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LUCE 296
Scenari contemporanei
Luce sulla terza dimensione
di Marcello Zagaria
04
Luce Interni
Nuova luce a Palazzo Farnese
di C. Bertolaja, M. Bonomo, A. Gigli
10
Quale illuminazione
per un museo di ambientazione?
di Chiara Aghemo, Cristina Boiano
14
Il museo del Risorgimento al Vittoriano, Roma
di Oscar Santilli
22
Saggi
La ricerca continua della qualità
di Roberto Corradini
Contaminazioni elettroluminescenti
di Domenico Nicolamarino
28
34
Intervista
Viaggio nel mondo dei giovani lighting designer
di Chiara Carucci
38
Innovazione
Il gigante dal buio
di C. Balocco, E. Marmonti, C. Vallario
48
L’impatto ambientale
di Mario Bonomo
52
Il design del Solid State Lighting
di D. Casciani, D. Paleari, M. Rossi
58
Panorama
Terzo Global Lighting Design Convention
di Roberto Corradini
Master in lighting design a Roma
di Floriana Cannatelli
Libri
Illuminazione LED
di Mauro Bozzola
5/2011
66
72
76
3
SCENARI CONTEMPORANEI
4
PINA, IL CINEMA
3D SECONDO WIM WENDERS
LUCE 296
5/2011
LUCE SULLA
TERZA
DIMENSIONE
“Pina”, il nuovo e bellissimo film di Wim Wenders,
omaggio alla grande coreografa e massima personalità
innovatrice del teatro danza europeo Pina Bausch,
scomparsa nel giugno 2009,
è la prima produzione cinematografica europea in S3D,
capace di trasportare lo spettatore in un viaggio
sensuale, visivamente travolgente,
alla scoperta di una dimensione del tutto inaspettata.
di Marcello Zagaria*
L
Ditta Miranda Jasjfi in Vollmond
sul set di Pina
© NEUE ROAD MOVIES GmbH.
Fotografia di Donata Wenders.
o sviluppo continuo di sofisticate soluzioni tecniche digitali di
visione, di ripresa e di proiezione di immagini è stato
strumentale alla determinazione del successo delle più
recenti produzioni cinematografiche Stereoscopiche 3D.
D’altra parte, la cultura occidentale sembra essere stata
sempre affascinata dagli “eccessi” del visibile, tendendo da
una parte a dominarlo, geometrizzarlo, e dall’altra ad
ampliarlo, alimentarlo con nuove annessioni e artifici. Le
ricerche sulla prospettiva prendono avvio da un
procedimento che è insieme scientifico e scenografico; le
vedute ottiche di Brunelleschi sono già un dispositivo
illusionistico-spettacolare. Due istanze, inizialmente confuse e
coesistenti: da una parte si trattava di elaborare modelli che
riproducessero i meccanismi della visione, attraverso
congegni ottici come la camera obscura o attraverso
proiezioni, sviluppi sulla superficie piana che l’occhio umano
costantemente corregge; dall’altra si trattava di sviluppare la
produzione di immagini ottenute artificialmente sfruttando le
leggi oggettive dell’ottica per ampliare e dilatare la sfera
dell’esperienza dell’immaginario e del fantastico. L’invenzione
del cinema coniuga l’esito di queste ricerche: elabora
congegni capaci di fissare e analizzare il movimento nelle sue
fasi e di superare quindi i limiti dell’occhio umano, incapace
di analizzare e “fissare” il continuum percettivo; dall’altra
elabora procedimenti di animazione delle immagini sfruttando
le illusioni ottiche generate dal fenomeno della persistenza
retinica dell’immagine. La caratteristica impressione di realtà
della visione filmica è fatta derivare anzitutto dalla
riproduzione del movimento, in grado di conferire “corporeità”
agli oggetti che il cinema riproduce. Come ha sintetizzato
Edgar Morin (1956), “la coincidenza della realtà del
movimento e dell’apparenza delle forme determina la
sensazione della vita concreta e la percezione della realtà
oggettiva. Le forme conferiscono la propria struttura oggettiva
al movimento e il movimento dà corpo alle forme”.
* Architetto e scenografo
5
SCENARI CONTEMPORANEI
Teatro ottico
Il teatro ottico (théâtre optique
in francese) è un dispositivo
per la visione di immagini
animate, inventato da CharlesÉmile Reynaud nel 1888 e
utilizzato per la prima volta in
pubblico al museo Grévin di
Parigi nel 1892. È stato il primo
spettacolo di immagini in
PINA, IL CINEMA
3D SECONDO WIM WENDERS
La stereografia digitale, nuova visione filmica
Lo scorso anno il direttore della 67a Mostra del Cinema di
Venezia, Marco Müller, dichiarò tutto l’interesse della Biennale
a intercettare quei luoghi dove succede davvero qualcosa nel
cinema: “La S3D può essere uno strumento incredibilmente
fertile e libero”, regala un’esperienza sensoriale inedita,
facendoci sentire molto più coinvolti nella proiezione rispetto
a un normale film a due dimensioni. Resta ancora tanto da
verificare e sperimentare, sia nell’ambito della disponibilità di
attrezzature complesse che di professionisti esperti.
