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PIER LUIGI CHERCHI
John Lennon si è fermato a Sassari
PIER LUIGI CHERCHI
JOHN LENNON
si è fermato a Sassari
Dagli Anni ’60 a Tangentopoli
Musica, comportamenti, sottoculture e forme di creatività
e
des
EditricE dEmocratica Sarda
Una parte delle immagini riprodotte in quest’opera
è tratta da giornali e stampati dell’epoca
e non è perciò di buona qualità.
Si è deciso comunque di pubblicarle
per il loro significato e la validità documentale.
ISBN:
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Sede legale Piazzale Segni 1, Sassari
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Zona Industriale Predda Niedda Sud strada 10
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Finito di stampare nel dicembre 2016
Ad Agostino Semiani
elegante e austera presenza
nei ricordi degli Anni ’70
7
INDICE
Prefazione
Pag.
9
Antologia di una rivoluzione culturale
Introduzione di Pasquale Porcu
13
Personaggi citati nel libro
15
Sottoculture e forme di creatività
21
Gli anni ’60, un mondo che cambia
25
La sottocultura beat
27
Cosa è stata per te l’epoca beat?
37
Gli Anni ’70 e ’80. Modelli di cultura e immagini sociali
41
Sassari nel passaggio dagli Anni ’70 agli Anni ’80
53
Radio libere e controculture
63
La prima radio libera
Pillole di Pasquale Porcu
70
Musiche e dediche nella notte
Contributo di Pierluigi Piredda
71
Politica, pubblicità e aneddoti
Racconto di Giò Capitano
74
I pirati dell’aria, nostalgie e curiosità
77
Censimento Radio Libere
83
I decantati e vituperati Anni ’80: il riflusso e l’edonismo reaganiano
87
Sottocultura metropolitana. I Paninari
95
Capelli a spazzola, Preppy e Cucador
Intervista di Chiara Galeazzi a Ramon Verdoia
100
8
Sottocultura metropolitana. I Metallari
Pag. 104
Tendenze sociali degli Anni ’80: il Piano Bar
108
Il pianista confidenziale che faceva innamorare
Intervista a Gianni Davis
116
La Sassari degli Anni ’80
125
La movida, personaggi e locali
Intervista a Cosimo Salis
141
Musica di qualità e “spazzatura”
Autointervista di Pier Luigi Cherchi
145
Gruppi musicali a Sassari negli Anni ’80
Bertas, Azimut, Attacco Sonico, Joe Perrino, Cento, Humaniora, PSA
153
I P.S.A. sound punk nel deposito di sale
Intervista a Geppi dal sito punk “Striscia la lametta”
164
Sole Nero e Il Coro degli Angeli
Racconto di Andrea Poddighe
169
Da musicista a imprenditore
Intervista a Mariano Melis
175
Teatro boom, La botte e il cilindro e...
Contributo di Margherita Lavosi sulla compagnia
181
Il Theatre en vol, dadaismo e irriverenza
201
Dal collettivo al Voltaire, girovagando
Intervista a Puccio Savioli
207
La scuola Patatrac, jazz e arte
Intervista a Pino Squintu
212
Quel genio di Giampiero Cubeddu
Intervista di Paul Dessanti a Stefano Mancini
219
La febbre degli Anni ’80. Unici, stupendi, irripetibili. Ma...
224
Bibliografia e Webgrafia
234
9
PREFAZIONE
“John Lennon si è fermato a Sassari?” Così esclamò sorpresa una mia
amica all’annuncio in anteprima del titolo del mio ultimo libro sulla
storiografia della società contemporanea. “Ma io pensavo che John
Lennon non fosse mai venuto a Sassari!”.
“Ma no, è un’allegoria, una metafora” – risposi – “per far capire
che una città di provincia come Sassari più di altre ha recepito la
creatività della rivoluzione beat, di cui John Lennon è l’elemento trainante, anche nell’immaginario collettivo, e ha avviato una scuola di
strada che non si è fermata agli Anni ’60, ma ha continuato la sua attività, con un fermento artistico inimmaginabile anche per città più
grandi ed economicamente più avvantaggiate, fino agli Anni ’90”.
Spero di non dover ripetere questo concetto a tutti quelli che, incontrandomi per strada o in un luogo pubblico, dovessero farmi questa
domanda. Forse anche Carlo Levi, mi domando, avrà dovuto rispondere a chi gli chiedeva: “Ma Gesù Cristo è veramente passato ad Eboli?”
con una dovuta argomentazione o solo con un’alzata di spalle stizzita.
Trent’anni di forme di creatività, dalla musica al teatro, alla fotografia, alla poesia ed alla letteratura attraversano una incredibile evoluzione della società, che pare trasformarsi in una miriade di aspetti
di sottocultura che disegnano un mondo variegato, dove c’è spazio
per tutto e il contrario di tutto. Basti pensare agli anni di piombo della
metà degli Anni ’70, e, dopo pochi anni alla vita dorata degli yuppies,
agli indiani metropolitani del 1977 ed ai giovani professionisti urbani
del 1986, alle femministe del 1978, l’anno della legge sull’aborto, acconciate in maniera grottesca e dopo neanche un decennio alle
“donne in carriera”, tutte griffate, con minigonne vertiginose e tacchi
a spillo, con cambiamenti che riguardano profondamente anche l’arte,
in tutti i suoi aspetti.
Sassari, in questo percorso, non è mai ferma, ma si evolve profondamente: finita l’avventura beat delle cantine e dei capelloni si va
10
verso le Scuole di musica, dove non c’è più spazio per l’autodidattica
e i suoni distorti da una tecnica approssimativa, verso i laboratori
teatrali, dove si impara a recitare e a creare spettacoli di grande rilievo,
alle Scuole di fotografia dove le tecniche di sviluppo e stampa dei fotogrammi si associano all’utilizzo dei tempi di posa e dei diaframmi,
allo studio dei primi piani, dei panorami e delle dissolvenze, alla pittura, che si completa di giovani artisti emergenti dediti allo studio di
nuove espressioni artistiche etc.
Questo fermento artistico e culturale della nostra città sembra fermarsi, nella sua esplosività, alla metà degli Anni ’90, complice probabilmente la crisi economica planetaria – in particolare l’Italia postTangentopoli e della seconda Repubblica – che limita la creatività e
l’estro delle nuove realtà giovanili alle prese con problemi di sopravvivenza, dove l’arte diventa quasi un bene voluttuario e da far passare
giocoforza in secondo piano.
PIER LUIGI CHERCHI
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Suonare
trasmigrando sui tasti l’essenza del tuo animo
Ascoltare
una sottile malinconia
prendere forma e parlare di te.
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ANTOLOGIA DI UNA RIVOLUZIONE CULTURALE
Introduzione di Pasquale Porcu
Ma davvero John Lennon si è fermato a Sassari? Certo che no. L’autore,
già nella prefazione a questa sua ultima opera, dice che si tratta di una
metafora. Pier Luigi Cherchi nel volume racconta che ha inteso spiegare
come una città piccola e, tutto sommato, di provincia, sia stata animata
da una ventata di creatività che l’ha messa in sintonia col resto del mondo
già dagli anni Sessanta. Quel mondo dove nascevano e da dove si diffondevano progetti culturali e comportamenti che facilmente venivano
imitati nei diversi continenti. In questo senso la mente più creativa e trasgressiva dei Beatles, eletto da Cherchi a profeta e leader morale del beat,
è passato per Sassari. Le idee, la lezione di Lennon hanno influenzato anche la gioventù sassarese alimentando una sorta di rivoluzione culturale
che ha fatto sentire i suoi effetti non solo negli anni Sessanta ma anche
nei due decenni successivi. E per dimostrare la sua tesi, Cherchi, passa ai
raggi X gran parte delle attività culturali che hanno animato una città
sonnolenta e cristallizzata nei suoi strati sociali.
Certo si è trattato di una serie di fenomeni complessi che hanno fatto
germogliare gli stessi semi che hanno trasformato anche i giovani delle
capitali occidentali.
Un ruolo importante l’hanno giocato i movimenti politici e studenteschi. Ma alla base di quei fenomeni di massa, dice l’autore, c’è il movimento beat , le sue musiche, la sua filosofia ingenua ma che ha generato
una gran voglia di libertà e di emancipazione. Col beat, insomma, i giovani
diventano per la prima volta (si direbbe oggi) soggetto politico importante
che vuole dire la sua nella scuola, nelle università e soprattutto nella società.
Finalmente i giovani non si vestono più come i loro genitori, possono
indossare abiti sgargianti a fiori, ci si può far crescere le basette o i capelli,
si può indossare la minigonna e gli stivali, si può andare ai concerti e ballare senza reggiseno o a torso nudo. Si può cominciare a invocare parità
di diritti tra ragazzi e ragazze, tra giovani e adulti. Si può vivere e ci si può
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comportare senza chiedere permesso né ai genitori, né alle autorità scolastiche o religiose. Si può girare il mondo con l’autostop. E soprattutto
ragazzi e ragazze possono stare insieme senza più tabù sessuali.
La musica, insomma, comincia a cambiare. In tutti i sensi. La melodia
lascia spazio a ritmi e suoni più in sintonia con i movimenti pelvici originati dalle tempeste ormonali giovanili. E soprattutto la musica la possono
fare direttamente i giovani, con una chitarra, un basso e una batteria. E’
davvero una rivoluzione senza precedenti. E Sassari è in prima linea in
questa battaglia di emancipazione: in città nascono gruppi musicali in
grande quantità. E non si contano le salette, le cantine trasformate in
club dove stare insieme e ascoltare musica. Non c’è strada o vicolo del
centro storico che non abbia i suoi ritrovi e i suoi punti di riferimento per
una gioventù che comincia a uscire di casa abbandonando i tristi pomeriggi domenicali domestici sotto l’occhio vigile di babbo e mamma.
Pier Luigi Cherchi, in questo libro, documenta tutto il fermento che
anima la città negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta. E contemporaneamente descrive i fenomeni che animano la scena nazionale e internazionale in campo musicale ma anche in quello teatrale. I Beatles ma anche
il jazz e i Bertas, Bon Jovi ma anche I Boba, il Coro degli Angeli, i Tazenda
e il teatro di strada di Puccio Savioli e Michelle Kramers, la riscoperta
della commedia in sassarese di Gian Piero Cubeddu e la nascita delle
radio libere a cominciare da Radio Nord Ovest (che diventerà Radio Sassari Centrale, la prima emittente a dotarsi di una vera redazione giornalistica e della capacità tecnica di fare delle “dirette” dalla città). Sullo
sfondo, Cherchi segnala i fermenti politici, i “monumenteros”, gli scontri
tra fazioni politiche opposte, gli “anni di piombo” e il riflusso. E da questo
punto di vista il libro è una grande antologia che raccoglie e mette insieme
interviste e punti di vista differenti che aiutano il lettore a farsi un’idea
dei fermenti che hanno animato la città dagli anni Sessanta agli anni Ottanta.
Qualcuno dei personaggi citati ha fatto il balzo nella politica, nel cinema o nella musica a livello nazionale. Qualcun altro continua ad operare. Altri si sono ritirati a vita privata o non ci sono più. Tutti insieme,
comunque, hanno creato la situazione culturale, sociale e di costume
che conosciamo oggi. Un mondo che questo libro di Pier Luigi Cherchi,
oggi, ci aiuta a capire.
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
PERSONAGGI CITATI NEL LIBRO
Giancarlo Acciaro
Antonello Accioni
Mirko Addis
Sandro Agnesa
Giuliana Altea
Antonio Arcadu
Maria Antonietta Azzu
Orlando Bajardo
Gianni Bassu
Giuseppe Bazzoni
Clemente Biasizzo
Lino e Carlo Borghesi
Franco Borghetto
Michele Bozzi
Gianni Bracceri
Checco e Gigi Bua
Piero Bua
Gavino Buscarinu
Gigi Camedda
Giovanni Campus
Gigi Campus
Angelo Canu
Gigi Canu
Giò Capitano
Alberto Capitta
Marco Caracciolo
Pino Careddu
Mondino Carnelias
Giampiero Carta
Piero Carta
Benito Castangia
Franco Castia
Marco Chessa
intervista a Puccio Savioli
intervista a Cosimo Salis
Radio Libere a Sassari
intervista a Puccio Savioli
intervista a Pino Squintu
intervista a Cosimo Salis
intervista a Puccio Savioli
Radio Libere a Sassari
la storia del GAGA’
intervista a Puccio Savioli
Radio Libere a Sassari
Radio Libere a Sassari
intervista a Puccio Savioli
intervista a Cosimo Salis
Radio Libere a Sassari
Radio Libere a Sassari
Radio Libere a Sassari
La storia del GAGA
racconto su Sole Nero e Coro degli Angeli
Theatre en vol
intervista a Pino Squintu
racconto su Sole Nero e Coro degli Angeli
Radio Libere a Sassari
contributo su Radio Libere a Sassari
intervista a Puccio Savioli
Attacco Sonico
Radio Libere a Sassari
Azimut
intervista a Mariano Melis
Azimut
Teleobiettivo Sardegna
intervista a Mariano Melis
intervista a Mariano Melis
15
16
PIER LUIGI CHERCHI
Mario Chessa Ittiri
Mario Chessa Sassari
Alberto Cocco (Albicocco)
Pinaccio Cocco
Eugenio Colombo
Claudio Como
Maria Vittoria Conconi
Pier Paolo Conconi
Enzo Concu
Piero Concu
Gianni Coni e Lucio Coni
Mario Coni
Luisella Conti
Angelo Contini
Antonello Coradduzza
Marco Cosseddu
Gesuino Cosseddu
Daniela Cossiga
Giacomo Cossu
Gianni Cossu
Pinuccio Cossu
Antonio Costa
Andrea Costa
Carlo Costa
Giampiero Cubeddu
Giancarlo Cubeddu
Francesco Cuccureddu
Salvatore Cugurra
Antonio Dalerci
Gianni Davis
Andrea Deledda
Vito Deledda
Sandro Delogu
Adolfo Deriu
Marcello Deriu
Mario Deriu
Carlo Desole
Paul Dessanti
Andrea Dessì
Paola Dessì
Pierluigi Dessì
Antonello Dettori
storia dei Monumenteros
i Bertas
intervista a Mariano Melis
Radio Libere a Sassari
intervista a Pino Squintu
Azimut
La botte e il cilindro
La botte e il cilindro
Azimut
Azimut
Radio Libere a Sassari
squadra di pallavolo “Silvio Pellico”
La botte e il cilindro
la storia del GAGA’
i Cento - intervista a Mariano Melis
intervista a Mariano Melis
intervista a Mariano Melis
La botte e il cilindro
intervista a Mariano Melis
intervista a Puccio Savioli
storia del GAGA’
i Bertas
storia del GAGA’
i Bertas
La botte e il cilindro
Radio libere a Sassari
Radio Libere a Sassari
Radio Libere a Sassari
Radio libere a Sassari
intervista
La botte e il cilindro
Azimut
Radio Libere a Sassari
Azimut
intervista a Puccio Savioli
squadra di pallavolo “Silvio Pellico”
intervista a Puccio Savioli
animatori anni ‘80
intervista a Puccio Savioli
intervista a Puccio Savioli
intervista a Cosimo Salis
La botte e il cilindro
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
Italo Di Maria
Mauro Di Maria
Vittorio Di Maria
Giacomo Doro
Tetta Duce
Pier Paolo Duce
Francesco Enna
Andrea Enrico
Paolo Erre
Pierpaolo Erre
Nando Esposito
Giovanni Fadda
Romano Faedda
Marcello Falchi
Renato Fancellu
Pietro Fara
Enzo Favata
Cosimo Filigheddu
Alberto Fiori
Alessandro Fiori “Bestemmia”
Giuseppe Fiori
Loredana Flori
Marco Foddanu
Gianni Fracassi
Paolo Fresu
Paolo Gadau
Giuseppe Gadau
Gianluca Gadau
Mariolino Gadau
Giampaolo Galleri
Giampiero Galleri
Antonello Gennaro
Antonello Grimaldi
Giancarlo Griscenko
Fabrizio Guelpa
Nadia Imperio
Antonio Inzaina
Gigi Ippolito
Michelle Kramers
Margherita Lavosi
Giovanni Leonardi
Livia Lepri
Azimut
Azimut
storia del Pe Bay
i Cento
intervista a Puccio Savioli
intervista a Pino Squintu
La botte e il cilindro
intervista a Mariano Melis
i Cento
Radio Libere a Sassari
racconto su Sole Nero e Coro degli Angeli
storia del GAGA
intervista a Puccio Savioli
Attacco Sonico
intervista a Pino Squintu
racconto su Sole Nero e Coro degli Angeli
intervista a Pino Squintu
Radio Libere a Sassari
Gruppi sassaresi Anni ’80
Radio Libere a Sassari
i Bertas
Radio Libere a Sassari
Radio libere a Sassari
storia del GAGA’
intervista a Pino Squintu
Azimut
intervista a Mariano Melis
intervista a Mariano Melis
i Bertas
squadra di pallavolo “Silvio Pellico”
squadra di pallavolo “Silvio Pellico”
intervista a Puccio Savioli
La botte e il cilindro
Radio Libere a Sassari
intervista a Mariano Melis
La botte e il cilindro
racconto su Sole Nero e Coro degli Angeli
intervista a Puccio Savioli
Theatre en vol
La botte e il cilindro
gruppi musicali anni ‘80
La botte e il cilindro
17
18
PIER LUIGI CHERCHI
Ruggero Lifrieri
Carlo Lodde
Giuseppe Loriga
Mario Losito
Andrea Lubino
Antonello Lubinu
Antonio Luiu
Antonello Macaluso
Gino Macaluso
Marco Magnani
Annalena Manca
Daniele Manca
Alessandro Manca
Stefano Mancini
Luigi Manconi
Tore Mannu
Giommaria Manunta
Patty Maresu
Tonino Maresu
Gino Marielli
Giulio Martinetti
Giuseppe Masia
Lucio Masia
Sante Maurizi
Donatella Meazza
Ugo Mela
Mariano Melis
Mario Monte
Enrico Montis
Salvatore Moraccini
Marco Moretti
Alessandra Mura
Piero e Peppino Muresu
Pinuccio Murrai
Stefano Mosca
Roberto Muretto
Peppino Murgia
Mauro Nacci
Cristna e Loris Nadotti
Fabio Nicosia
Carmelo Nieddu
Gianni Noli
squadra di pallavolo “Silvio Pellico”
squadra di pallavolo “Silvio Pellico”
Attacco Sonico
intervista a Pino Squintu
Attacco Sonico
intervista a Pino Squintu
intervista a Pino Squintu
Radio Libere a Sassari
Radio Libere a Sassari
intervista a Pino Squintu
La botte e il cilindro
intervista a Mariano Melis
intervista a Mariano Melis
intervista a Pino Squintu
intervista a Puccio Savioli
intervista a Pino Squintu
La botte e il cilindro
Radio Libere a Sassari
storia della Sassari anni 70-80
racconto su Sole Nero e Coro degli Angeli
Radio Libere a Sassari
intervista a Mariano Melis
Radio Libere a Sassari
La botte e il cilindro
intervista a Puccio Savioli
intervista a Cosimo Salis
intervista
intervista a Cosimo Salis
Radio Libere a Sassari
intervista a Mariano Melis
intervista a Pino Squintu
La botte e il cilindro
storia del Blu Star e La Siesta
intervista a Pino Squintu
intervista a Mariano Melis
Radio Libere a Sassari
Blu Star
intervista a Cosimo Salis
Radio libere a Sassari
intervista a Mariano Melis
Ristoranti Sassari anni ‘80
squadra di pallavolo “Silvio Pellico”
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
Bruno Paba
Enzo Paba
Antonio Pais
Mario Pala
Bruno Pallavisini
Domenico Panzino
Andrea Parodi
Marco Parodi
Joe Perrino
Stefano Perrone
Billia Pes
Teresa Pes
Bruno Pianu
Francesco Pigliaru
Carlo Pinna
Gabriele Pinna
Giuseppe Pinna Nossai
Salvatore Pintore
Ferruccio Pintus
Giampaolo Pintus
Marco Piras
Pierluigi Piredda
Gianni Pirisi
Zeno Pisu
Consuelo Pittalis
Carmela Piu
Antonello Poddighe
Antonio Poddighe
Andrea Poddighe
Raffaele Polcino
Enrico Porqueddu
Gaetano Porqueddu
Enrico Puggioni
Tore e Graziano Puggioni
Carlo Rettaroli
Ico Ribichesu
Enzo Riva
Gavino Riva
Gianni Rizzi
Eugenio Romano
Ciccio Rubattu
Radio libere a Sassari
i Bertas
intervista a Mariano Melis
Ristoranti sassaresi anni ‘80
Radio Libere a Sassari
Radio Libere a Sassari
racconto su Sole Nero e Coro degli Angeli
La botte e il cilindro
gruppi musicali anni ‘80
storia del GAGA
storia del GAGA
La botte e il cilindro
intervista a Puccio Savioli
Radio libere a Sassari
intervista a Puccio Savioli
intervista a Cosimo Salis –Blu Star
storia del Pe Bay
Radio Libere a Sassari
Attacco Sonico
intervista a Cosimo Salis
i Bertas
contributo sulle Radio Libere
storia del GAGA
intervista a Cosimo Salis
La botte e il cilindro
Saggio sulle forme di creatività a Sassari Theatre en vol
Radio Libere a Sassari
racconto su Sole Nero e Coro degli Angeli
racconto su Sole Nero e Coro degli Angeli
intervista a Mariano Melis
Radio Libere a Sassari
Radio Libere a Sassari
intervista a Pino Squintu
Radio Libere a Sassari
storia del GAGA
Radio Libere a Sassari
storia del GAGA
intervista a Mariano Melis
Azimut
i Bertas
squadra di pallavolo “Silvio Pellico”
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PIER LUIGI CHERCHI
Giampaolo Ruggiu
Giulia Sale
Stefano Salis
Cosimo Salis
Anna Sanna
Tonino Sanna
Francesco Santu
Puccio Savioli
Salvatore Scala
Baingio Nuccio Scanu
Daniele Serra
Francesco Serra
Giovanni Serra
Brunetto Sini
Gianni Spanedda
Roberto Spano
Antonello Squintu
Pino Squintu
Zino Squintu
Sergio Tedde
Vito Tilocca
Marcello Truddaiu
Nello Usai
Emilio Vaccaneo
Carlo Valle
Marco Vannini
Angelo Vargiu
intervista a Mariano Melis
intervista a Pino Squintu
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intervista
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storia del Pe Bay
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Ristoranti sassaresi anni ‘80
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Radio Libere a Sassari
Radio libere a Sassari
intervista
intervista a Puccio Savioli
La botte e il cilindro
Radio Libere a Sassari
Scuola di musica Patatrac
intervista a Cosimo Salis – Pe Bay
squadra di pallavolo “Silvio Pellico”
intervista a Mariano Melis
Radio libere a Sassari
intervista a Puccio Savioli
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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SOTTOCULTURE E FORME DI CREATIVITÀ
Nel suo lavoro “Forme di creatività: subculture giovanili e gruppi musicali a Sassari” l’antropologa Carmela Piu mette in risalto l’importanza
della città come luogo della creatività sociale, attraverso reti di comunicazione e luoghi d’incontro, luoghi in cui si intrecciano rapporti
umani e dove nuove idee si incontrano.
Come scrive Sobrero riportando la definizione di Park, sempre dal
testo di Carmela Piu, «la città non è solo un meccanismo fisico, [ma]
è coinvolta nei processi vitali della gente che la compone, […] è un
prodotto della natura, e in particolare della natura umana» La città,
dice Hannerz “è un luogo di scoperte e di sorprese, in cui può capitare
di vedere cose diverse rispetto al passato e persone diverse da noi.
Infatti è proprio nella città che scorgiamo la complessità di cui parla
l’autore, quella caratterizzata da una grande varietà di subculture,
dove l’apparato culturale seppur in uno spazio limitato è articolato
da un’ampia gamma di interconnessioni e di gestioni di significato.”
La città insomma rappresenta uno dei luoghi più favorevoli per la
diffusione della creatività. Se pensiamo alle grandi città europee nell’età moderna e contemporanea, queste sono state dei luoghi privilegiati della vicinanza tra persone di culture differenti. Perciò l’apertura
e l’esposizione a stimoli culturali diversi, anche contrastanti, sono
due fattori molto importanti per favorire il formarsi di gruppi creativi.
E, proprio partendo dall’analisi delle grandi città, nel suo saggio
Carmela Piu sottolinea la difficoltà di avviare un’indagine conoscitiva
in una piccola città di Provincia come Sassari “Mi rendo conto che
Sassari in questo confronto, potrebbe non essere considerata una
22
PIER LUIGI CHERCHI
città paragonabile a tali metropoli, da chi non si occupa di antropologia e che, probabilmente, il mio tentativo di indagare questa città di
circa centotrentamila abitanti e volerne individuare l’intensità del fermento creativo, potrebbe far sorridere alcune persone, ma come dice
Hannerz non esistono culture chiuse, statiche dai confini ben delimitati. Perciò parto dal presupposto che non posso escludere Sassari da
questo concetto.”
Infatti come dice Hannerz «Attraverso la comunicazione interpersonale, si possono fare esperienze indirette, e interiorizzare il loro significato in modo più o meno standardizzato. I significati che si formano più direttamente nei coinvolgimenti situazionali particolari di
un individuo possono di conseguenza essere anche modificati. È in
questo modo che si sviluppa una cultura, vale a dire un sistema collettivo di significati»
Hannerz nei suoi libri riflette più volte sul modo di vedere il mondo
e trova irragionevole il paragonarlo ad un mosaico culturale con
tanti pezzi separati, definiti da confini ben netti; con ciò intende riferirsi
“alle interconnessioni culturali che si estendono sempre più attraverso
il mondo, per cui le entità che definiamo culture, diventano sempre
più subculture all’interno dell’entità più ampia giustificando così la
indeterminatezza dei confini”.
Così ancora Carmela Piu sottolinea questo concetto “Sapere che
giovani sassaresi sono appassionati a generi musicali che hanno superato il loro confini territoriali e che si incontrano con altri habitat
di significato sono, a mio avviso, una delle tante dimostrazioni che la
cultura non può essere intesa come racchiusa in tanti «pacchetti».
Ma cosa si intende per Subcultura o Sottocultura?
Fabietti definisce le subculture come «“reti” di significati condivisi
da determinati individui (e non da altri) all’interno di un contesto significante più vasto (la “cultura”) a cui pur tuttavia quegli stessi individui appartengono».
In realtà i primi accenni all’esistenza delle sottoculture si fanno risalire alle cronache dei giornali inglesi dell’inizio dell’Ottocento, impegnate a descrivere in una lettura torbida e classista i bassifondi
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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delle grandi città. I sociologi della Scuola di Chicago furono i primi
ad interessarsi al tema delle sottoculture con metodi di ricerca sul
campo mutuati dall’etnografia nei primi decenni del Novecento, con
lo studio dell’antropologia delle città, interpretando questi modelli
come aspetti di devianza o addirittura di delinquenza. Secondo queste
teorie le subculture si sviluppavano da un lato per una mancata socializzazione di alcuni settori di popolazione alla cultura dominante
e dall’altro lato per l’adozione da parte loro di modelli valoriali e normativi alternativi.
Da questi presupposti nacque il concetto di sottocultura, che definiva “gruppi sociali dotati di caratteri propri che si distaccavano in
parte da quelli della cultura più ampia di cui facevano comunque
parte”, gruppi che la società definisce come “outsiders”.
La cultura delle società contemporanee non è quindi un continuum
ma è scomponibile in segmenti diversi; vi è un sistema di costumi e
valori condiviso, ma vi sono anche realtà locali che fanno capo a
gruppi uniti da interessi e pratiche che favoriscono il crearsi di identità
collettive che, basate sull’adozione di un particolare stile di vita, determinano comportamenti e modi di pensare. Questi gruppi sono
composti, a loro volta, da gruppi più ristretti. I suoi membri hanno in
comune norme, credenze, valori differenti in parte da quelli della
cultura ufficiale, che influenzano il loro stile di vita e un modo di disporre delle proprie risorse economiche.
Dal punto di vista teorico la sottocultura si distingue dalla cultura
in quanto mentre questa può essere attribuita al soggetto in conformità
a suoi caratteri precisi (come l’etnia di appartenenza, il sesso, la fascia
di età ecc.) la sottocultura è fondata su caratteri volontariamente perseguiti, come le scelte stilistiche, vestimentarie, musicali e comportamentali; ne sono un esempio le decorazioni che ‘marchiano’ il soggetto
talvolta in senso letterale (si pensi ai tatuaggi, al piercing, nei casi più
estremi al branding e alla scarificazione). Le sottoculture tendono
così a essere caratterizzate dalla presenza di confini facilmente individuabili e da caratteri culturali particolarmente visibili. All’interno
24
PIER LUIGI CHERCHI
delle sottoculture gli elementi più importanti nella formazione dell’identità dei singoli e per l’istituzione delle gerarchie interne risultano
pressoché invisibili al profano. Questi sarebbe infatti più portato a
considerare come importanti segni di distinzione elementi di scarso
peso, quali il modo di vestire, la musica che viene ascoltata o il gergo
che viene parlato, mentre non riesce a cogliere l’importanza rivestita
da caratteri meno marcatamente visibili, come l’intima conoscenza
dei fatti interni, l’adesione a un sistema di valori alternativo e il cosiddetto capitale sottoculturale di ciascun membro.
Studiando le culture giovanili dei dance clubs britannici degli Anni
Ottanta l’antropologa S. Thornton ha evidenziato la logica culturale
delle distinzioni su cui si fondano autenticità e gerarchie. Allo scopo
la Thornton ha coniato la locuzione capitale sottoculturale cercando
di mettere in luce la logica sociale applicandola ai giovani studiati, riscontrando che, anche all’interno delle singole sottoculture, il capitale
culturale, può essere sia ‘oggettificato’, per esempio, in un’attrezzatura,
o in abiti e in accessori considerati particolarmente adeguati, sia ‘incorporato’, per esempio nella proprietà mostrata nell’uso (e quindi
nel non abuso) di un gergo corretto o nella capacità di formulare
commenti pertinenti a proposito delle attività cui si dedicano i membri
della sottocultura.
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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GLI ANNI ’60, UN MONDO CHE CAMBIA
Gli Anni ’60, detti anche “favolosi Anni ’60”, furono attraversati da un
movimento globale che coinvolse l’intera popolazione mondiale, anche se in modi e tempi differenti; un movimento che segnò il nostro
tempo, portando ad alcune delle trasformazioni più importanti degli
ultimi anni; una vera ‹‹rivoluzione››, sociale e di costume.
In questo decennio ampie frange della popolazione, costituite da
gruppi sociali disomogenei (studenti, operai e gruppi etnici minoritari
soprattutto questi ultimi negli USA) spesso in contatto tra loro attraverso
un fenomeno di socializzazione spontanea favorita dai mass media e
soprattutto dalla televisione, fecero sentire la loro voce in quasi tutti i
paesi del mondo nel segno di una trasformazione radicale della società.
Ma gli Anni ’60 divennero soprattutto gli anni dei teen-agers, i minorenni, fino ad allora ignorati nella scala sociale, che, a differenza
delle generazioni precedenti, si conquistavano un loro spazio, scegliendo i loro nuovi idoli, un modo di vivere, di vestire, di amare, di
ballare, di pensare sempre più lontano da quello dei genitori. Questi
nuovi protagonisti della vita sociale degli Anni ’60 mostravano apertamente il loro senso di disaffiliation (distacco), con la contestazione all’interno della famiglia, pur non possedendo una propria cultura giovanile a cui potersi rifare, da poter imitare, con cui potersi identificare.
Da questa condizione di disagio verso le istituzioni e la società così
come codificata, i giovani si dirigevano verso delle alternative esistenziali che abbracciavano anche il pensiero politico, il bisogno di rinnovamento culturale e sociale, ma soprattutto la libertà della psiche (con
la diffusione di una cultura psichedelica, fatta non solo di musica ma
di arte in senso generale), la centralità dell’individuo al di fuori delle
imposizioni della società, la esaltazione del pacifismo e della non violenza, il misticismo, che si avvicinava sempre più a quello di altre religioni (in particolare il Buddismo) e della cultura orientale in genere.
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PIER LUIGI CHERCHI
Anni ’60 a Sassari: Platamona
Il Lido Iride di Platamona negli Anni ’60
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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LA SOTTOCULTURA BEAT
Nel 1964, con l’esplosione del fenomeno
Beatles, tra l’indifferenza e l’insofferenza
degli adulti, in Italia i
giovanissimi si conquistarono un loro spazio
in un crescendo di
gioia, solidarietà, amicizia. La musica beat
riuscì, di colpo, a
“svecchiare” una società stratificata nella
sua concezione sociale, in piena fase di
consolidamento dopo
i disastri della seconda
guerra mondiale, non
favorevole a tutto ciò
che
rappresentava
cambiamento o innovazione. In breve la rivoluzione beat dei primi Anni ’60 riuscì in maniera spontanea a creare
un movimento sottoculturale che resterà scandito nella memoria storica del mondo contemporaneo : il taglio dei capelli dei “Fab Four” di
Liverpool, la famosa zazzera, viene presa a modello dai ragazzi dai
quindici ai trenta anni, le mitiche giacche di Pierre Cardin, gli stivaletti
a punta e col tacco squadrato vanno a ruba nei negozi di moda: iniziano a diffondersi i contrasti generazionali all’interno delle famiglie,
con padri spesso “sconvolti” da questa scintilla improvvisa di conte-
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PIER LUIGI CHERCHI
stazione verso i “matusa”, gli esponenti di un mondo vecchio, da ricostruire.
Da un’Italia rappresentata fino ad allora da musica melodica, night
club per adulti e oratori per ragazzi si passa ad una moltitudine di
teen-agers con la chitarra a tracolla, che si organizzano in movimenti
di aggregazione, imparando a suonare e a cantare musica “libera”,
urlata, al di fuori degli schemi dei conservatori, tra l’indifferenza e
l’insofferenza degli adulti, conquistandosi un loro spazio in un crescendo di gioia, solidarietà, amicizia. Il mangiadischi prima e la fonovaligia poi diventano il simbolo di una trasgressione crescente,
con la musica e il ballo liberi da ogni schema precostituito, dal gioco
di coppia, dai passi canonici delle danze di vecchia maniera, con
l’individuo che è libero di creare una propria identità espressiva
anche nelle movenze dei nuovi ritmi come il surf, lo shake, il melody-rock etc.
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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Parlando di look giovanili nel saggio di Carmela Piu si fa cenno al
nascere della sottocultura beat a Sassari “Uno degli elementi su cui
riflettere è l’associazione che viene fatta tra musica e abbigliamento e
quindi stili di vita. È con la diffusione planetaria della musica popolare
che si collegano i mutamenti sociali tra gli Anni Cinquanta e Sessanta,
non solo la musica, ma con essa il ballo, la moto, l’automobile, il
gergo e non ultimo l’abbigliamento. Si tratta di nuovi modi attraverso
i quali i giovani si fanno spazio nella società. (…). Quello che ora mi
pare interessante rilevare è il fatto che i gruppi musicali non nascono
oggi, ma Sassari ha una lunga storia di sub culture giovanili. Non
solo, dalle varie chiacchierate che ho fatto durante la mia ricerca sul
campo, spesso ho sentito nominare le “salette” e ho appreso che si
trattava di luoghi che facevano parte della vita dei giovani musicisti
anche di allora”.
Ecco come ricorda il mondo delle salette Francesco Meloni, ora
docente di otorinolaringoiatria, e, ai tempi dell’università, socio fondatore di un “club” in via Mercato: “La nostra saletta si trovava proprio
davanti al Circolo Sassarese, e comprendeva una trentina di soci al
massimo... si pagava una quota minima per la gestione della sala e ci
si riprometteva di guadagnare qualcosa dalle consumazioni. La struttura era semplice: un baretto fatto di legno, una sala dove si ballava
ed una sala interna riservata ai soci (dove si portavano le ragazze)…
L’ambientazione era fatta di canne alle pareti e luci molto soffuse, velate, soprattutto per i “lenti” che ad una certa ora rappresentavano il
pezzo forte della serata… L’ambiente era eterogeneo,la maggioranza
era rappresentata da studenti ma c’erano anche muratori, operai e
un po’ tutte le categorie… Non ricordo di aver visto in quella nostra
saletta dei complessi suonare, in genere si utilizzava un grosso giradischi, per l’epoca quasi professionale, con un sistema multidisco a
braccio snodabile che garantiva il cambio automatico fino ad otto dischi che venivano caricati prima di iniziare a ballare… Forse la nostra
era una saletta selezionata, più studenti che altro, però non ho mai
visto risse né è mai scesa la polizia a fare controlli… Il “Club” funzionava tutte le sere, e il clou si aveva il sabato sera… invece la domenica,
considerato che molti erano studenti dell’hinterland e tornavano a
casa, si rimaneva in pochi… Ricordo, come curiosità un po’ piccante,
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PIER LUIGI CHERCHI
che ogni tanto venivano due ragazzine…credo fossero di qualche
paese… e facevano uno spogliarello integrale solo per i soci, con
musiche tipo “Je t’aime, moi non plus”... la cosa si è ripetuta più volte.
Quello era il momento caldo delle serate, in genere quando il pubblico
vero e proprio era andato via… Se non ricordo male il mondo delle
cantine è scomparso agli inizi degli Anni ’70… troppe cose poi sono
cambiate dal periodo beat. Io sono andato via dopo 3-4 anni, ma è
stato un periodo fantastico, irripetibile”…
Ancora dal saggio di Carmela Piu: (…) “Un aspetto interessante sul
quale riflettere è la relazione tra il decollo del disco come prodotto di
massa e i nuovi stili di vita. Dal periodo di ripresa postbellica, la categoria sociale dei giovani inizia ad entrare nell’era dei consumi di
massa: l’abbigliamento, il ballo e la musica erano una forma distintiva
utilizzata dai giovani, modi attraverso i quali si distinguevano nella
società. Ho potuto osservare anche che la scelta del look quindi è
strettamente legata al genere musicale attraverso il quale ci si esprime,
ma che allo stesso tempo si ascolta. Questo vale non solo per il reggae,
l’hip hop o il rock, ma anche per gli altri generi musicali. L’elemento
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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importante che intendo sottolineare e che credo si possa ampliare
anche ad altri casi è che la scelta del look non è legata solo alla costruzione del personaggio dell’artista, ma attraverso il look ci si vuole
distinguere anche sul piano etnico e professionale”…
I “Boba”, storico gruppo sassarese degli Anni ’60
I “Dana”, uno tra i migliori complessi beat sassaresi
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PIER LUIGI CHERCHI
L’evoluzione musicale di un gruppo beat degli Anni ’60 si accompagnava di pari passo alla sua evoluzione antropomorfica: i capelli
diventavano sempre più lunghi, le camicie e i pantaloni sempre più
sgargianti, comparivano occhialini, medaglioni, foulards e tutto quanto
poteva servire a imitare il look dell’Equipe, dei Rokes, dei Camaleonti
e del grande Lucio Battisti. In questa evoluzione spesso si arrivava
alla divisa vera e propria, che caratterizzava alcuni gruppi della nostra
città, come i Boba, i Dana, i Falchi, gli Smeraldi e altri.
La sottocultura beat: abbigliamento tipico dei ragazzi beat negli Anni ’60
La Sassari beat del 1967 era simile a tante altre città italiane del periodo, con una gemmazione di “capelloni” (beatniks) e di nuovi fermenti culturali, come l’epoca beat richiedeva; si assisteva per le strade
ad una proliferazione di pantaloni colorati (specie jeans di velluto
leggero, aderentissimi, con colori elettrici, gialli, verdi, rossi, viola
etc.)di camicie e giacche “psichedeliche”, come lanciato dal mitico
Sergent Pepper’s dei Beatles che risale proprio a quel periodo, di occhialetti rotondi e di fermagli con scritte inneggianti alla pace, contro
la guerra nel Vietnam. Alcuni artisti beat, primo fra tutti “Green Tony”,
alias Giuseppe Fiori, il ragazzo dai capelli verdi, tingono i capelli se-
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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guendo i colori “shocking” del periodo, provocando tra i passanti
reazioni dall’ilarità alle aggressioni, non solo verbali.
Ma oltre alla rivoluzione nell’abbigliamento e nel look (barba, basette e capelli lunghi) si apriva anche nella nostra città la strada per
un’esplosione di quella che è stata
definita cultura “di strada”, con una
miriade di pittori, creatori di collage,scultori, musicisti, fotografi ed
altri che iniziavano ad esporre la
loro vena artistica instradati ed iniziati da amici che coltivavano le
stesse passioni. Girando per le
strade di Sassari era facile trovare
gruppetti di ragazzi che suonavano la chitarra ed insegnavano i primi rudimenti ad altri
amici che poi avrebbero fatto
altrettanto: stava nascendo
una mentalità artistica che purtroppo oggi appare completamente scomparsa.
I gruppi musicali beat (all’epoca denominati “complessi
beat”) nella nostra città proliferavano in maniera vertiginosa, esponenziale, grazie a
quella scuola “di strada” di cui
ho parlato prima (tutti i ragazzi
suonavano almeno uno strumento, chi non suonava sapeva comunque cantare o suonare la batteria e le per-
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PIER LUIGI CHERCHI
cussioni), tanto che era sufficiente passare la sera in qualunque vicolo
della città per sentire colpi di basso, rullate e distorsori a tutto volume.
Un articolo della Nuova Sardegna riportava in quegli anni un sondaggio nazionale in cui si dimostrava che, in rapporto al numero
degli abitanti, Verona e Sassari avevano il maggior numero di complessi in assoluto. A questo proposito i Gatti di Vicolo miracoli scrissero
proprio il pezzo “Verona beat”, descrivendo l’ambiente musicale ed
artistico di una città che si apriva alle nuove tendenze, come la nostra
Sassari, che viveva il momento più elevato di un’epoca irripetibile ed
unica.
La realtà che viveva, anche in periferia, quel periodo, era rappresentata proprio dalla centralità dell’individuo e dalla sua libertà di
espressione, anche in una dimensione spesso non reale ma distorta
dalla euforia dell’alcool o delle prime droghe: l’LSD iniziava a circolare
in frange limitate della popolazione giovanile, supportato dalle allucinazioni artistiche dei Beatles e di alcuni passi di Hair, momenti di
passaggio dalla realtà al sogno, la nascente Costa Smeralda richiamava
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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un turismo più raffinato con frequente diffusione di hashish o marijuana che arrivavano anche nella nostra città ancora come prodotti
“di nicchia” e non in maniera massificata come avverrà purtroppo
con l’eroina negli Anni ’80.
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PIER LUIGI CHERCHI
Dall’alto I Zuighes di Ittireddu,
i Fools di Siligo e i MA! di Ossi,
espressione della diffusione
della sottocultura beat negli Anni ’60
anche nell’hinterland sassarese
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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COSA È STATA PER TE L’EPOCA BEAT?
Dal libro “C’era un ragazzo che come me amava...”
… il beat è stato sorriso, fiori, colori, un mondo gioioso… i ricordi
sono di cieli azzurri e di giornate di sole, anche se anche allora c’erano
le nuvole e pioveva… Purtroppo noi eravamo meno che adolescenti,
quando è nato il beat e lo abbiamo solo sfiorato, ma la stagione dei
fiori è comunque continuata anche alla fine degli Anni ’60….. (intervista all’Autore).
