-14 in mm 34 2.3.2 Microcontrollore Un microcontrollore è un sistema a microprocessore completo, integrato in un chip compatto, progettato per la massima autosufficienza funzionale e ideato su misura per uno specifico range di applicazioni, questo si traduce anche in economicità. In generale integrare più periferiche su un singolo chip porta vantaggi legati a: • Compattezza e semplicità circuitale; • Sistema nel complesso più affidabile; • Risparmio energetico; • Riprogrammabilità senza limiti anche in corso d'opera; • Comunicazione diretta con altri sistemi; Nel caso del controllo di un numero limitato di Led RGB non vi sono esigenze severe legate alla scelta del modello di microcontrollore, trattandosi di una applicazione poco onerosa a livello computazionale e che non richiede grandi porzioni di memoria per il codice o i calcoli. Nel mercato sono presenti controllori per ogni applicazione, si differenziano notevolmente per CPU, memoria RAM e ROM, una serie di interfacce di I/O standard (fra cui i bus SPI, I²C, CAN) periferiche integrate quali DAC, ADC, timer/counter, porte esterne mono-bidirezionali bufferizzate, moduli PWM, tensioni operative, assorbimenti etc. Un ottimo esempio per applicazioni Led è il microcontrollore Atmel AVR® 8-bit ad architettura RISC. Tra la famiglia AtTiny, (che si differenzia per le dimensioni ridotte), si è preso in esame l'AtTiny24A. Illustrazione 2.11: Pinout dell'AtTiny24A per formati PDIP (plastic dual in line package) e SOIC (small outline integrated circuit) 35 Le caratteristiche salienti di questo integrato, tratte dal datasheet, sono: • dimensioni e consumi estremamente ridotti (riguardo le dimensioni si è scelto un package di tipo SOIC). • 2KB di memoria FLASH, 128 Bytes di memoria EEPROM e 128 di memoria SRAM. • un timer a 8 bit ed uno a 16 bit, con due canali PWM ciascuno. • possibilità di alimentare con tensione operativa tra 1.8 – 5.5V. • un totale di 14 pin, compresa l'alimentazione (12 I/O completamente programmabili). • presenza di interfaccia USI (Universal Serial Interface). • 10 bit ADC multi ingresso. • Potenze assorbite estremamente limitate, serie “pico-power”. Questo microcontrollore ha il compito di generare i segnali PWM che determinano il colore e l'intensità di una sola strip-Led. Per ogni strip-Led che si desidera nel sistema è quindi necessario un AtTiny in più. Tuttavia dato che i pinout configurabili sono 12, sarà possibile far gestire fino a tre strip per unità. L'array di microcontrollori riceve le indicazioni sul colore, e su quale strip si deve abilitare, informazioni che riceverà da un circuito integrato che svolge così la funzione di master. Questo integrato può essere sempre un microcontrollore, (o altro), e vi sono diversi modi con cui possa avvenire la comunicazione tra il master e gli slave (AtTiny). La programmazione del microcontrollore può essere eseguita tramite svariate soluzioni, tra cui scheda di programmazione (es AVRProg, AVRDragon, STK etc) oppure con Arduino come programmatore SPI (Serial Peripheral Interface) o altre soluzioni. Negli slave sarà quindi necessario sviluppare un opportuno codice che assegni un colore in uscita (tramite tre PWM) a partire dai dati in ingresso, in base al tipo di comunicazione scelta tra i due. 2.4 Comunicazione tra dispositivi Nell'ambito della progettazione di sistemi di controllo per Led RGB, si trova spesso la necessità di avere circuito di pilotaggio Led (dimming) e interfaccia utente con una certa distanza nel mezzo. Pertanto in base alle necessità si ricorre a diverse tipologie di comunicazione tra le due parti del sistema. Come prima distinzione tra tipologie di comunicazione digitale si individuano: • Trasmissione parallela: Le informazioni (i dati) vengono trasmessi su linee multiple: un cavo che effettua una trasmissione parallela a n bit è formato da almeno n conduttori separati. • Trasmissione seriale: Le informazioni sono comunicate una di seguito all'altra e giungono sequenzialmente al ricevente nello stesso ordine in cui le ha trasmesse il mittente. 