Questa particolare affermazione di Muller potrà essere
certamente indagata nel futuro prossimo per scoprire se la
tecnologia digitale sarà presto soggetta a difficoltà inattese
oppure saprà rispondere a nuove richieste e prospettive del
mercato, come l’ambizione a liberarsi al più presto dal
“vincolo” degli occhiali con filtri stereoscopici. O piuttosto
quanto la tecnologia saprà sviluppare un proprio linguaggio
espressivo: “Scorsese si sta dedicando a un classico per
l’infanzia. Herzog gira a Chauvet-Pont-d’Arc, dove sono state
scoperte le pitture parietali più antiche della storia
dell’umanità”. Wenders ha presentato Pina fuori concorso al
61° Festival del Cinema di Berlino e più recentemente al
Festival Internazionale del Film di Roma 2011.
movimento proiettate a un
pubblico, precedente di tre anni
alla prima proiezione di film di
Auguste e Louis Lumière.
Fotografia: Sabrina Gazzola.
In alto a destra: Danzatori
dell’Ensemble in Vollmond sul set
di Pina © NEUE ROAD MOVIES
GmbH.
Fotografia di Donata Wenders.
6
Wim Wenders, tecnologia versus contenuto
Dopo aver girato nel comune calabrese di Badolato il
cortometraggio Il volo, occasione di approfondimento di una
personale ricerca sul colore e sull’immagine allo scopo di
evadere la S3D come effetto spettacolare, Wenders si è
impegnato ad arricchirne il linguaggio espressivo con nuovi
elementi, senza pretendere di sorprendere il pubblico, a
raccontare con cura la “realtà che abbiamo di fronte agli
occhi” oltre i luoghi comuni, per lasciare trasparire i momenti
in cui avviene qualcosa di straordinariamente diverso.
Dopo If Buildings Could Talk, video-esplorazione in S3D del
Rolex Learning Center di Losanna, presentata nel 2010 in
occasione della Biennale Architettura “People Meet in
Architecture” di Venezia, una esplorazione delle relazioni tra le
persone e gli spazi dell’edificio disegnato dallo studio
d’architettura nipponico SANAA, il grande regista si è affidato
alle nuove tecnologie digitali di ripresa con camere Canon
utilizzando lenti Zeiss e alla S3D sviluppata su un prototipo di
Philippe Bordelais e Alain Derobe, mentre
Cinepostproduction ha lavorato alla fase finale di resa delle
immagini. E dopo anni di riflessioni in merito alle capacità
espressive del 3D, ecco a breve in Italia Pina, lo straordinario
progetto realizzato con la compagnia Tanztheater a
Wuppertal, per 35 anni la casa e il cuore della attività creative
di Pina Bausch: “Tanto quanto cerchiamo la terza
dimensione, allo stesso tempo stiamo facendo del nostro
meglio per far dimenticare agli spettatori questa ‘conquista
dello spazio’. La plasticità non deve attirare per sé stessa,
ma deve rendersi invisibile, così che l’arte di Pina possa
essere il più possibile evidente”, racconta Wenders e
aggiunge che sia dal punto di vista del genere che dal punto
di vista della tecnologia, con Pina si è entrati in territori che
hanno richiesto notevoli sforzi innovativi: “Chiunque abbia
lavorato nella produzione ha dovuto imparare come
realizzare un film di danza in 3D, e questo al solo scopo di
porre le basi per un reale sviluppo del linguaggio
cinematografico in terza dimensione”.
Si tratta di una sfida impegnativa conferma Erwin M.
Schmidt, 3D producer, che molti registi esitano a
intraprendere perché richiede “un continuo processo di
apprendimento per acquisire la conoscenza necessaria per
la preparazione, le riprese e la post-produzione”.
Le nuove soluzioni adottate gettano una prospettiva inedita
sul genere stesso della danza e hanno contribuito a favorire
il lavoro creativo della compagnia e del regista durante le
riprese. È stato possibile attraversare nuovi confini
espressivi, sostiene anche Peter Pabst, set designer della
Compagnia dal 1980 e art director del film, in virtù dello
straordinario lavoro gestuale e di movimento dei danzatori di
Pina Bausch, allenati a superare e spostare i limiti fisici del
proprio corpo e delle emozioni alla ricerca di un contatto
intenso con lo spettatore.