… I Beatles hanno avuto il merito di “ammucchiare” i ragazzi giovanissimi, hanno creato uno spirito di corpo, dei movimenti spontanei
di aggregazione, cosa che non esisteva prima… quando si sono divisi… e non è stata una coincidenza… è stato un dramma, un disorientamento tra i giovani, una disgregazione anche delle coppie…
con la fine dei Beatles è finita un’epoca… (intervista a Benito Urgu).
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PIER LUIGI CHERCHI
… eravamo ragazzi e tutto era bello, spensierato… si poteva andare
a suonare dappertutto, senza rischi, non c’era droga, anche quella
che poteva essere chiamata delinquenza era in realtà una cosa minima… Quella era una gioventù che viveva per l’oggi e non per il domani, come purtroppo succede nei tempi attuali… (intervista a Alberto
Fiori).
… eravamo ragazzini, ci sembrava tutto bello, ma allora tutto sembrava più pulito… niente droga, molta solidarietà, amicizia… poi la
musica univa tutti e tutti erano per la musica… se non c’era un complesso qualsiasi festa, qualsiasi intrattenimento non poteva esistere…
al massimo con i dischi si ballava nelle festicciole a casa la domenica.
Un periodo storico fantastico, unico… (intervista a Marco Carta).
… un periodo meraviglioso… lontano dalla realtà. Per noi è stata
come una “vacanza” prima di entrare nel mondo del lavoro… è arrivato nel momento giusto... (intervista a Franco Bernardinelli).
… non c’è nessun periodo che si possa paragonare a quegli anni
beat… I giovani vivevano per la musica, diventavano grandi con la
musica… avevano delle speranze… oggi rischiano di diventare solo
vecchi… (intervista a Pietro Biddau).
… come ti ho detto io non mi sono mai considerato un beat, ero
un melodico e non arrivavo mai agli eccessi. Però quegli anni sono
indimenticabili, gli anni più belli della nostra vita, con una solidarietà
giovanile che oggi è impensabile, senza droga e senza politica… allora
la politica non si sapeva neanche cosa fosse… il mondo dei fiori è finito proprio con la politicizzazione dei giovani, che sono stati strumentalizzati nel loro entusiasmo di rinnovamento esistenziale… (intervista a Giuseppe Fiori).
… guarda, io ho chiuso completamente con la musica… ho ancora
il mio vecchio basso a casa, ma non l’ho più toccato da allora….ho
quasi rimosso tutto. Se penso ad allora… e questa chiacchierata mi
ha riportato a quel periodo in maniera molto diretta… lo vedo molto
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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ovattato, irreale, quasi come una fiaba… un mondo immerso in una
nebbiolina di grande nostalgia… (intervista a Renato Solinas).
… non sapevamo neanche cosa fosse la politica. Si seguiva il nostro
ideale di musica e di società libera da pregiudizi senza pensare alla
destra o alla sinistra. Eravamo tutti innamorati della musica, senza
altre distorsioni… Era un periodo straordinario proprio per quello
(intervista a Mario Cossu).
… il periodo beat lo ricordo in maniera molto piacevole, disincantata… è stata una rivoluzione in tutti i sensi. Sono d’accordo con chi
dice che il beat “ha dato le chiavi di casa ai giovani”, ha preparato
tutta una generazione di ragazzi che prima non esistevano… si passava
dalla scuola al lavoro, senza un periodo intermedio. Con il beat è
rinata la musica, l’arte, la cultura, i ragazzi sono diventati autonomi.
(…) non sono d’accordo sul fatto che il beat fosse sinonimo di qualunquismo: in realtà la politica deve molto a quel periodo che ha preparato e preceduto il 68. Forse il beat è stato proprio “l’antipasto” di
tutto quello che è avvenuto dopo, oltre alla politica anche i movimenti
hippie, i figli dei fiori, la cultura dell’on the road… Io sono entrato
nella politica, ho cantato al Festival dell’Unità, ma non per questo ho
rinnegato il beat… ad essere sinceri la fine dei complessi è stata legata
a due fattori, il primo la distinzione che è nata col tempo tra musica
d’ascolto e musica d’intrattenimento, e la seconda la disco music degli
Anni ’70 che ha trasformato i locali in “palestre”di scalmanati cancellando la musica dal vivo. (Intervista a Antonello Manca).
… il periodo beat è impossibile da dimenticare e da cancellare…
ha caratterizzato un’epoca ma ha influenzato tutto, dalla moda, all’arte,
alla cultura… Quello che dispiace è che è passato troppo velocemente:
nel ’69 è stata la fine di un’epoca… la politica ha fatto risvegliare i ragazzi da un sogno, da un mondo di fiaba. Ecco perché si continua a
parlare dei favolosi Anni ’60. Oggi si cerca di ripercorrere anche in alcuni settori, come ad eesempio la moda, quelle strade, anche se sono
anni irripetibili. Il beat ha lasciato il segno, ha modificato anche tanti
giudizi, tanti luoghi comuni: se oggi vedi un ragazzo con i capelli
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PIER LUIGI CHERCHI
lunghi certamente non lo critichi, può essere un ragazzo di buona famiglia, con un suo stile, non necessariamente un vagabondo… Il beat
era un mondo colorato, felice che non deve essere assolutamente dimenticato… una vera rivoluzione culturale. (Intervista a Roberto Di
Cola).
… è stata una vera rivoluzione, dei costumi, del modo di vivere…
si è voltato pagina… ma quello che più conta è che, mentre le metamorfosi sono lente e richiedono decenni, qui in pochi anni è cambiato
tutto… Sono d’accordo quando dici che il periodo beat dovrebbe essere insegnato a scuola come periodo storico, come le varie guerre o
i grandi cambiamenti epocali… il beat ha creato tutto un indotto di
cultura, di moda, di abitudini… Qualche mese fa sono stato a Liverpool nel tempio dei Beatles... pensa che Liverpool da città di 700.000
abitanti nel periodo in cui era uno dei pochi porti per l’America, una
volta chiuso il porto era scesa a 100.000 abitanti… Grazie ai Beatles la
città è nuovamente cresciuta ed è diventata quello che è ora… sarà
nel 2008 la capitale europea della cultura. I Beatles hanno rappresentato un volano per l’esplosione di tante espressioni culturali e commerciali… Ti dico solo che l’aeroporto si chiama Jonn Lennon… (intervista a Gianni Cocco).
… quello che mi viene in mente sono i capelli lunghi e le basette
che si allungavano… poi i pantaloni a zampa d’elefante che usavamo
sempre nelle serate… e infine il contrasto generazionale, che è nato
con il beat, con i genitori ed il mondo dei “grandi” in generale, anche
se, devo dire la verità, i miei genitori non mi hanno mai ostacolato o
creato dei problemi per la musica… certo, per altri ragazzi non è
stato proprio così… (intervista a Lelle Valle).
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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GLI ANNI ’70 E ’80
MODELLI DI CULTURA E IMMAGINI SOCIALI
Venti anni di storia sociale e culturale nei due decenni ’70 e ’80 rappresentano un modello evolutivo fondamentale per comprendere
appieno un periodo di transizione tra il dopoguerra e l’Europa degli
Anni ’90.
All’inizio degli Anni ’70 è già in atto una nuova dimensione sociale,
ereditata dalla rivoluzione degli Anni ’60, che inevitabilmente genera
uno scontro con la classe dirigente, che si ostina a tenere in scarsa
considerazione soprattutto i giovani, che dopo le conquiste maturate
nel decennio precedente, vogliono realizzarsi attraverso processi formativi più adeguati ai nuovi tempi, per rivitalizzare e ristrutturare
dall’interno le istituzioni pubbliche.
Gli Anni ’70 rappresentano una codificazione delle spinte innovative
emerse negli anni della contestazione, e la scuola è la prima istituzione
ad essere interessata da questo vento di riforme la cui parola d’ordine
è “Cambiamento”. I Decreti Delegati consolidano questa idea di apertura della scuola ad una partecipazione gestionale e culturale esterna,
anche se molti problemi non vengono di fatto risolti attraverso la democratizzazione dell’insegnamento, in particolare il rapporto formazione scolastica-mondo del lavoro ed orientamento universitario,
problema vivo ancora oggi.
Gli Anni ’70 quindi si aprono con l’eco degli avvenimenti che hanno
influenzato la fine degli Anni ’60, la guerra in Vietnam, Che Guevara,
il “Maggio francese”, la “Primavera” di Praga, la battaglia di “Valle
Giulia”, Piazza Fontana; ma, a differenza degli Anni ’60, accanto a milioni di operai scendono in piazza anche gli impiegati, il ceto medio,
e persino i tecnici ed i professionisti. L’”autunno caldo” esplode in
una protesta “globale”, che interessa anche gruppi sociali estranei alle
lotte degli Anni ’60, verso una società ed un sistema che devono modificare le linee di tendenza.
A differenza delle lotte studentesche degli Anni ’60, i primi Anni ’70
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PIER LUIGI CHERCHI
abbandonano la strada del collettivismo per dar vita ad una serie di
piccoli gruppi derivanti da nuovi fermenti culturali, che si rifanno
alla Scuola di Francoforte, con Horkheimer, Adorno e Marcuse, emigrati dalla Germania negli Stati Uniti, e i cui saggi, che costituiscono
una critica radicale alla società industriale moderna, specie americana,
e una spinta ad un impegno politico-sociale a favore dei popoli del
terzo mondo e degli emarginati, vengono scoperti, tradotti e diffusi.
Primo fra tutti, indiscutibile punto di riferimento per i giovani dei
primi Anni ’70, fu sicuramente, il filosofo e scrittore tedesco Herbert
Marcuse, che proprio negli Stati Uniti scrisse le sue due opere più rappresentative “Triebstruktur und Gesellschaft” del 1955, e soprattutto
“Der eindimensionale mensch” (L’uomo a una dimensione), del 1964.
“Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non libertà
prevale nella civiltà industriale avanzata, segno del progresso tecnico”:
erano queste le parole che aprivano l’opera forse più famosa del filosofo tedesco.
Nell’analisi della società moderna da egli operata, che si dipanava
all’interno del libro, il pessimismo era decisamente il dato più rilevante;
secondo Marcuse, infatti, il modello sociale moderno aveva portato
l’individuo a ridurre la propria esistenza al puro e semplice bisogno
di produrre e consumare, senza possibilità di resistenza.
L’uomo a una dimensione conteneva quindi una denuncia del carattere fondamentalmente repressivo della società industriale avanzata,
che appiattiva l’uomo alla dimensione di consumatore, la cui libertà
era solo quella di poter scegliere tra prodotti diversi; per lui non esisteva
più differenza tra ciò che era e ciò che doveva essere, per cui al di
fuori del sistema in cui viveva non c’erano altri possibili modi di essere.
Un’altra considerazione fatta da Marcuse, che lo rese celebre presso
gli studenti di quegli anni riguardava la grande importanza da lui attribuita al potere dell’immaginazione: poiché la ragione non era in
grado di opporsi al sistema, l’immaginazione rimaneva l’unico strumento capace di comprendere le cose esattamente per quelle che
erano, e di portare quindi ad una liberazione.
Si capisce quindi bene perché questo testo, ricco di considerazioni
«antistituzionali», fece breccia negli animi rivoluzionari dei giovani di
allora: il suo pensiero intimamente anti-autoritario rispecchiava esat-
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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tamente la volontà di cambiamento radicale che animava la protesta
dei giovani in tutto il mondo occidentale. Se da una parte questa
sorta di postulato anarchico ha avuto il merito di determinare proposte
innovative, peraltro ha portato in Italia a conseguenze negative, nella
forma di violenza alle Istituzioni come la “P 38” e la lotta armata allo
Stato delle “Brigate Rosse”.
Gli Anni ’70, in particolare il periodo che intercorre dalla metà
degli Anni ’70 all’inizio degli Anni ’80 vengono etichettati proprio come
“Anni di piombo”; l’anno della svolta violenta, quello che caratterizza
il periodo, è probabilmente il 1977, anno in cui, «divampò la generalizzazione quotidiana di un conflitto politico e culturale che si ramificò
in tutti i luoghi del sociale, esemplificando lo scontro che percorse
tutti gli anni settanta, uno scontro duro, forse il più duro, tra le classi
e dentro la classe, che si sia mai verificato dall’unità d’Italia. Quarantamila denunciati, quindicimila arrestati, quattromila condannati a
migliaia di anni di galera, e poi morti e feriti, a centinaia, da entrambe
le parti». (Primo Moroni e Nanni Balestrini, L’orda d’oro, Milano, SugarCo Edizioni, 1988). Durante gli anni di piombo traspare peraltro
molta indulgenza verso il terrorismo di sinistra, con noti terroristiche
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PIER LUIGI CHERCHI
entrano tranquillamente alla mensa della Marelli sedendosi – ammirati
– al tavolo delle impiegate; in alcune scuole medie superiori e nelle
Università le loro azioni ricevono applausi, mentre nei cortei si grida
«Basta coi parolai, armi agli operai». Il 16 marzo 1978 gli anni di piombo
raggiungono il loro epicentro, con l’agguato di via Fani a Roma, lo
sterminio della scorta, il sequestro e il successivo assassinio dell’allora
presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, consumato il 9
maggio 1978 da un commando delle Brigate Rosse, che definirono
l’azione come «attacco al cuore dello Stato».
Lentamente verso il finire del decennio gli episodi di violenza cominciano a scemare, e in particolare crolla alla base il sostegno alle
Brigate Rosse dopo l’assassinio nel 1979 dell’operaio Guido Rossa che
aveva denunciato un suo collega sorpreso a distribuire materiale di
propaganda delle BR. L’opinione che la lotta armata potesse portare
al cambiamento dell’assetto costituzionale dello Stato cessa di colpo.
Lo scrittore Bifo Berardi, già esponente della sinistra extraparlamentare, ha affermato: «Alla fine del decennio settanta ogni comportamento anti-lavorista venne colpevolizzato, criminalizzato e rimosso,
Corteo di femministe a Sassari
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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Corteo di femministe a Sassari
[...] il realismo del capitale riprendeva il posto di comando, con il
trionfo delle politiche neo-liberiste. Iniziava la controffensiva capitalistica, la vita sociale veniva nuovamente sottomessa alla produttività,
la competizione economica veniva santificata come unico criterio di
progresso.
Ma, in mezzo alla estremizzazione della dialettica politica, alle violenze di piazza, all’attuazione della lotta armata e degli atti di terrorismo, alla revisione culturale di questo ventennio contribuiscono fenomeni emergenti di massificazione, quali il mercato dell’industria
culturale (biblioteche in ogni comune, in ogni scuola, edicole di giornali più diffuse, editoria di massa, pur restando con indici di lettura
molto bassi) e la diffusione dei mass-media, anche con la nascita delle
nuove forme di comunicazione come le “Radio pirata” e le prime TV
“private” che hanno il merito di aprire gli orizzonti dell’informazione
al di fuori del monopolio nazionale.
Nel contempo, in quest’epoca di pseudo rinnovamento, le Regioni,
i Comuni, la Province promuovono una serie di iniziative, dal teatro
in piazza, ai concerti negli stadi ed ai Festival di musica jazz delle
“Estati culturali”, sino a mostre d’ogni genere, a programmazioni di
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PIER LUIGI CHERCHI
Corteo di femministe a Sassari
film d’autore (Cineforum con dibattiti anche accesi) ed ai revival della
cultura locale-tradizionale, con la riscoperta delle origini e delle proprie
tradizioni. L’allargamento delle fonti culturali porta alla nascita di cooperative teatrali, di gruppi di animazione, di cooperative di arti visive,
spesso gestiti e programmati in modo selvaggio, con incentivi economici più legati alla filiera elettorale che ad una crescita culturale reale.
La strage della stazione di Bologna del 2 agosto 1980 sarà il punto
di svolta sull’uscita dagli Anni ’70, con la fine della strategia della tensione. Le nuove generazioni, cresciute a pane e telefilm americani
saranno occupate più a ballare che a pensare, in un impeto di disimpegno politico e sociale. Le piazze rimarranno vuote perché I nuovi
comportamenti sociali andranno verso un ritorno al privato in luogo
di un confronto collettivo. La consapevolezza della fine della fase rivoluzionaria sconforta le generazioni sessantottine che vedono un
cambiamento radicale della società molto repentino, con il “riflusso”,
fenomeno sociale caratterizzato da comportamenti collettivi, a livello
giovanile, che teorizzano il rifiuto ad una qualsiasi forma di “impegno”,
sia politico in primo luogo, ma anche culturale, con la riconquista
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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della vita quotidiana ed i suoi valori. I giovani, che erano stati la molla
rivoluzionaria degli Anni ’60-’70, più che gli adulti, sono il vero target
del consumismo di quei primi Anni ’80, che controlla le mode, orienta
i comportamenti, plasma i gusti, creando di fatto un processo formativo che la famiglia e la scuola non riescono a controllare, attraverso
la creazione di nuovi miti e di nuove tendenze diffusi dai media (giornali, cinema, stampa, televisione), basati sulla provvisorietà e l’effimero.
In particolare la pubblicità cavalca questi fenomeni giovanili, portando sul mercato una serie di modelli da imitare per essere “al passo
coi tempi”. Emblematica, a questo proposito è la figura nel cinema,
agli inizi degli Anni ’80, di una giovanissima diva, definita dalla critica
una “star del riflusso”, Sophie Marceau, protagonista di “Il tempo delle
mele”, uno spaccato della gioventù adolescenziale francese che ha
scordato le battaglie del Maggio di ormai lontana memoria, e cammina
su un percorso di abiti griffati, di nuove tendenze consumistiche, di
“walkman” ascoltati in discoteca per creare quasi un mondo “parallelo”
espressione della nuova individualità giovanile dopo il collettivismo
degli Anni ’70.
Questi nuovi divi (nella scena musicale internazionale Duran Duran, Madonna, in Italia Vasco Rossi, Zucchero etc.) rappresentano
una nuova categoria, che ha la stessa età dei fans e perciò è più identificabile come modello di proiezione e di comportamento personale.
I divi televisivi e della musica rock si trasformano così in modelli di
“self stabilisation”, in conflitto con i circuiti educativi classici rappresentati dagli insegnanti e dai genitori. I ragazzi italiani si formano con
le trasmissioni TV di Canale 5, come “Drive in ”, “DJ television”, “Colpo
grosso”, dove trovano spazio modelli di sottocultura metropolitana
come i paninari o nuovi modelli di donna/oggetto come le nuove
maggiorate (le “Fast Food”) o le ragazze “Cin Cin” di Umberto Smaila,
che cancellano di colpo con le loro generose forme ben esposte tutte
le lotte del femminismo degli Anni ’70 .
Trasferito nei network privati Mike Buongiorno continua nel suo
ruolo di tuttologo formato famiglia, esprimendo in maniera quasi informale, da grande maestro della comunicazione, le sue opinioni
sulla società contemporanea, capaci di influenzare una grande parte
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PIER LUIGI CHERCHI
del pubblico, così come Costanzo, Minà e Arbore, che creano nuovi
modelli di programmazione televisiva sempre poco impegnati e per
lo più basati su modelli importati da oltreoceano, di grande presa sul
pubblico, che trasformano i telespettatori in viventi ripetitori di pubblicità, spinti a scegliere tra popolarità e indici di gradimento, tra successo di pubblico e successo commerciale.
Il 1984, proclama il settimanale Newsweek, rappresenta in America
l’anno della nascita del fenomeno “yuppies” “young urban professional”, cioè giovane professionista urbano, corrispondente al seguente
quadro: laureato, tra i 25 e i 39 anni, danaroso, egocentrico, arrivista,
freneticamente attivo, ossessionato dalla cura del proprio corpo e
del proprio aspetto, seguace di tutte le mode del momento, dal personal computer al “sushi” (piatto giapponese a base di pesce crudo, e
carne, coloratissimo grazie a strane salsine). Gli “yuppies” sbarcano
anche in Italia, con le pubblicità televisive che mostrano costosissime
macchine con telefono incorporato (lo status symbol in quegli anni
sono la Volvo 740-760 e la Lancia Thema che incarnano l’edonismo
più esagerato con le loro dimensioni più vicine alle macchine americane che a quelle europee), abiti e scarpe sempre più raffinati, ristoranti esclusivi, carte di credito dorate, ostentazione della ricchezza e
del denaro in una società che beve Glen Grant per dimenticare le tragedie politiche e sociali degli Anni ’70. Lo yuppie italiano Anni Ottanta
abita in appartamenti esclusivi arredati con poltrone e divani di pelle
bianco e nero con dettagli di acciaio cromato, con in cucina il forno
a microonde, ultima novità tecnologica, e il compact disc, indispensabile oggetto da sfoggiare (le cassette erano ormai archeologiche
per la loro filosofia), nonché il videoregistratore con il timer per registrare programmi a distanza. Per molti critici ancora legati alle ideologie degli Anni ’60-’70, “yuppie” diventa “sinonimo di valori gretti,
assoluta mancanza d’ideali, e forse anche di idee. Insomma, un marchio di cui vergognarsi.”
La seconda metà degli Anni ’80 rappresenta la svolta dell’edonismo,
della voglia di affermarsi e di apparire a tutti i costi, dando più importanza all’apparenza che alla sostanza, secondo la cultura, o “sottocultura” yuppie . Cresce il progresso in campo tecnologico, nascono e si
diffondono i primi computer, e la competizione tra i media televisivi.
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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Nascono le “donne in carriera” come postulato dal bel film di Mike
Nichols, e la competizione diventa un elemento dominante soprattutto
nel mondo del lavoro. La donna manager, sempre più bella, efficiente
ed elegante diventa il modello dell’universo femminile degli Anni ’80.
Cadono i “muri” del comunismo da Berlino alla Perestroika della Russia di Gorbaciov, il consumismo è sempre più accelerato e frenetico
con la diffusione a largo raggio della grande distribuzione; i prezzi
salgono alle stelle con un’inflazione che arriva al 15-18% annuo. Sono
gli anni dell’opulenza, del vivere molto al di sopra dei propri mezzi,
in una ricchezza fondata su basi effimere: la svalutazione della lira attraverso la stampa di enormi quantità di moneta ed un abnorme incremento del debito pubblico.
Sono gli anni del trionfo del liberismo e dell’“individualismo proprietario” in tutto l’Occidente, dove si afferma la formula “meno Stato
più mercato”, fino a che, verso la fine degli Anni ’80 scoppia la cosiddetta “bolla economica”, a partire dal “lunedì nero di Wall Street dell’ottobre 1987, che provoca un periodo di deflazione e stagnazione
dell’economia che avrà il suo epicentro nei due decenni successivi.
Se il cinema rappresenta lo specchio della società, in particolare di
quella italiana, possiamo confrontare questi due mondi, l’Italia “devastata” del 1977 e quella “edonistica e liberale” del 1986 attraverso due
film, il primo “Porci con le ali”, che ho rivisto di recente nel mio piccolo
cineforum personale, di Paolo Pietrangeli, tratto dal romanzo omonimo di Lidia Ravera e Marco Lombardo, interpretato da due giovanissimi esordienti, Franco Bianchi e Cristiana Mancinelli che, per nostra
fortuna, si sono fermati a quella esperienza cinematografica, e “Yuppies” del 1986, di Carlo Vanzina, con i soliti Greggio, Boldi, Calà e De
Sica. Guardare uno dopo l’altro questi due films è come vedere due
mondi, uno distrutto come un post-nucleare, con una società di giovani
vestiti come pezzenti che ripetono all’infinito slogan deliranti, in aule
sporche con i muri imbrattati di scritte rosse, e fuori barricate, vetrine
sfondate, saccheggi, gente chiusa in casa, ammalata di terrore e rassegnazione, e l’altro con una società sorridente, con begli abiti, bellissime
macchine, vetrine illuminate e gente che passeggia per le strade delle
grandi città in un mondo completamente cambiato, felice di vivere.
Nella sua memorabile “Bandiera Bianca” (LP “La voce del padrone”,
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PIER LUIGI CHERCHI
1982), Franco Battiato offre, con la sua straordinaria ironia, uno spaccato della società del Riflusso analizzando in maniera molto semplicistica la sconfitta delle rivoluzioni culturali e politiche degli Anni ’60’70, partendo dalle canzoni di protesta di Bob Dylan (“Mister
Tamburino”, “I tempi stanno per cambiare”), ormai inutili in un mondo
troppo cambiato per dei giovani ancora intrisi di nostalgia per il ventennio passato (“siamo figli delle stelle”), ma ormai proiettati verso
“sua maestà il denaro” in “quest’epoca di pazzi” e di “immondizie musicali”. I trentenni ed i quarantenni coetanei del cantante, nostalgici
di ideologie politiche ormai abbandonate, non possono, di fronte a
questa ondata di cambiamento radicale, di “abusi di potere”, di “programmi demenziali” che alzare “bandiera bianca”, concludendo in
inglese “amico mio, mio solo amico, questa è la fine…”.
Ma la maggioranza dei giovani non è di questo avviso, e, anziché
la fine, il mondo dorato degli Anni ’80 è solo l’inizio di una nuova era,
dopo “L’era del cinghiale bianco” dello stesso Franco Battiato.
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BANDIERA BIANCA Franco Battiato (1982)
Mr. Tamburino non ho voglia di scherzare
rimettiamoci la maglia i tempi stanno per cambiare
siamo figli delle stelle e pronipoti di sua maestà il denaro.
Per fortuna il mio razzismo non mi fa guardare
quei programmi demenziali con tribune elettorali
e avete voglia di mettervi profumi e deodoranti
siete come sabbie mobili tirate giù uh uh uh.
C’è chi si mette degli occhiali da sole
per avere più carisma e sintomatico mistero
uh com’è difficile restare padre quando i figli crescono e le mamme imbiancano.
Quante squallide figure che attraversano il paese
com’è misera la vita negli abusi di potere.
Sul ponte sventola bandiera bianca
sul ponte sventola bandiera bianca
sul ponte sventola bandiera bianca
sul ponte sventola bandiera bianca.
A Beethoven e Sinatra preferisco l’ insalata
a Vivaldi l’uva passa che mi dà più calorie
uh! com’è difficile restare calmi e indifferenti
mentre tutti intorno fanno rumore
in quest’epoca di pazzi ci mancavano gli idioti dell’orrore.
Ho sentito degli spari in una via del centro
quante stupide galline che si azzuffano per niente
minima immoralia
minima immoralia
e sommersi soprattutto da immondizie musicali.
Sul ponte sventola bandiera bianca…
minima immoralia...
The end
my only friend this is the end
sul ponte ecc.
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JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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SASSARI NEL PASSAGGIO FRA GLI ANNI ’70 E ’80
La Sassari della seconda metà degli Anni ’70, nel pieno degli “anni di
piombo” si presenta come una città più tranquilla rispetto alle metropoli del continente, devastate dalle lotte politiche tra fazioni opposte,
dai sequestri, dalle rapine per finanziare la lotta armata, dalle “spese”
proletarie, dagli attentati e omicidi, dalle bombe nelle piazze e nei
treni. Il terrore che si respira nelle grandi città, amplificato dai mezzi
di informazione che ogni giorno fanno la conta delle stragi e delle
violenze di piazza, è al minimo nella nostra città dove gli estremismi
politici sono abbastanza controllati, aldilà dei tumultuosi comizi di
Giorgio Almirante in Piazza d’Italia che richiamano una grande
folla di contestatori e di forze armate in assetto anti-sommossa.
In questo scenario si inseriscono dei modelli di sottocultura
metropolitani, simili a quelli descritti sulle scalinate di Trinità dei
Monti a Roma negli Anni ’60 o in
prossimità di altri monumenti in
altre città italiane.
Sono i Monumenteros, giovani trasandati, vestiti in maniera “hippie”, con zoccoloni e
jeans sdruciti, che, seduti ai piedi
del monumento a Vittorio Emanuele II in Piazza d’Italia, accompagnandosi con le loro chitarre
e bonghetti, intonavano canzoni
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PIER LUIGI CHERCHI
rivoluzionarie o più semplicemente brani popolari che si rifacevano
comunque ad un certo contenuto sociale. Il termine nacque in maniera spontanea, accostato dai perbenisti de La Nuova Sardegna ai
Montoneros i guerriglieri di uruguaiana memoria. I Monumenteros,
deriva pacifista dei movimenti degli Anni ’60, un misto di “figli dei
fiori”, “indiani metropolitani”, “femminismo” e “tardo-beat”, in realtà
non davano fastidio a nessuno, chiusi nel loro mondo di spiritualità
e contestazione verso la società, ma la gente non li vedeva di buon
occhio, per i “cannoni” che circolavano in maniera poco velata e
anche per quelle bottiglie di birra vuote e quelle lattine che restavano
come testimonianza della loro permanenza tra chitarre e flauti. Col
tempo questo degrado spingerà le autorità a recintare il monumento
impedendo in maniera forzata la sosta sotto la statua regale.
Uno dei Monumenteros di piazza d’Italia a Sassari della metà degli
Anni ’70, noto con il nomignolo di CK, era Mario Chessa, nato a Ittiri,
trasferitosi a Bologna, nel 1977 per iscriversi al Dams, un corso di
laurea nato in quella tradizione democratica ben radicata nella città
che Pasolini definiva «comunista e consumista». Faceva parte di Lotta
Continua e anche a Bologna si ritagliò un posto in prima fila nel movimento dei ragazzi del ’77, anno della nuova esplosione dei movimenti
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I Sanbabilini nel film di Lizzani
rivoluzionari, con il volto dipinto da indiano metropolitano. Oggi Mario si chiama
Dom Ildefonso Chessa, è monaco olivetano (dove «dom» distingue i benedettini dal clero
secolare, i cui sacerdoti usano
invece il titolo «don»). Non rinnega nulla del passato, al contrario. Il suo percorso religioso
è iniziato vent’anni fa ma è culminato nel 2005 quando ha
preso i voti ed è entrato a far
parte dei monaci dell’abbazia
di Santo Stefano, una delle
chiese più antiche di Bologna.
In quegli Anni ’70, ai Monumenteros di Piazza d’Italia, da
sempre feudo dei ragazzi di si-
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PIER LUIGI CHERCHI
nistra, si contrapponevano i ragazzi di destra, sempre vestiti in maniera elegante con stivaletti a punta, Ray Ban, giubbotti di renna o
giacche e camicie attillate, golfo alla dolce vita o pullover sulle
spalle, che stazionavano in due Bar della via Roma, specie nella
parte alta, “da Silvio”, evitando di invadere il territorio nemico.
Questi ragazzi erano i cloni dei Sanbabilini della Milano bene, occupanti un’area meneghina, quella appunto di Piazza San Babila
che rappresentava un territorio minato per gli antagonisti di sinistra.
I Sanbabilini rappresentano, nel momento storico considerato, un
modello di sottocultura metropolitana con ragazzi ben tipizzati anche dal punto di vista visivo, stazionanti in bar assolutamente identificabili dal punto di vista del colore politico (come il Motta a Milano
così il Caffè Silvio a Sassari). Piazza San Babila rappresentava l’avam-
Ray Ban, golfi alla dolce vita, camicie attillate, catene d’oro, capelli
corti e visi sbarbati: il look dei ragazzi di destra
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Piazza d’Italia nel restailing Anni 2000
Viale Italia, Piazza Marconi e il Liceo Scientifico quando c’era il distributore
posto della destra estrema. Spesso gli iscritti del Movimento Sociale
Italiano chiedevano l’aiuto dei Sanbabilini per il servizio d’ordine e
per l’affissione dei manifesti durante le campagne elettorali.
Carlo Lizzani, nel 1976, realizza un bellissimo film “San Babila
ore 20. Un delitto inutile”, liberamente ispirato all’omicidio della
sedicenne Olga Julia Calzoni, studentessa del liceo Volta, il 26 marzo
1976, ad opera di Giorgio Invernizzi e Fabrizio De Michelis, due giovani sanbabilini in un’intervista lo stesso regista dichiara: «Sono arrivati a Milano i delitti freddi, glaciali, incomprensibili. L’alta borghesia milanese ha responsabilità sociali gravissime».
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L’Emiciclo Garibaldi negli Anni ’70
Piazza d’Italia ai tempi dei Monumenteros
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Lo splendido accesso Art Deco della Scuola Elementare San Giuseppe, testimonianza architettonica del ventennio fascista
La squadra di pallavolo della Silvio Pellico negli Anni ’70 : si riconoscono Giampiero
Galleri, Carlo Lodde, Mario Coni, Emilio Vaccaneo, Mario Deriu, Giampaolo Galleri,
Ciccio Rubattu, Gianni Noli e Ruggero Lifrieri
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L’ex Caserma Ciancilla a Sassari: altro gioiello Art Deco trascurato e mai valorizzato. L’edificio più antico era nato nel 1936 come Caserma della Milizia
Volontaria di Sicurezza Nazionale (altrimenti nota come “Milizia Fascista”),
intitolata a Damiano Ciancilla
Un’altra veduta della costruzione del periodo del Littorio
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
Il Palazzo di Giustizia di Sassari: imponente costruzione monumentale
degli Anni ’30, altro capolavoro architettonico del periodo del Littorio. All’interno del Palazzo si segnalano per pregio artistico il mosaico di Giuseppe
Biasi, sito lungo la scalea centrale, raffigurante la Pace e la Giustizia, e,
nell’aula della Corte d’Assise, i bassorilievi in trachite di Eugenio Tavolara
e Gavino Tilocca
La Fontana di san Francesco tra l’Università e il Liceo Azuni: crocevia per
la grande maggioranza degli studenti sassaresi degli Anni ’70
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PIER LUIGI CHERCHI
A parte questi estremismi politici esisteva a Sassari tutta un’area
moderata, spesso etichettata come “qualunquista”, occupata, dopo
le ore dedicate allo studio o al lavoro, a fare le “vasche” in Piazza
d’Italia e Via Roma fin su al Tribunale solo per incontrare ragazze e
cercare un approccio dopo una miriade di sguardi e sorrisi. Questo
passeggiare avanti e indietro era un rito collettivo della Sassari di allora, non riservato solamente ai giovani, ma anche ai professionisti
(che preferivano l’angolo dei Portici Crispo), agli intellettuali di una
certa età, agli impiegati, alla gente comune che aveva comunque superato i trentanni.
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RADIO LIBERE E CONTROCULTURA
In Italia prima degli Anni ’70 esisteva in tutto il territorio nazionale
solo il Monopolio RAI, un unico soggetto capace di creare programmi,
trasmettere giornali radio, telegiornali e notizie di cronaca senza che
gli utenti fossero minimamente a conoscenza delle fonti e delle origini
di quelle notizie su cui venivano confezionati gli approfondimenti. In
questo panorama, desolante per l’informazione, nacquero a Sassari
le prime radio libere, come Radio Holiday e Radio Sassari Centrale
insieme a Tele Sassari del grande Benito Castangia (oggi “Bencast”).
«Qui Radio Bologna per un’informazione democratica»: ecco l’annuncio della prima radio libera in Italia il 23 novembre 1974. Un palinsesto inventato lì per lì, ma deciso già in linea di massima prima di
partire, con una declinazione tutta pubblica e d’interesse generale.
«Avevamo paura che in vacanza della legge ci impedissero di andare
avanti», ricorda il regista Roberto Faenza. «La scelta cadde sulla radio
perché eravamo convinti che fosse il mezzo di comunicazione più
potente, quello che raggiunge più persone e si ascolta in ogni momento, senza impegno». Ne è convinto anche Rino Maenza: «Per fare
comunicazione e cultura la radio è il mezzo più versatile e incisivo,
con un’elasticità che gli altri non hanno. È quella che meglio ti consente di penetrare nella società. Risulta anche oggi, con l’audience in
crescita costante. Bei tempi, allora. Bastava un’antennina, e con mezzo
watt coprivo quasi tutta la provincia di Bologna», Così, da quella roulotte bianca nella vecchia fattoria sul colle dell’Osservanza, si andò in
onda «senza chiedere il permesso» (era il titolo di un manuale di
Faenza che in quel 1974 fece clamore). Un radioamatore di Treviso
aveva messo a disposizione il trasmettitore militare che il tecnico
mago Salerno taroccò ritoccando le frequenze. Non solo comizi e
quartieri, ma anche buona musica, jazz raffinato e John Cage. Ospiti
prestigiosi come Livio Zanetti, allora direttore dell’Espresso, che in-
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PIER LUIGI CHERCHI
tervenivano; il sindaco Zangheri disponibile a mandare in onda i suoi
interventi. Insomma, l’accoglienza fu buona e non solo a Bologna.
Stipati in dieci nella roulotte, magari facendo confusione con i nastri
e rovesciandosi addosso il caffè bollente durante la diretta. Mentre
all’esterno, dentro una jeep anonima con un’antenna di cinque metri
sul tetto, due sconosciuti registravano tutto. Il Grande Orecchio della
Rai? Faenza spiega che le loro trasmissioni furono riversate sui canali
di servizio dell’ente. E Ettore Bernabei, il direttore di allora, organizzò
a Roma un gruppo di ascolto e un meeting sul fenomeno bolognese.
Pare che ripetesse: «Ma chi sono questi?».
Articolo tratto dal Quotidiano Il Resto Del Carlino, Bologna spettacoli,
Sabato 22 novembre 2014
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
Articolo tratto da: Millecanali, Anno II, n. 4-5, Aprile-Maggio 1975
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PIER LUIGI CHERCHI
LE RADIO “PIRATA”
(da La Nuova Sardegna 14 settembre 1975)
«Da oggi in funzione Radio Nord Ovest» era il titolo di un trafiletto
sulla «Nuova Sardegna» del 14 settembre 1975: «Oggi entrerà in funzione la prima emittente libera per la zona di Sassari e paesi limitrofi.
L’emittente trasmetterà sulla frequenza dei 98 mhz - modulazione di
frequenza».
Quelli che l’articolo definiva «organizzatori» (Bruno Pallavisini, Cosimo Filigheddu, Pierpaolo Erre, Salvatore Pintore, Vito Tilocca,
Checco e Gigi Bua) in pochi mesi trasformarono l’emittente in Radio
Sassari Centrale, con sede in via Canopolo 24: indirizzo che fu luogo
obbligato di passaggio, lavoro, dibattito, passione ed elaborazione
politica di decine di giovani sassaresi i quali avrebbero collaborato
per un paio d’anni – fino alla cessazione delle trasmissioni, nel maggio
1978 – con la prima «radio libera» cittadina. Cosi come avveniva a
Cagliari dalla primavera precedente con Radiolina, e contemporaneamente in tutte le realtà urbane del Paese.
In realtà all’inizio il fenomeno venne etichettato come quello delle
«radio pirata», perché le emittenti eludevano la legge che fissava rigidamente le frequenze, controllate dalla Polizia postale. Poi quelle
radio sarebbero diventate «private» e infine «commerciali», e in questa
parabola lessicale c’è tutta l’evoluzione e il declino di un mondo che
film come Radio Freccia di Luciano Ligabue o Lavorare con lentezza
di Guido Chiesa hanno evocato con rispetto e un po’ di nostalgia.
Quella stagione di quarant’anni fa pare davvero di un altro secolo.
In quel 1975 il pianeta Terra supera la soglia dei 4 miliardi di abitanti,
un operaio della Fiat deve affrontare con uno stipendio di 154 mila
lire un’inflazione al 19 per cento e per comprare un quotidiano servono 150 lire. Al bar una tazzina di caffè costa 120 lire, la benzina è a
305 lire al litro e il latte a 260.
Il decennio del «boom», dal 1955 al 1965, ha insegnato agli italiani
a spendere, fare le vacanze, consumare e produrre in maniera nuova.
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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Una nuova classe si è presentata sullo scenario sociale, non più legata
alla divisione del lavoro ma al consumo: per i giovani si fabbricano
musica leggera, moda, accessori e motorini, ma le inquietudini e gli
ideali di quei ragazzi diventano anche consapevolezza politica. Per la
prima volta, alle amministrative di giugno, hanno votato i diciottenni,
decisivi per determinare una svolta storica: la Democrazia Cristiana
arretra di oltre tre punti rispetto alle politiche del 1972, e il Partito Comunista raggiunge il 33 per cento dei voti, con un’avanzata anche del
Psi. Il più grande successo della sinistra del dopoguerra porta il Pci a
essere il primo partito nelle grandi città. Anche a Sassari tira la stessa
aria: sindaco è il socialista Fausto Fadda, presidente della provincia il
comunista Giommaria Cherchi.
Politica e musica sono le grandi passioni giovanili, anche a Sassari.
Al Teatro Verdi, a febbraio, si è esibito Francesco De Gregori; poi a
maggio, sempre al «Verdi», Francesco Guccini e l’11 in piazza d’Italia
un grande concerto gratuito della Premiata Forneria Marconi.
In tv la puntata conclusiva di quella che sarebbe stata l’ultima edizione di Canzonissima sancisce il 6 gennaio 1975 nella sezione folk la
vittoria de «Lu maritiello» di Tony Santagata, che sconfigge la mistica
e rassicurante versione del «Deus ti salvet Maria» cantata da Maria
Carta. La delusione dei sardi diverrà irritazione per il successo nazionale e poi planetario di «Padre padrone» di Gavino Ledda. Come dire:
ecco, per il mondo esistiamo non per le nostra identità ma per le
botte che prendiamo dallo scontro con la modernità. Ma tanti sardi
prendono coscienza della propria storia, e di come il teatro possa
raccontarla: nelle piazze del circuito Arci spopola «Su connottu» di
Romano Ruju messo in scena dalla Cooperativa Teatro di Sardegna.
La musica che «passa» sui canali radio Rai e Radio Montecarlo è quella
da hit parade («Sabato pomeriggio» di Claudio Baglioni, «Amore grande
amore libero» del Guardiano del Faro), ma il 1975 è anche l’anno dei
«cantautori»: De Gregori pubblica «Rimmel» e collabora al «Volume
8» di Fabrizio De Andrè, Edoardo Bennato incide «Io che non sono
l’imperatore», Lucio Dalla «Anidride Solforosa», Antonello Venditti
sfonda con «Lilly», Claudio Lolli canta le «Canzoni di rabbia». Questi
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PIER LUIGI CHERCHI
artisti, per quanto sorretti dall’industria discografica, stentano a trovare
canali di diffusione. I programmi Rai «Alto gradimento», «Per voi giovani» e «Supersonic» hanno comunque negli anni precedenti formato
un gusto alternativo, e stimolano a trovare o stabilire altri modi di
comunicazione.
Spazio che viene riempito dall’irruzione delle radio pirata. L’inno,
il manifesto del fenomeno lo sta scrivendo un ventitreenne di Milano,
Eugenio Finardi: «Amo la radio perché arriva dalla gente / entra nelle
case e / ci parla direttamente / se una radio è libera / ma libera veramente / mi piace anche di più / perché libera la mente».
È anzitutto la tecnologia che permette di «liberare la mente»: la Citizen Band, banda cittadina, trasmettitori radio a bassa potenza diffusi
tra i radioamatori. Completano l’hardware un’antenna, un amplificatore, un paio di microfoni e un giradischi. Poi dischi, giornali dai quali
recuperare notizie e un gruppo di persone che abbiano tempo, passioni musicali e coscienza politica. Altro elemento imprescindibile è
il telefono: gli ascoltatori intervengono in diretta, sia per alimentare i
dibattiti su mille temi locali o nazionali, e sia per sfruttare la magica
opportunità delle «dediche» musicali.
