La seduta comincia alle 15. Sulla pubblicita` dei

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La seduta comincia alle 15.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, rimane stabilito che la pubblicità
dei lavori sia assicurata anche attraverso
impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Cosı̀ rimane stabilito).
Audizione del ministro della difesa, Carlo
Scognamiglio Pasini, sulle compensazioni industriali correlate a contratti
d’armamento.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno
reca, ai sensi dell’articolo 143, comma 2,
del regolamento, l’audizione del ministro
della difesa, Carlo Scognamiglio Pasini,
sulle compensazioni industriali correlate a
contratti d’armamento.
Quella odierna è l’ultima audizione
della seconda indagine conoscitiva svolta
dalla nostra Commissione; la prima, concernente la leva, ha dato origine a due
volumi che sono in distribuzione. Spero
che il ministro abbia avuto il resoconto
stenografico delle precedenti audizioni, in
particolare di quella del suo predecessore;
abbiamo ritenuto, avendo non solo un
nuovo ministro ma anche un autorevole
economista come il senatore Scognamiglio
Pasini e trattandosi di un tema spiccatamente economico, di concludere i nostri
lavori con la sua audizione. Il relatore del
provvedimento, l’onorevole Migliavacca,
potrà cosı̀ proporci in una successiva
seduta le sue determinazioni in rapporto
sia ai progetti di leggi presentati in ma-
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teria dai gruppi della lega nord per
l’indipendenza della Padania, di forza
Italia e di alleanza nazionale, sia alle
diverse indicazioni emerse da eventuali
circolari, istruzioni, documenti o assunzioni di responsabilità da parte del CIPE.
In sostanza, si tratta di verificare come
si possa, da parte del sistema-paese e del
sistema industriale italiano, da un lato
approvvigionarsi al meglio per quanto
riguarda i prodotti della difesa sul mercato internazionale, in particolare europeo, e dall’altro evitare che di fatto in altri
paesi siano adottate misure di compensazione che, a fronte di questi acquisti,
comportino delle commesse, delle sottolavorazioni o comunque dei momenti di
impegno per l’apparato industriale. Vorremmo capire come questo sistema potrebbe efficacemente essere messo in atto
anche dall’Italia e quali siano gli strumenti più adeguati anche in rapporto
all’evoluzione degli strumenti dell’Unione
europea.
Come è noto, il trattato della CEE
aveva escluso questo ambito dalla liberalizzazione, ma assistiamo ad un’evoluzione, con la costituzione di sempre nuovi
organismi in cui si elabora la cooperazione europea.
Do ora la parola al ministro.
CARLO SCOGNAMIGLIO PASINI, Ministro della difesa. Signor presidente, onorevoli colleghi, quella delle compensazioni
industriali nel campo della difesa è una
tematica che indubbiamente ha una rilevanza particolare per un paese come il
nostro, dove il sistema industriale è molto
progredito e competitivo, anche se presenta alcuni ritardi nel settore dell’alta
tecnologia e della ricerca.
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La compensazione industriale conosciuta in campo internazionale con il
termine inglese offset, è un accordo commerciale con il quale il venditore, cioè il
contractor, si impegna a delle obbligazioni
di natura industriale e commerciale nei
confronti del compratore, cioè il customer,
per equilibrare economicamente o tecnologicamente la commessa ricevuta.
La compensazione, l’offset, può assumere fondamentalmente due fisionomie,
quella della forma diretta e quella della
forma indiretta. È una compensazione
diretta quando al paese acquirente della
fornitura militare – fornitura dei mezzi di
difesa – viene offerta la coproduzione del
materiale oggetto dell’acquisto, specificando il livello tecnologico a cui questo
paese può concorrere per la fornitura.
Naturalmente questa è la forma più gradita e più richiesta, perché la fornitura di
un know how nella costruzione dei mezzi
di difesa può aprire al paese acquirente la
possibilità di essere a sua volta esportatore di beni di questo genere.
Invece la compensazione indiretta si ha
quando questa contropartita viene offerta
non sull’oggetto specifico della compravendita, ma dall’industria, dall’impresa o
dal paese venditore in modo tale da
offrire al paese compratore un ritorno
economico, che venga giudicato soddisfacente dal punto di vista economico, da
quello tecnologico, o da entrambi.
Inquadrato il tema in questi pochi
punti, c’è da dire che i vari paesi vanno
comportamenti completamente diversi
sotto il profilo delle compensazioni; anche
qui potremmo distinguere due grandi categorie di comportamenti. Il primo tipo di
comportamento riguarda paesi che hanno
un’elevata tecnologia, che sono fortemente
industrializzati, i quali normalmente vedono male la politica delle compensazioni
perché, essendo fondamentalmente venditori, il fatto di stabilire degli standard
riguardanti gli acquisti di prodotti di
sistemi della difesa e cosı̀ via, in qualche
modo condizionerebbe il loro comportamento al momento della vendita; infatti,
se lo chiedono per sé è difficile che
possano resistere ad una richiesta che
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viene avanzata per richieste compensative
da parte di altri paesi. Diverso è il
comportamento dei paesi cosiddetti in via
di sviluppo, in crescita industriale, i quali
hanno tutto l’interesse a chiedere per i
loro acquisti delle compensazioni, perché
normalmente la spesa militare per questi
paesi è abbastanza rilevante (rispetto alla
dimensione del paese), pertanto questa
occasione è vista come un’opportunità per
poter introdurre nel sistema della tecnologia e per la creazione di valore aggiunto.