Pina. Preparazione alle riprese
Durante la conversazione con Hanns-Georg Rodek al Media
Forum Film – International Film Conference NRW nell’estate
del 2010, Wenders, legato da una personale amicizia alla
coreografa tedesca, si è soffermato sugli accadimenti che
hanno anticipato le riprese del film: “Io e Pina avevamo
LUCE 296
5/2011
sul set di Pina.
Pina Bausch e Wim Wenders.
sognato questo progetto sulla danza da almeno vent’anni!
Era diventato poco a poco un gioco fra noi due, lei
domandava: 'Che ne dici di farlo adesso, Wim?' E io
rispondevo: 'Non lo so ancora, Pina!'. Non avevo ancora idea
di come poter filmare l’arte unica della sua danza. Il
Tanztheater di Pina Bausch è talmente pieno di energia,
libertà, così fisico e così pieno di vita che non sapevo davvero
come filmarlo nel modo giusto, finché un giorno, nel 2007,
non ho visto il nuovo 3DS digitale. Fu allora che chiamai Pina,
ancora dal cinema per dirle: 'Ora so come farlo, Pina'. Non ho
dovuto aggiungere null’altro, lei ha capito subito”.
Per realizzare l’idea sono stati necessari tempi più lunghi: ad
un esame più attento, le tecnologie digitali che offrivano
soluzioni interessanti per i film di animazione e di cassetta,
non erano tecnicamente all’altezza per ottenere una resa
davvero naturale dei movimenti della danza.
Così Wenders iniziò a pianificare il film e si preparò alle prime
riprese solo nella primavera del 2009: “Eravamo nel bel
mezzo della lavorazione, immediatamente prima della prova
di ripresa in S3D con l’ensemble a Wuppertal, quando
abbiamo ricevuto la notizia inaspettata e improvvisa della
morte di Pina. Fu sospesa la preparazione del film,
completamente scritto con e per Pina.
Tuttavia dopo un periodo di lutto, di riflessione, di consenso
da parte della famiglia, di incoraggiamento da parte della
compagnia, riprendemmo nuovamente in mano il progetto
con la registrazione di Café Muller, Le Sacre du Printemps e
Vollmond, eseguite dalla Compagnia alla Wuppertal Opera
House alla presenza del pubblico e filmate nella loro interezza
durante l’estate del 2009”. Di più non si era in grado di
realizzare: la concezione del film doveva essere ripensata
mentre il tour del Tanztheater costringeva a rivedere il
programma delle riprese in S3D e in diretta.
Nella primavera e nell’estate del 2010 si sono svolte le riprese
di Kontakthof, un’altra delle prime creazioni di Pina Bausch
per tre diverse formazioni: per l’ensemble del Wuppertal
Tanztheater, per una formazione di uomini e donne tra i 65 e
gli 80 anni e per una formazione di giovani a partire dai 14
anni. Per gli assoli, i danzatori eseguirono le loro performance
fuori dal limitato spazio della scena per invadere luoghi
pubblici e suggestivi di Wuppertal e dei suoi dintorni: strade,
boschi, cime delle montagne, paesaggi industriali della città.
Wim Wenders visiona
i giornalieri in 3D
“Finalmente eravamo in grado di concludere il film. Ma senza
essere riusciti a filmare niente insieme a Pina (scomparsa il
30 giugno 2009)! Gli accordi erano di incontrarsi a Wuppertal,
tre giorni più tardi, per il primo test di ripresa con i danzatori e
per mostrarle qualcosa in S3D. Non le interessava tanto
l’effetto stereoscopico, voleva vedere i suoi danzatori: 'Così
avrebbe capito meglio', diceva. Ma lei non vide nulla 'e io
stesso non ho mai avuto la possibilità di vederla di fronte alla
macchina da presa'”.
Le riprese con Alain Derobe
Per la composizione delle immagini in S3D, Wim Wenders ha di
nuovo coinvolto uno dei più esperti pionieri della stereografia in
3D, Alain Derobe che ha arricchito il gruppo con il suo
entusiasmo e la sua esperienza. E che nell’estate del 2009,
durante le simulazioni dei processi di ripresa e la serie di test
con la troupe del film e i danzatori del Tanztheater per verificare
l’affidabilità dell’equipaggiamento da usare per le riprese
autunnali, ha contribuito a mettere lo staff a proprio agio con le
attrezzature a specchio da lui stesso sviluppate. Questi test,
passati poi alla postproduzione e alla proiezione in una sala
cinematografica e altri successivi test, sono serviti per
approfondire la complessa conoscenza delle riprese in S3D.
L’assenza di Pina obbligava Wenders e tutta la produzione a
realizzare immagini tridimensionali davvero sorprendenti
proprio come dice di averle promesso.