L’immediata conseguenza della facilità di intrapresa e della diffusione delle emittenti (tra il 1975 e il 1976 passano da poche decine a
oltre seicento in tutto il territorio nazionale) è quella del consolidarsi
di una cultura comune. Anzi, come si diceva allora, di una «controcultura»: i palinsesti, i brani musicali, le modalità di intervento nel dibattito su cronache locali e nazionali sono molto simili da Milano a
Palermo. Sente di «fare la radio» non solo chi parla nei microfoni ma
anche chi la ascolta: il modo più a portata di mano per praticare via
etere quella stessa democrazia «assaggiata» nelle assemblee studentesche e operaie. La musica diventa repertorio linguistico, formalizzazione condivisa di codici di comunicazione. Di ciò la radio si fa veicolo ma anche modello: caso esemplare del medium come messaggio
teorizzato da Marshall McLuhan.
Nel veloce dissolversi di tali dinamiche, deluse anche dal modo in
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cui la sinistra istituzionale gestisce la vittoria elettorale, sta anche
l’esaurirsi della vitalità di quelle emittenti, più del mancato «salto» imprenditoriale che solo alcune di esse sono riuscite a fare. La parabola
delle radio libere è la stessa dei movimenti giovanili e delle utopie
degli anni Sessanta e Settanta, per la vulgata odierna preambolo naturale dell’esplodere delle violenze di piazza e del terrorismo rosso
degli anni di piombo.
Certo è che poi sono seguiti anni di plastica e cialtroni, quegli Anni
’80 segnati simbolicamente da una data, il primo agosto del 1981:
allora MTV iniziò le proprie trasmissioni con il videoclip della canzone
dei Buggles «Video killed the radio star», e per molti quella è la metafora
– particolarmente adatta al caso italiano – che meglio inquadra l’«assassinio» delle radio libere da parte della tv commerciale.
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PIER LUIGI CHERCHI
LA PRIMA RADIO LIBERA
Pillole di Pasquale Porcu
La prima radio libera a Sassari ha cominciato a trasmettere il 14
settembre 1975 da una casa in costruzione nella zona di Monte Oro.
Ai microfoni, fin dalle prime ore, si alternavano una serie di persone.
Ma da subito i programmi di maggiore successo erano quelli condotti
da Pasquale Porcu e Pier Paolo Erre che mandavano in onda le novità
musicali del momento grazie ai dischi presi in prestito dalla discoteca
Regina di via Brigata Sassari. Pian piano, però, sono nate delle rubriche
speciali: dal cinema (con Marco Magnani e Antonello Grimaldi) alla
musica classica (con Antonello Squintu e Antonio Dalerci), all’arte
(con Argo, Domenico Panzino), alla musica con dediche (con Tonino
Sanna). C’era spazio anche per la satira con Marco Foddanu, Pasquale
Porcu e i testi di Cosimo Filigheddu.
L’emittente, ovviamente, non aveva alcuna autorizzazione e per
paura di essere intercettati dalla Polizia Postale, si diceva che la radio
trasmetteva da una mongolfiera.
Nell’estate del 1976 la Radio ha dovuto abbandonare la sede di
Monte Oro e trasferirsi in una soffitta di via Mancaleoni mentre la redazione si era spostata in via Pettenadu.
Dalle ceneri di Radio Nord Ovest è nata Radio Sassari Centrale, in
via Canopolo,animata da Bruno Pallavisini, Giancarlo Cubeddu e
altri. Al microfono sempre Pasquale Porcu. Antonello Grimaldi, Marco
Vannini, Giuliana Altea, Cristina e Loris Nadotti e una redazione nutrita
con, tra gli altri, Francesco Pigliaru, Bruno Paba .
L’emittente si è subito strutturata con una redazione giornalistica
vera e propria e ha cominciato a trasmettere la cronaca delle sedute
comunali e la diretta dei più importanti fatti della vita cittadina, dall’arresto di Dario Fo alla festa elettorale in piazza d’Italia per il “sorpasso” del Pci nel 1976.
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MUSICHE E DEDICHE NELLA NOTTE
Contributo di Pier Luigi Piredda
C’erano una volta le radio libere, ora
sono diventate le più ascoltate nella
modulazione di frequenza, ma all’inizio erano conosciute come Radio Pirata. Trasmettevano sulla modulazione di frequenza e venivano sistematicamente oscurate e poi spente
dai giudici. Una battaglia che è andata avanti per anni, fino al 1976
quando finalmente arrivò la legge che liberalizzò l’etere. Le radio pirata trasmettevano dagli scantinati o dalle soffitte, con sistemi di fortuna e un segnale debolissimo. Ma facevano tendenza. Era la novità.
Una gran bella novità che tutti volevano provare. Non era facile lavorare in una radio e riuscirci era come coronare un sogno. Un trasmettitore scalcagnato messo insieme da un bravo tecnico, due giradischi di quelli che regalavano con i mitici volumi di Reader’s
Digest che a quei tempi facevano bella mostra in ogni casa e un registratore a cassette oppure ancora prima quelli con il nastro da riavvolgere. I dischi bisognava andare a recuperarli fuori dalla Sardegna.
Li compravano gli amici che andavano “fuori” e tornavano a Sassari
con le valige piene di dischi Lp, occhiali da sole Ray Ban e stivaletti
Camperos.
Erano i mitici Anni ’70. Gli albori della musica commerciale. L’inizio
di una rivoluzione che ha cambiato il mondo. Solo e soltanto con la
musica. Ricordi sbiaditi che riaffiorano prepotenti quando si prova a
tornare indietro nel tempo. Ragazzi. Voglia di vivere. Voglia di ribellione. Bei tempi. Tempi eroici. Chi li ha vissuti è stato un privilegiato.
Chi non li ha vissuti resta spesso a bocca a aperta ad ascoltare i
racconti di un’epoca indimenticabile.
I primi vagiti di una radio pirata nel mondo allora sconosciuto
72
PIER LUIGI CHERCHI
della modulazione di frequenza, che si cibava della musica lontanissima di Radio Lussemburgo, erano venuti fuori dal cuore del centro
storico di Sassari. Da un minuscolo appartamento poco distante dal
Comune. Lì era nata e aveva iniziato a trasmettere musica Radio Sassari Centrale. Un gruppo di giovani che volevano cambiare il mondo
e che provavano a farlo anche con la musica.
Ma il primo vero segnale di cambiamento di un mondo sconosciuto
era arrivato con Radio Nord Sera. La sede era sempre nel cuore della
città e il punto di riferimento era il pungente giornalista Pino Careddu,
penna raffinata e spietata che a quei tempi seminava il panico con il
suo mitico giornale “Sassari Sera” che menava randellate a destra e a
manca. Radio Nord Sera era una radio con ottima musica e anche
notizie: grande novità. Il programma più seguito era quello della notte
con il grandissimo Augusto che trasmetteva la musica più bella che
mai nessun altro ha più mandato in onda. Forse anche perché erano
le prime volte che si potevano ascoltare EllePi fino a quel momento
sconosciuti.
In quel periodo era nata anche Radio Alternativa, che da destra faceva da contraltare alla sinistrorsa Sassari Centrale. Trasmetteva da
via Roma.
Poi, erano arrivate le radio commerciali. La prima nel panorama
sassarese l’aprì Orlando Bajardo, un estroso inventore, talvolta burbero, ma davvero una persona eccezionale. La Radio di chiamava
Radio Holiday e ad ascoltarla si respirava l’aria della vacanza e della
spensieratezza. Indimenticabili i programmi di Doroty, di Pablo e di
Patty. E come dimenticare il mitico “Flyman” Gianni Davis, strepitoso
intrattenitore, educato e ironico, un personaggio incredibile che a
quei tempi girava in città con un meraviglioso Duetto rosso Alfa Romeo. Facevano tutti programmi di tendenza, dei quali si parlava per
strada e nei bar. Senza scordare i primi programmi in sassarese con
battute che è meglio lasciare perdere e le canzoni che fino a quel
tempo si potevano ascoltare solo nelle bettole e nelle feste rionali e
che erano state all’improvviso trasformate in patrimonio di tutti, patrimonio della città. Perché di quello che si ascoltava alla radio si parlava l’indomani per strada e nei bar. Si rideva e si ricordavano le
battute più belle che sono rimaste nella storia delle radio libere sassa-
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
73
resi. Un fenomeno incredibile. Sull’onda di Radio Holiday era arrivata
Radio Giovane con le indimenticabili trasmissioni notturne “acchiappafemmine” del patriarca della famiglia proprietaria dell’emittente e
dell’accattivante Gianni Davis con la sua voce suadente. Diversa da
quella rauca di Max, da quella spumeggiante di Giulio, da quelle dolcissime e sognanti di Doroty e Patty e da quella sorniona tutta sassarese
di Ico “Bachisio”.
A quei tempi, tutte le radio durante la notte non erano da meno
con programmi di dediche e richieste che coinvolgevano soprattutto
i lavoratori notturni, i ricoverati in ospedale negli istituti e un po’ tutti
quelli che vivevano la loro vita al chiarore delle stelle.
E come non ricordare Radio Città, messa in piedi dal giornalista
Enrico Porqueddu e coordinata dall’inossidabile Alda, sempre presente
e attenta a ogni particolare.
E Radio Zero dei fratelli Gianni e Lucio Coni che portarono lo
sport sassarese nelle case di tutti?
Con il passare del tempo le radio libere erano diventate numerose.
Erano così tante che è anche difficile ricordarle tutte: Radio Oasi, Radio Alfa, Radio Amica, Radio Alternativa, Radio Sassari Centrale,
Radio Antenna Nord, Radio Zero, Radio Città Radio Nord Sera, Radio
Giovane, Radio Venere, Radio Holiday.
Tante, troppe. Tanto che infatti ora a Sassari ne sono rimaste soltanto due di quei tempi eroici: Radio Zero e Radio Venere, oltre a Radio Latte e Miele nata da una costola di un’altra radio di quei tempi.
Un po’ come le televisioni. Inizialmente ce n’erano due: Teleobiettivo Sardegna messa in piedi da un grande regista e cultore delle immagini e della fotografia come Benito Castangia. E Tele Etere, gioiellino
tecnico dell’indimenticabile Roberto Spano che aveva tradotto in tv
l’entusiasmo di tre amici lungimiranti che avevano precorso i tempi
realizzando qualcosa di davvero eccezionale per una città come Sassari di quegli anni: il medico radiologo Piero Bua, proprietario del
Policlinico Sassarese, il notaio Gaetano Porqueddu e il costruttore
Antonello Poddighe. Tempi belli. Poi sono arrivate altre tv che hanno
avuto vita breve. E ora ne sono rimaste soltanto due: l’inossidabile
Telegi e, da qualche settimana la neonata ambiziosa Canale 12.
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PIER LUIGI CHERCHI
POLITICA, PUBBLICITÀ, ANEDDOTI
Racconto di Giò Capitano
In tema di Radio Libere a Sassari, un racconto di Giò Capitano dal
suo sito personale http://www.capitano.biz/RADIO_SASSARI.htm
“Era il lontano 1976, quando mi proposero di trasmettere a Radio
Alternativa.
Grande onore per me indipendentemente dal colore politico di
appartenenza di quella emittente.
A me non riguardava niente. A me interessava trasmettere musica.
Erano i tempi della protesta politica. Eppure alla radio veniva trasmessa tutta la musica senza distinzione di colori.
La cosa un po’ più tetra era la sigla di apertura del Notiziario di
Mirko Addis, che era dei Krawzwork dal titolo Radioactivity. L’emittente
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
75
trasmetteva da viale Umberto ed esattamente dal palazzo dirimpetto
alla caserma della Guardia di Finanza.Era una delle prime radio libere
di Sassari. La prima di tutte, se non ricordo male, era Radio Antenna
Nord. Le più famose e seguite erano invece Radio Holiday, Radio
nord Sera, Radio Giovane, e Radio Città.
A Radio Holiday, di proprietà di Oolando Bajardo, trasmettevano
la famosissima e bravissima Patty Maresu e Clemente Biasizzo. Nel
frattempo nascevano altre tre emittenti Radio Alfa, Radio Venere e
radio Oasis. Per dissidi interni tra Baiardo e Clemente, a Radio Holiday
avvenne una scissione che vide passare Patty e Clemente alla nascente
radio Alfa diretta abilmente da Gianni Bracceri e di proprietà di Sandro
Delogu. Gianni Bracceri, Fac totum riuscì con questa operazione a
levare la scena a tutti gli altri. Scalpitava però anche Radio Giovane
che con lo spettacolo di Bacchisio, che in realtà non era altri che Ico
Ribichesu in una esilarante imitazione del classico pastore sardo, dai
modi poco ortodossi, riuscì comunque a salire nell’indice di gradimento della gente. L’imput fu fortissimo e con l’ausilio del Programma
notturno dal titolo, “In confidenza”, con Gianni Davis, Radio Giovane
76
PIER LUIGI CHERCHI
si posizionò prepotentemente tra le prime. Nel frattempo nasceva
anche Radio Zero che cambiò modo di fare radio. Iniziò a occuparsi
dello sport. Insieme a Radio Holiday, ormai passata tra due mani,
quella di Lino Borghesi e poi del figlio Carlo che la trasferì in via
Grazia Deledda, trasmetteva la diretta delle partite di calcio della Torres. Radio Zero cambiò il modo di fare pubblicità.
Coni diede vita agli sketch. Modificavano una canzone nel testo e
lanciavano il messaggio pubblicitario. Questo portava l’ascoltatore a
canticchiare il nome di questa o quella azienda. Anche con la radio
cronaca della partita, riusciva a stare vicino al cuore dei sassaresi che
non si trovavano all’Acquedotto (all’epoca il nome dello stadio era
quello) famosa la frase di Coni durante una diretta... (millu mi millu mi
millu mi... gol... e so’ tre...) La gente chiaramente oltre ad esultare rideva
per questo modo reso volutamente comico di fare diretta dallo stadio.
I tempi per chi militava in partiti politici erano duri soprattutto per
le minoranze. Una sera prima dichiudere un programma, alle otto
ero in attesa del mio sostituto e mi ricordo che mi assediarono. Dalla
finestra della sala di trasmissione della radio, attigua al pianerottolo,
comparvero delle figure di persone adulte di diversa tendenza politica
rispetto a Radio Alternativa che iniziarono a mimare gesti che poco
lasciavano pensare al bello. Chiaramente mi barricai all’interno e
chiamai la forza pubblica che arrivò in concomitanza della persona
che mi doveva dare il cambio. Da ragazzino abbastanza impaurito, ricordo che fu l’ultima trasmissione in quella emittente.
Passai un lungo periodo a Radio Alfa e poi a Radio Venere dove
trasmetteva Franco Postiglione che per i radioascoltatori era Maurizio.
Mi stancai di restare impegnato durante la settimana e allora decisi di
passare a Radio Holiday, dove mi fu proposto da Carlo Borghesi, di
seguire il programma sportivo domenicale, ivi compresa la diretta
dallo stadio. Intanto iniziava il riordinamento delle frequenze e pian
pianino venivano acquistate dai grossi network che facendo man
bassa e grazie alla alta professionalità, rubarono la scena a tutti e
quindi gli ascolti, il consenso e anche la voglia.
I buoni marinai si sono visti nella tempesta e attualmente l’unica
radio appartenuta a quei tempi, Radio Venere, rimane ancora attiva.
Poi sono nate anche le televisioni... ma questa è un’altra storia”.
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
77
I PIRATI DELL’ARIA, NOSTALGIE E CURIOSITÀ
Dal blog “SASSARESERIE” (sassareserie.blogspot.it) citiamo gli
interventi di nostalgici delle vecchie radio private.
– Radio Venere, Radio Giovane, Radio Holiday, R.T.F, Radio Nord
Sardegna e vari nomi a caso. Queste erano alcune radio “Pirata” di
Sassari. Fatte con poco: una radio militare, un’antenna e due o tre
coraggiosi che si infilavano letteralmente il microfono in bocca per
abbassare il tono della voce e farla più “toga”. Portata del segnale
poco oltre il condominio con il medesimo che si incazzava perché gli
entrava nella televisione “un’anno non è un secolo tornerò tornerai”
al posto di Pippo Baudo. I dischi in vinile di casa ed un giradischi – rigorosamente modello Reader’s Digest –
– un modo per soppiantare Radio Monte Carlo con Awanagana e
la più pallosa Radio Rai. Dopo un po’ il segnale aumenta di qualche
watt e qualche coraggioso si mette anche il telefono per le dediche.
Passa poco ed i pionieri capiscono che è meglio mettere un “filtro”
alle telefonate in diretta. I giovani sassaresi non aspettano altro che
potersi sentire alla radio mentre sbeffeggiano il conduttore di turno
(Flyman ha tutta la nostra solidarietà). Dopo qualche anno inizia la
raccolta pubblicitaria, un successo che viene copiato immediatamente
da tutte le emittenti. Le case discografiche iniziano a passare i primi
dischi “gratis” per spingere il brano di turno, ed i nostri emettitori di
suoni non si fanno pregare, un brano può passare cinquanta volte al
giorno. Legalizzato il tutto con l’assegnazione delle frequenze, i piratoni
diventano professionisti ed il gioco diventa meno divertente.
Io iniziai la mia carriera in una radio che sembrava più che altro un
covo di brigatisti. Era in via Pettenadu, si chiamava Radio Sassari
Centrale, e “si credeva” molto alternativa e di sinistra. Ho ricordi
molto nebulosi, so che trasmettevo Claudio Lolli a ripetizione: al
mixer c’era il figlio di un notissimo libraio sassarese, oggi medico sti-
78
PIER LUIGI CHERCHI
mato. La mia svolta commerciale venne con Radio Holiday, con sede
in via Dau con il nome di battaglia di Dorothy e aiutata dal mitico
Max, conducevo una rubrica di dediche al pomeriggio. Di notte c’era
la più titolata dj Patty, di cui ho un ricordo di ghiandole mammarie
mai più viste da allora, se non in Bay Watch.
Il programma di chiamava Midway, e la sigla era un brano di Burt
Bacharach. Avevamo le telefonate in diretta, ma io avevo molte lettere.
Ricordo che mi scrivevano molti carcerati dall’Asinara e San Sebastiano. Era mitica la richiesta di un tale “Cannabazzu” che pedissequamente richiedeva (e io volentieri trasmettevo). “Non si può morire
dentro” di Gianni Bella: la comicità fra il titolo e la condicio di carcerato del giovanotto erano irresistibili. Ricordo che la mia fu una delle
prime trasmissioni in cui dovevo leggere un messaggio dello sponsor:
nel mio caso era la Ditta Pistorozzi.
Poi la svolta “culturale” fu la radio diretta dal direttore del “Sassarese”, Enrico Porqueddu. La radio era in via Enrico Costa, avevamo
armadi attrezzatissimi con LP. Chissà se qualcuno ricorda... gli LP più
usati venivano lavati (sì avete letto bene) con il detersivo dei piatti e
asciugati alla perfezione. Le richieste in quella radio avevano una cifra
stilistica ben diversa. Se amo il soul lo devo proprio a quegli anni,
avevo una decina di ascoltatori che stilavano richieste incredibili che
andavano da Marvin Gaye, passando da Little Richard, a Aretha Fran-
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
79
klin. Altro che Radio Freccia. Non avevamo una lira, e non ci interessava nemmeno. E quante papere, e quanti solchi sbagliati... (Dorothy).
– Un cammino molto simile a quello di Dorothy il mio con la piccola differenza che la (per cosi dire) carriera radiofonica cominciò
con una radio di segno politico diametralmente opposto: Radio Alternativa. Era il 1977 e andavamo in onda grazie a un trasmettitore da
guerra messo a disposizione dalla mitica signorina Fusaro. Gli studi
erano in una soffitta di via Roma (sopra la sede del MSI)…
Non sto a raccontarvi le centinaia di telefonate di insulti e minacce
che puntualmente ricevevamo ogni giorno (ricordatevi che era il
1977) ma noi indomiti (e molto spesso cagati sotto) “continuavamo a
divulgare il nostro credo”.
Il bello stava nel fatto però che “il nostro credo” piaceva poco
anche ai capoccia del partito e quindi molti di noi (io tra i primi) lasciarono la “radio dei fasci” per cercare altri lidi.
Fu così che approdai (e qui cominciano le similitudini con Dorothy)
a Radio Città che per dirla come lo si diceva allora era: “l’emittente radiofonica del giornale “Il sassarese”. Enrico Porqueddu che ne era il
padre, il padrone, il direttore, l’anfitrione etc. mi aveva dato carta
bianca e non mi ricordo più quante ore di trasmissione facessi ma non
posso assolutamente dimenticare due cose: la prima quando a causa
di un ritardo mi obbligò tutta l’estate alla trasmissione delle 7 di mattino
(con i risultati che potete immaginare visto che avevo 17 anni e la
notte...) e poi le fortunate trasmissioni sportive del lunedì (che mi ini-
80
PIER LUIGI CHERCHI
ziarono alla pseudo carriera di cronista sportivo) e a quella notturna
del “Cassonetto”un vero e proprio contenitore che ebbe un successo
notevole per quei tempi e che aveva come scopo principale quello di
prendere per il culo i potenti di allora (un’imitazione del Papa ci costò
una violentissima ramanzina da un alto prelato di allora con conseguente “shampoo”da parte di Enrico...). Da Radio Città (altro passaggio
in comune con Dorothy) andai a Radio Holiday (allora tra le più ascoltate). Il patron era Orlando Bajardo un personaggio “particolare” ma
allo stesso tempo una bravissima persona.
Continuai con lo sport e anche qui non mancarono episodi straordinari come quello che ci vide protagonisti di un’intervista all’allora
allenatore del Cagliari Mario Tiddia dopo una sconfitta in casa per
tre a zero e dopo aver rifiutato interviste persino a Videolina. La straordinarietà stava nel fatto che il povero Tiddia non sapeva di essere
in diretta nè tantomeno con una radio sassarese e si mise per circa
mezz’ora a sputtanare società e giocatori cagliaritani... Non trascurai
comunque i programmi musicali con le richieste in diretta. A dire la
verità lo si faceva soprattutto perchè ogni tanto si “cuccava” anche
se spesso il target dell’età delle ascoltatrici era per così dire elevato.
Personaggi mitici a Radio Città la segretaria speacker Alda, il mitico
Pino che trasmetteva le canzoni degli Anni Venti che noi ironicamente
chiamavamo “Pino il solitario”, ma anche il grande e compianto dsignor Manconi forse il critico d’arte più importante in città in quegli
anni, sino a Giuseppe Fiori (GreenTony) allora voce dei Bertas e tanti
altri.
A Radio Holiday (oltre alla citata Patty) mi ritornano in mente la
voce profonda (e rauca dalle 1000 sigarette quotidiane) di Clemente
o gli occhi azzurri della bella Linda..
Ah... quanti personaggi... quanti ricordi. Dopo un fugace ritorno a
Radio Città decisi che con l’età matura era il caso di smetterla di stare
in radio a perder tempo sino a quando nel 1999 un amico (diventato
nel frattempo editore) mi propose di occuparmi della radiocronaca
della Torres (con l’amico Lucio Coni) per “Lattemiele” cosa che ho
fatto sino all’anno scorso insieme ad altri programmi d’interviste etc.
(Giulio Martinetti).
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
81
– A proposito di “Contro Zerogiornale “ Mutande lunghe Calzoncini corti!!!
Quante risate con Salvatore Cugurra e Lucio Masia.
E chi le trova più quelle puntate sicuramente registrate con mezzi
di fortuna e messe in qualche cassetta che anche se la trovi è ormai
smagnetizzata???
– A proposito di Dediche in diretta
Quella volta che (la Radio non la dico...) il conduttore si era un po
imburumeggiato e incitava l’ascoltatore a estendere la sua dedica a
tutti i suoi conoscenti e amici:...
A chi la vuoi dedicare?? A mamma !! Si e poi? A babbo !! Si e
poi??? A zia Grazietta!! Si e poi??
A mia cugina Samanta!!! Si e poi?? A chissa gran bagassa di ’to suredda!!!
Scusate c’è un’ interferenza...
– A proposito di Radio degli Anni ’70
In pochi si ricorderanno di Radio101 e del “programmino”
Voglio rivolgere un pensiero al vecchio Alessandro “Bestemmia” che
ci ha lasciato tragicamente da pochi anni e che nel “programmino”
82
PIER LUIGI CHERCHI
interpretava (da risate sincere...) il personaggio di Ahmed che si esprimeva dicendo per il 90% solo la parola “cazz”... Che tempi. Roba da
trasmettitori da 5 watt... Era il 1975 credo...
– A proposito di radio libere di Sassari...
Radio Giovane, il programma della notte condotto dal capostipite
della famiglia più nota di venditori di dischi di Sassari... risate da
tenersi la pancia ascoltando vecchie troione che facevano le pantere
col signor Carlo... e lo sputtanamento cosmico quando scoprii che
una era mia vicina di casa...
Il provino a Radio Città per fare lo speaker, mi misero ad improvvisare su un brano di Rick Wakeman... credo che mai esseri umani
sentiranno più una mole così elevata di cazzate.
Ah, i quiz di Radio Città. Vinsi un paio di LP, ricordo ancora i casini
per prendere la linea e l’emozione nell’andare a ritirare i premi.
Per finire ricordo le bestemmie tirate ai Dj quando tentavo di registrare
le canzoni col Geloso e loro ci parlavano sopra...
– A Radio Holiday entrai quando la sede era in via Cavour ed il
proprietario era Lino Borghesi a quei tempi mi occupavo del Radiogiornale mattutino durante il programma di Gigi Canu poi ci venne
in mente di creare una redazione sportiva con le radiocronache della
Torres chi sono? Antonello Macaluso e facevo da contraltare a Lucio
Masia di Radio Zero del mio staff sportivo faceva parte anche Tore
Puggioni, Francesco Cuccureddu, Graziano Puggioni, Gino Macaluso,
Roberto Muretto .
– Da quel che ricordo io dalla famosa e già citata Radio – politicizzata – Alternativa, creata dalla triade Griscenko, Addis (Mirko, il patron
dell’Istituro Europa) e Postiglione il gommista, per ’partenogenesi’ (e
forse a causa di dissidi tra i tre) videro la luce Radio Giovane, della famiglia Griscenko, Radio Amica di Mirko Addis (che trasmetteva all’ultimo piano dell’istituto Europa di Viale Umberto) e Radio Venere
della famiglia Postiglione. E chi ricorda Radio Nord Sera?
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
83
CENSIMENTO DELLE RADIO LIBERE
RADIO CITTÀ: titolare Enrico Porqueddu editore del giornale IL
SASSARESE. Uno dei primi palinsesti proponeva dediche e programmi
sportivi, la sede era in via Enrico Costa 2 a Sassari.
RADIO POPOLARE: emittente sassarese dell’estrema sinistra con
sede in via Arborea.
RADIO NORD OVEST: nasce il 14 settembre 1975 in via Canopolo
24 a Sassari per iniziativa di: Bruno Pallavisini, Cosimo Filigheddu,
Pierpaolo Erre, Salvatore Pintore, Vito Tilocca, Checco e Gigi Bua, irradia i suoi programmi dai 98,000 mhz. La Nuova Sardegna scrive:
“Da oggi in funzione Radio Nord Ovest. Oggi entrerà in funzione la
prima emittente libera per la zona di Sassari e paesi limitrofi. Sede
invia Bettenadu 19/B Sassari. L’emittente trasmetterà sulla frequenza
dei 98 mhz modulazione di frequenza”. Nel gennaio 1976 cambia
nome, diventa Radio Sassari Centrale. Dura due anni, nel maggio
1978 chiude.
RADIO SASSARI CENTRALE: Emittente nata nel 1976 come trasformazione della ex Radio Nord Ovest (sorta nel 1975), legata alla sinistra, la sua sede era in via Pettenadu 12 a Sassari, irradiava i suoi
programmi dai 100,000 mhz, fra i programmi FILO DIRETTO CON
GLI ASCOLTATORI, PRIMO PIANO - PROBLEMI DI OGGI e IL FOLK
SARDO.
RADIO ANTENNA NORD
RADIO NORD SERA
RADIO VENERE
RADIO NORD SARDEGNA
RADIO AMICA
RADIO BLU: emittente di Sassari che ha chiuso nel 1990.
RADIO SOUND SASSARI: Fm 101.300 MHz nasce nel 1988. Chiude
a fine 1999 cedendo la frequenza a Radio Capital. (Ruggero Righini).
MONDORADIO: Emittente di Sassari nasce all’inizio del nuovo mil-
84
PIER LUIGI CHERCHI
lennio come circuito regionale, mhz 94,200, 90,700 e 102,000, sede in
via Maccia D’Agliastru 53 D a Sassari. Cede la 94.200 di Monte Alvaro
a RDS e il 10 settembre 2006 anche la 102.000 di Monte Oro allo stesso
network e chiude. (Ruggero Righini).
RADIO GIOVANE: di Giancarlo Griscenko Corso Margherita di Savoia - Sassari
RADIO FRECCIA: Sassari
RADIO HOLIDAY: via Dau 1 Sassari, chiuse i battenti nel 1997.
MONDO RADIO ITALIA: storica emittente di Sassari ha cessato di
esistere nel 1997
RADIO STELLA: è un’emittente che aveva sede in un ristorante in
Largo Sisini a Sassari in una stanzetta attigua alle cucine. Durò come
una chimera (Ruggero Righini).
RADIO CENTRO HIFI: emittente di Sassari fondata da un rivenditore di articoli Hi-Fi, situata nello stesso negozio. Ebbe breve vita (Ruggero Righini).
RADIO ALTERNATIVA: Via Roma 2 Sassari, emittente legata alla
destra.
RADIO ANTENNA 2000: emittente nata nel 1983, tuttora in attività.
RADIO CITTA’ FUTURA: emittente di Ossi (Sassari).
RADIO 101: (da non confondersi con il network nazionale) nasce
nel 1976 a Sassari (vecchia) per mezzo di alcun amici di liceo della sinistra studentesca. Chiude nel 1978.
RADIO NORD EST: emittente di Sassari attiva fin dal 1976
RADIO ARZACHENA STEREO: emittente di Arzachena, nata nel
1978, sede via Marconi 30, la zona di copertura erano la Gallura, la
Costa Smeralda, Olbia e le isole. Fin dagli esordi, unitamente alla musica, l’emittente manda in onda i consigli comunali di Arzachena, fra
i programmi cult BUONGIORNO IN MUSICA condotto da Angelo Costa. Ha chiuso i battenti nel 1996.
RADIO CINQUE
RADIO LATTEMIELE (Piazza castello, Sassari).
RADIO ROVETO ARDENTE: emittente di Uri.
RADIO K2: emittente di Bonnanaro (Sassari).
RADIO PORTO TORRES
RADIO CORDOBES: emittente di Poto Torres.
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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RADIO SMASH ONE: emittente di Porto Torres che chiuse i battenti
nel 1990.
RADIO ALFA
RADIO CITY CORPORATION
RADIO EUROPA 1
RADIO SENNORI CENTRALE: emittente di Sennori
RADIO STUDIO 105: emittente di Sorso
RADIO OASI
RADIO OASIS
RADIO STUDIO 82
RADIO TIME
RADIO AMICA EVANGELICA
RADIO SCRASC
RADIO ENIGMA
RADIO DEL GOLFO
RADIO PRISMA: storica emittente di Sassari, ha chiuso i battenti
nel 1991.
RADIO ECO
RADIO INTERNAZIONALE
RADIO NOVA SORSO: Fm 93.500 MHz nasce nel maggio 1975 in
via Farina 58 a Sorso (Sassari) e vede la luce per mezzo dell’elettrotecnico Enrico Montis e di Pinuccio Cocco, direttore dell’emittente
con la moglie Loredana Flori. Trasmette molto saltuariamente con
un autocostruito di 2 watt. Diventa cooperativa e si trasferisce prima
in via Silis e poi in via Fiorentina. Con l’istallazione di due ripetitori
copre anche Sennori, Ittiri e parte della Romangia tramite i 96.500 e
98.500 MHz (in seguito venduti). Trasmette in diretta “i Consigli Comunali”, “La Santa Messa” e la sera “Il Rosario” in collegamento telefonico con il Santuario della Madonna dei Frati Cappuccini. Negli
Anni ’80 trasferisce gli studi nella sede attuale di via Donizetti 23. Dagli
Anni ’90 segue in diretta le partite del Sennori e del Sorso. Oggi
rimane a distanza di 40 anni l’unica emittente del territorio. Pinuccio
Cocco ricorda: “Quando ci trasferimmo nella sede di via Fiorentina
acquistammo un ripetitore da 20 watt per la bellezza di 1 milione e
200mila lire. In quel periodo di grande euforia comunicativa oggi
possiamo dire che stava nascendo la comunicazione di massa e per-
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PIER LUIGI CHERCHI
sonale, di massa perché l’offerta era vasta e varia, perché sfruttata un
poco da tutti, dai centri sociali ai gruppi religiosi, alle stesse parrocchie;
personale perché permetteva a chi non aveva mai avuto voce, di dire
la propria opinione e farsi sentire da migliaia di persone”. (Ruggero
Righini)
RADIO ZERO: Sassari (fondata da Gianni Coni nel 1979: favolose
le pubblicità del mitico fratello Lucio Coni degli Anni ’80 come “Equipaggio… immersione… blu blu blu blu… comandante, siamo a cento
piedi… mandateli da Armando Muzzu!” Oppure “sto cercando un
film da vedere… cosa cerca: avventura, storie d’amore, spionaggio,
zero zero sette? zero zero tette? E con tutte le tette non ne avete?”, e
ancora “Centrale a zebra uno, centrale a zebra uno, rispondete…
zebra uno a centrale, vi sento forte e chiaro… segnalato in regione
Ottava tale Danilo, eghese Biagio, preso tra due cuochi!”.) Nel 1989
da Radio Zero nasce la indimenticata TV Antenna Uno (con i “cult” di
Aspirina ancora oggi cliccatissimi sulla rete), purtroppo scomparsa
dalla scena nel 2013.
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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I DECANTATI O VITUPERATI ANNI ’80
IL RIFLUSSO E L’EDONISMO REAGANIANO
Cosa sono stati gli Anni ’80? Gli anni del Riflusso? Gli anni dell’Edonismo Reaganiano?
Dopo il buio “politico” e intellettuale degli
Anni ’70, rappresentano un ritorno dei favolosi Anni ’60, gli anni che hanno cambiato la
storia del mondo? Sono stati indubbiamente
gli anni in cui i mezzi di comunicazione hanno
fatto sentire la loro voce, in maniera prepotente, in tutto il mondo, dall’assalto del colonnello Tejero alle Cortes di Madrid, ai colpi
di pistola a Ronald Reagan, all’attentato al
Papa, all’assassinio di Sadat, al “circo” di Vermicino con il povero Alfredino che ha tenuto
incollata alla TV per tre giorni l’Italia intera.
Sono stati gli anni dell’antipolitica, dell’individualismo più sfrenato
dopo il protagonismo collettivo, la ricerca della felicità sociale, secondo l’espressione coniata dal sociologo Albert Hirschmann, dopo
le battaglie sociali e ideologiche, finite con l’assassinio di Aldo Moro.
Ma sono stati soprattutto gli anni dell’autocelebrazione, della noncultura televisiva attraverso la diffusione dei nuovi modelli di telefilm
americani che inculcano nella mente delle persone l’immagine di un
mondo irreale, svincolato dalla realtà, della cultura esasperata del
proprio corpo nei riti della palestrazione, del divertimento collettivo,
delle nuove identità urbane, dell’amore per il superfluo e le nuove
meraviglie tecnologiche, a partire dal personal computer, ancora in
erba come il mitico Commodore 64, commercializzato a partire dal
1983, vero prototipo massificato capace di arrivare in tutte le case
partendo dai grandi magazzini e dai negozi di giocattoli, ad un prezzo
contenuto.
Il Riflusso rappresenta proprio in maniera figurata l’immagine di
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PIER LUIGI CHERCHI
questo cambiamento epocale, concentrato in un brevissimo lasso
temporale, come il riflusso che segue le onde del mare: dopo un periodo di rivoluzione e di maggiore attenzione alle “cose del mondo”,
segue un periodo di maggiore attenzione verso se stessi (individualismo), l’affermazione anche con metodi scorretti nel mondo del lavoro,
la ricerca del benessere economico.
Rispetto agli Anni ’60-’70 in cui erano saliti prepotentemente alla
ribalta i giovanissimi che avevano conquistato di diritto un loro spazio
nella società, negli Anni ’80 si assiste ad un ritiro dei teenager nella
sfera privata, relegati al ruolo di paninari, con un’esplosione dei trentenni-quarantenni che di fatto monopolizzano tutti i circuiti sociali.
Non c’è più l’attivismo dei decenni precedenti e si ritorna alla famiglia,
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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ai gruppi ristretti, ai circoli, agli sport-club dove abbondano tennis e
impegni mondani, abbandonando l’impegno pubblico a favore del
frivolo .Forse dopo tanti anni di distruzione e di disastri la società
degli Anni ’80 sente proprio il bisogno di evasione, di vita vissuta per
se stessi e non per gli altri, nella ricerca di una illusoria felicità secondo
i modelli americani.
È proprio in questo sistema di vita che proviene da oltreoceano
che si inserisce il c.d. “Edonismo Reaganiano”, termine coniato all’inizio come battuta demenziale da Roberto D’Agostino, “lookologo”
della mitica trasmissione “Quelli della notte”, creata nell’aprile 1985 e
portata avanti fino a luglio da Renzo Arbore e Ugo Porcelli ; 33 straordinarie puntate con figure indimenticabili come Nino Frassica, Mau-
rizio Ferrini, Andy Luotto, Marisa Laurito, Giorgio Bracardi e molti
altri, capaci di cambiare anche il linguaggio lessicale di quegli anni e
di mostrare un mondo di nuova goliardia, di allegria, di spensieratezza,
di sesso e piacere, mettendo da parte “the dark side of the moon”, la
facciata seria, fredda, nera della vita di tutti i giorni. Insomma la televisione, come la diffusione a livello cinematografico di pellicole di
pura evasione, come i film di Vanzina che disegnano una realtà sociale
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PIER LUIGI CHERCHI
edonistica e superficiale, annegata nell’egoismo della quotidianità,
costituiscono il nuovo “panem et circenses”, la volontà dei poteri
forti di distogliere l’attenzione dei cittadini dalla vita politica, in modo
da lasciarla a delle élite che seguono degli interessi concentrati su un
numero limitato di individui.
Il termine “Edonismo Reaganiano”, da nonsense, diventa la parola
magica per definire un periodo che aprirà la strada verso il Berlusconismo degli anni ’90; il filosofo Gianni Vattimo, interprete del nichilismo post-moderno e agit-prop del “pensiero debo- le”, pubblica su
“La Stampa” un editoriale che si intitola proprio Edonismo Reaganiano. Lo sbandieramento del frivolo, tra trash e flash, si accosta alle
performance dall’attore Ronald Reagan, presidente con doppio mandato degli Stati Uniti dal1981 al 1989 e al cambiamento di costume
degli USA in quei vituperati Anni ’80. Ma Reagan non è stato solo una
rivoluzione culturale e del costume, ma anche e soprattutto una rivoluzione politica, restituendo all’America una fiducia persa durante
gli anni del Vietnam, creando un confronto acceso e molto forte con
l’antagonista sovietico, che alla fine di quel decennio collasserà. Nasce
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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con Ronald Reagan un nuovo modello di mercato, col trionfo della
liberalizzazione e la cosiddetta deregulation.
Molti intellettuali si accodano e interpretano la formula dell’Edonismo Reaganiano secondo il loro pensiero, da Milan Kundera con
“L’insostenibile leggerezza dell’Essere”, allo stesso Gianni Vattimo con
“Il pensiero debole”, a Karl Rosenkranz con “L’estetica del brutto”, a
Gilles Lipovetsky con “L’impero dell’Effimero”, fino ad Achille Bonito
Oliva con “L’ideologia del traditore”. Il doppio-gioco dell’Edonismo
Reaganiano si trasforma, secondo Aldo Grasso sul Corriere della Sera,
in un “tentativo positivo di mettersi in comunicazione con l’astuzia
del tempo e l’ambivalenza del presente”.
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PIER LUIGI CHERCHI
RIFLUSSO (Pierangelo Bertoli)
Laura è ferma adesso in una fabbrica di sogni
e vede il mondo da un oblò
Franco ha messo all’asta il suo cervello e i suoi bisogni
e vive come un orso in uno zoo
Maria non ha mai smesso di dormire neanche un’ora
Sergio si è spostato sulle rive del qui è meglio
e ricco adesso e parla di onestà.
Il buio ha preso il posto del coraggio di vedere,
paura al posto della verità.
Si parla sotto voce o nel chiuso delle stanze,
nessuno canta più di libertà.
Adesso che è una colpa solo avere un’opinione,
che più sicuro poi non si sa mai.
Che quello emarginato pure è un terrorista
o forse è un poliziotto e non lo sai.
Ma voglio almeno dire due parole
in nome di chi lotta per la vita
Potete forse farci rallentare però
non vi crediate sia finita.
Chissà se guarderemo i nostri figli apertamente
dicendo almeno adesso tocca a voi.
O scuoteremo il capo come un branco di imbecilli
spiegando quali esempi siamo noi.
Racconteremo storie come reduci noiosi
o forse fingeremo dignità.
Oppure gli offriremo fumo, sesso e disimpegno,
le perle della nostra eredità.
Il tempo si trascina inesorabile, dottore,
e affondo i denti nella verità.
E porta a galla i veli i fabbricanti del terrore
e non ha posto per chi se ne va.
E Laura sguazzerà dentro ai suoi sogni comatosi.
E un giorno finalmente morirà.
E Sergio comprerà, Franco e Maria novelli sposi
così sarà sicuro e arriverà.
Ma voglio almeno dire due parole
in nome di chi lotta per la vita.
Potete forse farci rallentare
però non vi crediate sia finita.
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
L’ABBIGLIAMENTO
Le camicie di Magnum PI. Un modello di abbigliamento estivo di quegli anni
Camicie e giacche
informali con grandi
spalline quasi
da giocatore di football
americano
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PIER LUIGI CHERCHI
Le spalline furono uno status simbol negli Anni ’80 anche per le donne
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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SOTTOCULTURA METROPOLITANA: I PANINARI
Con il termine paninaro si intende una sottocultura giovanile nata
negli Anni ’80 a Milano, e da lì diffusasi prima nell’area metropolitana
milanese poi in tutta Italia. Questi gruppi si caratterizzavano per l’ossessione per la griffe nell’abbigliamento e in ogni aspetto della vita
quotidiana e l’adesione a uno stile di vita fondato sul consumo, il divertimento ad ogni costo e il disimpegno sociale e politico, piena
espressione dell’ondata di riflusso che seguì il turbolento e politicizzato
decennio precedente. Proprio il termine “paninaro” nacque per indicare le comunità giovanili di giovani che cominciavano a riunirsi nei
primi fast-food italiani, primo segno di quella globalizzazione che
esploderà nei decenni successivi.