Questo problema è stato all’attenzione di
quasi tutti i paesi interessati all’acquisto o
alla vendita dei sistemi di difesa. Per
quanto il tema sia stato oggetto di discussione per moltissimi anni, non saprei dire
quando tale discussione, sia iniziata; noi
per la verità non abbiamo norme legislative che definiscano o che prevedano
compensazioni industriali per gli acquisti
italiani all’estero di materiali di armamento o di altra tecnologia, anche se sono
state predisposte diverse proposte di legge
in questo senso. Finora la linea è stata
quella di preferire la possibilità di approvvigionarci all’estero, per quanto riguarda la difesa, nell’ambito di direttive
interne, senza l’obiettivo di incentivare
rivendicazioni compensative di altri paesi
che acquistano i nostri prodotti. Noi
siamo compratori ma siamo anche forti
venditori di sistemi di difesa, perciò la
linea è stata quella, peraltro comune a
tutti i paesi ad alta industrializzazione e
tecnologia, di non prevedere norme per la
compensazione e per i propri acquisti in
modo tale da non creare dei presupposti
(se non giuridici, etico-commerciali; se
cosı̀ posso esprimermi) per quel che riguarda la vendita dei nostri prodotti.
Una direttiva politica emanata dall’allora ministro della difesa nel 1983, senatore Spadolini, e delle direttive emesse dal
segretariato generale del ministero della
difesa (l’ultima in ordine di tempo è del
1996) indicavano ai responsabili dei programmi di approvvigionamento l’esigenza
di negoziare dei ritorni industriali in caso
di acquisto diretto all’estero in limiti
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compatibili con l’urgenza dell’approvvigionamento e con la non sostituibilità dei
materiali.
Questo per quel che riguarda l’Italia.
Per quel che riguarda i paesi verso i quali
le nostre industrie effettuano o potrebbero
effettuare esportazioni, il ricorso a questa
pratica è certamente più frequente che
non nel caso italiano. Un esempio recente
riguarda l’Alenia, che si colloca nel quadro del prospettato acquisto da parte
della Norvegia di caccia EFA per un
ordine che potrebbe essere di 600 miliardi
di lire, per quel che concerne la parte di
competenza dell’Alenia. In questo caso la
Norvegia ha chiesto una compensazione
pari al 100 per cento del fatturato, pari a
600 miliardi da parte dell’Italia. Evidentemente queste richieste non possono essere accolte da parte dell’amministrazione
della difesa anche perché forse non
avremo neppure la possibilità di comprare
600 miliardi di mezzi per la difesa da
parte della Norvegia; per di più, considerando che l’amministrazione è tenuta ad
effettuare acquisti alle condizioni più vantaggiose possibili, non possiamo dirigere
gli acquisti in modo discrezionale, per
effettuare delle compensazioni. Quindi, la
ricerca di risposte positive alle clausole di
compensazione (un altro esempio potrebbe essere quello recente del Sudafrica)
è normalmente affidata ai rapporti industriali e agli accordi di diritto privato;
naturalmente la difesa può, in certe condizioni, svolgere un’opera di coordinamento e di valorizzazione di questi fattori
compensativi, esercitando un’opera di
coordinamento, di moral suasion nei confronti del sistema delle imprese della
difesa italiana, soprattutto quando il valore della compensazione diventa un elemento discriminante nell’assegnazione
della commessa.
Questa attività è stata per la verità
svolta con grande difficoltà da parte delle
direzioni generali del Ministero della difesa perché, al di là dei rapporti personali,
del segretario generale, del ministro pro
tempore o di persone che hanno titolo ad
esprimersi a nome della difesa, non esiste
(vorrei poter dire non esisteva) un’orga-
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nizzazione adeguata per gestire le compensazioni nell’ambito del ministero, non
essendo possibili le compensazioni dirette
ed essendo quasi sempre di natura indiretta le compensazioni che possono essere
accordate (come nell’esempio dei caccia
europei e della Norvegia, di cui ho parlato). Di qui è nata la decisione di istituire
un organismo di coordinamento dell’ambito del segretariato generale della difesa,
che ha il compito in primo luogo di
elaborare il quadro delle compensazioni
che le imprese italiane si potrebbero
trovare a dover fornire a fronte delle loro
esportazioni, in secondo luogo di monitorare, cioè di avere un’informazione completa delle contrattazioni e dell’andamento
effettivo delle compensazioni concluse.
Questo dovrebbe essere un appoggio informativo abbastanza importante per le
nostre imprese, che sono infatti ben liete
che prenda avvio. Attualmente questo
ufficio è in fase di avviamento e occorrerà
un po’ di tempo prima che se ne vedano
concretamente gli effetti.