“Normalmente, per un film di danza, avremmo disposto le
cineprese di fronte al palco, lontane dalla scena”, sostiene
7
SCENARI CONTEMPORANEI
In alto: Sul set di Pina.
Qui sopra: Wim Wenders accanto
al supervisor 3D Francois Garnier.
Occhiali S3D con filtri polarizzati
realizzati per If Buildings Could
Talk di Wim Wenders.
Fotografia di Marcello Zagaria.
8
PINA, IL CINEMA
3D SECONDO WIM WENDERS
Alain Derobe, viceversa “per una naturale percezione e
riproduzione dello spazio, per offrire agli spettatori la
sensazione di essere seduti in platea, o meglio, in mezzo al
palco, l’attrezzatura S3D doveva essere avvicinata il più
possibile ai danzatori” e libera di seguirli per catturare immagini
straordinariamente ravvicinate e dinamiche. “Durante i test fu
chiaro che ogni errore di ripresa a due dimensioni si
moltiplicava in S3D... e valeva doppio! Una panoramica veloce
con i danzatori in scena crea immagini che soffrono di un
effetto stroboscopico e i movimenti risultano innaturalmente
spasmodici. In 2D sappiamo come porvi rimedio: riprendiamo
l’azione lentamente. Nella S3D, questo non sembra rimediabile
in alcun modo. Ogni movimento veloce del braccio di un
danzatore produce l’impressione, per una frazione di secondo,
che tu possa vedere due, tre o quattro braccia. Alle abituali
sfocature e ai movimenti poco fluenti sullo schermo, ci siamo
abituati e non vi prestiamo più attenzione. Nella S3D invece,
ogni errore è subito evidente. Avremmo potuto girare ad un
frame rate più alto: 50 frame al secondo invece degli usuali
24 fps per risolvere molti problemi. Il girato è molto più
realistico, più semplice, naturale e confortevole da
guardare, specialmente in S3D. L’immagine migliora
enormemente in chiarezza e nitidezza. Si può
effettivamente filmare in questo modo, ma non si può
proiettare al cinema, perché l’unico standard al
mondo di proiezione è di
24 frame al secondo. La
nostra resistenza contro lo
standard determinato,
come ci fu reso noto,
seguiva le orme di James
Cameron che stava
disperatamente e senza successo
cercando l’autorizzazione per proiettare
Avatar a 50 o 60 frame al secondo. Studiare
Avatar è stato utile per accorgersi subito che,
sebbene gli avatar creati e animati al computer si
muovessero bene e in modo aggraziato - come desideravo
che si muovessero i nostri danzatori - difficilmente ci si poteva
sedere e guardarli. Tutti gli errori che avevo notato nei nostri
stessi test li ritrovavo in Avatar. Un personaggio si muove
appena e istantaneamente si notano tre o quattro braccia o
gambe. Semplicemente i movimenti non erano né armonici né
fluidi anche se non si nota moltissimo, perché molti di questi
movimenti generati dal computer funzionano bene e Cameron
stacca le inquadrature velocemente. In breve, Cameron ha
avuto i nostri stessi problemi, con la possibilità di mascherarli
meglio. Nel nostro caso, volevamo e dovevamo filmare tutto
dal vivo senza l’ausilio di immagini digitali. Era indispensabile
che i nostri ballerini si muovessero in modo elegante e fluido e
che la troupe scoprisse, ottimizzasse e persino superasse i
limiti della tecnologia per catturare movimenti del tutto naturali”.
L’evoluzione continua della stereoscopia 3D
La soluzione è tornare a ripensare il cinema. Continua
Derobe: “Le cineprese digitali lavorano in sincronia mentre
registrano molti fotogrammi di grande nitidezza e, come i
proiettori digitali, assicurano una riproduzione di grande
qualità e un’immagine assolutamente stabile: sincronia e
stabilità sono fattori cruciali per la percezione del 3D e
rendono possibile il completo controllo delle immagini digitali
durante l’intero processo di produzione, mentre la sfocatura
dell’immagine, cui ci siamo così meravigliosamente abituati in
un film, non esiste più.
Occorre imparare ad affidarsi ai nuovi sviluppi delle tecnologie
con la massima disponibilità e senza imbarazzo per la velocità
con cui si mettono in evidenza. Lo scorso ottobre abbiamo
girato con una gru telescopica di grande dimensioni,
controllata da un sofisticato sistema di motori – messo a
punto da Wenders e dal supervisore S3D Francois Garnier – e
da cinque persone addette alla manovra. Eretta letteralmente
in mezzo al teatro per riprendere l’azione e le coreografie a
distanza ravvicinata, è stata sincronizzata e programmata con
gli spostamenti dei danzatori, per impedire che le cineprese
LUCE 296
potessero intralciarli. A questo scopo il pavimento del teatro è
stato diviso in una scacchiera virtuale ed è stato usato un
rapportatore che corrispondeva esattamente con l’angolo di
visuale della lente della cinepresa. Usando registrazioni video
delle precedenti esibizioni, Wenders e Garnier potevano
trascrivere un dettagliato piano dei movimenti notando con
precisione su quale quadrante della scacchiera e in
qualunque momento della performance, le cineprese
dovessero essere posizionate.