I paninari, nella loro visione della
quotidianità, rifiutavano di occuparsi degli aspetti angoscianti dell’esistenza e, più in generale, di
ogni forma di impegno sociale:
l’obiettivo primario dei paninari
era godersi la vita senza troppe
preoccupazioni e in tal senso si
trovavano perfettamente a loro
agio nell’adeguarsi ai modelli del
cinemastatunitense di consumo e ai consigli degli spot pubblicitari
trasmessi dalle televisioni commerciali, che nascevano proprio in
quegli anni (Canale 5). Come un vero “branco”, ogni gruppo di paninari era dotato di una propria “base” costituita in genere da un bar e
da un relativo territorio nel quartiere; gruppi comunque aperti le cui
frequentazioni potevano raggiungere anche l’ordine del centinaio. Il
sabato pomeriggio e la sera la “base” era il luogo deputato al ritrovo
in massa con successivo trasferimento in una delle discoteche che
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PIER LUIGI CHERCHI
ben si prestavano a
sfruttare questo fenomeno. Alcuni di questi gruppi, quelli più
importanti, disponevano di “capi”, ovvero leader di grande
popolarità locale, solitamente dotati di
soprannome. Il luogo
più frequentato dal
paninaro era chiaramente il fast food; il
suo stesso nome dePaninari seduti al bar
riva dal bar milanese
Al Panino (Piazzetta Liberty), dove si radunavano, già nel 1983, i primi
“galli” (paninari) che frequentavano prestigiosi licei privati e trascorrevano le vacanze in località esclusive. Questi successivamente si
spostarono al fast food Burghy di piazza San Babila ed un casuale incontro con i Pet Shop Boys ispirò i componenti del gruppo pop alla
realizzazione della hit “Paninaro” (1986).
I paninari divennero rapidamente un vero fenomeno di costume
pubblicizzato, a livello nazionale, da alcuni fumetti dedicati ai paninari
e del personaggio interpretato da Enzo Braschi a
Drive in. Come già accennato, nel 1986 i Pet Shop
Boys, a seguito di una visita
nel centro di Milano, incisero il singolo “Paninaro”,
che permise alla moda di
valicare i confini nazionali.
I protagonisti del videoclip,
girato a Milano, erano alcuni ragazzi perfettamente
Enzo Braschi a “Drive In”, nella parodia del pavestiti secondo i dettami.
ninaro (“Troppo giusto”)
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
Passion and love and sex and money
Violence, religion, injustice and death
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Girls, boys, art, pleasure
Girls, boys, art, pleasure
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Food, cars, travel
Food, cars, travel, travel
New York, New York, New York
New York
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Armani, Armani, ah-ah-Armani
Versace, cinque
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Armani, Armani, ah-ah-Armani
Versace, cinque
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
I don’t like country-and-western
I don’t like rock music
I don’t like, I don’t like rockabilly or rock ’n’ roll particularly
Don’t like much really, do I?
But what I do like I love passionately
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
You, you’re my lover, you’re my hope, you’re my dreams
my life, my passion, my love, my sex, my money
violence, religion, injustice and death
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Don’t like much really, do I?
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
But what I do like I love passionately
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Passione, amore e sesso e soldi
Violenza, religione, ingiustizia e morte
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
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PIER LUIGI CHERCHI
Ragazze, ragazzi, arte, piacere
Ragazze, ragazzi, arte, piacere
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Cibo, auto, viaggi
Cibo, auto, viaggi, viaggio
New York, New York, New York
New York
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Armani, Armani, ah-ah-Armani
Versace, cinque
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Armani, Armani, ah-ah-Armani
Versace, cinque
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Non mi piace il country e western
Non mi piace la musica rock
Non mi piace, non mi piace particolarmente rockabilly o rock ’ n’ roll
Non piace molto, in realtà, posso?
Ma quello che mi piace amo appassionatamente
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Si, tu sei la mia amante, sei la mia speranza, sei miei sogni
mia vita, la mia passione, amore mio, il mio sesso, i miei soldi
violenza, religione, ingiustizia e morte
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Non piace molto, in realtà, posso?
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Ma quello che mi piace amo appassionatamente
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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Obbligatoriamente i capi di abbigliamento dovevano essere firmati,
quale indice di ricchezza familiare reale o presunta, mentre (al contrario di quel che succede oggi) erano vietate le imitazioni e le contraffazioni, pena il disconoscimento sociale con appellativo di gino o
truzzo, quindi miserabile. I paninari interpretavano proprio lo spirito
superficiale e consumistico degli Anni ’80. Infatti coltivavano una passione maniacale per il proprio aspetto, o meglio “look”.
L’abbigliamento del paninaro prevedeva occhiali Ray-Ban, zainetto
Invicta a righe, giacconi imbottiti (Moncler), stivali da cowboy (Frey o
Durango), jeans appena sopra le caviglie (Levi’s, Enrico Coveri, Stone
Island o Armani), felpe (Best Company), maglioni (Marina Yachting,
Les Copains), cinture di pelle con grandi fibbie (El Charro), camicie a
quadri (Naj Oleari), calzini decorati a rombi (della Burlington per i ragazzi e colorati della Naj Oleari per le ragazze) e scarponcini (esempio
Timberland) oppure scarpe sportive Vans (rigorosamente senza lacci).
Alla moda seguì la fioritura di riviste dedicate, tra esse Il Paninaro,
con una tiratura che raggiunse 100.000 copie cessando le pubblicazioni
col numero 48 a dicembre del 1989. Seguono Wild Boys – tormentone
ed inno del movimento dall’omonimo successo musicale dei Duran
Duran – Zippo Panino, Il Cucador, Preppy e la testata femminile
Sfitty – dal gergale sfitinzia, ragazza.
Come altre mode nate negli Anni ’80 anche i paninari scomparvero
dalla scena a Milano tra il 1987 e il 1988 e nel resto dell’Italia di lì a
poco, sostituiti da altre sottoculture che riflettevano la fine di un decennio consumato all’insegna dell’edonismo e della superficialità. In
generale può dirsi come la moda dei paninari sia stata legata ai giovanissimi delle scuole medie inferiori e superiori. Perlomeno, a Milano
i paninari erano quasi totalmente assenti nelle università. L’intestazione
sulla testata principale, Paninaro, inizialmente I veri galli, accomiata
il periodo d’uscita di scena con Pochi, duri, giusti.
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PIER LUIGI CHERCHI
CAPELLI A SPAZZOLA, PREPPY E CUCADOR
Intervista di Chiara Galeazzi a Ramon Verdoia
Dall’intervista di Chiara Galeazzi a Ramon Verdoia, uno dei capi
dei Paninari milanesi si comprende lo spirito di gruppo che nasceva
dall’abbigliamento, dallo slang e dall’ideologia edonistica, consumistica
e antipolitica di quegli anni.
Puoi dirci quando, dove e come è nato il movimento paninaro?
Una data ben precisa non c’è, forse il 1981 per chi era di Milano, in
provincia è arrivato intorno al 1984-85. I primissimi a essere soprannominati paninari in realtà non avevano niente a che fare con i paninari che si intendono generalmente: un giornalista aveva affibbiato
questo nome ai ragazzi appartenenti all’estrema destra che si trovavano al bar “Al Panino”, un bar in centro a Milano. Sarebbero i cosiddetti sanbabilini, quelli di San Babila ore 20: un delitto inutile di Carlo
Lizzani.
I Sanbabilini sarebbero i predecessori dei paninari?
Diciamo che i aninari sono dei sanbabilini a cui non frega niente
della politica, e che si sono distinti per l’aspetto. Qualcuno magari ha
iniziato da quelle parti, ma solo perché era di moda; io stesso ho fatto
qualche incontro con i ragazzi del Fronte della Gioventù, ma sono
durato giusto qualche mese, non me ne fregava nulla. Anche il bar
“Al Panino” rimase più una colonna storica, le compagnie si spostarono nei fast food.
Ok, quindi dopo i ragazzi di estrema destra sono arrivati i ragazzi
modaioli.
I Paninari erano ragazzini tra i 15 e i 19 anni, molto sicuri di sé e
con una spiccata vocazione al cazzeggio, gli interessava andare in
moto, Zündapp e Gilera su tutte, e provarci con le ragazze più carine.
Dei Sanbabilini hanno preso solo qualche elemento di stile, tipo il
bomber, e poco altro.
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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Cosa facevano durante il giorno?
Stavano in giro per il centro, al bar o nei fast food, andavano in discoteca il sabato pomeriggio o se avevano già amici diciottenni con
la patente ci andavano anche la sera. D’inverno frequentavano località
come Cortina, Madonna di Campiglio, piuttosto che St. Moritz o Courmayeur, e d’estate andavano a Forte dei Marmi, Santa Margherita Ligure o altre località dove i genitori avevano la seconda casa.
Giravano droghe o alcol?
Quasi niente, c’era giusto qualcuno che si faceva le canne, ma
poca roba. La cocaina ai tempi costava davvero troppo, l’eroina era
fuori discussione. Ti dirò, a malapena si beveva. C’era una cultura
contro l’eccesso di questo tipo. Guardando alcuni video dell’epoca,
sembra che i paninari siano comunque un gruppo di ragazzi un po’
arroganti, e molto diffidenti.
Era difficile entrare in un gruppo di paninari se non eri amico di
qualcuno, o se non seguivi il look alla lettera, o se facevi il fighetto sai, quei ragazzini vestiti come piccoli adulti, con i maglioncini con lo
scollo a V e le camicie inamidate. I Paninari dovevano avere le scarpe
sporche di grasso, un aspetto consumato. Io avevo messo le Timberland nel forno per consumarle al meglio.
Parliamo di questo look: quali marchi venivano usati maggiormente?
102
PIER LUIGI CHERCHI
Le primissime marche erano già famose negli Anni Settanta, come
la Levi’s, poi sono arrivati i piumini Moncler dalla Francia, dall’America
le scarpe Timberland, e iniziavano a diffondersi i marchi Giorgio Armani ed Enrico Coveri. Poi c’era la Best Company, disegnata da Olmes
Carretti, e la El Charro, prima per le cinture e poi per gli stivali, felpe
e soprattutto per i jeans. Si usavano le calze Burlington, i mocassini
Sisley, gli stivali Durango, gli occhiali Ray-Ban, le giacche Henri Lloyd,
e i capi di Stone Island. Per le giacche si usavano molto anche quelle
modello Top Gun dell’Avirex e quelle da motociclista della Schott. Gli
orologi che andavano di più erano lo Swatch e il Breil Hip Hop, per
chi se lo poteva permettere c’era il Winchester. Tra le femmine andavano la Naj Oleari e Fiorucci.
E tutto questo quanto costava?
Un paio di Timberland costava 200.000 lire, le Burlington 15.000, i
jeans di Armani o Stone Island intorno alle 80.000 lire, una felpa Best
Company sulle 200.000 lire, il Moncler costava circa 500.000 lire, un
orologio Winchester sulle 300.000 lire... Ecco, non erano spese che
potevano fare tutti.
I genitori dovevano esserne entusiasti. Che aspetto fisico avevano
questi ragazzi?
Portavano i capelli a spazzola lasciati lunghi dietro, oppure la pettinatura di George Michael negli Wham!, lunghi e leggermente cotonati. Il paninaro doveva essere il ritratto della salute: andava in palestra, si sistemava le sopracciglia, non doveva avere neanche un
brufolo. Si andava contro gli eccessi anche per questo motivo.
C’erano dei gruppi musicali o dei film smaccatamente da paninaro?
I gruppi più rappresentativi erano Duran Duran e Spandau Ballet,
ma il primissimo gruppo da paninari erano gli Wham!, poi i Pet Shop
Boys e i Depeche Mode. Non si ascoltavano granché i gruppi italiani.
I film erano quelli americani, Top Gun andava tantissimo, io mi sono
iscritto all’istituto aeronautico per colpa di quel film, poi Il segreto del
mio successo. Tanti telefilm, come Supercar, e si guardava sempre il
Drive In e Deejay Television, il programma in assoluto più paninaro.
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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C’erano anche riviste dedicate?
C’era Paninaro, la rivista di riferimento, Preppy era quella per ragazze, e poi c’era Cucador, una versione un po’ più fighetta delle altre.
Tutte queste riviste avevano dentro fumetti a tema, servizi di moda,
classifiche, tutto scritto nel linguaggio dei Paninari.
Forse l’elemento migliore dei paninari è proprio la creazione di un
linguaggio così specifico.
Sì, tutto il vocabolario paninaro è venuto fuori da sé, poi la caricatura di Enzo Braschi al Drive In ha aumentato il numero di vocaboli,
che sono finiti nell’allegato del numero tre del Paninaro, Il vocabolario
del Paninaro, dove c’erano i vari “cuccare”, “smerigliare” [mangiare],
i “sapiens” [genitori], “non me ne sdrumo un drigo” [non me ne frega
niente], insomma ci si capiva solo tra noi.
I paninari si sono offesi per l’imitazione di Braschi?
No, assolutamente. Italian Fast Food era uno dei film preferiti dei
Paninari, insieme a Sposerò Simon Le Bon. Piaceva moltissimo anche
Yuppies, e in un certo senso gli Yuppie erano i fratelli maggiori dei
Paninari.
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PIER LUIGI CHERCHI
SOTTOCULTURA METROPOLITANA: I METALLARI
Col termine metallaro si indica una
tipologia di persone appassionate
della musicaHeavy metal e delle varie band del genere (Motörhead, Kiss,
Judas Priest, Saxon, Scorpions, Iron
Maiden, Metallica) e le tematiche da
essa trattate. Il termine viene utililizzato anche per riferirsi al cosiddetto
“movimento metal”. Come per i paninari degli Anni ’80 e, per i Teddy
Tipico giubbotto in jeans con riferiBoys degli Anni ’50, in Italia i metalmento ai gruppi heavy metal
lari si diffusero tra la fine degli Anni
’70 e i primi Anni ’80 inizialmente a Milano e poi in tutto il territorio
nazionale seguendo l’ondata di disimpegno che fece seguito ai politicizzati Anni ’70. Proprio a Milano il movimento metal prese piede in
quartieri “difficili” come San Siro, Lorenteggio, Barona, Baggio, Lampugnano, Quarto Oggiaro, attraverso le aggregazioni nate spontaneamente nei locali hard rock, la passione per i concerti dal vivo di
musica metal in Inghilterra, Francia, Germania ed Olanda.
Da queste prime aggregazioni spontanee nacque una sottocultura
metropolitana identificativa nel comportamento, nel modo di vestire,
nelle aspirazioni, nel modo di vedere la società, perlopiù in stile rocker
angloamericano. Il metallaro vestiva tipicamente con un giubbotto
in pelle nera (il chiodo), ma anche bianco o rosso, indossato in estate
e inverno, stivali, jeans, catene e borchie, capelli lunghi e anche tatuaggi; la tipica immagine del metallaro lo presentava con un grosso
boccale di birra in mano (la birra era l’unica bevanda alcoolica accettata dal metallaro doc). I primi ritrovi nel centro di Milano erano
situati nella zona di via Torino presso bar, negozi di strumenti musicali,
di dischi o di abbigliamento di genere.
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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Con l’espansione della sottocultura metallara, si ebbe, per processo
naturale, la formazione di bande e sottobande, ciascuna dotata di
una propria base d’appoggio, costituita da un bar o negozio e da un
territorio ben delimitato nel quartiere; a differenza di altre sottoculture
più chiuse, i metallari formavano dei gruppi “aperti”, ovviamente
sempre nell’ambito della stessa base culturale, attraverso cui si poteva
arrivare anche a formare una grossa banda dell’orine di un centinaio
di persone.Numerose furono le riviste dedicate al movimento metallaro, tra cui Metal Hammer, Metal Shock ed altre ad origine anglosassone o germanica, con una discreta tiratura.
Come per i Teddy Boys degli Anni ’50, nella metà degli Anni Ottanta
a Milano fiorirono scontri e aggressioni, risse e vandalismi, specie
fuori dai locali e nei territori delle bande violati da altri gruppi; ciò
creò nell’opinione pubblica un’immagine sbagliata del metallaro, con-
siderato alla stregua di un teppista, e quindi emarginato dalle varie
forme di socializzazione più convenzionali.
Secondo alcune definizioni ricavate da
vari studi antropologici, il metallaro degli
Anni ’80 era sostanzialmente “un essere dotato di poche qualità
socialmente costruttive, che focalizza tutta
la sua vita su uno stru-
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PIER LUIGI CHERCHI
mento musicale o sull’ascolto continuo di ogni tipo di musica fuorché
quella “truzza”, della quale conosce ogni minimo particolare storico.
Molte delle sue abitudini sono derivate dal punk, ad esempio il pogo.
Questa tipologia di persone è per natura asociale, e ritiene di essere
la depositaria della verità riguardo ciò che concerne la musica, arrivando in alcune degenerazioni a dire che essa
dovrebbe essere fatta
solo di scale fatte a velocità esagerata”.
Possiamo trovare in
queste definizioni molti
sottogruppi di metallari,
legati ad una particolare
predisposizione per alcune
sottoculture,
come:
L’ Heavy Metaller: il più generico, alla ricerca di persone di sesso
femminile, si sente heavy metal e rifiuta quasi ogni altro sottogenere.
Beve una quantità innominabile di birra. L’heavy metaller è vestito in
stile Rob Halford, con chiodo e borchie che spesso superano il doppio
del peso corporeo del metallaro stesso, anfibi lunghi fino a sotto il ginocchio e maglietta con l’effige della band preferita.
Il Doom Metaller: sottogenere tendente alla depressione, quasi
come gli Emo; la musica che ascolta è interminabile e aumenta il
tono depressivo fino a sfiorare il suicidio.
l Death Metaller: è un Metallaro con tendenze necromantiche, necrofagiche, vicino alle sette sataniche e al culto del buio. Gira sempre
vestito di nero, anche in estate; porta anche croci rovesciate Ovvero
dalla parte sbagliata, come le usano i cristiani, anelli d’argento e piercing.
L’Hair Metaller: è il tipo di metallaro più tranquillo, a cui piace
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
107
vestire anche colori diversi dal nero
quali il rosso o il blu. Ha capelli lunghi (generalmente biondi ma non
mancano le eccezioni) e suona canzoni d’amore alla chitarra. È fanatico di Bon Jovi o dei Poison, non
manca mai ai concerti dal vivo.
Il Defender Metaller: Detto “Il
metallaro della leggenda” è
un’unione incredibile di tutti i tipi
sopra elencati. Nonostante un
aspetto non proprio accattivante è
gentile verso chiunque sia metallaro. Soffre di elevata schizofrenia
maniacale con crisi di rabbia narcisistica.
Il Mimetic Metaller: è un “cripto”, cioè una persona normalissima,
con buoni voti a scuola, un aspetto non appariscente e con la fama di
“tranquillo”; appena entra nella sua camera si trasforma, si toglie i
vestiti svelando un completo di borchie e punte, e accende lo stereo
sparando musica con un volume assordante.
L’Industrial Metaller: è generalmente vestito da operaio, con tuta
blu da meccanico, calza le scarpe col ferro in punta, i pantaloni sono
di solito jeans scoloriti con molte macchie di olio/grasso/sudiciume
vario, indossa inoltra una canottiera con chiazze di sudore vecchie di
alcuni mesi.
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PIER LUIGI CHERCHI
TENDENZE SOCIALI DEGLI ANNI ’80: IL PIANO BAR
Negli Anni ’80, parallelamente alla diffusione delle discoteche e della
disco-music dove prevalevano le età più giovani, si apriva, essenzialmente per un pubblico più adulto e con maggiori disponibilità economiche, lo scenario del “piano-bar”, con un ambiente più raccolto,
confidenziale, senza il fracasso della sala disco vera e propria, con la
possibilità di sedere e chiacchierare su comodi divani sorseggiando
un bicchiere di whisky (bevanda alcoolica cult degli Anni ’80) ed ascoltando e canticchiando sommessamente qualche brano conosciuto,
in un’atmosfera di rilassamento e di luce soffusa. Non di rado il pianobar di alto livello rappresentava il momento finale di una serata,
anche iniziata in discoteca o in un ristorante elegante del centro città,
per allungare la nottata del fine settimana e prepararsi agli impegni
lavorativi dell’indomani. Il piano bar rappresentava in quegli anni
l’evoluzione del “night” di vecchia memoria, luoghi dove non di rado
si esibivano prestigiatori o spogliarelliste di non ben nota reputazione.Il
prototipo del cantante musicista di piano bar degli Anni ’80, prima
dell’era tecnologica digitale, può esser considerato, con le dovute distinzioni, il famoso e tenero Sam del film Casablanca: “Suonala ancora, Sam” (As time
goes by), disponibile ad eseguire i
brani richiesti dal
pubblico.
Al centro della
sala (il modello a
Sassari è stato per
tanti anni il Nepentha Club di via
Giorgio Asproni
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
109
poi negli Anni 2000 Sergent Pepper’s) faceva bella mostra di sé il pianoforte a coda – in genere aperto per privilegiare il volume e il
soustain – indispensabile oggetto di arredamento prima ancora che
strumento musicale, spesso con una lampada liberty sistemata sul ripiano davanti al pianista. Intorno al piano in genere spesso venivano
sistemati quattro o cinque sgabelli, sui quali prendevano posto i fedelissimi o più spesso le fedelissime, che sostenevano il pianista durante
la serata. Proprio il pianista era il fulcro centrale del locale: negli Anni
’80 non esistevano le moderne tastiere elettroniche in grado di riprodurre basi musicali o accompagnamenti automatici, e i brani venivano
eseguitiutilizzando il pianoforte e un microfono collegato ad un mixer
con camera eco (piano e voce), al massimo con l’ausilio di una sgangherata batteria elettronica . Potevano essere presenti degli altri microfoni per cantanti occasionali che chiedevano di eseguire un brano
tra il pubblico, sempre in maniera garbata, senza arrivare alla gazzarra
del turpe karaoke degli Anni ’90. Il pianista era in genere un “crooner”,
cioè un cantante “confidenziale”, non un urlatore ma un vocalist dalla
voce adatta all’atmosfera del locale, quasi sussurrata, soffusa, non assordante, tiepida come una sala da the.
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PIER LUIGI CHERCHI
Un particolare lustro al piano bar poteva essere dato dalla presenza
di un garbato sassofonista, alla Fausto Papetti, che, accompagnato
dal pianista si cimentava in brani solisti o in assoli inseriti in brani
pop come il mitico “Careless winsper” di George Michael o “Alta marea” e “Amici mai” di Venditti. Una coppia storica del piano bar sardo
così articolata, piano a coda e sassofono, sono stati gli olbiesi Tony
Derosas e Tony Marino, che ho incontrato nelle serate di gala di congressi ginecologici in Sardegna negli Anni ’80, e che mi hanno permesso di sostituirli in brevi performance voce e piano (una volta a
Calasetta addirittura ebbi l’onore di essere accompagnato al sax da
Tony Marino mentre cantavo proprio “Careless winsper”).
Il repertorio era vastissimo, spaziando dagli ultimi successi alla
musica degli Anni Sessanta (molto richiesti i vecchi Beatles in versione
soft, come “And i love her”, “Something”, “Michelle”, “Let it be”), e
settanta, con Lucio Battisti, De Gregori (nel 1984 un cult del piano bar
era proprio “La donna cannone”) Claudio Baglioni, Pino Daniele, Renato Zero per cantare tutti insieme. Gestire una serata al piano bar
non era semplice perché il musicista doveva tener conto delle persone
in sala e quindi proporre musica capace di coinvolgere tutto il pubblico
presente. Di solito la serata iniziava con brani lenti e soffusi, di sottofondo, per dare modo alle persone di chiacchieraree guardarsi intorno;
successivamente si poteva passare ad una musica più ritmata per
permettere ai presenti anche di ballare e divertirsi.
Molto importante era nel locale la professionalità del cameriere,
spesso di mezza età e di grande esperienza, capace di curare le pubbliche relazioni servendo cocktail accompagnati da noccioline americane, olive e patatine.
Il pianista, non avendo le possibilità tecnologiche attuali per arrivare facilmente agli spartiti, doveva estrapolare i testi e gli accordi
dal disco, facendolo tornare continuamente indietro sul piatto giradischi, e spesso poi battere le parole delle canzoni a macchina e mettere i fogli in un album trasparente. L’abilità del pianista consisteva
poi, oltre che nel capire il target del pubblico presente e quindi i
brani da proporre, anche nell’evitare spazi “morti”, pause di silenzio,
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
111
Il piano bar delle Tonnare (Stintino) dopo il restyling
che potevano abbassare l’entusiasmo (poteva essere sufficiente, mentre si decideva la canzone successiva, sfisare delle note sul pianoforte
per fare da sottofondo). Alla fine di ogni serata il musicista doveva
compilare il bordereau (italianizzato in borderò) su un modulo rilasciato dalla SIAE (Società Italiana Autori ed Editori), in cui venivano
indicati i brani eseguiti con i rispettivi autori per i diritti di riproduzione. In realtà l’elenco che veniva stampato non era mai corrispondente a quanto eseguito in sala, in quanto per semplicità e per pigrizia
alla fine si indicavano varie canzoni dei Beatles tutte Lennon-Mc Cartney, e di Lucio Battisti (Mogol-Battisti) tralasciando tutti gli altri compositori.
Il pianobar non rappresentava un luogo dove fare un concerto,
ma molti pianisti, anche di grande calibro, talora si lamentavano perché il pubblico continuava a conversare durante la loro esibizione.
Mi è capitato di sentire un pianista al Golf Hotel di Madonna di Cam-
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PIER LUIGI CHERCHI
piglio
confidarmi
“Posso anche spegnere
il microfono e fare delle
note a caso che tanto
nessuno se ne accorge…”. In realtà se
questo era il limite del
piano bar, questa era
anche la sua grandezza
: essere inseriti in un
ambiente caldo, ovattato, dove le note arrivavano senza creare rumore
o
fastidio,
lasciando la possibilità
di ascoltare e nello
stesso tempo di comunicare con gli altri.
La mia esperienza
personale di piano bar,
a parte sporadiche esibizioni (sempre solo
piano e voce) di una
Piano bar del Golf-Hotel, Madonna di Campiglio 1989 ventina di minuti in locali sassaresi come il
Nepentha e Le Querce (per la cortesia del grandissimo Gianni Davis),
il Buendja, o il fantastico Piano bar del Golf Hotel di Madonna di
Campiglio – dove ogni anno suonavo per gentile concessione di Alessandro, un pianista toscano della mia età che approfittava della mia
presenza per riposarsi e bere qualcosa al bar – è legata alla fine degli
Anni ’80 al piano bar della piazzetta delle Tonnare a Stintino. Il locale
era gestito da napoletani, in particolare da Paolo Sansone, un ragazzone estroverso e generoso, amico di tutti, che curava le public relations in modo ottimale. Il pianoforte si affacciava su una piazzetta interna dove erano sistemati i tavolini all’aperto e io suonavo per tutto
il mese di agosto tutte le sere dalle 23 alle 4 del mattino senza percepire
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
113
alcun compenso, solo piano e mixer per la voce.
Alle mie spalle avevo sistemato una giraffa con un altro microfono
per i cantanti estemporanei (quasi sempre napoletani) che chiedevano
di esibirsi. Tutte le sere a mezzanotte, immancabilmente, tutte le notti,
cantavo “Una carezza in un pugno” di Celentano (a mezzanotte sai
che io ti penserò, dovunque tu sarai sei mia… e stringerò il cuscino
tra le braccia, mentre cercherò il tuo viso… che splendido nell’ombra
apparirà…). La piazzetta era sempre piena e animata, con altri musicisti che ogni tanto volevano esibirsi anche al pianoforte, una stagione
fantastica, irripetibile.
Dall’inizio degli Anni ’90 in poi con l’avvento delle tastiere arranger
e dei midifiles, inizia purtroppo la crisi del piano bar tradizionale, con
la diffusione del dilettantismo. La maggior parte dei musicisti “di pianobar” oggi sono persone improvvisate senza nessuno studio musicale
e canoro e soprattutto senza una adeguata gavetta, che cantano sulle
basi midi facendo finta di suonare e improvvisando pietosi karaoke
col pubblico presente. Oggigiorno il solo pianoforte acustico soprattutto a coda o una mezza coda, è piuttosto in disuso e rimane ormai
relegato ai soli night club d’impostazione classica, oppure si trova
114
PIER LUIGI CHERCHI
nelle sale degli hotel di lusso a far bella mostra di sé in attesa che
qualche musicista preso dal demone del suono si sieda e inizi a fare
una piccola esibizione per gli amici presenti.
Perché è morto il piano bar? Qualcuno ha individuato la causa
nella crisi economica, che ha ridotto di molto l’accesso ad un tipo di
intrattenimento che prevedeva comunque continue consumazioni e
quindi un certo budget di spesa, nello spirito delle nuove generazioni
che hanno perso il gusto della promiscuità, del chiacchiericcio, ormai
intrappolate mentalmente nelle sirene degli smartphone, nella qualità
della musica di oggi che non si presta ad essere eseguita da un singolo
artista e cantata da tutti: certamente il pianobar degli Anni ’80 non
esiste più, anche perché non esistono più artisti in grado di esprimersi
in quella maniera.
A differenza di allora ci sono ancor oggi molti gruppi che si esibiscono dal vivo in questi locali-bar, disco-bar etc. con eccessivo fracasso e poca confidenzialità, ma quel mondo spensierato, spaccone,
forse anche un po’ goliardico, dei trentenni-quarantenni di allora, il
mondo dei film di Vanzina come “Yuppies“ o “Vacanze di Natale” è
definitivamente sepolto nei ricordi di chi ha oggi superato i sessant’anni.
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
Piano bar - Francesco De Gregori
Uno scudo bianco in campo azzurro,
è la sua fotografia,
chiunque lo conosca bene
può chiamarlo senza offesa
uomo di poca malinconia.
È un pianista di piano bar,
vende a tutti quel che fa
non sperare di farlo piangere,
perché piangere non sa.
Nella punta delle dita poco jazz,
poche ombre nella vita.
Solo un pianista di piano bar
e suonerà finché lo vuoi sentire
non ti deluderà,
solo un pianista di piano bar
e canterà finché lo vuoi sentire
non ti disturberà.
Questo strano tipo di bambina,
vuole la compagnia,
la risata forte e l’amicizia a cena,
ama se stesso senza allegria.
È un pianista di piano bar,
vende a tutti quel che fa
non sperare di farlo piangere,
perché piangere non sa.
Nella punta delle dita poco jazz,
poche ombre nella vita.
Solo un pianista di piano bar
e suonerà finché lo vuoi sentire
non ti disturberà,
solo un pianista di piano bar
e canterà finché lo vuoi sentire
non ti deluderà.
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PIER LUIGI CHERCHI
IL PIANISTA CONFIDENZIALE CHE FACEVA INNAMORARE
Intervista a Gianni Davis
Quando sei nato artisticamente?
Ho iniziato a suonare il
pianoforte a orecchio nel
1948, da bambino, a casa di
una mia zia, Giovanna
Roggio, famosa concertista… Nella sua casa si tenevano dei concerti con la
partecipazione di un
grande direttore d’orchestra, Wolfang Ferraris…
Successivamente mio padre, visto che avevo questa
inclinazione così forte, mi
regalò un pianoforte a coda acquistato da Colangeli, in piazza Università. Ma l’ingresso vero e proprio nel mondo della musica è scaturito
dall’incontro con Luigi Piana, miglior musicista dell’epoca e di idee
molto innovative. Pensa che, mentre gli altri suonavano stando seduti
comodamente, lui era capace di suonare la fisarmonica e cantare
contemporaneamente al microfono… è stato un precursore, in assoluto…
Un giorno, da ragazzino, arrivai al Teatro Verdi dove si teneva il famoso “Arciultraveglionissimo” della stampa, con due orchestre: una
era la classica Orchestra Swing di quei tempi diretta da Francesco
Serra, e dalla parte opposta quella di Luigi Piana, più moderna, con
trombe, fiati, che suonava in maniera meravigliosa “Smoking in your
eyes”… Ebbi come una folgorazione e dissi a me stesso: quella sarà la
mia strada.
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
117
Hai iniziato con un gruppo?
Sì… proprio Luigi Piana, che oltre ad essere un musicista straordinario era anche un talent-scout, nel 1958 mi scoprì e mi inserì in un
suo gruppo “I sofisticati”. Oltre a Luigi Piana c’erano Costanzo Cossu
che suonava il contrabbasso, il fratello alla batteria,e Vincenzo Piroddu
alla chitarra. Erano i tempi favolosi del Lido Iride, dove arrivavano
per le serate Mike Buongiorno, Teddy Reno… una sera accompagnammo addirittura Claudio Villa… Suonammo per un paio d’anni
con questa formazione finchè non cambiammo radicalmente il
gruppo nel 1959 con la nascita dei “Baronetti”, inserendo i fratelli
Costa, Antonio e Carlo, Tonino Concu alla chitarra e Antonio Usai
alla batteria.
Iniziammo a suonare ininterrottamente al “Pontinental”, che stava
appena nascendo… ricordo che gli operai stavano ancora concludendo i lavori quando abbiamo iniziato... allora l’ambiente era assolutamente “chiuso”, solo agli inglesi era permesso l’ingresso, però a
noi era concesso di uscire con le inglesine… Il Direttore era Gianfranco
Tresoldi, grande organizzatore…
Ci pagavano bene per quei tempi e io mi comprai il primo spider,
una 1200 Fiat…
In quel periodo è nato il primo disco dei Baronetti...
Certo… Un bel giorno Luigi Piana decide di fare musica tradizionale… compone una canzone e fa fare il testo a Galleri: nasce così
“Caddarina e lu pizzoni”, il primo disco di un complesso sardo. La registrazione base la fece al Pontinental, con i suoi registratori, Gianni
Coni, tecnico elettronico che inviò poi la traccia in Continente realizzando il 45 giri, con sul retro “Te lo prometto”.
Abbiamo continuato così, con la stessa formazione per due anni,
fino al 1961, quando la mia strada cambiò per un caso del destino. Infatti al vicino Lido Mura, al “Platanight” vero night club con prestigiatori, spogliarelliste, suonava tale Josè De Angelis, vero istrione che
addirittura, durante le sue esibizioni sul palco si strappava la camicia.
Nella sua orchestra c’era Johnny Crasta, eccezionale musicista di
Berchidda, che mi aveva sentito suonare al Lido Iride, ed ad un certo
punto, per dissapori con il capo, decise di creare un suo gruppo in-
118
PIER LUIGI CHERCHI
sieme a Piero Tolu, che in quel periodo si stava laureando in medicina,
a Tony Marino, grande sassofonista, chiedendomi di unirmi a loro ne
“I Cinque Joe” .
Da quel momento hai iniziato a girare il mondo...
Bè… dopo due mesi di prove a Berchidda, a casa di Johnny, siamo
partiti per Lecco, con un contratto settimanale in un dancing della
zona… ci pagavano una volta alla settimana… ecco quello è stato un
periodo di fame, un’esperienza comunque molto formativa…
Poi ci siamo trasferiti all’Hotel Savoia di Cortina, al Casinò di Lugano
fino ad arrivare a Beirut… erano i tempi di Felice Riva… i grandi
della finanza fuggivano in Libano… Lì abbiamo fatto veramente i
soldi, facendo i “posteggiatori” napoletani con il mandolino e le canzoni partenopee, O’ sole mio, Scalinatella… davanti agli sceicchi che
davano delle mance paurose… Così ho potuto comprarmi la Duetto
rossa…
Poi siamo tornati a Milano al Maxim, all’Astoria… suonavamo anche dopo Peppino di Capri e Bruno Martino… Qui, per seguire una
ballerina greca sono finito ad Amsterdam a suonare il piano in un
piccolo locale, e ancora, sempre con lei, a Ginevra al “Battaclan”. Il
locale era stretto e lungo, il piano era in fondo, ai lati era tutto pieno
di ballerine e di tavolini… il padrone mi faceva pervenire continuamente un bicchiere pieno,
ma essendo completamente
astemio, di nascosto facevo sostituire l’whisky con il tè… e così
potevo tirare avanti…
La mia carrierà continuò a
Bruxelles… lì, una sera, nel ristorante in cima all’“Atomion” sentii
un pianista che intratteneva i
clienti con un pianoforte, accompagnato dal ritmo di una batteria.
Incuriosito mi alzai e andai a cercare il batterista che non si tro-
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
119
vava da nessuna parte, pensando tra me “ma dove ca… è questa batteria?” Sorridendo il pianista mi disse “No, Monsieur, c’est la boite de
musique”. E così scoprii per la prima volta, era una novità assoluta, la
batteria elettronica, chiedendo subito la marca e il modello per poterla
acquistare. Parlai con Gianni Coni e riuscii a farla arrivare scrivendo
direttamente alla Gibson… Fui in pratica il primo in Italia a disporre
di questo strumento… tutti restavano incantati…
A questo punto sei tornato a Sassari…
No, ho suonato ancora a Zurigo, e poi, reclamato da mio padre
che voleva che mi occupassi del negozio, sono tornato a casa che
avevo 21 anni… ho comprato subito un organo Farfisa professional,
un microfono e l’amplificazione con Leslie, insieme alla batteria elettronica Gibson di cui ho parlato… Ero l’unico ad avere un impianto
del genere. E infatti venni richiesto per una serie di serate conviviali
a Cagliari da Rocca, allora presidente del Cagliari e padrone dell’Hotel
Mediterraneo. Pensa che mi mandava un furgone per trasportare gli
strumenti e il biglietto aereo Alghero-Cagliari e ritorno, due volte alla
settimana per suonare al Mediterraneo.
Come sei entrato a far parte dei Bertas?
Nel frattempo, a Sassari, i Baronetti attraversavano un momento
di crisi: Antonio e Carlo Costa erano usciti dal gruppo e avevano
creato un nuovo complesso, i Bertas, con Antonio Usai alla batteria,
Mariolino Gadau, chitarra e voce, e il terzo fratello Costa, Monduccio,
a cui Antonio aveva insegnato a suonare la tastiera in quattro giorni…
Monduccio aveva un falsetto eccezionale, incredibile… il fischio di
“Fatalità” era suo… Mi chiamarono per completare il gruppo e ci si
accorse subito che, come voci, non c’erano rivali, venivano fuori dei
cori angelici, celestiali… Ai concorsi canori rimanevano sbalorditi…
non credevano alle loro orecchie, spesso ci chiedevano di ripetere il
pezzo… Così siamo approdati alla RCA e Greco, uno dei capi, incaricò
il compositore Piero Pintucci di creare un pezzo apposta per noi:
nacque così “Fatalità”… anche se voci di corridoio facevano capire
che c’era lo zampino di Trovajoli… fu un successo enorme, la abbiamo
incisa anche in spagnolo per il Sudamerica.
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PIER LUIGI CHERCHI
“Fatalità” ci aprì la strada anche per la televisione, con apparizioni
a “Chissà chi lo sa” di Febo Conti, il grande Concerto di Natale presentato da Pippo Baudo, con la partecipazione di Patty Pravo e gli
altri artisti della RCA e altre trasmissioni. La casa discografica ci fece
incidere anche dei 33 giri con cover di artisti americani… la stessa
“Dondolo” era una cover di un brano degli Anni ’50… e alla fine ci
convocò chiedendoci di trasferirci a Roma per essere sempre a loro
disposizione per eventuali trasmissioni RAI.
Per problemi di lavoro e di disponibilità... c’era chi lavorava alla Frigosarda, chi in una orologeria, io avevo il negozio da seguire… non se
ne fece nulla e la RCA se lo legò al dito… ma d’altronde allora non eravamo sufficientemente maturi e indipendenti per fare certe scelte.
Era proprio il periodo del beat… Come lo vivevate?
Mah... si doveva fare qualcosa che riguardava quella musica,ma
essenzialmente il nostro genere era melodico, musica più tranquilla.
Gli stessi Beatles non erano i nostri ispiratori, anche perché allora i
Barrittas li proponevano continuamente nelle serate e nelle piazze...
Benito aveva una voce che li imitava perfettamente… per cui, data la
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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rivalità che c’era tra i due
gruppi noi preferivamo
fare cose diverse, magari
“Good Vibrations” dei Beach Boys, tutto cori vocali
senza una voce singola
che emergeva… Il primo
grande cantante solista
che è entrato nei Bertas è
stato Giuseppe Fiori che
ha sostituito alla batteria
Antonio Usai, ma io ero
già andato via…
Arriviamo quindi al
Gianni Davis “single”.
Quando è successo? E
come è nato il nome?
Per quanto riguarda il nome è stato un caso. A Ginevra suonavo in
un piccolo locale e all’inizio il gestore e i clienti mi chiedevano il
nome: io dicevo Canu e tutti, invariabilmente, lo storpiavano. Allora
ho deciso di modificarlo in Davis, così di fantasia… e nessuno lo ha
più sbagliato.
Nel 1968 ho lasciato i Bertas perché, dopo due anni, il mio desiderio
era di suonare il piano da solista, specie nei night-club… quello era il
mio mondo, più che le piazze, la confusione, il frastuono, le centinaia
di persone…
No, non ero fatto per la musica beat, anche perché la mia cultura
musicale era internazionale: io facevo jazz, latino-americano, qualsiasi
tipo di musica… pensa che canto in tutte le lingue… italiano, inglese,
francese, tedesco, spagnolo… anche arabo, mi sono formato attraverso i night e ho sempre cercato di impadronirmi della cultura di
quella nazione, con un arricchimento non solo per quanto riguarda
la cultura musicale.
Quindi nel 1968-69, mentre contemporaneamente prendevo il brevetto di pilota, ho lavorato in Costa Smeralda, fino ai primi Anni ’70…
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PIER LUIGI CHERCHI
io facevo anche la “spalla” a molti gruppi. Per esempio a Capodanno,
al Circolo Sassarese, mi alternavo con i Baronetti: loro finivano di
suonare e iniziavo io, e così con altri complessi…
Come era il tuo look a quei tempi? Non seguivi la moda psichedelica?
Assolutamente… io ho sempre evitato quei colori sgargianti, ho
sempre suonato esclusivamente in smoking come solista, anche perché i luoghi lo richiedeva- o… pensa all’Hotel Cervo, al Circolo Sassarese, al Mediterraneo. L’ambiente dei night era molto diverso dalle
sale da ballo tradizionali…
Anche per questo ho sempre evitato il contatto diretto con i clienti,
i pranzi, le risate, le pacche sulla spalla… l’artista deve sempre restare
distaccato, essere, per forza di cose, sempre più in alto, lontano in un
certo senso… Mi ricordo che Moreno Cecchini mi rimproverò un Capodanno perché aveva preparato un bellissimo tavolo per me che io
non utilizzai, e mi disse: “Maestro, ma cosa fa? Le ho preparato il miglior tavolo della sala e lei non lo utilizza!”. Addirittura io, ancora
oggi, evito di preparare gli strumenti davanti ai clienti: arrivo e inizio
a suonare… l’artista deve essere così, inarrivabile, non un compare…
Hai mai suonato nelle salette, nelle famose cantine?
No, perché noi, come Bertas, viaggiavamo su alti livelli, televisione,
RCA, per cui non abbiamo fatto la gavetta dei complessi minori. Addirittura io non conosco i componenti di tutti quei gruppi che hanno
fatto la storia della musica sassarese degli Anni ’60, i Dana, i Boba, e
altri... È capitato di incontrare qualcuno, dopo tanti anni, che mi ha
detto: “Non ti ricordi? anch’io suonavo in quel periodo”… purtroppo
non avevamo contatti con loro…
Dopo Gianni Davis, naturalmente, e lo dico con molta sincerità,
chi era il miglior tastierista a Sassari?
Non c’erano allora pianisti di alto livello. L’organo serviva solo per
fare gli accordi, per fare un suono più “pieno”, ma non c’erano grandi
solisti… L’unico è stato Vito Seu, di Santa Teresa, ma è venuto molto
dopo….