Al di là della capacità del ministero di
gestire questo problema, il nostro atteggiamento è condizionato dal principio
della reciprocità. Usando questo termine
non mi riferisco soltanto al normale
comportamento del paese con il quale si
è in trattativa, ma anche ai comportamenti che gli altri paesi sono portati ad
assumere di fronte a determinati sistemi
d’arma. Vi sono infatti progetti che per la
loro novità o per la presenza di molti
acquirenti difficilmente possono essere gestiti sulla base di pretese di offset di
compensazione. Un esempio per tutti è
recentissimo (e anzi ringrazio il Parlamento per aver concesso questa possibilità) è il caso del programma Joint Strike
Fighter (JSF). In questo caso l’Italia è
riuscita ad inserirsi all’ultimo momento,
con una spesa di 10 milioni di dollari per
entrare nel programma; ma di fatto la
compensazione per noi per aver versato
tale somma è rappresentata dall’assenso al
nostro ingresso nel programma. Il problema va quindi visto anche sotto questo
profilo con una grande flessibilità; sarebbe
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stato quasi ridicolo cercare, non dico
chiedere, una compensazione dagli Stati
Uniti a fronte di quel versamento.
La riduzione degli stanziamenti del bilancio della difesa – un problema serio sul
quale dovremo tornare – fa sı̀ che la
dimensione della domanda interna sia sempre meno in grado di sostenere il comparto
industriale nazionale. Di qui la scelta industriale – necessitata ma peraltro in linea
con il fenomeno della globalizzazione e con
i grandi fenomeni che stanno attraversando
l’economia – di rivolgersi al mercato estero
ed alla cooperazione internazionale con gli
altri paesi industrializzati. Ne consegue
che, riportando le categorie di cui avevo
parlato, questa scelta colloca la nostra
industria, sempre più integrata con l’industria dei nostri associati europei, tra quelle
dei paesi « venditori » e quindi, in via di
principio tra i paesi che hanno scarso
interesse ad assumere obbligazioni compensative nel caso di nostri acquisti dall’estero.
L’Italia ha recentemente sottoscritto un
accordo a quattro con le altre tre grandi
potenze industriali della difesa in Europa,
e cioè con Francia, Germania e Regno
Unito, accordo che è in prospettiva aperto
alle altre nazioni europee con il quale è
stato costituito l’OCCAR (Organismo per
la cooperazione nel campo degli armamenti), all’interno del quale è stato tra
l’altro deciso di abbattere qualsiasi forma
di protezionismo. Tra le altre funzioni,
l’OCCAR ha quella di costituire un mercato comune per gli armamenti, inizialmente tra i quattro paesi che lo compongono, ai quali poi si assoceranno la
Spagna e la Svezia. Nell’OCCAR sono
presenti sia i ministri della difesa sia i
ministri dell’industria dei quattro più due
paesi.
Dopo queste brevi considerazioni,
credo che appaiano evidenti i motivi che
mi portano a guardare con molta perplessità all’ipotesi di approvare – in questa
fase storica delle relazioni industriali e
commerciali del settore militare – una
legge che irrigidisca la gestione delle
negoziazioni imponendo il rispetto di regole predeterminate in materia di com-
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pensazioni. Peraltro, siamo in presenza
dei fenomeni ormai citati – e forse spesso
anche mal citati – come la globalizzazione
dei mercati finanziari, per cui si perde
l’identità nazionale del capitalismo delle
imprese e dell’internazionalizzazione delle
imprese stesse. La storica identificazione
di una impresa con una nazione si va
attenuando rapidamente. Oggi qual è la
nazionalità del consorzio Airbus, per parlare di un’attività produttiva vicina al
campo della difesa ? È solo francese ? È
multinazionale ? A quale paese appartiene ? Ed è chiaro che l’integrazione multinazionale o sovranazionale delle imprese
è una tendenza destinata ad accentuarsi,
ed anche la globalizzazione del mercato
dei capitali fa sı̀ che, anche se un’impresa
è storicamente appartenente ad una certa
nazione, non è detto poi che il capitale di
comando sia attribuibile ad una particolare nazione o addirittura a qualsiasi
nazione.
Per concludere, in Italia le compensazioni industriali sono state finora gestite
al di fuori di uno specifico quadro normativo di legge, secondo direttive interne
al Ministero della difesa basate su criteri
di flessibilità, d’accordo con la specificità
di ogni singola acquisizione.
Come ho detto, poiché nell’attuale momento storico il mercato industriale militare sta evolvendo verso forme di cooperazione internazionale e di mercato
libero e globale, una legge specifica in
materia potrebbe risultare in controtendenza ed essere letta in chiave protezionistica, proprio nel momento in cui ci
stiamo adoperando per abbattere le barriere previste dall’articolo 223 del trattato
europeo, ricordato dal presidente, che
consente ancora di non estendere al settore degli armamenti la libera circolazione
prevista per tutti gli altri comparti industriali.
Credo di aver espresso con chiarezza il
parere del Ministero della difesa sulla
problematica delle compensazioni industriali ed in particolare l’esigenza che
l’Italia armonizzi il suo modo di agire e la
sua legislazione con quella degli altri paesi
dell’Unione europea che non hanno leggi
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preposte a disciplinare il settore. Quindi
la nostra sarebbe una eccezione, e per di
più assai tardiva.
Sia ben chiaro che queste parole non
vogliono affatto contraddire il principio
della tutela degli interessi nazionali, legittima nel nostro comparto produttivo, ma
credo che tale principio vada perseguito
nello spirito dell’Unione europea, cioè non
creando barriere o irrigidimenti che potrebbero generare più problemi dei benefici che ipoteticamente si potrebbero raggiungere.
Questa è in sostanza la filosofia della
costruzione europea e la linea che dovremmo seguire anche nel settore delicato
dell’industria degli armamenti e dell’alta
tecnologia.