Due cineprese come due occhi, raramente vicine l’una
all’altra a causa del loro alloggiamento ingombrante,
sovrapposte l’una sull’altra e collegate da uno specchio
semitrasparente per imitare l’effetto di una visione binoculare.
Nell’alloggiamento, le cineprese sono posizionate con angoli
di 90°. Lo specchio, installato in mezzo ad esse, con un
angolo di 45° tra le due linee di visuale. Una cinepresa filma
attraverso lo specchio, l’altra fissa il riflesso.
I test estensivi ci hanno convinto a usare lenti Zeiss DigiPrime
con lunghezza focale di 10mm, 14mm e 20mm, abbastanza
ampia e con un angolo corrispondente alla visione naturale.
Dato che cambiare le lenti nell’attrezzatura 3D richiede
tempo, la lunghezza focale per ogni scena doveva essere
chiaramente definita prima che iniziassero le riprese.
Sul set usavamo uno speciale monitor Transvideo in 3D per
calibrare l’attrezzatura e controllare l’effetto stereoscopico. Il
monitor rappresenta l’output di entrambe le videocamere,
destra e sinistra, come immagini anaglifiche sovrapposte, così
che il pixel offset tra le due immagini sia visibile. In aggiunta
all’esperienza e alla creatività del nostro team stereografico,
questo monitor era il nostro più importante strumento.
Solo cinque mesi più tardi, in aprile, abbiamo girato quasi
esclusivamente con il prototipo di una piccola unità mobile
(HDC-P1) per Steadycam. Agile e leggera: è essenziale che
la cinepresa si muova in S3D. Non serve eseguire ampi
movimenti, riprese lente risultano allo stesso modo
magnifiche, perché comprendono tutta la scena e rendono lo
spazio più corporeo”.
Nonostante le difficoltà, Wenders è entusiasta e la troupe
convinta della S3D. Si potrebbe dire che questa tecnica è
partita col piede sbagliato; al momento conosciamo solo
animazioni o stravaganze generate al computer in 3D. Al
contrario “la danza è per sua natura movimento nello spazio,
dunque non può esserci metodo migliore della S3D per
mostrarla. La S3D offre una percezione dello spazio, del
movimento, e dell’azione ineguagliabili.
La sensazione fisica, l’impressione di realtà che restituisce ai
nostri sensi è molto potente, avvolgente”.
5/2011
Wim Wenders e i danzatori
dell’Ensemble in Sacre du
Printemps sul set di Pina ©
NEUE ROAD MOVIES GmbH.
Fotografia di Donata Wenders.
Wim Wenders durante
le riprese di
If Buildings Could Talk.
9
LUCE INTERNI
ILLUMINAZIONE DI SPAZIO MUSEALE
TORINO / IT
QUALE ILLUMINAZIONE
PER UN MUSEO
DI AMBIENTAZIONE?
Una proposta per la Rocca del Borgo Medievale di Torino
di Chiara Aghemo, Cristina Boiano, Politecnico di Torino
n modello espositivo particolare è quello
presente nei musei di ambientazione, nei
quali l’attenzione si trasferisce dall’opera
esposta al pubblico e l’obiettivo
museografico perseguito è quello di
ambientare il visitatore. [1], [2] Le opere
d’arte non sono decontestualizzate in
vetrine o spazi “a-temporali”, destinati a
farne emergere i valori formali, ma sono
esposte nel loro contesto storicofunzionale, in ambienti ricreati per
evocare un determinato periodo storico.
Gli oggetti si riappropriano così della
funzione per cui in un certo luogo, in
un’epoca precisa e per una ragione specifica sono
stati realizzati, trovando posto in spazi consoni al
loro consueto utilizzo. Il visitatore compie in questo
modo un vero e proprio “viaggio nel tempo” ed è in
grado di vivere un’esperienza non soltanto
didattica ma emozionale, in cui la storia diventa un
episodio vivo e familiare. La potenzialità dei musei
di ambientazione è quella di avvicinare il pubblico
al passato, trasportandolo in epoche e in luoghi
U
Planimetria del pianterreno
della Rocca.