36 Nonostante la maggior complessità architetturale e gestionale rispetto alla trasmissione parallela, la modalità seriale è una delle più diffuse in ambito informatico perché: • Richiede un minor numero di fili; • Più tollerante rispetto alle interferenze e agli errori di trasmissione; per contro, a fronte di un circuito trasmissivo più semplice è necessaria una gestione software più complessa. Rispetto alla trasmissione seriale il bus parallelo risulta avere prestazioni più elevate in termini di velocità di trasmissione a parità di frequenza, ma sarà anche più ingombrante e costosa a causa del numero di linee richieste. Normalmente per comunicazioni a lunga distanza si preferisce infatti utilizzare delle trasmissioni seriali dato che i cavi necessari alla trasmissione parallela renderebbero il progetto più costoso, la cui velocità di trasmissione dati non è nemmeno un parametro significativo nel controllo Led. 2.4.1 Il bus SPI La trasmissione seriale SPI (Serial Peripheral Interface) è una modalità di comunicazione tra dispositivi digitali, che viene anche utilizzata nella fase di programmazione. La trasmissione avviene tra un dispositivo detto master e uno o più slave, il master controlla il bus, emette il segnale di clock e decide quando iniziare e terminare la comunicazione. Il sistema è comunemente definito a quattro fili. Con questo si intende che le linee di connessione che portano i segnali sono in genere quattro ai quali si aggiunge una connessione di riferimento (GND). Esso si basa su 4 segnali: • SCLK – SCK: Serial Clock (emesso dal master); • MISO: Master Input Slave Output (ingresso per il master ed uscita per lo slave); • MOSI: Master Output Slave Input (uscita dal master, entra nello slave); • SS: Slave Select, emesso dal master per scegliere lo slave con cui eseguire la comunicazione. Con l'SPI ci sono due configurazioni possibili per collegare il master con gli slave, ovvero con slaves controllati singolarmente oppure in cascata (daisy chain). Multislave controllati singolarmente Per comunicare con uno slave in particolare avremo bisogno di abitilare la sua linea SS e disabilitare tutte le altre (se entrambi provassero a comunicare contemporaneamente genererebbero un error-data nella linea MISO). Lo svantaggio evidente è la necessità di una linea selezione ad ogni slave; si può tuttavia far ricorso a dei decoder di dati binari per moltiplicare le linee di selezione. 37 Illustrazione 2.12: Struttura delle connessioni tra master e slave in ISP con Chip Select Multislave in cascata Un altra possibilità che riduce il numero di “Slave Select” a un solo pin, è la soluzione “daisy chain”, ovvero la connessione in cascata di master e slave per cui ogni slave è master del successivo. La linea Slave Select viene tenuta sempre attiva per tutti gli slave, e perde dunque significato. Illustrazione 2.13: Struttura delle connessioni per comunicazione SPI con slave in cascata Questo tipo di layout viene tipicamente usato in situazioni di “solo output”, come nel caso del Led driving, dove non è richiesta la restituzione di alcun dato tra slave e master. In questi casi si può evitare la connessione MISO. Se tuttavia si rivelasse necessario un feedback (come nel caso dei sensori di luminosità o prossimità) è sufficente collegare l'ultimo slave con il master tramite MISO. Tuttavia nel caso di feedback richiesto dal master, SPI risulta poco pratico poiché il dato i uscita dal primo slave dovrà transitare attraverso tutti gli slave prima di raggiungere il master. 38 2.4.2 Il bus I²C Lo standard I²C, che sta per Inter-Integrated Circuit, è un protocollo di comunicazione seriale ideato dalla Philips Semiconductors. Il bus è stato sviluppato a partire dal 1982, dieci anni dopo è stata rilasciata la prima versione del protocollo che ha subìto diversi aggiornamenti ed ha generato bus simili, uno dei quali (SMBUS) di brevetto Intel, nel 1995. Secondo la Philips i circuiti integrati che comunicano con questo protocollo sono più di 1000 di oltre 50 costruttori diversi. Il protocollo di comunicazione può essere usato liberamente dal 1º ottobre 2006. Numerosi costruttori di circuiti integrati possono implementarlo (su schede madri, microcontrollori ed altri integrati dotati di questo sistema di comunicazione: memorie flash, eeprom, driver di display ecc.) ma, avendo ogni tipo di periferica un proprio codice fisso di riferimento, la registrazione di un nuovo codice richiede il pagamento di un diritto alla Philips. Trattandosi di un protocollo seriale i vantaggi che offre sono quelli di impegnare solo due linee (e quindi due pin dei dispositivi che lo usano). • • SCL rappresenta la linea sulla quale viaggia il segnale di clock, il cui scopo è quello di sincronizzare tutti i trasferimenti di dati sul bus. Il trasferimento dei dati è un'operazione che ha bisogno di essere scandita da istanti temporali definiti, essendo una forma di comunicazione sincrona. Soprattutto c'è necessità che sia svolta secondo un preciso ordine che mantiene la cronologia dell'invio dei bit poiché la consequenzialità è alla base dell'integrità dell'informazione. SDA, invece, rappresenta la linea sulla quale viaggiano i dati. Entrambe le linee sono connesse a tutti i dispositivi sul bus I²C. Il bus è detto a due fili intendendo che la comunicazione necessita di due linee di