PRESIDENTE. Do ora la parola ai
colleghi che intendano svolgere considerazioni o porre quesiti.
PAOLO BAMPO. Intendo svolgere alcune brevi considerazioni. Anzitutto noto
che l’indirizzo del Ministero della difesa
non è variato rispetto a quello del governo
precedente, nel senso che grosso modo le
dichiarazioni del ministro Scognamiglio
ricalcano quelle del suo predecessore.
Il ministro della difesa ha reso dichiarazioni di sicura valenza, che potrebbero
essere condivise se la situazione reale
fosse diversa da quella che oggi si prospetta. Siamo invece di fronte ad un
quadro ben diverso dalla visione utopistica tratteggiata dal ministro, in cui tutto
funziona bene perché siamo nell’Unione
europea, perché dobbiamo tutelare gli
interessi nazionale ma con attenzione alla
posizione dell’Italia nel mercato globale.
Oggi la situazione è sicuramente più
ingarbugliata.
Visto che il ministro ha portato l’esempio della Norvegia, vorrei chiedergli: se
non permettiamo alla Norvegia di compensare perché non può fornirci alcun
prodotto che ci possa interessare, la Norvegia acquista lo stesso ? Credo che non lo
farà e che si rivolgerà ad un altro
fornitore. Allora perché la Norvegia pone
la condizione della compensazione e noi
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invece non la poniamo ? Perché ad esempio – per citare un altro caso che il
ministro ci ha risparmiato – quando
recentemente è stato stipulato il contratto
dell’Agusta in Sudafrica vi è stata una
richiesta di compensazione pari o superiore al cento per cento ? Perché le nostre
imprese sono costrette sempre e comunque (non mi risulta un caso in cui
l’impresa italiana non sia stata soggetta al
vincolo della compensazione) a compensare e invece altrettanto non avviene di
ritorno quando la compensazione sarebbe
per loro auspicabile ?
Può darsi che il ministro abbia ragione
quando sostiene che non è opportuno
introdurre una specifica legge per regolamentare l’istituto della compensazione
perché potrebbe creare paletti troppo
stretti. Non ho una grande fiducia in un
organismo di coordinamento all’interno
della difesa per il controllo dei meccanismi compensativi, anzitutto perché è un
organo del Ministero della difesa, quando
invece parlando di compensazioni industriali si potrebbe intravedere la possibilità di un’apertura ad altri soggetti, ed
inoltre perché ritengo che la compensazione possa essere regolamentata all’interno del nostro ordinamento anche attraverso la semplice stesura di un regolamento, che sia però tassativo e non resti
inapplicato ed inascoltato come le disposizioni della direttiva Spadolini che si
limitava ad indicare alcune esigenze.
Questo non ci porrebbe sicuramente in
distonia con gli altri paesi né in una
posizione di protezionismo, ma piuttosto
di pari concorrenzialità. Ciò che dobbiamo garantire è che questo regolamento
(che ovviamente deve ricalcare tutti i
principi contenuti nell’insieme delle proposte di legge che sono state presentate)
sia serio e valido e tale da contenere al
suo interno i dispositivi che rendano
applicabili le sue norme. Il che ci consentirà di dare una risposta concreta alle
aziende.
Signor ministro, occorre tener conto
che attraverso una maggiore applicazione
delle compensazioni (si tratta di studi non
ufficiali, ma di indicazioni che giungono
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dalle industrie del settore della difesa) si
potrebbe incrementare di almeno 5-6 mila
posti di lavoro il livello di occupazione nel
comparto. Si potrebbe quindi finalmente
riuscire ad andare in controtendenza.
Se è vero che non vogliamo la legge, è
altrettanto vero che negli altri paesi vi
sono regole precise, altrimenti non vi
sarebbe la rigidità che riscontriamo sempre ovunque.
Un’ultima considerazione, signor ministro. Ho l’impressione che non manchi la
volontà politica ma siano le forze armate
a fare la vera opposizione a questa proposta. Senza entrare nel merito se si
ritiene minacciata la sovranità del Parlamento attraverso le forzature degli stati
maggiori, le chiedo di fare un’analisi più
approfondita, a livello quasi personale,
per capire se queste agevolazioni siano dei
vincoli cosı̀ terribili o non siano piuttosto
anche un sistema per affrancarsi da alcuni rischi che effettivamente si possono
incontrare, lasciando ai militari la libera
possibilità di andare a cercare sul mercato
non tanto il prodotto più opportuno
quanto quello più conveniente.
DOMENICO ROMANO CARRATELLI.
Vorrei ringraziare il ministro perché mi
pare che il suo intervento ponga fine ad
una lunga discussione, se vogliamo essere
pratici e realistici. Sono state presentate
in materia proposte di legge da quasi tutti
i gruppi: il discorso delle compensazioni
industriali è stato avviato da una proposta
di legge Bampo, al quale va quindi riconosciuto il merito di aver posto il problema; sono state poi depositate una
proposta di legge Romani, una proposta di
legge Lavagnini ed altri, una proposta di
legge Ruffino ed altri, una proposta di
legge Romano Carratelli ed altri. Peraltro,
il problema è stato ampiamente discusso
in questa Commissione, dove non è stato
audito solo il ministro in carica, ma sono
stati auditi il suo predecessore e i responsabili di ministeri diversi da quello della
difesa. Il parere unanime, concorde e
diffuso del Governo ai suoi vari livelli
(ricordo per tutte le audizioni dei ministri
Bersani e Fantozzi) è stato quello della
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inutilità, anzi della dannosità sostanziale,
di una norma cogente in materia, essendo
facilmente comprensibile che nella rappresentanza degli interessi nazionali il
Governo ha sufficiente capacità di capire
che nel momento in cui stipula un contratto di questo tipo deve rivendicare
forme di compensazione.
