PIER LUIGI CHERCHI John Lennon si è fermato a Sassari PIER LUIGI CHERCHI JOHN LENNON si è fermato a Sassari Dagli Anni ’60 a Tangentopoli Musica, comportamenti, sottoculture e forme di creatività e des EditricE dEmocratica Sarda Una parte delle immagini riprodotte in quest’opera è tratta da giornali e stampati dell’epoca e non è perciò di buona qualità. Si è deciso comunque di pubblicarle per il loro significato e la validità documentale. ISBN: © EDES - Editrice Democratica Sarda Sede legale Piazzale Segni 1, Sassari Sede operativa, Zona Industriale Predda Niedda Sud strada 10 Tel. 079.262221 - 07100 Sassari [email protected] Stampato dalla tipografia TAS - Tipografi Associati Sassari Zona Industriale Predda Niedda Sud strada 10 Tel. 079.262236 - 07100 Sassari [email protected] Finito di stampare nel dicembre 2016 Ad Agostino Semiani elegante e austera presenza nei ricordi degli Anni ’70 7 INDICE Prefazione Pag. 9 Antologia di una rivoluzione culturale Introduzione di Pasquale Porcu 13 Personaggi citati nel libro 15 Sottoculture e forme di creatività 21 Gli anni ’60, un mondo che cambia 25 La sottocultura beat 27 Cosa è stata per te l’epoca beat? 37 Gli Anni ’70 e ’80. Modelli di cultura e immagini sociali 41 Sassari nel passaggio dagli Anni ’70 agli Anni ’80 53 Radio libere e controculture 63 La prima radio libera Pillole di Pasquale Porcu 70 Musiche e dediche nella notte Contributo di Pierluigi Piredda 71 Politica, pubblicità e aneddoti Racconto di Giò Capitano 74 I pirati dell’aria, nostalgie e curiosità 77 Censimento Radio Libere 83 I decantati e vituperati Anni ’80: il riflusso e l’edonismo reaganiano 87 Sottocultura metropolitana. I Paninari 95 Capelli a spazzola, Preppy e Cucador Intervista di Chiara Galeazzi a Ramon Verdoia 100 8 Sottocultura metropolitana. I Metallari Pag. 104 Tendenze sociali degli Anni ’80: il Piano Bar 108 Il pianista confidenziale che faceva innamorare Intervista a Gianni Davis 116 La Sassari degli Anni ’80 125 La movida, personaggi e locali Intervista a Cosimo Salis 141 Musica di qualità e “spazzatura” Autointervista di Pier Luigi Cherchi 145 Gruppi musicali a Sassari negli Anni ’80 Bertas, Azimut, Attacco Sonico, Joe Perrino, Cento, Humaniora, PSA 153 I P.S.A. sound punk nel deposito di sale Intervista a Geppi dal sito punk “Striscia la lametta” 164 Sole Nero e Il Coro degli Angeli Racconto di Andrea Poddighe 169 Da musicista a imprenditore Intervista a Mariano Melis 175 Teatro boom, La botte e il cilindro e... Contributo di Margherita Lavosi sulla compagnia 181 Il Theatre en vol, dadaismo e irriverenza 201 Dal collettivo al Voltaire, girovagando Intervista a Puccio Savioli 207 La scuola Patatrac, jazz e arte Intervista a Pino Squintu 212 Quel genio di Giampiero Cubeddu Intervista di Paul Dessanti a Stefano Mancini 219 La febbre degli Anni ’80. Unici, stupendi, irripetibili. Ma... 224 Bibliografia e Webgrafia 234 9 PREFAZIONE “John Lennon si è fermato a Sassari?” Così esclamò sorpresa una mia amica all’annuncio in anteprima del titolo del mio ultimo libro sulla storiografia della società contemporanea. “Ma io pensavo che John Lennon non fosse mai venuto a Sassari!”. “Ma no, è un’allegoria, una metafora” – risposi – “per far capire che una città di provincia come Sassari più di altre ha recepito la creatività della rivoluzione beat, di cui John Lennon è l’elemento trainante, anche nell’immaginario collettivo, e ha avviato una scuola di strada che non si è fermata agli Anni ’60, ma ha continuato la sua attività, con un fermento artistico inimmaginabile anche per città più grandi ed economicamente più avvantaggiate, fino agli Anni ’90”. Spero di non dover ripetere questo concetto a tutti quelli che, incontrandomi per strada o in un luogo pubblico, dovessero farmi questa domanda. Forse anche Carlo Levi, mi domando, avrà dovuto rispondere a chi gli chiedeva: “Ma Gesù Cristo è veramente passato ad Eboli?” con una dovuta argomentazione o solo con un’alzata di spalle stizzita. Trent’anni di forme di creatività, dalla musica al teatro, alla fotografia, alla poesia ed alla letteratura attraversano una incredibile evoluzione della società, che pare trasformarsi in una miriade di aspetti di sottocultura che disegnano un mondo variegato, dove c’è spazio per tutto e il contrario di tutto. Basti pensare agli anni di piombo della metà degli Anni ’70, e, dopo pochi anni alla vita dorata degli yuppies, agli indiani metropolitani del 1977 ed ai giovani professionisti urbani del 1986, alle femministe del 1978, l’anno della legge sull’aborto, acconciate in maniera grottesca e dopo neanche un decennio alle “donne in carriera”, tutte griffate, con minigonne vertiginose e tacchi a spillo, con cambiamenti che riguardano profondamente anche l’arte, in tutti i suoi aspetti. Sassari, in questo percorso, non è mai ferma, ma si evolve profondamente: finita l’avventura beat delle cantine e dei capelloni si va 10 verso le Scuole di musica, dove non c’è più spazio per l’autodidattica e i suoni distorti da una tecnica approssimativa, verso i laboratori teatrali, dove si impara a recitare e a creare spettacoli di grande rilievo, alle Scuole di fotografia dove le tecniche di sviluppo e stampa dei fotogrammi si associano all’utilizzo dei tempi di posa e dei diaframmi, allo studio dei primi piani, dei panorami e delle dissolvenze, alla pittura, che si completa di giovani artisti emergenti dediti allo studio di nuove espressioni artistiche etc. Questo fermento artistico e culturale della nostra città sembra fermarsi, nella sua esplosività, alla metà degli Anni ’90, complice probabilmente la crisi economica planetaria – in particolare l’Italia postTangentopoli e della seconda Repubblica – che limita la creatività e l’estro delle nuove realtà giovanili alle prese con problemi di sopravvivenza, dove l’arte diventa quasi un bene voluttuario e da far passare giocoforza in secondo piano. PIER LUIGI CHERCHI 11 Suonare trasmigrando sui tasti l’essenza del tuo animo Ascoltare una sottile malinconia prendere forma e parlare di te. 13 ANTOLOGIA DI UNA RIVOLUZIONE CULTURALE Introduzione di Pasquale Porcu Ma davvero John Lennon si è fermato a Sassari? Certo che no. L’autore, già nella prefazione a questa sua ultima opera, dice che si tratta di una metafora. Pier Luigi Cherchi nel volume racconta che ha inteso spiegare come una città piccola e, tutto sommato, di provincia, sia stata animata da una ventata di creatività che l’ha messa in sintonia col resto del mondo già dagli anni Sessanta. Quel mondo dove nascevano e da dove si diffondevano progetti culturali e comportamenti che facilmente venivano imitati nei diversi continenti. In questo senso la mente più creativa e trasgressiva dei Beatles, eletto da Cherchi a profeta e leader morale del beat, è passato per Sassari. Le idee, la lezione di Lennon hanno influenzato anche la gioventù sassarese alimentando una sorta di rivoluzione culturale che ha fatto sentire i suoi effetti non solo negli anni Sessanta ma anche nei due decenni successivi. E per dimostrare la sua tesi, Cherchi, passa ai raggi X gran parte delle attività culturali che hanno animato una città sonnolenta e cristallizzata nei suoi strati sociali. Certo si è trattato di una serie di fenomeni complessi che hanno fatto germogliare gli stessi semi che hanno trasformato anche i giovani delle capitali occidentali. Un ruolo importante l’hanno giocato i movimenti politici e studenteschi. Ma alla base di quei fenomeni di massa, dice l’autore, c’è il movimento beat , le sue musiche, la sua filosofia ingenua ma che ha generato una gran voglia di libertà e di emancipazione. Col beat, insomma, i giovani diventano per la prima volta (si direbbe oggi) soggetto politico importante che vuole dire la sua nella scuola, nelle università e soprattutto nella società. Finalmente i giovani non si vestono più come i loro genitori, possono indossare abiti sgargianti a fiori, ci si può far crescere le basette o i capelli, si può indossare la minigonna e gli stivali, si può andare ai concerti e ballare senza reggiseno o a torso nudo. Si può cominciare a invocare parità di diritti tra ragazzi e ragazze, tra giovani e adulti. Si può vivere e ci si può 14 comportare senza chiedere permesso né ai genitori, né alle autorità scolastiche o religiose. Si può girare il mondo con l’autostop. E soprattutto ragazzi e ragazze possono stare insieme senza più tabù sessuali. La musica, insomma, comincia a cambiare. In tutti i sensi. La melodia lascia spazio a ritmi e suoni più in sintonia con i movimenti pelvici originati dalle tempeste ormonali giovanili. E soprattutto la musica la possono fare direttamente i giovani, con una chitarra, un basso e una batteria. E’ davvero una rivoluzione senza precedenti. E Sassari è in prima linea in questa battaglia di emancipazione: in città nascono gruppi musicali in grande quantità. E non si contano le salette, le cantine trasformate in club dove stare insieme e ascoltare musica. Non c’è strada o vicolo del centro storico che non abbia i suoi ritrovi e i suoi punti di riferimento per una gioventù che comincia a uscire di casa abbandonando i tristi pomeriggi domenicali domestici sotto l’occhio vigile di babbo e mamma. Pier Luigi Cherchi, in questo libro, documenta tutto il fermento che anima la città negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta. E contemporaneamente descrive i fenomeni che animano la scena nazionale e internazionale in campo musicale ma anche in quello teatrale. I Beatles ma anche il jazz e i Bertas, Bon Jovi ma anche I Boba, il Coro degli Angeli, i Tazenda e il teatro di strada di Puccio Savioli e Michelle Kramers, la riscoperta della commedia in sassarese di Gian Piero Cubeddu e la nascita delle radio libere a cominciare da Radio Nord Ovest (che diventerà Radio Sassari Centrale, la prima emittente a dotarsi di una vera redazione giornalistica e della capacità tecnica di fare delle “dirette” dalla città). Sullo sfondo, Cherchi segnala i fermenti politici, i “monumenteros”, gli scontri tra fazioni politiche opposte, gli “anni di piombo” e il riflusso. E da questo punto di vista il libro è una grande antologia che raccoglie e mette insieme interviste e punti di vista differenti che aiutano il lettore a farsi un’idea dei fermenti che hanno animato la città dagli anni Sessanta agli anni Ottanta. Qualcuno dei personaggi citati ha fatto il balzo nella politica, nel cinema o nella musica a livello nazionale. Qualcun altro continua ad operare. Altri si sono ritirati a vita privata o non ci sono più. Tutti insieme, comunque, hanno creato la situazione culturale, sociale e di costume che conosciamo oggi. Un mondo che questo libro di Pier Luigi Cherchi, oggi, ci aiuta a capire. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI PERSONAGGI CITATI NEL LIBRO Giancarlo Acciaro Antonello Accioni Mirko Addis Sandro Agnesa Giuliana Altea Antonio Arcadu Maria Antonietta Azzu Orlando Bajardo Gianni Bassu Giuseppe Bazzoni Clemente Biasizzo Lino e Carlo Borghesi Franco Borghetto Michele Bozzi Gianni Bracceri Checco e Gigi Bua Piero Bua Gavino Buscarinu Gigi Camedda Giovanni Campus Gigi Campus Angelo Canu Gigi Canu Giò Capitano Alberto Capitta Marco Caracciolo Pino Careddu Mondino Carnelias Giampiero Carta Piero Carta Benito Castangia Franco Castia Marco Chessa intervista a Puccio Savioli intervista a Cosimo Salis Radio Libere a Sassari intervista a Puccio Savioli intervista a Pino Squintu intervista a Cosimo Salis intervista a Puccio Savioli Radio Libere a Sassari la storia del GAGA’ intervista a Puccio Savioli Radio Libere a Sassari Radio Libere a Sassari intervista a Puccio Savioli intervista a Cosimo Salis Radio Libere a Sassari Radio Libere a Sassari Radio Libere a Sassari La storia del GAGA racconto su Sole Nero e Coro degli Angeli Theatre en vol intervista a Pino Squintu racconto su Sole Nero e Coro degli Angeli Radio Libere a Sassari contributo su Radio Libere a Sassari intervista a Puccio Savioli Attacco Sonico Radio Libere a Sassari Azimut intervista a Mariano Melis Azimut Teleobiettivo Sardegna intervista a Mariano Melis intervista a Mariano Melis 15 16 PIER LUIGI CHERCHI Mario Chessa Ittiri Mario Chessa Sassari Alberto Cocco (Albicocco) Pinaccio Cocco Eugenio Colombo Claudio Como Maria Vittoria Conconi Pier Paolo Conconi Enzo Concu Piero Concu Gianni Coni e Lucio Coni Mario Coni Luisella Conti Angelo Contini Antonello Coradduzza Marco Cosseddu Gesuino Cosseddu Daniela Cossiga Giacomo Cossu Gianni Cossu Pinuccio Cossu Antonio Costa Andrea Costa Carlo Costa Giampiero Cubeddu Giancarlo Cubeddu Francesco Cuccureddu Salvatore Cugurra Antonio Dalerci Gianni Davis Andrea Deledda Vito Deledda Sandro Delogu Adolfo Deriu Marcello Deriu Mario Deriu Carlo Desole Paul Dessanti Andrea Dessì Paola Dessì Pierluigi Dessì Antonello Dettori storia dei Monumenteros i Bertas intervista a Mariano Melis Radio Libere a Sassari intervista a Pino Squintu Azimut La botte e il cilindro La botte e il cilindro Azimut Azimut Radio Libere a Sassari squadra di pallavolo “Silvio Pellico” La botte e il cilindro la storia del GAGA’ i Cento - intervista a Mariano Melis intervista a Mariano Melis intervista a Mariano Melis La botte e il cilindro intervista a Mariano Melis intervista a Puccio Savioli storia del GAGA’ i Bertas storia del GAGA’ i Bertas La botte e il cilindro Radio libere a Sassari Radio Libere a Sassari Radio Libere a Sassari Radio libere a Sassari intervista La botte e il cilindro Azimut Radio Libere a Sassari Azimut intervista a Puccio Savioli squadra di pallavolo “Silvio Pellico” intervista a Puccio Savioli animatori anni ‘80 intervista a Puccio Savioli intervista a Puccio Savioli intervista a Cosimo Salis La botte e il cilindro JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI Italo Di Maria Mauro Di Maria Vittorio Di Maria Giacomo Doro Tetta Duce Pier Paolo Duce Francesco Enna Andrea Enrico Paolo Erre Pierpaolo Erre Nando Esposito Giovanni Fadda Romano Faedda Marcello Falchi Renato Fancellu Pietro Fara Enzo Favata Cosimo Filigheddu Alberto Fiori Alessandro Fiori “Bestemmia” Giuseppe Fiori Loredana Flori Marco Foddanu Gianni Fracassi Paolo Fresu Paolo Gadau Giuseppe Gadau Gianluca Gadau Mariolino Gadau Giampaolo Galleri Giampiero Galleri Antonello Gennaro Antonello Grimaldi Giancarlo Griscenko Fabrizio Guelpa Nadia Imperio Antonio Inzaina Gigi Ippolito Michelle Kramers Margherita Lavosi Giovanni Leonardi Livia Lepri Azimut Azimut storia del Pe Bay i Cento intervista a Puccio Savioli intervista a Pino Squintu La botte e il cilindro intervista a Mariano Melis i Cento Radio Libere a Sassari racconto su Sole Nero e Coro degli Angeli storia del GAGA intervista a Puccio Savioli Attacco Sonico intervista a Pino Squintu racconto su Sole Nero e Coro degli Angeli intervista a Pino Squintu Radio Libere a Sassari Gruppi sassaresi Anni ’80 Radio Libere a Sassari i Bertas Radio Libere a Sassari Radio libere a Sassari storia del GAGA’ intervista a Pino Squintu Azimut intervista a Mariano Melis intervista a Mariano Melis i Bertas squadra di pallavolo “Silvio Pellico” squadra di pallavolo “Silvio Pellico” intervista a Puccio Savioli La botte e il cilindro Radio Libere a Sassari intervista a Mariano Melis La botte e il cilindro racconto su Sole Nero e Coro degli Angeli intervista a Puccio Savioli Theatre en vol La botte e il cilindro gruppi musicali anni ‘80 La botte e il cilindro 17 18 PIER LUIGI CHERCHI Ruggero Lifrieri Carlo Lodde Giuseppe Loriga Mario Losito Andrea Lubino Antonello Lubinu Antonio Luiu Antonello Macaluso Gino Macaluso Marco Magnani Annalena Manca Daniele Manca Alessandro Manca Stefano Mancini Luigi Manconi Tore Mannu Giommaria Manunta Patty Maresu Tonino Maresu Gino Marielli Giulio Martinetti Giuseppe Masia Lucio Masia Sante Maurizi Donatella Meazza Ugo Mela Mariano Melis Mario Monte Enrico Montis Salvatore Moraccini Marco Moretti Alessandra Mura Piero e Peppino Muresu Pinuccio Murrai Stefano Mosca Roberto Muretto Peppino Murgia Mauro Nacci Cristna e Loris Nadotti Fabio Nicosia Carmelo Nieddu Gianni Noli squadra di pallavolo “Silvio Pellico” squadra di pallavolo “Silvio Pellico” Attacco Sonico intervista a Pino Squintu Attacco Sonico intervista a Pino Squintu intervista a Pino Squintu Radio Libere a Sassari Radio Libere a Sassari intervista a Pino Squintu La botte e il cilindro intervista a Mariano Melis intervista a Mariano Melis intervista a Pino Squintu intervista a Puccio Savioli intervista a Pino Squintu La botte e il cilindro Radio Libere a Sassari storia della Sassari anni 70-80 racconto su Sole Nero e Coro degli Angeli Radio Libere a Sassari intervista a Mariano Melis Radio Libere a Sassari La botte e il cilindro intervista a Puccio Savioli intervista a Cosimo Salis intervista intervista a Cosimo Salis Radio Libere a Sassari intervista a Mariano Melis intervista a Pino Squintu La botte e il cilindro storia del Blu Star e La Siesta intervista a Pino Squintu intervista a Mariano Melis Radio Libere a Sassari Blu Star intervista a Cosimo Salis Radio libere a Sassari intervista a Mariano Melis Ristoranti Sassari anni ‘80 squadra di pallavolo “Silvio Pellico” JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI Bruno Paba Enzo Paba Antonio Pais Mario Pala Bruno Pallavisini Domenico Panzino Andrea Parodi Marco Parodi Joe Perrino Stefano Perrone Billia Pes Teresa Pes Bruno Pianu Francesco Pigliaru Carlo Pinna Gabriele Pinna Giuseppe Pinna Nossai Salvatore Pintore Ferruccio Pintus Giampaolo Pintus Marco Piras Pierluigi Piredda Gianni Pirisi Zeno Pisu Consuelo Pittalis Carmela Piu Antonello Poddighe Antonio Poddighe Andrea Poddighe Raffaele Polcino Enrico Porqueddu Gaetano Porqueddu Enrico Puggioni Tore e Graziano Puggioni Carlo Rettaroli Ico Ribichesu Enzo Riva Gavino Riva Gianni Rizzi Eugenio Romano Ciccio Rubattu Radio libere a Sassari i Bertas intervista a Mariano Melis Ristoranti sassaresi anni ‘80 Radio Libere a Sassari Radio Libere a Sassari racconto su Sole Nero e Coro degli Angeli La botte e il cilindro gruppi musicali anni ‘80 storia del GAGA storia del GAGA La botte e il cilindro intervista a Puccio Savioli Radio libere a Sassari intervista a Puccio Savioli intervista a Cosimo Salis –Blu Star storia del Pe Bay Radio Libere a Sassari Attacco Sonico intervista a Cosimo Salis i Bertas contributo sulle Radio Libere storia del GAGA intervista a Cosimo Salis La botte e il cilindro Saggio sulle forme di creatività a Sassari Theatre en vol Radio Libere a Sassari racconto su Sole Nero e Coro degli Angeli racconto su Sole Nero e Coro degli Angeli intervista a Mariano Melis Radio Libere a Sassari Radio Libere a Sassari intervista a Pino Squintu Radio Libere a Sassari storia del GAGA Radio Libere a Sassari storia del GAGA intervista a Mariano Melis Azimut i Bertas squadra di pallavolo “Silvio Pellico” 19 20 PIER LUIGI CHERCHI Giampaolo Ruggiu Giulia Sale Stefano Salis Cosimo Salis Anna Sanna Tonino Sanna Francesco Santu Puccio Savioli Salvatore Scala Baingio Nuccio Scanu Daniele Serra Francesco Serra Giovanni Serra Brunetto Sini Gianni Spanedda Roberto Spano Antonello Squintu Pino Squintu Zino Squintu Sergio Tedde Vito Tilocca Marcello Truddaiu Nello Usai Emilio Vaccaneo Carlo Valle Marco Vannini Angelo Vargiu intervista a Mariano Melis intervista a Pino Squintu intervista a Mariano Melis intervista intervista a Puccio Savioli Radio libere a Sassari intervista a Mariano Melis intervista racconto su Sole Nero e Coro degli Angeli storia del Pe Bay intervista a Pino Squintu intervista a Mariano Melis Ristoranti sassaresi anni ‘80 i Bertas intervista a Cosimo Salis Radio Libere a Sassari Radio libere a Sassari intervista intervista a Puccio Savioli La botte e il cilindro Radio Libere a Sassari Scuola di musica Patatrac intervista a Cosimo Salis – Pe Bay squadra di pallavolo “Silvio Pellico” intervista a Mariano Melis Radio libere a Sassari intervista a Puccio Savioli JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 21 SOTTOCULTURE E FORME DI CREATIVITÀ Nel suo lavoro “Forme di creatività: subculture giovanili e gruppi musicali a Sassari” l’antropologa Carmela Piu mette in risalto l’importanza della città come luogo della creatività sociale, attraverso reti di comunicazione e luoghi d’incontro, luoghi in cui si intrecciano rapporti umani e dove nuove idee si incontrano. Come scrive Sobrero riportando la definizione di Park, sempre dal testo di Carmela Piu, «la città non è solo un meccanismo fisico, [ma] è coinvolta nei processi vitali della gente che la compone, […] è un prodotto della natura, e in particolare della natura umana» La città, dice Hannerz “è un luogo di scoperte e di sorprese, in cui può capitare di vedere cose diverse rispetto al passato e persone diverse da noi. Infatti è proprio nella città che scorgiamo la complessità di cui parla l’autore, quella caratterizzata da una grande varietà di subculture, dove l’apparato culturale seppur in uno spazio limitato è articolato da un’ampia gamma di interconnessioni e di gestioni di significato.” La città insomma rappresenta uno dei luoghi più favorevoli per la diffusione della creatività. Se pensiamo alle grandi città europee nell’età moderna e contemporanea, queste sono state dei luoghi privilegiati della vicinanza tra persone di culture differenti. Perciò l’apertura e l’esposizione a stimoli culturali diversi, anche contrastanti, sono due fattori molto importanti per favorire il formarsi di gruppi creativi. E, proprio partendo dall’analisi delle grandi città, nel suo saggio Carmela Piu sottolinea la difficoltà di avviare un’indagine conoscitiva in una piccola città di Provincia come Sassari “Mi rendo conto che Sassari in questo confronto, potrebbe non essere considerata una 22 PIER LUIGI CHERCHI città paragonabile a tali metropoli, da chi non si occupa di antropologia e che, probabilmente, il mio tentativo di indagare questa città di circa centotrentamila abitanti e volerne individuare l’intensità del fermento creativo, potrebbe far sorridere alcune persone, ma come dice Hannerz non esistono culture chiuse, statiche dai confini ben delimitati. Perciò parto dal presupposto che non posso escludere Sassari da questo concetto.” Infatti come dice Hannerz «Attraverso la comunicazione interpersonale, si possono fare esperienze indirette, e interiorizzare il loro significato in modo più o meno standardizzato. I significati che si formano più direttamente nei coinvolgimenti situazionali particolari di un individuo possono di conseguenza essere anche modificati. È in questo modo che si sviluppa una cultura, vale a dire un sistema collettivo di significati» Hannerz nei suoi libri riflette più volte sul modo di vedere il mondo e trova irragionevole il paragonarlo ad un mosaico culturale con tanti pezzi separati, definiti da confini ben netti; con ciò intende riferirsi “alle interconnessioni culturali che si estendono sempre più attraverso il mondo, per cui le entità che definiamo culture, diventano sempre più subculture all’interno dell’entità più ampia giustificando così la indeterminatezza dei confini”. Così ancora Carmela Piu sottolinea questo concetto “Sapere che giovani sassaresi sono appassionati a generi musicali che hanno superato il loro confini territoriali e che si incontrano con altri habitat di significato sono, a mio avviso, una delle tante dimostrazioni che la cultura non può essere intesa come racchiusa in tanti «pacchetti». Ma cosa si intende per Subcultura o Sottocultura? Fabietti definisce le subculture come «“reti” di significati condivisi da determinati individui (e non da altri) all’interno di un contesto significante più vasto (la “cultura”) a cui pur tuttavia quegli stessi individui appartengono». In realtà i primi accenni all’esistenza delle sottoculture si fanno risalire alle cronache dei giornali inglesi dell’inizio dell’Ottocento, impegnate a descrivere in una lettura torbida e classista i bassifondi JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 23 delle grandi città. I sociologi della Scuola di Chicago furono i primi ad interessarsi al tema delle sottoculture con metodi di ricerca sul campo mutuati dall’etnografia nei primi decenni del Novecento, con lo studio dell’antropologia delle città, interpretando questi modelli come aspetti di devianza o addirittura di delinquenza. Secondo queste teorie le subculture si sviluppavano da un lato per una mancata socializzazione di alcuni settori di popolazione alla cultura dominante e dall’altro lato per l’adozione da parte loro di modelli valoriali e normativi alternativi. Da questi presupposti nacque il concetto di sottocultura, che definiva “gruppi sociali dotati di caratteri propri che si distaccavano in parte da quelli della cultura più ampia di cui facevano comunque parte”, gruppi che la società definisce come “outsiders”. La cultura delle società contemporanee non è quindi un continuum ma è scomponibile in segmenti diversi; vi è un sistema di costumi e valori condiviso, ma vi sono anche realtà locali che fanno capo a gruppi uniti da interessi e pratiche che favoriscono il crearsi di identità collettive che, basate sull’adozione di un particolare stile di vita, determinano comportamenti e modi di pensare. Questi gruppi sono composti, a loro volta, da gruppi più ristretti. I suoi membri hanno in comune norme, credenze, valori differenti in parte da quelli della cultura ufficiale, che influenzano il loro stile di vita e un modo di disporre delle proprie risorse economiche. Dal punto di vista teorico la sottocultura si distingue dalla cultura in quanto mentre questa può essere attribuita al soggetto in conformità a suoi caratteri precisi (come l’etnia di appartenenza, il sesso, la fascia di età ecc.) la sottocultura è fondata su caratteri volontariamente perseguiti, come le scelte stilistiche, vestimentarie, musicali e comportamentali; ne sono un esempio le decorazioni che ‘marchiano’ il soggetto talvolta in senso letterale (si pensi ai tatuaggi, al piercing, nei casi più estremi al branding e alla scarificazione). Le sottoculture tendono così a essere caratterizzate dalla presenza di confini facilmente individuabili e da caratteri culturali particolarmente visibili. All’interno 24 PIER LUIGI CHERCHI delle sottoculture gli elementi più importanti nella formazione dell’identità dei singoli e per l’istituzione delle gerarchie interne risultano pressoché invisibili al profano. Questi sarebbe infatti più portato a considerare come importanti segni di distinzione elementi di scarso peso, quali il modo di vestire, la musica che viene ascoltata o il gergo che viene parlato, mentre non riesce a cogliere l’importanza rivestita da caratteri meno marcatamente visibili, come l’intima conoscenza dei fatti interni, l’adesione a un sistema di valori alternativo e il cosiddetto capitale sottoculturale di ciascun membro. Studiando le culture giovanili dei dance clubs britannici degli Anni Ottanta l’antropologa S. Thornton ha evidenziato la logica culturale delle distinzioni su cui si fondano autenticità e gerarchie. Allo scopo la Thornton ha coniato la locuzione capitale sottoculturale cercando di mettere in luce la logica sociale applicandola ai giovani studiati, riscontrando che, anche all’interno delle singole sottoculture, il capitale culturale, può essere sia ‘oggettificato’, per esempio, in un’attrezzatura, o in abiti e in accessori considerati particolarmente adeguati, sia ‘incorporato’, per esempio nella proprietà mostrata nell’uso (e quindi nel non abuso) di un gergo corretto o nella capacità di formulare commenti pertinenti a proposito delle attività cui si dedicano i membri della sottocultura. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 25 GLI ANNI ’60, UN MONDO CHE CAMBIA Gli Anni ’60, detti anche “favolosi Anni ’60”, furono attraversati da un movimento globale che coinvolse l’intera popolazione mondiale, anche se in modi e tempi differenti; un movimento che segnò il nostro tempo, portando ad alcune delle trasformazioni più importanti degli ultimi anni; una vera ‹‹rivoluzione››, sociale e di costume. In questo decennio ampie frange della popolazione, costituite da gruppi sociali disomogenei (studenti, operai e gruppi etnici minoritari soprattutto questi ultimi negli USA) spesso in contatto tra loro attraverso un fenomeno di socializzazione spontanea favorita dai mass media e soprattutto dalla televisione, fecero sentire la loro voce in quasi tutti i paesi del mondo nel segno di una trasformazione radicale della società. Ma gli Anni ’60 divennero soprattutto gli anni dei teen-agers, i minorenni, fino ad allora ignorati nella scala sociale, che, a differenza delle generazioni precedenti, si conquistavano un loro spazio, scegliendo i loro nuovi idoli, un modo di vivere, di vestire, di amare, di ballare, di pensare sempre più lontano da quello dei genitori. Questi nuovi protagonisti della vita sociale degli Anni ’60 mostravano apertamente il loro senso di disaffiliation (distacco), con la contestazione all’interno della famiglia, pur non possedendo una propria cultura giovanile a cui potersi rifare, da poter imitare, con cui potersi identificare. Da questa condizione di disagio verso le istituzioni e la società così come codificata, i giovani si dirigevano verso delle alternative esistenziali che abbracciavano anche il pensiero politico, il bisogno di rinnovamento culturale e sociale, ma soprattutto la libertà della psiche (con la diffusione di una cultura psichedelica, fatta non solo di musica ma di arte in senso generale), la centralità dell’individuo al di fuori delle imposizioni della società, la esaltazione del pacifismo e della non violenza, il misticismo, che si avvicinava sempre più a quello di altre religioni (in particolare il Buddismo) e della cultura orientale in genere. 26 PIER LUIGI CHERCHI Anni ’60 a Sassari: Platamona Il Lido Iride di Platamona negli Anni ’60 JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 27 LA SOTTOCULTURA BEAT Nel 1964, con l’esplosione del fenomeno Beatles, tra l’indifferenza e l’insofferenza degli adulti, in Italia i giovanissimi si conquistarono un loro spazio in un crescendo di gioia, solidarietà, amicizia. La musica beat riuscì, di colpo, a “svecchiare” una società stratificata nella sua concezione sociale, in piena fase di consolidamento dopo i disastri della seconda guerra mondiale, non favorevole a tutto ciò che rappresentava cambiamento o innovazione. In breve la rivoluzione beat dei primi Anni ’60 riuscì in maniera spontanea a creare un movimento sottoculturale che resterà scandito nella memoria storica del mondo contemporaneo : il taglio dei capelli dei “Fab Four” di Liverpool, la famosa zazzera, viene presa a modello dai ragazzi dai quindici ai trenta anni, le mitiche giacche di Pierre Cardin, gli stivaletti a punta e col tacco squadrato vanno a ruba nei negozi di moda: iniziano a diffondersi i contrasti generazionali all’interno delle famiglie, con padri spesso “sconvolti” da questa scintilla improvvisa di conte- 28 PIER LUIGI CHERCHI stazione verso i “matusa”, gli esponenti di un mondo vecchio, da ricostruire. Da un’Italia rappresentata fino ad allora da musica melodica, night club per adulti e oratori per ragazzi si passa ad una moltitudine di teen-agers con la chitarra a tracolla, che si organizzano in movimenti di aggregazione, imparando a suonare e a cantare musica “libera”, urlata, al di fuori degli schemi dei conservatori, tra l’indifferenza e l’insofferenza degli adulti, conquistandosi un loro spazio in un crescendo di gioia, solidarietà, amicizia. Il mangiadischi prima e la fonovaligia poi diventano il simbolo di una trasgressione crescente, con la musica e il ballo liberi da ogni schema precostituito, dal gioco di coppia, dai passi canonici delle danze di vecchia maniera, con l’individuo che è libero di creare una propria identità espressiva anche nelle movenze dei nuovi ritmi come il surf, lo shake, il melody-rock etc. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 29 Parlando di look giovanili nel saggio di Carmela Piu si fa cenno al nascere della sottocultura beat a Sassari “Uno degli elementi su cui riflettere è l’associazione che viene fatta tra musica e abbigliamento e quindi stili di vita. È con la diffusione planetaria della musica popolare che si collegano i mutamenti sociali tra gli Anni Cinquanta e Sessanta, non solo la musica, ma con essa il ballo, la moto, l’automobile, il gergo e non ultimo l’abbigliamento. Si tratta di nuovi modi attraverso i quali i giovani si fanno spazio nella società. (…). Quello che ora mi pare interessante rilevare è il fatto che i gruppi musicali non nascono oggi, ma Sassari ha una lunga storia di sub culture giovanili. Non solo, dalle varie chiacchierate che ho fatto durante la mia ricerca sul campo, spesso ho sentito nominare le “salette” e ho appreso che si trattava di luoghi che facevano parte della vita dei giovani musicisti anche di allora”. Ecco come ricorda il mondo delle salette Francesco Meloni, ora docente di otorinolaringoiatria, e, ai tempi dell’università, socio fondatore di un “club” in via Mercato: “La nostra saletta si trovava proprio davanti al Circolo Sassarese, e comprendeva una trentina di soci al massimo... si pagava una quota minima per la gestione della sala e ci si riprometteva di guadagnare qualcosa dalle consumazioni. La struttura era semplice: un baretto fatto di legno, una sala dove si ballava ed una sala interna riservata ai soci (dove si portavano le ragazze)… L’ambientazione era fatta di canne alle pareti e luci molto soffuse, velate, soprattutto per i “lenti” che ad una certa ora rappresentavano il pezzo forte della serata… L’ambiente era eterogeneo,la maggioranza era rappresentata da studenti ma c’erano anche muratori, operai e un po’ tutte le categorie… Non ricordo di aver visto in quella nostra saletta dei complessi suonare, in genere si utilizzava un grosso giradischi, per l’epoca quasi professionale, con un sistema multidisco a braccio snodabile che garantiva il cambio automatico fino ad otto dischi che venivano caricati prima di iniziare a ballare… Forse la nostra era una saletta selezionata, più studenti che altro, però non ho mai visto risse né è mai scesa la polizia a fare controlli… Il “Club” funzionava tutte le sere, e il clou si aveva il sabato sera… invece la domenica, considerato che molti erano studenti dell’hinterland e tornavano a casa, si rimaneva in pochi… Ricordo, come curiosità un po’ piccante, 30 PIER LUIGI CHERCHI che ogni tanto venivano due ragazzine…credo fossero di qualche paese… e facevano uno spogliarello integrale solo per i soci, con musiche tipo “Je t’aime, moi non plus”... la cosa si è ripetuta più volte. Quello era il momento caldo delle serate, in genere quando il pubblico vero e proprio era andato via… Se non ricordo male il mondo delle cantine è scomparso agli inizi degli Anni ’70… troppe cose poi sono cambiate dal periodo beat. Io sono andato via dopo 3-4 anni, ma è stato un periodo fantastico, irripetibile”… Ancora dal saggio di Carmela Piu: (…) “Un aspetto interessante sul quale riflettere è la relazione tra il decollo del disco come prodotto di massa e i nuovi stili di vita. Dal periodo di ripresa postbellica, la categoria sociale dei giovani inizia ad entrare nell’era dei consumi di massa: l’abbigliamento, il ballo e la musica erano una forma distintiva utilizzata dai giovani, modi attraverso i quali si distinguevano nella società. Ho potuto osservare anche che la scelta del look quindi è strettamente legata al genere musicale attraverso il quale ci si esprime, ma che allo stesso tempo si ascolta. Questo vale non solo per il reggae, l’hip hop o il rock, ma anche per gli altri generi musicali. L’elemento JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 31 importante che intendo sottolineare e che credo si possa ampliare anche ad altri casi è che la scelta del look non è legata solo alla costruzione del personaggio dell’artista, ma attraverso il look ci si vuole distinguere anche sul piano etnico e professionale”… I “Boba”, storico gruppo sassarese degli Anni ’60 I “Dana”, uno tra i migliori complessi beat sassaresi 32 PIER LUIGI CHERCHI L’evoluzione musicale di un gruppo beat degli Anni ’60 si accompagnava di pari passo alla sua evoluzione antropomorfica: i capelli diventavano sempre più lunghi, le camicie e i pantaloni sempre più sgargianti, comparivano occhialini, medaglioni, foulards e tutto quanto poteva servire a imitare il look dell’Equipe, dei Rokes, dei Camaleonti e del grande Lucio Battisti. In questa evoluzione spesso si arrivava alla divisa vera e propria, che caratterizzava alcuni gruppi della nostra città, come i Boba, i Dana, i Falchi, gli Smeraldi e altri. La sottocultura beat: abbigliamento tipico dei ragazzi beat negli Anni ’60 La Sassari beat del 1967 era simile a tante altre città italiane del periodo, con una gemmazione di “capelloni” (beatniks) e di nuovi fermenti culturali, come l’epoca beat richiedeva; si assisteva per le strade ad una proliferazione di pantaloni colorati (specie jeans di velluto leggero, aderentissimi, con colori elettrici, gialli, verdi, rossi, viola etc.)di camicie e giacche “psichedeliche”, come lanciato dal mitico Sergent Pepper’s dei Beatles che risale proprio a quel periodo, di occhialetti rotondi e di fermagli con scritte inneggianti alla pace, contro la guerra nel Vietnam. Alcuni artisti beat, primo fra tutti “Green Tony”, alias Giuseppe Fiori, il ragazzo dai capelli verdi, tingono i capelli se- JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 33 guendo i colori “shocking” del periodo, provocando tra i passanti reazioni dall’ilarità alle aggressioni, non solo verbali. Ma oltre alla rivoluzione nell’abbigliamento e nel look (barba, basette e capelli lunghi) si apriva anche nella nostra città la strada per un’esplosione di quella che è stata definita cultura “di strada”, con una miriade di pittori, creatori di collage,scultori, musicisti, fotografi ed altri che iniziavano ad esporre la loro vena artistica instradati ed iniziati da amici che coltivavano le stesse passioni. Girando per le strade di Sassari era facile trovare gruppetti di ragazzi che suonavano la chitarra ed insegnavano i primi rudimenti ad altri amici che poi avrebbero fatto altrettanto: stava nascendo una mentalità artistica che purtroppo oggi appare completamente scomparsa. I gruppi musicali beat (all’epoca denominati “complessi beat”) nella nostra città proliferavano in maniera vertiginosa, esponenziale, grazie a quella scuola “di strada” di cui ho parlato prima (tutti i ragazzi suonavano almeno uno strumento, chi non suonava sapeva comunque cantare o suonare la batteria e le per- 34 PIER LUIGI CHERCHI cussioni), tanto che era sufficiente passare la sera in qualunque vicolo della città per sentire colpi di basso, rullate e distorsori a tutto volume. Un articolo della Nuova Sardegna riportava in quegli anni un sondaggio nazionale in cui si dimostrava che, in rapporto al numero degli abitanti, Verona e Sassari avevano il maggior numero di complessi in assoluto. A questo proposito i Gatti di Vicolo miracoli scrissero proprio il pezzo “Verona beat”, descrivendo l’ambiente musicale ed artistico di una città che si apriva alle nuove tendenze, come la nostra Sassari, che viveva il momento più elevato di un’epoca irripetibile ed unica. La realtà che viveva, anche in periferia, quel periodo, era rappresentata proprio dalla centralità dell’individuo e dalla sua libertà di espressione, anche in una dimensione spesso non reale ma distorta dalla euforia dell’alcool o delle prime droghe: l’LSD iniziava a circolare in frange limitate della popolazione giovanile, supportato dalle allucinazioni artistiche dei Beatles e di alcuni passi di Hair, momenti di passaggio dalla realtà al sogno, la nascente Costa Smeralda richiamava JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 35 un turismo più raffinato con frequente diffusione di hashish o marijuana che arrivavano anche nella nostra città ancora come prodotti “di nicchia” e non in maniera massificata come avverrà purtroppo con l’eroina negli Anni ’80. 36 PIER LUIGI CHERCHI Dall’alto I Zuighes di Ittireddu, i Fools di Siligo e i MA! di Ossi, espressione della diffusione della sottocultura beat negli Anni ’60 anche nell’hinterland sassarese JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 37 COSA È STATA PER TE L’EPOCA BEAT? Dal libro “C’era un ragazzo che come me amava...” … il beat è stato sorriso, fiori, colori, un mondo gioioso… i ricordi sono di cieli azzurri e di giornate di sole, anche se anche allora c’erano le nuvole e pioveva… Purtroppo noi eravamo meno che adolescenti, quando è nato il beat e lo abbiamo solo sfiorato, ma la stagione dei fiori è comunque continuata anche alla fine degli Anni ’60….. (intervista all’Autore). … I Beatles hanno avuto il merito di “ammucchiare” i ragazzi giovanissimi, hanno creato uno spirito di corpo, dei movimenti spontanei di aggregazione, cosa che non esisteva prima… quando si sono divisi… e non è stata una coincidenza… è stato un dramma, un disorientamento tra i giovani, una disgregazione anche delle coppie… con la fine dei Beatles è finita un’epoca… (intervista a Benito Urgu). 