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
123
Quindi in quei primi Anni ’70 un Gianni Davis in smoking e immerso
in una musica pacata, in punta di piedi in mezzo ad un mondo di
scalmanati…
Sì, il mio mondo era quello… io mi definivo un pianista “confidenziale”. Dicevo: datemi al massimo una sala di 100 metri quadri
perché già 120 sono troppi… io facevo parte dell’arredamento, non
dovevo “esplodere” per farmi notare, come fanno tanti artisti anche
adesso… Il mio compito, se così si può dire, era quello di “ruffiano”,
di far innamorare, con la mia musica, le coppie che mi ascoltavano.
– Ecco perché in tanti anni di carriera non ho mai sbagliato una
serata… io avevo la possibilità, anche perché non avevo problemi
economici, di scegliere il locale, il padrone ed il cliente, non dovevo
suonare per forza… lo decidevo io quando, dove e come…
Hai tanti ricordi di quei primi Anni ’70?
Ho suonato davanti a tante personalità… a Cossiga, a Rovelli, a
Vittorio Emanuele… Tutti venivano e mi facevano i complimenti. Ricordo una volta Cossiga, che, prima di andar via si avvicinò e mi
disse: “Complimenti! E di dove sei?”… e così anche Rovelli, all’Hotel
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PIER LUIGI CHERCHI
Capo Caccia, anche lui venne vicino al pianoforte e mi disse: “Maestro,
complimenti, veramente… è stata un’atmosfera deliziosa!”
Poi ho iniziato con le sfilate di moda… al Padiglione dell’Artigianato,
al Jolly, al Circolo Sassarese… io ho creato una musica non solo di
contorno ma anche un sound che desse il ritmo alle modelle mentre
sfilavano… ora mettono dei CD senza nessun sincronismo con i movimenti… allora era tutto diverso…
C’è un aneddoto che ricordi particolarmente?
Beh... quando suonavo al Pontinental e avevo la Duetto rossa,
come ti ho detto, uscivo con le inglesine… Siccome, per forza di cose
dovevo passare con la mia macchina sotto la casa della mia fidanzata,
allora le coprivo con un plaid anche se c’erano 40 gradi… Loro non
riuscivano a capire…
Lo possiamo scrivere?
Certo, quella fidanzata è la mia attuale moglie che è qui presente…
ormai ci ha fatto l’abitudine…
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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LA SASSARI DEGLI ANNI ’80
Come le altre città di provincia anche Sassari risente del cambiamento
dei costumi sociali legati al “riflusso” ed alla volontà edonistica di
quegli anni. Cambia completamente l’abbigliamento, con abiti di
moda, vestiti eleganti, capi sempre più griffati che sostituiscono il “casual” quotidiano imposto dalla seconda metà degli Anni ’70, con una
rivitalizzazione insperata dei negozi di abbigliamento del Centro storico, da Posh a Petronius, da Paolo Tola a Tonino Maresu per citarne
solo alcuni.
Gli anfibi, gli stivaletti col tacco, le polacchine di vecchia data vengono sostituite dalle emergenti
Timberland, che rappresentano
coi piumini Monclair un vero
status symbol dei ragazzi (i paninari) della nostra città.
Ragazzi sassaresi degli Anni ’80 a Monserrato
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PIER LUIGI CHERCHI
La gente respira un
nuovo modo di vivere
dopo il periodo buio degli
anni di piombo; si esce alla
sera in giro per i locali alla
moda, mentre piazza d’Italia e via Roma sembrano
aver perso il loro fascino rispetto ai decenni precedenti.
Nella prima metà degli
Anni ’80 comunque, nella
parte bassa di piazza d’Italia, nelle panchine di fronte
al Banco di Napoli, stazionavano i punk sassaresi con i grossi radiomangianastri di quegli anni da tenere in spalla, ascoltando musica e
bevendo birra, mentre di fronte al caffè oggi “Vittorio Emanuele II”,
fianco BNL, si incontravano i paninari, teen agers vestiti con i capi
griffati dell’epoca, che dovevano rientrare a casa entro le nove di
sera. Si racconta che una sera d’inverno una spedizione di ragazzini
borgatari provenienti dal Latte Dolce costrinse i ragazzi “bene” a togliersi le scarpe e a consegnarle ai giovani teppisti che si allontanarono
indisturbati col loro bottino di Timberland.
Ma sono proprio i trentenni ed i quarantenni sassaresi che diventano padroni della scena,
dopo aver subito il predominio dei teen agers e dei
ventenni nei due decenni
precedenti, quando i giovanissimi d’impeto avevano
scalzato le generazioni più
attempate: i ristoranti vengono presi d’assalto (“l’Assassino” di Carmelo Nieddu,
“Gianni e Amedeo” all’inizio
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
127
in viale Dante e poi nella sede attuale di via Alghero, il “Liberty”, “Gesuino”, il “Florian” in via Roma etc), e così i bar più eleganti (Mokador,
Mocambo) per l’aperitivo di fine mattinata.
Fioriscono nuovi locali, da ballo o d’intrattenimento come il Byblos,
il Nepentha (futuro Sgt Pepper’s), il Serra Nera, il Pe Bay, il Buendia,
mentre nell’hinterland si balla nel fine settimana ad Ossi al Blu Star (il
cui nome è il titolo di un pezzo degli Shadows degli Anni ’60 in Inghilterra) e alla Scala Ruja, ad Alghero al Ruscello (vecchio OK Corral
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PIER LUIGI CHERCHI
Il Blu Star negli Anni ’80
L’ingresso dell’Atrium da Via Milano
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
129
degli Anni ’60).
La discoteca Blu
Star a Ossi nasce
proprio
nei
primi Anni ’80,
dalla lungimirante intuizione
dei fratelli Peppino & Piero
Muresu e del
loro socio Peppino Murgia; si
balla specie nel
fine settimana
con la musica
dello storico DJ
Gabriele Pinna.
Nei suoi pri- 1984: esplode la gioventù sassarese al Ruscello
mi anni il Blu
Star ospiterà famosi personaggi del mondo dello spettacolo, come
Gianfranco D’Angelo ed Ezio Greggio del Drive In, i maghi Borsalino,
Giucas Casella e il mitico Silvan, nonché famosi cantanti degli Anni
’60 come Mario
Tessuto,
Cristiano Malgioglio, Gianni Pettenati e Dori
Ghezzi e spettacoli di intrattenimento come il
catch nel fango
e numeri da
circo.
Il Pebay, la
prima vera discoteca di Sas- Dolci serate estive a “La Siesta”
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PIER LUIGI CHERCHI
Yuppies sassaresi con la mitica Volvo 740, e abbigliamento invernale tipico Anni
’80: Ray Ban, montone, giubbotto di pelle, pantaloni di velluto, Timberland e stivaletti femminili con jeans Armani e giubbotto informale con spalline
sari, nasce all’inizio degli Anni ’80, vicino all’antica chiesetta di San’Orsola, dall’idea di due imprenditori lungimiranti: Giuseppe (Pe)
Pinna Nossai e Baingio (Bay) Nuccio Scanu, e costituisce per quattro
anni il punto di ritrovo dei giovani dell’epoca, specie trentenni e quarantenni, gestiti da un giovanissimo Nello Usai, che proprio al Pebay
aveva iniziato la sua attività con Vittorio Di Maria.
Nella metà degli Anni ’80 inizia la storia dell’Atrium di via Milano,
che monopolizzerà le serate della gioventù sassarese.
Punti focali delle serate dei ragazzi sassaresi degli Anni ’80 sono
fuori porta il Man Pea, (dalle iniziali dei proprietari Manca e Peana), il
Lady Night a Valledoria, il Blue Moon a Porto Torres, la discoteca
Marini a Ottava, e soprattutto Il Ruscello, ad Alghero nato sulle ceneri
del mitico OK Corral degli Anni ’70.
Alla fine degli Anni ’80, in vetta al colle sovrastante la mitica Scala
Piccada (la strada tutta tornanti dove si corre la famosa gara automobilistica) rinasce dalle ceneri degli Anni ’60, dove il locale fu teatro di
una famosa e spettacolare rapina, La Siesta, non più come night di tipizzazione spagnoleggiante (come il famoso El Fuego diventato poi
Tris Blu sul litorale di Alghero negli Anni ’70), ma come discoteca e
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
131
anche piano bar, di proprietà dei fratelli Piero e Peppino Maresu.
Il locale si contrassegna, oltre che per il target della clientela, tutta di
livello medio-alto, anche per la splendida vista che offrono le sue terrazze con viste mozzafiato su tutto il Golfo del Corallo.
Oltre alle discoteche si diffondono in maniera massiccia i club privati,
dove c’è oltre alla ristorazione e al bar qualche volta anche musica dal
vivo, ricordiamo il Gagà nella parte iniziale di via Lamarmora all’angolo
con via Carmelo, l’Equivoca in vicolo Viola, il Papillon in via Monsignor
Marongiu, il Dopolavoro Ferroviario nato proprio sotto il cavalcavia
all’inizio della strada per Alghero, L’altro Mondo in regione San Simplicio,
il club di Giovanni Serra, fantastico chef con le prelibatezze della cucina
di Oliena, sulla SS 131 fianco a Li Lioni, scomparso prematuramente, e
altri. Peraltro aumenta la frequentazione dei locali tipici sassaresi, con
fave, piedini d’agnello e cordula con piselli, come il mitico Migali, frequentato da molti politici di sinistra, come ricorda Mario Pala (“Noi andavamo più spesso da Migali con i compagni del partito, e devo dire
che aveva per noi un occhio di riguardo… ci riservava tutte le prelibatezze del giorno; chiaramente era tutta cucina sassarese, non potevi
certo chiedere l’aragosta, ma anche l’ambiente era molto caldo e accogliente...).
Il Gagà, così chiamato dalle iniziali dei soci fondatori Gianni Bassu,
Angelo Contini, Gianni Fracassi e Andrea Costa, e ricordato anche
come ex MES (Movimento Ecologico Sardo, che proprio in quel locale
di Via Lamarmora aveva la sua sede), rappresenta un punto di riferimento per i giovani sassaresi dell’epoca, con una ristorazione prevalentemente impostata sulla sassareseria (fu pubblicato addirittura un
libro, oggi introvabile, dal titolo “Le pietanze sassaresi del Gagà”), musica dal vivo con concerti di un giovanissimo Paolo Fresu, la chitarra
di Pinuccio Cossu, e addirittura musica sinfonica eseguita con un pianoforte a coda da una studentessa del Conservatorio di Sassari diventata poi concertista (Gianni Bassu ricorda le fatiche e l’impegno
per trasportare un pianoforte a coda in quella sede così disagiata). Il
locale rappresentava l’espressione dinamica del mondo degli Anni ’80:
aperto tutte le sere si riempiva di clienti e di avventori occasionali
fino a notte fonda; l’ambiente era variegato, frequentato da una moltitudine di medici, di avvocati, di professionisti, ma anche da operai e
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PIER LUIGI CHERCHI
La bella vita sassarese degli Anni ’80 passa anche per le barche, sempre più numerose nel mare turchese di Stintino o nelle calette di Alghero
muratori che il venerdi sera, dopo aver ricevuto la paga settimanale,
si presentavano in tuta, mescolandosi agli altri presenti.
Gianni Bassu ricorda i fasti di quel periodo storico, gli Anni ’80,
dove si viveva un clima di opulenza, di edonismo, di “voglia di vivere”
a tutti i livelli, con una grande circolazione di denaro non soltanto
nelle fasce sociali più alte, con il locale sempre pieno, anche all’inizio
della settimana, senza periodi “morti” o di scarsa attività. “Ti ricordi…
(racconta Gianni Bassu) voi venivate con i tuoi amici anche due-tre
volte alla settimana, e così anche tanti altri medici, Giovanni Fadda,
Gianni Pirisi, Buscarinu, Enzo Riva, i chirurghi dell’Ospedale Civile,
Rettaroli... adesso mi sfuggono i nomi, e poi tanti politici, Billia Pes,
Perrone… molte campagne elettorali le hanno organizzate qui seduti
a tavola...”. Nei primi Anni ’90, in coincidenza con la stangata di Tangentopoli e l’avvento della Seconda Repubblica con conseguente
“congiuntura” in tutti i settori, il locale chiude dopo le defezioni di
Andrea Costa e di Gianni Fracassi, con i soli Angelo Contini e Gianni
Bassu a reggere fino in fondo la baracca.
Un altro importante centro di aggregazione della gioventù sassarese sopra i trent’anni diventa il Centro Commerciale della marina
di Sorso (oggi praticamente abbandonato e devastato dai vandali),
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
133
I campi da tennis del Centro Commerciale di Sorso
con una grande piazza con al centro una fontana, e una miriade di
negozi e locali tra cui eleganti ristoranti e pizzerie come quella di
Mario Franco, un ragazzo di Nulvi poi scomparso prematuramente.
Il ricordo in rewind dei vecchi nostalgici di quegli anni fa rivivere in
una patina sbiadita gli spruzzi nella fontana, la piazza piena di persone, la gente seduta sulle gradinate che mangia il gelato, o nei ta-
Il residence vicino al Centro Commerciale dove è stato ritrovato negli Anni ’90 il
cadavere decapitato della entraineuse ungherese Vicky Danyi. La morte che spaventa ha condannato un luogo, fatto scappare la gente, cambiato un destino
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PIER LUIGI CHERCHI
Lo Sporting Club “Le Querce”
volini all’aperto dei bar, oppure che compra all’asta oggetti di antiquariato, mentre i ragazzini fanno la fila per acquistare i gettoni alla
sala giochi.
In breve il Centro Commerciale della Marina di Sorso diventa
anche uno sporting club, con campi da tennis e calcetto, frequentatissimi dai sassaresi. Ma i residence circostanti, come riporta un articolo
del periodo, si trasformano in “un grande villaggio a luci rosse, popolati da una sessantina di ragazze, quasi tutte dell’Est Europa, che prendevano in affitto gli appartamenti e pagavano milionate cash, senza
battere ciglio. Si tiravano dietro una lunga scia di profughi del sesso,
che dalla città e dall’hinterland arrivavano con portafogli generosi e
innamoramenti facili”.
In citta è preso d’assalto dagli yuppies sassaresi lo Sporting Club
Le Querce, a Monte Bianchinu, con tennis, piscina, ristorante, discoteca e piano bar. Nella metà degli Anni ’80, in pieno fervore arboriano
con “Quelli della notte”, nel periodo estivo alle Querce si organizza
la cena bordo piscina tutti i mercoledi, con musica dal vivo e barbecue
(ricordo Gianni Rizzi, raffinato tastierista alla Keith Emerson allietare
le serate con il suo gruppo) .
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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Il target della struttura è costituito da professionisti, non solo giovani
ma anche 50-60enni, che in quell’ambiente raffinato, gestito dalla indimenticabile Giuliana, si trovano a loro agio non solo nel fine settimana, ma anche negli intervalli prandiali o per un aperitivo prima
della cena infrasettimanale.
Un fiume di denaro scorre anche nella nostra città, gli stipendi crescono a dismisura e se l’inflazione cresce annualmente del 15-18%
alla gente poco importa perché i depositi bancari crescono proporzionalmente.
Dal punto di vista artistico gli Anni ’80 indubbiamente devono
essere considerati come anni di grande vitalità ed entusiasmo, capaci
di segnare più di altri hanno la crescita culturale della nostra città dal
punto di vista delle forme di creatività e degli spettacoli. Sassari, in
quel decennio, si presenta come una tappa obbligata nelle tournèe
degli artisti nazionali (Vasco Rossi, Zucchero, Claudio Baglioni, Bennato, De Andrè) e internazionali che calcavano le scene in quegli
anni: Steve Lacy e gli Spandau Ballet, Pina Bausch e Luciana Savignano, Carla Fracci e Lucio Dalla, Art Ensemble of Chicago e Giorgio
Gaslini, Astor Piazzolla e Sonny Rollins, Aterballetto e Miriam Makeba,
Wayne Shorter e Ornette Coleman.
Proprio partendo da quel febbrile decennio di spettacoli, in città
negli anni successivi, si sono consolidate iniziative culturali con la
creazione ad esempio di un corso di jazz all’interno del Conservatorio
(nasce l’Orchestra Jazz della Sardegna) e di di compagnie di danza
contemporanea e di gruppi di teatro (vedi intervista a Puccio Savioli
e Pino Squintu).
All’università di Sassari, come nelle altre università d’Italia, scompaiono i contestatori e gli agitatori, lasciando spazio ai ragazzi che
vogliono completare il corso di studi ed arrivare alla agognata laurea
nel minor tempo possibile.
In questo clima di Riflusso rinasce dalle ceneri degli Anni ’70 la
tanto vituperata Goliardia, con pontefici e cardinali a riprendersi la
scena sassarese, con tanto di discesa di carruzzi in viale Trento e sfilate
allegoriche nel centro della città.
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È rinata la goliardia
PIER LUIGI CHERCHI
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
Goliardi sassaresi in Rettorato
La corsa dei carruzzi in Viale Trento
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PIER LUIGI CHERCHI
Slogan Anni ’80
Fioriscono negli Anni ’80 le
feste private, spesso con DJ al
seguito e luci stroboscopiche.
I giovani di allora, anche a Sassari, riscoprono il gusto dell’eleganza; alla fine della serata
si finisce in discoteca o, più
spesso, al raffinato “Nepentha
Club” di Via Asproni ad ascoltare le note delicate di un pianista ispirato.
Feste private
Anni ’80 a Sassari:
le camicie di Magnum PI
fanno epoca
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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Sassari, Anni ’80:
si riscopre
il gusto per
l’eleganza
Giovani
professionisti
(yuppies)
sassaresi
negli Anni ’80:
si ritorna
alla cravatta
e agli abiti
da sera
femminili
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PIER LUIGI CHERCHI
Anni ’80:
a fine serata
scompaiono le cravatte
e si ritorna al look
Anni ’70
Carnevale a Sassari
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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LA MOVIDA, PERSONAGGI E LOCALI
Intervista a Cosimo Salis
Tu ha iniziato già alla fine degli Anni ’70 con
i locali della Sassari di allora, nonostante
facessi un lavoro come bancario di giorno;
la notte ti sdoppiavi e diventavi l’animatore
della movida sassarese. Come ricordi quegli
inizi?
Sì, ho lavorato alla Banca Nazionale del
Lavoro fino al 1990, riuscivo a fare bene
tutte e due le cose, poi alla fine ho deciso
di dedicarmi solo al mondo dei locali e delle
discoteche. L’attività era cresciuta a dismisura e non era possibile conciliare i due lavori. Pensa che nel 1986, col rinnovamento
del Calabona, si è dovuta creare per forza
una società, e, non potendo figurare io per
il mio lavoro in banca, ho dovuto nominare
mia moglie Patrizia come titolare della società.
La mia prima gestione è stata all’inizio
degli Anni ’80 (79-80) nella discoteca di
Monte Oro, in pratica una villa in campagna che è stata trasformata
in locale pubblico, oggi sarebbe quasi un circolo privato… nata in
parallelo col Pebay di S. Orsola. Sono state le prime dell’epoca a Sassari, frequentatissime. Poi nel 1984 ho preso Scala Ruja a Ossi, in collaborazione con l’avvocato Gianni Spanedda, che ricorderai in quel
periodo, ma ancora prima, nel 1982 ho iniziato, sempre ad Ossi, trasformando il vecchio cinema nell’Airport, così chiamato perché, a
otto metri di altezza avevamo messo il frontale di un DC9, con la
consolle del DJ, che ero sempre io… ero sia l’organizzatore che il DJ.
Allora si compravano da Griscenko gli LP mixati, che duravano una
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PIER LUIGI CHERCHI
mezz’oretta, erano già pronti e tu facevi un figurone e avevi la possibilità nel frattempo di acchiappare…
Nella metà degli Anni ’80, verso l’84-85 abbiamo aperto il Piper
Moon a Tissi, dove si iniziò col Rockhouse, con Giovanni Leonardi,
che era il manager dei Sole Nero poi diventati Coro degli Angeli; lì
suonavano loro, i fratelli Poddighe, Andrea Parodi con cui eravamo
diventati molto amici – addirittura lì aveva conosciuto quella che sarebbe diventata la seconda moglie –, e tanti altri gruppi dell’epoca.
C’erano grandi DJ al Piper Moon, come Gabriele Pinna e Zeno Pisu.
Nell’85 abbiamo aperto il Ruscello con Nello Usai e Michele Bozzi:
veniva tutta la Sassari giovanile, a fine settimana era un esodo, centinaia di persone… poi, nell’87, ci siamo spostati al Calabona per il periodo estivo. La gente veniva dove eravamo noi, non c’era possibilità
di concorrenza e non c’era bisogno neanche di fare grande propaganda… tutti ci conoscevano e seguivano i nostri spostamenti. Nell’87
abbiamo letteralmente svuotato il Ruscello, portando via tutto quello
che c’era e al Nuovo Calabona abbiamo creato una struttura di concezione modernissima, con la discoteca in basso e, sopra, il piano
bar di vecchia concezione, col pianoforte a coda, dove suonava un
grande talento proveniente dalla Toscana, Mauro Nacci, talmente
bravo che non riusciva a staccarsi dal pianoforte perchè tutti gli stavano addosso chiedendo i brani ed era costretto a rimanere lì senza
poter andare in bagno. Lì c’era Mario Monte, proprietario storico del
Calabona, che si mise in società con noi. È in quella occasione che,
non potendo figurare per il mio lavoro in banca, misi Patrizia come
titolare della Società che avevamo creato.
In inverno nel frattempo avevamo creato a San Giovanni il Byblos,
che all’inizio ricorderai si chiamava Dissident; eravamo sempre io,
Nello Usai, Antonello Accioni e Giampaolo Pintus, che poi è tragicamente scomparso.
Come è nata l’avventura dell’Atrium, col connubio tra discoteca e
musica dal vivo?
È stato alla fine degli Anni ’80, verso l’87-88, che abbiamo iniziato
con l’Atrium, e lì veramente abbiamo capito di essere una potenza,
tutti continuavano a venire da noi, non ce n’era per nessuno…
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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All’Atrium, nel 1989 creammo una separazione tra discoteca al
piano terra e piano bar al piano superiore: fu un successo straordinario, con delle vere band che suonavano, Mariano Melis che suonava
prima al Las Vegas in via Oriani, Fabio Nicosia, Gavino Riva al basso,
Fabrizio Guelpa alla batteria, e altri, tra cui Raffaele Polcino, grande
trombettista. In quei primi anni alternavamo il top della musica in
Sardegna, sono passati tutti, i Tazenda, Piero Marras, Benito Urgu…
anche con lui avevo creato un rapporto di amicizia… Un giorno abbiamo pensato, quando è esploso il karaoke, di fare qualche serata di
karaoke, abbiamo comprato l’apparecchio che allora costava due milioni e mezzo, e si usavano i dischi “d’oro” che costavano 250.000 lire
ognuno… poi anche cabaret, la domenica sera venivano i migliori
cabarettisti dell’epoca, li presentava Paul Dessanti, c’era anche Andrea
Enrico, si facevano riprese televisive con Tele Etere di Pierluigi Dessì,
dibattiti, anche la Corrida, ti ricordi Gesuino Cosseddu… Un grandissimo successo, i tavolini erano prenotati almeno da un mese prima.
Questa formula nel ’90 l’abbiamo ripetuta al Manpea, con un
enorme palco all’esterno di quindici metri sulla terrazza, dove suonavano i vari musicisti. Allora con il povero Ugo Mela, visto che non
esisteva una concessione eravamo riusciti, in una notte, a far piazzare
su tutto il perimetro della terrazza dei vasconi alti due metri come recinzione, tutte le ringhiere e le porte di sicurezza. L’indomani mattina
sono arrivati i vigili ma ormai i lavori erano terminati, non hanno potuto far niente… poi abbiamo fatto la sanatoria.
Com’era il mondo degli Anni ’80, tu che l’hai vissuto nel tuo ruolo
di imprenditore in quel settore che andava tantissimo. C’era veramente
tanto denaro che circolava?
Gli Anni ’80 sono stati anni di puro divertimento, col denaro che la
faceva da padrone. Non c’era crisi, tutti avevano soldi e li spendevano
soprattutto nel nostro settore. Se qualcuno entrava gratis senza pagare
l’ingresso la frase ricorrente nel nostro entourage era “già li lascia al
bar…”, ed era la verità, spendeva più di consumazioni che di biglietto
d’ingresso. Oggi, già l’attività si è ridotta, e se non prendi l’ingresso sei
fregato perché quello non lascia più nulla…
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PIER LUIGI CHERCHI
Ma quale era il tipo di clientela che frequentava i tuoi locali? Giocoforza doveva avere delle possibilità economiche e quindi escludiamo i ragazzini e gli studenti, storicamente sempre spiantati.
Sì, il target allora erano i giovani di trenta-quarant’anni, con il portafoglio pieno, belle macchine, belle donne, voglia di divertimento,
musica; il diciottenne-ventenne era più indirizzato verso il the danzante che funzionava ancora allora. Come ho detto lo spirito era
quello dell’evasione, del divertimento puro, abbinato alle proposte
musicali che noi offrivamo e ai personaggi che riuscivamo a portare
– pensa che siamo riusciti, all’Atrium, a chiamare Jovanotti come DJ,
mentre se torniamo ai tempi del Byblos abbiamo portato tutti i grandi
nomi dello spettacolo di allora, Camerini, Baccini, Bertoli –. Pensa
che al Byblos nell’89 abbiamo fatto una serata di Telethon Sardegna,
in collaborazione con Antonio Arcadu, trasmessa in diretta sulla RAI,
con tutti gli artisti sardi, i Tazenda, Benito Urgu, Piero Marras, anche
Giuseppe Masia che stava iniziando e Beruschi che veniva da Canale
5. C’era prima di tutto una grande professionalità, la gente lo capiva e
lo apprezzava, e per questo ci seguiva dappertutto.
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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MUSICA DI QUALITÀ E “SPAZZATURA”
Autointervista di Pier Luigi Cherchi
Tu ti sei interessato, nei tuoi libri precedenti, della musica beat e
dei generi musicali degli Anni ’60-’70, il progressive, il rock psichedelico
e il pop-rock nelle sue varie connotazioni. In questo libro parli soprattutto degli Anni ’80, ma come possiamo definire dal punto di vista
social-musicale questi tanto esaltati e nello stesso tempo vituperati
Anni ’80?
In tutti i decenni, dal punto di vista storico, gli ultimi anni del decennio
rappresentano la svolta e l’avvio ad un’evoluzione dei costumi sociali e
quindi anche dei fenomeni di massa come la musica. Così è stato alla
fine degli Anni ’50 con il Rock’n Roll, alla fine degli Anni ’60 con il progressive e la musica più raffinata, mentre alla fine degli Anni ’70, in
pratica nel 1978, si è avuta l’esplosione mondiale del punk, con la nascita di centinaia di gruppi che hanno creato un genere musicale a cui
gli storiografi hanno dato il nome di new wave o post-punk. Gli Anni
’80 hanno rappresentato comunque un decennio di grande innovazione ed ecletticità, con la nascita di nuovi generi (come il metal i cui germogli si erano visti negli Anni ’60 e ’70, il punk-core, ecc.), e la ricerca di
una commistione più radicale tra rock e generi tendenzialmente autonomi e quasi ghettizzati, come la black music, nata a Detroit con la musica Motown (The Jackson Five con un giovanissimo Michael Jackson,
Bruno Mars, Marvin Gaye, The Commodores, Stevie Wonder, Diana
Ross, The Temptations etc.), con il mondo soul, con la disco-music ed il
funk; nonché con l’incipiente ondata del rap, nato nei sobborghi metropolitani statunitensi quasi come nuova musica di protesta.
Negli Anni ’80 nasce di fatto la musica elettronica, il techno e l’house che, diffusi dalle nuove tecnologie (in particolare dall’avvento
dei CD che sostituiranno le vecchie musicassette) la faranno da padrone proprio negli ultimi anni del decennio. Ma il grande fenomeno
commerciale, derivante da queste nuove tecnologie elettroniche, si
ha con l’avvento del synth-pop. Alla fine degli Anni ’70 e l’inizio Anni
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PIER LUIGI CHERCHI
Madonna, la star della pop music anni ’80
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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’80 infatti, un certo numero di band, soprattutto britanniche, influenzate fortemente da Roxy Music e David Bowie, introdussero le innovazioni elettroniche di band come Kraftwerk per le canzoni pop e
rock. Alcuni dei primi artisti furono Gary Numan, The Human League,
Ultravox, Depeche Mode, considerati da riviste musicali come Rolling
Stone la quintessenza del genere. Alcuni di questi primi accenni di
synth pop vennero abilmente trasformati, a livello commerciale, in
pop sintetizzato ballabile e più orecchiabile chiamato “new romantic”
da gruppi come i Duran Duran, gli Spandau Ballet, Culture Club,
ABC, Eurythmics etc. che hanno diffuso il genere ad un pubblico sempre più ampio. Altre band, al contrario, rimasero confinate in un circuito più alternativo, restando fedeli ad un suono più ricercato e più
vicino alla new wave, ottenendo però, con alcuni singoli di successo,
una breve ma notevole popolarità.
Tra i protagonisti del synth pop d’origine, voglio ricordare i New
Order, nati dalle ceneri dei Joy Division rimasti orfani di Ian Curtis, gli
Alphaville del grande successo mondiale Forever Young, ancora ballato
nelle discoteche e oggi titolo dell’ultimo film di Teo Teocoli, gli Human
League, trio all-synthetizer, che esplosero con l’album Dare ed il singolo
Don’t You Want Me, gli Ultravox, che con il cambio del cantante da
John Foxx a Midge Ure e con la pubblicazione dell’album Vienna per
circa un lustro restarono i veri dominatori del synth pop grazie anche
ad altri album pienamente azzeccati come Lament e Quartet. Da ricordare anche i Pet Shop Boys, con singoli di enorme successo come
West End Girls e It’s a Sin, gli OMD con Enola Gay (ancora oggi un
classico della disco) e i Visage autori di Fade to Grey. Tutte queste band
occuparono di fatto la scena mondiale fino all’esplosione del fenomeno grunge all’inizio degli Anni ’90.
In Italia, quali ritieni i gruppi ed i cantanti più rappresentativi del
periodo?
Se restiamo a questi generi musicali, come il New Wave e la Synth,
senza citare tutti gli artisti emergenti come Vasco, Zucchero, Ramazzotti, Gianna Nannini etc. in Italia ci sono state realtà importanti di livello internazionale come i primi Litfiba, i Krisma (già Chrisma) nati
da un’idea di Maurizio Arcieri (già cantante nel gruppo beat New Dada
e poi cantante solista negli Anni Sessanta, scomparso prematuramente
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PIER LUIGI CHERCHI
due anni fa) che forma il duo con Christina Moser e si dà prima ad
una musica dalle forti connotazioni punk e poi ad un’elettronica
d’avanguardia caratterizzata da ritmi a volte ossessivi, scelte musicali
pionieristiche e dalla grande importanza data al look e all’aspetto
visivo della loro musica, i Diaframma, i Gaznevada, i CCCP, i Negazione e artisti interessanti come Alberto Camerini, che per il suo stile
inconfondibile (Arlecchino elettronico, Rock’n’Roll Robot) diventa
insieme ad altri colleghi (Ivan Cattaneo tra tutti) esponente della musica elettronica degli Anni ’80, e Alice.
Invece, a proposito di cantautori italiani, è vero che scompare
negli Anni ’80 la figura del cantautore impegnato e si riprende con le
canzonette?
È innegabile che la musica italiana negli Anni ’80 ha attraversato
un periodo di decadenza dopo i fasti degli Anni ’70, con le scuole di
cantautori che hanno creato un vero genere musicale senza età, oltre
a un parco di artisti progressive all’avanguardia (PFM, Orme, Banco,
New Trolls).
Questa destabilizzazione nella musica è conseguente allo scadere
della vita culturale e politica, in seguito al “Riflusso”, con la caduta
dell’impegno sociale, il prevalere dell’antipolitica, la ricerca del successo e del benessere a tutti i costi, il qualunquismo in tutte le frange
della popolazione, anche in quella che aveva “combattuto” per un
ideale negli Anni ’70, e negli ’80 si adagiava nel benessere della piccola-media borghesia, come cantava Venditti: “Compagno di scuola…
Compagno
di
niente…ti sei salvato dal fumo
delle barricate…
Compagno
di
scuola… Compagno per niente…
ti sei salvato o sei
entrato in banca
pure tu…”.
Anche la muI Duran Duran negli Anni ’80
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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sica italiana diventa di fatto “qualunquista” negli Anni ’80, con qualche
bagliore legato a sporadici album dei “vecchi” cantautori come Battisti
e De Gregori. Proprio Lucio Battisti, negli Anni ’80, allontanatosi da
Mogol, si è avvicinato alla musica elettronica con “E già” (1982), registrato completamente con suoni creati al computer, senza musicisti
nella sala d’incisione, e alla poesia in musica, attraverso la rivisitazione
dei testi di Pasquale Panella ai quali aggiungeva la musica senza cambiare il testo di una virgola. I quaranta brani pubblicati con Panella
nel periodo dal 1986 al 1994 sono stati diversamente valutati dai critici
che nel migliore dei casi li hanno giudicati freddi e incomprensibili.
Personalmente per un lungo periodo li ho massacrati, rivalutandoli
dopo una ventina d’anni, e riscoprendo qualcosa della genialità assoluta di un artista che da protagonista, al termine della sua vita, ha voluto trasformarsi in comprimario di un poeta del popolo capace di
vertigini linguistiche forse troppo difficili da recepire per una società
frenetica e consumistica come quella degli Anni ’80-’90.
E della tanto vituperata Disco-music sempre più elettronica degli
Anni ’80, cosa diciamo?
In un certo senso quella musica aveva, nel periodo storico considerato, una sua validità. Infatti in quel periodo i brani da discoteca
erano caratterizzati dall’utilizzo dei nascenti suoni elettronici che, con
volumi da capogiro, facevano esplodere i ragazzi (ma era l’epoca anche dei trentenni-quarantenni update) nelle danze più sfrenate, cancellando lo stress di una settimana lavorativa. In quegli anni, la discomusic cominciò ad affermarsi sempre più nelle discoteche italiane,
con la nascita della italo dance o italo-music, che divenne nel giro di
poco tempo una vera e propria icona della storia musicale, diffondendosi in tutto il mondo, sia in Europa, ma anche in America. Da ricordare, nell’ambito di questo genere produttori musicali come DenHarrow (“To Meet Me” e “A taste of love”), Giorgio Moroder che ha
lavorato alla colonna sonora di diversi film come Top Gun e Flashdance. e interpreti come il fenomeno della metà degli Anni ’80 Mike
Francis (vero nome Francesco Puccioni, capace di vendere oltre otto
milioni di copie dei suoi dischi in tutto il mondo), Ivana Spagna artista
di livello internazionale, i cui album sono stati pubblicati e sono entrati
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PIER LUIGI CHERCHI
in classifica in numerosi paesi europei ed extraeuropei, tra cui Inghilterra, Germania, Francia, Spagna, Paesi Bassi, Australia e Giappone.
E ancora: Gazebo (“I like Chopin”, successo straordinario del 1983),
Raf (“Self control” del 1984), Gepi & Gepi, con la sua bellissima voce
alla Barry White, e perfino Sabrina Salerno, che col singolo “Boys” si
posizionò al terzo posto in Inghilterra vendendo milioni di copie, i
fratelli La Bionda e i commercialissimi Righeira (Vamos alla playa,
L’estate sta finendo, No tengo dinero).
Per quanto riguarda più in dettaglio lo stile musicale, dal 1983 l’italo
disco avrà modo di stabilizzarsi e uniformare il proprio genere, trasportando tutte le altre influenze sugli stessi binari, con un ritmo binario, suonato ad una velocità normale, nel quale il “levare” (battuto
con un “clap”) è più accentato del “battere” (che è simile ad un
“boom”), una struttura in 4/4, dove, in ogni quarto, c’è lo stesso basso
suonato su una nota diversa, per poi ricominciare il “riff”. Di solito
venivano usati 4 o 5 giri, ripetuti e identici per tutto il quarto, senza
alcuna dipendenza dal “riff” dei bassi. La melodia andava di pari passo
con la voce, che molte volte veniva rimanipolata elettronicamente e
“giocava” con il particolare “riff” di bassi, muovendosi proprio come
uno strumento: i testi in inglese erano spesso ispirati allo stile americano con semplici o complesse storie del quotidiano; oppure si ispiravano alla vita di notte, alla tecnologia, con numerosi riferimenti al
Giappone e agli Stati Uniti.
In conclusione la discomusic
degli
Anni ’80 è figlia
dei tempi, e a
distanza
di
trent’anni non
può essere giudicata con l’attuale metro di
giudizio: molti
di quei dischi
“caldi”, come
Gli Spandau Ballet con Tony Hadley
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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venivano presentati nelle top-ten della settimana, sono ancora trasmessi nelle discoteche e riscuotono grande successo, per non parlare
delle pubblicità televisive, che attingono a piene mani a quella musica
che molti, erroneamente, hanno definito “spazzatura”. Questo probabilmente è il più grosso problema degli Anni ’80 musicali: quello di
avere una pessima fama kitsch.
E in Sardegna e a Sassari in particolare quale è stato il panorama
musicale degli Anni ’80?
Dopo la defezione in massa di tutti i gruppi tardo-beat, alla fine
degli Anni ’70 si è creato un buco nero dove sono rimasti a galla solo
i grandi complessi come i Bertas, Piero Marras con i suoi musicisti, i
nuovi Baronetti che continuavano a suonare al Pontinental, Gianni
Davis e pochi altri. Con la ripresa negli Anni ’80 della richiesta di
musica dal vivo sono emersi Sole Nero, poi diventati Coro degli
Angeli, dalle cui costole sono nati i mitici Tazenda con Andrea Parodi,
gli Azimut, i Cento, gli Humaniora, che hanno intrapreso un percorso
musical-teatrale con la direzione di Zino Squintu, i P.S.A. gruppo
punk-rock divenuto poi riferimento nazionale e internazionale di
quel tipo di musica, gli Attacco Sonico, l’esuberante Joe Perrino e
altri gruppi minori, tutti caratterizzati da una maggiore cultura musicale (quasi tutti usciti dalle aule del Conservatorio di Sassari) rispetto
alla improvvisazione casereccia degli Anni ’70. Proprio il Conservatorio, le scuole di musica private, gli insegnanti part-time per lezioni
“a casa” hanno portato in quegli anni alla diffusione di una musica
colta, più raffinata con evoluzioni spesso verso il jazz e il blues, con
grandi interpreti che, partendo da Sassari, hanno finito per suonare
in grandi gruppi del continente.
Insomma il fervore e la vitalità degli Anni ’60 e ’70 sono continuati
nella nostra città anche negli Anni ’80, anche se con le dovute evoluzioni sia legate ai tempi che alle nuove tecnologie: il verbo diffuso da
Jonn Lennon non si è fermato con il riflusso e l’edonismo, ma si è trasformato mantenendo comunque quell’entusiasmo e quelle speranze
nate nelle strade della Sassari vecchia degli Anni ’60.
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GRUPPI MUSICALI A SASSARI NEGLI ANNI ’80
Bertas, Azimut, Attacco Sonico, Joe Perrino, Cento Humaniora, PSA
I Bertas costituiscono anche negli Anni ’80 il gruppo più rappresentativo del panorama musicale sassarese. Nel 1980 Eugenio Romano
(ex Azimut) sostituisce alla batteria Giuseppe Fiori, mentre già dagli
Anni ’70 Enzo Paba e Marco Piras avevano sostituito i musicisti fondatori Brunetto Sini e Mariolino Gadau, mentre Mario Chessa era passato alle tastiere dopo una permanenza nei favolosi Anni ’60 nei Simba
e negli Okiba. Nel 1979 Antonio Costa accetta di dirigere la corale Canepa ed esce dal gruppo; ciò apre la strada ad una collaborazione
con le Corali, la Canepa, la Vivaldi e quella del Conservatorio musicale
di Sassari, con la Messa (Sa Missa), in sardo, ed altre straordinarie esecuzioni in vari Teatri. Ad Antonio Costa si deve l’attenzione per la polifonia, che ancora è un carattere preminente del gruppo, e che nasce
nella stessa cultura sardo del canto a tenores.
“L’inverno stava per finire, quando un grosso masso è precipitato
dalla collina ed è rotolato giù sino alla valle, finendo la sua corsa
sopra il tetto di un
mulino. Il masso
dopo aver sfondato
il tetto, è caduto su
una culla dove dormiva un bambino di
pochi mesi: Pietro
Pisano. Quando la
madre è accorsa,
sentito il forte boato,
il bambino aveva
già lasciato questo
mondo.
Fatalità: il primo disco dei Bertas negli Anni ’60, quando
Questa tragica stonel gruppo militava Gianni Davis
154
PIER LUIGI CHERCHI
ria, accaduta nel 1957 a San Lorenzo (frazione di Osilo), è il motivo
ispiratore della canzone Badde Lontana, e l’autore Antonio Strinna è
nato proprio in questa valle di mulini, dove viveva nel momento
della tragedia.
Badde Lontana è stata composta insieme ad Antonio Costa nel
1972 e incisa per la prima volta dai Bertas nel 1974. Antonio Strinna
immagina che la madre del bambino ritorni nella valle il 10 di agosto,
alla festa di San Lorenzo. La donna si ritrova così in una situazione di
conflitto interiore con la festa e soprattutto con la valle (Badde lontana)
che le ha ucciso il figlioletto. Gioia e dolore, fede e disperazione,
amore e incapacità di perdonare, tutto si scontra dentro di lei, in una
sorta di guerra continua, inevitabile. Ma alla fine, ecco che si affaccia
uno spiraglio di luce: la donna si rivolge fiduciosa al santo, Santu Larentu, gli chiede di prenderla per mano, di farla sperare insieme a lei.
In oltre trent’anni di vita, e dopo l’incisione dei Bertas, questa canzone ha conosciuto moltissimi interpreti, in Sardegna e nella Penisola,
ed è stata eseguita in molti paesi del mondo.
Da tempo viene considerata parte integrante del canto popolare
sardo.”
Negli Anni ’80 il gruppo non vive il suo periodo migliore, ma arriva
comunque, grazie a Franco Godi, a registrare la colonna sonora di
“Africa dolce e selvaggia”
e un paio di jingle pubblicitari, fino alla realizzazione, nel 1987, di
“Unu mundu bellissimu”,
sotto la guida di Mark
Harris, profondo sostenitore delle tradizioni musicali e collaboratore di
Badde Lontana:
il capolavoro assoluto
dei Bertas, nato negli Anni ’70,
eseguito come voce solista
da Giuseppe Fiori
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
155
artisti come De Andrè
e Pino Daniele. L’album, in cui venivano
interpretati i brani più
conosciuti della tradizione isolana riproposti in chiave elettronica, pur apprezzato
da vari critici come
ardita sperimentaAnni ’70: i Bertas con Giuseppe Fiori e Antonio Costa zione musicale, non
incontrò i favori della
gente comune. Racconta Mario Chessa:
“Nel 1987 conoscemmo un tastierista
americano, Mark Harris, che aveva suonato
con vari gruppi, tra
cui Napoli Centrale e,
in quel periodo stava
in Sardegna perché la
sua compagna era di
Nel 1981 i Bertas incidono il 45 giri “Un po’ di rabbia” Villamar… Mark ci
consigliò quali pezzi
fare e registrammo tutto con l’ausilio dell’elettronica... era il periodo
in cui nascevano i primi computer musicali, i sequencer..., tranne
chitarre, basso e voci. Fu un’esperienza nuova, l’ultima degli Anni ’80
perché il disco successivo fu “Amistade” del 1993.”