determinati nei quali, compiendo un processo di
astrazione e di straniamento dalla realtà, è
possibile immedesimarsi. Lo sguardo dello
spettatore si sposta dalla percezione della singola
opera a quella di uno scenario complesso, che
privilegia una comprensione generale piuttosto che
la conoscenza del particolare. I vari oggetti
dell’allestimento, infatti, non possono essere
identificati attraverso le didascalie, che
comprometterebbero la messa in scena della
storia. Questo modello espositivo pone inoltre
alcune domande. L’ambientazione fin dove si deve
“spingere”? L’illuminazione è un elemento
dell’ambientazione o è solo un mezzo a servizio
dell’allestimento? È più opportuno prediligere una
riproposizione filologica delle condizioni luminose
dell’epoca storica inscenata o un’illuminazione che
tenda a mettere in risalto le opere d’arte? Risolvere
tali interrogativi significa stabilire il ruolo da
attribuire alla luce, considerandola come una
variabile scenografica per innescare suggestioni o,
diversamente, come fattore necessario per
garantire la migliore fruizione degli oggetti.
Una proposta progettuale per la Rocca
del Borgo Medievale di Torino
Uno studio condotto nell’ambito di una
collaborazione tra il Politecnico di Torino e la
Fondazione Torino Musei ha affrontato queste
problematiche riferite a un caso-studio specifico, la
Rocca del Borgo Medievale di Torino. Costruzione
ottocentesca in stile medievale, la Rocca si erge
all’interno di un complesso di edifici rappresentanti
un borgo piemontese del XV secolo, ideato per
l’Esposizione Generale Italiana inaugurata a Torino
nel 1884. Fu realizzata da un gruppo di studiosi,
guidato da Alfredo d’Andrade, prendendo a
modello le strutture abitative e difensive ancora
esistenti in Piemonte e in Valle d’Aosta. [3], [4], [5]
La riproposizione delle fabbriche medievali non fu
circoscritta alle forme architettoniche e decorative,
ma si spinse fino ai più minuti particolari della
disposizione spaziale degli ambienti interni,
dell’arredamento e degli utensili. Oggi come allora,
pertanto, la Rocca si configura come un museo di
ambientazione. Nell’ottica di un suo restauro, la
14
LUCE 296
5/2011
Rocca Medievale
di Torino.
15
LUCE INTERNI
ILLUMINAZIONE DI SPAZIO MUSEALE
Sala Baronale (in questa pagina e in quella a fianco).
Cappella.
16
Fondazione Torino Musei, che gestisce la struttura
museale, ha richiesto uno studio finalizzato al
riallestimento del percorso espositivo e mirato in
particolare alla riprogettazione dell’illuminazione
artificiale degli ambienti.
L’iter progettuale
Il quesito da cui ha preso inizio il concept di
progetto ha riguardato il ruolo del sistema di
illuminazione: ricreare le condizioni di luce sulla
base delle esigenze dettate dall’allestimento
oppure rispondere alla logica dell’ambientazione
storica? Partendo dalla considerazione che la
TORINO / IT
Rocca è un museo di ambientazione, si potevano
quindi configurare soluzioni prevalentemente
orientate alla funzione espositiva o alla creazione di
un’atmosfera “medievale”. Per stabilire verso quale
indirizzo orientarsi, sono state effettuate una serie
di indagini relative alle condizioni luminose presenti
all’interno delle sale, analisi necessarie per
verificare lo stato di fatto e cogliere significativi
input per il successivo sviluppo progettuale. Si è
proceduto quindi al rilievo delle soluzioni
illuminotecniche presenti, attraverso la
classificazione delle sorgenti e degli apparecchi di
illuminazione. Attualmente la Rocca è illuminata
dall’azione combinata di luce naturale e artificiale.
La luce naturale proviene da finestre, diverse per
forma, dimensioni e altezza dal piano di calpestio a
seconda delle varie sale del percorso espositivo,
mentre la luce artificiale è fornita da apparecchi
“moderni” e apparecchi “in stile medievale” facenti
parte dell’allestimento. L’apporto fornito
dall’illuminazione artificiale è stato oggetto di una
campagna di rilievo strumentale, grazie alla quale
si sono potuti verificare l’illuminamento medio e
l’uniformità di illuminamento nei vari ambienti
(misurato a 1 metro e a 0,2 metri sul piano
orizzontale) e la presenza di fenomeni di
abbagliamento. Le misurazioni hanno consentito di
valutare l’illuminamento attuale in relazione alla
fruizione del pubblico e l’incidenza
dell’illuminazione sulla conservazione degli oggetti
esposti. Al fine della verifica del possibile danno, si
è proceduto al calcolo della dose di luce annuale in
tutti i locali espositivi. Questo dato è stato
successivamente confrontato con i valori limite
raccomandati dal Decreto Ministeriale del 10
maggio del 2001 [6] per ogni categoria di
LUCE 296
fotosensibilità. I valori misurati sono risultati sempre
più bassi rispetto ai limiti normativi, pertanto il
sistema di illuminazione non incide negativamente
sulla conservazione. Per verificare le condizioni di
fruizione del pubblico in rapporto all’illuminazione,
i valori misurati di illuminamento e uniformità sono
stati confrontati con i requisiti raccomandati dalla
norma UNI EN 12464-1 [7] per le zone di
circolazione e per gli spazi comuni. I valori sono
risultati sempre inferiori ai requisiti normativi,
pertanto le prestazioni luminose, ai fini della
fruizione, non risultano soddisfacenti. Occorre
precisare, tuttavia, che i locali espositivi non
possono essere assimilati in modo rigoroso alle
zone di circolazione e agli spazi comuni presenti
all’interno degli ambienti di lavoro: in un museo
infatti, a fronte di esigenze scenografiche,
conservative e di allestimento, è legittimo riferirsi a
valori di illuminamento più bassi rispetto a quelli
raccomandati per garantire la fruizione degli utenti
e non prevedere un’illuminazione uniforme delle
sale. È opportuno inoltre ricordare che le
misurazioni non hanno tenuto conto dell’apporto
della luce naturale, pertanto la quantità di luce che
penetra negli ambienti nel periodo diurno è
senz’altro maggiore rispetto a quella considerata.