comunicazione. In realtà è comunque indispensabile avere un filo di riferimento comune (chiamato GND o Vss) per cui in pratica il numero minimo di connessioni fisiche è tre. Illustrazione 2.14: Schema del bus I²C con resistenze di pull-up Sia la linea SCL sia SDA sono “open drain” (MOS): questo permette di pilotare le uscite in maniera che siano basse ma non alte, ovvero c'è bisogno di una rete di pull-up per fare in modo che l'uscita possa anche essere alta. Quando un dispositivo attiva la sua uscita, forza bassa la 39 linea portandola a livello logico zero, lasciandola libera viene tirata alta dal resistore di pull-up ed è considerata a livello logico alto (Vbus). Il valore dei resistori dipende dalla corrente assorbita dai rispettivi dispositivi, non vi è quindi una regola fissa, è necessario valutare operativamente le prestazioni del bus per scegliere dei valori adeguati. I dispositivi su I²C possono essere sia master sia slave. I primi sono quelli che pilotano la linea di clock mentre i secondi rispondono ai master. Uno slave non può in alcun modo iniziare il trasferimento sul bus e questa è probabilmente la più importante delle differenze: soltanto il master può controllare il trasferimento e di conseguenza comandarlo. Per il Led driving è utile e funzionale la presenza simultanea di più slave sullo stesso bus. Esistono soluzioni multimaster, ma non sono oggetto di interesse per questa trattazione. Quando il master (il controller) deve comunicare con uno slave, inizia istruendo la sequenza sul bus. La sequenza non è altro che un bitstream ordinato all'interno del quale vengono utilizzati segnali convenzionali che servono ad indicare che un messaggio sta per essere trasferito, una serie di dati che costituiscono il messaggio stesso e poi altri segnali convenzionali il cui scopo è quello di notificare che la comunicazione è terminata. Le sequenza di Start e di Stop sono, segnali convenzionali all'interno dei quali SDA può cambiare solo se SCL è a valore logico alto. I dati che vengono trasferiti sono formattati in una sequenza da 8 bit e sono posizionati sulla linea SDA a partire dall'MSB (Most Significant Bit). La linea di clock viene portata alta e poi abbassata di valore. Per ciascun gruppo di 8 bit che venga trasferito il dispositivo che riceve invia un segnale detto di “acknowLedge”. Dal momento che il ricevitore ha ricevuto il byte, esso resta in attesa per l'eventuale secondo. Illustrazione 2.15: Sequenza temporale per la trasmissione di un byte a un indirizzo di 7 bit La frequenza di clock standard è pari a 100 kHz. Tuttavia sono possibili altre modalità come “Fast mode”, che arriva fino a 400 kHz su, ed anche “High Speed mode” che si spinge fino ad 40 un massimo di 3.4 Mhz. La maggior parte dei moduli funzionano a 100kHz, frequenza che può essere anche abbassata; in un semplice controllo unidirezionale, con poche decine di led accesi per istante, la velocità di trasferimento dei dati non è poi così stringente dato che l'occhio è ben più “lento”. L'utilizzo di un canale condiviso come l'I²C permette di limitare molto il numero di segnali elettrici che bisogna condurre tramite piste sul nostro circuito stampato. Tutti i dispositivi, i sensori e/o gli attuatori connessi a questo bus hanno necessità di essere identificati univocamente tramite un indirizzo che può essere di lunghezza pari a 7 oppure a 10 bit. L'utilizzo di indirizzi di profondità pari a 10 bit è abbastanza raro e pertanto non sarà trattato. Da tener presente però, poiché porta il numero massimo di indirizzi da 128 a 1024. La maggior parte dei moduli, quindi, possono essere gestiti con indirizzi lunghi 7 bit. Sebbene ci siano solo 7 bit all'interno dell'indirizzo, dobbiamo comunque sempre inviare 8 bit, ovvero 1 byte, di informazione. Il bit extra viene utilizzato per informare lo slave del fatto che il master voglia effettuare un'operazione di lettura oppure di scrittura. In particolare i primi bit sono quelli dell'indirizzo mentre l'ultimo, l'LSB (Least Significant Bit), indica il tipo dell'operazione. Nel caso si necessiti di gestire dei Led RGB, difficilmente si rivelerà necessario o utile leggere informazioni dagli slave, a meno che questi non abbiano a disposizione un feedback della sorgente luminosa o qualche tipo di sensore, come ad esempio un sensore di prossimità. In tal caso il master può servirsi delle informazioni raccolte elaborarle e agire di conseguenza (o passarle ad un altro dispositivo che si occupi del calcolo). Una cosa importante che bisogna notare è che il numero massimo di dispositivi collegabili tramite questo protocollo sia limitato non solamente dal numero di indirizzi disponibili ma anche dalla capacità totale