Da ricordare, negli Anni ’80, anche l’incontro con il cantautore
Piero Marras, di cui i Bertas eseguono, in maniera magistrale con le
loro vocalità, pezzi indimenticabili come “Lettera” e “Mere manna,
mere mea”.
Al di là delle produzioni musicale l’attività dei Bertas nelle piazze è
frenetica e richiama anche negli Anni ’80 una grande massa di appassionati che seguono il gruppo anche nelle varie città dell’isola.
156
PIER LUIGI CHERCHI
Alla fine degli Anni
’80 il gruppo decide di
cambiare l’impostazione musicale, fino ad allora troppo tradizionale,
a parte l’esperimento
con Mark Harris di “Unu
mundu
bellissimu”,
forse non ancora in linea con i tempi, e si affina con nuove sonorità, in linea con l’evoluzione tecnologica
dei primi Anni ’90. Nasce così, nel 1993, l’album “Amistade”, ricco
I Bertas alla fine degli Anni ’70: Carlo Costa, Enzo Paba. Giuseppe Fiori, Marco
Piras, Antonio Costa e Mario Chessa
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
157
di nuove ricerche e sperimentazioni musicali
(quasi un laboratorio musicale degli Anni
’90, vedi brani
come “Come
cheria” e “Cantare, cantare,
cantare”) inserite in un contesto di canti tradizionali sardi e
di testi originali,
di nuova composizione, in logudorese.
I Bertas con Eugenio Romano che sostituisce Giuseppe Fiori
Come afferma
Mario Chessa: “Ci trovavamo alla ricerca di un cambiamento, in
mezzo ad una fase di transizione, e perfino di confusione… ma il nostro vigore, la voglia di fare spingevano verso nuovi mondi musicali,
ai quali cercavamo di aprirci. Fu così che arrivammo ad Amistade,
nel 1993, con uno spostamento radicale di scrittura, di
baricentro, di asse quasi una
sorta di rifondazione...”.
Dell’album fa parte anche
“Badde lontana”, cantata da
Enzo Paba, unico brano che
mantiene comunque nell’arrangiamento una impostazione tradizionale, quasi Anni
’70, con un sottofondo di archi
e la polifonia tipica del primo
periodo Bertas.
158
PIER LUIGI CHERCHI
Gli Azimut
I primi Azimut nascono nel ’75, creati da Giovanni Leonardi, tastierista e grandissimo manager dell’epoca. Nella recensione prodotta
su Alfiomusic, il sito di Alberto Fiori, vengono indicati i nomi dei seguenti musicisti: Giovanni Leonardi tastiere, Vito Deledda basso,
Mauro Di Maria chitarra accompagnamento, Paolo Gadau chitarra
solista, Enzo Concu sax tenore, Eugenio Romano batteria (poi passato
ai Bertas), in seguito anche Piero Concu al sax contralto. Poi subentrarono: Gianni Rizzi alle tastiere, Nando Esposito alla
chitarra d’accompagnamento, Salvatore Scala alle congas, bonghetti e
batteria.
Come
complemento al
gruppo troviamo al
mixer voci Piero
Carta,
Claudio
Como, Italo Di Maria, e alle luci
Adolfo Deriu e
Mondino Carnelias.
Gli Azimut, nel
primo periodo rigorosamente tutti vestiti di bianco, incidono un 45 giri
“Ragazzina tu”, che
si può trovare ancora su Internet con
le foto di quella formazione in dissolvenza, e “Sa serra”,
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
159
uno dei primi dischi in sardo. Negli Anni ’80 avviene il cambio di formazione con l’ingresso di un giovanissimo Mariano Melis, chitarra e
voce solista, Francesco Santu al basso, Giampaolo Ruggiu, grande
tastierista proveniente dal Conservatorio di Sassari e Marco Cosseddu
alla batteria.
Gli Azimut sul palco
Giovanni Leonardi e Paolo Gadau
160
PIER LUIGI CHERCHI
Attacco Sonico
Un gruppo musicale
di tendenza hardrock nato negli Anni
’80 col nome di Mississipi SIP sono gli Attacco Sonico, formati
da Marco Caracciolo,
bassista e cantante,
Giuseppe Loriga alla
chitarra e Andrea Lubino. I tre nati dall’ambiente studentesco della
Sassari Anni ’80 portano il loro credo rock nelle sale e nelle piazze
dell’isola. La prima registrazione ufficiale è del 1986, proveniente da
un umido scantinato, sulle tracce dei mitici Anni ’60, dove le cantine
rappresentavano
l’ambiente cult della
musica e della cultura
underground.
A quella registrazione
seguono altri tape ora
introvabili, testimonianza del fervore
musicale di quegli
anni oggi così vituperati. Alla fine degli
Anni ’80 Loriga emiGli Attacco Sonico oggi sul palco.
gra in California, la
band si sposta ad Alghero con nuovi ingressi come Ferruccio Pintus
(chitarra) e Marcello Falchi (batteria): la band, nella nuova formazione,
esplode in una miriade di concerti e di defezioni e sostituzioni, con
una ventina di musicisti che, uno dopo l’altro si susseguono sulla
scena.
Joe Perrino
Sempre nel campo dell’hard-rock uno dei maggiori interpreti sas-
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
161
saresi degli Anni ’80 è stato Joe Perrino (al secolo Nicola Macciò), esuberante interprete dell’Heavy Metal sardo già all’età di 17 anni con il
gruppo Hard Core Punk SS2o e successivamente, nel 1984, leader della
band Joe Perrino e the Mellowtones, molto vicina, nella cultura musicale, al mitico Frank Zappa, in un misto, come dice lo stesso Perrino,
di droga, sesso & rock’nroll. Il gruppo non si limita alle piazze isolane,
ma gira l’Italia in lungo e in largo, con grande successo di pubblico, soprattutto tra i giovanissimi, collaborando anche con i mitici Litfiba in
alcune performance. Proprio la necessità di portare avanti i Litfiba di
Piero Pelù da parte della casa discografica fiorentina IRA Records porterà al sacrificio della band di Perrino, che dopo varie vicissitudini si
trasferisce a Londra suonando con varie band inglesi fino al ritorno in
Sardegna all’inizio degli Anni ’90.
I Cento
Nel campo della musica Pop I Cento sono stati uno dei migliori
gruppi musicali della scena sassarese degli Anni ’80; fondati da Salvatore Scala (già Sole Nero), con Giacomo Doro, Giuseppe Gadau, Antonello Coradduzza e Paolo Erre, si sono distinti per la professionalità
della loro musica, non più lasciata all’improvvisazione degli Anni ’70,
162
PIER LUIGI CHERCHI
ma articolata scientificamente attraverso lo studio dei brani e la conoscenza delle basi musicali.
I Cento hanno sfruttato la nuova tecnologia emergente di quegli anni
imponendosi nelle serate con un repertorio e una rappresentazione
musicale mai disomogenea e priva di “tempi morti”, capace di stimolare e suscitare interesse nel pubblico , particolarmente caldo e partecipante nel clima edonistico dei folli Anni ‘80.Nato su iniziativa di
musicisti di Sassari e Sorso, il gruppo ha proposto, nella sua carriera,
dischi inediti per lo più in lingua inglese, come «Il diavolo in cantina»
e, nel 1989, «Choose life», che col singolo «Just for now», ha scalato le
classifiche dei motivi richiesti degli ascoltatori delle più importanti
radio nazionali. Proprio nel 1989 il gruppo ha partecipato con questo
brano alla trasmissione televisiva su RAI
Due D.O.C. di Renzo Arbore e Gegè Telesforo, presentati da Enrico Ruggeri che
li indicava come talenti emergenti da
lui scoperti nel panorama nazionale.
I Cento hanno affiancato noti artisti
come Enrico Ruggeri hanno collaborato
all'incisione di dischi di Francesco Baccini e di Luigi Schiavone, già chitarrista
di Enrico Ruggeri.
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
163
Gli Humaniora
Rappresentano l’espressione raffinata e colta della musica sassarese dei primi Anni ’80, legati alla deriva del neo-progressive con
una tecnologia più evoluta. Il gruppo, fondato da Zino Squintu, dopo
l’avventura degli Anni ’70 con i Savages fondata più sulla musica di
protesta, il pacifismo e le delicate liriche dei New Trolls e De Andrè,
ha percorso più di trent’anni di intensa attività culturale, attraverso
incontri, collaborazioni e scambi continui con tante realtà artistiche,
musicali e del sociale, che li ha trasformati in un vero laboratorio di
ricerca e creazione letteraria e musicale negli Anni ’90. Il gruppo ha
percorso tanti sentieri creativi, dalle storie fantastiche di navi egiziane
che veleggiavano nel Mar Rosso, fino alla descrizione di città immaginarie evocate dal Italo Calvino nell’ultimo album pubblicato. Dal
1983 a oggi gli Humaniora hanno registrato dodici album, accomunati
da una grande cura dei testi. «Per noi parole e musica formano insieme un unico segno espressivo – dice Lavinia Rosa, voce solista,
con gli Humaniora dal 1988 – è quasi sempre il testo che ci porta a
scegliere il tipo di comunicazione musicale. Proiettiamo i testi perché
riteniamo fondamentale comunicare, le vibrazioni che il pubblico
ci dà, è un scambiarsi qualcosa a vicenda».
Presto uscirà un libro che ripercorrerà la storia del gruppo con i
concerti, la discografia, e il ricordo di tutte le persone che hanno collaborato: «Ogni periodo ha avuto il suo momento espressivo, – continua Lavinia Rosa –
in trent’anni c’è stato
anche un ricambio
generazionale rispetto
alla formazione iniziale: il senso di essere
laboratorio è anche
questo, far sì che l’avventura degli Humaniora continui nel
tempo».
164
PIER LUIGI CHERCHI
P.S.A., SOUND PUNK NEL DEPOSITO DI SALE
Intervista a Geppi dal sito punk “Striscia la lametta”
I Punk Sound Against
Più conosciuti come P.S.A., sono stati un gruppo musicale hardcore
punk attivo negli Anni ’80. Il gruppo nacque a Sassari nel 1982 dall’incontro di Geppi (voce), Danilo (chitarra), Gigetto (basso) sostituito in
seguito da Gianfranco ma spesso presente nelle sessioni live, e Luigi
(batteria),
Nel 1982 hanno registrato il loro primo album su cassetta dal titolo
Sulla nostra pelle, e sempre nel 1982 hanno tenuto il loro primo concerto tenuto all’Università di Sassari in un festival contro la guerra
del Libano. Dalla scena sassarese passano al continente con un concerto del 1984 al Victor Charlie di Pisa, insieme ai Bloody Riot e gli
Stigmat. Sempre nel 1984 pubblicano un album dal vivo intitolato
Live in Sassari e partecipano alla compilazione inglese dal titolo Bollox
To The Gonads - Here’s The Testicles, uscita per la Pax Records di
Sheffield che vedeva gruppi della scena internazionale come Anti System, Repulsive Alien, Mau Maus e Legion Of Parasites. I P.S.A. si
sciolsero durante la preparazione dell’album che sarebbe dovuto uscire per l’etichetta di Sheffield e per il quale avevano
già registrato 5 brani.
Su Internet abbiamo recuperato un intervista da “Striscia la lametta”, un sito
punk, in cui il fondatore del gruppo Geppi
parla della storia del gruppo hardcore sassarese.
Geppi, ci puoi descrivere brevemente
i P.S.A.? Come, dove, quando e perchè si
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
165
sono formati? Inoltre quando e perchè si sono sciolti? Dove e quando
è facile facile: Sassari, nel 1982,
molto tempo fa. Il perché invece è
un po’ più romantico. È la solita
storia tra amici che per passare le
serate decidono di suonare, sia perché non c’è niente altro da fare, sia
perché ascoltano e amano certi
gruppi in particolare. Allora li imitano e suonano le cover. In tre.
Voce, batteria e chitarra. Chi suona la chitarra è un bassista. Poi un
giorno decidono che quel riff, proprio quello lì che stanno improvvisando, sembra funzioni per mettere su un pezzo loro. E nasce “Contro
il sistema”. E da quel pezzo si dicono, ma allora si può fare, e cercano
una chitarra. Simpatico no? Insomma alla fine siamo nati come un
gioco che si è trasformato in qualcosa di più. Lo scioglimento è di
qualche anno dopo, forse 84, 85, non ricordo. Diciamo per incomprensioni varie ed eventuali. Diciamo così.
Chi scriveva i testi? O meglio, come nascevano? Avete registrato
la tape anche in inglese per far arrivare il più lontano possibile il significato?
Il 90% dei testi sono miei. Ho sempre avuto il tarlo dello scrivere.
Certo sono testi di una semplicità estrema, ma il messaggio arrivava
e ancora adesso arriva, diretto. La necessità di dire qualcosa, di raccontare ciò che accadeva nel mondo, le guerre, le ingiustizie, ecco
da cosa e come nascevano. Gli Anni ’80 sono stati tra i peggiori sia
per la situazione politica che sociale ed economica. Reagan e la Tatcher, gli euromissili, la corsa agli armamenti, il braccio di ferro tra
USA ed URSS, l’Italia preda dello yuppismo... insomma, materiale per
poter urlare il proprio dissenso non mancava (non che adesso...). In
quel periodo c’era parecchio fermento. La scelta dei testi in inglese è
stata fatta proprio per quello: il messaggio. Più lontano arriva, più
gente è in grado di capire ed ascoltare ciò che hai da dire. Fermarsi
alla musica sarebbe stato riduttivo. Chiamiamola scelta politica. L’hc
in quel periodo è politico. Non è il punk del 77. Va oltre. Molto oltre.
166
PIER LUIGI CHERCHI
Avete registrato il disco in deposito di sale. Adesso molto più facile.
Ma prima, i mezzi tecnici, come erano?
Immaginati dei disperati senza soldi che vogliono incidere un nastro. Una sala d’incisione (seria) costava un pacco di soldi. Noi abbiamo
avuto la fortuna di trovare questo deposito di sale con l’amplificazione
ed il mixer a poco prezzo. Non ricordo quanto ma che fosse economico, su questo, non ho alcun dubbio. Diversamente non avremo
potuto permettercelo. E sul demo infatti si sente quanto era economico... inoltre abbiamo registrato in presa diretta, quindi, praticamente
un live. Senza pause, se non tra un pezzo e l’altro, senza aggiustamenti
di suoni, sovraincisioni o che. Tutto quello che senti, errori compresi,
è genuino. La sala era pagata a giornata per cui noi dovevamo incidere
il demo il più velocemente possibile. Punto. Se non sbaglio ci abbiamo
messo due giorni, uno per la facciata in inglese, uno per quella in italiano. Non ho dubbi che si senta...
La scena sarda (abbastanza scadente..) ora si muove soprattutto a
Nuoro con la Tifiamo Rivolta Records. Ma
negli Anni ’80 si trovavano gruppi punk?
Oltre a voi, che bands c’erano? E i concerti? Era facile organizzarli sull’isola?
Che io ricordi no. Non per niente tutti
i contatti li avevamo fuori. Anche le richieste dei nastri arrivate dalla Sardegna
erano minime. Qualcosa si muoveva a
Cagliari ma l’unico gruppo che ho presente era un gruppo naziskin, per cui, mai
avuto a che fare con loro. Concerti? Qualcuno siamo riusciti a farlo. Molto, molto
pochi. La difficoltà estrema stava nel fatto
che gente così non la voleva far suonare nessuno. È sempre esistita
questa paura da parte degli organizzatori di concerti che un gruppo
punk dovesse suonare per distruggere la strumentazione. Questo anche grazie alla pubblicità negativa dei media sul punk per cui punk
uguale violenza, sangue, lamette e spille.
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
167
Quali gruppi vi hanno influenzato maggiormente?
Personalmente ho sempre ascoltato di tutto. In quel periodo però
direi che i gruppi che più seguivo erano Dead Kennedys, Crass (e
tutto il giro della Crass Records), Discharge, Subhumans, Black Flag.
Ma ce ne sono un’infinità di altri.
Italiani ho sempre avuto una passione smisurata per Indigesti, Impact e Stigmathe.
Una domanda che mi piace moltissimo: Punk nella testa o punk
nella cresta? Che significa per te punk o meglio essere punk?
La testa su tutto, la cresta dopo e semmai. Non lo so più cosa è
punk adesso. So cosa è stato per me e cosa mi è rimasto. Anche a distanza di tanti anni posso dirti che il punk, per quanto assorbito dai
sistemi, è un movimento. O quello dovrebbe essere. Per come l’ho
vissuto io. È qualcosa di politico che non si ferma alla musica. Il punk
dovrebbe essere già di per sé un messaggio. Stai dicendo basta a
quanto ti è stato inculcato fino ad ora, stai dicendo che vuoi cambiare
le cose (o almeno provarci). Certo la musica è importante e musicalmente è stata una bella scossa. Ma se alla musica non dai anche forza
con le parole, allora rimane lì. Non basta vestirsi in un certo modo.
Forse non è neanche più necessario, prima poteva esserlo perché diventava punto di rottura contro gli schemi.
Tornando al presente, molti si chiederanno quanti anni hanno i
P.S.A.. E che fanno ora? Si sono calmati?
Dici che se lo chiederanno in molti? Davvero? Va bene, va bene. Io ho 38 anni e gli
altri P.S.A. più o meno son tutti lì. Calmo
sono calmo. Io scrivo. Sai anche dove, che lì
mi hai scovato, ed inoltre scrivo racconti.
Gli altri immagino siano calmi anche loro.
Non abbiamo molti rapporti...
Segui ancora la scena italiana? Quali sono
i gruppi che ti piacciono attualmente e quali
vuoi consigliare ai lettori? E soprattutto, a
168
PIER LUIGI CHERCHI
Sassari, la scena punk come si muove?
Non la conosco assolutamente. Giusto qualche nome per sentito
dire ma mai ascoltati con attenzione per cui resto zitto. Credo che a
Sassari di punk ci sia rimasto il mio vecchio chiodo... Scherzi a parte
non mi sembra ci sia movimento. Non lo so davvero. Sono completamente fuori dal giro.
Grazie mille Geppi, l’intervista è finita, andate in pace. Se vuoi aggiungere qualcos’altro, fai pure.
Ringrazio te per l’interesse. A distanza di circa venti anni se ti è venuta voglia di conoscere i P.S.A. significa che qualcosa di buono è
stato lasciato. Questo per me è un traguardo. Il fatto che un demo
che quasi non si sente più continui a girare mi fa felice. Mica per
altro, vuol dire che non è stato tempo sprecato! Ok, scherzo. Aggiungo
soltanto che di quel periodo ci sono un sacco di gruppi che vale la
pena conoscere per capire da dove viene e da dove sta attingendo il
nuovo punk. La prima volta che ho sentito i Rancid ero convinto
fosse una band di quelle definite old school... va bene, la smetto.
[DirtyMind]
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JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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SOLE NERO E IL CORO DEGLI ANGELI
Racconto di Andrea Poddighe
Nel 1978 Salvatore Scala mi fece la proposta di suonare in un
gruppo che stava formando e che ancora non aveva neanche il nome.
Al momento erano in tre, lui, Gino Marielli alla chitarra e Angelo
Canu al basso. Mi chiesero di partecipare e io accettai quasi subito –
mi presi un giorno per decidere –, andai nella loro sala prove e cominciammo a provare: avevamo un diverso modo di suonare, loro
erano più tecnici, io molto rock, però si vide subito che poteva uscirne
qualcosa di buono.
Iniziammo con le prove, c’era anche Roberto Sechi alla batteria,
provavamo in una saletta in viale Umberto con pochissimi strumenti,
non avevamo nulla, quasi tutto acustico, senza amplificatori, poi ci
spostammo in un capannone a San Simplicio. Ci serviva un tastierista,
allora venne con noi un bravissimo pianista, Pietro Fara, di Porto
Torres, che aveva già suonato con vari gruppi, tra cui i “Copertoni”, e
subito fu amore a prima vista. Pietro cominciò a suonare con noi,
poi si aggiunsero Andrea Parodi, Antonio Poddighe, mio fratello, e
Gigi Camedda, che era il più giovane del gruppo. Decidemmo di chiamarci “Sole Nero”.
Iniziammo con pezzi dei Quinn, New Trolls, Eagles, Supertramp,
tutti brani che esaltavano la vocalità; la prima uscita fu a Stintino, in
un albergo, a 125.000 per serata, quei soldi ci servivano per pagarci
gli strumenti. Subito dopo parlai con l’impresario dei Bertas, Antonio
Inzaina, fratello di Vittorio, il grande cantante degli Anni ’60, e lo
pregai di prenderci con lui, di farci suonare. Lui non ci credeva tanto,
eravamo troppo giovani, però ci diede fiducia offrendoci una serata
a Valledoria, dove dovevamo aprire lo spettacolo dei Collage. Iniziammo a suonare con il nostro repertorio, New Trolls, Eagles, Quinn,
Supertramp, e la gente impazziva sentendo questi brani che interpretavamo benissimo, sia a livello vocale che strumentale. Fu un grandissimo successo, tanto che, al momento della esibizione dei Collage,
170
PIER LUIGI CHERCHI
la gente continuava a chiamare Sole Nero, Sole Nero… In quel momento capimmo che eravamo forti.
Dopo qualche giorno si presentò Giovanni Leonardi che ci sentì e
subito volle farci da produttore. Dovevamo partecipare ad un concorso della RCA, “Centocittà”, dove un cantante o un gruppo si abbinavano ad una radio locale. Bisognava presentare pezzi inediti, e noi
avevamo Salvatore e Gino Marielli che scrivevano molto bene, e così
preparammo i nostri brani. Leonardi ci propose di registrarli e andammo a Modena per fare le registrazioni; vincemmo le selezioni a
Sassari e poi a Cagliari. La Sardegna quindi partecipava a questo concorso con Sole Nero.
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
171
Nel settembre 1978 partimmo per Caorle, vicino a Venezia, per la
finalissima di questo concorso: nella giuria c’erano, oltre al direttore
della RCA Melis, addirittura Lucio Dalla, Renato Zero e Francesco De
Gregori. Purtroppo avevamo dimenticato le basi e avevamo portato
con noi solo il play-back, per cui ci consentirono di esibirci ugualmente in play-back ma fuori concorso. Noi lo facemmo a malincuore,
però, alla fine della canzone, si alzarono tutti in piedi, Renato Zero,
Lucio Dalla, De Gregori e chiesero perché eravamo stati messi fuori
concorso. Dopo che gli fu risposto che avevamo cantato in play-back
dissero: allora facciamoli cantare dal vivo e vediamo se sono così
bravi. Per noi non c’era nessun problema, io chiesi una chitarra e con
l’accompagnamento della chitarra eseguimmo un brano degli Eagles:
sapevamo che avremmo fatto un figurone, ma non speravamo certo
di vincere. Durante la nostra esibizione la piazza rimase stregata, ed
erano tutti soddisfattissimi, Renato Zero, Lucio Dalla. Alla fine fu un
totale tripudio. Avevamo stravolto quelle che erano le previsioni,
c’erano altri manager che si erano mossi per far vincere i loro artisti,
ma tutti dicevano che i vincitori saremmo stati noi. L’indomani era la
serata finale e già camminando per Caorle incontravamo gente che
diceva che avremmo vinto.
Noi vincemmo quel concorso su un totale di più di 40.000 partecipanti; uscimmo su tutti i giornali, anche Sorrisi e Canzoni e altri, e la
RCA ci fece un contratto di tre anni. Dovevamo partire a Roma per
fare i nostri provini e per incidere; ci fu affidato un produttore, Lilli
Greco, che era il produttore di Patti Pravo, De Gregori, Paolo Conte e
altri, che si innamorò subito di noi – diceva che eravamo dei ragazzi
scalmanati ma con un grande talento –, addirittura ci considerava
superiori ai New Trolls, ai Pooh e a Crosby, Still, Nash e Young. Lui diceva così…
Nel frattempo si verificò un fatto che per noi divenne una tappa
fondamentale: Gianni Morandi doveva ritornare sulla scena con uno
spettacolo, e si affidò a Lilli Greco per curare la parte musicale. Greco
gli disse: guarda che io ho dei ragazzi sardi che sono bravissimi e possono essere le persone giuste per il tuo spettacolo, non i soliti coristi
che ti invecchierebbero… questi ragazzi ti darebbero una ventata di
freschezza. Così Gianni venne in Sardegna per sentirci, e tempo una
172
PIER LUIGI CHERCHI
settimana noi partimmo per questa tournèe invernale. Nacque così
lo spettacolo “Cantare” con Gianni Morandi e i Sole Nero.
Un giorno alla RCA incontrammo Gianni Morandi che parlava con
un signore brizzolato che noi non conoscevamo; ci avvicinammo e
dopo i soliti convenevoli Gianni ci disse: “Vi presento Giulio Rapetti…
Noi salutammo ma senza dare nessuna importanza a quell’incontro.
Poi Gianni ci disse: in arte Mogol. Allora tutti sbiancammo letteralmente: eravamo di fronte al grande Mogol e non l’avevamo riconosciuto. Lo avevamo snobbato. Poi, parlando del più e del meno, Mogol
ci propose di incidere il nostro primo disco, che produsse lui personalmente, arrangiando le più belle canzoni di Mogol-Battisti.
Entusiasti preparammo la nostra parte vocale, qui a casa mia, in
una soffitta, mentre alla RCA preparavano la parte musicale e gli arrangiamenti: noi ci concentrammo sulle voci, con intrecci particolari,
basati soprattutto come solisti sulla mia voce, quella di Antonio e di
Andrea Parodi. Si registrò per gran parte al Mulino e la parte finale al
Castello di Carimate agli Stone Castel Studios. Fu un grande successo
a livello nazionale, allora si vendettero oltre 50.000 copie in tutta
Italia, ma a Mogol non piaceva il nome Sole Nero e ci invitò a cambiarlo per l’uscita del disco con Il coro degli Angeli; diceva avete delle
voci da angeli e allora chiamatevi Il coro degli Angeli”. In realtà a noi
non piaceva molto, ma se lo diceva Mogol doveva aver ragione lui e
certamente non gli si poteva dire di no.
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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Con Gianni Morandi abbiamo suonato dal 1979 al 1983. In quegli
anni abbiamo girato il mondo, negli Stati Uniti, a New York, a Filadelfia, Boston, poi in Canada, al Palazzo del ghiaccio, grandi tournèe,
finché nel 1983 ci fu la grande opportunità di andare in Russia, girando tutte le capitali, da Mosca, a Kiev, a Rostov, a Riga, a Taskent,
Con Lucio Dalla: da sinistra si riconoscono tra gli altri Gino Marielli, Andrea Poddighe, Nando Esposito, Antonio Poddighe e
Andrea Parodi
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PIER LUIGI CHERCHI
poi in Lettonia in Uzbekistan, fino a concludere la tournèe a Mosca.
Fu un’esperienza bellissima. Oltre a mio fratello e ad Andrea Parodi,
c’erano Giampaolo Conchedda alla batteria, Nando Esposito al basso,
Pietro Fara, Gino Marielli e Gigi Camedda. Poi rientrammo in Italia
per l’ultima tournèe estiva e alla fine il Coro degli Angeli si sciolse.
Quel periodo con Gianni Morandi in giro per il mondo è indimenticabile, il più bello della mia vita.
Finita quell’esperienza ci ritrovammo con mio fratello soli, senza
palco, senza musica, anche pieni di rabbia per come erano andate a
finire le cose. Furono due anni bruttissimi, finchè nel 1985 decidemmo
di tirar su cinque ragazzi che abitavano di fronte a casa e che stavano
iniziando a suonare, insegnando loro tutto quello che avevamo imparato fino a farne una vera band: nasceva di nuovo “Sole Nero”.
Quei ragazzi erano Elio Solinas alla batteria, Stefano Sanna alla chitarra, Rino Costa alle tastiere e Luciano Cabras al basso, poi io al pianoforte e mio fratello Antonio. Iniziammo a girare la Sardegna come
Sole Nero con una miriade di serate dall’85 al ’90, nel cagliaritano,
nell’oristanese, andavamo fortissimo.
Poi nel 1990 la Tekno Record di Franco Idini ci propose di incidere
un disco, un altro disco di Lucio Battisti, che si intitolava proprio “Battisti”, a quel punto si fecero avanti i vecchi musicisti del Coro degli
Angeli – eccetto Andrea Parodi, Ginetto Marielli e Gigi Camedda che
avevano già formato i Tazenda – e parlando con Franco Idini chiesero
di suonare per questo LP: a questo punto rinasce il Coro degli Angeli,
Giampaolo Conchedda alla batteria, Nando Esposito al basso e Pietro
Fara alle tastiere. Facciamo nuovamente le tournèe, usciamo con
una raccolta di inediti dal titolo “Ma dove sei America”, però ci accorgiamo che le cose non funzionano più, sembra una minestra riscaldata e allora decidiamo di chiudere con il Coro degli Angeli.
Da qui in poi comincia un’altra lunga storia.
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
175
DA MUSICISTA A IMPRENDITORE
Intervista a Mariano Melis
Tu appartieni alla generazione che è venuta dopo di noi, quando è finita l’epoca beat. Hai iniziato a suonare quando ormai era scomparsa
la musica dal vivo e si mettevano nei locali solo i dischi in vinile. Secondo me voi avete avuto il merito di far rinascere proprio la musica
live, anche se in maniera diversa e più perfezionata rispetto a quella
un po’ naif degli Anni ’60 e ’70.
Come sempre accade è tutta una questione di cicli. Passata l’ondata
beat – io all’epoca beat ero proprio bambino – si è sentita l’esigenza,
anche da parte del pubblico, di ascoltare musica vera, non la musica
che chiunque poteva ascoltare a casa facendo girare un disco, per
cui i ragazzi si sono nuovamente messi insieme essenzialmente per
fare musica pop, con maggiore professionalità, sia per l’evoluzione
tecnologica che faceva passi da gigante sia per la maggiore conoscenza
delle basi musicali, o per aver frequentato il conservatorio o le varie
scuole di musica che nascevano in quel periodo.
Ma, andando alle origini,
io ho iniziato, proprio da
bambino, a studiare la chitarra da un grande musicista, il maestro Francesco
Serra, che era l’unico ad
avere una scuola di chitarra
negli Anni ’70 (Marrosu insegnava chitarra classica) e
che ricordo con molto affetto e stima. Lui insegnava tecnica di base,
naturalmente con lo studio della musica e degli spartiti, in piazza d’Italia,
e ogni anno il saggio finale, con tutti gli allievi si faceva al Lido Iride. Dal
’73 (avevo tredici anni) al ’77 ho studiato chitarra dal maestro Serra, poi
ho fatto il salto verso il conservatorio e lì mi sono diplomato.
176
PIER LUIGI CHERCHI
Il mio primo gruppo (ormai non si chiamavano più complessi)
sono stati i Quasar, nel 1974 (avevo quattordici anni), con Stefano
Salis al basso, Antonio Pais alla chitarra, Giacomo Cossu alla batteria
e Stefano Mosca alle tastiere; sono tutti nomi che non troverai più
nella storia della musica sassarese perché, per vari motivi, hanno tutti
abbandonato la scena. Dal ’74 all’80 abbiamo suonato principalmente
nelle piazze – locali allora ce ne erano pochi –, si provava a Marchetto,
in campagna, per non creare disturbo, e si partiva con un pullmino
pieno di scatole di uova per insonorizzare l’ambiente. Compravamo
tutti gli strumenti da Todesco a Calangianus, con rate anche di 500.000
lire al mese!, Si doveva suonare per pagare le rate.
Una esibizione che ha fatto epoca – non so se ce ne siano state
altre in seguito – è stato un concerto nell’aula magna del Liceo Azuni,
come sai considerato la cattedrale della didattica e della scienza infusa.
Abbiamo suonato insieme ad altri gruppi, ed è stato il primo concerto
pop nell’aula di un liceo (nel periodo degli anni di piombo quando la
musica pop, non impegnata era considerata puro “qualunquismo” e
avversata dalla sinistra radicale n.d.a.).
Poi è iniziata l’avventura con gli Azimut. In che periodo hai iniziato
a suonare con loro?
I primi Azimut sono
nati nel ’75, creati da Giovanni Leonardi, che, oltre ad essere tastierista
era anche un grandissimo manager. Da lui
sono nati i Sole Nero, il
Coro degli Angeli, gli
stessi Tazenda, Giuseppe
Masia… era una specie di Claudio Cecchetto dell’epoca… Nel primo
gruppo suonavano Salvatore Scala, che troverai in tanti gruppi sassaresi, Sole Nero, Cento… poi Paolo Gadau alle chitarre, Eugenio
Romano batteria e grandissima voce... che Giuseppe Fiori poi ha designato come suo successore nei Bertas (portandolo personalmente
alle prove e presentandolo come grande batterista il giorno che decise
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
177
di lasciare il gruppo)... Sono stati i primi a pubblicare un 45 giri “Ragazzina tu”, che si può trovare ancora su Internet con le foto di quella
formazione in dissolvenza, e “Sa serra”, uno dei primi dischi in sardo.
Suonavano in genere tutti vestiti di bianco, e giravano con un pullmino
con il logo del gruppo sulla fiancata.
Negli Anni ’80 c’è stato il cambio di formazione e sono entrato io,
chitarre e voce solista, Francesco Santu al basso (oggi lui suona ancora
Gli Azimut in piazza sopra il cassone di un camion, come racconta Mariano Melis
e fa le cover dei Rolling Stones), Giampaolo Ruggiu, anche lui uscito
dal conservatorio, alle tastiere, e Marco Cosseddu alle batterie (oggi
fa il ragioniere alla Regione Sardegna). Si suonava nelle piazze – non
nei locali –, e le serate le contrattava sempre Giovanni Leonardi che
faceva da manager… abbiamo suonato tante volte in una villa privata
da Kosca e Matera. Ricordo a Thiesi una sera... non erano riusciti a
montare un palco... e abbiamo suonato su un rimorchio di camion
(era la normalità nei primi Anni ’70 n.d.a.).
Gli Anni ’80 erano gli anni della disco dance, richiestissima dal
pubblico. Facevate dal vivo anche quel tipo di musica?
Sì, si doveva rispondere alle richieste del pubblico, ma si facevano
anche i classici del rock, i Pink Floyd, David Bowie, Dire Straits, addi-
178
PIER LUIGI CHERCHI
Mariano Melis con Paul Dessanti
rittura anche i Beatles, che erano molto richiesti. Però si faceva anche
tanta musica italiana del periodo. Poi, nell’85 e 86 è nato il Progetto
Gattò, con Daniele Manca, Alessandro Manca al basso, Franco Castia
(che collabora ancora con i Bertas e partecipa ai concerti e alle serate
come corista, ma anche grande autore) alla voce, io alle chitarre e
voce, e Marco Chessa alla batteria. Per due anni abbiamo girato tantissime piazze, soprattutto nel Nuorese, e purtroppo non siamo riusciti
a concretizzare una produzione discografica, anche se c’erano tanti
presupposti. Poi, alla fine degli Anni ’80 abbiamo formato un gruppo
“on the road” per suonare dove capitava, nelle piazze, sul lungomare
di Balai, portandoci dietro un attrezzatura leggera, chitarre, batteria
elettronica e un piccolo mixer. Insieme a me c’erano Salvatore Scala,
Giuseppe Gadau, Antonello Coradduzza e GianLuca Gadau.
– Quando inizia il nuovo modello di piano bar che sostituisce il
vecchio pianista con pianoforte a coda con un piccolo gruppo che fa
musica dal vivo?
Certo, lo abbiamo creato noi…..Finite queste serate alla fine degli
Anni ’80 ho preso in gestione il “Las Vegas” in Via Oriani, – così che
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
179
oltre che musicista sono diventato un imprenditore nel campo musicale –, si suonava tutte le sere e si facevano spettacoli da cabaret, con
Alberto Cocco, Carlo Valle e Andrea Enrico, che costituivano il trio di
animatori… abbiamo fatto anche la corrida… ricordi Gesuino Cosseddu… un grande successo. Poi siamo passati, nel 1989, alla Siesta e
poi all’Atrium e al Manpea con Cosimo Salis. All’Atrium è nato il mio
primo disco “Mariano Melis”; ricordi che il locale era sempre strapieno
di gente, non volevano che si finisse mai di suonare… una baraonda.
C’era anche Paul Dessanti che faceva il presentatore e l’animatore.
Con me, nella band che suonava al piano superiore del locale, c’erano
Fabio Nicosia, grande musicista poi sostituito da Daniele Manca, Giampiero Carta al sax, Salvatore Moraccini al trombone, Fabrizio Guelpa
alla batteria, Raffaele Polcino trombettista… ora fa il direttore artistico
di un teatro a Milano.
180
PIER LUIGI CHERCHI
Come ricordi gli Anni ’80?
Gli Anni ’80 ovviamente li ricordo con tanta nostalgia, avevo vent’anni e suonavo dappertutto nei locali, e contemporaneamente il
giorno dopo insegnavo a scuola senza perdere un colpo. C’era tanto
denaro che girava, e i musicisti erano ben pagati e molto rispettati.
Avendo fatto l’imprenditore nel settore devo dire che i locali avevano
grandi introiti, ingresso, consumazioni al bar; la gente non aveva
paura di spendere.
Mariano Melis con Antonello Coradduzza e Giacomo Doro nelle serate itineranti
on the road.
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
181
TEATRO BOOM, LA BOTTE E IL CILINDRO E...
Contributo di Margherita Lavosi
La Compagnia Teatro La Botte e il Cilindro è una compagnia professionista di Teatro Ragazzi, operante prevalentemente a Sassari, ma
attiva anche in tutto il territorio del nord Sardegna e nell’intera regione.
La Botte e il Cilindro nasce a Sassari nel 1978 a partire da un laboratorio di animazione teatrale svolto presso il liceo classico Azuni, su
iniziativa di Pier Paolo Conconi, il quale sarà regista e direttore artistico
della compagnia dagli esordi ad oggi. (…) il percorso personale di
Conconi, precedente alla fondazione della Compagnia, risulta importante ai fini dell’analisi; non in quanto egli sia l’unico membro del
gruppo a possedere una formazione culturale e teatrale degna di essere menzionata, ma per il fatto che egli sia stato il motore che ha
azionato consapevolmente una macchina dalla struttura precisa. Le
scelte che ha compiuto hanno risposto ad un’idea ragionata e studiata
del percorso da compiere; su questa strada ha poi incontrato e coinvolto personalità fondamentali, senza le quali nulla avrebbe potuto
realizzare.
LE ORIGINI.
LA FORMAZIONE DEL REGISTA PIER PAOLO CONCONI
È agli inizi degli Anni Settanta (conclusa l’avventura musicale con
i “Savages” n.d.a.) che Conconi muove i primi passi nel mondo del
teatro, più precisamente nella città di Cagliari, dove si reca per compiere gli studi universitari presso la facoltà di lettere e si ritrova immerso in un ambiente intellettuale aperto alle novità che in Europa
vanno affermandosi in campo artistico e culturale.
Gli Anni ’70 si caratterizzano infatti per un ingente fermento culturale: in Italia si scopre e si diffonde l’opera di alcuni gruppi stranieri
182
PIER LUIGI CHERCHI
Pier Paolo Conconi in scena
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
183
che sconvolgono la modalità del fare teatro, conosciuti soprattutto
attraverso festival e rassegne universitarie: l’esperienza laboratoriale
di Jerzy Grotowski ed Eugenio Barba, il teatro di strada del Bread and
Puppet, il Living Theatre e le regie di Peter Brook. Era esploso il nuovo
teatro, che, a partire dalla seconda metà degli Anni ’60, “si manifesta
in una rottura delle forme e dei modi di lavoro e di produzione tradizionali. Postula un’apertura verso altre arti, verso esperienze comunitarie, legandosi a movimenti che vogliono un cambiamento radicale
della società”.
In questi anni si rileva un’impennata nel campo della sperimentazione, con la nascita di numerose cooperative teatrali e teatri sperimentali che si oppongono ai teatri stabili pubblici (accusati di subire
la pressione dell’ambiente politico egemonico), di piccoli teatri che
imitano il fenomeno delle “cantine” romane, nonché di compagnie
che riproducono le esperienze di laboratorio dei modelli stranieri
citati, che tentano modelli di autogestione funzionale alla collettività
e che cercano di attuare un’attività di decentramento verso punti periferici mai toccati dal teatro ufficiale. Si riscontra inoltre una vivacità
rinnovata dell’editoria italiana sul teatro, che vedrà la Feltrinelli e l’Einaudi pubblicare volumi di capitale importanza, oggi introvabili.
La Sardegna si trovava, fino agli Anni ’70, costretta in un isolamento
lungo e drammatico, mentre nelle altre regioni, già da qualche tempo,
si andavano costruendo concreti programmi culturali. (…) si rileva la
persistenza, ancora in quegli anni, di problemi di carattere economico
e sociale che impediscono il recupero del patrimonio culturale nelle
sue diverse manifestazioni – fatto soprattutto di feste, riti e tradizioni
“spettacolari” – in quanto ricchezza da promuovere e utilizzare anche
in ambito teatrale; l’esistenza di leggi vecchie in materia di spettacolo,
non più rispondenti alle esigenze del momento, e immodificabili, poiché imposte dallo Stato; la mancanza di autonomia nella gestione
delle attività culturali da parte della Regione; ma soprattutto si sente
la necessità di dare vita ad un teatro veramente sardo. Fino ad allora,
infatti, i sardi rivestivano esclusivamente il ruolo di spettatori, agevolati
in questo da varie iniziative, tra cui si ricorda la creazione del Comitato
per la valorizzazione dello spettacolo in Sardegna (1960), per proporre
spettacoli di prosa di compagnie nazionali anche importanti. Manca-
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PIER LUIGI CHERCHI
vano tuttavia luoghi di formazione e apprendimento, che permettessero di sviluppare un’autonomia creativa proficua e di diventare finalmente protagonisti del teatro; vi erano solo alcune compagnia di
giro (solo a Cagliari, Sassari e Nuoro) e qualche filodrammatica legata
al mondo della Chiesa, ma erano assenti gruppi teatrali autonomi,
nonché una qualche tradizione teatrale paragonabile a quella sviluppatasi in molte altre regioni italiane.
Gli Anni ’60 sono gli anni nei quali il teatro sardo inizia a celebrare
la sua vera nascita all’interno della cultura della regione. (…) Tra il
1972 e il 1978, fioriscono gruppi, convegni e cooperative anche sull’isola. Il teatro si appropria di spazi nuovi e inizia a presentarsi come
atto politico della comunità sarda, dopo essere stato per lo più festa e
diversione. È nel capoluogo che Conconi vive due esperienze fondamentali per la sua formazione artistica e intellettuale.
Nel 1974 partecipa, in qualità di attore, all’attività del Teatro Laboratorio di Alkestis, diretto dall’attore-regista Zappareddu: si tratta del
primo gruppo sardo che lavora seguendo la poetica del teatro-laboratorio, ispirandosi al lavoro di Grotowski e Barba, e che darà vita al
circuito di ospitalità internazionale in Sardegna. In questo contesto
Conconi sperimenta linguaggi teatrali fortemente caratterizzati dall’attenzione al corpo dell’attore come “corpo vivente”, e approfondirà
il linguaggio della marionetta. L’esperienza, vissuta in prima persona,
di un teatro in cui il corpo si fa veicolo privilegiato di immagini e “in
cui il testo non si trova in altro luogo che nel corpo degli interpreti”,
porterà Conconi a riflettere con una sensibilità tutta nuova su temi e
motivi già riscontrati nelle molte letture svolte fino ad allora, e che
influenzeranno la sua successiva attività teatrale.