Altri input per il progetto sono scaturiti da
un’indagine soggettiva sulle impressioni e sulle
aspettative del pubblico in relazione al percorso
espositivo. L’indagine è stata realizzata mediante
un questionario somministrato ai visitatori ed è
stata condotta principalmente per raccogliere
spunti e suggerimenti e per valutare, attraverso un
campione significativo di fruitori, quale potesse
essere l’alternativa più apprezzata tra differenti
ipotesi di illuminazione. Dai centotrentadue
OGGETTO
SECOLO
Mantovana (drappo del trono)
XIX
5/2011
MATERIA E TECNICA
Velluto di seta – damasco broccato
oro filato – filo di seta – taffetas marezzato
Baldacchino (drappo del trono)
XIX
Lampasso lanciato/broccato – velluto cesellato
filo dorato – filo argentato – filo in seta
Alare
XIX
Alare
XIX
Ferro battuto/verniciato
Ferro battuto/verniciato
Candelabro
XIX
Ferro battuto/verniciato
Candelabro
XIX
Ferro battuto/verniciato
Candelabro
XIX
Ferro battuto/verniciato
Candelabro
XIX
Ferro battuto/verniciato
Candelabro
XIX
Ferro battuto/verniciato
Candelabro
XIX
Ferro battuto/verniciato
Panca
XX
Legno intagliato
Trono
XX, metà
Legno intagliato/scolpito/traforato
Pedana
XX
Legno intagliato
Pedana
XX
Legno intagliato
Cuscino
XX, metà
Canovaccio di canapa ricamato – filo di lana
filo di cotone – diagonale di cotone
Cuscino
XX, metà
Canovaccio di canapa ricamato – filo di lana
filo di cotone – gros de Tous
Cuscino
XX, metà
Canovaccio di canapa ricamato – filo di lana
filo di cotone – filo dorato – gros de Tous
Cuscino
XX, metà
Canovaccio di canapa ricamato – filo di lana
filo di cotone – diagonale di cotone
Cuscino
XX, metà
Canovaccio di canapa ricamato – filo di lana
diagonale di cotone – filo dorato
Cuscino
XX,metà
Canovaccio di canapa ricamato – filo di lana
filo di cotone – diagonale di cotone
Cuscino
XX, metà
Canovaccio di canapa ricamato – filo di lana
filo di cotone – filo dorato – diagonale di cotone
Panca
XX
Legno intagliato/dipinto
Panca
XX
Legno intagliato/dipinto
17
LUCE INTERNI
ILLUMINAZIONE DI SPAZIO MUSEALE
TORINO / IT
questionari raccolti è emerso un giudizio positivo
sull’attuale organizzazione museale, con la
stragrande maggioranza del pubblico intervistato
soddisfatto del percorso di visita all’interno della
Rocca. In merito alle possibili soluzioni
illuminotecniche, la riproposizione delle condizioni
luminose “medievali” è risultata l’opzione più
desiderata tra i visitatori. In molti hanno espresso
delle osservazioni interessanti a riguardo, quali
l’uso di candele accese e la possibilità di luce
dinamica in intensità.