del bus che vale, al massimo, 400 pF. Una componente capacitiva può avere effetti di diverso tipo sulla risposta al transitorio dell'intero sistema nel bus; un aumento di tale valore, infatti, implica una diminuzione della larghezza di banda perchè la costante di tempo caratteristica del circuito aumenta. Questo può avere delle conseguenze sulla velocità di funzionamento di tutto il bus. A risolvere questo limite esistono una serie di soluzioni, già disponibili sul mercato, per poter espandere il bus I²C ed ottenere migliori prestazioni, sempre se necessario. Si riporta comunque un esempio per completezza. l'NXP I²C-bus extender P82B715 è un circuito integrato analogico bipolare che garantisce una distanza di collegamento complessivo del sistema di 30 m oltre ad una capacità specifica massima supportata di 3 nF, contro i 400 pF originari. Permette inoltre di pilotare carichi più grandi (o numerosi) e migliorare l'immunità ai rumori e ai disturbi, rendendo il protocollo I²C più stabile, oltre che più idoneo ad applicazioni che richiedono un livello in più, di sicurezza nella trasmissione. Dal datasheet di NXP P82B715: “The P82B715 is a bipolar IC intended for application in I²C-bus and derivative bus systems. While retaining all the operating modes and features of the I²C-bus it permits extension of the practical separation distance between components on the I²C-bus by buffering both the data (SDA) and the clock (SCL) lines.” La prima azione di una trasmissione seriale con protocollo I²C è che il dispositivo master invia la sequenza di Start. Questo diventa un messaggio per tutti i dispositivi slave sul bus, che restano allertati in procinto di una nuova trasmissione e devono rimanere in ascolto nel caso in cui il messaggio sia rivolto al loro indirizzo. Una volta completata la ricezione dell'indirizzo 41 sarà possibile, per il dispositivo direttamente interessato, restare in ascolto e a quel punto valutare se l'operazione sia di lettura o di scrittura. Ecco spiegato perchè il bit R/W sia posto dopo i 7 bit dell'indirizzo. Quale sia il contenuto del messaggio dipende dal destinatario: un dispositivo slave può avere diversi registri di profondità qualsiasi. Avendo inviato l'indirizzo I²C ed eventualmente anche l'indirizzo del registro interno, il master può ora finalmente inviare il/i data byte. La trasmissione, ad opera del master, può continuare e possono continuare ad essere inviati byte allo slave perché il dispositivo continuerà ad incrementare automaticamente l'indirizzo dei registri interni alla fine di ciascun byte trasmesso e ricevuto. Quando la trasmissione è terminata, perché tutti i data bytes sono stati inviati, viene trasmessa la sequenza di stop che completa la comunicazione. Per poter scrivere su un dispositivo slave occorrono quindi: • • • • • segnale di start; indirizzo del dispositivo, seguito dal "Read/Write" bit; trasmissione dell'indirizzo del registro all'interno; trasmissione dei dati; segnale di stop. Illustrazione 2.16: 24bit di informazione, dopo ogni bit R0, B0, G0, vi è un bit di acknowLedge Nel caso si volesse comunicare un determinato mix dei tre colori RGB, la cui profondità è 8 bit per colore, nel corpo del messaggio ci saranno (almeno) tre byte per il colore ad ogni chiamata su slave. É possibile che risulti conveniente trasmettere altre informazioni per ridurre il numero di appelli necessari e quindi aumentare la risoluzione nel tempo di un sistema con molti Led. Un esempio di data byte oltre ai colori è il tempo con cui raggiungere, gradualmente, tale colore. In tal caso lo slave si adopererà, una volta ricevuta l'informazione, a cambiare i valori di pwm autonomamente, ciclo per ciclo. In questo modo è possibile ottenere un effetto fade-color senza che a ogni livello di profondità diversa di colore il master debba fare una chiamata a quel determinato slave. Sarà necessario prestabilire un ordine con cui data byte vengono trasmessi e utilizzare la stessa convenzione con tutti i dispositivi, oltre che pre-programmarli adeguatamente in base alle esigenze. 