38 PIER LUIGI CHERCHI … eravamo ragazzi e tutto era bello, spensierato… si poteva andare a suonare dappertutto, senza rischi, non c’era droga, anche quella che poteva essere chiamata delinquenza era in realtà una cosa minima… Quella era una gioventù che viveva per l’oggi e non per il domani, come purtroppo succede nei tempi attuali… (intervista a Alberto Fiori). … eravamo ragazzini, ci sembrava tutto bello, ma allora tutto sembrava più pulito… niente droga, molta solidarietà, amicizia… poi la musica univa tutti e tutti erano per la musica… se non c’era un complesso qualsiasi festa, qualsiasi intrattenimento non poteva esistere… al massimo con i dischi si ballava nelle festicciole a casa la domenica. Un periodo storico fantastico, unico… (intervista a Marco Carta). … un periodo meraviglioso… lontano dalla realtà. Per noi è stata come una “vacanza” prima di entrare nel mondo del lavoro… è arrivato nel momento giusto... (intervista a Franco Bernardinelli). … non c’è nessun periodo che si possa paragonare a quegli anni beat… I giovani vivevano per la musica, diventavano grandi con la musica… avevano delle speranze… oggi rischiano di diventare solo vecchi… (intervista a Pietro Biddau). … come ti ho detto io non mi sono mai considerato un beat, ero un melodico e non arrivavo mai agli eccessi. Però quegli anni sono indimenticabili, gli anni più belli della nostra vita, con una solidarietà giovanile che oggi è impensabile, senza droga e senza politica… allora la politica non si sapeva neanche cosa fosse… il mondo dei fiori è finito proprio con la politicizzazione dei giovani, che sono stati strumentalizzati nel loro entusiasmo di rinnovamento esistenziale… (intervista a Giuseppe Fiori). … guarda, io ho chiuso completamente con la musica… ho ancora il mio vecchio basso a casa, ma non l’ho più toccato da allora….ho quasi rimosso tutto. Se penso ad allora… e questa chiacchierata mi ha riportato a quel periodo in maniera molto diretta… lo vedo molto JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 39 ovattato, irreale, quasi come una fiaba… un mondo immerso in una nebbiolina di grande nostalgia… (intervista a Renato Solinas). … non sapevamo neanche cosa fosse la politica. Si seguiva il nostro ideale di musica e di società libera da pregiudizi senza pensare alla destra o alla sinistra. Eravamo tutti innamorati della musica, senza altre distorsioni… Era un periodo straordinario proprio per quello (intervista a Mario Cossu). … il periodo beat lo ricordo in maniera molto piacevole, disincantata… è stata una rivoluzione in tutti i sensi. Sono d’accordo con chi dice che il beat “ha dato le chiavi di casa ai giovani”, ha preparato tutta una generazione di ragazzi che prima non esistevano… si passava dalla scuola al lavoro, senza un periodo intermedio. Con il beat è rinata la musica, l’arte, la cultura, i ragazzi sono diventati autonomi. (…) non sono d’accordo sul fatto che il beat fosse sinonimo di qualunquismo: in realtà la politica deve molto a quel periodo che ha preparato e preceduto il 68. Forse il beat è stato proprio “l’antipasto” di tutto quello che è avvenuto dopo, oltre alla politica anche i movimenti hippie, i figli dei fiori, la cultura dell’on the road… Io sono entrato nella politica, ho cantato al Festival dell’Unità, ma non per questo ho rinnegato il beat… ad essere sinceri la fine dei complessi è stata legata a due fattori, il primo la distinzione che è nata col tempo tra musica d’ascolto e musica d’intrattenimento, e la seconda la disco music degli Anni ’70 che ha trasformato i locali in “palestre”di scalmanati cancellando la musica dal vivo. (Intervista a Antonello Manca). … il periodo beat è impossibile da dimenticare e da cancellare… ha caratterizzato un’epoca ma ha influenzato tutto, dalla moda, all’arte, alla cultura… Quello che dispiace è che è passato troppo velocemente: nel ’69 è stata la fine di un’epoca… la politica ha fatto risvegliare i ragazzi da un sogno, da un mondo di fiaba. Ecco perché si continua a parlare dei favolosi Anni ’60. Oggi si cerca di ripercorrere anche in alcuni settori, come ad eesempio la moda, quelle strade, anche se sono anni irripetibili. Il beat ha lasciato il segno, ha modificato anche tanti giudizi, tanti luoghi comuni: se oggi vedi un ragazzo con i capelli 40 PIER LUIGI CHERCHI lunghi certamente non lo critichi, può essere un ragazzo di buona famiglia, con un suo stile, non necessariamente un vagabondo… Il beat era un mondo colorato, felice che non deve essere assolutamente dimenticato… una vera rivoluzione culturale. (Intervista a Roberto Di Cola). … è stata una vera rivoluzione, dei costumi, del modo di vivere… si è voltato pagina… ma quello che più conta è che, mentre le metamorfosi sono lente e richiedono decenni, qui in pochi anni è cambiato tutto… Sono d’accordo quando dici che il periodo beat dovrebbe essere insegnato a scuola come periodo storico, come le varie guerre o i grandi cambiamenti epocali… il beat ha creato tutto un indotto di cultura, di moda, di abitudini… Qualche mese fa sono stato a Liverpool nel tempio dei Beatles... pensa che Liverpool da città di 700.000 abitanti nel periodo in cui era uno dei pochi porti per l’America, una volta chiuso il porto era scesa a 100.000 abitanti… Grazie ai Beatles la città è nuovamente cresciuta ed è diventata quello che è ora… sarà nel 2008 la capitale europea della cultura. I Beatles hanno rappresentato un volano per l’esplosione di tante espressioni culturali e commerciali… Ti dico solo che l’aeroporto si chiama Jonn Lennon… (intervista a Gianni Cocco). … quello che mi viene in mente sono i capelli lunghi e le basette che si allungavano… poi i pantaloni a zampa d’elefante che usavamo sempre nelle serate… e infine il contrasto generazionale, che è nato con il beat, con i genitori ed il mondo dei “grandi” in generale, anche se, devo dire la verità, i miei genitori non mi hanno mai ostacolato o creato dei problemi per la musica… certo, per altri ragazzi non è stato proprio così… (intervista a Lelle Valle). JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 41 GLI ANNI ’70 E ’80 MODELLI DI CULTURA E IMMAGINI SOCIALI Venti anni di storia sociale e culturale nei due decenni ’70 e ’80 rappresentano un modello evolutivo fondamentale per comprendere appieno un periodo di transizione tra il dopoguerra e l’Europa degli Anni ’90. All’inizio degli Anni ’70 è già in atto una nuova dimensione sociale, ereditata dalla rivoluzione degli Anni ’60, che inevitabilmente genera uno scontro con la classe dirigente, che si ostina a tenere in scarsa considerazione soprattutto i giovani, che dopo le conquiste maturate nel decennio precedente, vogliono realizzarsi attraverso processi formativi più adeguati ai nuovi tempi, per rivitalizzare e ristrutturare dall’interno le istituzioni pubbliche. Gli Anni ’70 rappresentano una codificazione delle spinte innovative emerse negli anni della contestazione, e la scuola è la prima istituzione ad essere interessata da questo vento di riforme la cui parola d’ordine è “Cambiamento”. I Decreti Delegati consolidano questa idea di apertura della scuola ad una partecipazione gestionale e culturale esterna, anche se molti problemi non vengono di fatto risolti attraverso la democratizzazione dell’insegnamento, in particolare il rapporto formazione scolastica-mondo del lavoro ed orientamento universitario, problema vivo ancora oggi. Gli Anni ’70 quindi si aprono con l’eco degli avvenimenti che hanno influenzato la fine degli Anni ’60, la guerra in Vietnam, Che Guevara, il “Maggio francese”, la “Primavera” di Praga, la battaglia di “Valle Giulia”, Piazza Fontana; ma, a differenza degli Anni ’60, accanto a milioni di operai scendono in piazza anche gli impiegati, il ceto medio, e persino i tecnici ed i professionisti. L’”autunno caldo” esplode in una protesta “globale”, che interessa anche gruppi sociali estranei alle lotte degli Anni ’60, verso una società ed un sistema che devono modificare le linee di tendenza. A differenza delle lotte studentesche degli Anni ’60, i primi Anni ’70 42 PIER LUIGI CHERCHI abbandonano la strada del collettivismo per dar vita ad una serie di piccoli gruppi derivanti da nuovi fermenti culturali, che si rifanno alla Scuola di Francoforte, con Horkheimer, Adorno e Marcuse, emigrati dalla Germania negli Stati Uniti, e i cui saggi, che costituiscono una critica radicale alla società industriale moderna, specie americana, e una spinta ad un impegno politico-sociale a favore dei popoli del terzo mondo e degli emarginati, vengono scoperti, tradotti e diffusi. Primo fra tutti, indiscutibile punto di riferimento per i giovani dei primi Anni ’70, fu sicuramente, il filosofo e scrittore tedesco Herbert Marcuse, che proprio negli Stati Uniti scrisse le sue due opere più rappresentative “Triebstruktur und Gesellschaft” del 1955, e soprattutto “Der eindimensionale mensch” (L’uomo a una dimensione), del 1964. “Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno del progresso tecnico”: erano queste le parole che aprivano l’opera forse più famosa del filosofo tedesco. Nell’analisi della società moderna da egli operata, che si dipanava all’interno del libro, il pessimismo era decisamente il dato più rilevante; secondo Marcuse, infatti, il modello sociale moderno aveva portato l’individuo a ridurre la propria esistenza al puro e semplice bisogno di produrre e consumare, senza possibilità di resistenza. L’uomo a una dimensione conteneva quindi una denuncia del carattere fondamentalmente repressivo della società industriale avanzata, che appiattiva l’uomo alla dimensione di consumatore, la cui libertà era solo quella di poter scegliere tra prodotti diversi; per lui non esisteva più differenza tra ciò che era e ciò che doveva essere, per cui al di fuori del sistema in cui viveva non c’erano altri possibili modi di essere. Un’altra considerazione fatta da Marcuse, che lo rese celebre presso gli studenti di quegli anni riguardava la grande importanza da lui attribuita al potere dell’immaginazione: poiché la ragione non era in grado di opporsi al sistema, l’immaginazione rimaneva l’unico strumento capace di comprendere le cose esattamente per quelle che erano, e di portare quindi ad una liberazione. Si capisce quindi bene perché questo testo, ricco di considerazioni «antistituzionali», fece breccia negli animi rivoluzionari dei giovani di allora: il suo pensiero intimamente anti-autoritario rispecchiava esat- JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 43 tamente la volontà di cambiamento radicale che animava la protesta dei giovani in tutto il mondo occidentale. Se da una parte questa sorta di postulato anarchico ha avuto il merito di determinare proposte innovative, peraltro ha portato in Italia a conseguenze negative, nella forma di violenza alle Istituzioni come la “P 38” e la lotta armata allo Stato delle “Brigate Rosse”. Gli Anni ’70, in particolare il periodo che intercorre dalla metà degli Anni ’70 all’inizio degli Anni ’80 vengono etichettati proprio come “Anni di piombo”; l’anno della svolta violenta, quello che caratterizza il periodo, è probabilmente il 1977, anno in cui, «divampò la generalizzazione quotidiana di un conflitto politico e culturale che si ramificò in tutti i luoghi del sociale, esemplificando lo scontro che percorse tutti gli anni settanta, uno scontro duro, forse il più duro, tra le classi e dentro la classe, che si sia mai verificato dall’unità d’Italia. Quarantamila denunciati, quindicimila arrestati, quattromila condannati a migliaia di anni di galera, e poi morti e feriti, a centinaia, da entrambe le parti». (Primo Moroni e Nanni Balestrini, L’orda d’oro, Milano, SugarCo Edizioni, 1988). Durante gli anni di piombo traspare peraltro molta indulgenza verso il terrorismo di sinistra, con noti terroristiche 44 PIER LUIGI CHERCHI entrano tranquillamente alla mensa della Marelli sedendosi – ammirati – al tavolo delle impiegate; in alcune scuole medie superiori e nelle Università le loro azioni ricevono applausi, mentre nei cortei si grida «Basta coi parolai, armi agli operai». Il 16 marzo 1978 gli anni di piombo raggiungono il loro epicentro, con l’agguato di via Fani a Roma, lo sterminio della scorta, il sequestro e il successivo assassinio dell’allora presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, consumato il 9 maggio 1978 da un commando delle Brigate Rosse, che definirono l’azione come «attacco al cuore dello Stato». Lentamente verso il finire del decennio gli episodi di violenza cominciano a scemare, e in particolare crolla alla base il sostegno alle Brigate Rosse dopo l’assassinio nel 1979 dell’operaio Guido Rossa che aveva denunciato un suo collega sorpreso a distribuire materiale di propaganda delle BR. L’opinione che la lotta armata potesse portare al cambiamento dell’assetto costituzionale dello Stato cessa di colpo. Lo scrittore Bifo Berardi, già esponente della sinistra extraparlamentare, ha affermato: «Alla fine del decennio settanta ogni comportamento anti-lavorista venne colpevolizzato, criminalizzato e rimosso, Corteo di femministe a Sassari JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 45 Corteo di femministe a Sassari [...] il realismo del capitale riprendeva il posto di comando, con il trionfo delle politiche neo-liberiste. Iniziava la controffensiva capitalistica, la vita sociale veniva nuovamente sottomessa alla produttività, la competizione economica veniva santificata come unico criterio di progresso. Ma, in mezzo alla estremizzazione della dialettica politica, alle violenze di piazza, all’attuazione della lotta armata e degli atti di terrorismo, alla revisione culturale di questo ventennio contribuiscono fenomeni emergenti di massificazione, quali il mercato dell’industria culturale (biblioteche in ogni comune, in ogni scuola, edicole di giornali più diffuse, editoria di massa, pur restando con indici di lettura molto bassi) e la diffusione dei mass-media, anche con la nascita delle nuove forme di comunicazione come le “Radio pirata” e le prime TV “private” che hanno il merito di aprire gli orizzonti dell’informazione al di fuori del monopolio nazionale. Nel contempo, in quest’epoca di pseudo rinnovamento, le Regioni, i Comuni, la Province promuovono una serie di iniziative, dal teatro in piazza, ai concerti negli stadi ed ai Festival di musica jazz delle “Estati culturali”, sino a mostre d’ogni genere, a programmazioni di 46 PIER LUIGI CHERCHI Corteo di femministe a Sassari film d’autore (Cineforum con dibattiti anche accesi) ed ai revival della cultura locale-tradizionale, con la riscoperta delle origini e delle proprie tradizioni. L’allargamento delle fonti culturali porta alla nascita di cooperative teatrali, di gruppi di animazione, di cooperative di arti visive, spesso gestiti e programmati in modo selvaggio, con incentivi economici più legati alla filiera elettorale che ad una crescita culturale reale. La strage della stazione di Bologna del 2 agosto 1980 sarà il punto di svolta sull’uscita dagli Anni ’70, con la fine della strategia della tensione. Le nuove generazioni, cresciute a pane e telefilm americani saranno occupate più a ballare che a pensare, in un impeto di disimpegno politico e sociale. Le piazze rimarranno vuote perché I nuovi comportamenti sociali andranno verso un ritorno al privato in luogo di un confronto collettivo. La consapevolezza della fine della fase rivoluzionaria sconforta le generazioni sessantottine che vedono un cambiamento radicale della società molto repentino, con il “riflusso”, fenomeno sociale caratterizzato da comportamenti collettivi, a livello giovanile, che teorizzano il rifiuto ad una qualsiasi forma di “impegno”, sia politico in primo luogo, ma anche culturale, con la riconquista JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 47 della vita quotidiana ed i suoi valori. I giovani, che erano stati la molla rivoluzionaria degli Anni ’60-’70, più che gli adulti, sono il vero target del consumismo di quei primi Anni ’80, che controlla le mode, orienta i comportamenti, plasma i gusti, creando di fatto un processo formativo che la famiglia e la scuola non riescono a controllare, attraverso la creazione di nuovi miti e di nuove tendenze diffusi dai media (giornali, cinema, stampa, televisione), basati sulla provvisorietà e l’effimero. In particolare la pubblicità cavalca questi fenomeni giovanili, portando sul mercato una serie di modelli da imitare per essere “al passo coi tempi”. Emblematica, a questo proposito è la figura nel cinema, agli inizi degli Anni ’80, di una giovanissima diva, definita dalla critica una “star del riflusso”, Sophie Marceau, protagonista di “Il tempo delle mele”, uno spaccato della gioventù adolescenziale francese che ha scordato le battaglie del Maggio di ormai lontana memoria, e cammina su un percorso di abiti griffati, di nuove tendenze consumistiche, di “walkman” ascoltati in discoteca per creare quasi un mondo “parallelo” espressione della nuova individualità giovanile dopo il collettivismo degli Anni ’70. Questi nuovi divi (nella scena musicale internazionale Duran Duran, Madonna, in Italia Vasco Rossi, Zucchero etc.) rappresentano una nuova categoria, che ha la stessa età dei fans e perciò è più identificabile come modello di proiezione e di comportamento personale. I divi televisivi e della musica rock si trasformano così in modelli di “self stabilisation”, in conflitto con i circuiti educativi classici rappresentati dagli insegnanti e dai genitori. I ragazzi italiani si formano con le trasmissioni TV di Canale 5, come “Drive in ”, “DJ television”, “Colpo grosso”, dove trovano spazio modelli di sottocultura metropolitana come i paninari o nuovi modelli di donna/oggetto come le nuove maggiorate (le “Fast Food”) o le ragazze “Cin Cin” di Umberto Smaila, che cancellano di colpo con le loro generose forme ben esposte tutte le lotte del femminismo degli Anni ’70 . Trasferito nei network privati Mike Buongiorno continua nel suo ruolo di tuttologo formato famiglia, esprimendo in maniera quasi informale, da grande maestro della comunicazione, le sue opinioni sulla società contemporanea, capaci di influenzare una grande parte 48 PIER LUIGI CHERCHI del pubblico, così come Costanzo, Minà e Arbore, che creano nuovi modelli di programmazione televisiva sempre poco impegnati e per lo più basati su modelli importati da oltreoceano, di grande presa sul pubblico, che trasformano i telespettatori in viventi ripetitori di pubblicità, spinti a scegliere tra popolarità e indici di gradimento, tra successo di pubblico e successo commerciale. Il 1984, proclama il settimanale Newsweek, rappresenta in America l’anno della nascita del fenomeno “yuppies” “young urban professional”, cioè giovane professionista urbano, corrispondente al seguente quadro: laureato, tra i 25 e i 39 anni, danaroso, egocentrico, arrivista, freneticamente attivo, ossessionato dalla cura del proprio corpo e del proprio aspetto, seguace di tutte le mode del momento, dal personal computer al “sushi” (piatto giapponese a base di pesce crudo, e carne, coloratissimo grazie a strane salsine). Gli “yuppies” sbarcano anche in Italia, con le pubblicità televisive che mostrano costosissime macchine con telefono incorporato (lo status symbol in quegli anni sono la Volvo 740-760 e la Lancia Thema che incarnano l’edonismo più esagerato con le loro dimensioni più vicine alle macchine americane che a quelle europee), abiti e scarpe sempre più raffinati, ristoranti esclusivi, carte di credito dorate, ostentazione della ricchezza e del denaro in una società che beve Glen Grant per dimenticare le tragedie politiche e sociali degli Anni ’70. Lo yuppie italiano Anni Ottanta abita in appartamenti esclusivi arredati con poltrone e divani di pelle bianco e nero con dettagli di acciaio cromato, con in cucina il forno a microonde, ultima novità tecnologica, e il compact disc, indispensabile oggetto da sfoggiare (le cassette erano ormai archeologiche per la loro filosofia), nonché il videoregistratore con il timer per registrare programmi a distanza. Per molti critici ancora legati alle ideologie degli Anni ’60-’70, “yuppie” diventa “sinonimo di valori gretti, assoluta mancanza d’ideali, e forse anche di idee. Insomma, un marchio di cui vergognarsi.” La seconda metà degli Anni ’80 rappresenta la svolta dell’edonismo, della voglia di affermarsi e di apparire a tutti i costi, dando più importanza all’apparenza che alla sostanza, secondo la cultura, o “sottocultura” yuppie . Cresce il progresso in campo tecnologico, nascono e si diffondono i primi computer, e la competizione tra i media televisivi. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 49 Nascono le “donne in carriera” come postulato dal bel film di Mike Nichols, e la competizione diventa un elemento dominante soprattutto nel mondo del lavoro. La donna manager, sempre più bella, efficiente ed elegante diventa il modello dell’universo femminile degli Anni ’80. Cadono i “muri” del comunismo da Berlino alla Perestroika della Russia di Gorbaciov, il consumismo è sempre più accelerato e frenetico con la diffusione a largo raggio della grande distribuzione; i prezzi salgono alle stelle con un’inflazione che arriva al 15-18% annuo. Sono gli anni dell’opulenza, del vivere molto al di sopra dei propri mezzi, in una ricchezza fondata su basi effimere: la svalutazione della lira attraverso la stampa di enormi quantità di moneta ed un abnorme incremento del debito pubblico. Sono gli anni del trionfo del liberismo e dell’“individualismo proprietario” in tutto l’Occidente, dove si afferma la formula “meno Stato più mercato”, fino a che, verso la fine degli Anni ’80 scoppia la cosiddetta “bolla economica”, a partire dal “lunedì nero di Wall Street dell’ottobre 1987, che provoca un periodo di deflazione e stagnazione dell’economia che avrà il suo epicentro nei due decenni successivi. Se il cinema rappresenta lo specchio della società, in particolare di quella italiana, possiamo confrontare questi due mondi, l’Italia “devastata” del 1977 e quella “edonistica e liberale” del 1986 attraverso due film, il primo “Porci con le ali”, che ho rivisto di recente nel mio piccolo cineforum personale, di Paolo Pietrangeli, tratto dal romanzo omonimo di Lidia Ravera e Marco Lombardo, interpretato da due giovanissimi esordienti, Franco Bianchi e Cristiana Mancinelli che, per nostra fortuna, si sono fermati a quella esperienza cinematografica, e “Yuppies” del 1986, di Carlo Vanzina, con i soliti Greggio, Boldi, Calà e De Sica. Guardare uno dopo l’altro questi due films è come vedere due mondi, uno distrutto come un post-nucleare, con una società di giovani vestiti come pezzenti che ripetono all’infinito slogan deliranti, in aule sporche con i muri imbrattati di scritte rosse, e fuori barricate, vetrine sfondate, saccheggi, gente chiusa in casa, ammalata di terrore e rassegnazione, e l’altro con una società sorridente, con begli abiti, bellissime macchine, vetrine illuminate e gente che passeggia per le strade delle grandi città in un mondo completamente cambiato, felice di vivere. Nella sua memorabile “Bandiera Bianca” (LP “La voce del padrone”, 50 PIER LUIGI CHERCHI 1982), Franco Battiato offre, con la sua straordinaria ironia, uno spaccato della società del Riflusso analizzando in maniera molto semplicistica la sconfitta delle rivoluzioni culturali e politiche degli Anni ’60’70, partendo dalle canzoni di protesta di Bob Dylan (“Mister Tamburino”, “I tempi stanno per cambiare”), ormai inutili in un mondo troppo cambiato per dei giovani ancora intrisi di nostalgia per il ventennio passato (“siamo figli delle stelle”), ma ormai proiettati verso “sua maestà il denaro” in “quest’epoca di pazzi” e di “immondizie musicali”. I trentenni ed i quarantenni coetanei del cantante, nostalgici di ideologie politiche ormai abbandonate, non possono, di fronte a questa ondata di cambiamento radicale, di “abusi di potere”, di “programmi demenziali” che alzare “bandiera bianca”, concludendo in inglese “amico mio, mio solo amico, questa è la fine…”. Ma la maggioranza dei giovani non è di questo avviso, e, anziché la fine, il mondo dorato degli Anni ’80 è solo l’inizio di una nuova era, dopo “L’era del cinghiale bianco” dello stesso Franco Battiato. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 51 BANDIERA BIANCA Franco Battiato (1982) Mr. Tamburino non ho voglia di scherzare rimettiamoci la maglia i tempi stanno per cambiare siamo figli delle stelle e pronipoti di sua maestà il denaro. Per fortuna il mio razzismo non mi fa guardare quei programmi demenziali con tribune elettorali e avete voglia di mettervi profumi e deodoranti siete come sabbie mobili tirate giù uh uh uh. C’è chi si mette degli occhiali da sole per avere più carisma e sintomatico mistero uh com’è difficile restare padre quando i figli crescono e le mamme imbiancano. Quante squallide figure che attraversano il paese com’è misera la vita negli abusi di potere. Sul ponte sventola bandiera bianca sul ponte sventola bandiera bianca sul ponte sventola bandiera bianca sul ponte sventola bandiera bianca. A Beethoven e Sinatra preferisco l’ insalata a Vivaldi l’uva passa che mi dà più calorie uh! com’è difficile restare calmi e indifferenti mentre tutti intorno fanno rumore in quest’epoca di pazzi ci mancavano gli idioti dell’orrore. Ho sentito degli spari in una via del centro quante stupide galline che si azzuffano per niente minima immoralia minima immoralia e sommersi soprattutto da immondizie musicali. Sul ponte sventola bandiera bianca… minima immoralia... The end my only friend this is the end sul ponte ecc. 52 PIER LUIGI CHERCHI JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 53 SASSARI NEL PASSAGGIO FRA GLI ANNI ’70 E ’80 La Sassari della seconda metà degli Anni ’70, nel pieno degli “anni di piombo” si presenta come una città più tranquilla rispetto alle metropoli del continente, devastate dalle lotte politiche tra fazioni opposte, dai sequestri, dalle rapine per finanziare la lotta armata, dalle “spese” proletarie, dagli attentati e omicidi, dalle bombe nelle piazze e nei treni. Il terrore che si respira nelle grandi città, amplificato dai mezzi di informazione che ogni giorno fanno la conta delle stragi e delle violenze di piazza, è al minimo nella nostra città dove gli estremismi politici sono abbastanza controllati, aldilà dei tumultuosi comizi di Giorgio Almirante in Piazza d’Italia che richiamano una grande folla di contestatori e di forze armate in assetto anti-sommossa. In questo scenario si inseriscono dei modelli di sottocultura metropolitani, simili a quelli descritti sulle scalinate di Trinità dei Monti a Roma negli Anni ’60 o in prossimità di altri monumenti in altre città italiane. Sono i Monumenteros, giovani trasandati, vestiti in maniera “hippie”, con zoccoloni e jeans sdruciti, che, seduti ai piedi del monumento a Vittorio Emanuele II in Piazza d’Italia, accompagnandosi con le loro chitarre e bonghetti, intonavano canzoni 54 PIER LUIGI CHERCHI rivoluzionarie o più semplicemente brani popolari che si rifacevano comunque ad un certo contenuto sociale. Il termine nacque in maniera spontanea, accostato dai perbenisti de La Nuova Sardegna ai Montoneros i guerriglieri di uruguaiana memoria. I Monumenteros, deriva pacifista dei movimenti degli Anni ’60, un misto di “figli dei fiori”, “indiani metropolitani”, “femminismo” e “tardo-beat”, in realtà non davano fastidio a nessuno, chiusi nel loro mondo di spiritualità e contestazione verso la società, ma la gente non li vedeva di buon occhio, per i “cannoni” che circolavano in maniera poco velata e anche per quelle bottiglie di birra vuote e quelle lattine che restavano come testimonianza della loro permanenza tra chitarre e flauti. Col tempo questo degrado spingerà le autorità a recintare il monumento impedendo in maniera forzata la sosta sotto la statua regale. Uno dei Monumenteros di piazza d’Italia a Sassari della metà degli Anni ’70, noto con il nomignolo di CK, era Mario Chessa, nato a Ittiri, trasferitosi a Bologna, nel 1977 per iscriversi al Dams, un corso di laurea nato in quella tradizione democratica ben radicata nella città che Pasolini definiva «comunista e consumista». Faceva parte di Lotta Continua e anche a Bologna si ritagliò un posto in prima fila nel movimento dei ragazzi del ’77, anno della nuova esplosione dei movimenti JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 55 I Sanbabilini nel film di Lizzani rivoluzionari, con il volto dipinto da indiano metropolitano. Oggi Mario si chiama Dom Ildefonso Chessa, è monaco olivetano (dove «dom» distingue i benedettini dal clero secolare, i cui sacerdoti usano invece il titolo «don»). Non rinnega nulla del passato, al contrario. Il suo percorso religioso è iniziato vent’anni fa ma è culminato nel 2005 quando ha preso i voti ed è entrato a far parte dei monaci dell’abbazia di Santo Stefano, una delle chiese più antiche di Bologna. In quegli Anni ’70, ai Monumenteros di Piazza d’Italia, da sempre feudo dei ragazzi di si- 56 PIER LUIGI CHERCHI nistra, si contrapponevano i ragazzi di destra, sempre vestiti in maniera elegante con stivaletti a punta, Ray Ban, giubbotti di renna o giacche e camicie attillate, golfo alla dolce vita o pullover sulle spalle, che stazionavano in due Bar della via Roma, specie nella parte alta, “da Silvio”, evitando di invadere il territorio nemico. Questi ragazzi erano i cloni dei Sanbabilini della Milano bene, occupanti un’area meneghina, quella appunto di Piazza San Babila che rappresentava un territorio minato per gli antagonisti di sinistra. I Sanbabilini rappresentano, nel momento storico considerato, un modello di sottocultura metropolitana con ragazzi ben tipizzati anche dal punto di vista visivo, stazionanti in bar assolutamente identificabili dal punto di vista del colore politico (come il Motta a Milano così il Caffè Silvio a Sassari). Piazza San Babila rappresentava l’avam- Ray Ban, golfi alla dolce vita, camicie attillate, catene d’oro, capelli corti e visi sbarbati: il look dei ragazzi di destra JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 57 Piazza d’Italia nel restailing Anni 2000 Viale Italia, Piazza Marconi e il Liceo Scientifico quando c’era il distributore posto della destra estrema. Spesso gli iscritti del Movimento Sociale Italiano chiedevano l’aiuto dei Sanbabilini per il servizio d’ordine e per l’affissione dei manifesti durante le campagne elettorali. Carlo Lizzani, nel 1976, realizza un bellissimo film “San Babila ore 20. Un delitto inutile”, liberamente ispirato all’omicidio della sedicenne Olga Julia Calzoni, studentessa del liceo Volta, il 26 marzo 1976, ad opera di Giorgio Invernizzi e Fabrizio De Michelis, due giovani sanbabilini in un’intervista lo stesso regista dichiara: «Sono arrivati a Milano i delitti freddi, glaciali, incomprensibili. L’alta borghesia milanese ha responsabilità sociali gravissime». 58 PIER LUIGI CHERCHI L’Emiciclo Garibaldi negli Anni ’70 Piazza d’Italia ai tempi dei Monumenteros JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 59 Lo splendido accesso Art Deco della Scuola Elementare San Giuseppe, testimonianza architettonica del ventennio fascista La squadra di pallavolo della Silvio Pellico negli Anni ’70 : si riconoscono Giampiero Galleri, Carlo Lodde, Mario Coni, Emilio Vaccaneo, Mario Deriu, Giampaolo Galleri, Ciccio Rubattu, Gianni Noli e Ruggero Lifrieri 60 PIER LUIGI CHERCHI L’ex Caserma Ciancilla a Sassari: altro gioiello Art Deco trascurato e mai valorizzato. L’edificio più antico era nato nel 1936 come Caserma della Milizia Volontaria di Sicurezza Nazionale (altrimenti nota come “Milizia Fascista”), intitolata a Damiano Ciancilla Un’altra veduta della costruzione del periodo del Littorio JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI Il Palazzo di Giustizia di Sassari: imponente costruzione monumentale degli Anni ’30, altro capolavoro architettonico del periodo del Littorio. All’interno del Palazzo si segnalano per pregio artistico il mosaico di Giuseppe Biasi, sito lungo la scalea centrale, raffigurante la Pace e la Giustizia, e, nell’aula della Corte d’Assise, i bassorilievi in trachite di Eugenio Tavolara e Gavino Tilocca La Fontana di san Francesco tra l’Università e il Liceo Azuni: crocevia per la grande maggioranza degli studenti sassaresi degli Anni ’70 61 62 PIER LUIGI CHERCHI A parte questi estremismi politici esisteva a Sassari tutta un’area moderata, spesso etichettata come “qualunquista”, occupata, dopo le ore dedicate allo studio o al lavoro, a fare le “vasche” in Piazza d’Italia e Via Roma fin su al Tribunale solo per incontrare ragazze e cercare un approccio dopo una miriade di sguardi e sorrisi. Questo passeggiare avanti e indietro era un rito collettivo della Sassari di allora, non riservato solamente ai giovani, ma anche ai professionisti (che preferivano l’angolo dei Portici Crispo), agli intellettuali di una certa età, agli impiegati, alla gente comune che aveva comunque superato i trentanni. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 63 RADIO LIBERE E CONTROCULTURA In Italia prima degli Anni ’70 esisteva in tutto il territorio nazionale solo il Monopolio RAI, un unico soggetto capace di creare programmi, trasmettere giornali radio, telegiornali e notizie di cronaca senza che gli utenti fossero minimamente a conoscenza delle fonti e delle origini di quelle notizie su cui venivano confezionati gli approfondimenti. In questo panorama, desolante per l’informazione, nacquero a Sassari le prime radio libere, come Radio Holiday e Radio Sassari Centrale insieme a Tele Sassari del grande Benito Castangia (oggi “Bencast”). «Qui Radio Bologna per un’informazione democratica»: ecco l’annuncio della prima radio libera in Italia il 23 novembre 1974. Un palinsesto inventato lì per lì, ma deciso già in linea di massima prima di partire, con una declinazione tutta pubblica e d’interesse generale. «Avevamo paura che in vacanza della legge ci impedissero di andare avanti», ricorda il regista Roberto Faenza. «La scelta cadde sulla radio perché eravamo convinti che fosse il mezzo di comunicazione più potente, quello che raggiunge più persone e si ascolta in ogni momento, senza impegno». Ne è convinto anche Rino Maenza: «Per fare comunicazione e cultura la radio è il mezzo più versatile e incisivo, con un’elasticità che gli altri non hanno. È quella che meglio ti consente di penetrare nella società. Risulta anche oggi, con l’audience in crescita costante. Bei tempi, allora. Bastava un’antennina, e con mezzo watt coprivo quasi tutta la provincia di Bologna», Così, da quella roulotte bianca nella vecchia fattoria sul colle dell’Osservanza, si andò in onda «senza chiedere il permesso» (era il titolo di un manuale di Faenza che in quel 1974 fece clamore). Un radioamatore di Treviso aveva messo a disposizione il trasmettitore militare che il tecnico mago Salerno taroccò ritoccando le frequenze. Non solo comizi e quartieri, ma anche buona musica, jazz raffinato e John Cage. Ospiti prestigiosi come Livio Zanetti, allora direttore dell’Espresso, che in- 64 PIER LUIGI CHERCHI tervenivano; il sindaco Zangheri disponibile a mandare in onda i suoi interventi. Insomma, l’accoglienza fu buona e non solo a Bologna. Stipati in dieci nella roulotte, magari facendo confusione con i nastri e rovesciandosi addosso il caffè bollente durante la diretta. Mentre all’esterno, dentro una jeep anonima con un’antenna di cinque metri sul tetto, due sconosciuti registravano tutto. Il Grande Orecchio della Rai? Faenza spiega che le loro trasmissioni furono riversate sui canali di servizio dell’ente. E Ettore Bernabei, il direttore di allora, organizzò a Roma un gruppo di ascolto e un meeting sul fenomeno bolognese. Pare che ripetesse: «Ma chi sono questi?». Articolo tratto dal Quotidiano Il Resto Del Carlino, Bologna spettacoli, Sabato 22 novembre 2014 JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI Articolo tratto da: Millecanali, Anno II, n. 4-5, Aprile-Maggio 1975 65 66 PIER LUIGI CHERCHI LE RADIO “PIRATA” (da La Nuova Sardegna 14 settembre 1975) «Da oggi in funzione Radio Nord Ovest» era il titolo di un trafiletto sulla «Nuova Sardegna» del 14 settembre 1975: «Oggi entrerà in funzione la prima emittente libera per la zona di Sassari e paesi limitrofi. L’emittente trasmetterà sulla frequenza dei 98 mhz - modulazione di frequenza». Quelli che l’articolo definiva «organizzatori» (Bruno Pallavisini, Cosimo Filigheddu, Pierpaolo Erre, Salvatore Pintore, Vito Tilocca, Checco e Gigi Bua) in pochi mesi trasformarono l’emittente in Radio Sassari Centrale, con sede in via Canopolo 24: indirizzo che fu luogo obbligato di passaggio, lavoro, dibattito, passione ed elaborazione politica di decine di giovani sassaresi i quali avrebbero collaborato per un paio d’anni – fino alla cessazione delle trasmissioni, nel maggio 1978 – con la prima «radio libera» cittadina. Cosi come avveniva a Cagliari dalla primavera precedente con Radiolina, e contemporaneamente in tutte le realtà urbane del Paese. In realtà all’inizio il fenomeno venne etichettato come quello delle «radio pirata», perché le emittenti eludevano la legge che fissava rigidamente le frequenze, controllate dalla Polizia postale. Poi quelle radio sarebbero diventate «private» e infine «commerciali», e in questa parabola lessicale c’è tutta l’evoluzione e il declino di un mondo che film come Radio Freccia di Luciano Ligabue o Lavorare con lentezza di Guido Chiesa hanno evocato con rispetto e un po’ di nostalgia. Quella stagione di quarant’anni fa pare davvero di un altro secolo. In quel 1975 il pianeta Terra supera la soglia dei 4 miliardi di abitanti, un operaio della Fiat deve affrontare con uno stipendio di 154 mila lire un’inflazione al 19 per cento e per comprare un quotidiano servono 150 lire. Al bar una tazzina di caffè costa 120 lire, la benzina è a 305 lire al litro e il latte a 260. Il decennio del «boom», dal 1955 al 1965, ha insegnato agli italiani a spendere, fare le vacanze, consumare e produrre in maniera nuova. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 67 Una nuova classe si è presentata sullo scenario sociale, non più legata alla divisione del lavoro ma al consumo: per i giovani si fabbricano musica leggera, moda, accessori e motorini, ma le inquietudini e gli ideali di quei ragazzi diventano anche consapevolezza politica. Per la prima volta, alle amministrative di giugno, hanno votato i diciottenni, decisivi per determinare una svolta storica: la Democrazia Cristiana arretra di oltre tre punti rispetto alle politiche del 1972, e il Partito Comunista raggiunge il 33 per cento dei voti, con un’avanzata anche del Psi. Il più grande successo della sinistra del dopoguerra porta il Pci a essere il primo partito nelle grandi città. Anche a Sassari tira la stessa aria: sindaco è il socialista Fausto Fadda, presidente della provincia il comunista Giommaria Cherchi. Politica e musica sono le grandi passioni giovanili, anche a Sassari. Al Teatro Verdi, a febbraio, si è esibito Francesco De Gregori; poi a maggio, sempre al «Verdi», Francesco Guccini e l’11 in piazza d’Italia un grande concerto gratuito della Premiata Forneria Marconi. In tv la puntata conclusiva di quella che sarebbe stata l’ultima edizione di Canzonissima sancisce il 6 gennaio 1975 nella sezione folk la vittoria de «Lu maritiello» di Tony Santagata, che sconfigge la mistica e rassicurante versione del «Deus ti salvet Maria» cantata da Maria Carta. La delusione dei sardi diverrà irritazione per il successo nazionale e poi planetario di «Padre padrone» di Gavino Ledda. Come dire: ecco, per il mondo esistiamo non per le nostra identità ma per le botte che prendiamo dallo scontro con la modernità. Ma tanti sardi prendono coscienza della propria storia, e di come il teatro possa raccontarla: nelle piazze del circuito Arci spopola «Su connottu» di Romano Ruju messo in scena dalla Cooperativa Teatro di Sardegna. La musica che «passa» sui canali radio Rai e Radio Montecarlo è quella da hit parade («Sabato pomeriggio» di Claudio Baglioni, «Amore grande amore libero» del Guardiano del Faro), ma il 1975 è anche l’anno dei «cantautori»: De Gregori pubblica «Rimmel» e collabora al «Volume 8» di Fabrizio De Andrè, Edoardo Bennato incide «Io che non sono l’imperatore», Lucio Dalla «Anidride Solforosa», Antonello Venditti sfonda con «Lilly», Claudio Lolli canta le «Canzoni di rabbia». Questi 68 PIER LUIGI CHERCHI artisti, per quanto sorretti dall’industria discografica, stentano a trovare canali di diffusione. I programmi Rai «Alto gradimento», «Per voi giovani» e «Supersonic» hanno comunque negli anni precedenti formato un gusto alternativo, e stimolano a trovare o stabilire altri modi di comunicazione. Spazio che viene riempito dall’irruzione delle radio pirata. L’inno, il manifesto del fenomeno lo sta scrivendo un ventitreenne di Milano, Eugenio Finardi: «Amo la radio perché arriva dalla gente / entra nelle case e / ci parla direttamente / se una radio è libera / ma libera veramente / mi piace anche di più / perché libera la mente». È anzitutto la tecnologia che permette di «liberare la mente»: la Citizen Band, banda cittadina, trasmettitori radio a bassa potenza diffusi tra i radioamatori. Completano l’hardware un’antenna, un amplificatore, un paio di microfoni e un giradischi. Poi dischi, giornali dai quali recuperare notizie e un gruppo di persone che abbiano tempo, passioni musicali e coscienza politica. Altro elemento imprescindibile è il telefono: gli ascoltatori intervengono in diretta, sia per alimentare i dibattiti su mille temi locali o nazionali, e sia per sfruttare la magica opportunità delle «dediche» musicali. L’immediata conseguenza della facilità di intrapresa e della diffusione delle emittenti (tra il 1975 e il 1976 passano da poche decine a oltre seicento in tutto il territorio nazionale) è quella del consolidarsi di una cultura comune. Anzi, come si diceva allora, di una «controcultura»: i palinsesti, i brani musicali, le modalità di intervento nel dibattito su cronache locali e nazionali sono molto simili da Milano a Palermo. Sente di «fare la radio» non solo chi parla nei microfoni ma anche chi la ascolta: il modo più a portata di mano per praticare via etere quella stessa democrazia «assaggiata» nelle assemblee studentesche e operaie. La musica diventa repertorio linguistico, formalizzazione condivisa di codici di comunicazione. Di ciò la radio si fa veicolo ma anche modello: caso esemplare del medium come messaggio teorizzato da Marshall McLuhan. Nel veloce dissolversi di tali dinamiche, deluse anche dal modo in JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 69 cui la sinistra istituzionale gestisce la vittoria elettorale, sta anche l’esaurirsi della vitalità di quelle emittenti, più del mancato «salto» imprenditoriale che solo alcune di esse sono riuscite a fare. La parabola delle radio libere è la stessa dei movimenti giovanili e delle utopie degli anni Sessanta e Settanta, per la vulgata odierna preambolo naturale dell’esplodere delle violenze di piazza e del terrorismo rosso degli anni di piombo. Certo è che poi sono seguiti anni di plastica e cialtroni, quegli Anni ’80 segnati simbolicamente da una data, il primo agosto del 1981: allora MTV iniziò le proprie trasmissioni con il videoclip della canzone dei Buggles «Video killed the radio star», e per molti quella è la metafora – particolarmente adatta al caso italiano – che meglio inquadra l’«assassinio» delle radio libere da parte della tv commerciale. 