Peraltro tutti concordano nel sostenere
che in effetti il problema esiste ma che
esso, pur non regolamentato, è all’attenzione ed è una prassi che il Governo segue
nel tentativo di dare questo tipo di soluzione. Addirittura, tenuto conto del sistema in cui viviamo (l’Unione europea,
l’OCCAR e quant’altro) non vi è dubbio
che uno degli obiettivi dell’integrazione
europea è sostanzialmente la realizzazione
di un sistema di difesa unico che presuppone e richiede un sistema unico di
produzione degli strumenti bellici per
l’Unione europea. D’altro canto, abbiamo
sempre lamentato e lamentiamo che le
risorse che l’Europa investe sono utilizzate impropriamente perché ogni paese ha
una quota destinata agli investimenti ma
la gestisce autonomamente e non con
l’accordo generale, per cui si va a duplicare, a triplicare, a quadruplicare interventi che sono simili, mentre gli Stati
Uniti investendo analoghe o minori risorse
ottengono risultati di gran lunga superiori
perché hanno la capacità di centralizzare
gli investimenti. Ecco dunque che si rende
necessario realizzare anche in Europa un
meccanismo dello stesso genere.
Tenuto conto di tutto ciò e delle
considerazioni svolte oggi dal ministro,
che non mi sembra siano più discutibili,
io che inizialmente ero tra coloro che
ritenevano utile se non indispensabile una
normativa cogente per predisporre i paletti cui faceva riferimento il ministro,
dopo tutti gli approfondimenti che sono
stati condotti – per cosı̀ dire – sul campo
attraverso le varie audizioni che si sono
svolte in questa sede, mi sono convinto
che una normativa di legge specifica
attinente alla materia, che ponga vincoli
rigidi (perché una legge pone comunque
vincoli rigidi), mentre tutti hanno sottolineato la necessità di una possibilità di
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manovra ampia in materia, non è né utile
né necessaria. Pertanto non ho difficoltà
addivenire alle conclusioni cui arriva il
Governo, soprattutto per le motivazioni
che il ministro Scognamiglio ha sostanzialmente codificato nel principio di non
contraddire gli interessi nazionali e di non
creare situazioni che danneggino gli stessi
interessi nazionali. Poiché dunque ritengo
inutile ed improponibile approvare una
legge in materia, si potrebbe pensare di
presentare una risoluzione, se si ritiene
che il Parlamento debba comunque intervenire, in modo da fornire al Governo
alcuni indirizzi ai quali attenersi.
ROBERTO LAVAGNINI. Signor ministro, sono uno dei proponenti di una delle
proposte di legge sulle compensazioni
industriali presentate in questa Commissione, ed è evidente che nel momento in
cui sono state assunte le varie iniziative
legislative in materia si sentiva la necessità
di addivenire ad un testo che potesse
regolamentare le compensazioni industriali, gli offset. Nel frattempo si sono
verificati cambiamenti sostanziali: l’industria nazionale ha dato vita recentemente
a joint venture con altre industrie europee; è stato costituito l’OCCAR; vi è stato
un memorandum di intenti tra i ministri
della difesa per organizzare l’industria
europea. Questo però non ci mette nella
condizione di proteggere le nostre importazioni di armamenti nei confronti dei
paesi extraeuropei. Quali ? Prima di tutto
gli Stati Uniti. Signor ministro, lei ha
parlato di ritardi della tecnologia: io direi
che i ritardi della tecnologia rispetto agli
Stati Uniti sono non solo italiani ma
europei. Se non vogliamo emanare una
norma legislativa che imponga disposizioni piuttosto vincolanti al ministero per
quanto riguarda l’acquisizione da paesi
extraeuropei, a mio giudizio comunque
una normativa sarebbe necessaria, perché
dall’epoca del ministro Spadolini in poi la
direttiva è stata ampiamente disattesa e
nel 1996, nell’ultima direttiva cui lei faceva cenno, quella firmata dal generale
Angioni, si auspicava una legge per le
compensazioni industriali. È quindi evi-
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dente che anche il Ministero della difesa
ne sentiva la necessità. Se vogliamo parlare dell’integrazione dell’industria degli
armamenti europei, delle joint venture tra
le industrie italiane e europee, sul fatto
che i paesi della NATO o quelli europei in
genere possano avvalersi di discrezionalità
da parte del ministero nel momento in cui
si acquistano e vendono delle merci, sono
perfettamente d’accordo; per quanto riguarda invece i paesi extraeuropei, alla
luce anche della politica protezionistica
che in questo momento gli Stati Uniti
stanno attuando nei confronti dell’Europa,
trovo che una norma di legge abbastanza
semplice ma che ponga dei vincoli dovrebbe essere emanata dal Parlamento e
presentata al Governo per la sua pprovazione.