42 2.4.3 Confronto tra SPI e I²C Vantaggi dell'interfaccia SPI: • Supporta la comunicazione full-duplex con un throughput molto più alto rispetto ad I2C. • Non è limitato a parole di 8 bit, in modo da poter inviare messaggi di ogni genere e con contenuti e scopi arbitrari. • Non richiede resistenze di pull-up, il che si traduce in un minore consumo di energia. Vantaggi dell'interfaccia I2C: • Più semplice: avendo meno linee, meno piedini sono richiesti per interfacciarsi ad un circuito intergrato. • Quando si comunica con più di un dispositivo slave, I2c possiede il vantaggio di un indirizzamento in banda, al posto di avere una linea chip select per ogni slave. • I2c supporta inoltre lo slave acknowledgment che significa che si è certi del dispositivo con cui si sta comunicando. Con SPI, un master può inviare dati a vuoto e non saperlo. In generale SPI è consigliato per applicazioni che comunicano lunghi flussi di dati e non solo parole come locazioni di memoria. Lunghi flussi di dati sono presenti in applicazioni in cui si lavora con un processore di segnali digitali o con un ADC, per esempio. Inoltre, dato che SPI supporta elevate dimensioni di dati in confronto a I2C, soprattutto grazie alla sua capacità duplex, è molto raccomandato per applicazioni veloci, che raggiungono le decine di MegaHertz. Inoltre, poiché non ci sono dispositivi per l’indirizzamento sviluppati per SPI il protocollo è molto più difficile da usare nel caso di più dispositivi slave. 2.5 Sistemi retroazionati Nel Led RGB il problema fondamentale per una stabilità cromatica è legato alle diverse cinetiche di degrado dei tre Led (in particolar modo alla temperatura di giunzione), che portano a variazioni anche evidenti nello spettro in uscita. Per applicazioni più severe, questo problema del “color shifting” e altri, possono essere ovviati con dei sensori in grado di fornire al sistema di controllo colore un feedback sulla resa cromatica. In un sistema di controllo ad anello chiuso avviene l'auto-compensa della luminosità dei canali secondo alcune variabili che sono “catturate” dall'uscita del sistema attraverso sensori. Si potrebbe pensare ad esempio ad un termistore per misurare la temperatura del Led (nel caso questo sia singolo e non multiLed), o un sensore di luce ambientale per misurarne l'intensità, un sensore di colore per misurare il peso delle tre componenti e sensori di misura delle corrente assorbite. Una o più di queste variabili sarebbero usate per regolare i relativi duty cycle (o corrente continua di alimentazione) in uscita dal controller per consentire una soluzione precisa e auto-compensata. Ovviamente , un tale sistema di controllo è più complesso e richiede componenti aggiuntivi, ma in realtà questo tipo di soluzione è l'unica se si necessita di alta qualità e accurata resa cromatica nella luce prodotta da un sistema di illuminazione Led. 43 Illustrazione 2.17: sistema in retroazione per la compensazione dei fenomeni di non idealità della radiazione emessa, a mezzo di un sensore RGB. Nella progettazione di un sistema retroazionato per l'illuminazione si deve porre attenzione agli errori che possono essere introdotti dai sensori, il rischio è quello di non avere un riferimento valido di feedback, vanificando il lavoro di controllo. Possibili cause d'errore sono: • Il sensore del colore rivela soltanto una porzione della luce di un gruppo di Led a causa della sua posizione. • La curva di sensibilità del sensore di colore non è stabile con la temperatura. • Una divergenza tra il sensore e la curva di sensibilità dell'occhio. • Limitazioni apportate della conversione da analogico a risoluzione digitale ( ADC ). Naturalmente , il numero di meccanismi di feedback impiegati e la qualità e risoluzione dei segnali di retroazione determinano la precisione complessiva di un sistema di illuminazione, ma i miglioramenti apportati devono giustificare la complessità del sistema e il costo. 44 2.6 Progetto con AtTiny24A Nel corso dei precedenti capitoli ci si è focalizzati su esempi di MOSFET, microcontrollore e strip-Led RGB in particolare, per poter introdurre un progetto che si serve di quei componenti nel controllo di un insieme di strip RGB. Inizialmente, si pensava di utilizzare un microcontrollore per ogni strip-Led. Le strip organizzate in moduli da 8 unità, componibili fino ad un massimo di 32 strisce (4 moduli da 8 unità). Ogni AtTiny24A avrebbe avuto il compito di tradurre in 3 PWM le informazioni ricevute da ben 8 linee, realizzate tramite una piattina collegata ad ogni PCB. Di queste 8 linee: • Tre riferimenti in tensione analogica prodotti dal DAC di un master: una tensione continua per linea, variabile tra 0-3V3 ad indicare le intensità di RGB, uguali per tutte le strip in quell'istante. • Una per il comando “FULL-SCIA” che realizzava il “tutto acceso” se a 3V3, e “scia” (=permanenza temporale) del colore appena eseguito nell'istante dell'assegnamento diverso da 0V, e proporzionale al valore della tensione. • Tre per l'indirizzamento della striscia nel modulo, con logica binaria (0 o 3V3). • Una linea di abilitazione comune solo alle strip di un solo modulo. Illustrazione 2.18: PCB per un AtTiny24 (SOIC-14), gestita da 8 ingressi, con 3 uscite PWM e i relativi MOSFET. Il Microcontrollore è alimentato a 3V3 tramite partitore