70 PIER LUIGI CHERCHI LA PRIMA RADIO LIBERA Pillole di Pasquale Porcu La prima radio libera a Sassari ha cominciato a trasmettere il 14 settembre 1975 da una casa in costruzione nella zona di Monte Oro. Ai microfoni, fin dalle prime ore, si alternavano una serie di persone. Ma da subito i programmi di maggiore successo erano quelli condotti da Pasquale Porcu e Pier Paolo Erre che mandavano in onda le novità musicali del momento grazie ai dischi presi in prestito dalla discoteca Regina di via Brigata Sassari. Pian piano, però, sono nate delle rubriche speciali: dal cinema (con Marco Magnani e Antonello Grimaldi) alla musica classica (con Antonello Squintu e Antonio Dalerci), all’arte (con Argo, Domenico Panzino), alla musica con dediche (con Tonino Sanna). C’era spazio anche per la satira con Marco Foddanu, Pasquale Porcu e i testi di Cosimo Filigheddu. L’emittente, ovviamente, non aveva alcuna autorizzazione e per paura di essere intercettati dalla Polizia Postale, si diceva che la radio trasmetteva da una mongolfiera. Nell’estate del 1976 la Radio ha dovuto abbandonare la sede di Monte Oro e trasferirsi in una soffitta di via Mancaleoni mentre la redazione si era spostata in via Pettenadu. Dalle ceneri di Radio Nord Ovest è nata Radio Sassari Centrale, in via Canopolo,animata da Bruno Pallavisini, Giancarlo Cubeddu e altri. Al microfono sempre Pasquale Porcu. Antonello Grimaldi, Marco Vannini, Giuliana Altea, Cristina e Loris Nadotti e una redazione nutrita con, tra gli altri, Francesco Pigliaru, Bruno Paba . L’emittente si è subito strutturata con una redazione giornalistica vera e propria e ha cominciato a trasmettere la cronaca delle sedute comunali e la diretta dei più importanti fatti della vita cittadina, dall’arresto di Dario Fo alla festa elettorale in piazza d’Italia per il “sorpasso” del Pci nel 1976. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 71 MUSICHE E DEDICHE NELLA NOTTE Contributo di Pier Luigi Piredda C’erano una volta le radio libere, ora sono diventate le più ascoltate nella modulazione di frequenza, ma all’inizio erano conosciute come Radio Pirata. Trasmettevano sulla modulazione di frequenza e venivano sistematicamente oscurate e poi spente dai giudici. Una battaglia che è andata avanti per anni, fino al 1976 quando finalmente arrivò la legge che liberalizzò l’etere. Le radio pirata trasmettevano dagli scantinati o dalle soffitte, con sistemi di fortuna e un segnale debolissimo. Ma facevano tendenza. Era la novità. Una gran bella novità che tutti volevano provare. Non era facile lavorare in una radio e riuscirci era come coronare un sogno. Un trasmettitore scalcagnato messo insieme da un bravo tecnico, due giradischi di quelli che regalavano con i mitici volumi di Reader’s Digest che a quei tempi facevano bella mostra in ogni casa e un registratore a cassette oppure ancora prima quelli con il nastro da riavvolgere. I dischi bisognava andare a recuperarli fuori dalla Sardegna. Li compravano gli amici che andavano “fuori” e tornavano a Sassari con le valige piene di dischi Lp, occhiali da sole Ray Ban e stivaletti Camperos. Erano i mitici Anni ’70. Gli albori della musica commerciale. L’inizio di una rivoluzione che ha cambiato il mondo. Solo e soltanto con la musica. Ricordi sbiaditi che riaffiorano prepotenti quando si prova a tornare indietro nel tempo. Ragazzi. Voglia di vivere. Voglia di ribellione. Bei tempi. Tempi eroici. Chi li ha vissuti è stato un privilegiato. Chi non li ha vissuti resta spesso a bocca a aperta ad ascoltare i racconti di un’epoca indimenticabile. I primi vagiti di una radio pirata nel mondo allora sconosciuto 72 PIER LUIGI CHERCHI della modulazione di frequenza, che si cibava della musica lontanissima di Radio Lussemburgo, erano venuti fuori dal cuore del centro storico di Sassari. Da un minuscolo appartamento poco distante dal Comune. Lì era nata e aveva iniziato a trasmettere musica Radio Sassari Centrale. Un gruppo di giovani che volevano cambiare il mondo e che provavano a farlo anche con la musica. Ma il primo vero segnale di cambiamento di un mondo sconosciuto era arrivato con Radio Nord Sera. La sede era sempre nel cuore della città e il punto di riferimento era il pungente giornalista Pino Careddu, penna raffinata e spietata che a quei tempi seminava il panico con il suo mitico giornale “Sassari Sera” che menava randellate a destra e a manca. Radio Nord Sera era una radio con ottima musica e anche notizie: grande novità. Il programma più seguito era quello della notte con il grandissimo Augusto che trasmetteva la musica più bella che mai nessun altro ha più mandato in onda. Forse anche perché erano le prime volte che si potevano ascoltare EllePi fino a quel momento sconosciuti. In quel periodo era nata anche Radio Alternativa, che da destra faceva da contraltare alla sinistrorsa Sassari Centrale. Trasmetteva da via Roma. Poi, erano arrivate le radio commerciali. La prima nel panorama sassarese l’aprì Orlando Bajardo, un estroso inventore, talvolta burbero, ma davvero una persona eccezionale. La Radio di chiamava Radio Holiday e ad ascoltarla si respirava l’aria della vacanza e della spensieratezza. Indimenticabili i programmi di Doroty, di Pablo e di Patty. E come dimenticare il mitico “Flyman” Gianni Davis, strepitoso intrattenitore, educato e ironico, un personaggio incredibile che a quei tempi girava in città con un meraviglioso Duetto rosso Alfa Romeo. Facevano tutti programmi di tendenza, dei quali si parlava per strada e nei bar. Senza scordare i primi programmi in sassarese con battute che è meglio lasciare perdere e le canzoni che fino a quel tempo si potevano ascoltare solo nelle bettole e nelle feste rionali e che erano state all’improvviso trasformate in patrimonio di tutti, patrimonio della città. Perché di quello che si ascoltava alla radio si parlava l’indomani per strada e nei bar. Si rideva e si ricordavano le battute più belle che sono rimaste nella storia delle radio libere sassa- JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 73 resi. Un fenomeno incredibile. Sull’onda di Radio Holiday era arrivata Radio Giovane con le indimenticabili trasmissioni notturne “acchiappafemmine” del patriarca della famiglia proprietaria dell’emittente e dell’accattivante Gianni Davis con la sua voce suadente. Diversa da quella rauca di Max, da quella spumeggiante di Giulio, da quelle dolcissime e sognanti di Doroty e Patty e da quella sorniona tutta sassarese di Ico “Bachisio”. A quei tempi, tutte le radio durante la notte non erano da meno con programmi di dediche e richieste che coinvolgevano soprattutto i lavoratori notturni, i ricoverati in ospedale negli istituti e un po’ tutti quelli che vivevano la loro vita al chiarore delle stelle. E come non ricordare Radio Città, messa in piedi dal giornalista Enrico Porqueddu e coordinata dall’inossidabile Alda, sempre presente e attenta a ogni particolare. E Radio Zero dei fratelli Gianni e Lucio Coni che portarono lo sport sassarese nelle case di tutti? Con il passare del tempo le radio libere erano diventate numerose. Erano così tante che è anche difficile ricordarle tutte: Radio Oasi, Radio Alfa, Radio Amica, Radio Alternativa, Radio Sassari Centrale, Radio Antenna Nord, Radio Zero, Radio Città Radio Nord Sera, Radio Giovane, Radio Venere, Radio Holiday. Tante, troppe. Tanto che infatti ora a Sassari ne sono rimaste soltanto due di quei tempi eroici: Radio Zero e Radio Venere, oltre a Radio Latte e Miele nata da una costola di un’altra radio di quei tempi. Un po’ come le televisioni. Inizialmente ce n’erano due: Teleobiettivo Sardegna messa in piedi da un grande regista e cultore delle immagini e della fotografia come Benito Castangia. E Tele Etere, gioiellino tecnico dell’indimenticabile Roberto Spano che aveva tradotto in tv l’entusiasmo di tre amici lungimiranti che avevano precorso i tempi realizzando qualcosa di davvero eccezionale per una città come Sassari di quegli anni: il medico radiologo Piero Bua, proprietario del Policlinico Sassarese, il notaio Gaetano Porqueddu e il costruttore Antonello Poddighe. Tempi belli. Poi sono arrivate altre tv che hanno avuto vita breve. E ora ne sono rimaste soltanto due: l’inossidabile Telegi e, da qualche settimana la neonata ambiziosa Canale 12. 74 PIER LUIGI CHERCHI POLITICA, PUBBLICITÀ, ANEDDOTI Racconto di Giò Capitano In tema di Radio Libere a Sassari, un racconto di Giò Capitano dal suo sito personale http://www.capitano.biz/RADIO_SASSARI.htm “Era il lontano 1976, quando mi proposero di trasmettere a Radio Alternativa. Grande onore per me indipendentemente dal colore politico di appartenenza di quella emittente. A me non riguardava niente. A me interessava trasmettere musica. Erano i tempi della protesta politica. Eppure alla radio veniva trasmessa tutta la musica senza distinzione di colori. La cosa un po’ più tetra era la sigla di apertura del Notiziario di Mirko Addis, che era dei Krawzwork dal titolo Radioactivity. L’emittente JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 75 trasmetteva da viale Umberto ed esattamente dal palazzo dirimpetto alla caserma della Guardia di Finanza.Era una delle prime radio libere di Sassari. La prima di tutte, se non ricordo male, era Radio Antenna Nord. Le più famose e seguite erano invece Radio Holiday, Radio nord Sera, Radio Giovane, e Radio Città. A Radio Holiday, di proprietà di Oolando Bajardo, trasmettevano la famosissima e bravissima Patty Maresu e Clemente Biasizzo. Nel frattempo nascevano altre tre emittenti Radio Alfa, Radio Venere e radio Oasis. Per dissidi interni tra Baiardo e Clemente, a Radio Holiday avvenne una scissione che vide passare Patty e Clemente alla nascente radio Alfa diretta abilmente da Gianni Bracceri e di proprietà di Sandro Delogu. Gianni Bracceri, Fac totum riuscì con questa operazione a levare la scena a tutti gli altri. Scalpitava però anche Radio Giovane che con lo spettacolo di Bacchisio, che in realtà non era altri che Ico Ribichesu in una esilarante imitazione del classico pastore sardo, dai modi poco ortodossi, riuscì comunque a salire nell’indice di gradimento della gente. L’imput fu fortissimo e con l’ausilio del Programma notturno dal titolo, “In confidenza”, con Gianni Davis, Radio Giovane 76 PIER LUIGI CHERCHI si posizionò prepotentemente tra le prime. Nel frattempo nasceva anche Radio Zero che cambiò modo di fare radio. Iniziò a occuparsi dello sport. Insieme a Radio Holiday, ormai passata tra due mani, quella di Lino Borghesi e poi del figlio Carlo che la trasferì in via Grazia Deledda, trasmetteva la diretta delle partite di calcio della Torres. Radio Zero cambiò il modo di fare pubblicità. Coni diede vita agli sketch. Modificavano una canzone nel testo e lanciavano il messaggio pubblicitario. Questo portava l’ascoltatore a canticchiare il nome di questa o quella azienda. Anche con la radio cronaca della partita, riusciva a stare vicino al cuore dei sassaresi che non si trovavano all’Acquedotto (all’epoca il nome dello stadio era quello) famosa la frase di Coni durante una diretta... (millu mi millu mi millu mi... gol... e so’ tre...) La gente chiaramente oltre ad esultare rideva per questo modo reso volutamente comico di fare diretta dallo stadio. I tempi per chi militava in partiti politici erano duri soprattutto per le minoranze. Una sera prima dichiudere un programma, alle otto ero in attesa del mio sostituto e mi ricordo che mi assediarono. Dalla finestra della sala di trasmissione della radio, attigua al pianerottolo, comparvero delle figure di persone adulte di diversa tendenza politica rispetto a Radio Alternativa che iniziarono a mimare gesti che poco lasciavano pensare al bello. Chiaramente mi barricai all’interno e chiamai la forza pubblica che arrivò in concomitanza della persona che mi doveva dare il cambio. Da ragazzino abbastanza impaurito, ricordo che fu l’ultima trasmissione in quella emittente. Passai un lungo periodo a Radio Alfa e poi a Radio Venere dove trasmetteva Franco Postiglione che per i radioascoltatori era Maurizio. Mi stancai di restare impegnato durante la settimana e allora decisi di passare a Radio Holiday, dove mi fu proposto da Carlo Borghesi, di seguire il programma sportivo domenicale, ivi compresa la diretta dallo stadio. Intanto iniziava il riordinamento delle frequenze e pian pianino venivano acquistate dai grossi network che facendo man bassa e grazie alla alta professionalità, rubarono la scena a tutti e quindi gli ascolti, il consenso e anche la voglia. I buoni marinai si sono visti nella tempesta e attualmente l’unica radio appartenuta a quei tempi, Radio Venere, rimane ancora attiva. Poi sono nate anche le televisioni... ma questa è un’altra storia”. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 77 I PIRATI DELL’ARIA, NOSTALGIE E CURIOSITÀ Dal blog “SASSARESERIE” (sassareserie.blogspot.it) citiamo gli interventi di nostalgici delle vecchie radio private. – Radio Venere, Radio Giovane, Radio Holiday, R.T.F, Radio Nord Sardegna e vari nomi a caso. Queste erano alcune radio “Pirata” di Sassari. Fatte con poco: una radio militare, un’antenna e due o tre coraggiosi che si infilavano letteralmente il microfono in bocca per abbassare il tono della voce e farla più “toga”. Portata del segnale poco oltre il condominio con il medesimo che si incazzava perché gli entrava nella televisione “un’anno non è un secolo tornerò tornerai” al posto di Pippo Baudo. I dischi in vinile di casa ed un giradischi – rigorosamente modello Reader’s Digest – – un modo per soppiantare Radio Monte Carlo con Awanagana e la più pallosa Radio Rai. Dopo un po’ il segnale aumenta di qualche watt e qualche coraggioso si mette anche il telefono per le dediche. Passa poco ed i pionieri capiscono che è meglio mettere un “filtro” alle telefonate in diretta. I giovani sassaresi non aspettano altro che potersi sentire alla radio mentre sbeffeggiano il conduttore di turno (Flyman ha tutta la nostra solidarietà). Dopo qualche anno inizia la raccolta pubblicitaria, un successo che viene copiato immediatamente da tutte le emittenti. Le case discografiche iniziano a passare i primi dischi “gratis” per spingere il brano di turno, ed i nostri emettitori di suoni non si fanno pregare, un brano può passare cinquanta volte al giorno. Legalizzato il tutto con l’assegnazione delle frequenze, i piratoni diventano professionisti ed il gioco diventa meno divertente. Io iniziai la mia carriera in una radio che sembrava più che altro un covo di brigatisti. Era in via Pettenadu, si chiamava Radio Sassari Centrale, e “si credeva” molto alternativa e di sinistra. Ho ricordi molto nebulosi, so che trasmettevo Claudio Lolli a ripetizione: al mixer c’era il figlio di un notissimo libraio sassarese, oggi medico sti- 78 PIER LUIGI CHERCHI mato. La mia svolta commerciale venne con Radio Holiday, con sede in via Dau con il nome di battaglia di Dorothy e aiutata dal mitico Max, conducevo una rubrica di dediche al pomeriggio. Di notte c’era la più titolata dj Patty, di cui ho un ricordo di ghiandole mammarie mai più viste da allora, se non in Bay Watch. Il programma di chiamava Midway, e la sigla era un brano di Burt Bacharach. Avevamo le telefonate in diretta, ma io avevo molte lettere. Ricordo che mi scrivevano molti carcerati dall’Asinara e San Sebastiano. Era mitica la richiesta di un tale “Cannabazzu” che pedissequamente richiedeva (e io volentieri trasmettevo). “Non si può morire dentro” di Gianni Bella: la comicità fra il titolo e la condicio di carcerato del giovanotto erano irresistibili. Ricordo che la mia fu una delle prime trasmissioni in cui dovevo leggere un messaggio dello sponsor: nel mio caso era la Ditta Pistorozzi. Poi la svolta “culturale” fu la radio diretta dal direttore del “Sassarese”, Enrico Porqueddu. La radio era in via Enrico Costa, avevamo armadi attrezzatissimi con LP. Chissà se qualcuno ricorda... gli LP più usati venivano lavati (sì avete letto bene) con il detersivo dei piatti e asciugati alla perfezione. Le richieste in quella radio avevano una cifra stilistica ben diversa. Se amo il soul lo devo proprio a quegli anni, avevo una decina di ascoltatori che stilavano richieste incredibili che andavano da Marvin Gaye, passando da Little Richard, a Aretha Fran- JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 79 klin. Altro che Radio Freccia. Non avevamo una lira, e non ci interessava nemmeno. E quante papere, e quanti solchi sbagliati... (Dorothy). – Un cammino molto simile a quello di Dorothy il mio con la piccola differenza che la (per cosi dire) carriera radiofonica cominciò con una radio di segno politico diametralmente opposto: Radio Alternativa. Era il 1977 e andavamo in onda grazie a un trasmettitore da guerra messo a disposizione dalla mitica signorina Fusaro. Gli studi erano in una soffitta di via Roma (sopra la sede del MSI)… Non sto a raccontarvi le centinaia di telefonate di insulti e minacce che puntualmente ricevevamo ogni giorno (ricordatevi che era il 1977) ma noi indomiti (e molto spesso cagati sotto) “continuavamo a divulgare il nostro credo”. Il bello stava nel fatto però che “il nostro credo” piaceva poco anche ai capoccia del partito e quindi molti di noi (io tra i primi) lasciarono la “radio dei fasci” per cercare altri lidi. Fu così che approdai (e qui cominciano le similitudini con Dorothy) a Radio Città che per dirla come lo si diceva allora era: “l’emittente radiofonica del giornale “Il sassarese”. Enrico Porqueddu che ne era il padre, il padrone, il direttore, l’anfitrione etc. mi aveva dato carta bianca e non mi ricordo più quante ore di trasmissione facessi ma non posso assolutamente dimenticare due cose: la prima quando a causa di un ritardo mi obbligò tutta l’estate alla trasmissione delle 7 di mattino (con i risultati che potete immaginare visto che avevo 17 anni e la notte...) e poi le fortunate trasmissioni sportive del lunedì (che mi ini- 80 PIER LUIGI CHERCHI ziarono alla pseudo carriera di cronista sportivo) e a quella notturna del “Cassonetto”un vero e proprio contenitore che ebbe un successo notevole per quei tempi e che aveva come scopo principale quello di prendere per il culo i potenti di allora (un’imitazione del Papa ci costò una violentissima ramanzina da un alto prelato di allora con conseguente “shampoo”da parte di Enrico...). Da Radio Città (altro passaggio in comune con Dorothy) andai a Radio Holiday (allora tra le più ascoltate). Il patron era Orlando Bajardo un personaggio “particolare” ma allo stesso tempo una bravissima persona. Continuai con lo sport e anche qui non mancarono episodi straordinari come quello che ci vide protagonisti di un’intervista all’allora allenatore del Cagliari Mario Tiddia dopo una sconfitta in casa per tre a zero e dopo aver rifiutato interviste persino a Videolina. La straordinarietà stava nel fatto che il povero Tiddia non sapeva di essere in diretta nè tantomeno con una radio sassarese e si mise per circa mezz’ora a sputtanare società e giocatori cagliaritani... Non trascurai comunque i programmi musicali con le richieste in diretta. A dire la verità lo si faceva soprattutto perchè ogni tanto si “cuccava” anche se spesso il target dell’età delle ascoltatrici era per così dire elevato. Personaggi mitici a Radio Città la segretaria speacker Alda, il mitico Pino che trasmetteva le canzoni degli Anni Venti che noi ironicamente chiamavamo “Pino il solitario”, ma anche il grande e compianto dsignor Manconi forse il critico d’arte più importante in città in quegli anni, sino a Giuseppe Fiori (GreenTony) allora voce dei Bertas e tanti altri. A Radio Holiday (oltre alla citata Patty) mi ritornano in mente la voce profonda (e rauca dalle 1000 sigarette quotidiane) di Clemente o gli occhi azzurri della bella Linda.. Ah... quanti personaggi... quanti ricordi. Dopo un fugace ritorno a Radio Città decisi che con l’età matura era il caso di smetterla di stare in radio a perder tempo sino a quando nel 1999 un amico (diventato nel frattempo editore) mi propose di occuparmi della radiocronaca della Torres (con l’amico Lucio Coni) per “Lattemiele” cosa che ho fatto sino all’anno scorso insieme ad altri programmi d’interviste etc. (Giulio Martinetti). JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 81 – A proposito di “Contro Zerogiornale “ Mutande lunghe Calzoncini corti!!! Quante risate con Salvatore Cugurra e Lucio Masia. E chi le trova più quelle puntate sicuramente registrate con mezzi di fortuna e messe in qualche cassetta che anche se la trovi è ormai smagnetizzata??? – A proposito di Dediche in diretta Quella volta che (la Radio non la dico...) il conduttore si era un po imburumeggiato e incitava l’ascoltatore a estendere la sua dedica a tutti i suoi conoscenti e amici:... A chi la vuoi dedicare?? A mamma !! Si e poi? A babbo !! Si e poi??? A zia Grazietta!! Si e poi?? A mia cugina Samanta!!! Si e poi?? A chissa gran bagassa di ’to suredda!!! Scusate c’è un’ interferenza... – A proposito di Radio degli Anni ’70 In pochi si ricorderanno di Radio101 e del “programmino” Voglio rivolgere un pensiero al vecchio Alessandro “Bestemmia” che ci ha lasciato tragicamente da pochi anni e che nel “programmino” 82 PIER LUIGI CHERCHI interpretava (da risate sincere...) il personaggio di Ahmed che si esprimeva dicendo per il 90% solo la parola “cazz”... Che tempi. Roba da trasmettitori da 5 watt... Era il 1975 credo... – A proposito di radio libere di Sassari... Radio Giovane, il programma della notte condotto dal capostipite della famiglia più nota di venditori di dischi di Sassari... risate da tenersi la pancia ascoltando vecchie troione che facevano le pantere col signor Carlo... e lo sputtanamento cosmico quando scoprii che una era mia vicina di casa... Il provino a Radio Città per fare lo speaker, mi misero ad improvvisare su un brano di Rick Wakeman... credo che mai esseri umani sentiranno più una mole così elevata di cazzate. Ah, i quiz di Radio Città. Vinsi un paio di LP, ricordo ancora i casini per prendere la linea e l’emozione nell’andare a ritirare i premi. Per finire ricordo le bestemmie tirate ai Dj quando tentavo di registrare le canzoni col Geloso e loro ci parlavano sopra... – A Radio Holiday entrai quando la sede era in via Cavour ed il proprietario era Lino Borghesi a quei tempi mi occupavo del Radiogiornale mattutino durante il programma di Gigi Canu poi ci venne in mente di creare una redazione sportiva con le radiocronache della Torres chi sono? Antonello Macaluso e facevo da contraltare a Lucio Masia di Radio Zero del mio staff sportivo faceva parte anche Tore Puggioni, Francesco Cuccureddu, Graziano Puggioni, Gino Macaluso, Roberto Muretto . – Da quel che ricordo io dalla famosa e già citata Radio – politicizzata – Alternativa, creata dalla triade Griscenko, Addis (Mirko, il patron dell’Istituro Europa) e Postiglione il gommista, per ’partenogenesi’ (e forse a causa di dissidi tra i tre) videro la luce Radio Giovane, della famiglia Griscenko, Radio Amica di Mirko Addis (che trasmetteva all’ultimo piano dell’istituto Europa di Viale Umberto) e Radio Venere della famiglia Postiglione. E chi ricorda Radio Nord Sera? JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 83 CENSIMENTO DELLE RADIO LIBERE RADIO CITTÀ: titolare Enrico Porqueddu editore del giornale IL SASSARESE. Uno dei primi palinsesti proponeva dediche e programmi sportivi, la sede era in via Enrico Costa 2 a Sassari. RADIO POPOLARE: emittente sassarese dell’estrema sinistra con sede in via Arborea. RADIO NORD OVEST: nasce il 14 settembre 1975 in via Canopolo 24 a Sassari per iniziativa di: Bruno Pallavisini, Cosimo Filigheddu, Pierpaolo Erre, Salvatore Pintore, Vito Tilocca, Checco e Gigi Bua, irradia i suoi programmi dai 98,000 mhz. La Nuova Sardegna scrive: “Da oggi in funzione Radio Nord Ovest. Oggi entrerà in funzione la prima emittente libera per la zona di Sassari e paesi limitrofi. Sede invia Bettenadu 19/B Sassari. L’emittente trasmetterà sulla frequenza dei 98 mhz modulazione di frequenza”. Nel gennaio 1976 cambia nome, diventa Radio Sassari Centrale. Dura due anni, nel maggio 1978 chiude. RADIO SASSARI CENTRALE: Emittente nata nel 1976 come trasformazione della ex Radio Nord Ovest (sorta nel 1975), legata alla sinistra, la sua sede era in via Pettenadu 12 a Sassari, irradiava i suoi programmi dai 100,000 mhz, fra i programmi FILO DIRETTO CON GLI ASCOLTATORI, PRIMO PIANO - PROBLEMI DI OGGI e IL FOLK SARDO. RADIO ANTENNA NORD RADIO NORD SERA RADIO VENERE RADIO NORD SARDEGNA RADIO AMICA RADIO BLU: emittente di Sassari che ha chiuso nel 1990. RADIO SOUND SASSARI: Fm 101.300 MHz nasce nel 1988. Chiude a fine 1999 cedendo la frequenza a Radio Capital. (Ruggero Righini). MONDORADIO: Emittente di Sassari nasce all’inizio del nuovo mil- 84 PIER LUIGI CHERCHI lennio come circuito regionale, mhz 94,200, 90,700 e 102,000, sede in via Maccia D’Agliastru 53 D a Sassari. Cede la 94.200 di Monte Alvaro a RDS e il 10 settembre 2006 anche la 102.000 di Monte Oro allo stesso network e chiude. (Ruggero Righini). RADIO GIOVANE: di Giancarlo Griscenko Corso Margherita di Savoia - Sassari RADIO FRECCIA: Sassari RADIO HOLIDAY: via Dau 1 Sassari, chiuse i battenti nel 1997. MONDO RADIO ITALIA: storica emittente di Sassari ha cessato di esistere nel 1997 RADIO STELLA: è un’emittente che aveva sede in un ristorante in Largo Sisini a Sassari in una stanzetta attigua alle cucine. Durò come una chimera (Ruggero Righini). RADIO CENTRO HIFI: emittente di Sassari fondata da un rivenditore di articoli Hi-Fi, situata nello stesso negozio. Ebbe breve vita (Ruggero Righini). RADIO ALTERNATIVA: Via Roma 2 Sassari, emittente legata alla destra. RADIO ANTENNA 2000: emittente nata nel 1983, tuttora in attività. RADIO CITTA’ FUTURA: emittente di Ossi (Sassari). RADIO 101: (da non confondersi con il network nazionale) nasce nel 1976 a Sassari (vecchia) per mezzo di alcun amici di liceo della sinistra studentesca. Chiude nel 1978. RADIO NORD EST: emittente di Sassari attiva fin dal 1976 RADIO ARZACHENA STEREO: emittente di Arzachena, nata nel 1978, sede via Marconi 30, la zona di copertura erano la Gallura, la Costa Smeralda, Olbia e le isole. Fin dagli esordi, unitamente alla musica, l’emittente manda in onda i consigli comunali di Arzachena, fra i programmi cult BUONGIORNO IN MUSICA condotto da Angelo Costa. Ha chiuso i battenti nel 1996. RADIO CINQUE RADIO LATTEMIELE (Piazza castello, Sassari). RADIO ROVETO ARDENTE: emittente di Uri. RADIO K2: emittente di Bonnanaro (Sassari). RADIO PORTO TORRES RADIO CORDOBES: emittente di Poto Torres. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 85 RADIO SMASH ONE: emittente di Porto Torres che chiuse i battenti nel 1990. RADIO ALFA RADIO CITY CORPORATION RADIO EUROPA 1 RADIO SENNORI CENTRALE: emittente di Sennori RADIO STUDIO 105: emittente di Sorso RADIO OASI RADIO OASIS RADIO STUDIO 82 RADIO TIME RADIO AMICA EVANGELICA RADIO SCRASC RADIO ENIGMA RADIO DEL GOLFO RADIO PRISMA: storica emittente di Sassari, ha chiuso i battenti nel 1991. RADIO ECO RADIO INTERNAZIONALE RADIO NOVA SORSO: Fm 93.500 MHz nasce nel maggio 1975 in via Farina 58 a Sorso (Sassari) e vede la luce per mezzo dell’elettrotecnico Enrico Montis e di Pinuccio Cocco, direttore dell’emittente con la moglie Loredana Flori. Trasmette molto saltuariamente con un autocostruito di 2 watt. Diventa cooperativa e si trasferisce prima in via Silis e poi in via Fiorentina. Con l’istallazione di due ripetitori copre anche Sennori, Ittiri e parte della Romangia tramite i 96.500 e 98.500 MHz (in seguito venduti). Trasmette in diretta “i Consigli Comunali”, “La Santa Messa” e la sera “Il Rosario” in collegamento telefonico con il Santuario della Madonna dei Frati Cappuccini. Negli Anni ’80 trasferisce gli studi nella sede attuale di via Donizetti 23. Dagli Anni ’90 segue in diretta le partite del Sennori e del Sorso. Oggi rimane a distanza di 40 anni l’unica emittente del territorio. Pinuccio Cocco ricorda: “Quando ci trasferimmo nella sede di via Fiorentina acquistammo un ripetitore da 20 watt per la bellezza di 1 milione e 200mila lire. In quel periodo di grande euforia comunicativa oggi possiamo dire che stava nascendo la comunicazione di massa e per- 86 PIER LUIGI CHERCHI sonale, di massa perché l’offerta era vasta e varia, perché sfruttata un poco da tutti, dai centri sociali ai gruppi religiosi, alle stesse parrocchie; personale perché permetteva a chi non aveva mai avuto voce, di dire la propria opinione e farsi sentire da migliaia di persone”. (Ruggero Righini) RADIO ZERO: Sassari (fondata da Gianni Coni nel 1979: favolose le pubblicità del mitico fratello Lucio Coni degli Anni ’80 come “Equipaggio… immersione… blu blu blu blu… comandante, siamo a cento piedi… mandateli da Armando Muzzu!” Oppure “sto cercando un film da vedere… cosa cerca: avventura, storie d’amore, spionaggio, zero zero sette? zero zero tette? E con tutte le tette non ne avete?”, e ancora “Centrale a zebra uno, centrale a zebra uno, rispondete… zebra uno a centrale, vi sento forte e chiaro… segnalato in regione Ottava tale Danilo, eghese Biagio, preso tra due cuochi!”.) Nel 1989 da Radio Zero nasce la indimenticata TV Antenna Uno (con i “cult” di Aspirina ancora oggi cliccatissimi sulla rete), purtroppo scomparsa dalla scena nel 2013. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 87 I DECANTATI O VITUPERATI ANNI ’80 IL RIFLUSSO E L’EDONISMO REAGANIANO Cosa sono stati gli Anni ’80? Gli anni del Riflusso? Gli anni dell’Edonismo Reaganiano? Dopo il buio “politico” e intellettuale degli Anni ’70, rappresentano un ritorno dei favolosi Anni ’60, gli anni che hanno cambiato la storia del mondo? Sono stati indubbiamente gli anni in cui i mezzi di comunicazione hanno fatto sentire la loro voce, in maniera prepotente, in tutto il mondo, dall’assalto del colonnello Tejero alle Cortes di Madrid, ai colpi di pistola a Ronald Reagan, all’attentato al Papa, all’assassinio di Sadat, al “circo” di Vermicino con il povero Alfredino che ha tenuto incollata alla TV per tre giorni l’Italia intera. Sono stati gli anni dell’antipolitica, dell’individualismo più sfrenato dopo il protagonismo collettivo, la ricerca della felicità sociale, secondo l’espressione coniata dal sociologo Albert Hirschmann, dopo le battaglie sociali e ideologiche, finite con l’assassinio di Aldo Moro. Ma sono stati soprattutto gli anni dell’autocelebrazione, della noncultura televisiva attraverso la diffusione dei nuovi modelli di telefilm americani che inculcano nella mente delle persone l’immagine di un mondo irreale, svincolato dalla realtà, della cultura esasperata del proprio corpo nei riti della palestrazione, del divertimento collettivo, delle nuove identità urbane, dell’amore per il superfluo e le nuove meraviglie tecnologiche, a partire dal personal computer, ancora in erba come il mitico Commodore 64, commercializzato a partire dal 1983, vero prototipo massificato capace di arrivare in tutte le case partendo dai grandi magazzini e dai negozi di giocattoli, ad un prezzo contenuto. Il Riflusso rappresenta proprio in maniera figurata l’immagine di 88 PIER LUIGI CHERCHI questo cambiamento epocale, concentrato in un brevissimo lasso temporale, come il riflusso che segue le onde del mare: dopo un periodo di rivoluzione e di maggiore attenzione alle “cose del mondo”, segue un periodo di maggiore attenzione verso se stessi (individualismo), l’affermazione anche con metodi scorretti nel mondo del lavoro, la ricerca del benessere economico. Rispetto agli Anni ’60-’70 in cui erano saliti prepotentemente alla ribalta i giovanissimi che avevano conquistato di diritto un loro spazio nella società, negli Anni ’80 si assiste ad un ritiro dei teenager nella sfera privata, relegati al ruolo di paninari, con un’esplosione dei trentenni-quarantenni che di fatto monopolizzano tutti i circuiti sociali. Non c’è più l’attivismo dei decenni precedenti e si ritorna alla famiglia, JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 89 ai gruppi ristretti, ai circoli, agli sport-club dove abbondano tennis e impegni mondani, abbandonando l’impegno pubblico a favore del frivolo .Forse dopo tanti anni di distruzione e di disastri la società degli Anni ’80 sente proprio il bisogno di evasione, di vita vissuta per se stessi e non per gli altri, nella ricerca di una illusoria felicità secondo i modelli americani. È proprio in questo sistema di vita che proviene da oltreoceano che si inserisce il c.d. “Edonismo Reaganiano”, termine coniato all’inizio come battuta demenziale da Roberto D’Agostino, “lookologo” della mitica trasmissione “Quelli della notte”, creata nell’aprile 1985 e portata avanti fino a luglio da Renzo Arbore e Ugo Porcelli ; 33 straordinarie puntate con figure indimenticabili come Nino Frassica, Mau- rizio Ferrini, Andy Luotto, Marisa Laurito, Giorgio Bracardi e molti altri, capaci di cambiare anche il linguaggio lessicale di quegli anni e di mostrare un mondo di nuova goliardia, di allegria, di spensieratezza, di sesso e piacere, mettendo da parte “the dark side of the moon”, la facciata seria, fredda, nera della vita di tutti i giorni. Insomma la televisione, come la diffusione a livello cinematografico di pellicole di pura evasione, come i film di Vanzina che disegnano una realtà sociale 90 PIER LUIGI CHERCHI edonistica e superficiale, annegata nell’egoismo della quotidianità, costituiscono il nuovo “panem et circenses”, la volontà dei poteri forti di distogliere l’attenzione dei cittadini dalla vita politica, in modo da lasciarla a delle élite che seguono degli interessi concentrati su un numero limitato di individui. Il termine “Edonismo Reaganiano”, da nonsense, diventa la parola magica per definire un periodo che aprirà la strada verso il Berlusconismo degli anni ’90; il filosofo Gianni Vattimo, interprete del nichilismo post-moderno e agit-prop del “pensiero debo- le”, pubblica su “La Stampa” un editoriale che si intitola proprio Edonismo Reaganiano. Lo sbandieramento del frivolo, tra trash e flash, si accosta alle performance dall’attore Ronald Reagan, presidente con doppio mandato degli Stati Uniti dal1981 al 1989 e al cambiamento di costume degli USA in quei vituperati Anni ’80. Ma Reagan non è stato solo una rivoluzione culturale e del costume, ma anche e soprattutto una rivoluzione politica, restituendo all’America una fiducia persa durante gli anni del Vietnam, creando un confronto acceso e molto forte con l’antagonista sovietico, che alla fine di quel decennio collasserà. Nasce JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 91 con Ronald Reagan un nuovo modello di mercato, col trionfo della liberalizzazione e la cosiddetta deregulation. Molti intellettuali si accodano e interpretano la formula dell’Edonismo Reaganiano secondo il loro pensiero, da Milan Kundera con “L’insostenibile leggerezza dell’Essere”, allo stesso Gianni Vattimo con “Il pensiero debole”, a Karl Rosenkranz con “L’estetica del brutto”, a Gilles Lipovetsky con “L’impero dell’Effimero”, fino ad Achille Bonito Oliva con “L’ideologia del traditore”. Il doppio-gioco dell’Edonismo Reaganiano si trasforma, secondo Aldo Grasso sul Corriere della Sera, in un “tentativo positivo di mettersi in comunicazione con l’astuzia del tempo e l’ambivalenza del presente”. 92 PIER LUIGI CHERCHI RIFLUSSO (Pierangelo Bertoli) Laura è ferma adesso in una fabbrica di sogni e vede il mondo da un oblò Franco ha messo all’asta il suo cervello e i suoi bisogni e vive come un orso in uno zoo Maria non ha mai smesso di dormire neanche un’ora Sergio si è spostato sulle rive del qui è meglio e ricco adesso e parla di onestà. Il buio ha preso il posto del coraggio di vedere, paura al posto della verità. Si parla sotto voce o nel chiuso delle stanze, nessuno canta più di libertà. Adesso che è una colpa solo avere un’opinione, che più sicuro poi non si sa mai. Che quello emarginato pure è un terrorista o forse è un poliziotto e non lo sai. Ma voglio almeno dire due parole in nome di chi lotta per la vita Potete forse farci rallentare però non vi crediate sia finita. Chissà se guarderemo i nostri figli apertamente dicendo almeno adesso tocca a voi. O scuoteremo il capo come un branco di imbecilli spiegando quali esempi siamo noi. Racconteremo storie come reduci noiosi o forse fingeremo dignità. Oppure gli offriremo fumo, sesso e disimpegno, le perle della nostra eredità. Il tempo si trascina inesorabile, dottore, e affondo i denti nella verità. E porta a galla i veli i fabbricanti del terrore e non ha posto per chi se ne va. E Laura sguazzerà dentro ai suoi sogni comatosi. E un giorno finalmente morirà. E Sergio comprerà, Franco e Maria novelli sposi così sarà sicuro e arriverà. Ma voglio almeno dire due parole in nome di chi lotta per la vita. Potete forse farci rallentare però non vi crediate sia finita. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI L’ABBIGLIAMENTO Le camicie di Magnum PI. Un modello di abbigliamento estivo di quegli anni Camicie e giacche informali con grandi spalline quasi da giocatore di football americano 93 94 PIER LUIGI CHERCHI Le spalline furono uno status simbol negli Anni ’80 anche per le donne JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 95 SOTTOCULTURA METROPOLITANA: I PANINARI Con il termine paninaro si intende una sottocultura giovanile nata negli Anni ’80 a Milano, e da lì diffusasi prima nell’area metropolitana milanese poi in tutta Italia. Questi gruppi si caratterizzavano per l’ossessione per la griffe nell’abbigliamento e in ogni aspetto della vita quotidiana e l’adesione a uno stile di vita fondato sul consumo, il divertimento ad ogni costo e il disimpegno sociale e politico, piena espressione dell’ondata di riflusso che seguì il turbolento e politicizzato decennio precedente. Proprio il termine “paninaro” nacque per indicare le comunità giovanili di giovani che cominciavano a riunirsi nei primi fast-food italiani, primo segno di quella globalizzazione che esploderà nei decenni successivi. I paninari, nella loro visione della quotidianità, rifiutavano di occuparsi degli aspetti angoscianti dell’esistenza e, più in generale, di ogni forma di impegno sociale: l’obiettivo primario dei paninari era godersi la vita senza troppe preoccupazioni e in tal senso si trovavano perfettamente a loro agio nell’adeguarsi ai modelli del cinemastatunitense di consumo e ai consigli degli spot pubblicitari trasmessi dalle televisioni commerciali, che nascevano proprio in quegli anni (Canale 5). Come un vero “branco”, ogni gruppo di paninari era dotato di una propria “base” costituita in genere da un bar e da un relativo territorio nel quartiere; gruppi comunque aperti le cui frequentazioni potevano raggiungere anche l’ordine del centinaio. Il sabato pomeriggio e la sera la “base” era il luogo deputato al ritrovo in massa con successivo trasferimento in una delle discoteche che 96 PIER LUIGI CHERCHI ben si prestavano a sfruttare questo fenomeno. Alcuni di questi gruppi, quelli più importanti, disponevano di “capi”, ovvero leader di grande popolarità locale, solitamente dotati di soprannome. Il luogo più frequentato dal paninaro era chiaramente il fast food; il suo stesso nome dePaninari seduti al bar riva dal bar milanese Al Panino (Piazzetta Liberty), dove si radunavano, già nel 1983, i primi “galli” (paninari) che frequentavano prestigiosi licei privati e trascorrevano le vacanze in località esclusive. Questi successivamente si spostarono al fast food Burghy di piazza San Babila ed un casuale incontro con i Pet Shop Boys ispirò i componenti del gruppo pop alla realizzazione della hit “Paninaro” (1986). I paninari divennero rapidamente un vero fenomeno di costume pubblicizzato, a livello nazionale, da alcuni fumetti dedicati ai paninari e del personaggio interpretato da Enzo Braschi a Drive in. Come già accennato, nel 1986 i Pet Shop Boys, a seguito di una visita nel centro di Milano, incisero il singolo “Paninaro”, che permise alla moda di valicare i confini nazionali. I protagonisti del videoclip, girato a Milano, erano alcuni ragazzi perfettamente Enzo Braschi a “Drive In”, nella parodia del pavestiti secondo i dettami. ninaro (“Troppo giusto”) JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI Passion and love and sex and money Violence, religion, injustice and death Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh Girls, boys, art, pleasure Girls, boys, art, pleasure Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh Food, cars, travel Food, cars, travel, travel New York, New York, New York New York Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh Armani, Armani, ah-ah-Armani Versace, cinque Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh Armani, Armani, ah-ah-Armani Versace, cinque Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh I don’t like country-and-western I don’t like rock music I don’t like, I don’t like rockabilly or rock ’n’ roll particularly Don’t like much really, do I? But what I do like I love passionately Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh You, you’re my lover, you’re my hope, you’re my dreams my life, my passion, my love, my sex, my money violence, religion, injustice and death Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh Don’t like much really, do I? Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh But what I do like I love passionately Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh Passione, amore e sesso e soldi Violenza, religione, ingiustizia e morte Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh 97 98 PIER LUIGI CHERCHI Ragazze, ragazzi, arte, piacere Ragazze, ragazzi, arte, piacere Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh Cibo, auto, viaggi Cibo, auto, viaggi, viaggio New York, New York, New York New York Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh Armani, Armani, ah-ah-Armani Versace, cinque Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh Armani, Armani, ah-ah-Armani Versace, cinque Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh Non mi piace il country e western Non mi piace la musica rock Non mi piace, non mi piace particolarmente rockabilly o rock ’ n’ roll Non piace molto, in realtà, posso? Ma quello che mi piace amo appassionatamente Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh Si, tu sei la mia amante, sei la mia speranza, sei miei sogni mia vita, la mia passione, amore mio, il mio sesso, i miei soldi violenza, religione, ingiustizia e morte Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh Non piace molto, in realtà, posso? Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh Ma quello che mi piace amo appassionatamente Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 99 Obbligatoriamente i capi di abbigliamento dovevano essere firmati, quale indice di ricchezza familiare reale o presunta, mentre (al contrario di quel che succede oggi) erano vietate le imitazioni e le contraffazioni, pena il disconoscimento sociale con appellativo di gino o truzzo, quindi miserabile. I paninari interpretavano proprio lo spirito superficiale e consumistico degli Anni ’80. Infatti coltivavano una passione maniacale per il proprio aspetto, o meglio “look”. L’abbigliamento del paninaro prevedeva occhiali Ray-Ban, zainetto Invicta a righe, giacconi imbottiti (Moncler), stivali da cowboy (Frey o Durango), jeans appena sopra le caviglie (Levi’s, Enrico Coveri, Stone Island o Armani), felpe (Best Company), maglioni (Marina Yachting, Les Copains), cinture di pelle con grandi fibbie (El Charro), camicie a quadri (Naj Oleari), calzini decorati a rombi (della Burlington per i ragazzi e colorati della Naj Oleari per le ragazze) e scarponcini (esempio Timberland) oppure scarpe sportive Vans (rigorosamente senza lacci). Alla moda seguì la fioritura di riviste dedicate, tra esse Il Paninaro, con una tiratura che raggiunse 100.000 copie cessando le pubblicazioni col numero 48 a dicembre del 1989. Seguono Wild Boys – tormentone ed inno del movimento dall’omonimo successo musicale dei Duran Duran – Zippo Panino, Il Cucador, Preppy e la testata femminile Sfitty – dal gergale sfitinzia, ragazza. Come altre mode nate negli Anni ’80 anche i paninari scomparvero dalla scena a Milano tra il 1987 e il 1988 e nel resto dell’Italia di lì a poco, sostituiti da altre sottoculture che riflettevano la fine di un decennio consumato all’insegna dell’edonismo e della superficialità. In generale può dirsi come la moda dei paninari sia stata legata ai giovanissimi delle scuole medie inferiori e superiori. Perlomeno, a Milano i paninari erano quasi totalmente assenti nelle università. L’intestazione sulla testata principale, Paninaro, inizialmente I veri galli, accomiata il periodo d’uscita di scena con Pochi, duri, giusti. 100 PIER LUIGI CHERCHI CAPELLI A SPAZZOLA, PREPPY E CUCADOR Intervista di Chiara Galeazzi a Ramon Verdoia Dall’intervista di Chiara Galeazzi a Ramon Verdoia, uno dei capi dei Paninari milanesi si comprende lo spirito di gruppo che nasceva dall’abbigliamento, dallo slang e dall’ideologia edonistica, consumistica e antipolitica di quegli anni. Puoi dirci quando, dove e come è nato il movimento paninaro? Una data ben precisa non c’è, forse il 1981 per chi era di Milano, in provincia è arrivato intorno al 1984-85. I primissimi a essere soprannominati paninari in realtà non avevano niente a che fare con i paninari che si intendono generalmente: un giornalista aveva affibbiato questo nome ai ragazzi appartenenti all’estrema destra che si trovavano al bar “Al Panino”, un bar in centro a Milano. Sarebbero i cosiddetti sanbabilini, quelli di San Babila ore 20: un delitto inutile di Carlo Lizzani. I Sanbabilini sarebbero i predecessori dei paninari? Diciamo che i aninari sono dei sanbabilini a cui non frega niente della politica, e che si sono distinti per l’aspetto. Qualcuno magari ha iniziato da quelle parti, ma solo perché era di moda; io stesso ho fatto qualche incontro con i ragazzi del Fronte della Gioventù, ma sono durato giusto qualche mese, non me ne fregava nulla. Anche il bar “Al Panino” rimase più una colonna storica, le compagnie si spostarono nei fast food. Ok, quindi dopo i ragazzi di estrema destra sono arrivati i ragazzi modaioli. I Paninari erano ragazzini tra i 15 e i 19 anni, molto sicuri di sé e con una spiccata vocazione al cazzeggio, gli interessava andare in moto, Zündapp e Gilera su tutte, e provarci con le ragazze più carine. Dei Sanbabilini hanno preso solo qualche elemento di stile, tipo il bomber, e poco altro. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 101 Cosa facevano durante il giorno? Stavano in giro per il centro, al bar o nei fast food, andavano in discoteca il sabato pomeriggio o se avevano già amici diciottenni con la patente ci andavano anche la sera. D’inverno frequentavano località come Cortina, Madonna di Campiglio, piuttosto che St. Moritz o Courmayeur, e d’estate andavano a Forte dei Marmi, Santa Margherita Ligure o altre località dove i genitori avevano la seconda casa. Giravano droghe o alcol? Quasi niente, c’era giusto qualcuno che si faceva le canne, ma poca roba. La cocaina ai tempi costava davvero troppo, l’eroina era fuori discussione. Ti dirò, a malapena si beveva. C’era una cultura contro l’eccesso di questo tipo. Guardando alcuni video dell’epoca, sembra che i paninari siano comunque un gruppo di ragazzi un po’ arroganti, e molto diffidenti. Era difficile entrare in un gruppo di paninari se non eri amico di qualcuno, o se non seguivi il look alla lettera, o se facevi il fighetto sai, quei ragazzini vestiti come piccoli adulti, con i maglioncini con lo scollo a V e le camicie inamidate. I Paninari dovevano avere le scarpe sporche di grasso, un aspetto consumato. Io avevo messo le Timberland nel forno per consumarle al meglio. Parliamo di questo look: quali marchi venivano usati maggiormente? 102 PIER LUIGI CHERCHI Le primissime marche erano già famose negli Anni Settanta, come la Levi’s, poi sono arrivati i piumini Moncler dalla Francia, dall’America le scarpe Timberland, e iniziavano a diffondersi i marchi Giorgio Armani ed Enrico Coveri. Poi c’era la Best Company, disegnata da Olmes Carretti, e la El Charro, prima per le cinture e poi per gli stivali, felpe e soprattutto per i jeans. Si usavano le calze Burlington, i mocassini Sisley, gli stivali Durango, gli occhiali Ray-Ban, le giacche Henri Lloyd, e i capi di Stone Island. Per le giacche si usavano molto anche quelle modello Top Gun dell’Avirex e quelle da motociclista della Schott. Gli orologi che andavano di più erano lo Swatch e il Breil Hip Hop, per chi se lo poteva permettere c’era il Winchester. Tra le femmine andavano la Naj Oleari e Fiorucci. E tutto questo quanto costava? Un paio di Timberland costava 200.000 lire, le Burlington 15.000, i jeans di Armani o Stone Island intorno alle 80.000 lire, una felpa Best Company sulle 200.000 lire, il Moncler costava circa 500.000 lire, un orologio Winchester sulle 300.000 lire... Ecco, non erano spese che potevano fare tutti. I genitori dovevano esserne entusiasti. Che aspetto fisico avevano questi ragazzi? Portavano i capelli a spazzola lasciati lunghi dietro, oppure la pettinatura di George Michael negli Wham!, lunghi e leggermente cotonati. Il paninaro doveva essere il ritratto della salute: andava in palestra, si sistemava le sopracciglia, non doveva avere neanche un brufolo. Si andava contro gli eccessi anche per questo motivo. C’erano dei gruppi musicali o dei film smaccatamente da paninaro? I gruppi più rappresentativi erano Duran Duran e Spandau Ballet, ma il primissimo gruppo da paninari erano gli Wham!, poi i Pet Shop Boys e i Depeche Mode. Non si ascoltavano granché i gruppi italiani. I film erano quelli americani, Top Gun andava tantissimo, io mi sono iscritto all’istituto aeronautico per colpa di quel film, poi Il segreto del mio successo. Tanti telefilm, come Supercar, e si guardava sempre il Drive In e Deejay Television, il programma in assoluto più paninaro. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 103 C’erano anche riviste dedicate? C’era Paninaro, la rivista di riferimento, Preppy era quella per ragazze, e poi c’era Cucador, una versione un po’ più fighetta delle altre. Tutte queste riviste avevano dentro fumetti a tema, servizi di moda, classifiche, tutto scritto nel linguaggio dei Paninari. Forse l’elemento migliore dei paninari è proprio la creazione di un linguaggio così specifico. Sì, tutto il vocabolario paninaro è venuto fuori da sé, poi la caricatura di Enzo Braschi al Drive In ha aumentato il numero di vocaboli, che sono finiti nell’allegato del numero tre del Paninaro, Il vocabolario del Paninaro, dove c’erano i vari “cuccare”, “smerigliare” [mangiare], i “sapiens” [genitori], “non me ne sdrumo un drigo” [non me ne frega niente], insomma ci si capiva solo tra noi. I paninari si sono offesi per l’imitazione di Braschi? No, assolutamente. Italian Fast Food era uno dei film preferiti dei Paninari, insieme a Sposerò Simon Le Bon. Piaceva moltissimo anche Yuppies, e in un certo senso gli Yuppie erano i fratelli maggiori dei Paninari. 104 PIER LUIGI CHERCHI SOTTOCULTURA METROPOLITANA: I METALLARI Col termine metallaro si indica una tipologia di persone appassionate della musicaHeavy metal e delle varie band del genere (Motörhead, Kiss, Judas Priest, Saxon, Scorpions, Iron Maiden, Metallica) e le tematiche da essa trattate. Il termine viene utililizzato anche per riferirsi al cosiddetto “movimento metal”. Come per i paninari degli Anni ’80 e, per i Teddy Tipico giubbotto in jeans con riferiBoys degli Anni ’50, in Italia i metalmento ai gruppi heavy metal lari si diffusero tra la fine degli Anni ’70 e i primi Anni ’80 inizialmente a Milano e poi in tutto il territorio nazionale seguendo l’ondata di disimpegno che fece seguito ai politicizzati Anni ’70. Proprio a Milano il movimento metal prese piede in quartieri “difficili” come San Siro, Lorenteggio, Barona, Baggio, Lampugnano, Quarto Oggiaro, attraverso le aggregazioni nate spontaneamente nei locali hard rock, la passione per i concerti dal vivo di musica metal in Inghilterra, Francia, Germania ed Olanda. Da queste prime aggregazioni spontanee nacque una sottocultura metropolitana identificativa nel comportamento, nel modo di vestire, nelle aspirazioni, nel modo di vedere la società, perlopiù in stile rocker angloamericano. Il metallaro vestiva tipicamente con un giubbotto in pelle nera (il chiodo), ma anche bianco o rosso, indossato in estate e inverno, stivali, jeans, catene e borchie, capelli lunghi e anche tatuaggi; la tipica immagine del metallaro lo presentava con un grosso boccale di birra in mano (la birra era l’unica bevanda alcoolica accettata dal metallaro doc). I primi ritrovi nel centro di Milano erano situati nella zona di via Torino presso bar, negozi di strumenti musicali, di dischi o di abbigliamento di genere. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 105 Con l’espansione della sottocultura metallara, si ebbe, per processo naturale, la formazione di bande e sottobande, ciascuna dotata di una propria base d’appoggio, costituita da un bar o negozio e da un territorio ben delimitato nel quartiere; a differenza di altre sottoculture più chiuse, i metallari formavano dei gruppi “aperti”, ovviamente sempre nell’ambito della stessa base culturale, attraverso cui si poteva arrivare anche a formare una grossa banda dell’orine di un centinaio di persone.Numerose furono le riviste dedicate al movimento metallaro, tra cui Metal Hammer, Metal Shock ed altre ad origine anglosassone o germanica, con una discreta tiratura. Come per i Teddy Boys degli Anni ’50, nella metà degli Anni Ottanta a Milano fiorirono scontri e aggressioni, risse e vandalismi, specie fuori dai locali e nei territori delle bande violati da altri gruppi; ciò creò nell’opinione pubblica un’immagine sbagliata del metallaro, con- siderato alla stregua di un teppista, e quindi emarginato dalle varie forme di socializzazione più convenzionali. Secondo alcune definizioni ricavate da vari studi antropologici, il metallaro degli Anni ’80 era sostanzialmente “un essere dotato di poche qualità socialmente costruttive, che focalizza tutta la sua vita su uno stru- 106 PIER LUIGI CHERCHI mento musicale o sull’ascolto continuo di ogni tipo di musica fuorché quella “truzza”, della quale conosce ogni minimo particolare storico. Molte delle sue abitudini sono derivate dal punk, ad esempio il pogo. Questa tipologia di persone è per natura asociale, e ritiene di essere la depositaria della verità riguardo ciò che concerne la musica, arrivando in alcune degenerazioni a dire che essa dovrebbe essere fatta solo di scale fatte a velocità esagerata”. Possiamo trovare in queste definizioni molti sottogruppi di metallari, legati ad una particolare predisposizione per alcune sottoculture, come: L’ Heavy Metaller: il più generico, alla ricerca di persone di sesso femminile, si sente heavy metal e rifiuta quasi ogni altro sottogenere. Beve una quantità innominabile di birra. L’heavy metaller è vestito in stile Rob Halford, con chiodo e borchie che spesso superano il doppio del peso corporeo del metallaro stesso, anfibi lunghi fino a sotto il ginocchio e maglietta con l’effige della band preferita. Il Doom Metaller: sottogenere tendente alla depressione, quasi come gli Emo; la musica che ascolta è interminabile e aumenta il tono depressivo fino a sfiorare il suicidio. l Death Metaller: è un Metallaro con tendenze necromantiche, necrofagiche, vicino alle sette sataniche e al culto del buio. Gira sempre vestito di nero, anche in estate; porta anche croci rovesciate Ovvero dalla parte sbagliata, come le usano i cristiani, anelli d’argento e piercing. L’Hair Metaller: è il tipo di metallaro più tranquillo, a cui piace JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 107 vestire anche colori diversi dal nero quali il rosso o il blu. Ha capelli lunghi (generalmente biondi ma non mancano le eccezioni) e suona canzoni d’amore alla chitarra. È fanatico di Bon Jovi o dei Poison, non manca mai ai concerti dal vivo. Il Defender Metaller: Detto “Il metallaro della leggenda” è un’unione incredibile di tutti i tipi sopra elencati. Nonostante un aspetto non proprio accattivante è gentile verso chiunque sia metallaro. Soffre di elevata schizofrenia maniacale con crisi di rabbia narcisistica. Il Mimetic Metaller: è un “cripto”, cioè una persona normalissima, con buoni voti a scuola, un aspetto non appariscente e con la fama di “tranquillo”; appena entra nella sua camera si trasforma, si toglie i vestiti svelando un completo di borchie e punte, e accende lo stereo sparando musica con un volume assordante. L’Industrial Metaller: è generalmente vestito da operaio, con tuta blu da meccanico, calza le scarpe col ferro in punta, i pantaloni sono di solito jeans scoloriti con molte macchie di olio/grasso/sudiciume vario, indossa inoltra una canottiera con chiazze di sudore vecchie di alcuni mesi. 108 PIER LUIGI CHERCHI TENDENZE SOCIALI DEGLI ANNI ’80: IL PIANO BAR Negli Anni ’80, parallelamente alla diffusione delle discoteche e della disco-music dove prevalevano le età più giovani, si apriva, essenzialmente per un pubblico più adulto e con maggiori disponibilità economiche, lo scenario del “piano-bar”, con un ambiente più raccolto, confidenziale, senza il fracasso della sala disco vera e propria, con la possibilità di sedere e chiacchierare su comodi divani sorseggiando un bicchiere di whisky (bevanda alcoolica cult degli Anni ’80) ed ascoltando e canticchiando sommessamente qualche brano conosciuto, in un’atmosfera di rilassamento e di luce soffusa. Non di rado il pianobar di alto livello rappresentava il momento finale di una serata, anche iniziata in discoteca o in un ristorante elegante del centro città, per allungare la nottata del fine settimana e prepararsi agli impegni lavorativi dell’indomani. Il piano bar rappresentava in quegli anni l’evoluzione del “night” di vecchia memoria, luoghi dove non di rado si esibivano prestigiatori o spogliarelliste di non ben nota reputazione.Il prototipo del cantante musicista di piano bar degli Anni ’80, prima dell’era tecnologica digitale, può esser considerato, con le dovute distinzioni, il famoso e tenero Sam del film Casablanca: “Suonala ancora, Sam” (As time goes by), disponibile ad eseguire i brani richiesti dal pubblico. Al centro della sala (il modello a Sassari è stato per tanti anni il Nepentha Club di via Giorgio Asproni JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 109 poi negli Anni 2000 Sergent Pepper’s) faceva bella mostra di sé il pianoforte a coda – in genere aperto per privilegiare il volume e il soustain – indispensabile oggetto di arredamento prima ancora che strumento musicale, spesso con una lampada liberty sistemata sul ripiano davanti al pianista. Intorno al piano in genere spesso venivano sistemati quattro o cinque sgabelli, sui quali prendevano posto i fedelissimi o più spesso le fedelissime, che sostenevano il pianista durante la serata. Proprio il pianista era il fulcro centrale del locale: negli Anni ’80 non esistevano le moderne tastiere elettroniche in grado di riprodurre basi musicali o accompagnamenti automatici, e i brani venivano eseguitiutilizzando il pianoforte e un microfono collegato ad un mixer con camera eco (piano e voce), al massimo con l’ausilio di una sgangherata batteria elettronica . Potevano essere presenti degli altri microfoni per cantanti occasionali che chiedevano di eseguire un brano tra il pubblico, sempre in maniera garbata, senza arrivare alla gazzarra del turpe karaoke degli Anni ’90. Il pianista era in genere un “crooner”, cioè un cantante “confidenziale”, non un urlatore ma un vocalist dalla voce adatta all’atmosfera del locale, quasi sussurrata, soffusa, non assordante, tiepida come una sala da the. 110 PIER LUIGI CHERCHI Un particolare lustro al piano bar poteva essere dato dalla presenza di un garbato sassofonista, alla Fausto Papetti, che, accompagnato dal pianista si cimentava in brani solisti o in assoli inseriti in brani pop come il mitico “Careless winsper” di George Michael o “Alta marea” e “Amici mai” di Venditti. Una coppia storica del piano bar sardo così articolata, piano a coda e sassofono, sono stati gli olbiesi Tony Derosas e Tony Marino, che ho incontrato nelle serate di gala di congressi ginecologici in Sardegna negli Anni ’80, e che mi hanno permesso di sostituirli in brevi performance voce e piano (una volta a Calasetta addirittura ebbi l’onore di essere accompagnato al sax da Tony Marino mentre cantavo proprio “Careless winsper”). Il repertorio era vastissimo, spaziando dagli ultimi successi alla musica degli Anni Sessanta (molto richiesti i vecchi Beatles in versione soft, come “And i love her”, “Something”, “Michelle”, “Let it be”), e settanta, con Lucio Battisti, De Gregori (nel 1984 un cult del piano bar era proprio “La donna cannone”) Claudio Baglioni, Pino Daniele, Renato Zero per cantare tutti insieme. Gestire una serata al piano bar non era semplice perché il musicista doveva tener conto delle persone in sala e quindi proporre musica capace di coinvolgere tutto il pubblico presente. Di solito la serata iniziava con brani lenti e soffusi, di sottofondo, per dare modo alle persone di chiacchieraree guardarsi intorno; successivamente si poteva passare ad una musica più ritmata per permettere ai presenti anche di ballare e divertirsi. Molto importante era nel locale la professionalità del cameriere, spesso di mezza età e di grande esperienza, capace di curare le pubbliche relazioni servendo cocktail accompagnati da noccioline americane, olive e patatine. Il pianista, non avendo le possibilità tecnologiche attuali per arrivare facilmente agli spartiti, doveva estrapolare i testi e gli accordi dal disco, facendolo tornare continuamente indietro sul piatto giradischi, e spesso poi battere le parole delle canzoni a macchina e mettere i fogli in un album trasparente. L’abilità del pianista consisteva poi, oltre che nel capire il target del pubblico presente e quindi i brani da proporre, anche nell’evitare spazi “morti”, pause di silenzio, JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 111 Il piano bar delle Tonnare (Stintino) dopo il restyling che potevano abbassare l’entusiasmo (poteva essere sufficiente, mentre si decideva la canzone successiva, sfisare delle note sul pianoforte per fare da sottofondo). Alla fine di ogni serata il musicista doveva compilare il bordereau (italianizzato in borderò) su un modulo rilasciato dalla SIAE (Società Italiana Autori ed Editori), in cui venivano indicati i brani eseguiti con i rispettivi autori per i diritti di riproduzione. In realtà l’elenco che veniva stampato non era mai corrispondente a quanto eseguito in sala, in quanto per semplicità e per pigrizia alla fine si indicavano varie canzoni dei Beatles tutte Lennon-Mc Cartney, e di Lucio Battisti (Mogol-Battisti) tralasciando tutti gli altri compositori. Il pianobar non rappresentava un luogo dove fare un concerto, ma molti pianisti, anche di grande calibro, talora si lamentavano perché il pubblico continuava a conversare durante la loro esibizione. Mi è capitato di sentire un pianista al Golf Hotel di Madonna di Cam- 112 PIER LUIGI CHERCHI piglio confidarmi “Posso anche spegnere il microfono e fare delle note a caso che tanto nessuno se ne accorge…”. In realtà se questo era il limite del piano bar, questa era anche la sua grandezza : essere inseriti in un ambiente caldo, ovattato, dove le note arrivavano senza creare rumore o fastidio, lasciando la possibilità di ascoltare e nello stesso tempo di comunicare con gli altri. La mia esperienza personale di piano bar, a parte sporadiche esibizioni (sempre solo piano e voce) di una Piano bar del Golf-Hotel, Madonna di Campiglio 1989 ventina di minuti in locali sassaresi come il Nepentha e Le Querce (per la cortesia del grandissimo Gianni Davis), il Buendja, o il fantastico Piano bar del Golf Hotel di Madonna di Campiglio – dove ogni anno suonavo per gentile concessione di Alessandro, un pianista toscano della mia età che approfittava della mia presenza per riposarsi e bere qualcosa al bar – è legata alla fine degli Anni ’80 al piano bar della piazzetta delle Tonnare a Stintino. Il locale era gestito da napoletani, in particolare da Paolo Sansone, un ragazzone estroverso e generoso, amico di tutti, che curava le public relations in modo ottimale. Il pianoforte si affacciava su una piazzetta interna dove erano sistemati i tavolini all’aperto e io suonavo per tutto il mese di agosto tutte le sere dalle 23 alle 4 del mattino senza percepire JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 113 alcun compenso, solo piano e mixer per la voce. Alle mie spalle avevo sistemato una giraffa con un altro microfono per i cantanti estemporanei (quasi sempre napoletani) che chiedevano di esibirsi. Tutte le sere a mezzanotte, immancabilmente, tutte le notti, cantavo “Una carezza in un pugno” di Celentano (a mezzanotte sai che io ti penserò, dovunque tu sarai sei mia… e stringerò il cuscino tra le braccia, mentre cercherò il tuo viso… che splendido nell’ombra apparirà…). La piazzetta era sempre piena e animata, con altri musicisti che ogni tanto volevano esibirsi anche al pianoforte, una stagione fantastica, irripetibile. Dall’inizio degli Anni ’90 in poi con l’avvento delle tastiere arranger e dei midifiles, inizia purtroppo la crisi del piano bar tradizionale, con la diffusione del dilettantismo. La maggior parte dei musicisti “di pianobar” oggi sono persone improvvisate senza nessuno studio musicale e canoro e soprattutto senza una adeguata gavetta, che cantano sulle basi midi facendo finta di suonare e improvvisando pietosi karaoke col pubblico presente. Oggigiorno il solo pianoforte acustico soprattutto a coda o una mezza coda, è piuttosto in disuso e rimane ormai relegato ai soli night club d’impostazione classica, oppure si trova 114 PIER LUIGI CHERCHI nelle sale degli hotel di lusso a far bella mostra di sé in attesa che qualche musicista preso dal demone del suono si sieda e inizi a fare una piccola esibizione per gli amici presenti. Perché è morto il piano bar? Qualcuno ha individuato la causa nella crisi economica, che ha ridotto di molto l’accesso ad un tipo di intrattenimento che prevedeva comunque continue consumazioni e quindi un certo budget di spesa, nello spirito delle nuove generazioni che hanno perso il gusto della promiscuità, del chiacchiericcio, ormai intrappolate mentalmente nelle sirene degli smartphone, nella qualità della musica di oggi che non si presta ad essere eseguita da un singolo artista e cantata da tutti: certamente il pianobar degli Anni ’80 non esiste più, anche perché non esistono più artisti in grado di esprimersi in quella maniera. A differenza di allora ci sono ancor oggi molti gruppi che si esibiscono dal vivo in questi locali-bar, disco-bar etc. con eccessivo fracasso e poca confidenzialità, ma quel mondo spensierato, spaccone, forse anche un po’ goliardico, dei trentenni-quarantenni di allora, il mondo dei film di Vanzina come “Yuppies“ o “Vacanze di Natale” è definitivamente sepolto nei ricordi di chi ha oggi superato i sessant’anni. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI Piano bar - Francesco De Gregori Uno scudo bianco in campo azzurro, è la sua fotografia, chiunque lo conosca bene può chiamarlo senza offesa uomo di poca malinconia. È un pianista di piano bar, vende a tutti quel che fa non sperare di farlo piangere, perché piangere non sa. Nella punta delle dita poco jazz, poche ombre nella vita. Solo un pianista di piano bar e suonerà finché lo vuoi sentire non ti deluderà, solo un pianista di piano bar e canterà finché lo vuoi sentire non ti disturberà. Questo strano tipo di bambina, vuole la compagnia, la risata forte e l’amicizia a cena, ama se stesso senza allegria. È un pianista di piano bar, vende a tutti quel che fa non sperare di farlo piangere, perché piangere non sa. Nella punta delle dita poco jazz, poche ombre nella vita. Solo un pianista di piano bar e suonerà finché lo vuoi sentire non ti disturberà, solo un pianista di piano bar e canterà finché lo vuoi sentire non ti deluderà. 115 116 PIER LUIGI CHERCHI IL PIANISTA CONFIDENZIALE CHE FACEVA INNAMORARE Intervista a Gianni Davis Quando sei nato artisticamente? Ho iniziato a suonare il pianoforte a orecchio nel 1948, da bambino, a casa di una mia zia, Giovanna Roggio, famosa concertista… Nella sua casa si tenevano dei concerti con la partecipazione di un grande direttore d’orchestra, Wolfang Ferraris… Successivamente mio padre, visto che avevo questa inclinazione così forte, mi regalò un pianoforte a coda acquistato da Colangeli, in piazza Università. Ma l’ingresso vero e proprio nel mondo della musica è scaturito dall’incontro con Luigi Piana, miglior musicista dell’epoca e di idee molto innovative. Pensa che, mentre gli altri suonavano stando seduti comodamente, lui era capace di suonare la fisarmonica e cantare contemporaneamente al microfono… è stato un precursore, in assoluto… Un giorno, da ragazzino, arrivai al Teatro Verdi dove si teneva il famoso “Arciultraveglionissimo” della stampa, con due orchestre: una era la classica Orchestra Swing di quei tempi diretta da Francesco Serra, e dalla parte opposta quella di Luigi Piana, più moderna, con trombe, fiati, che suonava in maniera meravigliosa “Smoking in your eyes”… Ebbi come una folgorazione e dissi a me stesso: quella sarà la mia strada. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 117 Hai iniziato con un gruppo? Sì… proprio Luigi Piana, che oltre ad essere un musicista straordinario era anche un talent-scout, nel 1958 mi scoprì e mi inserì in un suo gruppo “I sofisticati”. Oltre a Luigi Piana c’erano Costanzo Cossu che suonava il contrabbasso, il fratello alla batteria,e Vincenzo Piroddu alla chitarra. Erano i tempi favolosi del Lido Iride, dove arrivavano per le serate Mike Buongiorno, Teddy Reno… una sera accompagnammo addirittura Claudio Villa… Suonammo per un paio d’anni con questa formazione finchè non cambiammo radicalmente il gruppo nel 1959 con la nascita dei “Baronetti”, inserendo i fratelli Costa, Antonio e Carlo, Tonino Concu alla chitarra e Antonio Usai alla batteria. Iniziammo a suonare ininterrottamente al “Pontinental”, che stava appena nascendo… ricordo che gli operai stavano ancora concludendo i lavori quando abbiamo iniziato... allora l’ambiente era assolutamente “chiuso”, solo agli inglesi era permesso l’ingresso, però a noi era concesso di uscire con le inglesine… Il Direttore era Gianfranco Tresoldi, grande organizzatore… Ci pagavano bene per quei tempi e io mi comprai il primo spider, una 1200 Fiat… In quel periodo è nato il primo disco dei Baronetti... Certo… Un bel giorno Luigi Piana decide di fare musica tradizionale… compone una canzone e fa fare il testo a Galleri: nasce così “Caddarina e lu pizzoni”, il primo disco di un complesso sardo. La registrazione base la fece al Pontinental, con i suoi registratori, Gianni Coni, tecnico elettronico che inviò poi la traccia in Continente realizzando il 45 giri, con sul retro “Te lo prometto”. Abbiamo continuato così, con la stessa formazione per due anni, fino al 1961, quando la mia strada cambiò per un caso del destino. Infatti al vicino Lido Mura, al “Platanight” vero night club con prestigiatori, spogliarelliste, suonava tale Josè De Angelis, vero istrione che addirittura, durante le sue esibizioni sul palco si strappava la camicia. Nella sua orchestra c’era Johnny Crasta, eccezionale musicista di Berchidda, che mi aveva sentito suonare al Lido Iride, ed ad un certo punto, per dissapori con il capo, decise di creare un suo gruppo in- 118 PIER LUIGI CHERCHI sieme a Piero Tolu, che in quel periodo si stava laureando in medicina, a Tony Marino, grande sassofonista, chiedendomi di unirmi a loro ne “I Cinque Joe” . Da quel momento hai iniziato a girare il mondo... Bè… dopo due mesi di prove a Berchidda, a casa di Johnny, siamo partiti per Lecco, con un contratto settimanale in un dancing della zona… ci pagavano una volta alla settimana… ecco quello è stato un periodo di fame, un’esperienza comunque molto formativa… Poi ci siamo trasferiti all’Hotel Savoia di Cortina, al Casinò di Lugano fino ad arrivare a Beirut… erano i tempi di Felice Riva… i grandi della finanza fuggivano in Libano… Lì abbiamo fatto veramente i soldi, facendo i “posteggiatori” napoletani con il mandolino e le canzoni partenopee, O’ sole mio, Scalinatella… davanti agli sceicchi che davano delle mance paurose… Così ho potuto comprarmi la Duetto rossa… Poi siamo tornati a Milano al Maxim, all’Astoria… suonavamo anche dopo Peppino di Capri e Bruno Martino… Qui, per seguire una ballerina greca sono finito ad Amsterdam a suonare il piano in un piccolo locale, e ancora, sempre con lei, a Ginevra al “Battaclan”. Il locale era stretto e lungo, il piano era in fondo, ai lati era tutto pieno di ballerine e di tavolini… il padrone mi faceva pervenire continuamente un bicchiere pieno, ma essendo completamente astemio, di nascosto facevo sostituire l’whisky con il tè… e così potevo tirare avanti… La mia carrierà continuò a Bruxelles… lì, una sera, nel ristorante in cima all’“Atomion” sentii un pianista che intratteneva i clienti con un pianoforte, accompagnato dal ritmo di una batteria. Incuriosito mi alzai e andai a cercare il batterista che non si tro- JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 119 vava da nessuna parte, pensando tra me “ma dove ca… è questa batteria?” Sorridendo il pianista mi disse “No, Monsieur, c’est la boite de musique”. E così scoprii per la prima volta, era una novità assoluta, la batteria elettronica, chiedendo subito la marca e il modello per poterla acquistare. Parlai con Gianni Coni e riuscii a farla arrivare scrivendo direttamente alla Gibson… Fui in pratica il primo in Italia a disporre di questo strumento… tutti restavano incantati… A questo punto sei tornato a Sassari… No, ho suonato ancora a Zurigo, e poi, reclamato da mio padre che voleva che mi occupassi del negozio, sono tornato a casa che avevo 21 anni… ho comprato subito un organo Farfisa professional, un microfono e l’amplificazione con Leslie, insieme alla batteria elettronica Gibson di cui ho parlato… Ero l’unico ad avere un impianto del genere. E infatti venni richiesto per una serie di serate conviviali a Cagliari da Rocca, allora presidente del Cagliari e padrone dell’Hotel Mediterraneo. Pensa che mi mandava un furgone per trasportare gli strumenti e il biglietto aereo Alghero-Cagliari e ritorno, due volte alla settimana per suonare al Mediterraneo. Come sei entrato a far parte dei Bertas? Nel frattempo, a Sassari, i Baronetti attraversavano un momento di crisi: Antonio e Carlo Costa erano usciti dal gruppo e avevano creato un nuovo complesso, i Bertas, con Antonio Usai alla batteria, Mariolino Gadau, chitarra e voce, e il terzo fratello Costa, Monduccio, a cui Antonio aveva insegnato a suonare la tastiera in quattro giorni… Monduccio aveva un falsetto eccezionale, incredibile… il fischio di “Fatalità” era suo… Mi chiamarono per completare il gruppo e ci si accorse subito che, come voci, non c’erano rivali, venivano fuori dei cori angelici, celestiali… Ai concorsi canori rimanevano sbalorditi… non credevano alle loro orecchie, spesso ci chiedevano di ripetere il pezzo… Così siamo approdati alla RCA e Greco, uno dei capi, incaricò il compositore Piero Pintucci di creare un pezzo apposta per noi: nacque così “Fatalità”… anche se voci di corridoio facevano capire che c’era lo zampino di Trovajoli… fu un successo enorme, la abbiamo incisa anche in spagnolo per il Sudamerica. 120 PIER LUIGI CHERCHI “Fatalità” ci aprì la strada anche per la televisione, con apparizioni a “Chissà chi lo sa” di Febo Conti, il grande Concerto di Natale presentato da Pippo Baudo, con la partecipazione di Patty Pravo e gli altri artisti della RCA e altre trasmissioni. La casa discografica ci fece incidere anche dei 33 giri con cover di artisti americani… la stessa “Dondolo” era una cover di un brano degli Anni ’50… e alla fine ci convocò chiedendoci di trasferirci a Roma per essere sempre a loro disposizione per eventuali trasmissioni RAI. Per problemi di lavoro e di disponibilità... c’era chi lavorava alla Frigosarda, chi in una orologeria, io avevo il negozio da seguire… non se ne fece nulla e la RCA se lo legò al dito… ma d’altronde allora non eravamo sufficientemente maturi e indipendenti per fare certe scelte. Era proprio il periodo del beat… Come lo vivevate? Mah... si doveva fare qualcosa che riguardava quella musica,ma essenzialmente il nostro genere era melodico, musica più tranquilla. Gli stessi Beatles non erano i nostri ispiratori, anche perché allora i Barrittas li proponevano continuamente nelle serate e nelle piazze... Benito aveva una voce che li imitava perfettamente… per cui, data la JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 121 rivalità che c’era tra i due gruppi noi preferivamo fare cose diverse, magari “Good Vibrations” dei Beach Boys, tutto cori vocali senza una voce singola che emergeva… Il primo grande cantante solista che è entrato nei Bertas è stato Giuseppe Fiori che ha sostituito alla batteria Antonio Usai, ma io ero già andato via… Arriviamo quindi al Gianni Davis “single”. Quando è successo? E come è nato il nome? Per quanto riguarda il nome è stato un caso. A Ginevra suonavo in un piccolo locale e all’inizio il gestore e i clienti mi chiedevano il nome: io dicevo Canu e tutti, invariabilmente, lo storpiavano. Allora ho deciso di modificarlo in Davis, così di fantasia… e nessuno lo ha più sbagliato. Nel 1968 ho lasciato i Bertas perché, dopo due anni, il mio desiderio era di suonare il piano da solista, specie nei night-club… quello era il mio mondo, più che le piazze, la confusione, il frastuono, le centinaia di persone… No, non ero fatto per la musica beat, anche perché la mia cultura musicale era internazionale: io facevo jazz, latino-americano, qualsiasi tipo di musica… pensa che canto in tutte le lingue… italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo… anche arabo, mi sono formato attraverso i night e ho sempre cercato di impadronirmi della cultura di quella nazione, con un arricchimento non solo per quanto riguarda la cultura musicale. Quindi nel 1968-69, mentre contemporaneamente prendevo il brevetto di pilota, ho lavorato in Costa Smeralda, fino ai primi Anni ’70… 122 PIER LUIGI CHERCHI io facevo anche la “spalla” a molti gruppi. Per esempio a Capodanno, al Circolo Sassarese, mi alternavo con i Baronetti: loro finivano di suonare e iniziavo io, e così con altri complessi… Come era il tuo look a quei tempi? Non seguivi la moda psichedelica? Assolutamente… io ho sempre evitato quei colori sgargianti, ho sempre suonato esclusivamente in smoking come solista, anche perché i luoghi lo richiedeva- o… pensa all’Hotel Cervo, al Circolo Sassarese, al Mediterraneo. L’ambiente dei night era molto diverso dalle sale da ballo tradizionali… Anche per questo ho sempre evitato il contatto diretto con i clienti, i pranzi, le risate, le pacche sulla spalla… l’artista deve sempre restare distaccato, essere, per forza di cose, sempre più in alto, lontano in un certo senso… Mi ricordo che Moreno Cecchini mi rimproverò un Capodanno perché aveva preparato un bellissimo tavolo per me che io non utilizzai, e mi disse: “Maestro, ma cosa fa? Le ho preparato il miglior tavolo della sala e lei non lo utilizza!”. Addirittura io, ancora oggi, evito di preparare gli strumenti davanti ai clienti: arrivo e inizio a suonare… l’artista deve essere così, inarrivabile, non un compare… Hai mai suonato nelle salette, nelle famose cantine? No, perché noi, come Bertas, viaggiavamo su alti livelli, televisione, RCA, per cui non abbiamo fatto la gavetta dei complessi minori. Addirittura io non conosco i componenti di tutti quei gruppi che hanno fatto la storia della musica sassarese degli Anni ’60, i Dana, i Boba, e altri... È capitato di incontrare qualcuno, dopo tanti anni, che mi ha detto: “Non ti ricordi? anch’io suonavo in quel periodo”… purtroppo non avevamo contatti con loro… Dopo Gianni Davis, naturalmente, e lo dico con molta sincerità, chi era il miglior tastierista a Sassari? Non c’erano allora pianisti di alto livello. L’organo serviva solo per fare gli accordi, per fare un suono più “pieno”, ma non c’erano grandi solisti… L’unico è stato Vito Seu, di Santa Teresa, ma è venuto molto dopo…. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 123 Quindi in quei primi Anni ’70 un Gianni Davis in smoking e immerso in una musica pacata, in punta di piedi in mezzo ad un mondo di scalmanati… Sì, il mio mondo era quello… io mi definivo un pianista “confidenziale”. Dicevo: datemi al massimo una sala di 100 metri quadri perché già 120 sono troppi… io facevo parte dell’arredamento, non dovevo “esplodere” per farmi notare, come fanno tanti artisti anche adesso… Il mio compito, se così si può dire, era quello di “ruffiano”, di far innamorare, con la mia musica, le coppie che mi ascoltavano. – Ecco perché in tanti anni di carriera non ho mai sbagliato una serata… io avevo la possibilità, anche perché non avevo problemi economici, di scegliere il locale, il padrone ed il cliente, non dovevo suonare per forza… lo decidevo io quando, dove e come… Hai tanti ricordi di quei primi Anni ’70? Ho suonato davanti a tante personalità… a Cossiga, a Rovelli, a Vittorio Emanuele… Tutti venivano e mi facevano i complimenti. Ricordo una volta Cossiga, che, prima di andar via si avvicinò e mi disse: “Complimenti! E di dove sei?”… e così anche Rovelli, all’Hotel 124 PIER LUIGI CHERCHI Capo Caccia, anche lui venne vicino al pianoforte e mi disse: “Maestro, complimenti, veramente… è stata un’atmosfera deliziosa!” Poi ho iniziato con le sfilate di moda… al Padiglione dell’Artigianato, al Jolly, al Circolo Sassarese… io ho creato una musica non solo di contorno ma anche un sound che desse il ritmo alle modelle mentre sfilavano… ora mettono dei CD senza nessun sincronismo con i movimenti… allora era tutto diverso… C’è un aneddoto che ricordi particolarmente? Beh... quando suonavo al Pontinental e avevo la Duetto rossa, come ti ho detto, uscivo con le inglesine… Siccome, per forza di cose dovevo passare con la mia macchina sotto la casa della mia fidanzata, allora le coprivo con un plaid anche se c’erano 40 gradi… Loro non riuscivano a capire… Lo possiamo scrivere? Certo, quella fidanzata è la mia attuale moglie che è qui presente… ormai ci ha fatto l’abitudine… JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 125 LA SASSARI DEGLI ANNI ’80 Come le altre città di provincia anche Sassari risente del cambiamento dei costumi sociali legati al “riflusso” ed alla volontà edonistica di quegli anni. Cambia completamente l’abbigliamento, con abiti di moda, vestiti eleganti, capi sempre più griffati che sostituiscono il “casual” quotidiano imposto dalla seconda metà degli Anni ’70, con una rivitalizzazione insperata dei negozi di abbigliamento del Centro storico, da Posh a Petronius, da Paolo Tola a Tonino Maresu per citarne solo alcuni. Gli anfibi, gli stivaletti col tacco, le polacchine di vecchia data vengono sostituite dalle emergenti Timberland, che rappresentano coi piumini Monclair un vero status symbol dei ragazzi (i paninari) della nostra città. Ragazzi sassaresi degli Anni ’80 a Monserrato 126 PIER LUIGI CHERCHI La gente respira un nuovo modo di vivere dopo il periodo buio degli anni di piombo; si esce alla sera in giro per i locali alla moda, mentre piazza d’Italia e via Roma sembrano aver perso il loro fascino rispetto ai decenni precedenti. Nella prima metà degli Anni ’80 comunque, nella parte bassa di piazza d’Italia, nelle panchine di fronte al Banco di Napoli, stazionavano i punk sassaresi con i grossi radiomangianastri di quegli anni da tenere in spalla, ascoltando musica e bevendo birra, mentre di fronte al caffè oggi “Vittorio Emanuele II”, fianco BNL, si incontravano i paninari, teen agers vestiti con i capi griffati dell’epoca, che dovevano rientrare a casa entro le nove di sera. Si racconta che una sera d’inverno una spedizione di ragazzini borgatari provenienti dal Latte Dolce costrinse i ragazzi “bene” a togliersi le scarpe e a consegnarle ai giovani teppisti che si allontanarono indisturbati col loro bottino di Timberland. Ma sono proprio i trentenni ed i quarantenni sassaresi che diventano padroni della scena, dopo aver subito il predominio dei teen agers e dei ventenni nei due decenni precedenti, quando i giovanissimi d’impeto avevano scalzato le generazioni più attempate: i ristoranti vengono presi d’assalto (“l’Assassino” di Carmelo Nieddu, “Gianni e Amedeo” all’inizio JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 127 in viale Dante e poi nella sede attuale di via Alghero, il “Liberty”, “Gesuino”, il “Florian” in via Roma etc), e così i bar più eleganti (Mokador, Mocambo) per l’aperitivo di fine mattinata. Fioriscono nuovi locali, da ballo o d’intrattenimento come il Byblos, il Nepentha (futuro Sgt Pepper’s), il Serra Nera, il Pe Bay, il Buendia, mentre nell’hinterland si balla nel fine settimana ad Ossi al Blu Star (il cui nome è il titolo di un pezzo degli Shadows degli Anni ’60 in Inghilterra) e alla Scala Ruja, ad Alghero al Ruscello (vecchio OK Corral 128 PIER LUIGI CHERCHI Il Blu Star negli Anni ’80 L’ingresso dell’Atrium da Via Milano JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 129 degli Anni ’60). La discoteca Blu Star a Ossi nasce proprio nei primi Anni ’80, dalla lungimirante intuizione dei fratelli Peppino & Piero Muresu e del loro socio Peppino Murgia; si balla specie nel fine settimana con la musica dello storico DJ Gabriele Pinna. Nei suoi pri- 1984: esplode la gioventù sassarese al Ruscello mi anni il Blu Star ospiterà famosi personaggi del mondo dello spettacolo, come Gianfranco D’Angelo ed Ezio Greggio del Drive In, i maghi Borsalino, Giucas Casella e il mitico Silvan, nonché famosi cantanti degli Anni ’60 come Mario Tessuto, Cristiano Malgioglio, Gianni Pettenati e Dori Ghezzi e spettacoli di intrattenimento come il catch nel fango e numeri da circo. Il Pebay, la prima vera discoteca di Sas- Dolci serate estive a “La Siesta” 130 PIER LUIGI CHERCHI Yuppies sassaresi con la mitica Volvo 740, e abbigliamento invernale tipico Anni ’80: Ray Ban, montone, giubbotto di pelle, pantaloni di velluto, Timberland e stivaletti femminili con jeans Armani e giubbotto informale con spalline sari, nasce all’inizio degli Anni ’80, vicino all’antica chiesetta di San’Orsola, dall’idea di due imprenditori lungimiranti: Giuseppe (Pe) Pinna Nossai e Baingio (Bay) Nuccio Scanu, e costituisce per quattro anni il punto di ritrovo dei giovani dell’epoca, specie trentenni e quarantenni, gestiti da un giovanissimo Nello Usai, che proprio al Pebay aveva iniziato la sua attività con Vittorio Di Maria. Nella metà degli Anni ’80 inizia la storia dell’Atrium di via Milano, che monopolizzerà le serate della gioventù sassarese. Punti focali delle serate dei ragazzi sassaresi degli Anni ’80 sono fuori porta il Man Pea, (dalle iniziali dei proprietari Manca e Peana), il Lady Night a Valledoria, il Blue Moon a Porto Torres, la discoteca Marini a Ottava, e soprattutto Il Ruscello, ad Alghero nato sulle ceneri del mitico OK Corral degli Anni ’70. Alla fine degli Anni ’80, in vetta al colle sovrastante la mitica Scala Piccada (la strada tutta tornanti dove si corre la famosa gara automobilistica) rinasce dalle ceneri degli Anni ’60, dove il locale fu teatro di una famosa e spettacolare rapina, La Siesta, non più come night di tipizzazione spagnoleggiante (come il famoso El Fuego diventato poi Tris Blu sul litorale di Alghero negli Anni ’70), ma come discoteca e JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 131 anche piano bar, di proprietà dei fratelli Piero e Peppino Maresu. Il locale si contrassegna, oltre che per il target della clientela, tutta di livello medio-alto, anche per la splendida vista che offrono le sue terrazze con viste mozzafiato su tutto il Golfo del Corallo. Oltre alle discoteche si diffondono in maniera massiccia i club privati, dove c’è oltre alla ristorazione e al bar qualche volta anche musica dal vivo, ricordiamo il Gagà nella parte iniziale di via Lamarmora all’angolo con via Carmelo, l’Equivoca in vicolo Viola, il Papillon in via Monsignor Marongiu, il Dopolavoro Ferroviario nato proprio sotto il cavalcavia all’inizio della strada per Alghero, L’altro Mondo in regione San Simplicio, il club di Giovanni Serra, fantastico chef con le prelibatezze della cucina di Oliena, sulla SS 131 fianco a Li Lioni, scomparso prematuramente, e altri. Peraltro aumenta la frequentazione dei locali tipici sassaresi, con fave, piedini d’agnello e cordula con piselli, come il mitico Migali, frequentato da molti politici di sinistra, come ricorda Mario Pala (“Noi andavamo più spesso da Migali con i compagni del partito, e devo dire che aveva per noi un occhio di riguardo… ci riservava tutte le prelibatezze del giorno; chiaramente era tutta cucina sassarese, non potevi certo chiedere l’aragosta, ma anche l’ambiente era molto caldo e accogliente...). Il Gagà, così chiamato dalle iniziali dei soci fondatori Gianni Bassu, Angelo Contini, Gianni Fracassi e Andrea Costa, e ricordato anche come ex MES (Movimento Ecologico Sardo, che proprio in quel locale di Via Lamarmora aveva la sua sede), rappresenta un punto di riferimento per i giovani sassaresi dell’epoca, con una ristorazione prevalentemente impostata sulla sassareseria (fu pubblicato addirittura un libro, oggi introvabile, dal titolo “Le pietanze sassaresi del Gagà”), musica dal vivo con concerti di un giovanissimo Paolo Fresu, la chitarra di Pinuccio Cossu, e addirittura musica sinfonica eseguita con un pianoforte a coda da una studentessa del Conservatorio di Sassari diventata poi concertista (Gianni Bassu ricorda le fatiche e l’impegno per trasportare un pianoforte a coda in quella sede così disagiata). Il locale rappresentava l’espressione dinamica del mondo degli Anni ’80: aperto tutte le sere si riempiva di clienti e di avventori occasionali fino a notte fonda; l’ambiente era variegato, frequentato da una moltitudine di medici, di avvocati, di professionisti, ma anche da operai e 132 PIER LUIGI CHERCHI La bella vita sassarese degli Anni ’80 passa anche per le barche, sempre più numerose nel mare turchese di Stintino o nelle calette di Alghero muratori che il venerdi sera, dopo aver ricevuto la paga settimanale, si presentavano in tuta, mescolandosi agli altri presenti. Gianni Bassu ricorda i fasti di quel periodo storico, gli Anni ’80, dove si viveva un clima di opulenza, di edonismo, di “voglia di vivere” a tutti i livelli, con una grande circolazione di denaro non soltanto nelle fasce sociali più alte, con il locale sempre pieno, anche all’inizio della settimana, senza periodi “morti” o di scarsa attività. “Ti ricordi… (racconta Gianni Bassu) voi venivate con i tuoi amici anche due-tre volte alla settimana, e così anche tanti altri medici, Giovanni Fadda, Gianni Pirisi, Buscarinu, Enzo Riva, i chirurghi dell’Ospedale Civile, Rettaroli... adesso mi sfuggono i nomi, e poi tanti politici, Billia Pes, Perrone… molte campagne elettorali le hanno organizzate qui seduti a tavola...”. Nei primi Anni ’90, in coincidenza con la stangata di Tangentopoli e l’avvento della Seconda Repubblica con conseguente “congiuntura” in tutti i settori, il locale chiude dopo le defezioni di Andrea Costa e di Gianni Fracassi, con i soli Angelo Contini e Gianni Bassu a reggere fino in fondo la baracca. Un altro importante centro di aggregazione della gioventù sassarese sopra i trent’anni diventa il Centro Commerciale della marina di Sorso (oggi praticamente abbandonato e devastato dai vandali), JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 133 I campi da tennis del Centro Commerciale di Sorso con una grande piazza con al centro una fontana, e una miriade di negozi e locali tra cui eleganti ristoranti e pizzerie come quella di Mario Franco, un ragazzo di Nulvi poi scomparso prematuramente. Il ricordo in rewind dei vecchi nostalgici di quegli anni fa rivivere in una patina sbiadita gli spruzzi nella fontana, la piazza piena di persone, la gente seduta sulle gradinate che mangia il gelato, o nei ta- Il residence vicino al Centro Commerciale dove è stato ritrovato negli Anni ’90 il cadavere decapitato della entraineuse ungherese Vicky Danyi. La morte che spaventa ha condannato un luogo, fatto scappare la gente, cambiato un destino 134 PIER LUIGI CHERCHI Lo Sporting Club “Le Querce” volini all’aperto dei bar, oppure che compra all’asta oggetti di antiquariato, mentre i ragazzini fanno la fila per acquistare i gettoni alla sala giochi. In breve il Centro Commerciale della Marina di Sorso diventa anche uno sporting club, con campi da tennis e calcetto, frequentatissimi dai sassaresi. Ma i residence circostanti, come riporta un articolo del periodo, si trasformano in “un grande villaggio a luci rosse, popolati da una sessantina di ragazze, quasi tutte dell’Est Europa, che prendevano in affitto gli appartamenti e pagavano milionate cash, senza battere ciglio. Si tiravano dietro una lunga scia di profughi del sesso, che dalla città e dall’hinterland arrivavano con portafogli generosi e innamoramenti facili”. In citta è preso d’assalto dagli yuppies sassaresi lo Sporting Club Le Querce, a Monte Bianchinu, con tennis, piscina, ristorante, discoteca e piano bar. Nella metà degli Anni ’80, in pieno fervore arboriano con “Quelli della notte”, nel periodo estivo alle Querce si organizza la cena bordo piscina tutti i mercoledi, con musica dal vivo e barbecue (ricordo Gianni Rizzi, raffinato tastierista alla Keith Emerson allietare le serate con il suo gruppo) . JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 135 Il target della struttura è costituito da professionisti, non solo giovani ma anche 50-60enni, che in quell’ambiente raffinato, gestito dalla indimenticabile Giuliana, si trovano a loro agio non solo nel fine settimana, ma anche negli intervalli prandiali o per un aperitivo prima della cena infrasettimanale. Un fiume di denaro scorre anche nella nostra città, gli stipendi crescono a dismisura e se l’inflazione cresce annualmente del 15-18% alla gente poco importa perché i depositi bancari crescono proporzionalmente. Dal punto di vista artistico gli Anni ’80 indubbiamente devono essere considerati come anni di grande vitalità ed entusiasmo, capaci di segnare più di altri hanno la crescita culturale della nostra città dal punto di vista delle forme di creatività e degli spettacoli. Sassari, in quel decennio, si presenta come una tappa obbligata nelle tournèe degli artisti nazionali (Vasco Rossi, Zucchero, Claudio Baglioni, Bennato, De Andrè) e internazionali che calcavano le scene in quegli anni: Steve Lacy e gli Spandau Ballet, Pina Bausch e Luciana Savignano, Carla Fracci e Lucio Dalla, Art Ensemble of Chicago e Giorgio Gaslini, Astor Piazzolla e Sonny Rollins, Aterballetto e Miriam Makeba, Wayne Shorter e Ornette Coleman. Proprio partendo da quel febbrile decennio di spettacoli, in città negli anni successivi, si sono consolidate iniziative culturali con la creazione ad esempio di un corso di jazz all’interno del Conservatorio (nasce l’Orchestra Jazz della Sardegna) e di di compagnie di danza contemporanea e di gruppi di teatro (vedi intervista a Puccio Savioli e Pino Squintu). All’università di Sassari, come nelle altre università d’Italia, scompaiono i contestatori e gli agitatori, lasciando spazio ai ragazzi che vogliono completare il corso di studi ed arrivare alla agognata laurea nel minor tempo possibile. In questo clima di Riflusso rinasce dalle ceneri degli Anni ’70 la tanto vituperata Goliardia, con pontefici e cardinali a riprendersi la scena sassarese, con tanto di discesa di carruzzi in viale Trento e sfilate allegoriche nel centro della città. 136 È rinata la goliardia PIER LUIGI CHERCHI JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI Goliardi sassaresi in Rettorato La corsa dei carruzzi in Viale Trento 137 138 PIER LUIGI CHERCHI Slogan Anni ’80 Fioriscono negli Anni ’80 le feste private, spesso con DJ al seguito e luci stroboscopiche. I giovani di allora, anche a Sassari, riscoprono il gusto dell’eleganza; alla fine della serata si finisce in discoteca o, più spesso, al raffinato “Nepentha Club” di Via Asproni ad ascoltare le note delicate di un pianista ispirato. Feste private Anni ’80 a Sassari: le camicie di Magnum PI fanno epoca JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 139 Sassari, Anni ’80: si riscopre il gusto per l’eleganza Giovani professionisti (yuppies) sassaresi negli Anni ’80: si ritorna alla cravatta e agli abiti da sera femminili 140 PIER LUIGI CHERCHI Anni ’80: a fine serata scompaiono le cravatte e si ritorna al look Anni ’70 Carnevale a Sassari JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 141 LA MOVIDA, PERSONAGGI E LOCALI Intervista a Cosimo Salis Tu ha iniziato già alla fine degli Anni ’70 con i locali della Sassari di allora, nonostante facessi un lavoro come bancario di giorno; la notte ti sdoppiavi e diventavi l’animatore della movida sassarese. Come ricordi quegli inizi? Sì, ho lavorato alla Banca Nazionale del Lavoro fino al 1990, riuscivo a fare bene tutte e due le cose, poi alla fine ho deciso di dedicarmi solo al mondo dei locali e delle discoteche. L’attività era cresciuta a dismisura e non era possibile conciliare i due lavori. Pensa che nel 1986, col rinnovamento del Calabona, si è dovuta creare per forza una società, e, non potendo figurare io per il mio lavoro in banca, ho dovuto nominare mia moglie Patrizia come titolare della società. La mia prima gestione è stata all’inizio degli Anni ’80 (79-80) nella discoteca di Monte Oro, in pratica una villa in campagna che è stata trasformata in locale pubblico, oggi sarebbe quasi un circolo privato… nata in parallelo col Pebay di S. Orsola. Sono state le prime dell’epoca a Sassari, frequentatissime. Poi nel 1984 ho preso Scala Ruja a Ossi, in collaborazione con l’avvocato Gianni Spanedda, che ricorderai in quel periodo, ma ancora prima, nel 1982 ho iniziato, sempre ad Ossi, trasformando il vecchio cinema nell’Airport, così chiamato perché, a otto metri di altezza avevamo messo il frontale di un DC9, con la consolle del DJ, che ero sempre io… ero sia l’organizzatore che il DJ. Allora si compravano da Griscenko gli LP mixati, che duravano una 142 PIER LUIGI CHERCHI mezz’oretta, erano già pronti e tu facevi un figurone e avevi la possibilità nel frattempo di acchiappare… Nella metà degli Anni ’80, verso l’84-85 abbiamo aperto il Piper Moon a Tissi, dove si iniziò col Rockhouse, con Giovanni Leonardi, che era il manager dei Sole Nero poi diventati Coro degli Angeli; lì suonavano loro, i fratelli Poddighe, Andrea Parodi con cui eravamo diventati molto amici – addirittura lì aveva conosciuto quella che sarebbe diventata la seconda moglie –, e tanti altri gruppi dell’epoca. C’erano grandi DJ al Piper Moon, come Gabriele Pinna e Zeno Pisu. Nell’85 abbiamo aperto il Ruscello con Nello Usai e Michele Bozzi: veniva tutta la Sassari giovanile, a fine settimana era un esodo, centinaia di persone… poi, nell’87, ci siamo spostati al Calabona per il periodo estivo. La gente veniva dove eravamo noi, non c’era possibilità di concorrenza e non c’era bisogno neanche di fare grande propaganda… tutti ci conoscevano e seguivano i nostri spostamenti. Nell’87 abbiamo letteralmente svuotato il Ruscello, portando via tutto quello che c’era e al Nuovo Calabona abbiamo creato una struttura di concezione modernissima, con la discoteca in basso e, sopra, il piano bar di vecchia concezione, col pianoforte a coda, dove suonava un grande talento proveniente dalla Toscana, Mauro Nacci, talmente bravo che non riusciva a staccarsi dal pianoforte perchè tutti gli stavano addosso chiedendo i brani ed era costretto a rimanere lì senza poter andare in bagno. Lì c’era Mario Monte, proprietario storico del Calabona, che si mise in società con noi. È in quella occasione che, non potendo figurare per il mio lavoro in banca, misi Patrizia come titolare della Società che avevamo creato. In inverno nel frattempo avevamo creato a San Giovanni il Byblos, che all’inizio ricorderai si chiamava Dissident; eravamo sempre io, Nello Usai, Antonello Accioni e Giampaolo Pintus, che poi è tragicamente scomparso. Come è nata l’avventura dell’Atrium, col connubio tra discoteca e musica dal vivo? È stato alla fine degli Anni ’80, verso l’87-88, che abbiamo iniziato con l’Atrium, e lì veramente abbiamo capito di essere una potenza, tutti continuavano a venire da noi, non ce n’era per nessuno… JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 143 All’Atrium, nel 1989 creammo una separazione tra discoteca al piano terra e piano bar al piano superiore: fu un successo straordinario, con delle vere band che suonavano, Mariano Melis che suonava prima al Las Vegas in via Oriani, Fabio Nicosia, Gavino Riva al basso, Fabrizio Guelpa alla batteria, e altri, tra cui Raffaele Polcino, grande trombettista. In quei primi anni alternavamo il top della musica in Sardegna, sono passati tutti, i Tazenda, Piero Marras, Benito Urgu… anche con lui avevo creato un rapporto di amicizia… Un giorno abbiamo pensato, quando è esploso il karaoke, di fare qualche serata di karaoke, abbiamo comprato l’apparecchio che allora costava due milioni e mezzo, e si usavano i dischi “d’oro” che costavano 250.000 lire ognuno… poi anche cabaret, la domenica sera venivano i migliori cabarettisti dell’epoca, li presentava Paul Dessanti, c’era anche Andrea Enrico, si facevano riprese televisive con Tele Etere di Pierluigi Dessì, dibattiti, anche la Corrida, ti ricordi Gesuino Cosseddu… Un grandissimo successo, i tavolini erano prenotati almeno da un mese prima. Questa formula nel ’90 l’abbiamo ripetuta al Manpea, con un enorme palco all’esterno di quindici metri sulla terrazza, dove suonavano i vari musicisti. Allora con il povero Ugo Mela, visto che non esisteva una concessione eravamo riusciti, in una notte, a far piazzare su tutto il perimetro della terrazza dei vasconi alti due metri come recinzione, tutte le ringhiere e le porte di sicurezza. L’indomani mattina sono arrivati i vigili ma ormai i lavori erano terminati, non hanno potuto far niente… poi abbiamo fatto la sanatoria. Com’era il mondo degli Anni ’80, tu che l’hai vissuto nel tuo ruolo di imprenditore in quel settore che andava tantissimo. C’era veramente tanto denaro che circolava? Gli Anni ’80 sono stati anni di puro divertimento, col denaro che la faceva da padrone. Non c’era crisi, tutti avevano soldi e li spendevano soprattutto nel nostro settore. Se qualcuno entrava gratis senza pagare l’ingresso la frase ricorrente nel nostro entourage era “già li lascia al bar…”, ed era la verità, spendeva più di consumazioni che di biglietto d’ingresso. Oggi, già l’attività si è ridotta, e se non prendi l’ingresso sei fregato perché quello non lascia più nulla… 144 PIER LUIGI CHERCHI Ma quale era il tipo di clientela che frequentava i tuoi locali? Giocoforza doveva avere delle possibilità economiche e quindi escludiamo i ragazzini e gli studenti, storicamente sempre spiantati. Sì, il target allora erano i giovani di trenta-quarant’anni, con il portafoglio pieno, belle macchine, belle donne, voglia di divertimento, musica; il diciottenne-ventenne era più indirizzato verso il the danzante che funzionava ancora allora. Come ho detto lo spirito era quello dell’evasione, del divertimento puro, abbinato alle proposte musicali che noi offrivamo e ai personaggi che riuscivamo a portare – pensa che siamo riusciti, all’Atrium, a chiamare Jovanotti come DJ, mentre se torniamo ai tempi del Byblos abbiamo portato tutti i grandi nomi dello spettacolo di allora, Camerini, Baccini, Bertoli –. Pensa che al Byblos nell’89 abbiamo fatto una serata di Telethon Sardegna, in collaborazione con Antonio Arcadu, trasmessa in diretta sulla RAI, con tutti gli artisti sardi, i Tazenda, Benito Urgu, Piero Marras, anche Giuseppe Masia che stava iniziando e Beruschi che veniva da Canale 5. C’era prima di tutto una grande professionalità, la gente lo capiva e lo apprezzava, e per questo ci seguiva dappertutto. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 145 MUSICA DI QUALITÀ E “SPAZZATURA” Autointervista di Pier Luigi Cherchi Tu ti sei interessato, nei tuoi libri precedenti, della musica beat e dei generi musicali degli Anni ’60-’70, il progressive, il rock psichedelico e il pop-rock nelle sue varie connotazioni. In questo libro parli soprattutto degli Anni ’80, ma come possiamo definire dal punto di vista social-musicale questi tanto esaltati e nello stesso tempo vituperati Anni ’80? In tutti i decenni, dal punto di vista storico, gli ultimi anni del decennio rappresentano la svolta e l’avvio ad un’evoluzione dei costumi sociali e quindi anche dei fenomeni di massa come la musica. Così è stato alla fine degli Anni ’50 con il Rock’n Roll, alla fine degli Anni ’60 con il progressive e la musica più raffinata, mentre alla fine degli Anni ’70, in pratica nel 1978, si è avuta l’esplosione mondiale del punk, con la nascita di centinaia di gruppi che hanno creato un genere musicale a cui gli storiografi hanno dato il nome di new wave o post-punk. Gli Anni ’80 hanno rappresentato comunque un decennio di grande innovazione ed ecletticità, con la nascita di nuovi generi (come il metal i cui germogli si erano visti negli Anni ’60 e ’70, il punk-core, ecc.), e la ricerca di una commistione più radicale tra rock e generi tendenzialmente autonomi e quasi ghettizzati, come la black music, nata a Detroit con la musica Motown (The Jackson Five con un giovanissimo Michael Jackson, Bruno Mars, Marvin Gaye, The Commodores, Stevie Wonder, Diana Ross, The Temptations etc.), con il mondo soul, con la disco-music ed il funk; nonché con l’incipiente ondata del rap, nato nei sobborghi metropolitani statunitensi quasi come nuova musica di protesta. Negli Anni ’80 nasce di fatto la musica elettronica, il techno e l’house che, diffusi dalle nuove tecnologie (in particolare dall’avvento dei CD che sostituiranno le vecchie musicassette) la faranno da padrone proprio negli ultimi anni del decennio. Ma il grande fenomeno commerciale, derivante da queste nuove tecnologie elettroniche, si ha con l’avvento del synth-pop. Alla fine degli Anni ’70 e l’inizio Anni 146 PIER LUIGI CHERCHI Madonna, la star della pop music anni ’80 JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 147 ’80 infatti, un certo numero di band, soprattutto britanniche, influenzate fortemente da Roxy Music e David Bowie, introdussero le innovazioni elettroniche di band come Kraftwerk per le canzoni pop e rock. Alcuni dei primi artisti furono Gary Numan, The Human League, Ultravox, Depeche Mode, considerati da riviste musicali come Rolling Stone la quintessenza del genere. Alcuni di questi primi accenni di synth pop vennero abilmente trasformati, a livello commerciale, in pop sintetizzato ballabile e più orecchiabile chiamato “new romantic” da gruppi come i Duran Duran, gli Spandau Ballet, Culture Club, ABC, Eurythmics etc. che hanno diffuso il genere ad un pubblico sempre più ampio. Altre band, al contrario, rimasero confinate in un circuito più alternativo, restando fedeli ad un suono più ricercato e più vicino alla new wave, ottenendo però, con alcuni singoli di successo, una breve ma notevole popolarità. Tra i protagonisti del synth pop d’origine, voglio ricordare i New Order, nati dalle ceneri dei Joy Division rimasti orfani di Ian Curtis, gli Alphaville del grande successo mondiale Forever Young, ancora ballato nelle discoteche e oggi titolo dell’ultimo film di Teo Teocoli, gli Human League, trio all-synthetizer, che esplosero con l’album Dare ed il singolo Don’t You Want Me, gli Ultravox, che con il cambio del cantante da John Foxx a Midge Ure e con la pubblicazione dell’album Vienna per circa un lustro restarono i veri dominatori del synth pop grazie anche ad altri album pienamente azzeccati come Lament e Quartet. Da ricordare anche i Pet Shop Boys, con singoli di enorme successo come West End Girls e It’s a Sin, gli OMD con Enola Gay (ancora oggi un classico della disco) e i Visage autori di Fade to Grey. Tutte queste band occuparono di fatto la scena mondiale fino all’esplosione del fenomeno grunge all’inizio degli Anni ’90. In Italia, quali ritieni i gruppi ed i cantanti più rappresentativi del periodo? Se restiamo a questi generi musicali, come il New Wave e la Synth, senza citare tutti gli artisti emergenti come Vasco, Zucchero, Ramazzotti, Gianna Nannini etc. in Italia ci sono state realtà importanti di livello internazionale come i primi Litfiba, i Krisma (già Chrisma) nati da un’idea di Maurizio Arcieri (già cantante nel gruppo beat New Dada e poi cantante solista negli Anni Sessanta, scomparso prematuramente 148 PIER LUIGI CHERCHI due anni fa) che forma il duo con Christina Moser e si dà prima ad una musica dalle forti connotazioni punk e poi ad un’elettronica d’avanguardia caratterizzata da ritmi a volte ossessivi, scelte musicali pionieristiche e dalla grande importanza data al look e all’aspetto visivo della loro musica, i Diaframma, i Gaznevada, i CCCP, i Negazione e artisti interessanti come Alberto Camerini, che per il suo stile inconfondibile (Arlecchino elettronico, Rock’n’Roll Robot) diventa insieme ad altri colleghi (Ivan Cattaneo tra tutti) esponente della musica elettronica degli Anni ’80, e Alice. Invece, a proposito di cantautori italiani, è vero che scompare negli Anni ’80 la figura del cantautore impegnato e si riprende con le canzonette? È innegabile che la musica italiana negli Anni ’80 ha attraversato un periodo di decadenza dopo i fasti degli Anni ’70, con le scuole di cantautori che hanno creato un vero genere musicale senza età, oltre a un parco di artisti progressive all’avanguardia (PFM, Orme, Banco, New Trolls). Questa destabilizzazione nella musica è conseguente allo scadere della vita culturale e politica, in seguito al “Riflusso”, con la caduta dell’impegno sociale, il prevalere dell’antipolitica, la ricerca del successo e del benessere a tutti i costi, il qualunquismo in tutte le frange della popolazione, anche in quella che aveva “combattuto” per un ideale negli Anni ’70, e negli ’80 si adagiava nel benessere della piccola-media borghesia, come cantava Venditti: “Compagno di scuola… Compagno di niente…ti sei salvato dal fumo delle barricate… Compagno di scuola… Compagno per niente… ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu…”. Anche la muI Duran Duran negli Anni ’80 JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 149 sica italiana diventa di fatto “qualunquista” negli Anni ’80, con qualche bagliore legato a sporadici album dei “vecchi” cantautori come Battisti e De Gregori. Proprio Lucio Battisti, negli Anni ’80, allontanatosi da Mogol, si è avvicinato alla musica elettronica con “E già” (1982), registrato completamente con suoni creati al computer, senza musicisti nella sala d’incisione, e alla poesia in musica, attraverso la rivisitazione dei testi di Pasquale Panella ai quali aggiungeva la musica senza cambiare il testo di una virgola. I quaranta brani pubblicati con Panella nel periodo dal 1986 al 1994 sono stati diversamente valutati dai critici che nel migliore dei casi li hanno giudicati freddi e incomprensibili. Personalmente per un lungo periodo li ho massacrati, rivalutandoli dopo una ventina d’anni, e riscoprendo qualcosa della genialità assoluta di un artista che da protagonista, al termine della sua vita, ha voluto trasformarsi in comprimario di un poeta del popolo capace di vertigini linguistiche forse troppo difficili da recepire per una società frenetica e consumistica come quella degli Anni ’80-’90. E della tanto vituperata Disco-music sempre più elettronica degli Anni ’80, cosa diciamo? In un certo senso quella musica aveva, nel periodo storico considerato, una sua validità. Infatti in quel periodo i brani da discoteca erano caratterizzati dall’utilizzo dei nascenti suoni elettronici che, con volumi da capogiro, facevano esplodere i ragazzi (ma era l’epoca anche dei trentenni-quarantenni update) nelle danze più sfrenate, cancellando lo stress di una settimana lavorativa. In quegli anni, la discomusic cominciò ad affermarsi sempre più nelle discoteche italiane, con la nascita della italo dance o italo-music, che divenne nel giro di poco tempo una vera e propria icona della storia musicale, diffondendosi in tutto il mondo, sia in Europa, ma anche in America. Da ricordare, nell’ambito di questo genere produttori musicali come DenHarrow (“To Meet Me” e “A taste of love”), Giorgio Moroder che ha lavorato alla colonna sonora di diversi film come Top Gun e Flashdance. e interpreti come il fenomeno della metà degli Anni ’80 Mike Francis (vero nome Francesco Puccioni, capace di vendere oltre otto milioni di copie dei suoi dischi in tutto il mondo), Ivana Spagna artista di livello internazionale, i cui album sono stati pubblicati e sono entrati 150 PIER LUIGI CHERCHI in classifica in numerosi paesi europei ed extraeuropei, tra cui Inghilterra, Germania, Francia, Spagna, Paesi Bassi, Australia e Giappone. E ancora: Gazebo (“I like Chopin”, successo straordinario del 1983), Raf (“Self control” del 1984), Gepi & Gepi, con la sua bellissima voce alla Barry White, e perfino Sabrina Salerno, che col singolo “Boys” si posizionò al terzo posto in Inghilterra vendendo milioni di copie, i fratelli La Bionda e i commercialissimi Righeira (Vamos alla playa, L’estate sta finendo, No tengo dinero). Per quanto riguarda più in dettaglio lo stile musicale, dal 1983 l’italo disco avrà modo di stabilizzarsi e uniformare il proprio genere, trasportando tutte le altre influenze sugli stessi binari, con un ritmo binario, suonato ad una velocità normale, nel quale il “levare” (battuto con un “clap”) è più accentato del “battere” (che è simile ad un “boom”), una struttura in 4/4, dove, in ogni quarto, c’è lo stesso basso suonato su una nota diversa, per poi ricominciare il “riff”. Di solito venivano usati 4 o 5 giri, ripetuti e identici per tutto il quarto, senza alcuna dipendenza dal “riff” dei bassi. La melodia andava di pari passo con la voce, che molte volte veniva rimanipolata elettronicamente e “giocava” con il particolare “riff” di bassi, muovendosi proprio come uno strumento: i testi in inglese erano spesso ispirati allo stile americano con semplici o complesse storie del quotidiano; oppure si ispiravano alla vita di notte, alla tecnologia, con numerosi riferimenti al Giappone e agli Stati Uniti. In conclusione la discomusic degli Anni ’80 è figlia dei tempi, e a distanza di trent’anni non può essere giudicata con l’attuale metro di giudizio: molti di quei dischi “caldi”, come Gli Spandau Ballet con Tony Hadley JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 151 venivano presentati nelle top-ten della settimana, sono ancora trasmessi nelle discoteche e riscuotono grande successo, per non parlare delle pubblicità televisive, che attingono a piene mani a quella musica che molti, erroneamente, hanno definito “spazzatura”. Questo probabilmente è il più grosso problema degli Anni ’80 musicali: quello di avere una pessima fama kitsch. E in Sardegna e a Sassari in particolare quale è stato il panorama musicale degli Anni ’80? Dopo la defezione in massa di tutti i gruppi tardo-beat, alla fine degli Anni ’70 si è creato un buco nero dove sono rimasti a galla solo i grandi complessi come i Bertas, Piero Marras con i suoi musicisti, i nuovi Baronetti che continuavano a suonare al Pontinental, Gianni Davis e pochi altri. Con la ripresa negli Anni ’80 della richiesta di musica dal vivo sono emersi Sole Nero, poi diventati Coro degli Angeli, dalle cui costole sono nati i mitici Tazenda con Andrea Parodi, gli Azimut, i Cento, gli Humaniora, che hanno intrapreso un percorso musical-teatrale con la direzione di Zino Squintu, i P.S.A. gruppo punk-rock divenuto poi riferimento nazionale e internazionale di quel tipo di musica, gli Attacco Sonico, l’esuberante Joe Perrino e altri gruppi minori, tutti caratterizzati da una maggiore cultura musicale (quasi tutti usciti dalle aule del Conservatorio di Sassari) rispetto alla improvvisazione casereccia degli Anni ’70. Proprio il Conservatorio, le scuole di musica private, gli insegnanti part-time per lezioni “a casa” hanno portato in quegli anni alla diffusione di una musica colta, più raffinata con evoluzioni spesso verso il jazz e il blues, con grandi interpreti che, partendo da Sassari, hanno finito per suonare in grandi gruppi del continente. Insomma il fervore e la vitalità degli Anni ’60 e ’70 sono continuati nella nostra città anche negli Anni ’80, anche se con le dovute evoluzioni sia legate ai tempi che alle nuove tecnologie: il verbo diffuso da Jonn Lennon non si è fermato con il riflusso e l’edonismo, ma si è trasformato mantenendo comunque quell’entusiasmo e quelle speranze nate nelle strade della Sassari vecchia degli Anni ’60. 152 PIER LUIGI CHERCHI JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 153 GRUPPI MUSICALI A SASSARI NEGLI ANNI ’80 Bertas, Azimut, Attacco Sonico, Joe Perrino, Cento Humaniora, PSA I Bertas costituiscono anche negli Anni ’80 il gruppo più rappresentativo del panorama musicale sassarese. Nel 1980 Eugenio Romano (ex Azimut) sostituisce alla batteria Giuseppe Fiori, mentre già dagli Anni ’70 Enzo Paba e Marco Piras avevano sostituito i musicisti fondatori Brunetto Sini e Mariolino Gadau, mentre Mario Chessa era passato alle tastiere dopo una permanenza nei favolosi Anni ’60 nei Simba e negli Okiba. Nel 1979 Antonio Costa accetta di dirigere la corale Canepa ed esce dal gruppo; ciò apre la strada ad una collaborazione con le Corali, la Canepa, la Vivaldi e quella del Conservatorio musicale di Sassari, con la Messa (Sa Missa), in sardo, ed altre straordinarie esecuzioni in vari Teatri. Ad Antonio Costa si deve l’attenzione per la polifonia, che ancora è un carattere preminente del gruppo, e che nasce nella stessa cultura sardo del canto a tenores. “L’inverno stava per finire, quando un grosso masso è precipitato dalla collina ed è rotolato giù sino alla valle, finendo la sua corsa sopra il tetto di un mulino. Il masso dopo aver sfondato il tetto, è caduto su una culla dove dormiva un bambino di pochi mesi: Pietro Pisano. Quando la madre è accorsa, sentito il forte boato, il bambino aveva già lasciato questo mondo. Fatalità: il primo disco dei Bertas negli Anni ’60, quando Questa tragica stonel gruppo militava Gianni Davis 154 PIER LUIGI CHERCHI ria, accaduta nel 1957 a San Lorenzo (frazione di Osilo), è il motivo ispiratore della canzone Badde Lontana, e l’autore Antonio Strinna è nato proprio in questa valle di mulini, dove viveva nel momento della tragedia. Badde Lontana è stata composta insieme ad Antonio Costa nel 1972 e incisa per la prima volta dai Bertas nel 1974. Antonio Strinna immagina che la madre del bambino ritorni nella valle il 10 di agosto, alla festa di San Lorenzo. La donna si ritrova così in una situazione di conflitto interiore con la festa e soprattutto con la valle (Badde lontana) che le ha ucciso il figlioletto. Gioia e dolore, fede e disperazione, amore e incapacità di perdonare, tutto si scontra dentro di lei, in una sorta di guerra continua, inevitabile. Ma alla fine, ecco che si affaccia uno spiraglio di luce: la donna si rivolge fiduciosa al santo, Santu Larentu, gli chiede di prenderla per mano, di farla sperare insieme a lei. In oltre trent’anni di vita, e dopo l’incisione dei Bertas, questa canzone ha conosciuto moltissimi interpreti, in Sardegna e nella Penisola, ed è stata eseguita in molti paesi del mondo. Da tempo viene considerata parte integrante del canto popolare sardo.” Negli Anni ’80 il gruppo non vive il suo periodo migliore, ma arriva comunque, grazie a Franco Godi, a registrare la colonna sonora di “Africa dolce e selvaggia” e un paio di jingle pubblicitari, fino alla realizzazione, nel 1987, di “Unu mundu bellissimu”, sotto la guida di Mark Harris, profondo sostenitore delle tradizioni musicali e collaboratore di Badde Lontana: il capolavoro assoluto dei Bertas, nato negli Anni ’70, eseguito come voce solista da Giuseppe Fiori JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 155 artisti come De Andrè e Pino Daniele. L’album, in cui venivano interpretati i brani più conosciuti della tradizione isolana riproposti in chiave elettronica, pur apprezzato da vari critici come ardita sperimentaAnni ’70: i Bertas con Giuseppe Fiori e Antonio Costa zione musicale, non incontrò i favori della gente comune. Racconta Mario Chessa: “Nel 1987 conoscemmo un tastierista americano, Mark Harris, che aveva suonato con vari gruppi, tra cui Napoli Centrale e, in quel periodo stava in Sardegna perché la sua compagna era di Nel 1981 i Bertas incidono il 45 giri “Un po’ di rabbia” Villamar… Mark ci consigliò quali pezzi fare e registrammo tutto con l’ausilio dell’elettronica... era il periodo in cui nascevano i primi computer musicali, i sequencer..., tranne chitarre, basso e voci. Fu un’esperienza nuova, l’ultima degli Anni ’80 perché il disco successivo fu “Amistade” del 1993.” Da ricordare, negli Anni ’80, anche l’incontro con il cantautore Piero Marras, di cui i Bertas eseguono, in maniera magistrale con le loro vocalità, pezzi indimenticabili come “Lettera” e “Mere manna, mere mea”. Al di là delle produzioni musicale l’attività dei Bertas nelle piazze è frenetica e richiama anche negli Anni ’80 una grande massa di appassionati che seguono il gruppo anche nelle varie città dell’isola. 