Desidero fare una breve riflessione con
lei, signor ministro, sul lavoro che questa
Commissione sta svolgendo non solo in
ordine alle compensazioni industriali ma
anche su altri temi; abbiamo portato a
termine diversi provvedimenti che sono
stati trasmessi al Senato, dove sembra si
siano completamente insabbiati (il loro
iter non va avanti), mentre quelli trasmessi dal Senato non sono mai arrivati
alla Camera. La pregherei, signor ministro, se ciò rientra nelle sue facoltà,
d’intervenire nei confronti del Senato affinché definisca qualche provvedimento,
in modo che il Parlamento possa compiere il proprio lavoro con una certa
dignità e non con tempi che sono diventati
assolutamente assurdi. Signor ministro, lei
che è stato anche Presidente del Senato,
intervenga a favore dei provvedimenti
sulla difesa !
CARLO SCOGNAMIGLIO PASINI, Ministro della difesa. Esordirò cosı̀: quousque
tandem, Senate, abutere patientia nostra !
Si tratta di una frase scherzosa, ma lei mi
ha capito, onorevole Lavagnini.
MAURIZIO MIGLIAVACCA. Ringrazio
innanzitutto il ministro per il suo contributo. Mi pare che dopo le molte e a mio
giudizio utili audizioni svolte con esponenti del Governo, con rappresentanti del
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mondo dell’industria e cosı̀ via, si possa
convergere su due punti: in primo luogo,
la presentazione di questi progetti di legge
e tutte queste discussioni non sono state
inutili ed hanno comunque favorito
l’emersione del problema ed una sensibilizzazione nei confronti dello stesso; in
secondo luogo, rispetto alle nostre discussioni iniziali, come hanno detto alcuni
colleghi poc’anzi, sicuramente sono intervenute novità e credo anche che esista
una convergenza sull’esigenza di arrivare
ad interventi più flessibili e leggeri di
quanto avessimo forse immaginato all’inizio.
Svolgo una considerazione, ponendo al
tempo stesso anche una domanda: signor
ministro, tra il non fare nulla e il fare un
intervento legislativo che presenta le controindicazioni da lei indicate e sulle quali
concordo, noi siamo convinti che forse
possa esistere uno spazio di intervento
utile anche per un dialogo con il Governo.
Come ha già accennato l’onorevole Romano Carratelli, c’è un intervento di
indirizzo e di sollecitazione del Parlamento che potrebbe centrarsi essenzialmente su due proposte. La prima l’ha
anticipata lei: il ministero si dovrebbe
strutturare permanentemente ed adeguatamente con un punto di monitoraggio, di
controllo, di orientamento e di indirizzo
su queste politiche; penso possa essere un
punto da consolidare utilmente in un
pronunciamento del Parlamento. La seconda, enunciata anche in altri interventi,
è che forse non tanto a livello di Unione
europea quanto nei rapporti con altri
paesi, emerge talvolta l’esigenza di politiche di compensazioni indirette, cioè che
chiamano in causa relazioni di natura
commerciale, innovazioni e conoscenze
tecnologiche più ampie.
Un’ipotesi affacciatasi è quella di attribuire al CIPE un ruolo di coordinamento e di indirizzo per quel che riguarda
la politica industriale e la possibilità di
compensazioni indirette; ovviamente il comitato dovrebbe vedere un’adeguata responsabilizzazione in questo campo del
ministro e del Ministero della difesa. Su
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questo punto ritengo opportuno acquisire
una sua opinione anche ai fini delle
conclusioni del nostro lavoro.
PRESIDENTE. Ringrazio l’onorevole
Migliavacca, che di fatto ha cominciato a
predisporre il proprio parere.
Do ora la parola all’onorevole Molinari,
che partecipa per la prima volta, come
membro a pieno titolo, ai lavori della
nostra Commissione. Lo saluto e gli rivolgo i migliori auguri.
GIUSEPPE MOLINARI. Ringrazio il
presidente per le sue parole ed il ministro
per la sua illustrazione. Soprattutto condivido le sue perplessità su questa legge:
in un’epoca in cui si parla di globalizzazione e di difesa unica, una normativa
restrittiva o « protezionistica » ritengo mostri più di qualche limite.
Lei ha sostenuto, signor ministro, che
nessun altro paese ha una normativa
simile: come verrebbe a porsi l’Italia
approvando una legge di questo tipo nei
confronti degli altri paesi ? Mi sembra una
contraddizione, e forse la migliore soluzione – come diceva l’onorevole Romano
Carratelli – sarebbe un’indicazione, una
risoluzione, un indirizzo al Governo in
questa materia.
PIETRO GIANNATTASIO. La ringrazio, signor ministro, per la spiegazione
chiarissima che ci ha fornito. Lei ha citato
ad un certo punto la cosiddetta direttiva
Spadolini, che purtroppo ho vissuto: il
comitato difesa-industria creato dall’allora
ministro Spadolini produsse inizialmente
dei risultati, in quanto se non altro serve
a coordinare le attività delle imprese
industriali nel settore bellico difficilmente
coordinabili, perché ognuna agisce per
conto suo. Tale comitato man mano è
caduto in disuso; ricordo uno degli ultimi
interventi del segretario generale Meloni
nel 1991, che dovette riprendere tutti i
dirigenti dell’industria perché effettivamente era difficile coordinarli e riuscire a
farli operare nel senso di un ritorno
nell’interesse stesso dell’industria. Vorrei
sapere che fine abbia fatto questo comitato.