resistenza-zener. Quest'ultima linea si ottiene con un circuito aggiuntivo alla testa di ogni modulo e un totale di 45 altri 2 bit per decidere quale modulo abilitare, sempre in logica binaria, quindi in definitiva dal master parte una piattina da 10 linee, collegata a un massimo di 32 strip. Fortunatamente esistono i protocolli seriali che, riducendo sensibilmente il numero di linee necessarie, permettono ad ogni AtTiny24A di pilotare più di una strip, fino ad un massimo di tre strip per microcontrollore. Anche in questa configurazione si avanza un pin, che può essere occupato da un eventuale sensore, qualora fosse necessario. Illustrazione 2.19: Configurazione con I2C, tre strip di output. In verde le linee clock e dati. Il passo 5mm è utile per associarci dei connettori a morsetto Con questa configurazione si rende necessaria una certa vicinanza tra le tre strip, nel caso sia prevista un installazione più indipendente si può ricorrere a microcontrollori con meno pin, disponendone solo uno per strip. Nella famiglia AtTiny ve ne sono diversi, un formato utile potrebbe avere otto pin, avanzandone sempre uno. 46 Illustrazione 2.20: Schema per la disposizione delle PCB a tre strip per una configurazione ad array. Ogni PCB ha un microcontrollore e 9 mosfet. Ogni microcontrollore è caratterizzato da un indirizzo univocamente interpretato e nel corpo del messaggio ci sarà anche l'informazione su quale striscia accendere. È anche possibile che riceva tre messaggi consecutivi, oppure che risponda a più di un indirizzo, dividendosi in più sottosistemi, soluzione che per l'I2Cprende il nome di multi-address. Con indirizzi a 7-bit si possono così ottenere un massimo di (3*128 =) 384 punti luce indipendenti, pilotate da 128 microcontrollori, collegati tutti da quattro fili, compresa l'alimentazione. Eventualmente si riveli necessario, è possibile servirsi di bus-extender per bufferizzare i segnali clock e data. 47 Capitolo 3 Le soluzioni commerciali In questo capitolo si riportano degli esempi di sistemi di controllo Led, (o parti di esso), che integrano alcuni tra i dispositivi e bus a cui si è fatto riferimento in questo elaborato. Possono essere destinati a mercati diversi, che vanno dal DIY hobbystico alla domotica. BlinkM dalla descrizione del prodotto: “BlinkM è uno "Smart Led", un Led RGB collegabile in rete e programmabile, adatto per hobbisti, designer industriali, sperimentatori ed appassionati di prototipazione ed elettronica. E' progettato per consentire la facile aggiunta di indicatori dinamici, display e illuminazione a progetti nuovi o esistenti.” Vengono forniti con un software, “ThingMs Sequencer”, che permette di programmare delle sequenze di colori grazie ad una semplice interfaccia grafica. Il controllore di cui fa uso è anch'esso un Atmel AVR della famiglia Tiny, che comunica tramite I²C con un master, reso disponibile dalla stessa azienda, oppure direttamente con Arduino, scelta che senz'altro ha costituito un punto di notorietà in più per questo marchio. Il controllore in dotazione incorpora una serie di istruzioni che gli permettono di essere controllato in modo dinamico tramite l'assegnazione del colore (in formato RGB o HSB). Il passo in più consiste nell'implementazione, a bordo del microcontrollore, del codice necessario per interpretare anche il tempo di fading, ossia il tempo impiegato a raggiungere il colore impostato, riducendo lil numero di chiamate necessarie tra il master e BlinkM, spostando quindi “a valle” parte degli oneri computazionali. Illustrazione 2.21: BlinkM, versione intermedia. Caratteristiche: • Led RGB 8000mcd 140° full-color • Gamma di colori da 24-bit, comunicazione RGB o HSB • Dissolvenza tra i colori con velocità variabile • Selezione del colore randomizzato, con intervalli e basata sul colore precedente 48 • • • • Possibilità di creare e salvare sequenze di luci lunghe fino a 49 comandi Operazioni stand-alone: nessun microcontrollore necessario per la riproduzione delle sequenze. Collegabile direttamente all'Arduino (non incluso), nessun cablaggio Interfaccia I²C, fino a 128 indirizzi. BlinkM è presente in tre versioni, in base alla potenza del Led RGB che incorpora e di conseguenza le dimensioni della PCB.. Il prezzo al pubblico è compreso tra i 12 e i 15 euro per un insieme assemblato di: Led, PCB, microcontrollore, jumper, mosfet e per la libreria software, che non è open source. Addressable RGB Led strip. Una “Addressable RGB Led strip” è una stringa lunga e flessibile di Led, per ognuno dei quali è possibile impostare individualmente un determinato colore (addressable = indirizzabile). I chip tra i Led ricevono comandi da un controllore. Questa funzione può essere svolta