È in questa fase che inizierà infatti ad apprezzare anche le teorie
surrealiste, sia nel campo del teatro che in quello del cinema, e a sviluppare una vera e propria dipendenza ideologica dalle teorie di due
maestri, per molti versi opposti tra loro, del teatro del Novecento:
Bertolt Brecht e Konstantin Stanislavskij, al cui lavoro si ispirerà costantemente. Allo stesso tempo sarà sempre interessato anche al teatro
tradizionale di parola, di stampo più borghese, che poteva osservare
presso il Teatro Verdi di Sassari durante gli anni del liceo, e successi-
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
185
vamente a Cagliari, grazie soprattutto all’attività promotrice del Teatro
di Sardegna, che curava il circuito delle ospitalità a livello nazionale.
È grazie ad un’iniziativa di quest’ultimo, infatti, che inizierà a manifestarsi in Conconi l’interesse per la pratica specificamente registica:
nello stesso anno 1974, ha l’occasione di seguire la costruzione di
uno spettacolo teatrale in tutte le sue fasi: si tratta de “I Carabinieri”,
di Beniamino Joppolo, per la regia di Marco Parodi. Lo spettacolo
viene costruito pubblicamente, in una sorta di lezione-aperta, e questo
permette a Conconi di apprezzare il gioco della drammatizzazione e
la pratica della “scrittura scenica”.
Nel 1977, terminata la carriera universitaria e dopo due anni di
servizio militare a Roma – dove ha modo di assistere a diversi spettacoli teatrali dei maggiori artisti contemporanei, tra cui Carmelo Bene
–, Conconi torna a Sassari e inizia la sua carriera di insegnante con
una cattedra di latino e greco al liceo classico Azuni; in quello stesso
anno fa un incontro decisivo con il regista Giampiero Cubeddu.
L’INCONTRO CON GIAMPIERO CUBEDDU
L’attività di Cubeddu si inserisce nel nuovo clima teatrale cittadino,
che negli Anni ’70 conosce una nuova vivacità soprattutto grazie al
fatto che il Teatro Civico, fino ad allora visto come luogo “sacro” in
mano ai notabili della città e utilizzato soltanto una volta al mese per
ospitare un concerto, a partire dal 1977 riprese ad ospitare spettacoli
teatrali ed altre manifestazioni culturali. La riapertura o ristrutturazione
di vecchi teatri è un fenomeno comune in questo periodo e contribuisce ad avviare una fase di uso più democratico del teatro a Sassari,
l’entrata a pieno diritto dentro il “teatro”.
Le iniziative portate avanti da Cubeddu “(…) prepareranno per gli
anni a venire un humus culturale ancora più avanzato, che farà di
Sassari per alcuni anni la capitale dello spettacolo culturale in Sardegna (...)”; Nel ’77, in collaborazione con il Comune di Sassari e con
l’associazione culturale ARCI, Cubeddu avvia un corso di formazione
per animatori teatrali: il Laboratorio Teatrale Aperto. Esso si svolge
nel Teatro Civico, ha la durata di un anno e verrà ripetuto per due
186
PIER LUIGI CHERCHI
anni consecutivi (’77- ’78), anche se con alcune differenze importanti.
Tale progetto non nasceva dal nulla, ma si inseriva nella costellazione di esperienze simili che sorgevano in tutta Italia, scaturite dal
nuovo modo di concepire il teatro e l’educazione a partire dagli Anni
’60. È con una forte consapevolezza e motivazione teorica che Cubeddu si fa portavoce di idee e esperienze ragionate e vissute “in continente” e le trasferisce anche sull’isola, diffondendovi in particolare i
principi dell’Animazione Teatrale.
L’ANIMAZIONE TEATRALE (ANNI ’60 E ’70)
Con “Animazione Teatrale” si intende un complesso di attività in
relazione con il teatro e i ragazzi: è un’espressione del teatro e al
tempo stesso una negazione dei modelli teatrali tradizionali, è intervento pedagogico che prevede nell’educazione le attività drammatiche.
Tra la fine degli Anni ’60 e gli inizi degli anni ’70, in un momento di
processi straordinari di grandi trasformazioni sociali e politiche, che
ebbe risvolti in campo culturale, teatrale, educativo, assistenziale e
sociale, in Italia l’animazione teatrale si afferma a Torino come un
nuovo modo di concepire il teatro come gioco e partecipazione diretta. Il fenomeno prende avvio in particolare dalla crisi del teatro
pubblico, che non riesce ad operare un coinvolgimento di massa, e
nello stesso tempo dalla crisi della scuola, selettiva e trasmissiva, che
vuole l’alunno passivo ricettore di formule nozionistiche, nonché
degli insegnanti. In molte città italiane nascono diverse compagnie
che si dedicano esclusivamente al teatro per ragazzi, spesso utilizzando
centri sociali, scuole, piazze, centri di quartiere come spazi di teatro
“al di fuori del teatro”.
Il nuovo rapporto teatro-scuola viene sostenuto da interventi e riforme istituzionali, inserite nel quadro generale di una scelta riformatrice della scuola di base italiana, appoggiata anche da insegnanti,
pedagoghi, psicologi e operatori di teatro attenti a tali problematiche,
come ad esempio Antonio Santoni Rugiu e Gianni Rodari.
Anche in Sardegna, soprattutto dalla fine degli Anni ’70, si è svi-
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
187
luppato da parte di scuole, operatori teatrali, enti locali un vasto interesse al rapporto con il teatro e, meglio ancora, all’animazione ed
alle sue tecniche. (…) Come le iniziative, anche le motivazioni sono
molteplici. Si parte dall’idea di una scuola e di una cultura attenta ad
un apprendimento non passivo, non semplicemente nozionistico, ma
autenticamente formativo, di carattere interdisciplinare, curioso dell’esistenza di numerosi e dinamici settori di produzione culturale e
scientifica a diversi livelli. Si ragiona sul fatto che il bambino possa
migliorare il proprio apprendimento grazie all’esperienza diretta e
con il gioco, attraverso i quali impara linguaggi e contenuti, ma soprattutto a relazionarsi con gli altri.
Gli interventi nascono spesso anche sulla motivazione del recupero
delle radici, delle tradizioni della cultura sarda, come allarme contro
il pericolo di perdita dell’identità culturale.
IL LABORATORIO TEATRALE APERTO
Cubeddu raccoglie questo bagaglio di idee e principi, che circolavano nell’ambiente universitario e culturale romano, e lo pone a disposizione per la fondazione teorica di un progetto volto alla preparazione di operatori di teatro per ragazzi, che fossero successivamente
in grado di lavorare in stretto rapporto col mondo della scuola.
Il laboratorio, al quale Conconi partecipa in qualità di aspirante
animatore, ha un’impostazione prettamente laboratoriale: non avviene
alcuna selezione dei partecipanti, non si instaura nessun ciclo di prove
dai ritmi serrati ed è finalizzato principalmente al processo di apprendimento collettivo e individuale di linguaggi che sono formalizzati e
artificiali, che hanno una connotazione teatrale, ma che non sono
chiusi nel rigido confine di tecniche attoriali specifiche. Si specifica
che l’animatore non acquisirà una professionalità da attore, ma scoprirà i meccanismi, la grammatica del fare teatro. (…)
Infatti, sebbene il laboratorio preveda anche momenti di riflessione
teorica, nei quali si discute su molti di questi aspetti e nei quali vengono
suggeriti testi e autori, nonché momenti propriamente seminariali, il
progetto rimane essenzialmente quello di un laboratorio di linguaggi
188
PIER LUIGI CHERCHI
corporei, di corpi in movimento, e secondariamente un’occasione di
trasmissione di poetiche e principi.
La scelta di una fiaba come testo da drammatizzare, che sarà una
costante per molti anni di attività della futura compagnia di Conconi –
risulta particolarmente adatta all’uso dei linguaggi più svariati e, più
in generale, alla valorizzazione del linguaggio teatrale come linguaggio
“artificiale”. Lo spettacolo prodotto sarà rappresentato prima al Teatro
Civico, poi di fronte a bambini e insegnanti in diversi circoli didattici
della città, in più repliche.
Nel 1978 gli animatori sono ormai formati, il gruppo si definisce
sempre di più e presto si manifesta in Cubeddu l’intenzione di renderlo
un gruppo di teatro ragazzi vero e proprio.
L’intenzione del regista era inoltre quella di svolgere un laboratorio
con i bambini nelle scuole, ricavando il “copione” di uno spettacolo
a partire dalle loro indicazioni trasformate in elementi di linguaggio
scenico, al fine di creare “uno spettacolo ’aperto’ che sia in grado, in
ogni momento, di porsi in sintonia con i loro moduli espressivi” e di
fornire loro i mezzi per una interpretazione autonoma della realtà
circostante.
Ciò non viene mai realizzato da Cubeddu, e sarà Conconi a dare il
via alla pratica laboratoriale nelle scuole primarie, basandosi su tali
principi. Conconi, non solo grazie alla combinazione di pratica diretta
e di lettura critica, ma anche grazie al rapporto amicale e di stima
profonda che si sviluppa tra lui e il regista Cubeddu, approfondirà
l’aspetto teorico della pratica teatrale, dialogando e confrontandosi
spesso con il direttore. La partecipazione sul palco gli permette di intuire numerosi nessi tra esercizi e abilità conseguite – a volte immediatamente, spesso negli anni a venire, quando si definirà il suo ruolo
di regista –, nonché il fatto che il ruolo dell’attore non gli si addicesse.(…) …la valorizzazione e il sostegno del ruolo degli insegnanti
come mediatori tra il mondo del teatro e quello della scuola; sono
tutti elementi che verranno ripresi da Conconi nel momento in cui si
troverà a lavorare con una compagnia propria.
Ciò avviene a partire dal 1978, quando il progetto del laboratorio
Teatrale Aperto si interrompe per mancanza di fondi e di mezzi, e Cu-
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
189
beddu sceglie di intraprendere la strada del teatro dialettale e di dedicarsi ad altri progetti, soprattutto nell’ambito musicale.
Ciò segna un momento di sbandamento per il gruppo e porta Conconi a prendere atto della necessità di procedere sulle proprie gambe.
NASCE LA COMPAGNIA (1978)
Egli ne ha l’occasione quando si trova a poter organizzare un laboratorio di animazione teatrale presso il Liceo Azuni nell’anno scolastico
1978/1979, che coinvolge il gruppo di studenti i quali costituiranno il
primo nucleo della compagnia La Botte e il Cilindro. In un liceo nel
quale le attività extra curricolari non erano ancora diventate burocrazia o routine, ma rappresentavano la conquista di una scuola
nuova e progressista, la proposta di realizzare un progetto teatrale
fatto con e per i ragazzi stessi suscita grande interesse, soprattutto in
quanto proveniente da un insegnante del medesimo liceo. (…) Nel
maggio del 79 si realizza Sotto il bosco di latte, tratto dal radiodramma
omonimo del poeta e drammaturgo gallese Dylan Thomas (1954).
La strutturazione è di natura visiva, più che dialogica: mentre il
linguaggio corporeo assurge a componente espressiva fondamentale,
il testo letterario viene completamente manipolato sul piano lirico e
di esso viene scelto solo ciò che è evocativo, poetico e suggestivo. Il
disegno coreografico dà vita ad una narrazione scenica corale, nella
quale il movimento del gruppo fa rimbalzare la storia da un attore all’altro. Si delineano alcuni personaggi, ma non è presente una netta
divisione in ruoli.
Le musiche dei Beatles, che caratterizzano le scene, non costituiscono un semplice sfondo melodico, ma si combinano coi disegni
bizzarri creati dai corpi degli attori in movimento, realizzando una
messa in scena poetica ed emozionale, tendente al surreale. In questo
frangente dell’attività della compagnia, che è ancora in fase embrionale, risulta assente l’attenzione per la cultura sarda che caratterizzava
il Laboratorio Teatrale Aperto e che sarà propria di lavori successivi
di Conconi.
Nell’80 lo spettacolo viene riproposto, stavolta al Teatro Civico e
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PIER LUIGI CHERCHI
con alcune modifiche, tra cui il fatto che le due voci narranti presenti
nel dramma radiofonico di Thomas, vengono personificate nelle
figure di due folletti.
Il 15 febbraio dello
stesso anno, la giovane
compagnia
mette in scena un secondo spettacolo: Ah,
quei favolosi Anni
Venti!, commedia leggera scritta da uno
studente universitario,
Antonello
Dettori,
sorta di vaudeville e
parodia delle maniere
Sotto il bosco di latte, Teatro Civico (Sassari), 1980
del primo Novecento
italiano; canto e mimo sono due componenti fondamentali di questo
spettacolo, rappresentato al Teatro Civico.
Progressivamente
il gruppo si affiata e
Conconi svolge una
funzione sempre più
vicina a quella del regista: la compagnia è
di fatto già esistente e
sta muovendo i primi
passi verso una definizione sempre maggiore della propria fisionomia. Dall’ 81, si
Ah, quei favolosi Anni Venti! Teatro Civico, Sassari, 1981
incontra
regolarmente non più nel liceo ma nei locali del circolo culturale ARCI, dove
ha a disposizione un’ampia sala con parquet, e presenta regolarmente,
una volta all’anno, una nuova produzione al Teatro Civico. Uno spettacolo in particolare decreta la nascita del gruppo e lo decide a pro-
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
191
seguire l’attività: Il re muore, di Eugène Ionesco, rappresentato in teatro l’8 giugno del 1982.
È a questo periodo che risale l’ideazione del nome La Botte e il Cilindro, creato attraverso il gioco surrealista – utilizzato anche da
Rodari per i suoi “binomi fantastici” – di accostare e combinare due
parole scelte casualmente. In particolare è una delle attrici di questo
primo nucleo, Teresa Pes, a proporre tale combinazione, e Conconi
vi trova da subito una logica: La Botte indica il lato artigianale, manuale, concreto del teatro; il Cilindro, invece, rappresenta la magia e
la suggestione che il gioco teatrale crea di fronte a uno spettatore
meravigliato.
Il re muore,
Teatro Civico
(Sassari), 1982.
Nella foto,
al centro, Sante Maurizi.
(Foto di Sergio Tedde)
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PIER LUIGI CHERCHI
LA SCELTA PROFESSIONALE (1983)
La motivazione è tanta che nel 1983 la Compagnia decide di costituirsi legalmente come associazione culturale teatrale. Il gruppo, ancora numerosissimo, viene formalizzato dal notaio e si dota di uno
statuto. Si tratta del primo passo nell’ambito del professionismo teatrale, una sorta di punto di non ritorno, che mette in moto una macchina organizzativa più sofisticata.
Tra i nomi dei membri, che erano una quindicina, risultano quelli
di due degli ormai ex-studenti dell’Azuni che giocheranno un ruolo
chiave nella formazione della Botte e il Cilindro: Sante Maurizi e Annalena Manca.
Col passare del tempo, l’organico della Botte si riduce notevolmente: il passaggio al professionismo impone una scelta più definitiva,
che non tutti riescono a compiere – molti lasciano Sassari, chi per
motivi di studio, chi di lavoro, chi per scelta personale – ma Maurizi e
Manca rimangono due figure fondamentali. Nel frattempo, gli attori
che provenivano dall’esperienza del laboratorio del 79 vengono progressivamente sostituiti da nuove personalità, tra cui due risultano
particolarmente significative: Giommaria Manunta e Andrea Deledda.
Il 1983 è una data centrale anche perché segna il ritorno di Conconi
al teatro per l’infanzia; egli decide di riprendere in mano il progetto del
Laboratorio Teatrale Aperto, interrotto ma mai dimenticato, e ne ripropone le teorie fondanti attraverso l’attività della Botte e il Cilindro.
Il gruppo, che prima si esibiva solo in serale per un pubblico dai 17
anni in su, inizia a produrre spettacoli per una fascia di pubblico infantile, contattando le scuole e organizzando dei matinèe in teatro per le
classi. Il direttore è consapevole del fatto che il Teatro ragazzi sia fortemente legato all’età della formazione e che il teatro debba adottare diversi linguaggi e diverse declinazioni a seconda che si tratti di bambini
in età immatura o di ragazzi che maneggiano codici più adulti.
Questa necessità è fortemente sentita anche da La Botte e il Cilindro,
che porta il teatro all’interno della scuola, iniziando a realizzare, proprio nei primi Anni ’80, laboratori di animazione. All’attività laboratoriale con i giovani della scuola secondaria di secondo grado, che proseguirà comunque negli anni successivi, ne affianca dunque una per
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
193
i bambini della scuola materna, primaria e media inferiore.
I giochi di animazione proposti in questa prima fase, che hanno
come obbiettivo la formazione del gruppo, “(…) predispongono indirettamente i ragazzi agli automatismi di base del teatro (senso del
ritmo, capacità di rilassamento, giusta respirazione, mimesi, articolazione e dosaggio del volume, senso dello spazio e del tempo relativo
al gioco narrativo teatrale), senza che si colga la difficoltà dell’impresa,
ma, anzi, proprio come succede nei giochi, imparando attraverso il
divertimento e il piacere”.
La seconda fase è dedicata alla drammatizzazione dei materiali
scelti ed elaborati durante la prima fase. L’obbiettivo principale che la
compagnia si pone è “(…) la piena formazione, umana e critica, della
personalità degli alunni, nel rispetto della loro età e dei tempi individuali di crescita, senza che alcun handicap possa impedire l’integrazione e l’interazione”. Si privilegia insomma la fase del processo e del
gioco.
Il laboratorio dell’ ’83 si svolge partendo da I musicanti di Brema e
i bambini coinvolti, in tale occasione, inventeranno gran parte delle
filastrocche riproposte nel primo spettacolo per l’infanzia della Compagnia: Arpe, arpeggi, pizzichi e pizzicotti (Teatro Civico, 11 ottobre
1984). La contaminazione di più linguaggi espressivi e di testi diversi
si riscontra anche in questo lavoro, nel quale, assieme alla fiaba dei
fratelli Grimm, convivono suggestioni tratte dal fumetto di Hugo Pratt
Le Celtiche e vengono utilizzate le tecniche del teatro delle ombre,
nonché musiche tradizionali irlandesi e anglosassoni.
La contaminazione è dunque la modalità creativa più utilizzata
dalla compagnia, che tenderà sempre alla produzione di spettacoli
per i quali immagini pittoriche, scene cinematografiche, musiche,
poesia e quant’altro abbia una simile caratteristica poetica o semantica
di fondo, fungono da poli di riferimento per la scrittura scenica. Ciò
con l’intento di dare vita a uno spettacolo omogeneo e attraverso
una selezione non arbitraria dei riferimenti, che devono avere un comune sottotesto di natura poetica. Il messaggio o l’ideologia di fondo
del testo risultano così non trascurati, bensì espressi non in modo
troppo diretto o didascalico, ma filtrati e suscettibili di interpretazione
da parte del pubblico.
194
PIER LUIGI CHERCHI
Con questo spettacolo La Botte e il Cilindro partecipa inoltre ad
una rassegna di teatro ragazzi, che ha luogo a Cagliari nel 1984, dando
inizio ad una fase di apertura verso nuove frontiere: la compagnia si
inserisce infatti in un circuito più ampio, conoscendo diversi gruppi,
affini per idee e obbiettivi, informandosi sul loro modus operandi e
instaurando un rapporto lavorativo e amicale con alcune di esse (ad
esempio con L’Uovo onlus, teatro stabile di innovazione abruzzese, e
con la Fondazione Aida, teatro stabile di innovazione di Verona), che
dura fino ad oggi. Il gruppo si recherà infatti, con una certa continuità,
prevalentemente nel Nord Italia, e inviterà a sua volta diverse compagnie italiane (e non) a Sassari.
Nel 1984 il gruppo fa per la prima volta domanda per essere riconosciuto dall’allora ministero del turismo e spettacolo (ora ministero
per i beni e delle attività culturali), e ne otterrà ininterrottamente il riconoscimento dal 19866: il passaggio al professionismo è definitivamente avvenuto, la compagnia sta organizzando un’attività di carattere
totalmente professionale, un’“abitudine” produttiva e logistica che li
caratterizzerà anche durante gli anni a venire, in un progetto coerente
e continuativo, ricevendo contributi anche dalla Regione. Spettacoli
significativi di questi anni sono L’importanza di essere Ernest (1984),
di Oscar Wilde, Trappola per topi (1985), tratto dall’omonima commedia poliziesca di Agatha Christie, Percival (1985) scritto da Conconi
e tratto dal romanzo Le onde di Virginia Woolf, tutti messi in scena al
Teatro Civico.
L’INCONTRO CON FRANCESCO ENNA
È in questo periodo che il gruppo conosce lo scrittore Francesco
Enna, dirigente scolastico presso il V Circolo didattico della scuola
elementare di Sassari, il quale diventerà l’autore dei testi teatrali per
bambini della compagnia per molti anni. Assieme allo studioso di favolistica popolare tradizionale, curatore di Fiabe Sarde, La Botte e il
Cilindro recupera l’interesse, proprio anche di Cubeddu, per la tradizione sarda.
Da questa collaborazione scaturisce una forma nuova di spettacolo
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
195
per ragazzi, in cui la lingua sarda si combina con l’italiano attraverso
l’utilizzo di vari espedienti scenici. Ciò si configura come l’apporto
più originale della compagnia alla tradizione del teatro sardo, per lo
più rivolto verso la scelta del teatro dialettale.
Non si scade in un banale testo bilingue, ma si gioca con il materiale
sonoro, espressivo de emozionale di entrambi gli idiomi, fruibile da
sardofoni e non. Spettacolo rappresentativo di questa fase è Contos
de foghile, di Francesco Enna (Teatro Civico, 1986), che riscuote un
grande successo in Sardegna, dando la stura a una serie di ricerche
nella stessa direzione.
Motivi, figure e storie della tradizione
narrativa sarda vengono qui combinati
insieme, ancora una
volta attraverso la tecnica della contaminazione, qui come “insalata di storie”7: il
personaggio principale compie un viaggio di purificazione atContos de foghile, teatro Ferroviario (Sassari). Nella
traversando varie fia- foto Luisella Conti, Consuelo Pittalis e Nadia Imperio
be e leggende. La natura si esprime attraverso creature magiche le quali impongono a un
principe testardo e arrogante il superamento di alcune prove. Esse
consistono nel rispondere in lingua sarda a degli indovinelli e il principe, inizialmente, fa finta e ostenta di ignorare le risposte, con una
sorta di disprezzo altolocato nei confronti della parlata popolare della
lingua.
Il più grosso nodo da sciogliere è stato quello della mediazione linguistica fra il sardo e l’italiano. Ne è risultato uno spettacolo in cui la lingua sarda si combina agevolmente con l’italiano attraverso l’utilizzo della filastrocca, dei giochi ritmici e
del canto. Altri codici socio-antropologici trasmettono e ca-
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PIER LUIGI CHERCHI
ratterizzano la traduzione sarda definendone l’ambiente con
la gestualità, gli arnesi di lavoro, i movimenti e il ritmo”.
Oltre agli spettacoli dedicati alla cultura sarda, la compagnia realizzerà sempre produzioni dedicate ad altre tradizioni, non limitandosi
mai nella scelta dei temi e delle suggestioni, ma privilegiando una
contaminazione di motivi tra i più disparati.
Il regista Conconi afferma:
«La scelta dei temi e delle storie da trasformare in spettacolo
tende a ricadere su tutto ciò che è suscettibile di gioco e di sperimentazione. Per questo si è a lungo privilegiato, per quanto
riguarda le produzioni per l’infanzia, il materiale favolistico e
fiabesco, che lascia grande libertà di invenzione su tutti i punti,
con possibilità di combinare più testi e più storie – anche se
non manca l’analisi di tematiche e moduli care ai più grandi».
Nel 1987 Conconi cura ad esempio un laboratorio incentrato sull’opera di W.B. Yeats, a cui partecipano studenti dell’Università di Sassari e in occasione del quale conoscerà una delle future attrici della
Compagnia, nonché sua moglie, Luisella Conti. Il laboratorio universitario sarà d ora in avanti, fino ad oggi, occasione privilegiata di incontro e selezione dei nuovi membri del gruppo, dal momento che
ormai gli attori che provenivano dall’esperienza del laboratorio del
79 vengono progressivamente sostituiti da nuove figure (fatta eccezione per Sante Maurizi, la cui personalità cerca e trova un suo spazio
autonomo dentro la Compagnia, producendo spettacoli autonomamente, assieme all’attrice Daniela Cossiga, ma sempre dentro una
stessa ottica progettuale).
Tra i nomi dei membri fissi degli Anni ’80 troviamo quelli di Annalena Manca, Andrea Deledda e Giommaria Manunta. Ulteriori produzioni importanti sono Romeo e Giulietta, di William Shakespeare
(1986), e Annalice Porcospino, di Francesco Enna (1987).
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
197
IL TEATRO FERROVIARIO
Tappa fondamentale nell’evoluzione della compagnia è l’apertura
del teatro Ferroviario (totale posti 240: platea 160, galleria 80), ricavato
da un vecchio cinema abbandonato, che diventerà la sede de La Botte
e il Cilindro. Tra l’89 e il ’90 ne viene completata la ristrutturazione e
viene dotato di un palcoscenico in legno (largh. mt 10, prof. 8; graticcia
ad alt. 7,50), costruito dai Laboratori Scenotecnici abruzzesi.
Conconi riesce a ottenere finanziamenti da parte del Comune di
Sassari e del Ministero, che però non coprono il totale dei costi necessari e in parte devono essere restituiti: ciò comporterà un impegno
gravoso per la compagnia, al quale dovrà far fronte per diversi anni.
L’iniziativa si rivela comunque importantissima, non solo per il gruppo,
che si dota di una struttura fisica che permette di rispondere ai requisiti
professionali pretesi, ma anche per la città, che ha finalmente un centro di teatro per le scuole e per le famiglie.
Per quanto riguarda
la costruzione del copione degli spettacoli,
proprio tra la fine degli
Anni ’80 e i primi Anni
’90 si adotta definitivamente una prassi, avviata con i primi spettacoli, che caratterizza i
lavori di Conconi tutt’ora: la combinazione
di più testi preesistenti,
di Natale, teatro Ferroviario (Sassari). Nella
letterari e/o teatrali, in Canto
foto, Sante Maurizi e Antonello Grimaldi
un testo in cui trovano
posto però anche battute originali; tale operazione non viene eseguita
meccanicamente o a tavolino, bensì durante e a partire dalle prove,
basandosi essenzialmente su una sequenza scarna e prestabilita di
azioni, una sorta di canovaccio o trama, e grazie alle invenzioni dirette
degli attori o in base a particolari suggerimenti dati ad essi dal regista.
198
PIER LUIGI CHERCHI
Da ciò si escludono i testi scritti appositamente per la compagnia da
Enna o altri autori esterni, anche se quasi mai la compagnia mette in
scena un testo teatrale pronto di un determinato autore integralmente
e senza modifiche. Sostanzialmente, il testo linguistico risulta essere
il prodotto di un gioco e di una combinazione di testi e linguaggi diversi, poiché prevede la lettura di testi diversi, attinenti per diversi
motivi al soggetto scelto, e la scoperta di situazioni adattabili e pertinenti alla storia, da combinare in modo equilibrato rispetto alla sua
struttura originaria, e poiché scaturisce da azioni fisiche, suggestioni
date dalla pratica sul palco di tecniche diverse (mimo, teatro d’ombra
e altre) o provenienti da altri linguaggi artistici, da espressioni coreografiche, da memorie personali e dallo studio del regista e degli attori.
I tempi per l’ideazione e la creazione di uno spettacolo sono dunque
molto lunghi, variando da uno a due anni di preparazione.
Ciò risponde alla volontà di rendere dinamica la drammatizzazione,
impostandola sul gioco di animazione teatrale e sul divertimento di
sfruttare tutte le possibilità creative, date anche dalla parola. I testi
della compagnia, infatti, non sono complessi, ma nemmeno sbrigativi,
e la parola viene curata per rispondere soprattutto a requisiti ritmici,
ponendosi in sintonia con le azioni e le immagini. Questo fatto permette anche di sfruttare appieno le infinite possibilità
che il teatro ragazzi offre di
trattare qualsiasi tipo di storia e di problematica, in
una dinamica sempre
aperta tra il linguaggio teatrale e la realtà, in un gioco
ipoteticamente infinito. È
inoltre nelle intenzioni stupire lo spettatore, evitando
di “andare sul facile” e creando suggestioni sempre
nuove.
Il copione dello spettaIl gatto con gli stivali, teatro Ferroviario (Sassari).
colo che inaugura il nuovo
Nella foto la maschera dell’Orco
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
199
centro, Barbablù (1990), tratto dalla fiaba di Charles Perrault, viene
costruito proprio con tale procedimento, e inoltre risulta il primo ad
essere scritto e depositato da Conconi in quanto unico autore, riconosciuto dalla SIAE. Da quel momento, tutti i testi teatrali della Compagnia saranno depositati e riconosciuti, elemento che rappresenta
un ulteriore passo avanti nell’ambito della professionalità.
LA STABILIZZAZIONE (ANNI ’90)
Gli Anni ’90 vedono la compagnia radicarsi sempre di più nel territorio, diventando un punto di riferimento importante in città e provincia; essa trova un suo spazio unico all’interno del panorama teatrale
cittadino, trovandosi ad essere l’unica compagnia stabile di teatro per
ragazzi.
Negli ultimi anni lo sforzo della compagnia è tutto profuso per lo
scopo di diventare il motore di una nuova progettualità culturale,
fatta di collaborazioni e di e coinvolgimenti reciproci tra gruppi non
solo teatrali, ma anche di danza, musica, cinema ed altro, suscitando
nel territorio un interesse attivo alla ricerca e alla creatività. L’obbiettivo
è quello di creare delle sinergie proficue tra varie realtà che, integrandosi e appoggiandosi, possono dar vita a una proposta culturale
variegata e innovativa, stimolando il modo di fare cultura in Sardegna,
spesso troppo fossilizzato nelle sole manifestazioni folkloristiche.
Per questo la compagnia si fa scopritrice e promotrice di soggetti e
gruppi giovani del suo territorio, valorizzando in questo modo la cultura contemporanea sarda in un progetto che però è globale, che riguarda in generale la cultura italiana e mondiale, e potrebbe essere
“globalizzato”, nel senso che potrebbe fungere da modello per chiunque voglia agire in questo ambito.
Le attività promosse in tal senso sono diverse, ma sicuramente
quella che più risponde a tali caratteristiche è l’organizzazione della
rassegna La forza delle parole, ideata dall’associazione culturale e
studentesca Materia Grigia per i venti anni di attività, nel 2010.
Si tratta di un’iniziativa di ampio respiro, che unisce lettura, musica,
teatro, arte e spettacolo, e che intende ricercare e realizzare una
200
PIER LUIGI CHERCHI
sintesi di emozioni e sensazioni, derivanti da un immaginario comune
evocato tanto dalla musica, quanto dalle parole. Così ogni anno si
propone come tema della rassegna uno o più protagonisti della scena
musicale che, dagli Anni ’60, hanno lasciato una traccia significativa
ed una memoria indelebile nella nostra società. Ciò attraverso l’incontro con scrittori e la realizzazione di concerti musicali e di laboratori teatrali sui temi scelti, aperti a chiunque.
La prima edizione è stata dedicata alla vita ed alle canzoni di Luigi
Tenco ed ha visto alternarsi al Teatro Ferroviario gli interventi della
pittrice Maria Vittoria Conconi (i cui dipinti erano esposti nel foyer
del teatro), del baritono Paolo Zicconi e degli scrittori Renzo Zannardi,
Mario Dentone ed Erri De Luca, nonché la performance della cantante
jazz Ada Montellanico e gli interventi di Patrizia Tenco. A complemento
dell’iniziativa, l’associazione ha organizzato un laboratorio teatrale su
Tenco, con la direzione di Conconi.
Nel 2011 si è incentrato il lavoro sul Progressive italiano, in particolare sull’album “Impressioni di Settembre” della Premiata Forneria
Marconi. Ospiti gli scrittori Stefano Ferrio, Maurizio Blatto, Mario Dentone, Pierluigi Cherchi, Franco Vassia. Inoltre l’associazione La Camera
Chiara ha offerto una retrospettiva visiva sul Progressive Internazionale. La rassegna ha visto anche la presenza del gruppo musicale
sardo I Bertas che ha reinterpretato alcuni dei brani più celebri dell’epoca. Gli allievi del laboratorio teatrale universitario di Materia Grigia hanno invece realizzato uno spettacolo di danza sul Progressive
con le coreografie di Livia Lepri e Alessandra Mura.
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
201
IL THEATRE EN VOL, DADAISMO E IRRIVERENZA
«Theatre en vol rappresenta una delle esperienze più significative
dello spettacolo di strada italiano. Con i suoi spettacoli immaginifici
che coinvolgono e sconvolgono, nei quali attori e macchine sceniche
mirabolanti sono mediatori di viaggi onirici e suggestioni fantastiche,
ha ottenuto riconoscimenti in tutta Europa. Punto di riferimento per
la formazione di nuove leve e fucina di idee per la realizzazione di
eventi importanti come Girovagando e Sogni a Spazi Aperti, nella
sua importante attività ha saputo dare all’arte di strada un contributo
insostituibile, sostanziandone lo spessore nel senso del più alto teatro,
senza mai rinunciare ad un’autentica matrice popolare».
Con questa splendida motivazione una commissione di esperti
della Regione Piemonte concesse nel 2008 alla Cooperativa Theatre
en Vol il prestigioso premio Torototela, assegnato annualmente per
la valorizzazione delle arti di strada. Sono passati ventiquattro anni
da quando, nel 1989, Giuseppe Savioli, per tutti Puccio, attore, artista
visivo e scenografo, realizzò le prime macchine teatrali utilizzate per
lo spettacolo Lassù le ali non hanno ruggine. Queste opere assumono
un senso forse più pienofuori dallo spazio scenico, tanto cheil loro
valore plastico, venne
esaltato quando le macchine volanti di Lassù le
ali non hanno ruggine
furono esposte al
Grand Palais di Parigi,
nel 1989.
Quel primo spettacolo segnò anche il
primo incontro di Puccio Savioli, con quella
che divenne l’altra
202
PIER LUIGI CHERCHI
anima del Theatre en Vol: Michèlle Kramers, attrice e regista olandese
nata a Giakarta ma con buona parte della vita spesa in giro per il
mondo, fra Hong Kong, Italia, Polonia, Svizzera ed Olanda. Da allora,
i due hanno condiviso in questi vent’anni un percorso umano e artistico che li ha portati a presentare i propri spettacoli e a portare il
proprio lavoro in tutta
Europa e oltre, fino al
Nord Africa e al Circolo
Polare Artico.
La storia della Compagnia, poi diventata
associazione e poi ancora cooperativa, è cominciata subito dopo.
Da allora molti altri importanti riconoscimenti
sono arrivati, e non solo
a livello italiano.
La storia di quel primo spettacolo è un po’ quella della compagnia
stessa: la storia di una coppia di inventori-sognatori, che con le loro
goffe creazioni cercano di staccarsi da terra, per raggiungere i reami
del sogno e dell’utopia. In più di vent’anni di attività il theatre en vol
ha sempre avuto la strada come luogo naturale di ricerca e rappresentazione. La trasformazione dello spazio pubblico in un luogo extra
quotidiano dove lo spettatore/cittadino viene coinvolto, mira a smuovere il passante distratto riportandolo a una dimensione dimenticata
dove la strada torna ad essere un luogo di azione, incontro e confronto. Luci, suoni, immagini in diretta da un mondo in cui la visione
dell’ordinario è sospesa. Suggestioni create ad arte, complice un meticoloso allestimento, che hanno trasportato lo spazio espositivo in
quella “terra di mezzo” fra terra e cielo, fra realtà e sogno, fra concretezza e utopia in cui vive e opera questa compagnia, che ha saputo
affermarsi come una delle realtà italiane più significative del teatro
open-air.
Storia narrata in altre forme anche in Orme attorno alla costruzione
di una torre, del 1994, in cui i costruttori sono intenti nella realizzazione
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
203
di una torre infinita, oppure in Macchin… azione e altre diavolerie,
del 1999, spettacolo itinerante in cui l’obiettivo di una strana ciurma
è quello di trovare il luogo ideale per realizzare una fantastica “passeggiata a mezz’aria”, attraverso un’ingegnosa macchina teatrale.
Fino agli ultimi spettacoli prodotti: B.A.U. Brigata di armonizzazione urbana, in cui anche attraverso nuove
forme di espressione,
soprattutto la musica,
con l’uso di percussioni
“alternative” e suoni
elettronici, è messa in
scena la “liberazione” di
un gruppo di lavoratori
alienati da una dimensione troppo “meccanica” dell’esistenza, o la scanzonata parata musicale pseudo-balcanica
di Buskovic Uolkin’ Serenade, in cui una aspirante sposa cerca un
marito che mai non si
trova.
Il ruolo di protagonista è sempre occupato dalle grandi macchine sceniche animate – vere sculture per il
teatro – realizzate da
Puccio Savioli, artista
poliedrico (attore, regista, scultore e scenografo) la cui poetica e il cui immaginario sono alla base dell’estetica
della compagnia. Anche il nome di queste macchine è tutto un programma: dal Ferricottero, elegante e futuribile pterodattilo meccanico,
alla Suonatrombe, assemblaggio semovente di congegni sonori, al
Creatore delle nuvole, sino all’ultima creazione: l’Armonizzatricìclo,
204
PIER LUIGI CHERCHI
macchina nata per essere assemblata in scena e suonata come uno
strumento da un gruppo di quattro percussionisti.
Dadaiste e irriverenti, le creazioni di Puccio Savioli nascondono
dietro un’apparente ingenuità, (l’artista ha infatti ben chiari i suoi
nobili antecedenti, da Jean Tinguely a Mirò e Picasso, quest’ultimo citato direttamente nelle grandi macchine utilizzate in Gernika) deridono
ogni funzionalismo e ogni “oggettività”, donando piuttosto soggettività
all’oggetto, e una certa dose di anarchia basata sulla libera associazione
delle forme. Puccio Savioli lavora infatti quasi soltanto con materiali
di recupero, e ogni rottame, ogni scoria, mostra di avere una storia,
che è iniziata all’epoca della sua concezione come oggetto funzionale
e continuata in una sua vita attiva e vecchiaia, fino al punto in cui lui
l’ha incontrata. Da lì, attraverso le sue mani, ne è iniziata un’altra, appena memore della prima, che è una lotta di liberazione dell’oggetto
dalla sua funzione di merce, e poi ancora dal suo stesso nome, per
inserirsi in una illogica-combinatoria in cui il diverso ha in ciò stesso
la sua bellezza, se non la sua funzione, dato che è il concetto stesso di
funzione ad essere in dubbio.
Nel mezzo, un grande lavoro nel teatro verticale, in particolare
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
205
con Phoenix, nato nel 2006, uno spettacolo “site-specific” ricostruito
di volta in volta in relazione all’architettura dei luoghi, e in cui le facciate degli edifici sono usate da attori, danzatori e acrobati come superfici sulle quali rappresentare scene oniriche o surreali, oppure ancora in Nel segno di Guernica (2002) e Gernika (2007), lavori ispirati
all’opera di Pablo Picasso in cui le figure del celebre quadro sono ricostruite in gradi macchinari teatrali montati su ruote che si spostano
sulla scena.
Al di là di qualsiasi riconoscimento ufficiale però è soprattutto la
risposta entusiastica del pubblico che incontra in giro per il mondo
con i suoi spettacoli, festival e corsi di formazione che spinge il Theatre
en vol avanti sulla sua strada di un’arte sociale, che vada incontro
alle persone restituendo la possibilità di vivere la società e il territorio
in modo aperto, libero e creativo.
Giovanni Campus
Nel suo saggio Forme di creatività: subculture giovanili e gruppi
musicali a Sassari l’antropologa Carmela Piu evoca il suo incontro
con il Theatre en vol, ”Una sera del dicembre 2010, grazie al social
network Facebook, ho avuto l’occasione di essere informata su uno
spettacolo della B.A.U. – Brigata Armonizzazione Urbana – (…) perciò
mossa dalla curiosità sono andata a vedere. Si tratta di teatro musicale
e ritmi per momenti e siti specifici. Spazi aperti che vengono prodotti
e messi in scena dal Theatre en vol, che crea spettacoli che vengono
realizzati sia in piccoli e grandi comuni della Sardegna, che in Italia e
all’estero. (…) Nell’assistere allo spettacolo, che si è svolto in una
grande piazza (che sembrerebbe dimenticata) nel quartiere di Latte
Dolce, piazza Dettori, un elemento importante che mi ha colpito per
la mia ricerca, sono stati i diversi modi di produrre i suoni dai giovani
attori, mentre cercavo di comprendere cosa cercassero di comunicare.
Nel Theatre en vol è sempre importante la relazione tra il linguaggio
teatrale e lo spazio in cui si esprime e la sfida degli eventi, è trasformare
piazze, tetti, strade, torri, balconi in nuovi palcoscenici, che possano
coinvolgere e stimolare la fantasia dello spettatore, stabilendo un rap-
206
PIER LUIGI CHERCHI
porto interattivo. Nello spettacolo al quale ho assistito, ho avuto subito
la sensazione che si stesse rappresentando una società in cui gli individui non sono capaci di vivere, sino a quando si rendono conto che
attraverso la musica di oggetti apparentemente inutili, possono ritrovare un contatto con la vita. Nello spettacolo bizzarre macchine costruite con materiali di recupero prendono vita e iniziano a produrre
suoni nelle mani dei percussionisti: rappresentano un’impiegata, un
operaio, un cuoco, uno spazzino e un contadino che lavorano meccanicamente in una società di un prossimo futuro. Inizialmente non
si rendono conto dell’armonia che possono produrre gli strumenti,
perché troppo presi dal ritmo del lavoro e dall’individualismo, che
impedisce loro di rendersene conto. Sono capaci di produrre solo rifiuti e rumore sino a quando anche loro vengono trattati da rifiuti e
gettati nella discarica. È proprio a questo punto che si renderanno
conto della loro vera dimensione umana e che, sotto la guida di un
maestro-clochard, che dà la vita agli oggetti, ridarà la vita anche a
loro. Infine, sempre con materiali di recupero, gli ex lavoratori-macchine costruiranno davanti al pubblico una grande e bizzarra macchina semovente e sonora che servirà nel loro lungo viaggio per «armonizzare» altri mondi insieme alla guida del maestro.
Ho ritenuto questo spettacolo un esempio da riportare, non solo
perché uno dei percussionisti è il cantante di un gruppo reggae di
Sassari, ma perché espressione di creatività di giovani percussionisti,
che, in qualche modo ci comunicano non solo attraverso il suono,
ma utilizzano anche il corpo, gli abiti, lo spazio, gli oggetti, per “parlare”
col pubblico, tutti elementi che hanno anch’essi la loro rilevanza antropologica”.
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
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DAL COLLETTIVO AL VOLTAIRE, GIROVAGANDO
Intervista a Puccio Savioli
Come è iniziata la tua attività teatrale? In quali anni? Io ricordo la
tua esperienza nel clan dei Savages alla fine degli Anni ’60 e primi
Anni ’70, con Zino Squintu, dove gravitava anche il nostro complesso
beat, gli Undergrounds. Poi ci siamo persi di vista.