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CARLO SCOGNAMIGLIO PASINI, Ministro della difesa. L’ho presieduto fino ad
un mese fa !
PIETRO GIANNATTASIO. Mi fa piacere, e saremmo lieti di sapere di qualche
risultato ottenuto.
PRESIDENTE. Alcune risultanze vengono depositate e sono consultabili.
PIETRO GIANNATTASIO. Vorrei riallacciarmi alla questione delle compensazioni con gli Stati Uniti, perché ricordo la
firma di una lettera di intenti sull’acquisto
dei Patriot, con cui gli Stati Uniti si
impegnavano addirittura ad acquistare dei
missili contraerei Spada per la difesa delle
basi americane in Italia. Quindi, una
forma di compensazione anche al di fuori
dell’Europa, con gli Stati Uniti, un tempo
era stata istituita. Certo, il citato caso
della Norvegia rappresenta non una forma
di compensazione ma un baratto di 600
miliardi: è una pretesa eccessiva, soprattutto perché l’EFA costa quasi 100 miliardi a pezzo e la parte costruita da noi
non è certo un pezzo intero, ma è una
piccola parte; essendo una richiesta eccessiva, era più che logico rifiutarla.
Vorrei citare l’esempio dell’agenzia
francese della difesa, che ha dato ad un
unico ente la possibilità di vendere i
sistemi d’arma prodotti in Francia; non so
se quello di un ente unico che, di fronte
alla produzione dei sistemi d’arma, è in
grado di esprimere la posizione dello
Stato, in cui coesistono le esigenze del
Ministero della difesa con quelle delle
imprese industriali, sia un modello da
seguire.
Vorrei ora svolgere una considerazione
a difesa dei militari (e non perché provengo dai ranghi militari): l’onorevole
Bampo ha affermato che alcuni militari
sarebbero restii a portare avanti determinati progetti, ma si tratta di una affermazione che non mi convince. Infatti,
quando si arriva a firmare un contratto
per la produzione di un sistema d’arma,
quello è l’atto conclusivo di una ricerca
nel campo operativo che parte da esigenze
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che debbono essere stabilite dai militari;
non può essere un altro a decidere che va
bene un certo sistema d’arma. In fin dei
conti, quando si stabiliscono i requisiti
operativi di un sistema d’arma, tali requisiti vengono firmati dal capo di stato
maggiore della forza armata: non si tratta
di un’idea maturata in una notte. Cito
l’esempio dei carri M60, acquistati all’epoca in cui il senatore Andreotti era
ministro della difesa, che trasportati per
ferrovia, non passavano sotto le gallerie
nazionali. I militari hanno dunque qualche ragione a pretendere il diritto di
scegliere i sistemi d’arma.
MARIO TASSONE. Mi scuso con il
presidente e con il ministro per non aver
potuto ascoltare l’intervento introduttivo,
ma la situazione del traffico romano è
tragica. Ricordo che della questione oggetto dell’audizione si discute in Commissione difesa ormai da parecchio tempo,
dalla X legislatura, quando eravamo sempre sul punto di licenziare il provvedimento; oggi ovviamente, rispetto ad allora,
è cambiato lo scenario internazionale e
sono intervenuti fatti che possono portare
ad un superamento di quelle esigenze che
noi avvertivamo.
Vorrei svolgere una riflessione che
implica anche una domanda: il problema
della riconversione industriale l’abbiamo
sempre affrontato rispetto e di fronte ad
un vuoto di politica industriale complessiva all’interno del nostro paese. La compensazione industriale per quanto riguarda la difesa si riferisce alle tecnologie
e soprattutto a ciò che possiamo dare e a
ciò che possiamo ricevere. Questo provvedimento dovrebbe trovare uno sbocco;
volendo, potremmo inquadrarlo in una
politica più complessiva del nostro paese
ed anche a livello europeo; qualche risposta bisogna pur darla. Se si avverte
un’esigenza, non c’è dubbio che ad essa
occorra dare una risposta.
Onorevole ministro, è un problema di
politica industriale in termini nazionali ed
europei e tra l’Europa ed altre parti del
mondo ? Ciò per capire come dobbiamo
muoverci; anche i riferimenti al passato
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potrebbero non dirci nulla se oggi non
diamo una risposta che implica anche una
sollecitazione. Nel passato ci siamo fatti
carico di questo, come Commissione difesa, e ancora oggi, parlando di compensazioni industriali, non ci riferiamo semplicemente a baratti e ad affarucci senza
significato; dobbiamo fare una scelta di
qualità e respirare in una dimensione
molto più ampia di quella vissuta fino ad
oggi.
PRESIDENTE. Riprendendo le ultime
parole dell’onorevole Tassone, oggi più che
una competizione fra l’industria e la
difesa delle singole nazioni europee si
cerca una collaborazione, nel senso che le
soglie dimensionali delle singole industrie
nazionali non sono più sufficienti a competere con quelle degli Stati Uniti. Il
ministro pensa che siamo già di fronte ad
un mercato europeo, oppure siamo ancora
lontani da tale obiettivo ?