da Arduino o altri microcontrollori o un controller specifico per strisce Led. Le strisce sono disponibili in varie configurazioni; esistono strip con alimentazione a 12V, o con 5V. Ci sono diversi livelli di impermeabilizzazione (per uso esterno o subacquee) e un numero variabile di Led al metro. Ma specialmente si distinguono per il tipo di driver/controllo e di conseguenza per protocolli di comunicazione. HL1606 E un driver Led in PWM, il più usato nelle Addressable RGB Led strip. Ogni chip di HL1606 controlla due Led RGB. Il microcontrollore rispetta uno standard specifico chiamato HL1606 demo majorgray3, che, sebbene esista una libreria Arduino per il HL1606, rimane scomodo da utilizzare, perché richiede quattro linee di bus seriale. Il chip è molto semplice: può eseguire solo due livelli di luminosità, la dissolvenza o la miscelazione dei colori dev'essere implementata sul controllore. Le quattro linee di bus sono bufferizzate ad ogni uscita del HL1606, e i chip sono disposti in serie nelle strip, permettendone il taglio ogni due Led, e un driver. Pro: • Facilmente reperibile; • Il chip HL1606 ha un basso consumo energetico Contro: • Hardware 'Dumb': è necessario implementare software intelligenti per ottenere massima flessibilità. 49 Illustrazione 2.22: Strip Led con integrati gli HL1606 WS2801 E' un driver a corrente costante per Led a 3 canali con uscite programmabili come PWM con risoluzione 8-bit. Il chip funziona su 3.3 - 5.5V è il chip approfondito nel capitolo 2. Pro: • Regolatore intelligente con schema di controllo facile; Contro: • Costoso (un chip per un Led); LPD8806 Ha caratteristiche simili al WS2801 con le seguenti differenze: funziona da 2.7V e ha sei canali che consentono di controllare complessivamente due Led RGB. Purtroppo però ha solo 7 bit PWM, rendendo 128 livelli di luminosità per Led, per una gamma di colori distribuita su a 21 bit (2 milioni di colori). Non ci sono schede inglese disponibili e la descrizione del protocollo non è aperto. Di recente però è stata sviluppata una libreria per Arduino. Anche nei Led stessi è stato integrato un sistema di controllo: WS2812 E' uno “smart Led” in cui il chip RGB e il sistema di controllo sono integrati in un package SMD 5050. Al suo interno dopo la ricezione dei 24 bit dalla Data IN port, li bufferizza in uscita al successivo “pixel” tramite la Data Out port. Dispone anche di un oscillatore interno e di un efficace controllo in corrente, garantendo un elevata coerenza della resa cromatica. Il protocollo di trasferimento dati utilizza la modalità di comunicazione single-wire NZR. È possibile, con un refresh rate di 30 fps, avere fino a 512 punti indipendenti con la modalità low speed, 1024 in high speed. Si presta alla realizzazione di schermi Led mobili assemblabili, (e con adeguato sovra-sistema di controllo anche modulabili) per interno o esterno, o per applicazioni che prevedono l'utilizzo di Led indossabili. 50 Illustrazione 2.19: WS2812 Smart Led RGB 51 Conclusioni Questo elaborato si propone di analizzare la fattibilità e il costo di un semplice sistema di cotrollo per Led RGB. Non è facile orientarsi con ciò che propone il mercato; capire nello stretto quali sono i componenti necessari è fondamentale per la progettazione di sistemi completi, ma anche per analizzare e migliorare le soluzioni già esistenti. La prerogativa per questo progetto di sistema di controllo è stata l'economicità oltre che un consumo modesto. Si è osservato come per realizzare un complesso sistema di illuminazione, specie se su misura e non preconfezionato, sia utile la conoscenza di nozioni che vanno oltre le convenzionali di elettrotecnica, richiedendo così personale specializzato nell'installazione e progettazione. Si è osservata l'economicità dei componenti primi, e risalta la presenza di software open source per la gestione ad alto livello. Questi fatti sono legati alla presenza simultanea di diversi sistemi e metodi che non hanno trovato ancora una solida base comune, si tratta infatti di un campo che ancora presenta la necessità di soluzioni ad-hoc. Per un applicazione sistematica della regola, ovvero per sistemi completi preconfezionati per il controllo dei led, si dovrà attendere la creazione di un nuovo standard riconosciuto tra i maggiori fornitori, magari associato a reti wireless raggiungibili da tablet e smartphone. Una possibile soluzione futura al problema del controllo dei Led RGB, potrebbe prevedere l'utilizzo di reti wireless con protocolli di comunicazione studiati attorno alla domotica, sistemi in un chip indirizzabili (con antenne stampate) per il driving, e sistemi con feedback realizzati tramite sensori che permettono al computer