156 PIER LUIGI CHERCHI Alla fine degli Anni ’80 il gruppo decide di cambiare l’impostazione musicale, fino ad allora troppo tradizionale, a parte l’esperimento con Mark Harris di “Unu mundu bellissimu”, forse non ancora in linea con i tempi, e si affina con nuove sonorità, in linea con l’evoluzione tecnologica dei primi Anni ’90. Nasce così, nel 1993, l’album “Amistade”, ricco I Bertas alla fine degli Anni ’70: Carlo Costa, Enzo Paba. Giuseppe Fiori, Marco Piras, Antonio Costa e Mario Chessa JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 157 di nuove ricerche e sperimentazioni musicali (quasi un laboratorio musicale degli Anni ’90, vedi brani come “Come cheria” e “Cantare, cantare, cantare”) inserite in un contesto di canti tradizionali sardi e di testi originali, di nuova composizione, in logudorese. I Bertas con Eugenio Romano che sostituisce Giuseppe Fiori Come afferma Mario Chessa: “Ci trovavamo alla ricerca di un cambiamento, in mezzo ad una fase di transizione, e perfino di confusione… ma il nostro vigore, la voglia di fare spingevano verso nuovi mondi musicali, ai quali cercavamo di aprirci. Fu così che arrivammo ad Amistade, nel 1993, con uno spostamento radicale di scrittura, di baricentro, di asse quasi una sorta di rifondazione...”. Dell’album fa parte anche “Badde lontana”, cantata da Enzo Paba, unico brano che mantiene comunque nell’arrangiamento una impostazione tradizionale, quasi Anni ’70, con un sottofondo di archi e la polifonia tipica del primo periodo Bertas. 158 PIER LUIGI CHERCHI Gli Azimut I primi Azimut nascono nel ’75, creati da Giovanni Leonardi, tastierista e grandissimo manager dell’epoca. Nella recensione prodotta su Alfiomusic, il sito di Alberto Fiori, vengono indicati i nomi dei seguenti musicisti: Giovanni Leonardi tastiere, Vito Deledda basso, Mauro Di Maria chitarra accompagnamento, Paolo Gadau chitarra solista, Enzo Concu sax tenore, Eugenio Romano batteria (poi passato ai Bertas), in seguito anche Piero Concu al sax contralto. Poi subentrarono: Gianni Rizzi alle tastiere, Nando Esposito alla chitarra d’accompagnamento, Salvatore Scala alle congas, bonghetti e batteria. Come complemento al gruppo troviamo al mixer voci Piero Carta, Claudio Como, Italo Di Maria, e alle luci Adolfo Deriu e Mondino Carnelias. Gli Azimut, nel primo periodo rigorosamente tutti vestiti di bianco, incidono un 45 giri “Ragazzina tu”, che si può trovare ancora su Internet con le foto di quella formazione in dissolvenza, e “Sa serra”, JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 159 uno dei primi dischi in sardo. Negli Anni ’80 avviene il cambio di formazione con l’ingresso di un giovanissimo Mariano Melis, chitarra e voce solista, Francesco Santu al basso, Giampaolo Ruggiu, grande tastierista proveniente dal Conservatorio di Sassari e Marco Cosseddu alla batteria. Gli Azimut sul palco Giovanni Leonardi e Paolo Gadau 160 PIER LUIGI CHERCHI Attacco Sonico Un gruppo musicale di tendenza hardrock nato negli Anni ’80 col nome di Mississipi SIP sono gli Attacco Sonico, formati da Marco Caracciolo, bassista e cantante, Giuseppe Loriga alla chitarra e Andrea Lubino. I tre nati dall’ambiente studentesco della Sassari Anni ’80 portano il loro credo rock nelle sale e nelle piazze dell’isola. La prima registrazione ufficiale è del 1986, proveniente da un umido scantinato, sulle tracce dei mitici Anni ’60, dove le cantine rappresentavano l’ambiente cult della musica e della cultura underground. A quella registrazione seguono altri tape ora introvabili, testimonianza del fervore musicale di quegli anni oggi così vituperati. Alla fine degli Anni ’80 Loriga emiGli Attacco Sonico oggi sul palco. gra in California, la band si sposta ad Alghero con nuovi ingressi come Ferruccio Pintus (chitarra) e Marcello Falchi (batteria): la band, nella nuova formazione, esplode in una miriade di concerti e di defezioni e sostituzioni, con una ventina di musicisti che, uno dopo l’altro si susseguono sulla scena. Joe Perrino Sempre nel campo dell’hard-rock uno dei maggiori interpreti sas- JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 161 saresi degli Anni ’80 è stato Joe Perrino (al secolo Nicola Macciò), esuberante interprete dell’Heavy Metal sardo già all’età di 17 anni con il gruppo Hard Core Punk SS2o e successivamente, nel 1984, leader della band Joe Perrino e the Mellowtones, molto vicina, nella cultura musicale, al mitico Frank Zappa, in un misto, come dice lo stesso Perrino, di droga, sesso & rock’nroll. Il gruppo non si limita alle piazze isolane, ma gira l’Italia in lungo e in largo, con grande successo di pubblico, soprattutto tra i giovanissimi, collaborando anche con i mitici Litfiba in alcune performance. Proprio la necessità di portare avanti i Litfiba di Piero Pelù da parte della casa discografica fiorentina IRA Records porterà al sacrificio della band di Perrino, che dopo varie vicissitudini si trasferisce a Londra suonando con varie band inglesi fino al ritorno in Sardegna all’inizio degli Anni ’90. I Cento Nel campo della musica Pop I Cento sono stati uno dei migliori gruppi musicali della scena sassarese degli Anni ’80; fondati da Salvatore Scala (già Sole Nero), con Giacomo Doro, Giuseppe Gadau, Antonello Coradduzza e Paolo Erre, si sono distinti per la professionalità della loro musica, non più lasciata all’improvvisazione degli Anni ’70, 162 PIER LUIGI CHERCHI ma articolata scientificamente attraverso lo studio dei brani e la conoscenza delle basi musicali. I Cento hanno sfruttato la nuova tecnologia emergente di quegli anni imponendosi nelle serate con un repertorio e una rappresentazione musicale mai disomogenea e priva di “tempi morti”, capace di stimolare e suscitare interesse nel pubblico , particolarmente caldo e partecipante nel clima edonistico dei folli Anni ‘80.Nato su iniziativa di musicisti di Sassari e Sorso, il gruppo ha proposto, nella sua carriera, dischi inediti per lo più in lingua inglese, come «Il diavolo in cantina» e, nel 1989, «Choose life», che col singolo «Just for now», ha scalato le classifiche dei motivi richiesti degli ascoltatori delle più importanti radio nazionali. Proprio nel 1989 il gruppo ha partecipato con questo brano alla trasmissione televisiva su RAI Due D.O.C. di Renzo Arbore e Gegè Telesforo, presentati da Enrico Ruggeri che li indicava come talenti emergenti da lui scoperti nel panorama nazionale. I Cento hanno affiancato noti artisti come Enrico Ruggeri hanno collaborato all'incisione di dischi di Francesco Baccini e di Luigi Schiavone, già chitarrista di Enrico Ruggeri. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 163 Gli Humaniora Rappresentano l’espressione raffinata e colta della musica sassarese dei primi Anni ’80, legati alla deriva del neo-progressive con una tecnologia più evoluta. Il gruppo, fondato da Zino Squintu, dopo l’avventura degli Anni ’70 con i Savages fondata più sulla musica di protesta, il pacifismo e le delicate liriche dei New Trolls e De Andrè, ha percorso più di trent’anni di intensa attività culturale, attraverso incontri, collaborazioni e scambi continui con tante realtà artistiche, musicali e del sociale, che li ha trasformati in un vero laboratorio di ricerca e creazione letteraria e musicale negli Anni ’90. Il gruppo ha percorso tanti sentieri creativi, dalle storie fantastiche di navi egiziane che veleggiavano nel Mar Rosso, fino alla descrizione di città immaginarie evocate dal Italo Calvino nell’ultimo album pubblicato. Dal 1983 a oggi gli Humaniora hanno registrato dodici album, accomunati da una grande cura dei testi. «Per noi parole e musica formano insieme un unico segno espressivo – dice Lavinia Rosa, voce solista, con gli Humaniora dal 1988 – è quasi sempre il testo che ci porta a scegliere il tipo di comunicazione musicale. Proiettiamo i testi perché riteniamo fondamentale comunicare, le vibrazioni che il pubblico ci dà, è un scambiarsi qualcosa a vicenda». Presto uscirà un libro che ripercorrerà la storia del gruppo con i concerti, la discografia, e il ricordo di tutte le persone che hanno collaborato: «Ogni periodo ha avuto il suo momento espressivo, – continua Lavinia Rosa – in trent’anni c’è stato anche un ricambio generazionale rispetto alla formazione iniziale: il senso di essere laboratorio è anche questo, far sì che l’avventura degli Humaniora continui nel tempo». 164 PIER LUIGI CHERCHI P.S.A., SOUND PUNK NEL DEPOSITO DI SALE Intervista a Geppi dal sito punk “Striscia la lametta” I Punk Sound Against Più conosciuti come P.S.A., sono stati un gruppo musicale hardcore punk attivo negli Anni ’80. Il gruppo nacque a Sassari nel 1982 dall’incontro di Geppi (voce), Danilo (chitarra), Gigetto (basso) sostituito in seguito da Gianfranco ma spesso presente nelle sessioni live, e Luigi (batteria), Nel 1982 hanno registrato il loro primo album su cassetta dal titolo Sulla nostra pelle, e sempre nel 1982 hanno tenuto il loro primo concerto tenuto all’Università di Sassari in un festival contro la guerra del Libano. Dalla scena sassarese passano al continente con un concerto del 1984 al Victor Charlie di Pisa, insieme ai Bloody Riot e gli Stigmat. Sempre nel 1984 pubblicano un album dal vivo intitolato Live in Sassari e partecipano alla compilazione inglese dal titolo Bollox To The Gonads - Here’s The Testicles, uscita per la Pax Records di Sheffield che vedeva gruppi della scena internazionale come Anti System, Repulsive Alien, Mau Maus e Legion Of Parasites. I P.S.A. si sciolsero durante la preparazione dell’album che sarebbe dovuto uscire per l’etichetta di Sheffield e per il quale avevano già registrato 5 brani. Su Internet abbiamo recuperato un intervista da “Striscia la lametta”, un sito punk, in cui il fondatore del gruppo Geppi parla della storia del gruppo hardcore sassarese. Geppi, ci puoi descrivere brevemente i P.S.A.? Come, dove, quando e perchè si JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 165 sono formati? Inoltre quando e perchè si sono sciolti? Dove e quando è facile facile: Sassari, nel 1982, molto tempo fa. Il perché invece è un po’ più romantico. È la solita storia tra amici che per passare le serate decidono di suonare, sia perché non c’è niente altro da fare, sia perché ascoltano e amano certi gruppi in particolare. Allora li imitano e suonano le cover. In tre. Voce, batteria e chitarra. Chi suona la chitarra è un bassista. Poi un giorno decidono che quel riff, proprio quello lì che stanno improvvisando, sembra funzioni per mettere su un pezzo loro. E nasce “Contro il sistema”. E da quel pezzo si dicono, ma allora si può fare, e cercano una chitarra. Simpatico no? Insomma alla fine siamo nati come un gioco che si è trasformato in qualcosa di più. Lo scioglimento è di qualche anno dopo, forse 84, 85, non ricordo. Diciamo per incomprensioni varie ed eventuali. Diciamo così. Chi scriveva i testi? O meglio, come nascevano? Avete registrato la tape anche in inglese per far arrivare il più lontano possibile il significato? Il 90% dei testi sono miei. Ho sempre avuto il tarlo dello scrivere. Certo sono testi di una semplicità estrema, ma il messaggio arrivava e ancora adesso arriva, diretto. La necessità di dire qualcosa, di raccontare ciò che accadeva nel mondo, le guerre, le ingiustizie, ecco da cosa e come nascevano. Gli Anni ’80 sono stati tra i peggiori sia per la situazione politica che sociale ed economica. Reagan e la Tatcher, gli euromissili, la corsa agli armamenti, il braccio di ferro tra USA ed URSS, l’Italia preda dello yuppismo... insomma, materiale per poter urlare il proprio dissenso non mancava (non che adesso...). In quel periodo c’era parecchio fermento. La scelta dei testi in inglese è stata fatta proprio per quello: il messaggio. Più lontano arriva, più gente è in grado di capire ed ascoltare ciò che hai da dire. Fermarsi alla musica sarebbe stato riduttivo. Chiamiamola scelta politica. L’hc in quel periodo è politico. Non è il punk del 77. Va oltre. Molto oltre. 166 PIER LUIGI CHERCHI Avete registrato il disco in deposito di sale. Adesso molto più facile. Ma prima, i mezzi tecnici, come erano? Immaginati dei disperati senza soldi che vogliono incidere un nastro. Una sala d’incisione (seria) costava un pacco di soldi. Noi abbiamo avuto la fortuna di trovare questo deposito di sale con l’amplificazione ed il mixer a poco prezzo. Non ricordo quanto ma che fosse economico, su questo, non ho alcun dubbio. Diversamente non avremo potuto permettercelo. E sul demo infatti si sente quanto era economico... inoltre abbiamo registrato in presa diretta, quindi, praticamente un live. Senza pause, se non tra un pezzo e l’altro, senza aggiustamenti di suoni, sovraincisioni o che. Tutto quello che senti, errori compresi, è genuino. La sala era pagata a giornata per cui noi dovevamo incidere il demo il più velocemente possibile. Punto. Se non sbaglio ci abbiamo messo due giorni, uno per la facciata in inglese, uno per quella in italiano. Non ho dubbi che si senta... La scena sarda (abbastanza scadente..) ora si muove soprattutto a Nuoro con la Tifiamo Rivolta Records. Ma negli Anni ’80 si trovavano gruppi punk? Oltre a voi, che bands c’erano? E i concerti? Era facile organizzarli sull’isola? Che io ricordi no. Non per niente tutti i contatti li avevamo fuori. Anche le richieste dei nastri arrivate dalla Sardegna erano minime. Qualcosa si muoveva a Cagliari ma l’unico gruppo che ho presente era un gruppo naziskin, per cui, mai avuto a che fare con loro. Concerti? Qualcuno siamo riusciti a farlo. Molto, molto pochi. La difficoltà estrema stava nel fatto che gente così non la voleva far suonare nessuno. È sempre esistita questa paura da parte degli organizzatori di concerti che un gruppo punk dovesse suonare per distruggere la strumentazione. Questo anche grazie alla pubblicità negativa dei media sul punk per cui punk uguale violenza, sangue, lamette e spille. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 167 Quali gruppi vi hanno influenzato maggiormente? Personalmente ho sempre ascoltato di tutto. In quel periodo però direi che i gruppi che più seguivo erano Dead Kennedys, Crass (e tutto il giro della Crass Records), Discharge, Subhumans, Black Flag. Ma ce ne sono un’infinità di altri. Italiani ho sempre avuto una passione smisurata per Indigesti, Impact e Stigmathe. Una domanda che mi piace moltissimo: Punk nella testa o punk nella cresta? Che significa per te punk o meglio essere punk? La testa su tutto, la cresta dopo e semmai. Non lo so più cosa è punk adesso. So cosa è stato per me e cosa mi è rimasto. Anche a distanza di tanti anni posso dirti che il punk, per quanto assorbito dai sistemi, è un movimento. O quello dovrebbe essere. Per come l’ho vissuto io. È qualcosa di politico che non si ferma alla musica. Il punk dovrebbe essere già di per sé un messaggio. Stai dicendo basta a quanto ti è stato inculcato fino ad ora, stai dicendo che vuoi cambiare le cose (o almeno provarci). Certo la musica è importante e musicalmente è stata una bella scossa. Ma se alla musica non dai anche forza con le parole, allora rimane lì. Non basta vestirsi in un certo modo. Forse non è neanche più necessario, prima poteva esserlo perché diventava punto di rottura contro gli schemi. Tornando al presente, molti si chiederanno quanti anni hanno i P.S.A.. E che fanno ora? Si sono calmati? Dici che se lo chiederanno in molti? Davvero? Va bene, va bene. Io ho 38 anni e gli altri P.S.A. più o meno son tutti lì. Calmo sono calmo. Io scrivo. Sai anche dove, che lì mi hai scovato, ed inoltre scrivo racconti. Gli altri immagino siano calmi anche loro. Non abbiamo molti rapporti... Segui ancora la scena italiana? Quali sono i gruppi che ti piacciono attualmente e quali vuoi consigliare ai lettori? E soprattutto, a 168 PIER LUIGI CHERCHI Sassari, la scena punk come si muove? Non la conosco assolutamente. Giusto qualche nome per sentito dire ma mai ascoltati con attenzione per cui resto zitto. Credo che a Sassari di punk ci sia rimasto il mio vecchio chiodo... Scherzi a parte non mi sembra ci sia movimento. Non lo so davvero. Sono completamente fuori dal giro. Grazie mille Geppi, l’intervista è finita, andate in pace. Se vuoi aggiungere qualcos’altro, fai pure. Ringrazio te per l’interesse. A distanza di circa venti anni se ti è venuta voglia di conoscere i P.S.A. significa che qualcosa di buono è stato lasciato. Questo per me è un traguardo. Il fatto che un demo che quasi non si sente più continui a girare mi fa felice. Mica per altro, vuol dire che non è stato tempo sprecato! Ok, scherzo. Aggiungo soltanto che di quel periodo ci sono un sacco di gruppi che vale la pena conoscere per capire da dove viene e da dove sta attingendo il nuovo punk. La prima volta che ho sentito i Rancid ero convinto fosse una band di quelle definite old school... va bene, la smetto. [DirtyMind] Questo articolo proviene da http://www.lamette.it JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 169 SOLE NERO E IL CORO DEGLI ANGELI Racconto di Andrea Poddighe Nel 1978 Salvatore Scala mi fece la proposta di suonare in un gruppo che stava formando e che ancora non aveva neanche il nome. Al momento erano in tre, lui, Gino Marielli alla chitarra e Angelo Canu al basso. Mi chiesero di partecipare e io accettai quasi subito – mi presi un giorno per decidere –, andai nella loro sala prove e cominciammo a provare: avevamo un diverso modo di suonare, loro erano più tecnici, io molto rock, però si vide subito che poteva uscirne qualcosa di buono. Iniziammo con le prove, c’era anche Roberto Sechi alla batteria, provavamo in una saletta in viale Umberto con pochissimi strumenti, non avevamo nulla, quasi tutto acustico, senza amplificatori, poi ci spostammo in un capannone a San Simplicio. Ci serviva un tastierista, allora venne con noi un bravissimo pianista, Pietro Fara, di Porto Torres, che aveva già suonato con vari gruppi, tra cui i “Copertoni”, e subito fu amore a prima vista. Pietro cominciò a suonare con noi, poi si aggiunsero Andrea Parodi, Antonio Poddighe, mio fratello, e Gigi Camedda, che era il più giovane del gruppo. Decidemmo di chiamarci “Sole Nero”. Iniziammo con pezzi dei Quinn, New Trolls, Eagles, Supertramp, tutti brani che esaltavano la vocalità; la prima uscita fu a Stintino, in un albergo, a 125.000 per serata, quei soldi ci servivano per pagarci gli strumenti. Subito dopo parlai con l’impresario dei Bertas, Antonio Inzaina, fratello di Vittorio, il grande cantante degli Anni ’60, e lo pregai di prenderci con lui, di farci suonare. Lui non ci credeva tanto, eravamo troppo giovani, però ci diede fiducia offrendoci una serata a Valledoria, dove dovevamo aprire lo spettacolo dei Collage. Iniziammo a suonare con il nostro repertorio, New Trolls, Eagles, Quinn, Supertramp, e la gente impazziva sentendo questi brani che interpretavamo benissimo, sia a livello vocale che strumentale. Fu un grandissimo successo, tanto che, al momento della esibizione dei Collage, 170 PIER LUIGI CHERCHI la gente continuava a chiamare Sole Nero, Sole Nero… In quel momento capimmo che eravamo forti. Dopo qualche giorno si presentò Giovanni Leonardi che ci sentì e subito volle farci da produttore. Dovevamo partecipare ad un concorso della RCA, “Centocittà”, dove un cantante o un gruppo si abbinavano ad una radio locale. Bisognava presentare pezzi inediti, e noi avevamo Salvatore e Gino Marielli che scrivevano molto bene, e così preparammo i nostri brani. Leonardi ci propose di registrarli e andammo a Modena per fare le registrazioni; vincemmo le selezioni a Sassari e poi a Cagliari. La Sardegna quindi partecipava a questo concorso con Sole Nero. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 171 Nel settembre 1978 partimmo per Caorle, vicino a Venezia, per la finalissima di questo concorso: nella giuria c’erano, oltre al direttore della RCA Melis, addirittura Lucio Dalla, Renato Zero e Francesco De Gregori. Purtroppo avevamo dimenticato le basi e avevamo portato con noi solo il play-back, per cui ci consentirono di esibirci ugualmente in play-back ma fuori concorso. Noi lo facemmo a malincuore, però, alla fine della canzone, si alzarono tutti in piedi, Renato Zero, Lucio Dalla, De Gregori e chiesero perché eravamo stati messi fuori concorso. Dopo che gli fu risposto che avevamo cantato in play-back dissero: allora facciamoli cantare dal vivo e vediamo se sono così bravi. Per noi non c’era nessun problema, io chiesi una chitarra e con l’accompagnamento della chitarra eseguimmo un brano degli Eagles: sapevamo che avremmo fatto un figurone, ma non speravamo certo di vincere. Durante la nostra esibizione la piazza rimase stregata, ed erano tutti soddisfattissimi, Renato Zero, Lucio Dalla. Alla fine fu un totale tripudio. Avevamo stravolto quelle che erano le previsioni, c’erano altri manager che si erano mossi per far vincere i loro artisti, ma tutti dicevano che i vincitori saremmo stati noi. L’indomani era la serata finale e già camminando per Caorle incontravamo gente che diceva che avremmo vinto. Noi vincemmo quel concorso su un totale di più di 40.000 partecipanti; uscimmo su tutti i giornali, anche Sorrisi e Canzoni e altri, e la RCA ci fece un contratto di tre anni. Dovevamo partire a Roma per fare i nostri provini e per incidere; ci fu affidato un produttore, Lilli Greco, che era il produttore di Patti Pravo, De Gregori, Paolo Conte e altri, che si innamorò subito di noi – diceva che eravamo dei ragazzi scalmanati ma con un grande talento –, addirittura ci considerava superiori ai New Trolls, ai Pooh e a Crosby, Still, Nash e Young. Lui diceva così… Nel frattempo si verificò un fatto che per noi divenne una tappa fondamentale: Gianni Morandi doveva ritornare sulla scena con uno spettacolo, e si affidò a Lilli Greco per curare la parte musicale. Greco gli disse: guarda che io ho dei ragazzi sardi che sono bravissimi e possono essere le persone giuste per il tuo spettacolo, non i soliti coristi che ti invecchierebbero… questi ragazzi ti darebbero una ventata di freschezza. Così Gianni venne in Sardegna per sentirci, e tempo una 172 PIER LUIGI CHERCHI settimana noi partimmo per questa tournèe invernale. Nacque così lo spettacolo “Cantare” con Gianni Morandi e i Sole Nero. Un giorno alla RCA incontrammo Gianni Morandi che parlava con un signore brizzolato che noi non conoscevamo; ci avvicinammo e dopo i soliti convenevoli Gianni ci disse: “Vi presento Giulio Rapetti… Noi salutammo ma senza dare nessuna importanza a quell’incontro. Poi Gianni ci disse: in arte Mogol. Allora tutti sbiancammo letteralmente: eravamo di fronte al grande Mogol e non l’avevamo riconosciuto. Lo avevamo snobbato. Poi, parlando del più e del meno, Mogol ci propose di incidere il nostro primo disco, che produsse lui personalmente, arrangiando le più belle canzoni di Mogol-Battisti. Entusiasti preparammo la nostra parte vocale, qui a casa mia, in una soffitta, mentre alla RCA preparavano la parte musicale e gli arrangiamenti: noi ci concentrammo sulle voci, con intrecci particolari, basati soprattutto come solisti sulla mia voce, quella di Antonio e di Andrea Parodi. Si registrò per gran parte al Mulino e la parte finale al Castello di Carimate agli Stone Castel Studios. Fu un grande successo a livello nazionale, allora si vendettero oltre 50.000 copie in tutta Italia, ma a Mogol non piaceva il nome Sole Nero e ci invitò a cambiarlo per l’uscita del disco con Il coro degli Angeli; diceva avete delle voci da angeli e allora chiamatevi Il coro degli Angeli”. In realtà a noi non piaceva molto, ma se lo diceva Mogol doveva aver ragione lui e certamente non gli si poteva dire di no. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 173 Con Gianni Morandi abbiamo suonato dal 1979 al 1983. In quegli anni abbiamo girato il mondo, negli Stati Uniti, a New York, a Filadelfia, Boston, poi in Canada, al Palazzo del ghiaccio, grandi tournèe, finché nel 1983 ci fu la grande opportunità di andare in Russia, girando tutte le capitali, da Mosca, a Kiev, a Rostov, a Riga, a Taskent, Con Lucio Dalla: da sinistra si riconoscono tra gli altri Gino Marielli, Andrea Poddighe, Nando Esposito, Antonio Poddighe e Andrea Parodi 174 PIER LUIGI CHERCHI poi in Lettonia in Uzbekistan, fino a concludere la tournèe a Mosca. Fu un’esperienza bellissima. Oltre a mio fratello e ad Andrea Parodi, c’erano Giampaolo Conchedda alla batteria, Nando Esposito al basso, Pietro Fara, Gino Marielli e Gigi Camedda. Poi rientrammo in Italia per l’ultima tournèe estiva e alla fine il Coro degli Angeli si sciolse. Quel periodo con Gianni Morandi in giro per il mondo è indimenticabile, il più bello della mia vita. Finita quell’esperienza ci ritrovammo con mio fratello soli, senza palco, senza musica, anche pieni di rabbia per come erano andate a finire le cose. Furono due anni bruttissimi, finchè nel 1985 decidemmo di tirar su cinque ragazzi che abitavano di fronte a casa e che stavano iniziando a suonare, insegnando loro tutto quello che avevamo imparato fino a farne una vera band: nasceva di nuovo “Sole Nero”. Quei ragazzi erano Elio Solinas alla batteria, Stefano Sanna alla chitarra, Rino Costa alle tastiere e Luciano Cabras al basso, poi io al pianoforte e mio fratello Antonio. Iniziammo a girare la Sardegna come Sole Nero con una miriade di serate dall’85 al ’90, nel cagliaritano, nell’oristanese, andavamo fortissimo. Poi nel 1990 la Tekno Record di Franco Idini ci propose di incidere un disco, un altro disco di Lucio Battisti, che si intitolava proprio “Battisti”, a quel punto si fecero avanti i vecchi musicisti del Coro degli Angeli – eccetto Andrea Parodi, Ginetto Marielli e Gigi Camedda che avevano già formato i Tazenda – e parlando con Franco Idini chiesero di suonare per questo LP: a questo punto rinasce il Coro degli Angeli, Giampaolo Conchedda alla batteria, Nando Esposito al basso e Pietro Fara alle tastiere. Facciamo nuovamente le tournèe, usciamo con una raccolta di inediti dal titolo “Ma dove sei America”, però ci accorgiamo che le cose non funzionano più, sembra una minestra riscaldata e allora decidiamo di chiudere con il Coro degli Angeli. Da qui in poi comincia un’altra lunga storia. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 175 DA MUSICISTA A IMPRENDITORE Intervista a Mariano Melis Tu appartieni alla generazione che è venuta dopo di noi, quando è finita l’epoca beat. Hai iniziato a suonare quando ormai era scomparsa la musica dal vivo e si mettevano nei locali solo i dischi in vinile. Secondo me voi avete avuto il merito di far rinascere proprio la musica live, anche se in maniera diversa e più perfezionata rispetto a quella un po’ naif degli Anni ’60 e ’70. Come sempre accade è tutta una questione di cicli. Passata l’ondata beat – io all’epoca beat ero proprio bambino – si è sentita l’esigenza, anche da parte del pubblico, di ascoltare musica vera, non la musica che chiunque poteva ascoltare a casa facendo girare un disco, per cui i ragazzi si sono nuovamente messi insieme essenzialmente per fare musica pop, con maggiore professionalità, sia per l’evoluzione tecnologica che faceva passi da gigante sia per la maggiore conoscenza delle basi musicali, o per aver frequentato il conservatorio o le varie scuole di musica che nascevano in quel periodo. Ma, andando alle origini, io ho iniziato, proprio da bambino, a studiare la chitarra da un grande musicista, il maestro Francesco Serra, che era l’unico ad avere una scuola di chitarra negli Anni ’70 (Marrosu insegnava chitarra classica) e che ricordo con molto affetto e stima. Lui insegnava tecnica di base, naturalmente con lo studio della musica e degli spartiti, in piazza d’Italia, e ogni anno il saggio finale, con tutti gli allievi si faceva al Lido Iride. Dal ’73 (avevo tredici anni) al ’77 ho studiato chitarra dal maestro Serra, poi ho fatto il salto verso il conservatorio e lì mi sono diplomato. 176 PIER LUIGI CHERCHI Il mio primo gruppo (ormai non si chiamavano più complessi) sono stati i Quasar, nel 1974 (avevo quattordici anni), con Stefano Salis al basso, Antonio Pais alla chitarra, Giacomo Cossu alla batteria e Stefano Mosca alle tastiere; sono tutti nomi che non troverai più nella storia della musica sassarese perché, per vari motivi, hanno tutti abbandonato la scena. Dal ’74 all’80 abbiamo suonato principalmente nelle piazze – locali allora ce ne erano pochi –, si provava a Marchetto, in campagna, per non creare disturbo, e si partiva con un pullmino pieno di scatole di uova per insonorizzare l’ambiente. Compravamo tutti gli strumenti da Todesco a Calangianus, con rate anche di 500.000 lire al mese!, Si doveva suonare per pagare le rate. Una esibizione che ha fatto epoca – non so se ce ne siano state altre in seguito – è stato un concerto nell’aula magna del Liceo Azuni, come sai considerato la cattedrale della didattica e della scienza infusa. Abbiamo suonato insieme ad altri gruppi, ed è stato il primo concerto pop nell’aula di un liceo (nel periodo degli anni di piombo quando la musica pop, non impegnata era considerata puro “qualunquismo” e avversata dalla sinistra radicale n.d.a.). Poi è iniziata l’avventura con gli Azimut. In che periodo hai iniziato a suonare con loro? I primi Azimut sono nati nel ’75, creati da Giovanni Leonardi, che, oltre ad essere tastierista era anche un grandissimo manager. Da lui sono nati i Sole Nero, il Coro degli Angeli, gli stessi Tazenda, Giuseppe Masia… era una specie di Claudio Cecchetto dell’epoca… Nel primo gruppo suonavano Salvatore Scala, che troverai in tanti gruppi sassaresi, Sole Nero, Cento… poi Paolo Gadau alle chitarre, Eugenio Romano batteria e grandissima voce... che Giuseppe Fiori poi ha designato come suo successore nei Bertas (portandolo personalmente alle prove e presentandolo come grande batterista il giorno che decise JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 177 di lasciare il gruppo)... Sono stati i primi a pubblicare un 45 giri “Ragazzina tu”, che si può trovare ancora su Internet con le foto di quella formazione in dissolvenza, e “Sa serra”, uno dei primi dischi in sardo. Suonavano in genere tutti vestiti di bianco, e giravano con un pullmino con il logo del gruppo sulla fiancata. Negli Anni ’80 c’è stato il cambio di formazione e sono entrato io, chitarre e voce solista, Francesco Santu al basso (oggi lui suona ancora Gli Azimut in piazza sopra il cassone di un camion, come racconta Mariano Melis e fa le cover dei Rolling Stones), Giampaolo Ruggiu, anche lui uscito dal conservatorio, alle tastiere, e Marco Cosseddu alle batterie (oggi fa il ragioniere alla Regione Sardegna). Si suonava nelle piazze – non nei locali –, e le serate le contrattava sempre Giovanni Leonardi che faceva da manager… abbiamo suonato tante volte in una villa privata da Kosca e Matera. Ricordo a Thiesi una sera... non erano riusciti a montare un palco... e abbiamo suonato su un rimorchio di camion (era la normalità nei primi Anni ’70 n.d.a.). Gli Anni ’80 erano gli anni della disco dance, richiestissima dal pubblico. Facevate dal vivo anche quel tipo di musica? Sì, si doveva rispondere alle richieste del pubblico, ma si facevano anche i classici del rock, i Pink Floyd, David Bowie, Dire Straits, addi- 178 PIER LUIGI CHERCHI Mariano Melis con Paul Dessanti rittura anche i Beatles, che erano molto richiesti. Però si faceva anche tanta musica italiana del periodo. Poi, nell’85 e 86 è nato il Progetto Gattò, con Daniele Manca, Alessandro Manca al basso, Franco Castia (che collabora ancora con i Bertas e partecipa ai concerti e alle serate come corista, ma anche grande autore) alla voce, io alle chitarre e voce, e Marco Chessa alla batteria. Per due anni abbiamo girato tantissime piazze, soprattutto nel Nuorese, e purtroppo non siamo riusciti a concretizzare una produzione discografica, anche se c’erano tanti presupposti. Poi, alla fine degli Anni ’80 abbiamo formato un gruppo “on the road” per suonare dove capitava, nelle piazze, sul lungomare di Balai, portandoci dietro un attrezzatura leggera, chitarre, batteria elettronica e un piccolo mixer. Insieme a me c’erano Salvatore Scala, Giuseppe Gadau, Antonello Coradduzza e GianLuca Gadau. – Quando inizia il nuovo modello di piano bar che sostituisce il vecchio pianista con pianoforte a coda con un piccolo gruppo che fa musica dal vivo? Certo, lo abbiamo creato noi…..Finite queste serate alla fine degli Anni ’80 ho preso in gestione il “Las Vegas” in Via Oriani, – così che JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 179 oltre che musicista sono diventato un imprenditore nel campo musicale –, si suonava tutte le sere e si facevano spettacoli da cabaret, con Alberto Cocco, Carlo Valle e Andrea Enrico, che costituivano il trio di animatori… abbiamo fatto anche la corrida… ricordi Gesuino Cosseddu… un grande successo. Poi siamo passati, nel 1989, alla Siesta e poi all’Atrium e al Manpea con Cosimo Salis. All’Atrium è nato il mio primo disco “Mariano Melis”; ricordi che il locale era sempre strapieno di gente, non volevano che si finisse mai di suonare… una baraonda. C’era anche Paul Dessanti che faceva il presentatore e l’animatore. Con me, nella band che suonava al piano superiore del locale, c’erano Fabio Nicosia, grande musicista poi sostituito da Daniele Manca, Giampiero Carta al sax, Salvatore Moraccini al trombone, Fabrizio Guelpa alla batteria, Raffaele Polcino trombettista… ora fa il direttore artistico di un teatro a Milano. 180 PIER LUIGI CHERCHI Come ricordi gli Anni ’80? Gli Anni ’80 ovviamente li ricordo con tanta nostalgia, avevo vent’anni e suonavo dappertutto nei locali, e contemporaneamente il giorno dopo insegnavo a scuola senza perdere un colpo. C’era tanto denaro che girava, e i musicisti erano ben pagati e molto rispettati. Avendo fatto l’imprenditore nel settore devo dire che i locali avevano grandi introiti, ingresso, consumazioni al bar; la gente non aveva paura di spendere. Mariano Melis con Antonello Coradduzza e Giacomo Doro nelle serate itineranti on the road. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 181 TEATRO BOOM, LA BOTTE E IL CILINDRO E... Contributo di Margherita Lavosi La Compagnia Teatro La Botte e il Cilindro è una compagnia professionista di Teatro Ragazzi, operante prevalentemente a Sassari, ma attiva anche in tutto il territorio del nord Sardegna e nell’intera regione. La Botte e il Cilindro nasce a Sassari nel 1978 a partire da un laboratorio di animazione teatrale svolto presso il liceo classico Azuni, su iniziativa di Pier Paolo Conconi, il quale sarà regista e direttore artistico della compagnia dagli esordi ad oggi. (…) il percorso personale di Conconi, precedente alla fondazione della Compagnia, risulta importante ai fini dell’analisi; non in quanto egli sia l’unico membro del gruppo a possedere una formazione culturale e teatrale degna di essere menzionata, ma per il fatto che egli sia stato il motore che ha azionato consapevolmente una macchina dalla struttura precisa. Le scelte che ha compiuto hanno risposto ad un’idea ragionata e studiata del percorso da compiere; su questa strada ha poi incontrato e coinvolto personalità fondamentali, senza le quali nulla avrebbe potuto realizzare. LE ORIGINI. LA FORMAZIONE DEL REGISTA PIER PAOLO CONCONI È agli inizi degli Anni Settanta (conclusa l’avventura musicale con i “Savages” n.d.a.) che Conconi muove i primi passi nel mondo del teatro, più precisamente nella città di Cagliari, dove si reca per compiere gli studi universitari presso la facoltà di lettere e si ritrova immerso in un ambiente intellettuale aperto alle novità che in Europa vanno affermandosi in campo artistico e culturale. Gli Anni ’70 si caratterizzano infatti per un ingente fermento culturale: in Italia si scopre e si diffonde l’opera di alcuni gruppi stranieri 182 PIER LUIGI CHERCHI Pier Paolo Conconi in scena JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 183 che sconvolgono la modalità del fare teatro, conosciuti soprattutto attraverso festival e rassegne universitarie: l’esperienza laboratoriale di Jerzy Grotowski ed Eugenio Barba, il teatro di strada del Bread and Puppet, il Living Theatre e le regie di Peter Brook. Era esploso il nuovo teatro, che, a partire dalla seconda metà degli Anni ’60, “si manifesta in una rottura delle forme e dei modi di lavoro e di produzione tradizionali. Postula un’apertura verso altre arti, verso esperienze comunitarie, legandosi a movimenti che vogliono un cambiamento radicale della società”. In questi anni si rileva un’impennata nel campo della sperimentazione, con la nascita di numerose cooperative teatrali e teatri sperimentali che si oppongono ai teatri stabili pubblici (accusati di subire la pressione dell’ambiente politico egemonico), di piccoli teatri che imitano il fenomeno delle “cantine” romane, nonché di compagnie che riproducono le esperienze di laboratorio dei modelli stranieri citati, che tentano modelli di autogestione funzionale alla collettività e che cercano di attuare un’attività di decentramento verso punti periferici mai toccati dal teatro ufficiale. Si riscontra inoltre una vivacità rinnovata dell’editoria italiana sul teatro, che vedrà la Feltrinelli e l’Einaudi pubblicare volumi di capitale importanza, oggi introvabili. La Sardegna si trovava, fino agli Anni ’70, costretta in un isolamento lungo e drammatico, mentre nelle altre regioni, già da qualche tempo, si andavano costruendo concreti programmi culturali. (…) si rileva la persistenza, ancora in quegli anni, di problemi di carattere economico e sociale che impediscono il recupero del patrimonio culturale nelle sue diverse manifestazioni – fatto soprattutto di feste, riti e tradizioni “spettacolari” – in quanto ricchezza da promuovere e utilizzare anche in ambito teatrale; l’esistenza di leggi vecchie in materia di spettacolo, non più rispondenti alle esigenze del momento, e immodificabili, poiché imposte dallo Stato; la mancanza di autonomia nella gestione delle attività culturali da parte della Regione; ma soprattutto si sente la necessità di dare vita ad un teatro veramente sardo. Fino ad allora, infatti, i sardi rivestivano esclusivamente il ruolo di spettatori, agevolati in questo da varie iniziative, tra cui si ricorda la creazione del Comitato per la valorizzazione dello spettacolo in Sardegna (1960), per proporre spettacoli di prosa di compagnie nazionali anche importanti. Manca- 184 PIER LUIGI CHERCHI vano tuttavia luoghi di formazione e apprendimento, che permettessero di sviluppare un’autonomia creativa proficua e di diventare finalmente protagonisti del teatro; vi erano solo alcune compagnia di giro (solo a Cagliari, Sassari e Nuoro) e qualche filodrammatica legata al mondo della Chiesa, ma erano assenti gruppi teatrali autonomi, nonché una qualche tradizione teatrale paragonabile a quella sviluppatasi in molte altre regioni italiane. Gli Anni ’60 sono gli anni nei quali il teatro sardo inizia a celebrare la sua vera nascita all’interno della cultura della regione. (…) Tra il 1972 e il 1978, fioriscono gruppi, convegni e cooperative anche sull’isola. Il teatro si appropria di spazi nuovi e inizia a presentarsi come atto politico della comunità sarda, dopo essere stato per lo più festa e diversione. È nel capoluogo che Conconi vive due esperienze fondamentali per la sua formazione artistica e intellettuale. Nel 1974 partecipa, in qualità di attore, all’attività del Teatro Laboratorio di Alkestis, diretto dall’attore-regista Zappareddu: si tratta del primo gruppo sardo che lavora seguendo la poetica del teatro-laboratorio, ispirandosi al lavoro di Grotowski e Barba, e che darà vita al circuito di ospitalità internazionale in Sardegna. In questo contesto Conconi sperimenta linguaggi teatrali fortemente caratterizzati dall’attenzione al corpo dell’attore come “corpo vivente”, e approfondirà il linguaggio della marionetta. L’esperienza, vissuta in prima persona, di un teatro in cui il corpo si fa veicolo privilegiato di immagini e “in cui il testo non si trova in altro luogo che nel corpo degli interpreti”, porterà Conconi a riflettere con una sensibilità tutta nuova su temi e motivi già riscontrati nelle molte letture svolte fino ad allora, e che influenzeranno la sua successiva attività teatrale. È in questa fase che inizierà infatti ad apprezzare anche le teorie surrealiste, sia nel campo del teatro che in quello del cinema, e a sviluppare una vera e propria dipendenza ideologica dalle teorie di due maestri, per molti versi opposti tra loro, del teatro del Novecento: Bertolt Brecht e Konstantin Stanislavskij, al cui lavoro si ispirerà costantemente. Allo stesso tempo sarà sempre interessato anche al teatro tradizionale di parola, di stampo più borghese, che poteva osservare presso il Teatro Verdi di Sassari durante gli anni del liceo, e successi- JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 185 vamente a Cagliari, grazie soprattutto all’attività promotrice del Teatro di Sardegna, che curava il circuito delle