Ho iniziato a Sassari nella metà degli Anni ’70 (’74-75) con il Collettivo XXV aprile con Carlo Pinna e Antonello Gennaro. Nello stesso
periodo a Sassari c’erano altre realtà teatrali essenzialmente create
da Giampiero Cubeddu, con Poddighe, Luigi Manconi, Tetta Duce, i
gemelli Carboni etc., espressione di un grande fermento culturale
che viveva la nostra città. Personalmente mi sono subito legato ad
un tipo di teatro politico portato avanti da gruppi che si rifacevano a
Lotta Continua ed al Movimento Studentesco… Si chiamava Cose da
pazzi e si facevano le rappresentazioni, sempre su argomenti politici,
anche al Teatro Civico, poi ad Alghero nelle case occupate, ricordo
anche ad Orgosolo.
Un salto di qualità si è avuto quando alcuni attori del collettivo
XXV aprile (in particolare Carlo e Antonello) sono andati in Continente
per vedere degli spettacoli teatrali, venendo a contatto con la Compagnia Spettacolo Herodes, restando entusiasti per la professionalità
e l’originalità del loro lavoro; allora hanno chiesto agli attori, con cui
si era stabilito un rapporto di amicizia, di fare un seminario a Sassari
. Nel 1976 sono venuti a Sassari come “Compagnia Comuna Nucleo”
e sono rimasti per un mese intero... abbiamo fatto delle cose insieme;
addirittura hanno lavorato con Carlo Desole, lo psichiatra, a Rizzeddu,
e in altre sedi. Da quel momento, vedendo questi personaggi straordinari, è nato in me lo stimolo a fare questo lavoro come una professione, non come “dopolavorista”. Infatti, all’epoca con Bruno Pianu
avevamo fondato l’Elettronica Professionale in Largo Ittiri, e in quei
locali abitavamo ed esercitavamo.
208
PIER LUIGI CHERCHI
Quindi è in questo periodo che hai fatto il grande passo, lasciando
il lavoro a Sassari per trasferirti come professionista nell’ambiente
teatrale.
Sì è proprio allora che ho scelto, come per una folgorazione, di
fare il professionista di teatro e mi sono trasferito a Ferrara nell’ottobre
1977, rimanendovi per cinque anni sempre nella Compagnia Nucleo
che trasformò il nome in Teatro Nucleo, essendo tramontato il concetto della Comune dei primi Anni ’70. Nella compagnia sono stato il
primo attore italiano in quanto i componenti erano tutti e tre argentini… abbiamo girato tutta l’Europa, ricordo Svezia, Norvegia, Spagna,
Germania… siamo stati anche in Messico. Nel 1982, dopo un periodo
in Danimarca, sono tornato a Sassari, e ho cercato di fare una piccola
compagnia con due ragazze sassaresi, Maria Antonietta Azzu... Mi dici
che ha letto alcune pagine di un tuo libro durante una presentazione
alcuni anni fa, è molto brava... e Donatella Meazza, che adesso lavora
a Roma alla RAI… come musicista avevamo Angelo Vargiu, un clarinettista classico che faceva anche molto jazz. Abbiamo messo in scena
una commedia, ma non c’è stato un seguito, era tutto molto difficile,
c’era poca organizzazione.
In quel periodo comunque avevamo creato un locale culturale, si
chiamava il Voltaire, e i soci erano il sottoscritto, Giuseppe Bazzoni e
Gigi Ippolito… si faceva cinema, musica, mostre di pittura, ricordo
una rassegna su Buster Keaton con al pianoforte Gisella Frontero,
una pianista interprete di composizioni d’avanguardia. Avevo conosciuto un regista venezuelano, Josè Luis Sanchez Martinez, che ci
curò la regia di uno spettacolo proprio al Voltaire, con un discreto
successo. Alla fine, comunque, nel 1985, ho deciso di tornare a Ferrara,
dove sono rimasto fino al 1987.
Nel 1987 sono tornato a Sassari con una compagnia polacca, con
uno spettacolo di cui avevo curato la scenografia… il progetto si
chiamava “La peste” sul tema del romanzo di Albert Camous “La peste”… lo avevamo rappresentato alla Colonia Campestre, all’aperto.
Era un laboratorio multiplo, sia di teatro che di costruzioni scenografiche; avevamo utilizzato una massa di comparse, che non erano
altro che studenti, per ampliare lo spettacolo. Lo avevamo riproposto
per una decina di giorni. Dopo l’esperienza sassarese, ho continuato
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PIER LUIGI CHERCHI
a girare l’Europa con questa compagnia polacca, insieme alla mia
compagna Michelle che avevo conosciuto a Ferrara.
È con Michelle che è nata l’idea del Theatre en vol? Quale è stata la
scintilla di questo progetto così originale e innovativo?
Una volta staccati dalla compagnia polacca abbiamo iniziato un
progetto teatrale in Toscana, vicino ad Arezzo, in un cascinale che
volevamo adibire a centro culturale… abbiamo lavorato tanto tempo
per rimetterlo a posto, tanta fatica, e poi lo abbiamo dovuto lasciare.
Quindi le mie peripezie mi hanno portato a Napoli, in una cooperativa
teatrale, ma nel gennaio 1989 è nata mia figlia e siamo dovuti tornare
a Sassari e in questo periodo abbiamo iniziato con il Theatre en vol. Il
primo spettacolo fu a Napoli con le scenografie e tutte le macchine
costruite da me, poi Germania, Svizzera, Olanda e altre nazioni europee. Nel frattempo una nostra amica francese di Parigi organizzava
delle manifestazioni per il bicentenario della Rivoluzione Francese al
Grand Palais, a cui poteva partecipare un numero limitato di artisti,
solo sessanta, provenienti da tutta Europa, sul tema dell’utopia. Questa
amica vide le nostre scenografie apprezzandole molto e ci invitò a
partecipare alla manifestazione. Gli artisti però non potevano partecipare come privati, ma dovevano essere presentati da una città; fortunatamente l’assessore alla cultura del Comune di Sassari Franco
Borghetto ci venne incontro e ci permise di rappresentare a quell’evento la città di Sassari… Era il dicembre 1989, al Gran Palais mise
i primi passi nostra figlia. I consensi furono tantissimi, iniziammo a
girare la Francia per fare gli spettacoli, poi tredici paesi d’Europa, addirittura siamo andati in Tunisia. Non c’era ancora la BAU (Brigata Armonizzazione Urbana) che è nata nel 2009. Poi da allora sono rimasto
a Sassari anche se in giro continuamente per l’Europa.
In quegli Anni ’80 Sassari viveva ancora un grande fermento artistico e culturale; non c’erano più i complessi degli Anni ’60-’70, ma si
faceva musica più impegnata, soprattutto jazz, e il teatro seguiva questa vivacità in un periodo in cui la maggior parte dei giovani rifiutava
l’impegno politico dopo i disastri degli Anni ’70. Quali erano, oltre a
voi, i gruppi teatrali emergenti?
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
211
C’erano tanti gruppi teatrali nella Sassari degli Anni ’80: Pier Paolo
Conconi, che già nei Savages era quello che curava tutti i contatti
esterni, era uno dei pochi che riusciva a muoversi e ad avere anche
contributi ministeriali, poi Ariele con Alberto Capitta che lavorava
con testi elaborati da lui, S’arza di Romano Fadda e Paola Dessì che
presentavano gli spettacoli nei capannoni di Corea… quello era un
teatro di movimento, di fisicità, la Cooperativa Teatro Sassari di Giampiero Cubeddu, il “maestro”, che in genere utilizzava il Teatro Civico,
il Ciaka Teatro di Andrea Dessì e Marcello Deriu, che è stato una meteora, è scomparso molto velocemente. In quel periodo nel campo
della musica di cultura c’erano gli Humaniora di Zino Squintu, dopo
l’esperienza con i Savages… loro però facevano concerti non teatro.
Ma le istituzioni, soprattutto a livello locale, favorivano queste attività culturali o si tendeva a fare “da soli” senza contributi o finanziamenti pubblici?
A Sassari sicuramente nel nostro campo, come dici, c’era un grande
fermento, purtroppo non accompagnato dalla presenza di politici illuminati che si sono guardati bene dal fare delle scelte a favore della
cultura. In un periodo successivo c’è stato qualche politico come
Anna Sanna, Gianni Cossu, Acciaro… ho già citato Borghetto, poi
Sandro Agnesa… che sicuramente ci sono venuti incontro. Ma in
linea generale ci si aiutava con l’entusiasmo, la volontà e l’intraprendenza di una generazione di giovani che volevano arrivare.
LA SCUOLA PATATRAC, JAZZ E ARTE
Intervista a Pino Squintu
Nei primi Anni ’70, ai tempi della nostra frequentazione tra Banari
e Sassari, ti consideravo un cultore ed esperto del “progressive” e anche dei primi album free-jazz che collezionavi. Io ascoltavo i tuoi LP
e cercavo di trasferire quella musica sulla mia chitarra, però tu allora
ancora non suonavi; come ti sei avvicinato alla musica sia come organizzatore di grandi eventi che come musicista jazz?
In quegli Anni ’70, dal ’75 esattamente, ho lavorato a Radio Sassari
Centrale, in pratica fino alla fine degli Anni ’70… essenzialmente trasmissioni di tipo culturale legate all’area della sinistra, ma si trasmetteva anche tanta musica all’avanguardia. Poi, all’inizio degli Anni ’80,
la radio dovette chiudere e allora ci venne l’idea di formare un gruppo
cinematografico Antoine Doinel – dal nome di un personaggio dei
film di Trouffaut –, in pratica un cinema d’essai, una specie di cineforum ma senza la struttura del vecchio cineforum di Padre Guidubaldi...
non c’era il dibattito finale, ma solo la proiezione. Eravamo io, Antonello Grimaldi, Antonello Lubinu e Gigi Campus; si proiettava alle 4
Colonne o al Verdi… un grande successo.
Invece l’impegno con la musica, sempre con l’associazione Antoine
Doinel iniziò nel 1981 quando portammo a Sassari Steve Lacy col suo
quintetto... proprio Steve Lacy quintetto era la denominazione del
gruppo… al Teatro Verdi, uno dei primi concerti jazz; poi portammo
Keith Tippet, che aveva suonato con i Kimg Crimson del periodo
tardo beat, quando non c’era più Greg Lake, e la famosissima Julie
Driscoll, quella dei Trinity degli Anni ’60... in quel periodo, per vie traverse, riuscimmo a sapere che Brian Auger, il capo dei Trinity, si era
trasferito a Cagliari... immagina che per pubblicizzare l’avvenimento,
allora non c’era Internet… si faceva volantinaggio e passa parola, era
tutto più difficile. Un aneddoto curioso che riguarda quel concerto di
Keith Tippet si riferisce al pianoforte Steinway che ci dette in prestito
il Conservatorio di Sassari con in cambio la promessa poi di traspor-
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
213
tarlo al Teatro Civico. Allora... sembra incredibile… l’abbiamo messo
sopra un “carruzzo”, quelli con i cuscinetti a sfera della discesa di
viale Trento della Festa delle Matricole, e abbiamo chiamato i Monumenteros di Piazza d’Italia per darci una mano. Il pianoforte fu proprio
spinto a mano per portarlo al Teatro Verdi percorrendo mezza Sassari
vecchia tra la curiosità della gente... io avevo comunque dovuto firmare una assicurazione.
Nel 1981 poi avevamo organizzato due grandissimi concerti al Teatro Civico con Stefano Mancini, ora musicologo e presidente della
Cooperativa Teatro e/o Musica... un successo strepitoso.
Come è nata la scuola di musica Patatrac che a Sassari ha segnato
un’epoca in questo campo? Credo che sia stato il momento di passaggio tra la musica istintiva ed emotiva che veniva fatta da autodidatti
negli Anni ’60 e ’70, senza alcuna conoscenza di base, alla musica
vera, quella degli spartiti, dei pentagrammi, della cultura ben definita
in questo campo.
Concerto della Scuola di musica di Sassari diretta da Eugenio Colombo al Teatro
Civico
214
PIER LUIGI CHERCHI
Musicisti della Scuola Patatrac a Carnevale nel corso Vittorio Emanuele
La scuola Patatrac è nata proprio in quegli anni, prima nei capannoni di Corea a Serra Secca, e poi in via Carmelo, vicino a casa tua,
nei locali dell’ARCI alla fine degli Anni ’70, sotto la direzione di Mario
Losito. Lì ho incontrato artisti come Antonio Luiu, contrabassista, e
Pier Paolo Duce… e così ho iniziato a suonare il sassofono sempre
impostato sul jazz.
Si andava anche in luoghi alternativi, a suonare nelle campagne,
sotto i nuraghi, ricordo a Fonni una delle prime performance… poi
anche in carcere, a San Sebastiano a suonare per i detenuti, io Antonio
Luiu e Daniele Serra. Lì, in carcere, ogni tanto, non riuscendo a seguire
il jazz oltre un certo tempo, iniziavano a fare richieste di musica pop,
di canzonette, ricordo che chiedevano pezzi dei Police e dei Dire
Straits e chiaramente non potevamo accontentarli. Poi, con gli stessi
musicisti, abbiamo suonato al Meringa, in via Arborea, era un locale
sopra Zia Forica… si faceva comunque sempre jazz, ma lì comunque
l’ambiente era selezionato, la gente veniva per ascoltare quel tipo di
musica.
La scuola Patatrac ebbe un seguito incredibile arrivando ad avere
oltre 350 iscritti, poi però le cose cambiarono e alla metà degli Anni
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
215
’80 questo progetto si esaurì. Pensa che anche il grande Paolo Fresu
fece dei seminari nella nostra scuola di musica, e quel concerto di
Steve Lacy di cui abbiamo parlato, nel 1981, lo aprì proprio lui col
suo gruppo… allora era giovanissimo, stava muovendo i primi passi.
Un altro grande della musica che ha suonato al Patatrac è stato Enzo
Favata, artista oggi di fama nazionale e internazionale che ogni anno
organizza Musica sulle Bocche a Santa Teresa. Si facevano anche lezioni di musica d’insieme… ricordo un Seminario con Eugenio Co-
Scuola di musica a Carnevale: si riconoscono Antonio Luiu alla chitarra e Marcello
Truddaiu al clarinetto
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PIER LUIGI CHERCHI
Scuola di musica on the road a carnevale in Corso Vittorio Emanuele
lombo, sax e flauto, e uno con Bruno Tommaso, grandi maestri. Alla
fine di questi seminari si facevano i concerti al Teatro Verdi.
Ma sei d’accordo che, anche negli Anni ’80, Sassari viveva un grande
fermento culturale, in tutti i campi, oltre alla musica il teatro, l’arte
pittorica, le mostre, i concerti.
Per quella che è la mia esperienza era un periodo di grande fermento culturale nel campo della musica, si organizzavano i concerti
mettendo insieme l’associazione Antoine Doinel e la Scuola “Patatrac”,
e si portavano a Sassari grandi nomi internazionali, senza avere grandi
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
217
finanziamenti e sponsorizzazioni, solo grande entusiasmo... alla fine
se andava bene andavamo “in pari’ altrimenti ci si rimetteva.
Un altro centro importante per la musica sassarese di un certo livello è stato il Buendja, di via Sorso, poi trasformato in Menestrello,
di Pinuccio Murrai e Tore Mannu, batterista beat degli Anni ’60, quando
suonavi tu... e, anche se di ambientazione completamente diversa,
Le Querce a Monte Bianchinu... certamente a vederli erano due mondi
diversi, il primo un locale alternativo e il secondo il “centro di gravità
permanente” della borghesia sassarese degli Anni ’80.
In quegli anni, sempre sotto la direzione di Mario Losito, si facevano
delle performance anche all’esterno, ad esempio in piazzetta Ittiri o
in piazza Tola; ricordo che in occasione del carnevale i musicisti (una
trentina di persone) erano tutti mascherati, qualcuno apriva le finestre
e suonava rivolto verso il pubblico, mentre il gruppo più numeroso
suonava nella piazza, tutto acustico, anche con tubi, con strumenti
non convenzionali. Alla fine degli Anni ’80 questo grande fermento
artistico poi si è esaurito, è finito tutto. Hanno aperto poi dei locali
importanti, primo fra tutti il Bird Land, dove si fa blues e jazz, con
eventi di un certo spessore e oggi è anche una scuola di musica.
Negli Anni ’80 le attività culturali riguardarono altri campi oltre
alla musica, ci fu anche un risveglio nel campo della pittura e della
scultura, con una serie di eventi, mostre anche di artisti emergenti
come Renato Fancellu e altri… Dedicandomi alla pittura fin dagli
Anni ’70 proprio nel 1980 feci la mia prima mostra di un certo rilievo
al Teatro Civico. Ma si organizzavano mostre in luoghi non convenzionali, come case disabitate, spazi aperti, non le solite gallerie… iniziative legate a due grandi nomi come Marco Magnani, purtroppo
prematuramente scomparso, e Giuliana Altea, che poi hanno creato
quei fantastici volumi sull’arte in Sardegna. Ricordo nel 1986, nei
Bagni Bonino, in piazza d’Italia, una mostra non convenzionale organizzata da Marco Moretti, Enrico Puggioni, Giulia Sale, e poi anche
nel palazzo della Provincia per il carnevale di quell’anno.
Allora possiamo dire davvero che “John Lennon si è fermato a
Sassari”?
Certo… questo titolo mi piace molto. La rivoluzione beat è stata
218
PIER LUIGI CHERCHI
come un volano che ha creato nella città un fermento culturale che
non si è limitato agli Anni ’60-’70, come in altre città, ma si è trascinato
anche negli Anni ’80, nonostante questi siano considerati come anni
di disimpegno sia politico che culturale. A Sassari non è stato così.
I musicisti della Patatrac scatenati nella serata di Carnevale
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
219
QUEL GENIO DI GIAMPIERO CUBEDDU
Intervista di Paul Dessanti a Stefano Mancini
Paul Dessanti nasce artisticamente a Genova nel 1982 e subito
dopo a Diano Marina (Imperia), lavorando come fantasista nel varietà
“Tutto quanto fa spettacolo” con Massimo Costa e Alfredo Nocera.
Dalla Liguria lo spettacolo si trasferisce a Milano, nei più importanti
cabaret milanesi quali Rik’s Cabaret, 10° piano e teatro Smeraldo. Insieme a Massimo Costa partecipa a varie tournèe nelle più importanti
discoteche del centro e nord-Italia nella metà degli Anni ’80.
Nel 1988 rientra in Sardegna proseguendo la sua attività artistica
come cantante, animatore, conduttore nei più frequentati piano bar
della Sardegna, distinguendosi per la sua verve e la sua capacità di
improvvisare modificando il taglio della serata in base al tipo di pubblico ed alle richieste della sala. Come cantante pubblica un album
intitolato Uomini con due brani inediti e sei cover.
220
PIER LUIGI CHERCHI
Alla fine degli Anni ’80, con un look da Fiorello prima maniera, diventa uno dei personaggi di spicco dell’Atrium, dove Cosimo Salis
aveva creato un nuovo modello di piano bar, con la separazione
della discoteca al piano terra dalla sala bar al piano superiore con
grandi musicisti come Mariano Melis, Fabio Nicosia, Gavino Riva, Fabrizio Guelpa, Raffaele Polcino. La domenica sera sempre all ’Atrium
Paul anima il cabaret caratterizzato anche da riprese televisive con
Tele Etere di Pierluigi Dessì, vivacizzando la serata e portando sempre
quella ventata di entusiasmo che ne ha contraddistinto l’impegno e il
fervore artistico.
Nello stesso periodo partecipa a vari programmi televisivi di emittenti nostrane accompagnando personaggi come Piero Marras, Benito
urgu, e i nascenti Tazenda.
Negli Anni ’90 inizia la sua attività di produttore creando agenzie
di spettacoli che portano i suoi show in tutte le piazze dell’isola.
Diventa conduttore di punta nelle emittente “Cinque stelle Sardegna”
con gli spettacoli Paul Bar e Die pro die, da cui è tratta l’intervista al
musicista e direttore del conservatorio di Sassari Stefano Mancini.
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
221
Siamo al Teatro Civico, nel Centro Storico, insieme al Prof Mancini,
che si è trasferito a Sassari da Roma nel 1972… ormai è diventato un
sassarese DOC, sicuramente conoscerà quella che è la storia della
nostra città.
Sì, nel 1972 mi sono trasferito a Sassari, come vincitore di concorso,
da Roma, e ho vissuto il centro storico, perchè naturalmente con la
nostra attività abbiamo fatto tanti spettacoli anche all’interno del centro storico. Mi ricordo delle sacre rappresentazioni che Giampiero
Cubeddu, il nostro compianto ex presidente, ha proposto… ha sempre
ideato degli spettacoli che potessero unire l’aspetto spettacolare con
il luogo. Ricordo la cattedrale di San Nicola, piazza Santa Caterina,
insomma spettacoli e rappresentazioni legate alla Settimana Santa,
che però facevano rivivere il centro storico in una situazione anomala
rispetto alla vita cittadina.
Giampiero Cubeddu è scomparso qualche anno fa. Era un regista
teatrale che ha fatto parte del costume della città di Sassari.
Giampiero è stato un attivo attore culturale di questa città, ne ha
Stefano Mancini intervistato da Paul Dessanti
222
PIER LUIGI CHERCHI
messo in rilievo i migliori aspetti culturali… grazie a lui il Teatro
Civico ha ripreso a vivere. Negli Anni ’70 il Teatro Civico era un pochino esclusiva di spettacoli di un certo tipo, molto selettivi… è diventato un luogo di raccolta della città. Sto parlando del ’73-’74-’75,
anni in cui c’era una giunta che si è attivata con l’assessore Sandro
Agnesa, mi ricordo che era coraggiosissimo, e ha aperto le porte a
questo teatro.
Se vogliamo raccontare anche quelli che sono i costumi della
nostra società e presentare Giampiero Cubeddu a chi non lo conoscesse, per chi è giovane, per chi non è sassarese, cosa si può dire in
breve di quest’uomo che tanto ha fatto per il teatro?
Un animatore culturale legato al teatro, legato alla società, fondatore del Teatro Sassari, una compagnia storica in cui il dialetto viene
riabilitato. Ha insegnato al conservatorio, si è laureato a Roma, nella
facoltà di lettere. Nasce qua, ma naturalmente si è perfezionato fuori,
poi è ritornato in questa città e ha dedicato la sua vita a questa città,
cercando di mettere in risalto tutte le qualità positive sia ridanciane,
con la Compagnia
Teatro Sassari, sia
culturali di grosso
livello con noi, con
la Cooperativa Teatro e/o Musica… attività legate alla
musica classica,
all’operetta,
all’Opera Buffa. Noi
siamo depositari di
un Festival dell’Opera Buffa in cui
ci sono decine di
incisioni realizzate
proprio qui nel Teatro Civico, realizIl regista teatrale Giampiero Cubeddu.
zate con le nostre
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
223
Stefano Mancini con Paul Dessanti davanti al Teatro Civico
maestranze, dal punto di vista scenografico, l’orchestra, i cantanti. È
stato più che un pioniere un genio, il centro motore di attività culturali
di questa città per trent’anni.
Insomma, viva Giampiero Cubeddu, che ricordiamo sempre con
affetto, simpatia e grande stima. E ricordiamo a tutti di venire qui al
Teatro Civico, Sassari memoria e identità, perché c’è la possibilità di
ammirare vecchie fotografie, un palazzo straordinario...
È un museo… di etnia. Nel retropalco c’è proprio un museo con
tutta la parte identitaria della città… credo che anche le scolaresche
facciano parte di questi progetti. È importante rivitalizzare il centro
storico che è il vero centro pulsante di tutte le attività culturali della
città.
UNICI, STUPENDI, IRRIPETIBILI. MA...
Da caffèforum.it/l-angolo-della-nostalgia-gli-Anni-’80-erano-davvero-migliori
– Bentornati nei 10 anni che hanno segnato la vostra infanzia,
quando ci divertivamo con niente, un pallone o una bambola a seconda del sesso, ma anche un pezzo di gesso per disegnare una campana, o una corda da saltare. Non c’era internet, non c’era Google,
non c’erano telefonini, reality show, grandi fratelli. Per sapere le notizie
bisognava aspettare il telegiornale, le ricerche si facevano in biblioteca,
e per telefonare bisognava prima ricorrere a una macchina stranissima
che convertiva le monete in gettoni, e poi trovare una cabina libera...
Sono stati 10 anni pieni di cadute e ginocchi massacrati, di polmoniti
sfiorate con corse a casa con le magliette zuppe di sudore, di pomeriggi
pieni di pane e nutella, o pane burro e marmellata.
– Siamo stati gli ultimi bambini davvero ingenui e candidi, per cui
non esistevano i doppi sensi e bastava una sguardo per farci arrossire.
Con 500 lire ci sentivamo tanto ricchi da passare un intero pomeriggio
in sala giochi, 10.000 lire sembravano una cifra astronomica, quando
un ghiacciolo costava 150 lire e un pacchetto di figurine 50. Non c’era
la playstation, al massimo Pong, con due biglie passavamo dei po-
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
225
meriggi interi, mentre il “mondo reale” ci sfiorava appena, ma riuscivamo comunque a capire che non era cosí cattivo. Molti hanno denigrato questi Anni ’80, ma io non penso che ci sia stato tanto di meglio,
dopo. E allora, bentornati nei vostri 10 anni più felici.
– Mi limito a dire che son stati UNICI, STUPENDI, IRRIPETIBILI e
non solo perché erano gli anni della nostra adolescenza, ma appunto
come ha giustamente fatto notare [...], non c’era feccia allogena, ci si
divertiva con pochissimo. Ricordo interminabili partite di pallone anche quando era buio, cose turche fatte con i miei amici quasi da
piccoli teppisti, come scherzi di ogni tipo... Ci potrei scrivere un libro...
Per farvi capire che tipo ero, una volta una vecchia dove per sbaglio
buttammo il pallone di cuoio appena comprato nel suo giardino, me
lo squarciò davanti...
Io non le dissi nulla, con il mio amico [...] aspettammo che si facesse sera e poi aprimmo la pompa dell’acqua nella sua cantina... e
ce ne andammo. Le prime donne, [...], gli anni al negozio di dischi
dove ho avuto la fortuna di ascoltare tutta la musica più bella di
quegli anni... Ma la cosa più bella era l’atmosfera perenne di magia
che sembrava contraddistinguerli. Oggi quella poesia è certamenteinesistente.
– Io sono del ’74. Li ho vissuti in età adolescenziale, ma immigrati
non ne vedevi, solo qualche marocchino raramente. Una cosa è certa:
la gente era molto più motivata, la scuola più ordinata e la zona industriale della mia città dava lavoro a più di 15.000 persone. Adesso è
stata completamente smantellata per dare posto al made in China.
– Sono nato a fine ’80 quindi posso dire di ricordare solo i ’90 e gli
’00. Devo dire che con la mia crescita il mondo ha fatto sempre più
schifo, sia a livello internazionale che nazionale. Il futuro lo vedo
nero e senza speranze, la gioventù non me la godo in modo spensierato ma la passo studiando (niente festini, discoteche, droghe e altre
schifezze). Man mano che è passato il tempo ho percepito l’invasione
allogena con sempre più violenta e arrogante in questo paese.
226
PIER LUIGI CHERCHI
In tempo di pace un uomo saggio si prepara alla guerra; con questa
frase intendo dire che adesso è comunque un epoca di “benessere” e
prevedo una gigantesca crisi nel futuro in vista della quale dobbiamo
essere pronti. Gli anni ’80 (insieme ai ’60 e i ’70) sono stati gli anni del
boom economico dove la gente pur avendo poco era ottimista e viveva bene (senza considerare poi che si guadagnava di più, si viveva
con meno denaro e il degrado delle città era minore). Oggi nell’epoca
post-euro la gente guadagna molto di meno, tutto costa di più e nonostante questo la gente magari ha il cellulare strafigo e si veste di
marca buttando così i propri stipendi ma non è felice. È un paese
vecchio e pessimista, senza speranze. Credo che gli Anni ’80 fossero
felici perché tutti guardavano al benessere dei ’90 e dei primi ’00:
penso che oggi tutti siano pessimisti perché guardano al disastro che
sarà dei ’10, dei ’20 e soprattutto dei ’30.
– Dico sempre a mia moglie: se potessi riportare il tempo agli Anni
’80, sarebbe l’Italia il paese che sceglierei!
– Mio padre negli Anni ’80 aveva 20 anni e me ne parla spesso e
ovviamente bene. Si viveva meglio in tutto a partire dalla circolazione
stradale. Non esistevano punti, etilometri, zone a traffico limitato con
telecamere, casco obbligatorio... Discoteche ce ne erano tantissime,
molte più di quante ce ne siano ora, e il divertimento era molte più
sere a settimana non solo venerdì e sabato, e per di più non c’era
l’obbligo come ora che per andare in disco bisogna essere vestiti
come se si dovesse andare a un matrimonio. Gli stipendi dell’epoca
garantivano anche ad un operaio di avere un tenore di vita più che
soddisfacente, al contrario di oggi. Le case costavano meno, il potere
di acquisto della moneta era buono e poi erano passati appena 10
anni dal ’68 e vi era un desiderio di libertà, pace, divertimento, il
mondo era appena cambiato. Io sinceramente avrei preferito vivere
quegli anni. Ora fa tutto schifo.
– Quello che differenzia tantissimo gli Anni ’80 da questi ultimi
anni è il clima, l’atmosfera. Negli Anni ’80 l’Italia portava avanti i figli
del boom economico, i giovani finivano di studiare, e avevano un la-
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
227
voro, si sposavano, mettevano su famiglia e addirittura si comprava
casa.
In generale tutto era colorato, si respirava ottimismo.
Queste ultime cose sono utopiche per un ventenne o trentenne
dei giorni nostri: il lavoro (se lo trovi) è precario, mal pagato, non hai
ferie, malattia e paghi contributi che non ti verranno mai riconosciuti.
La casa, il mutuo, sono cose che non c’è proprio verso, non ce le immaginiamo neanche. Gli ultimi anni sono estremamente pessimisti
rispetto agli Anni ’80, questa è una delle più grandi differenze secondo
me. Voi che ne pensate? Saluti!
– Quando mi sento triste mi viene istintivo guardare al passato, a
quando ero sano e stavo ancora bene ed avevo ancora tante energie
da spendere. Mi viene da guardare indietro fino a giungere a un’epoca
per me magica perché oltre ad essere sano ero ancora bimbo. Gli
Anni ’80 sono stati bellissimi probabilmente non solo per me, anni in
cui era tutto un pochino più semplice e genuino, delle Fiat Panda,
delle 126, dei paninari e di Burghy, della moda Kitch, dei Duran Duran,
Righeira e degli Spandau Ballet... anni di scoperta e curiosità, di rivoluzione anche in ambito televisivo. La televisione negli Anni ’80 era
più bella, c’erano programmi e palinsesti migliori di quelli di oggi, più
seri e più digeribili; non c’era l’esagerazione né le minchiate della De
Filippi, non c’era la Clerici, non c’era il grande fratello e Costanzo
stava ancora tranquillo al posto suo a fare il Costanzo Show. C’erano
tanti telefilm guardabili, l’Isola dei famosi ancora non esisteva e la
Ventura all’epoca stava ancora zitta, placida e tranquilla “sotto sedativi”
a fare sfilate. Berlusconi era ancora a capo della Fininvest e non in
giro a spaccare le balle agli italiani. Ed era proprio su Italia uno che
andava in onda Bim Bum Bam con Paolo, Manuela e Uan...
– Proprio l’altro giorno notavo che praticamente tutti quelli che
erano i miei “idoli” musicali (soprattutto stranieri) in quegli anni, sono
oggi ancora in piena attività e tutti cinquantenni o più continuano a
produrre musica di ottima fattura. E io continuo ad ascoltarli (lo dico
sottovoce perché un po’ me ne vergogno ma... ehm... due anni fa ero
a Parigi proprio per vedere uno dei concerti europei di uno di questi
228
PIER LUIGI CHERCHI
artisti). Da grande fan della musica mi domando: quanti dei divetti
delle tv musicali degli adolescenti di oggi saranno in piena attività fra
30 anni? Ma il mio è un giudizio di parte, e mi riferivo in particolare
alla musica. Il resto? Beh, io ricordo ragazzini come me che si disegnavano le magliette da soli, che si dedicavano le canzoni alla radio,
che non avevano bisogno di “sballarsi” o ubriacarsi per essere felici.
Ricordo MOLTA meno omologazione, molta più creatività, rare notizie
di folli ubriachi al volante. Ricordo che a nessuno sarebbe mai venuto
in mente di fare le analisi del sangue agli autisti per scoprire la percentuale di cocaina, oppure ragazzi che vivevano senza senza cellulare, senza macchine elettriche. Ricordo una tv specialmente per i
giovani immensamente più creativa – forse più naif – serena, sorridente ma non scema (come il programma della tettona Salerno). Ricordo i primi video musicali di MTV, alcuni autentici capolavori presi
ad esempio ancora oggi. Non ricordo reality show da inebetiti, veline,
dettagli cruenti al TG, telefilm sulle autopsie. Eravamo più semplici,
ma più felici.
– Sono nato nel 1971. Gli anni Settanta sono stati belli ed emozionanti per quello che posso ricordare e ve lo assicuro, ricordo moltissime cose fatte logicamente in quegli ultimi anni. Ma a mio avviso
non c’è paragone con gli Anni ’80, assolutamente. Gli Anni ’70 o
almeno gli ultimi anni erano anni “mosci”, lenti, vivevi bene e c’era
molto lavoro, ma la moda, la musica e i divertimenti vari erano nettamente diversi dagli Anni ’80. Questi ultimi li ho vissuti appieno e se
avessi la macchina del tempo mi piacerebbe tornarci anche solo per
un giorno. Quel decennio era fatto su misura per le persone di qualsiasi età; ricordo il loro modo di pensare e di comportarsi, c’era rispetto
e molta pazienza verso il prossimo. A prescindere dal denaro che circolava abbastanza e che dava benessere quasi a tutti, gli Anni ’80 li
potevi assaporare come fosse una bibita fresca, li potevi sentire sulla
pelle come fosse una brezza marina (scusate, ma era così che li vivevo)
e gli sguardi delle persone che si incontravano per strada erano pieni
di gioia. Vedevo i miei cugini in quegli anni e li vedo ora, è vero che
le cose cambiano negli anni coi matrimoni e i figli, ma ragazzi... oggi
il loro modo di vivere si basa sull’egoismo, sulla superficialità e sul-
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
229
l’indifferenza e tutto questo vissuto con malinconia, molti pensieri e
molte responsabilità.
– Gli Anni ’80 li ho vissuti coi reali sentimenti di un bambino e
come tale mi comportavo.
Oggi il bambino è inteso solo per l’età, ma lui vuole crescere subito,
o perché è la società iper-veloce di oggi oppure perché entrambi i
genitori lavorano e mancando loro i bambini hanno voglia di capire
e recepire al più presto.
Oggi la dignità di un uomo (inteso come essere umano) è sotto i
piedi. L’uomo non viene più calcolato nemmeno per quel poco che
sa fare. Oggi la RACCOMANDAZIONE è al vertice di qualsiasi cosa,
sia per un lavoro importante (dottore, avvocato, ecc.) sia per un
lavoro più “umiliante” (spazzino, OSA, bidello ecc.).
Poi gli Anni ’80 erano gli anni ruggenti della Disco Music e della
Pop dei gruppi come: Spandau Ballet, The Tweens, Depeche Mode,
Baltimora, Raf, Righeira, giusto per citarne alcuni, ma sono a migliaia
e la maggior parte italiani. Erano melodie “magiche” e piene di emozioni. Ricordo che prima di andare a scuola la mattina facevo colazione ed ascoltavo un paio di canzoni dance che avevo registrato il
giorno prima dalla radio, per andare a scuola, che odiavo, un po’ più
sereno.
– Se ben ricordo c’era una voglia pazzesca di divertirsi...
Sono nata nel 1974 e il primo disco che ho comprato in vita mia,
manco a dirlo, era “Girls just wanna have fun” di Cindy Lauper.
Sì, era il momento in cui si pensava che Cindy Lauper fosse una vera
cantante e Madonna un fenomeno passeggero. Tempo un anno ed è
parso chiaro chi fosse la vera Regina.
Cosi tutte noi ci siamo comprate rossetti dal nome improbabile
(tipo “Forever fucsia”), top di pizzo che la mamma ci costringeva a
indossare con sotto la maglia della salute e i tipici braccialetti di caucciù, che i nostri padri definivano “guarnizioni da idraulico”.
Ci si andava anche in spiaggia con quella roba e i polsi non si abbronzavano mai.
Altri immancabili ammennicoli-feticci: le spalline sotto le maglie,
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le magliette, i bikini, insomma non si usciva senza spalline; la permanente, la frangetta sulla fronte alta alta, tenuta su con chili di lacca...
c’era chi si portava la lacca anche dentro le discoteche.
Già, le discoteche. A 15 anni noi ci andavamo di pomeriggio in tram,
e il massimo della trasgressione erotica era limonare sui divanetti al
buio. Non c’erano le cubiste, la selezioni all’ingresso, le liste dei PR,
gli alcolici e le pasticche. Solo coca cola e musica degli U2, degli
Skorpions, dei Bon Jovi… (si, lo ammetto, frequentavo le discoteche
dove la musica era davvero tamarra!!).
L’abbigliamento era uguale per tutte: jeans, body aderente con
spalline e chili di trucco. A vedere oggi le foto di allora mi accorgo
che avevamo tutte l’aspetto di prostitute appena picchiate dai magnaccia: ma in quegli occhi bistrati avevamo un candore che non
trovo nelle adolescenti di oggi.
Per vedere gli amici bastava stabilire che il ritrovo della compagnia
era una certa panchina ai giardini pubblici; se cercavi qualcuno andavi
li e prima o poi lo trovavi. Magari aspettavi un’ora o due, (non avevamo di certo il cellulare per tempestarci di “Dove sei? Quando arrivi?”), ma poi qualcuno che conoscevi prima o poi passava e il pomeriggio era risolto.
Poi erano i primi anni di consumismo, ma poi fino ad un certo
punto.
Mi ricordo di aver pregato mia madre di comprarmi un certo paio
di jeans, i Closed si chiamavano che erano, allora, roba da fighi. Due
bande di jeans più scuro a lato della gamba e una sottile scritta bianca,
per la cifra spropositata di 80.000 lire.
Mia madre è sbiancata e mi ha fatto giurare che li avrei “sfruttati”
davvero.
Ma non era un problema: le mode nascevano veloci ma duravano
a lungo.
I jeans, anche se li strapagavi potevi portarli per alcuni anni senza
smettere di essere “figo”. Oggi con 40 euro ti compri un paio di jeans
da Zara, sei nessuno con quelli addosso e dopo sei mesi, un anno al
massimo, sono passati di moda e se te li metti sei uno sfigato. Quindi
li butti e ne compri un altro paio.
I Closet, giuro, li ho sfruttati davvero: dopo anni li ho tagliati, sfran-
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giati in fondo e usati come bermuda per ancora un paio di stagioni.
Fatelo con un jeans di oggi e vi restano in mano i pezzi.
Quando mi sento dire che gli 80’s erano trash posso essere d’accordo,
si, magari da un punto di vista estetico e mediatico, ma allora c’era
un qualcosa che oggi non c’è più.
C’era la fiducia in una sorta di benessere che pareva essere duraturo
ed esponenziale. Eravamo un po’ ricchi ma lo saremmo stati sempre
di più.
Io ricordo che mi permettevo di sognare che avrei avuto un lavoro
meraviglioso, avrei guadagnato un sacco di soldi che avrei speso e
speso e speso.
Chiedete ad un ventenne di oggi come vede il suo futuro, economico e professionale…
D’altro canto era normale per noi ragazzi fare certi pensieri, erano
i tempi in cui i nostri padri, magari operai Fiat, mantenevano un’intera
famiglia, moglie a casa e uno o due figli all’università.
Oggi due impiegati faticano ad arrivare a fine mese e ci pensano
mille volte prima di fare un figlio.
Insomma, non era di certo solo la televisione piena di telefilm e
serie americane e di drive in e di cartoni animati giapponesi a darci
fiducia nel futuro e leggerezza del presente: era il clima che si respirava
in questo paese.
Un clima pre-globalizzato, pre-terrorismo islamico (ma post terrorismo rosso) pre-minaccia cinese… al massimo iniziavamo a guardare
il cielo chiedendoci che cos’era l’ozono.
Un giorno è addirittura crollato il muro di Berlino e tutto, ma proprio tutto, sembrava davvero possibile.
Se penso ai miei nipoti, oggi, che crescono con ben altre immagini
in tv: le torri gemelle in frantumi, le bombe in metropolitana…
Forse loro fra 15 anni avranno ancora quello in testa, mentre io ho
avuto Forever Fucsia, Like a Virgin e i Pink floyd che suonavano a cavallo di un muro che poi è andato giù…
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COSA RESTERÀ DI QUESTI ANNI ’80 (RAF)
Anni come giorni son volati via
brevi fotogrammi o treni in galleria
è un effetto serra che scioglie la felicità
delle nostre voglie e dei nostri jeans che cosa resterà.
Di questi anni maledetti dentro gli occhi tuoi
anni bucati e distratti noi vittime di noi
ora però ci costa il non amarsi più
è un dolore nascosto giù nell anima.
Cosa resterà di questi Anni Ottanta
afferrati già scivolati via... Cosa resterà,
e la radio canta, una verità dentro una bugia.
Anni ballando, ballando Reagan-Gorbaciov
danza la fame nel mondo un tragico rondò.
Noi siamo sempre più soli singole metà
anni sui libri di scuola e poi a cosa servirà.
Anni di amori violenti litigando per le vie
sempre pronti io e te a nuove geometrie
anni vuoti come lattine abbandonate là
ora che siamo alla fine di questa eternità...
Cosa resterà di questi Anni Ottanta
chi la scatterà la fotografia..Cosa resterà,
e la radio canta, “Won t you break my heart?”
“Won t you break my heart?”
... Anni rampanti dei miti sorridenti da wind-surf
sono già diventati graffiti ed ognuno pensa a sé
forse domani a quest ora non sarò esistito mai
e i sentimenti che senti se ne andranno come spray.
JOHN LENNON SI È FERMATO A SASSARI
Uh! No, no, no, no...
Anni veri di pubblicità, ma che cosa resterà
anni allegri e depressi di follia e lucidità
sembran già degli Anni Ottanta
per noi quasi ottanta anni fa...
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BIBLIOGRAFIA E WEBGRAFIA
Carmela Piu: “Forme di creatività: subculture giovanili e gruppi musicali a Sassari” (saggio inedito).
Il Resto Del Carlino, Bologna spettacoli, Sabato 22 novembre 2014
Le radio “pirata”, Nuova Sardegna 14 settembre 1975
caffèforum.it/l-angolo-della-nostalgia-gli-Anni-’80-erano-davvero-migliorihttp://www.lamette.it
www.alfiomusic.altervista.com
http://www.capitano.biz/RADIO_SASSARI.htm
www.sassareserie.blogspot.it
SorsoMusica!Altervista.org
Racconto di Andrea Poddighe su Sole nero e Coro degli angeli
Intervista di Paul Dessanti a Stefano Mancini da “Die pro die” (Cinque
stelle Sardegna)
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