di interpretare le necessità dell'uomo, anche in termini di illuminazione (si pensi ad esempio all'influenza del colore nella psicologia umana). Il successo riscontrato dai Led, e quello che avranno, è dettato da cause economiche. Per questo motivo è e sarà un successo non indifferente, conivolgendo l'intero mondo globalizzato. C'è da aspettarsi, dunque, che le attenzioni rivolte al loro controllo saranno altrettanto mosse da un forte interesse di natura economica, sia nella realizzazione che nella gestione, venendosi a cercare un trade-off tra componenti a basso prezzo ed efficienza nel driving; tutto questo nella corsa alla miniaturizzazione. Per applicazioni che richiedono spesso la permanenza del led a livelli di luminosità moderati, è consigliabile un controllo in corrente costante. Quando invece i led devono tenersi accesi a intensità quasi massime, (non minime), la tecnica PWM offre semplicità d'uso e nei componenti, ma a causa della sempre maggiore specializzazione da parte delle aziende produttrici, la tecnica LMS sarà sempre più supportata dalla maggiorparte dei dispositivi integrati per il driving, offrendo consumi ridotti e una durata di vita maggiore. Se ora le 50'000 ore di vita medie di un led a bassa potenza sembrano essere addirittura troppe, data la loro numerosità in qualunque applicazione pratica,in futuro ci si potrebbe sensibilizzare su una più corretta gestione energetica, una vita più lunga, e di conseguenza le aspettative su un driver crescerebbero a dovere. Sostituire un Led diverrebbe infatti una spesa non accettabile, da evitare. La partita tra LMS e PWM resta tuttavia aperta: sono in corso di studi delle tecniche che utilizzano composti organici fosforescenti a base di iridio, da applicare sopra la giunzione per far permanere la luce nel tempo. Ecco che i 40Hz minimi di una PWM potrebbero essere ridotti sensibilmente portando inevitabilmente dei punti a favore della modulazione in ampiezza d'onda quadra rispetto ad un più sofisticato controllo in corrente continua. 52 Di fronte a molte difficoltà, dovute alla natura tutta nuova del Led, si nota come ad oggi stiano riscontrando buona approvazione per installazioni provvisorie o pubbliche: allestimenti, stand, illuminazione di opere d'arte o monumenti. In questo modo l'idea della luce Led comincia ad entrare tra il pubblico, a diventare normale. È la prima volta nella storia dell'umanità, che l'occhio umano ha di fronte una sorgente luminosa così discontinua nello spettro delle frequenze. Ed è senza dubbio uno dei motivi per cui il Led non trovi immediato successo e fiducia tra gli utilizzatori. Si ritiene opportuno, (nel caso i Led diventino i maggiori rappresentanti tra le lampade da lunga esposizione), avanzare studi a lungo termine sul danno prodotto dalla luce blu sui livelli di melatonina e melanopsina, nonché sulla fisiologia dell'occhio, in risposta all'esposizione a picchi ristretti di frequenze visibili. Lo studio andrebbe condotto parallelamente: per gli RGB e per Led blu ai fosfori, nonché tutte le altre soluzioni. Il pericolo maggiore è legato all'uso di display, ma nel caso di illuminazione domestica prolungata potrebbero esserci altri fattori da considerare, trattandosi perlopiù di luce riflessa anziché diretta; a differenza dei bulbi a spettro continuo infatti, il Led trova spazio nelle abitazioni più nel back-ground lighting che nella sorgente diretta; ancora una volta muoversi verso un sistema di illuminazione così alternativo significa fare i conti con tante piccole rivoluzioni. 53 Bibliografia [1] H. L. Ferdinand von Helmholtz, 1867 - Ottica Fisiologica, Heidelberg, Germania [2] H. G. Grassmann, 1853 - Sulla teoria della mescolanza dei colori, Germania [3] G. Forcolini, 2012 - Illuminazione a Led – Milano, Italia: Hoepli [4] D. Scullino, 2010 – Led: Lampade ed Illuminotecnica, Albino, Italia: Sandit Libri [5] P. Palladino, 2012 – Illuminare con i Led: Princìpi e applicazioni della luce elettrica, Milano, Italia: Tecniche Nuove [6] S. Winder, 2008 – Power Supplies for LED Driving – Burlington, MA: Linacre House [7] J. Gruetter, “Pilotare i Led dalla rete con il giusto driver”, 5-2011, Led-in Magazine, supplemento a A&V Elettronica, n. 3, pp. 75-76. [8] R. C. Jaeger, T. N. Blalock, 2009 – Microelectronic Circuit Design 3rd edition, McGraw-Hill Science/Engineering/Math [9] Michael Day - Applications Manager, Portable Power Products of Texas Instruments Incorporated, ‘‘LED-driver considerations”, 2004. [10]Ines Lima Azevedo, M. Granger Morgan, and Fritz Morgan, 3/2009, ‘‘The transition to solid-state lighting’’, Proceeding of the IEEE, vol. 97(3) pp. 481-510. 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