ospitalità a livello nazionale. È grazie ad un’iniziativa di quest’ultimo, infatti, che inizierà a manifestarsi in Conconi l’interesse per la pratica specificamente registica: nello stesso anno 1974, ha l’occasione di seguire la costruzione di uno spettacolo teatrale in tutte le sue fasi: si tratta de “I Carabinieri”, di Beniamino Joppolo, per la regia di Marco Parodi. Lo spettacolo viene costruito pubblicamente, in una sorta di lezione-aperta, e questo permette a Conconi di apprezzare il gioco della drammatizzazione e la pratica della “scrittura scenica”. Nel 1977, terminata la carriera universitaria e dopo due anni di servizio militare a Roma – dove ha modo di assistere a diversi spettacoli teatrali dei maggiori artisti contemporanei, tra cui Carmelo Bene –, Conconi torna a Sassari e inizia la sua carriera di insegnante con una cattedra di latino e greco al liceo classico Azuni; in quello stesso anno fa un incontro decisivo con il regista Giampiero Cubeddu. L’INCONTRO CON GIAMPIERO CUBEDDU L’attività di Cubeddu si inserisce nel nuovo clima teatrale cittadino, che negli Anni ’70 conosce una nuova vivacità soprattutto grazie al fatto che il Teatro Civico, fino ad allora visto come luogo “sacro” in mano ai notabili della città e utilizzato soltanto una volta al mese per ospitare un concerto, a partire dal 1977 riprese ad ospitare spettacoli teatrali ed altre manifestazioni culturali. La riapertura o ristrutturazione di vecchi teatri è un fenomeno comune in questo periodo e contribuisce ad avviare una fase di uso più democratico del teatro a Sassari, l’entrata a pieno diritto dentro il “teatro”. Le iniziative portate avanti da Cubeddu “(…) prepareranno per gli anni a venire un humus culturale ancora più avanzato, che farà di Sassari per alcuni anni la capitale dello spettacolo culturale in Sardegna (...)”; Nel ’77, in collaborazione con il Comune di Sassari e con l’associazione culturale ARCI, Cubeddu avvia un corso di formazione per animatori teatrali: il Laboratorio Teatrale Aperto. Esso si svolge nel Teatro Civico, ha la durata di un anno e verrà ripetuto per due 186 PIER LUIGI CHERCHI anni consecutivi (’77- ’78), anche se con alcune differenze importanti. Tale progetto non nasceva dal nulla, ma si inseriva nella costellazione di esperienze simili che sorgevano in tutta Italia, scaturite dal nuovo modo di concepire il teatro e l’educazione a partire dagli Anni ’60. È con una forte consapevolezza e motivazione teorica che Cubeddu si fa portavoce di idee e esperienze ragionate e vissute “in continente” e le trasferisce anche sull’isola, diffondendovi in particolare i principi dell’Animazione Teatrale. L’ANIMAZIONE TEATRALE (ANNI ’60 E ’70) Con “Animazione Teatrale” si intende un complesso di attività in relazione con il teatro e i ragazzi: è un’espressione del teatro e al tempo stesso una negazione dei modelli teatrali tradizionali, è intervento pedagogico che prevede nell’educazione le attività drammatiche. Tra la fine degli Anni ’60 e gli inizi degli anni ’70, in un momento di processi straordinari di grandi trasformazioni sociali e politiche, che ebbe risvolti in campo culturale, teatrale, educativo, assistenziale e sociale, in Italia l’animazione teatrale si afferma a Torino come un nuovo modo di concepire il teatro come gioco e partecipazione diretta. Il fenomeno prende avvio in particolare dalla crisi del teatro pubblico, che non riesce ad operare un coinvolgimento di massa, e nello stesso tempo dalla crisi della scuola, selettiva e trasmissiva, che vuole l’alunno passivo ricettore di formule nozionistiche, nonché degli insegnanti. In molte città italiane nascono diverse compagnie che si dedicano esclusivamente al teatro per ragazzi, spesso utilizzando centri sociali, scuole, piazze, centri di quartiere come spazi di teatro “al di fuori del teatro”. Il nuovo rapporto teatro-scuola viene sostenuto da interventi e riforme istituzionali, inserite nel quadro generale di una scelta riformatrice della scuola di base italiana, appoggiata anche da insegnanti, pedagoghi, psicologi e operatori di teatro attenti a tali problematiche, come ad esempio Antonio Santoni Rugiu e Gianni Rodari. Anche in Sardegna, soprattutto dalla fine degli Anni ’70, si è svi- JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 187 luppato da parte di scuole, operatori teatrali, enti locali un vasto interesse al rapporto con il teatro e, meglio ancora, all’animazione ed alle sue tecniche. (…) Come le iniziative, anche le motivazioni sono molteplici. Si parte dall’idea di una scuola e di una cultura attenta ad un apprendimento non passivo, non semplicemente nozionistico, ma autenticamente formativo, di carattere interdisciplinare, curioso dell’esistenza di numerosi e dinamici settori di produzione culturale e scientifica a diversi livelli. Si ragiona sul fatto che il bambino possa migliorare il proprio apprendimento grazie all’esperienza diretta e con il gioco, attraverso i quali impara linguaggi e contenuti, ma soprattutto a relazionarsi con gli altri. Gli interventi nascono spesso anche sulla motivazione del recupero delle radici, delle tradizioni della cultura sarda, come allarme contro il pericolo di perdita dell’identità culturale. IL LABORATORIO TEATRALE APERTO Cubeddu raccoglie questo bagaglio di idee e principi, che circolavano nell’ambiente universitario e culturale romano, e lo pone a disposizione per la fondazione teorica di un progetto volto alla preparazione di operatori di teatro per ragazzi, che fossero successivamente in grado di lavorare in stretto rapporto col mondo della scuola. Il laboratorio, al quale Conconi partecipa in qualità di aspirante animatore, ha un’impostazione prettamente laboratoriale: non avviene alcuna selezione dei partecipanti, non si instaura nessun ciclo di prove dai ritmi serrati ed è finalizzato principalmente al processo di apprendimento collettivo e individuale di linguaggi che sono formalizzati e artificiali, che hanno una connotazione teatrale, ma che non sono chiusi nel rigido confine di tecniche attoriali specifiche. Si specifica che l’animatore non acquisirà una professionalità da attore, ma scoprirà i meccanismi, la grammatica del fare teatro. (…) Infatti, sebbene il laboratorio preveda anche momenti di riflessione teorica, nei quali si discute su molti di questi aspetti e nei quali vengono suggeriti testi e autori, nonché momenti propriamente seminariali, il progetto rimane essenzialmente quello di un laboratorio di linguaggi 188 PIER LUIGI CHERCHI corporei, di corpi in movimento, e secondariamente un’occasione di trasmissione di poetiche e principi. La scelta di una fiaba come testo da drammatizzare, che sarà una costante per molti anni di attività della futura compagnia di Conconi – risulta particolarmente adatta all’uso dei linguaggi più svariati e, più in generale, alla valorizzazione del linguaggio teatrale come linguaggio “artificiale”. Lo spettacolo prodotto sarà rappresentato prima al Teatro Civico, poi di fronte a bambini e insegnanti in diversi circoli didattici della città, in più repliche. Nel 1978 gli animatori sono ormai formati, il gruppo si definisce sempre di più e presto si manifesta in Cubeddu l’intenzione di renderlo un gruppo di teatro ragazzi vero e proprio. L’intenzione del regista era inoltre quella di svolgere un laboratorio con i bambini nelle scuole, ricavando il “copione” di uno spettacolo a partire dalle loro indicazioni trasformate in elementi di linguaggio scenico, al fine di creare “uno spettacolo ’aperto’ che sia in grado, in ogni momento, di porsi in sintonia con i loro moduli espressivi” e di fornire loro i mezzi per una interpretazione autonoma della realtà circostante. Ciò non viene mai realizzato da Cubeddu, e sarà Conconi a dare il via alla pratica laboratoriale nelle scuole primarie, basandosi su tali principi. Conconi, non solo grazie alla combinazione di pratica diretta e di lettura critica, ma anche grazie al rapporto amicale e di stima profonda che si sviluppa tra lui e il regista Cubeddu, approfondirà l’aspetto teorico della pratica teatrale, dialogando e confrontandosi spesso con il direttore. La partecipazione sul palco gli permette di intuire numerosi nessi tra esercizi e abilità conseguite – a volte immediatamente, spesso negli anni a venire, quando si definirà il suo ruolo di regista –, nonché il fatto che il ruolo dell’attore non gli si addicesse.(…) …la valorizzazione e il sostegno del ruolo degli insegnanti come mediatori tra il mondo del teatro e quello della scuola; sono tutti elementi che verranno ripresi da Conconi nel momento in cui si troverà a lavorare con una compagnia propria. Ciò avviene a partire dal 1978, quando il progetto del laboratorio Teatrale Aperto si interrompe per mancanza di fondi e di mezzi, e Cu- JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 189 beddu sceglie di intraprendere la strada del teatro dialettale e di dedicarsi ad altri progetti, soprattutto nell’ambito musicale. Ciò segna un momento di sbandamento per il gruppo e porta Conconi a prendere atto della necessità di procedere sulle proprie gambe. NASCE LA COMPAGNIA (1978) Egli ne ha l’occasione quando si trova a poter organizzare un laboratorio di animazione teatrale presso il Liceo Azuni nell’anno scolastico 1978/1979, che coinvolge il gruppo di studenti i quali costituiranno il primo nucleo della compagnia La Botte e il Cilindro. In un liceo nel quale le attività extra curricolari non erano ancora diventate burocrazia o routine, ma rappresentavano la conquista di una scuola nuova e progressista, la proposta di realizzare un progetto teatrale fatto con e per i ragazzi stessi suscita grande interesse, soprattutto in quanto proveniente da un insegnante del medesimo liceo. (…) Nel maggio del 79 si realizza Sotto il bosco di latte, tratto dal radiodramma omonimo del poeta e drammaturgo gallese Dylan Thomas (1954). La strutturazione è di natura visiva, più che dialogica: mentre il linguaggio corporeo assurge a componente espressiva fondamentale, il testo letterario viene completamente manipolato sul piano lirico e di esso viene scelto solo ciò che è evocativo, poetico e suggestivo. Il disegno coreografico dà vita ad una narrazione scenica corale, nella quale il movimento del gruppo fa rimbalzare la storia da un attore all’altro. Si delineano alcuni personaggi, ma non è presente una netta divisione in ruoli. Le musiche dei Beatles, che caratterizzano le scene, non costituiscono un semplice sfondo melodico, ma si combinano coi disegni bizzarri creati dai corpi degli attori in movimento, realizzando una messa in scena poetica ed emozionale, tendente al surreale. In questo frangente dell’attività della compagnia, che è ancora in fase embrionale, risulta assente l’attenzione per la cultura sarda che caratterizzava il Laboratorio Teatrale Aperto e che sarà propria di lavori successivi di Conconi. Nell’80 lo spettacolo viene riproposto, stavolta al Teatro Civico e 190 PIER LUIGI CHERCHI con alcune modifiche, tra cui il fatto che le due voci narranti presenti nel dramma radiofonico di Thomas, vengono personificate nelle figure di due folletti. Il 15 febbraio dello stesso anno, la giovane compagnia mette in scena un secondo spettacolo: Ah, quei favolosi Anni Venti!, commedia leggera scritta da uno studente universitario, Antonello Dettori, sorta di vaudeville e parodia delle maniere Sotto il bosco di latte, Teatro Civico (Sassari), 1980 del primo Novecento italiano; canto e mimo sono due componenti fondamentali di questo spettacolo, rappresentato al Teatro Civico. Progressivamente il gruppo si affiata e Conconi svolge una funzione sempre più vicina a quella del regista: la compagnia è di fatto già esistente e sta muovendo i primi passi verso una definizione sempre maggiore della propria fisionomia. Dall’ 81, si Ah, quei favolosi Anni Venti! Teatro Civico, Sassari, 1981 incontra regolarmente non più nel liceo ma nei locali del circolo culturale ARCI, dove ha a disposizione un’ampia sala con parquet, e presenta regolarmente, una volta all’anno, una nuova produzione al Teatro Civico. Uno spettacolo in particolare decreta la nascita del gruppo e lo decide a pro- JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 191 seguire l’attività: Il re muore, di Eugène Ionesco, rappresentato in teatro l’8 giugno del 1982. È a questo periodo che risale l’ideazione del nome La Botte e il Cilindro, creato attraverso il gioco surrealista – utilizzato anche da Rodari per i suoi “binomi fantastici” – di accostare e combinare due parole scelte casualmente. In particolare è una delle attrici di questo primo nucleo, Teresa Pes, a proporre tale combinazione, e Conconi vi trova da subito una logica: La Botte indica il lato artigianale, manuale, concreto del teatro; il Cilindro, invece, rappresenta la magia e la suggestione che il gioco teatrale crea di fronte a uno spettatore meravigliato. Il re muore, Teatro Civico (Sassari), 1982. Nella foto, al centro, Sante Maurizi. (Foto di Sergio Tedde) 192 PIER LUIGI CHERCHI LA SCELTA PROFESSIONALE (1983) La motivazione è tanta che nel 1983 la Compagnia decide di costituirsi legalmente come associazione culturale teatrale. Il gruppo, ancora numerosissimo, viene formalizzato dal notaio e si dota di uno statuto. Si tratta del primo passo nell’ambito del professionismo teatrale, una sorta di punto di non ritorno, che mette in moto una macchina organizzativa più sofisticata. Tra i nomi dei membri, che erano una quindicina, risultano quelli di due degli ormai ex-studenti dell’Azuni che giocheranno un ruolo chiave nella formazione della Botte e il Cilindro: Sante Maurizi e Annalena Manca. Col passare del tempo, l’organico della Botte si riduce notevolmente: il passaggio al professionismo impone una scelta più definitiva, che non tutti riescono a compiere – molti lasciano Sassari, chi per motivi di studio, chi di lavoro, chi per scelta personale – ma Maurizi e Manca rimangono due figure fondamentali. Nel frattempo, gli attori che provenivano dall’esperienza del laboratorio del 79 vengono progressivamente sostituiti da nuove personalità, tra cui due risultano particolarmente significative: Giommaria Manunta e Andrea Deledda. Il 1983 è una data centrale anche perché segna il ritorno di Conconi al teatro per l’infanzia; egli decide di riprendere in mano il progetto del Laboratorio Teatrale Aperto, interrotto ma mai dimenticato, e ne ripropone le teorie fondanti attraverso l’attività della Botte e il Cilindro. Il gruppo, che prima si esibiva solo in serale per un pubblico dai 17 anni in su, inizia a produrre spettacoli per una fascia di pubblico infantile, contattando le scuole e organizzando dei matinèe in teatro per le classi. Il direttore è consapevole del fatto che il Teatro ragazzi sia fortemente legato all’età della formazione e che il teatro debba adottare diversi linguaggi e diverse declinazioni a seconda che si tratti di bambini in età immatura o di ragazzi che maneggiano codici più adulti. Questa necessità è fortemente sentita anche da La Botte e il Cilindro, che porta il teatro all’interno della scuola, iniziando a realizzare, proprio nei primi Anni ’80, laboratori di animazione. All’attività laboratoriale con i giovani della scuola secondaria di secondo grado, che proseguirà comunque negli anni successivi, ne affianca dunque una per JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 193 i bambini della scuola materna, primaria e media inferiore. I giochi di animazione proposti in questa prima fase, che hanno come obbiettivo la formazione del gruppo, “(…) predispongono indirettamente i ragazzi agli automatismi di base del teatro (senso del ritmo, capacità di rilassamento, giusta respirazione, mimesi, articolazione e dosaggio del volume, senso dello spazio e del tempo relativo al gioco narrativo teatrale), senza che si colga la difficoltà dell’impresa, ma, anzi, proprio come succede nei giochi, imparando attraverso il divertimento e il piacere”. La seconda fase è dedicata alla drammatizzazione dei materiali scelti ed elaborati durante la prima fase. L’obbiettivo principale che la compagnia si pone è “(…) la piena formazione, umana e critica, della personalità degli alunni, nel rispetto della loro età e dei tempi individuali di crescita, senza che alcun handicap possa impedire l’integrazione e l’interazione”. Si privilegia insomma la fase del processo e del gioco. Il laboratorio dell’ ’83 si svolge partendo da I musicanti di Brema e i bambini coinvolti, in tale occasione, inventeranno gran parte delle filastrocche riproposte nel primo spettacolo per l’infanzia della Compagnia: Arpe, arpeggi, pizzichi e pizzicotti (Teatro Civico, 11 ottobre 1984). La contaminazione di più linguaggi espressivi e di testi diversi si riscontra anche in questo lavoro, nel quale, assieme alla fiaba dei fratelli Grimm, convivono suggestioni tratte dal fumetto di Hugo Pratt Le Celtiche e vengono utilizzate le tecniche del teatro delle ombre, nonché musiche tradizionali irlandesi e anglosassoni. La contaminazione è dunque la modalità creativa più utilizzata dalla compagnia, che tenderà sempre alla produzione di spettacoli per i quali immagini pittoriche, scene cinematografiche, musiche, poesia e quant’altro abbia una simile caratteristica poetica o semantica di fondo, fungono da poli di riferimento per la scrittura scenica. Ciò con l’intento di dare vita a uno spettacolo omogeneo e attraverso una selezione non arbitraria dei riferimenti, che devono avere un comune sottotesto di natura poetica. Il messaggio o l’ideologia di fondo del testo risultano così non trascurati, bensì espressi non in modo troppo diretto o didascalico, ma filtrati e suscettibili di interpretazione da parte del pubblico. 194 PIER LUIGI CHERCHI Con questo spettacolo La Botte e il Cilindro partecipa inoltre ad una rassegna di teatro ragazzi, che ha luogo a Cagliari nel 1984, dando inizio ad una fase di apertura verso nuove frontiere: la compagnia si inserisce infatti in un circuito più ampio, conoscendo diversi gruppi, affini per idee e obbiettivi, informandosi sul loro modus operandi e instaurando un rapporto lavorativo e amicale con alcune di esse (ad esempio con L’Uovo onlus, teatro stabile di innovazione abruzzese, e con la Fondazione Aida, teatro stabile di innovazione di Verona), che dura fino ad oggi. Il gruppo si recherà infatti, con una certa continuità, prevalentemente nel Nord Italia, e inviterà a sua volta diverse compagnie italiane (e non) a Sassari. Nel 1984 il gruppo fa per la prima volta domanda per essere riconosciuto dall’allora ministero del turismo e spettacolo (ora ministero per i beni e delle attività culturali), e ne otterrà ininterrottamente il riconoscimento dal 19866: il passaggio al professionismo è definitivamente avvenuto, la compagnia sta organizzando un’attività di carattere totalmente professionale, un’“abitudine” produttiva e logistica che li caratterizzerà anche durante gli anni a venire, in un progetto coerente e continuativo, ricevendo contributi anche dalla Regione. Spettacoli significativi di questi anni sono L’importanza di essere Ernest (1984), di Oscar Wilde, Trappola per topi (1985), tratto dall’omonima commedia poliziesca di Agatha Christie, Percival (1985) scritto da Conconi e tratto dal romanzo Le onde di Virginia Woolf, tutti messi in scena al Teatro Civico. L’INCONTRO CON FRANCESCO ENNA È in questo periodo che il gruppo conosce lo scrittore Francesco Enna, dirigente scolastico presso il V Circolo didattico della scuola elementare di Sassari, il quale diventerà l’autore dei testi teatrali per bambini della compagnia per molti anni. Assieme allo studioso di favolistica popolare tradizionale, curatore di Fiabe Sarde, La Botte e il Cilindro recupera l’interesse, proprio anche di Cubeddu, per la tradizione sarda. Da questa collaborazione scaturisce una forma nuova di spettacolo JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 195 per ragazzi, in cui la lingua sarda si combina con l’italiano attraverso l’utilizzo di vari espedienti scenici. Ciò si configura come l’apporto più originale della compagnia alla tradizione del teatro sardo, per lo più rivolto verso la scelta del teatro dialettale. Non si scade in un banale testo bilingue, ma si gioca con il materiale sonoro, espressivo de emozionale di entrambi gli idiomi, fruibile da sardofoni e non. Spettacolo rappresentativo di questa fase è Contos de foghile, di Francesco Enna (Teatro Civico, 1986), che riscuote un grande successo in Sardegna, dando la stura a una serie di ricerche nella stessa direzione. Motivi, figure e storie della tradizione narrativa sarda vengono qui combinati insieme, ancora una volta attraverso la tecnica della contaminazione, qui come “insalata di storie”7: il personaggio principale compie un viaggio di purificazione atContos de foghile, teatro Ferroviario (Sassari). Nella traversando varie fia- foto Luisella Conti, Consuelo Pittalis e Nadia Imperio be e leggende. La natura si esprime attraverso creature magiche le quali impongono a un principe testardo e arrogante il superamento di alcune prove. Esse consistono nel rispondere in lingua sarda a degli indovinelli e il principe, inizialmente, fa finta e ostenta di ignorare le risposte, con una sorta di disprezzo altolocato nei confronti della parlata popolare della lingua. Il più grosso nodo da sciogliere è stato quello della mediazione linguistica fra il sardo e l’italiano. Ne è risultato uno spettacolo in cui la lingua sarda si combina agevolmente con l’italiano attraverso l’utilizzo della filastrocca, dei giochi ritmici e del canto. Altri codici socio-antropologici trasmettono e ca- 196 PIER LUIGI CHERCHI ratterizzano la traduzione sarda definendone l’ambiente con la gestualità, gli arnesi di lavoro, i movimenti e il ritmo”. Oltre agli spettacoli dedicati alla cultura sarda, la compagnia realizzerà sempre produzioni dedicate ad altre tradizioni, non limitandosi mai nella scelta dei temi e delle suggestioni, ma privilegiando una contaminazione di motivi tra i più disparati. Il regista Conconi afferma: «La scelta dei temi e delle storie da trasformare in spettacolo tende a ricadere su tutto ciò che è suscettibile di gioco e di sperimentazione. Per questo si è a lungo privilegiato, per quanto riguarda le produzioni per l’infanzia, il materiale favolistico e fiabesco, che lascia grande libertà di invenzione su tutti i punti, con possibilità di combinare più testi e più storie – anche se non manca l’analisi di tematiche e moduli care ai più grandi». Nel 1987 Conconi cura ad esempio un laboratorio incentrato sull’opera di W.B. Yeats, a cui partecipano studenti dell’Università di Sassari e in occasione del quale conoscerà una delle future attrici della Compagnia, nonché sua moglie, Luisella Conti. Il laboratorio universitario sarà d ora in avanti, fino ad oggi, occasione privilegiata di incontro e selezione dei nuovi membri del gruppo, dal momento che ormai gli attori che provenivano dall’esperienza del laboratorio del 79 vengono progressivamente sostituiti da nuove figure (fatta eccezione per Sante Maurizi, la cui personalità cerca e trova un suo spazio autonomo dentro la Compagnia, producendo spettacoli autonomamente, assieme all’attrice Daniela Cossiga, ma sempre dentro una stessa ottica progettuale). Tra i nomi dei membri fissi degli Anni ’80 troviamo quelli di Annalena Manca, Andrea Deledda e Giommaria Manunta. Ulteriori produzioni importanti sono Romeo e Giulietta, di William Shakespeare (1986), e Annalice Porcospino, di Francesco Enna (1987). JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 197 IL TEATRO FERROVIARIO Tappa fondamentale nell’evoluzione della compagnia è l’apertura del teatro Ferroviario (totale posti 240: platea 160, galleria 80), ricavato da un vecchio cinema abbandonato, che diventerà la sede de La Botte e il Cilindro. Tra l’89 e il ’90 ne viene completata la ristrutturazione e viene dotato di un palcoscenico in legno (largh. mt 10, prof. 8; graticcia ad alt. 7,50), costruito dai Laboratori Scenotecnici abruzzesi. Conconi riesce a ottenere finanziamenti da parte del Comune di Sassari e del Ministero, che però non coprono il totale dei costi necessari e in parte devono essere restituiti: ciò comporterà un impegno gravoso per la compagnia, al quale dovrà far fronte per diversi anni. L’iniziativa si rivela comunque importantissima, non solo per il gruppo, che si dota di una struttura fisica che permette di rispondere ai requisiti professionali pretesi, ma anche per la città, che ha finalmente un centro di teatro per le scuole e per le famiglie. Per quanto riguarda la costruzione del copione degli spettacoli, proprio tra la fine degli Anni ’80 e i primi Anni ’90 si adotta definitivamente una prassi, avviata con i primi spettacoli, che caratterizza i lavori di Conconi tutt’ora: la combinazione di più testi preesistenti, di Natale, teatro Ferroviario (Sassari). Nella letterari e/o teatrali, in Canto foto, Sante Maurizi e Antonello Grimaldi un testo in cui trovano posto però anche battute originali; tale operazione non viene eseguita meccanicamente o a tavolino, bensì durante e a partire dalle prove, basandosi essenzialmente su una sequenza scarna e prestabilita di azioni, una sorta di canovaccio o trama, e grazie alle invenzioni dirette degli attori o in base a particolari suggerimenti dati ad essi dal regista. 198 PIER LUIGI CHERCHI Da ciò si escludono i testi scritti appositamente per la compagnia da Enna o altri autori esterni, anche se quasi mai la compagnia mette in scena un testo teatrale pronto di un determinato autore integralmente e senza modifiche. Sostanzialmente, il testo linguistico risulta essere il prodotto di un gioco e di una combinazione di testi e linguaggi diversi, poiché prevede la lettura di testi diversi, attinenti per diversi motivi al soggetto scelto, e la scoperta di situazioni adattabili e pertinenti alla storia, da combinare in modo equilibrato rispetto alla sua struttura originaria, e poiché scaturisce da azioni fisiche, suggestioni date dalla pratica sul palco di tecniche diverse (mimo, teatro d’ombra e altre) o provenienti da altri linguaggi artistici, da espressioni coreografiche, da memorie personali e dallo studio del regista e degli attori. I tempi per l’ideazione e la creazione di uno spettacolo sono dunque molto lunghi, variando da uno a due anni di preparazione. Ciò risponde alla volontà di rendere dinamica la drammatizzazione, impostandola sul gioco di animazione teatrale e sul divertimento di sfruttare tutte le possibilità creative, date anche dalla parola. I testi della compagnia, infatti, non sono complessi, ma nemmeno sbrigativi, e la parola viene curata per rispondere soprattutto a requisiti ritmici, ponendosi in sintonia con le azioni e le immagini. Questo fatto permette anche di sfruttare appieno le infinite possibilità che il teatro ragazzi offre di trattare qualsiasi tipo di storia e di problematica, in una dinamica sempre aperta tra il linguaggio teatrale e la realtà, in un gioco ipoteticamente infinito. È inoltre nelle intenzioni stupire lo spettatore, evitando di “andare sul facile” e creando suggestioni sempre nuove. Il copione dello spettaIl gatto con gli stivali, teatro Ferroviario (Sassari). colo che inaugura il nuovo Nella foto la maschera dell’Orco JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 199 centro, Barbablù (1990), tratto dalla fiaba di Charles Perrault, viene costruito proprio con tale procedimento, e inoltre risulta il primo ad essere scritto e depositato da Conconi in quanto unico autore, riconosciuto dalla SIAE. Da quel momento, tutti i testi teatrali della Compagnia saranno depositati e riconosciuti, elemento che rappresenta un ulteriore passo avanti nell’ambito della professionalità. LA STABILIZZAZIONE (ANNI ’90) Gli Anni ’90 vedono la compagnia radicarsi sempre di più nel territorio, diventando un punto di riferimento importante in città e provincia; essa trova un suo spazio unico all’interno del panorama teatrale cittadino, trovandosi ad essere l’unica compagnia stabile di teatro per ragazzi. Negli ultimi anni lo sforzo della compagnia è tutto profuso per lo scopo di diventare il motore di una nuova progettualità culturale, fatta di collaborazioni e di e coinvolgimenti reciproci tra gruppi non solo teatrali, ma anche di danza, musica, cinema ed altro, suscitando nel territorio un interesse attivo alla ricerca e alla creatività. L’obbiettivo è quello di creare delle sinergie proficue tra varie realtà che, integrandosi e appoggiandosi, possono dar vita a una proposta culturale variegata e innovativa, stimolando il modo di fare cultura in Sardegna, spesso troppo fossilizzato nelle sole manifestazioni folkloristiche. Per questo la compagnia si fa scopritrice e promotrice di soggetti e gruppi giovani del suo territorio, valorizzando in questo modo la cultura contemporanea sarda in un progetto che però è globale, che riguarda in generale la cultura italiana e mondiale, e potrebbe essere “globalizzato”, nel senso che potrebbe fungere da modello per chiunque voglia agire in questo ambito. Le attività promosse in tal senso sono diverse, ma sicuramente quella che più risponde a tali caratteristiche è l’organizzazione della rassegna La forza delle parole, ideata dall’associazione culturale e studentesca Materia Grigia per i venti anni di attività, nel 2010. Si tratta di un’iniziativa di ampio respiro, che unisce lettura, musica, teatro, arte e spettacolo, e che intende ricercare e realizzare una 200 PIER LUIGI CHERCHI sintesi di emozioni e sensazioni, derivanti da un immaginario comune evocato tanto dalla musica, quanto dalle parole. Così ogni anno si propone come tema della rassegna uno o più protagonisti della scena musicale che, dagli Anni ’60, hanno lasciato una traccia significativa ed una memoria indelebile nella nostra società. Ciò attraverso l’incontro con scrittori e la realizzazione di concerti musicali e di laboratori teatrali sui temi scelti, aperti a chiunque. La prima edizione è stata dedicata alla vita ed alle canzoni di Luigi Tenco ed ha visto alternarsi al Teatro Ferroviario gli interventi della pittrice Maria Vittoria Conconi (i cui dipinti erano esposti nel foyer del teatro), del baritono Paolo Zicconi e degli scrittori Renzo Zannardi, Mario Dentone ed Erri De Luca, nonché la performance della cantante jazz Ada Montellanico e gli interventi di Patrizia Tenco. A complemento dell’iniziativa, l’associazione ha organizzato un laboratorio teatrale su Tenco, con la direzione di Conconi. Nel 2011 si è incentrato il lavoro sul Progressive italiano, in particolare sull’album “Impressioni di Settembre” della Premiata Forneria Marconi. Ospiti gli scrittori Stefano Ferrio, Maurizio Blatto, Mario Dentone, Pierluigi Cherchi, Franco Vassia. Inoltre l’associazione La Camera Chiara ha offerto una retrospettiva visiva sul Progressive Internazionale. La rassegna ha visto anche la presenza del gruppo musicale sardo I Bertas che ha reinterpretato alcuni dei brani più celebri dell’epoca. Gli allievi del laboratorio teatrale universitario di Materia Grigia hanno invece realizzato uno spettacolo di danza sul Progressive con le coreografie di Livia Lepri e Alessandra Mura. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 201 IL THEATRE EN VOL, DADAISMO E IRRIVERENZA «Theatre en vol rappresenta una delle esperienze più significative dello spettacolo di strada italiano. Con i suoi spettacoli immaginifici che coinvolgono e sconvolgono, nei quali attori e macchine sceniche mirabolanti sono mediatori di viaggi onirici e suggestioni fantastiche, ha ottenuto riconoscimenti in tutta Europa. Punto di riferimento per la formazione di nuove leve e fucina di idee per la realizzazione di eventi importanti come Girovagando e Sogni a Spazi Aperti, nella sua importante attività ha saputo dare all’arte di strada un contributo insostituibile, sostanziandone lo spessore nel senso del più alto teatro, senza mai rinunciare ad un’autentica matrice popolare». Con questa splendida motivazione una commissione di esperti della Regione Piemonte concesse nel 2008 alla Cooperativa Theatre en Vol il prestigioso premio Torototela, assegnato annualmente per la valorizzazione delle arti di strada. Sono passati ventiquattro anni da quando, nel 1989, Giuseppe Savioli, per tutti Puccio, attore, artista visivo e scenografo, realizzò le prime macchine teatrali utilizzate per lo spettacolo Lassù le ali non hanno ruggine. Queste opere assumono un senso forse più pienofuori dallo spazio scenico, tanto cheil loro valore plastico, venne esaltato quando le macchine volanti di Lassù le ali non hanno ruggine furono esposte al Grand Palais di Parigi, nel 1989. Quel primo spettacolo segnò anche il primo incontro di Puccio Savioli, con quella che divenne l’altra 202 PIER LUIGI CHERCHI anima del Theatre en Vol: Michèlle Kramers, attrice e regista olandese nata a Giakarta ma con buona parte della vita spesa in giro per il mondo, fra Hong Kong, Italia, Polonia, Svizzera ed Olanda. Da allora, i due hanno condiviso in questi vent’anni un percorso umano e artistico che li ha portati a presentare i propri spettacoli e a portare il proprio lavoro in tutta Europa e oltre, fino al Nord Africa e al Circolo Polare Artico. La storia della Compagnia, poi diventata associazione e poi ancora cooperativa, è cominciata subito dopo. Da allora molti altri importanti riconoscimenti sono arrivati, e non solo a livello italiano. La storia di quel primo spettacolo è un po’ quella della compagnia stessa: la storia di una coppia di inventori-sognatori, che con le loro goffe creazioni cercano di staccarsi da terra, per raggiungere i reami del sogno e dell’utopia. In più di vent’anni di attività il theatre en vol ha sempre avuto la strada come luogo naturale di ricerca e rappresentazione. La trasformazione dello spazio pubblico in un luogo extra quotidiano dove lo spettatore/cittadino viene coinvolto, mira a smuovere il passante distratto riportandolo a una dimensione dimenticata dove la strada torna ad essere un luogo di azione, incontro e confronto. Luci, suoni, immagini in diretta da un mondo in cui la visione dell’ordinario è sospesa. Suggestioni create ad arte, complice un meticoloso allestimento, che hanno trasportato lo spazio espositivo in quella “terra di mezzo” fra terra e cielo, fra realtà e sogno, fra concretezza e utopia in cui vive e opera questa compagnia, che ha saputo affermarsi come una delle realtà italiane più significative del teatro open-air. Storia narrata in altre forme anche in Orme attorno alla costruzione di una torre, del 1994, in cui i costruttori sono intenti nella realizzazione JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 203 di una torre infinita, oppure in Macchin… azione e altre diavolerie, del 1999, spettacolo itinerante in cui l’obiettivo di una strana ciurma è quello di trovare il luogo ideale per realizzare una fantastica “passeggiata a mezz’aria”, attraverso un’ingegnosa macchina teatrale. Fino agli ultimi spettacoli prodotti: B.A.U. Brigata di armonizzazione urbana, in cui anche attraverso nuove forme di espressione, soprattutto la musica, con l’uso di percussioni “alternative” e suoni elettronici, è messa in scena la “liberazione” di un gruppo di lavoratori alienati da una dimensione troppo “meccanica” dell’esistenza, o la scanzonata parata musicale pseudo-balcanica di Buskovic Uolkin’ Serenade, in cui una aspirante sposa cerca un marito che mai non si trova. Il ruolo di protagonista è sempre occupato dalle grandi macchine sceniche animate – vere sculture per il teatro – realizzate da Puccio Savioli, artista poliedrico (attore, regista, scultore e scenografo) la cui poetica e il cui immaginario sono alla base dell’estetica della compagnia. Anche il nome di queste macchine è tutto un programma: dal Ferricottero, elegante e futuribile pterodattilo meccanico, alla Suonatrombe, assemblaggio semovente di congegni sonori, al Creatore delle nuvole, sino all’ultima creazione: l’Armonizzatricìclo, 204 PIER LUIGI CHERCHI macchina nata per essere assemblata in scena e suonata come uno strumento da un gruppo di quattro percussionisti. Dadaiste e irriverenti, le creazioni di Puccio Savioli nascondono dietro un’apparente ingenuità, (l’artista ha infatti ben chiari i suoi nobili antecedenti, da Jean Tinguely a Mirò e Picasso, quest’ultimo citato direttamente nelle grandi macchine utilizzate in Gernika) deridono ogni funzionalismo e ogni “oggettività”, donando piuttosto soggettività all’oggetto, e una certa dose di anarchia basata sulla libera associazione delle forme. Puccio Savioli lavora infatti quasi soltanto con materiali di recupero, e ogni rottame, ogni scoria, mostra di avere una storia, che è iniziata all’epoca della sua concezione come oggetto funzionale e continuata in una sua vita attiva e vecchiaia, fino al punto in cui lui l’ha incontrata. Da lì, attraverso le sue mani, ne è iniziata un’altra, appena memore della prima, che è una lotta di liberazione dell’oggetto dalla sua funzione di merce, e poi ancora dal suo stesso nome, per inserirsi in una illogica-combinatoria in cui il diverso ha in ciò stesso la sua bellezza, se non la sua funzione, dato che è il concetto stesso di funzione ad essere in dubbio. Nel mezzo, un grande lavoro nel teatro verticale, in particolare JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 205 con Phoenix, nato nel 2006, uno spettacolo “site-specific” ricostruito di volta in volta in relazione all’architettura dei luoghi, e in cui le facciate degli edifici sono usate da attori, danzatori e acrobati come superfici sulle quali rappresentare scene oniriche o surreali, oppure ancora in Nel segno di Guernica (2002) e Gernika (2007), lavori ispirati all’opera di Pablo Picasso in cui le figure del celebre quadro sono ricostruite in gradi macchinari teatrali montati su ruote che si spostano sulla scena. Al di là di qualsiasi riconoscimento ufficiale però è soprattutto la risposta entusiastica del pubblico che incontra in giro per il mondo con i suoi spettacoli, festival e corsi di formazione che spinge il Theatre en vol avanti sulla sua strada di un’arte sociale, che vada incontro alle persone restituendo la possibilità di vivere la società e il territorio in modo aperto, libero e creativo. Giovanni Campus Nel suo saggio Forme di creatività: subculture giovanili e gruppi musicali a Sassari l’antropologa Carmela Piu evoca il suo incontro con il Theatre en vol, ”Una sera del dicembre 2010, grazie al social network Facebook, ho avuto l’occasione di essere informata su uno spettacolo della B.A.U. – Brigata Armonizzazione Urbana – (…) perciò mossa dalla curiosità sono andata a vedere. Si tratta di teatro musicale e ritmi per momenti e siti specifici. Spazi aperti che vengono prodotti e messi in scena dal Theatre en vol, che crea spettacoli che vengono realizzati sia in piccoli e grandi comuni della Sardegna, che in Italia e all’estero. (…) Nell’assistere allo spettacolo, che si è svolto in una grande piazza (che sembrerebbe dimenticata) nel quartiere di Latte Dolce, piazza Dettori, un elemento importante che mi ha colpito per la mia ricerca, sono stati i diversi modi di produrre i suoni dai giovani attori, mentre cercavo di comprendere cosa cercassero di comunicare. Nel Theatre en vol è sempre importante la relazione tra il linguaggio teatrale e lo spazio in cui si esprime e la sfida degli eventi, è trasformare piazze, tetti, strade, torri, balconi in nuovi palcoscenici, che possano coinvolgere e stimolare la fantasia dello spettatore, stabilendo un rap- 206 PIER LUIGI CHERCHI porto interattivo. Nello spettacolo al quale ho assistito, ho avuto subito la sensazione che si stesse rappresentando una società in cui gli individui non sono capaci di vivere, sino a quando si rendono conto che attraverso la musica di oggetti apparentemente inutili, possono ritrovare un contatto con la vita. Nello spettacolo bizzarre macchine costruite con materiali di recupero prendono vita e iniziano a produrre suoni nelle mani dei percussionisti: rappresentano un’impiegata, un operaio, un cuoco, uno spazzino e un contadino che lavorano meccanicamente in una società di un prossimo futuro. Inizialmente non si rendono conto dell’armonia che possono produrre gli strumenti, perché troppo presi dal ritmo del lavoro e dall’individualismo, che impedisce loro di rendersene conto. Sono capaci di produrre solo rifiuti e rumore sino a quando anche loro vengono trattati da rifiuti e gettati nella discarica. È proprio a questo punto che si renderanno conto della loro vera dimensione umana e che, sotto la guida di un maestro-clochard, che dà la vita agli oggetti, ridarà la vita anche a loro. Infine, sempre con materiali di recupero, gli ex lavoratori-macchine costruiranno davanti al pubblico una grande e bizzarra macchina semovente e sonora che servirà nel loro lungo viaggio per «armonizzare» altri mondi insieme alla guida del maestro. Ho ritenuto questo spettacolo un esempio da riportare, non solo perché uno dei percussionisti è il cantante di un gruppo reggae di Sassari, ma perché espressione di creatività di giovani percussionisti, che, in qualche modo ci comunicano non solo attraverso il suono, ma utilizzano anche il corpo, gli abiti, lo spazio, gli oggetti, per “parlare” col pubblico, tutti elementi che hanno anch’essi la loro rilevanza antropologica”. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 207 DAL COLLETTIVO AL VOLTAIRE, GIROVAGANDO Intervista a Puccio Savioli Come è iniziata la tua attività teatrale? In quali anni? Io ricordo la tua esperienza nel clan dei Savages alla fine degli Anni ’60 e primi Anni ’70, con Zino Squintu, dove gravitava anche il nostro complesso beat, gli Undergrounds. Poi ci siamo persi di vista. Ho iniziato a Sassari nella metà degli Anni ’70 (’74-75) con il Collettivo XXV aprile con Carlo Pinna e Antonello Gennaro. Nello stesso periodo a Sassari c’erano altre realtà teatrali essenzialmente create da Giampiero Cubeddu, con Poddighe, Luigi Manconi, Tetta Duce, i gemelli Carboni etc., espressione di un grande fermento culturale che viveva la nostra città. Personalmente mi sono subito legato ad un tipo di teatro politico portato avanti da gruppi che si rifacevano a Lotta Continua ed al Movimento Studentesco… Si chiamava Cose da pazzi e si facevano le rappresentazioni, sempre su argomenti politici, anche al Teatro Civico, poi ad Alghero nelle case occupate, ricordo anche ad Orgosolo. Un salto di qualità si è avuto quando alcuni attori del collettivo XXV aprile (in particolare Carlo e Antonello) sono andati in Continente per vedere degli spettacoli teatrali, venendo a contatto con la Compagnia Spettacolo Herodes, restando entusiasti per la professionalità e l’originalità del loro lavoro; allora hanno chiesto agli attori, con cui si era stabilito un rapporto di amicizia, di fare un seminario a Sassari . Nel 1976 sono venuti a Sassari come “Compagnia Comuna Nucleo” e sono rimasti per un mese intero... abbiamo fatto delle cose insieme; addirittura hanno lavorato con Carlo Desole, lo psichiatra, a Rizzeddu, e in altre sedi. Da quel momento, vedendo questi personaggi straordinari, è nato in me lo stimolo a fare questo lavoro come una professione, non come “dopolavorista”. Infatti, all’epoca con Bruno Pianu avevamo fondato l’Elettronica Professionale in Largo Ittiri, e in quei locali abitavamo ed esercitavamo. 208 PIER LUIGI CHERCHI Quindi è in questo periodo che hai fatto il grande passo, lasciando il lavoro a Sassari per trasferirti come professionista nell’ambiente teatrale. Sì è proprio allora che ho scelto, come per una folgorazione, di fare il professionista di teatro e mi sono trasferito a Ferrara nell’ottobre 1977, rimanendovi per cinque anni sempre nella Compagnia Nucleo che trasformò il nome in Teatro Nucleo, essendo tramontato il concetto della Comune dei primi Anni ’70. Nella compagnia sono stato il primo attore italiano in quanto i componenti erano tutti e tre argentini… abbiamo girato tutta l’Europa, ricordo Svezia, Norvegia, Spagna, Germania… siamo stati anche in Messico. Nel 1982, dopo un periodo in Danimarca, sono tornato a Sassari, e ho cercato di fare una piccola compagnia con due ragazze sassaresi, Maria Antonietta Azzu... Mi dici che ha letto alcune pagine di un tuo libro durante una presentazione alcuni anni fa, è molto brava... e Donatella Meazza, che adesso lavora a Roma alla RAI… come musicista avevamo Angelo Vargiu, un clarinettista classico che faceva anche molto jazz. Abbiamo messo in scena una commedia, ma non c’è stato un seguito, era tutto molto difficile, c’era poca organizzazione. In quel periodo comunque avevamo creato un locale culturale, si chiamava il Voltaire, e i soci erano il sottoscritto, Giuseppe Bazzoni e Gigi Ippolito… si faceva cinema, musica, mostre di pittura, ricordo una rassegna su Buster Keaton con al pianoforte Gisella Frontero, una pianista interprete di composizioni d’avanguardia. Avevo conosciuto un regista venezuelano, Josè Luis Sanchez Martinez, che ci curò la regia di uno spettacolo proprio al Voltaire, con un discreto successo. Alla fine, comunque, nel 1985, ho deciso di tornare a Ferrara, dove sono rimasto fino al 1987. Nel 1987 sono tornato a Sassari con una compagnia polacca, con uno spettacolo di cui avevo curato la scenografia… il progetto si chiamava “La peste” sul tema del romanzo di Albert Camous “La peste”… lo avevamo rappresentato alla Colonia Campestre, all’aperto. Era un laboratorio multiplo, sia di teatro che di costruzioni scenografiche; avevamo utilizzato una massa di comparse, che non erano altro che studenti, per ampliare lo spettacolo. Lo avevamo riproposto per una decina di giorni. Dopo l’esperienza sassarese, ho continuato JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 209 210 PIER LUIGI CHERCHI a girare l’Europa con questa compagnia polacca, insieme alla mia compagna Michelle che avevo conosciuto a Ferrara. È con Michelle che è nata l’idea del Theatre en vol? Quale è stata la scintilla di questo progetto così originale e innovativo? Una volta staccati dalla compagnia polacca abbiamo iniziato un progetto teatrale in Toscana, vicino ad Arezzo, in un cascinale che volevamo adibire a centro culturale… abbiamo lavorato tanto tempo per rimetterlo a posto, tanta fatica, e poi lo abbiamo dovuto lasciare. Quindi le mie peripezie mi hanno portato a Napoli, in una cooperativa teatrale, ma nel gennaio 1989 è nata mia figlia e siamo dovuti tornare a Sassari e in questo periodo abbiamo iniziato con il Theatre en vol. Il primo spettacolo fu a Napoli con le scenografie e tutte le macchine costruite da me, poi Germania, Svizzera, Olanda e altre nazioni europee. Nel frattempo una nostra amica francese di Parigi organizzava delle manifestazioni per il bicentenario della Rivoluzione Francese al Grand Palais, a cui poteva partecipare un numero limitato di artisti, solo sessanta, provenienti da tutta Europa, sul tema dell’utopia. Questa amica vide le nostre scenografie apprezzandole molto e ci invitò a partecipare alla manifestazione. Gli artisti però non potevano partecipare come privati, ma dovevano essere presentati da una città; fortunatamente l’assessore alla cultura del Comune di Sassari Franco Borghetto ci venne incontro e ci permise di rappresentare a quell’evento la città di Sassari… Era il dicembre 1989, al Gran Palais mise i primi passi nostra figlia. I consensi furono tantissimi, iniziammo a girare la Francia per fare gli spettacoli, poi tredici paesi d’Europa, addirittura siamo andati in Tunisia. Non c’era ancora la BAU (Brigata Armonizzazione Urbana) che è nata nel 2009. Poi da allora sono rimasto a Sassari anche se in giro continuamente per l’Europa. In quegli Anni ’80 Sassari viveva ancora un grande fermento artistico e culturale; non c’erano più i complessi degli Anni ’60-’70, ma si faceva musica più impegnata, soprattutto jazz, e il teatro seguiva questa vivacità in un periodo in cui la maggior parte dei giovani rifiutava l’impegno politico dopo i disastri degli Anni ’70. Quali erano, oltre a voi, i gruppi teatrali emergenti? JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 211 C’erano tanti gruppi teatrali nella Sassari degli Anni ’80: Pier Paolo Conconi, che già nei Savages era quello che curava tutti i contatti esterni, era uno dei pochi che riusciva a muoversi e ad avere anche contributi ministeriali, poi Ariele con Alberto Capitta che lavorava con testi elaborati da lui, S’arza di Romano Fadda e Paola Dessì che presentavano gli spettacoli nei capannoni di Corea… quello era un teatro di movimento, di fisicità, la Cooperativa Teatro Sassari di Giampiero Cubeddu, il “maestro”, che in genere utilizzava il Teatro Civico, il Ciaka Teatro di Andrea Dessì e Marcello Deriu, che è stato una meteora, è scomparso molto velocemente. In quel periodo nel campo della musica di cultura c’erano gli Humaniora di Zino Squintu, dopo l’esperienza con i Savages… loro però facevano concerti non teatro. Ma le istituzioni, soprattutto a livello locale, favorivano queste attività culturali o si tendeva a fare “da soli” senza contributi o finanziamenti pubblici? A Sassari sicuramente nel nostro campo, come dici, c’era un grande fermento, purtroppo non accompagnato dalla presenza di politici illuminati che si sono guardati bene dal fare delle scelte a favore della cultura. In un periodo successivo c’è stato qualche politico come Anna Sanna, Gianni Cossu, Acciaro… ho già citato Borghetto, poi Sandro Agnesa… che sicuramente ci sono venuti incontro. Ma in linea generale ci si aiutava con l’entusiasmo, la volontà e l’intraprendenza di una generazione di giovani che volevano arrivare. LA SCUOLA PATATRAC, JAZZ E ARTE Intervista a Pino Squintu Nei primi Anni ’70, ai tempi della nostra frequentazione tra Banari e Sassari, ti consideravo un cultore ed esperto del “progressive” e anche dei primi album free-jazz che collezionavi. Io ascoltavo i tuoi LP e cercavo di trasferire quella musica sulla mia chitarra, però tu allora ancora non suonavi; come ti sei avvicinato alla musica sia come organizzatore di grandi eventi che come musicista jazz? In quegli Anni ’70, dal ’75 esattamente, ho lavorato a Radio Sassari Centrale, in pratica fino alla fine degli Anni ’70… essenzialmente trasmissioni di tipo culturale legate all’area della sinistra, ma si trasmetteva anche tanta musica all’avanguardia. Poi, all’inizio degli Anni ’80, la radio dovette chiudere e allora ci venne l’idea di formare un gruppo cinematografico Antoine Doinel – dal nome di un personaggio dei film di Trouffaut –, in pratica un cinema d’essai, una specie di cineforum ma senza la struttura del vecchio cineforum di Padre Guidubaldi... non c’era il dibattito finale, ma solo la proiezione. Eravamo io, Antonello Grimaldi, Antonello Lubinu e Gigi Campus; si proiettava alle 4 Colonne o al Verdi… un grande successo. Invece l’impegno con la musica, sempre con l’associazione Antoine Doinel iniziò nel 1981 quando portammo a Sassari Steve Lacy col suo quintetto... proprio Steve Lacy quintetto era la denominazione del gruppo… al Teatro Verdi, uno dei primi concerti jazz; poi portammo Keith Tippet, che aveva suonato con i Kimg Crimson del periodo tardo beat, quando non c’era più Greg Lake, e la famosissima Julie Driscoll, quella dei Trinity degli Anni ’60... in quel periodo, per vie traverse, riuscimmo a sapere che Brian Auger, il capo dei Trinity, si era trasferito a Cagliari... immagina che per pubblicizzare l’avvenimento, allora non c’era Internet… si faceva volantinaggio e passa parola, era tutto più difficile. Un aneddoto curioso che riguarda quel concerto di Keith Tippet si riferisce al pianoforte Steinway che ci dette in prestito il Conservatorio di Sassari con in cambio la promessa poi di traspor- JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 213 tarlo al Teatro Civico. Allora... sembra incredibile… l’abbiamo messo sopra un “carruzzo”, quelli con i cuscinetti a sfera della discesa di viale Trento della Festa delle Matricole, e abbiamo chiamato i Monumenteros di Piazza d’Italia per darci una mano. Il pianoforte fu proprio spinto a mano per portarlo al Teatro Verdi percorrendo mezza Sassari vecchia tra la curiosità della gente... io avevo comunque dovuto firmare una assicurazione. Nel 1981 poi avevamo organizzato due grandissimi concerti al Teatro Civico con Stefano Mancini, ora musicologo e presidente della Cooperativa Teatro e/o Musica... un successo strepitoso. Come è nata la scuola di musica Patatrac che a Sassari ha segnato un’epoca in questo campo? Credo che sia stato il momento di passaggio tra la musica istintiva ed emotiva che veniva fatta da autodidatti negli Anni ’60 e ’70, senza alcuna conoscenza di base, alla musica vera, quella degli spartiti, dei pentagrammi, della cultura ben definita in questo campo. Concerto della Scuola di musica di Sassari diretta da Eugenio Colombo al Teatro Civico 214 PIER LUIGI CHERCHI Musicisti della Scuola Patatrac a Carnevale nel corso Vittorio Emanuele La scuola Patatrac è nata proprio in quegli anni, prima nei capannoni di Corea a Serra Secca, e poi in via Carmelo, vicino a casa tua, nei locali dell’ARCI alla fine degli Anni ’70, sotto la direzione di Mario Losito. Lì ho incontrato artisti come Antonio Luiu, contrabassista, e Pier Paolo Duce… e così ho iniziato a suonare il sassofono sempre impostato sul jazz. Si andava anche in luoghi alternativi, a suonare nelle campagne, sotto i nuraghi, ricordo a Fonni una delle prime performance… poi anche in carcere, a San Sebastiano a suonare per i detenuti, io Antonio Luiu e Daniele Serra. Lì, in carcere, ogni tanto, non riuscendo a seguire il jazz oltre un certo tempo, iniziavano a fare richieste di musica pop, di canzonette, ricordo che chiedevano pezzi dei Police e dei Dire Straits e chiaramente non potevamo accontentarli. Poi, con gli stessi musicisti, abbiamo suonato al Meringa, in via Arborea, era un locale sopra Zia Forica… si faceva comunque sempre jazz, ma lì comunque l’ambiente era selezionato, la gente veniva per ascoltare quel tipo di musica. La scuola Patatrac ebbe un seguito incredibile arrivando ad avere oltre 350 iscritti, poi però le cose cambiarono e alla metà degli Anni JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 215 ’80 questo progetto si esaurì. Pensa che anche il grande Paolo Fresu fece dei seminari nella nostra scuola di musica, e quel concerto di Steve Lacy di cui abbiamo parlato, nel 1981, lo aprì proprio lui col suo gruppo… allora era giovanissimo, stava muovendo i primi passi. Un altro grande della musica che ha suonato al Patatrac è stato Enzo Favata, artista oggi di fama nazionale e internazionale che ogni anno organizza Musica sulle Bocche a Santa Teresa. Si facevano anche lezioni di musica d’insieme… ricordo un Seminario con Eugenio Co- Scuola di musica a Carnevale: si riconoscono Antonio Luiu alla chitarra e Marcello Truddaiu al clarinetto 216 PIER LUIGI CHERCHI Scuola di musica on the road a carnevale in Corso Vittorio Emanuele lombo, sax e flauto, e uno con Bruno Tommaso, grandi maestri. Alla fine di questi seminari si facevano i concerti al Teatro Verdi. Ma sei d’accordo che, anche negli Anni ’80, Sassari viveva un grande fermento culturale, in tutti i campi, oltre alla musica il teatro, l’arte pittorica, le mostre, i concerti. Per quella che è la mia esperienza era un periodo di grande fermento culturale nel campo della musica, si organizzavano i concerti mettendo insieme l’associazione Antoine Doinel e la Scuola “Patatrac”, e si portavano a Sassari grandi nomi internazionali, senza avere grandi JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 217 finanziamenti e sponsorizzazioni, solo grande entusiasmo... alla fine se andava bene andavamo “in pari’ altrimenti ci si rimetteva. Un altro centro importante per la musica sassarese di un certo livello è stato il Buendja, di via Sorso, poi trasformato in Menestrello, di Pinuccio Murrai e Tore Mannu, batterista beat degli Anni ’60, quando suonavi tu... e, anche se di ambientazione completamente diversa, Le Querce a Monte Bianchinu... certamente a vederli erano due mondi diversi, il primo un locale alternativo e il secondo il “centro di gravità permanente” della borghesia sassarese degli Anni ’80. In quegli anni, sempre sotto la direzione di Mario Losito, si facevano delle performance anche all’esterno, ad esempio in piazzetta Ittiri o in piazza Tola; ricordo che in occasione del carnevale i musicisti (una trentina di persone) erano tutti mascherati, qualcuno apriva le finestre e suonava rivolto verso il pubblico, mentre il gruppo più numeroso suonava nella piazza, tutto acustico, anche con tubi, con strumenti non convenzionali. Alla fine degli Anni ’80 questo grande fermento artistico poi si è esaurito, è finito tutto. Hanno aperto poi dei locali importanti, primo fra tutti il Bird Land, dove si fa blues e jazz, con eventi di un certo spessore e oggi è anche una scuola di musica. Negli Anni ’80 le attività culturali riguardarono altri campi oltre alla musica, ci fu anche un risveglio nel campo della pittura e della scultura, con una serie di eventi, mostre anche di artisti emergenti come Renato Fancellu e altri… Dedicandomi alla pittura fin dagli Anni ’70 proprio nel 1980 feci la mia prima mostra di un certo rilievo al Teatro Civico. Ma si organizzavano mostre in luoghi non convenzionali, come case disabitate, spazi aperti, non le solite gallerie… iniziative legate a due grandi nomi come Marco Magnani, purtroppo prematuramente scomparso, e Giuliana Altea, che poi hanno creato quei fantastici volumi sull’arte in Sardegna. Ricordo nel 1986, nei Bagni Bonino, in piazza d’Italia, una mostra non convenzionale organizzata da Marco Moretti, Enrico Puggioni, Giulia Sale, e poi anche nel palazzo della Provincia per il carnevale di quell’anno. Allora possiamo dire davvero che “John Lennon si è fermato a Sassari”? Certo… questo titolo mi piace molto. La rivoluzione beat è stata 218 PIER LUIGI CHERCHI come un volano che ha creato nella città un fermento culturale che non si è limitato agli Anni ’60-’70, come in altre città, ma si è trascinato anche negli Anni ’80, nonostante questi siano considerati come anni di disimpegno sia politico che culturale. A Sassari non è stato così. I musicisti della Patatrac scatenati nella serata di Carnevale JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 219 QUEL GENIO DI GIAMPIERO CUBEDDU Intervista di Paul Dessanti a Stefano Mancini Paul Dessanti nasce artisticamente a Genova nel 1982 e subito dopo a Diano Marina (Imperia), lavorando come fantasista nel varietà “Tutto quanto fa spettacolo” con Massimo Costa e Alfredo Nocera. Dalla Liguria lo spettacolo si trasferisce a Milano, nei più importanti cabaret milanesi quali Rik’s Cabaret, 10° piano e teatro Smeraldo. Insieme a Massimo Costa partecipa a varie tournèe nelle più importanti discoteche del centro e nord-Italia nella metà degli Anni ’80. Nel 1988 rientra in Sardegna proseguendo la sua attività artistica come cantante, animatore, conduttore nei più frequentati piano bar della Sardegna, distinguendosi per la sua verve e la sua capacità di improvvisare modificando il taglio della serata in base al tipo di pubblico ed alle richieste della sala. Come cantante pubblica un album intitolato Uomini con due brani inediti e sei cover. 220 PIER LUIGI CHERCHI Alla fine degli Anni ’80, con un look da Fiorello prima maniera, diventa uno dei personaggi di spicco dell’Atrium, dove Cosimo Salis aveva creato un nuovo modello di piano bar, con la separazione della discoteca al piano terra dalla sala bar al piano superiore con grandi musicisti come Mariano Melis, Fabio Nicosia, Gavino Riva, Fabrizio Guelpa, Raffaele Polcino. La domenica sera sempre all ’Atrium Paul anima il cabaret caratterizzato anche da riprese televisive con Tele Etere di Pierluigi Dessì, vivacizzando la serata e portando sempre quella ventata di entusiasmo che ne ha contraddistinto l’impegno e il fervore artistico. Nello stesso periodo partecipa a vari programmi televisivi di emittenti nostrane accompagnando personaggi come Piero Marras, Benito urgu, e i nascenti Tazenda. Negli Anni ’90 inizia la sua attività di produttore creando agenzie di spettacoli che portano i suoi show in tutte le piazze dell’isola. Diventa conduttore di punta nelle emittente “Cinque stelle Sardegna” con gli spettacoli Paul Bar e Die pro die, da cui è tratta l’intervista al musicista e direttore del conservatorio di Sassari Stefano Mancini. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 221 Siamo al Teatro Civico, nel Centro Storico, insieme al Prof Mancini, che si è trasferito a Sassari da Roma nel 1972… ormai è diventato un sassarese DOC, sicuramente conoscerà quella che è la storia della nostra città. Sì, nel 1972 mi sono trasferito a Sassari, come vincitore di concorso, da Roma, e ho vissuto il centro storico, perchè naturalmente con la nostra attività abbiamo fatto tanti spettacoli anche all’interno del centro storico. Mi ricordo delle sacre rappresentazioni che Giampiero Cubeddu, il nostro compianto ex presidente, ha proposto… ha sempre ideato degli spettacoli che potessero unire l’aspetto spettacolare con il luogo. Ricordo la cattedrale di San Nicola, piazza Santa Caterina, insomma spettacoli e rappresentazioni legate alla Settimana Santa, che però facevano rivivere il centro storico in una situazione anomala rispetto alla vita cittadina. Giampiero Cubeddu è scomparso qualche anno fa. Era un regista teatrale che ha fatto parte del costume della città di Sassari. Giampiero è stato un attivo attore culturale di questa città, ne ha Stefano Mancini intervistato da Paul Dessanti 222 PIER LUIGI CHERCHI messo in rilievo i migliori aspetti culturali… grazie a lui il Teatro Civico ha ripreso a vivere. Negli Anni ’70 il Teatro Civico era un pochino esclusiva di spettacoli di un certo tipo, molto selettivi… è diventato un luogo di raccolta della città. Sto parlando del ’73-’74-’75, anni in cui c’era una giunta che si è attivata con l’assessore Sandro Agnesa, mi ricordo che era coraggiosissimo, e ha aperto le porte a questo teatro. Se vogliamo raccontare anche quelli che sono i costumi della nostra società e presentare Giampiero Cubeddu a chi non lo conoscesse, per chi è giovane, per chi non è sassarese, cosa si può dire in breve di quest’uomo che tanto ha fatto per il teatro? Un animatore culturale legato al teatro, legato alla società, fondatore del Teatro Sassari, una compagnia storica in cui il dialetto viene riabilitato. Ha insegnato al conservatorio, si è laureato a Roma, nella facoltà di lettere. Nasce qua, ma naturalmente si è perfezionato fuori, poi è ritornato in questa città e ha dedicato la sua vita a questa città, cercando di mettere in risalto tutte le qualità positive sia ridanciane, con la Compagnia Teatro Sassari, sia culturali di grosso livello con noi, con la Cooperativa Teatro e/o Musica… attività legate alla musica classica, all’operetta, all’Opera Buffa. Noi siamo depositari di un Festival dell’Opera Buffa in cui ci sono decine di incisioni realizzate proprio qui nel Teatro Civico, realizIl regista teatrale Giampiero Cubeddu. zate con le nostre JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 223 Stefano Mancini con Paul Dessanti davanti al Teatro Civico maestranze, dal punto di vista scenografico, l’orchestra, i cantanti. È stato più che un pioniere un genio, il centro motore di attività culturali di questa città per trent’anni. Insomma, viva Giampiero Cubeddu, che ricordiamo sempre con affetto, simpatia e grande stima. E ricordiamo a tutti di venire qui al Teatro Civico, Sassari memoria e identità, perché c’è la possibilità di ammirare vecchie fotografie, un palazzo straordinario... È un museo… di etnia. Nel retropalco c’è proprio un museo con tutta la parte identitaria della città… credo che anche le scolaresche facciano parte di questi progetti. È importante rivitalizzare il centro storico che è il vero centro pulsante di tutte le attività culturali della città. UNICI, STUPENDI, IRRIPETIBILI. MA... Da caffèforum.it/l-angolo-della-nostalgia-gli-Anni-’80-erano-davvero-migliori – Bentornati nei 10 anni che hanno segnato la vostra infanzia, quando ci divertivamo con niente, un pallone o una bambola a seconda del sesso, ma anche un pezzo di gesso per disegnare una campana, o una corda da saltare. Non c’era internet, non c’era Google, non c’erano telefonini, reality show, grandi fratelli. Per sapere le notizie bisognava aspettare il telegiornale, le ricerche si facevano in biblioteca, e per telefonare bisognava prima ricorrere a una macchina stranissima che convertiva le monete in gettoni, e poi trovare una cabina libera... Sono stati 10 anni pieni di cadute e ginocchi massacrati, di polmoniti sfiorate con corse a casa con le magliette zuppe di sudore, di pomeriggi pieni di pane e nutella, o pane burro e marmellata. – Siamo stati gli ultimi bambini davvero ingenui e candidi, per cui non esistevano i doppi sensi e bastava una sguardo per farci arrossire. Con 500 lire ci sentivamo tanto ricchi da passare un intero pomeriggio in sala giochi, 10.000 lire sembravano una cifra astronomica, quando un ghiacciolo costava 150 lire e un pacchetto di figurine 50. Non c’era la playstation, al massimo Pong, con due biglie passavamo dei po- JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 225 meriggi interi, mentre il “mondo reale” ci sfiorava appena, ma riuscivamo comunque a capire che non era cosí cattivo. Molti hanno denigrato questi Anni ’80, ma io non penso che ci sia stato tanto di meglio, dopo. E allora, bentornati nei vostri 10 anni più felici. – Mi limito a dire che son stati UNICI, STUPENDI, IRRIPETIBILI e non solo perché erano gli anni della nostra adolescenza, ma appunto come ha giustamente fatto notare [...], non c’era feccia allogena, ci si divertiva con pochissimo. Ricordo interminabili partite di pallone anche quando era buio, cose turche fatte con i miei amici quasi da piccoli teppisti, come scherzi di ogni tipo... Ci potrei scrivere un libro... Per farvi capire che tipo ero, una volta una vecchia dove per sbaglio buttammo il pallone di cuoio appena comprato nel suo giardino, me lo squarciò davanti... Io non le dissi nulla, con il mio amico [...] aspettammo che si facesse sera e poi aprimmo la pompa dell’acqua nella sua cantina... e ce ne andammo. Le prime donne, [...], gli anni al negozio di dischi dove ho avuto la fortuna di ascoltare tutta la musica più bella di quegli anni... Ma la cosa più bella era l’atmosfera perenne di magia che sembrava contraddistinguerli. Oggi quella poesia è certamenteinesistente. – Io sono del ’74. Li ho vissuti in età adolescenziale, ma immigrati non ne vedevi, solo qualche marocchino raramente. Una cosa è certa: la gente era molto più motivata, la scuola più ordinata e la zona industriale della mia città dava lavoro a più di 15.000 persone. Adesso è stata completamente smantellata per dare posto al made in China. – Sono nato a fine ’80 quindi posso dire di ricordare solo i ’90 e gli ’00. Devo dire che con la mia crescita il mondo ha fatto sempre più schifo, sia a livello internazionale che nazionale. Il futuro lo vedo nero e senza speranze, la gioventù non me la godo in modo spensierato ma la passo studiando (niente festini, discoteche, droghe e altre schifezze). Man mano che è passato il tempo ho percepito l’invasione allogena con sempre più violenta e arrogante in questo paese. 226 PIER LUIGI CHERCHI In tempo di pace un uomo saggio si prepara alla guerra; con questa frase intendo dire che adesso è comunque un epoca di “benessere” e prevedo una gigantesca crisi nel futuro in vista della quale dobbiamo essere pronti. Gli anni ’80 (insieme ai ’60 e i ’70) sono stati gli anni del boom economico dove la gente pur avendo poco era ottimista e viveva bene (senza considerare poi che si guadagnava di più, si viveva con meno denaro e il degrado delle città era minore). Oggi nell’epoca post-euro la gente guadagna molto di meno, tutto costa di più e nonostante questo la gente magari ha il cellulare strafigo e si veste di marca buttando così i propri stipendi ma non è felice. È un paese vecchio e pessimista, senza speranze. Credo che gli Anni ’80 fossero felici perché tutti guardavano al benessere dei ’90 e dei primi ’00: penso che oggi tutti siano pessimisti perché guardano al disastro che sarà dei ’10, dei ’20 e soprattutto dei ’30. – Dico sempre a mia moglie: se potessi riportare il tempo agli Anni ’80, sarebbe l’Italia il paese che sceglierei! – Mio padre negli Anni ’80 aveva 20 anni e me ne parla spesso e ovviamente bene. Si viveva meglio in tutto a partire dalla circolazione stradale. Non esistevano punti, etilometri, zone a traffico limitato con telecamere, casco obbligatorio... Discoteche ce ne erano tantissime, molte più di quante ce ne siano ora, e il divertimento era molte più sere a settimana non solo venerdì e sabato, e per di più non c’era l’obbligo come ora che per andare in disco bisogna essere vestiti come se si dovesse andare a un matrimonio. Gli stipendi dell’epoca garantivano anche ad un operaio di avere un tenore di vita più che soddisfacente, al contrario di oggi. Le case costavano meno, il potere di acquisto della moneta era buono e poi erano passati appena 10 anni dal ’68 e vi era un desiderio di libertà, pace, divertimento, il mondo era appena cambiato. Io sinceramente avrei preferito vivere quegli anni. Ora fa tutto schifo. – Quello che differenzia tantissimo gli Anni ’80 da questi ultimi anni è il clima, l’atmosfera. Negli Anni ’80 l’Italia portava avanti i figli del boom economico, i giovani finivano di studiare, e avevano un la- JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 227 voro, si sposavano, mettevano su famiglia e addirittura si comprava casa. In generale tutto era colorato, si respirava ottimismo. Queste ultime cose sono utopiche per un ventenne o trentenne dei giorni nostri: il lavoro (se lo trovi) è precario, mal pagato, non hai ferie, malattia e paghi contributi che non ti verranno mai riconosciuti. La casa, il mutuo, sono cose che non c’è proprio verso, non ce le immaginiamo neanche. Gli ultimi anni sono estremamente pessimisti rispetto agli Anni ’80, questa è una delle più grandi differenze secondo me. Voi che ne pensate? Saluti! – Quando mi sento triste mi viene istintivo guardare al passato, a quando ero sano e stavo ancora bene ed avevo ancora tante energie da spendere. Mi viene da guardare indietro fino a giungere a un’epoca per me magica perché oltre ad essere sano ero ancora bimbo. Gli Anni ’80 sono stati bellissimi probabilmente non solo per me, anni in cui era tutto un pochino più semplice e genuino, delle Fiat Panda, delle 126, dei paninari e di Burghy, della moda Kitch, dei Duran Duran, Righeira e degli Spandau Ballet... anni di scoperta e curiosità, di rivoluzione anche in ambito televisivo. La televisione negli Anni ’80 era più bella, c’erano programmi e palinsesti migliori di quelli di oggi, più seri e più digeribili; non c’era l’esagerazione né le minchiate della De Filippi, non c’era la Clerici, non c’era il grande fratello e Costanzo stava ancora tranquillo al posto suo a fare il Costanzo Show. C’erano tanti telefilm guardabili, l’Isola dei famosi ancora non esisteva e la Ventura all’epoca stava ancora zitta, placida e tranquilla “sotto sedativi” a fare sfilate. Berlusconi era ancora a capo della Fininvest e non in giro a spaccare le balle agli italiani. Ed era proprio su Italia uno che andava in onda Bim Bum Bam con Paolo, Manuela e Uan... – Proprio l’altro giorno notavo che praticamente tutti quelli che erano i miei “idoli” musicali (soprattutto stranieri) in quegli anni, sono oggi ancora in piena attività e tutti cinquantenni o più continuano a produrre musica di ottima fattura. E io continuo ad ascoltarli (lo dico sottovoce perché un po’ me ne vergogno ma... ehm... due anni fa ero a Parigi proprio per vedere uno dei concerti europei di uno di questi 228 PIER LUIGI CHERCHI artisti). Da grande fan della musica mi domando: quanti dei divetti delle tv musicali degli adolescenti di oggi saranno in piena attività fra 30 anni? Ma il mio è un giudizio di parte, e mi riferivo in particolare alla musica. Il resto? Beh, io ricordo ragazzini come me che si disegnavano le magliette da soli, che si dedicavano le canzoni alla radio, che non avevano bisogno di “sballarsi” o ubriacarsi per essere felici. Ricordo MOLTA meno omologazione, molta più creatività, rare notizie di folli ubriachi al volante. Ricordo che a nessuno sarebbe mai venuto in mente di fare le analisi del sangue agli autisti per scoprire la percentuale di cocaina, oppure ragazzi che vivevano senza senza cellulare, senza macchine elettriche. Ricordo una tv specialmente per i giovani immensamente più creativa – forse più naif – serena, sorridente ma non scema (come il programma della tettona Salerno). Ricordo i primi video musicali di MTV, alcuni autentici capolavori presi ad esempio ancora oggi. Non ricordo reality show da inebetiti, veline, dettagli cruenti al TG, telefilm sulle autopsie. Eravamo più semplici, ma più felici. – Sono nato nel 1971. Gli anni Settanta sono stati belli ed emozionanti per quello che posso ricordare e ve lo assicuro, ricordo moltissime cose fatte logicamente in quegli ultimi anni. Ma a mio avviso non c’è paragone con gli Anni ’80, assolutamente. Gli Anni ’70 o almeno gli ultimi anni erano anni “mosci”, lenti, vivevi bene e c’era molto lavoro, ma la moda, la musica e i divertimenti vari erano nettamente diversi dagli Anni ’80. Questi ultimi li ho vissuti appieno e se avessi la macchina del tempo mi piacerebbe tornarci anche solo per un giorno. Quel decennio era fatto su misura per le persone di qualsiasi età; ricordo il loro modo di pensare e di comportarsi, c’era rispetto e molta pazienza verso il prossimo. A prescindere dal denaro che circolava abbastanza e che dava benessere quasi a tutti, gli Anni ’80 li potevi assaporare come fosse una bibita fresca, li potevi sentire sulla pelle come fosse una brezza marina (scusate, ma era così che li vivevo) e gli sguardi delle persone che si incontravano per strada erano pieni di gioia. Vedevo i miei cugini in quegli anni e li vedo ora, è vero che le cose cambiano negli anni coi matrimoni e i figli, ma ragazzi... oggi il loro modo di vivere si basa sull’egoismo, sulla superficialità e sul- JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 229 l’indifferenza e tutto questo vissuto con malinconia, molti pensieri e molte responsabilità. – Gli Anni ’80 li ho vissuti coi reali sentimenti di un bambino e come tale mi comportavo. Oggi il bambino è inteso solo per l’età, ma lui vuole crescere subito, o perché è la società iper-veloce di oggi oppure perché entrambi i genitori lavorano e mancando loro i bambini hanno voglia di capire e recepire al più presto. Oggi la dignità di un uomo (inteso come essere umano) è sotto i piedi. L’uomo non viene più calcolato nemmeno per quel poco che sa fare. Oggi la RACCOMANDAZIONE è al vertice di qualsiasi cosa, sia per un lavoro importante (dottore, avvocato, ecc.) sia per un lavoro più “umiliante” (spazzino, OSA, bidello ecc.). Poi gli Anni ’80 erano gli anni ruggenti della Disco Music e della Pop dei gruppi come: Spandau Ballet, The Tweens, Depeche Mode, Baltimora, Raf, Righeira, giusto per citarne alcuni, ma sono a migliaia e la maggior parte italiani. Erano melodie “magiche” e piene di emozioni. Ricordo che prima di andare a scuola la mattina facevo colazione ed ascoltavo un paio di canzoni dance che avevo registrato il giorno prima dalla radio, per andare a scuola, che odiavo, un po’ più sereno. – Se ben ricordo c’era una voglia pazzesca di divertirsi... Sono nata nel 1974 e il primo disco che ho comprato in vita mia, manco a dirlo, era “Girls just wanna have fun” di Cindy Lauper. Sì, era il momento in cui si pensava che Cindy Lauper fosse una vera cantante e Madonna un fenomeno passeggero. Tempo un anno ed è parso chiaro chi fosse la vera Regina. Cosi tutte noi ci siamo comprate rossetti dal nome improbabile (tipo “Forever fucsia”), top di pizzo che la mamma ci costringeva a indossare con sotto la maglia della salute e i tipici braccialetti di caucciù, che i nostri padri definivano “guarnizioni da idraulico”. Ci si andava anche in spiaggia con quella roba e i polsi non si abbronzavano mai. Altri immancabili ammennicoli-feticci: le spalline sotto le maglie, 230 PIER LUIGI CHERCHI le magliette, i bikini, insomma non si usciva senza spalline; la permanente, la frangetta sulla fronte alta alta, tenuta su con chili di lacca... c’era chi si portava la lacca anche dentro le discoteche. Già, le discoteche. A 15 anni noi ci andavamo di pomeriggio in tram, e il massimo della trasgressione erotica era limonare sui divanetti al buio. Non c’erano le cubiste, la selezioni all’ingresso, le liste dei PR, gli alcolici e le pasticche. Solo coca cola e musica degli U2, degli Skorpions, dei Bon Jovi… (si, lo ammetto, frequentavo le discoteche dove la musica era davvero tamarra!!). L’abbigliamento era uguale per tutte: jeans, body aderente con spalline e chili di trucco. A vedere oggi le foto di allora mi accorgo che avevamo tutte l’aspetto di prostitute appena picchiate dai magnaccia: ma in quegli occhi bistrati avevamo un candore che non trovo nelle adolescenti di oggi. Per vedere gli amici bastava stabilire che il ritrovo della compagnia era una certa panchina ai giardini pubblici; se cercavi qualcuno andavi li e prima o poi lo trovavi. Magari aspettavi un’ora o due, (non avevamo di certo il cellulare per tempestarci di “Dove sei? Quando arrivi?”), ma poi qualcuno che conoscevi prima o poi passava e il pomeriggio era risolto. Poi erano i primi anni di consumismo, ma poi fino ad un certo punto. Mi ricordo di aver pregato mia madre di comprarmi un certo paio di jeans, i Closed si chiamavano che erano, allora, roba da fighi. Due bande di jeans più scuro a lato della gamba e una sottile scritta bianca, per la cifra spropositata di 80.000 lire. Mia madre è sbiancata e mi ha fatto giurare che li avrei “sfruttati” davvero. Ma non era un problema: le mode nascevano veloci ma duravano a lungo. I jeans, anche se li strapagavi potevi portarli per alcuni anni senza smettere di essere “figo”. Oggi con 40 euro ti compri un paio di jeans da Zara, sei nessuno con quelli addosso e dopo sei mesi, un anno al massimo, sono passati di moda e se te li metti sei uno sfigato. Quindi li butti e ne compri un altro paio. I Closet, giuro, li ho sfruttati davvero: dopo anni li ho tagliati, sfran- JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 231 giati in fondo e usati come bermuda per ancora un paio di stagioni. Fatelo con un jeans di oggi e vi restano in mano i pezzi. Quando mi sento dire che gli 80’s erano trash posso essere d’accordo, si, magari da un punto di vista estetico e mediatico, ma allora c’era un qualcosa che oggi non c’è più. C’era la fiducia in una sorta di benessere che pareva essere duraturo ed esponenziale. Eravamo un po’ ricchi ma lo saremmo stati sempre di più. Io ricordo che mi permettevo di sognare che avrei avuto un lavoro meraviglioso, avrei guadagnato un sacco di soldi che avrei speso e speso e speso. Chiedete ad un ventenne di oggi come vede il suo futuro, economico e professionale… D’altro canto era normale per noi ragazzi fare certi pensieri, erano i tempi in cui i nostri padri, magari operai Fiat, mantenevano un’intera famiglia, moglie a casa e uno o due figli all’università. Oggi due impiegati faticano ad arrivare a fine mese e ci pensano mille volte prima di fare un figlio. Insomma, non era di certo solo la televisione piena di telefilm e serie americane e di drive in e di cartoni animati giapponesi a darci fiducia nel futuro e leggerezza del presente: era il clima che si respirava in questo paese. Un clima pre-globalizzato, pre-terrorismo islamico (ma post terrorismo rosso) pre-minaccia cinese… al massimo iniziavamo a guardare il cielo chiedendoci che cos’era l’ozono. Un giorno è addirittura crollato il muro di Berlino e tutto, ma proprio tutto, sembrava davvero possibile. Se penso ai miei nipoti, oggi, che crescono con ben altre immagini in tv: le torri gemelle in frantumi, le bombe in metropolitana… Forse loro fra 15 anni avranno ancora quello in testa, mentre io ho avuto Forever Fucsia, Like a Virgin e i Pink floyd che suonavano a cavallo di un muro che poi è andato giù… 232 PIER LUIGI CHERCHI COSA RESTERÀ DI QUESTI ANNI ’80 (RAF) Anni come giorni son volati via brevi fotogrammi o treni in galleria è un effetto serra che scioglie la felicità delle nostre voglie e dei nostri jeans che cosa resterà. Di questi anni maledetti dentro gli occhi tuoi anni bucati e distratti noi vittime di noi ora però ci costa il non amarsi più è un dolore nascosto giù nell anima. Cosa resterà di questi Anni Ottanta afferrati già scivolati via... Cosa resterà, e la radio canta, una verità dentro una bugia. Anni ballando, ballando Reagan-Gorbaciov danza la fame nel mondo un tragico rondò. Noi siamo sempre più soli singole metà anni sui libri di scuola e poi a cosa servirà. Anni di amori violenti litigando per le vie sempre pronti io e te a nuove geometrie anni vuoti come lattine abbandonate là ora che siamo alla fine di questa eternità... Cosa resterà di questi Anni Ottanta chi la scatterà la fotografia..Cosa resterà, e la radio canta, “Won t you break my heart?” “Won t you break my heart?” ... Anni rampanti dei miti sorridenti da wind-surf sono già diventati graffiti ed ognuno pensa a sé forse domani a quest ora non sarò esistito mai e i sentimenti che senti se ne andranno come spray. JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI Uh! No, no, no, no... Anni veri di pubblicità, ma che cosa resterà anni allegri e depressi di follia e lucidità sembran già degli Anni Ottanta per noi quasi ottanta anni fa... 233 234 PIER LUIGI CHERCHI BIBLIOGRAFIA E WEBGRAFIA Carmela Piu: “Forme di creatività: subculture giovanili e gruppi musicali a Sassari” (saggio inedito). Il Resto Del Carlino, Bologna spettacoli, Sabato 22 novembre 2014 Le radio “pirata”, Nuova Sardegna 14 settembre 1975 caffèforum.it/l-angolo-della-nostalgia-gli-Anni-’80-erano-davvero-migliorihttp://www.lamette.it www.alfiomusic.altervista.com http://www.capitano.biz/RADIO_SASSARI.htm www.sassareserie.blogspot.it SorsoMusica!Altervista.org Racconto di Andrea Poddighe su Sole nero e Coro degli angeli Intervista di Paul Dessanti a Stefano Mancini da “Die pro die” (Cinque stelle Sardegna) JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI 235