CARLO SCOGNAMIGLIO PASINI, Ministro della difesa. A me pare che tutta
questa discussione, che senz’altro è stata
di grande utilità per maturare un convincimento ed anche per aggiornare tutti noi
su questa tematica, prenda avvio fondamentalmente dall’anomalia del trattato
dell’Unione europea rappresentato dall’articolo 223, il quale consente una politica
protezionistica, con motivazioni non economiche ma militari, strategiche e politiche, all’industria della difesa. L’articolo
223 è stato accettato per ragioni note, che
in parte ho ricordato, ma è chiaro che si
sta dissolvendo – questo è il punto –
perché l’OCCAR prevede la sua esclusione
per i paesi aderenti a tale Organismo (che
saranno presto sei). Tenete presente che,
salvo quelli effettuati negli Stati Uniti,
quasi tutti gli acquisti dell’Italia all’estero
sono fatti in paesi dell’OCCAR; già questo
esclude la possibilità di qualche forma di
regolamentazione per gran parte dei nostri acquisti. Credo che negli Stati Uniti le
compensazioni di fatto ci siano (non a
caso ho ricordato il programma Joint
Strike Fighter, che trovava la compensazione nella stessa operazione), ed avvengono soprattutto a livello di tecnologia.
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Come dicevo, da un lato l’articolo 223
si attenua, perché evolve la filosofia del
mercato unico europeo, dall’altro lato
come Governo italiano siamo impegnatissimi nella costruzione dell’identità europea di sicurezza e di difesa, vale a dire di
un sistema europeo di difesa che avrà una
concentrazione in qualche organismo, che
sarà la cooperazione tra i paesi europei.
È comunque prematuro dire quale sarà
il punto di arrivo; semmai si dovesse
discutere con gli Stati Uniti, sarebbe
quella eventualmente la sede nell’ambito
dei rapporti tra l’Unione europea e gli
Stati Uniti per prevedere discorsi di questo tipo, anche perché – ripeto – con la
linea di evoluzione delle industrie, una
volta nazionali, che stanno puntando a
diventare industrie europee e che dovranno far fronte ad una domanda europea di armamenti, onestamente mi pare
che per quanto il discorso sulle compensazioni sia non certo inutile, risenta notevolmente dell’evolvere dei tempi, come
peraltro è stato sottolineato in molti
interventi.
Fornisco ora qualche risposta specifica.
Che cosa farà la Norvegia ? Intanto cominciamo a sottolineare che la Norvegia
non fa parte dell’Unione europea: già
questo dice molto. In conclusione, se tutto
il sistema dei paesi che partecipano al
progetto EFA non riuscirà a dare significative compensazioni alla Norvegia, quel
paese acquisterà gli F-16 se ne giudicherà
migliori le condizioni di mercato.
Il discorso delle compensazioni fa pensare alla debolezza delle singole industrie
nazionali, tant’è che al sistema principalmente si ricorre se la qualità del prodotto
non è eccelsa oppure se un paese produce
serie molto limitate per cui è disposto a
fare compromessi per raggiungere accettabili livelli di economicità (come è noto,
la serie degli Joint strike fighter è di 2
mila esemplari, mentre quelli dell’EFA,
per quanti sforzi siano stati compiuti,
saranno 600). Infatti, prescindendo dalla
difficoltà di fare un confronto in termini
di qualità del prodotto, per noi europei la
possibilità di vendere qualche esemplare
di più è molto più importante che non per
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gli Stati Uniti che sono già a pieno
esaurimento delle economie di scala.
Quindi siamo più deboli e le compensazioni ce le chiedono anche considerando
questi motivi.
Tutto ciò mi porta a considerare come
di gran lunga preferibile l’ipotesi avanzata
dal vicepresidente Romano Carratelli,
quella cioè della risoluzione, in modo che
rimanga una indicazione parlamentare
sugli aspetti di tutela e di valorizzazione
degli interessi nazionali, senza tuttavia
ricorrere ad una legge che sarebbe in
controtendenza con la storia.
Confermo all’onorevole Giannattasio
che il comitato difesa-industria esiste ancora, si è riunito un mese fa sotto la mia
presidenza. Aggiungo che riveste una notevole utilità per lo scambio di informazioni non solo fra il Ministero della difesa
e le industrie ma fra le stesse industrie.
Quanto alla possibilità di affidare al
CIPE questi compiti, la mia perplessità è
molto forte. È vero che il CIPE ha poteri
di regolamentazione che non hanno procedure cosı̀ lente come quelle delle norme
di legge, è però pur vero che è anch’esso
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un organismo piuttosto pesante. È meglio
mantenere la consultazione, che regolarmente si fa, nell’ambito dei due ministeri
direttamente interessati, industria e difesa,
oppure, per le occasioni di particolare
rilevanza, con il coinvolgimento della Presidenza del Consiglio dei ministri ed eventualmente del Ministero del tesoro se gli
aspetti di bilancio sono particolarmente
rilevanti, come il caso dell’European fighter aircraft.
PRESIDENTE. A nome dell’intera
Commissione ringrazio il ministro per i
chiarimenti che ci ha fornito nell’odierna
seduta e dichiaro conclusa l’audizione.
La seduta termina alle 16.05.
IL CONSIGLIERE CAPO DEL SERVIZIO
STENOGRAFIA
DOTT. VINCENZO ARISTA
Licenziato per la stampa
dal Servizio Stenografia il 3 febbraio 1999.
STABILIMENTI TIPOGRAFICI CARLO COLOMBO
Stampato su carta riciclata ecologica
STC13-4AU-29
Lire 500