modalità di illuminazione (scenario didascalico), la
luce diventa strumento della missione didattica del
museo, rendendo evidente la funzione assegnata
ad ogni ambiente e avendo cura di illuminare gli
elementi/oggetti chiave rappresentativi
dell’ambiente stesso. Il sistema automatico di
gestione è progettato con la seguente sequenza
durante il percorso di visita: al momento
dell’ingresso nella sala da parte dei visitatori, si
accende, grazie a un rilevatore di presenza,
l’illuminazione che ricrea le atmosfere “medievali”;
automaticamente, dopo qualche minuto,
l’illuminazione di ambientazione si spegne e viene
sostituita, fino all’uscita del pubblico dalla stanza,
da luci direzionate sugli oggetti significativi presenti
in ambiente. Il meccanismo entra nuovamente in
funzione con l’ingresso di un nuovo gruppo di
visitatori, consentendo un notevole risparmio
energetico, in quanto l’impianto è funzionante solo
in presenza di fruitori. Il periodo di accensione è
calcolato sulla base del tempo stimato di
permanenza degli utenti in ogni sala, tempo
facilmente quantificabile, poiché il pubblico effettua
la visita suddiviso in gruppi, accompagnato da
operatori museali. Nel primo scenario è prevista
un’illuminazione uniforme dei locali, realizzata con
un’illuminazione generale con luce a tonalità calda
di scarsa intensità, mentre nel secondo scenario
sono illuminati solo determinati punti/oggetti,
attraverso un’illuminazione d’accento con luce a
tonalità calda di elevata intensità. La luce artificiale
è integrata dall’apporto di quella naturale
proveniente dalle finestre. Quest’ultima può
risultare fuorviante nel primo scenario e tende
inoltre a diminuire la carica emozionale che si vuole
suscitare nei visitatori attraverso la seconda
modalità di illuminazione. Si ipotizza pertanto che
la prima soluzione illuminotecnica non venga
attivata durante le ore diurne, lasciando alla sola
luce naturale il ruolo di illuminazione di
ambientazione. La sorgente di luce costituita dalla
finestra potrebbe essere ulteriormente enfatizzata
da un apparecchio, azionato automaticamente
ogni qualvolta la luce naturale scenda al di sotto di
un determinato valore soglia, rilevato da un
fotosensore collocato in ogni stanza. Lo scenario di
ambientazione artificiale si accende solo quando
fuori è buio, nelle giornate invernali o nell’ipotesi di
visite notturne. Questa modalità di gestione
riproduce quanto accadeva nel Medioevo, quando,
in presenza di una quantità di luce naturale
sufficiente all’interno dei locali, non si ricorreva a
ulteriori sorgenti luminose artificiali. È opportuno
sottolineare che, nelle varie possibilità prefigurate,
la seconda modalità di illuminazione verrebbe
invece sempre azionata. In questo modo è
possibile realizzare un museo dinamico che
cambia la propria chiave di lettura in base all’orario
di visita, ricreando l’ambientazione medievale in
due momenti diversi, di notte e di giorno. Il museo
non risulta statico neppure durante la visita, con
l’alternarsi delle due soluzioni illuminotecniche,
gestite in una sala regia. Per lo scenario di
ambientazione si prevede l’utilizzo esclusivo di
dispositivi, già inclusi o da includere
nell’allestimento, che riproducano quelli che nel
Medioevo sarebbero stati effettivamente usati per
illuminare gli ambienti e che oggi, opportunamente
elettrificati, possono suggerire in modo efficace i
sistemi impiegati per fornire luce in un’epoca priva
Il progetto di luce
A fronte delle indagini condotte e dei relativi input
progettuali, sono stati elaborati i criteri per
l’illuminazione della Rocca. Tra l’alternativa di
scegliere se privilegiare l’ambientazione,
garantendo una riproposizione delle condizioni
luminose nel Medioevo, o la funzione didattica del
museo, utilizzando la luce per focalizzare
l’attenzione sugli oggetti rappresentativi
dell’allestimento, si è optato per un’illuminazione
dinamica che realizzasse entrambe le condizioni. È
stato previsto un sistema che alterna in ogni sala
due soluzioni illuminotecniche gestite
automaticamente in sequenza. La prima soluzione
(scenario di ambientazione) utilizza la luce per
ricreare le atmosfere “medievali”, riproponendo le
precarie condizioni luminose dell’epoca, quando i
locali venivano rischiarati dalle candele collocate in
lanterne e candelabri. In questo scenario è previsto
un livello di illuminamento superiore nelle stanze
che, per la destinazione d’uso, erano considerate
più importanti, rendendo così tangibile la gerarchia
degli spazi all’interno della Rocca. Con la seconda
18
LUCE 296
di energia elettrica (lanterne, candelabri, torce,
ecc). Dovendo contribuire a enfatizzare
l’ambientazione, si è stabilito di collocare tali
elementi a vista. Per lo scenario didascalico ci si
affida, invece, ad apparecchi contemporanei
opportunamente nascosti, ove possibile, agli occhi
del pubblico, in modo da accrescere la sensazione
impersonale creata dai fasci di luce puntati sugli
oggetti. Sono state previste sorgenti a
incandescenza, tradizionali e alogene, e sorgenti
LED. La scelta delle sorgenti luminose è stata
dettata dalla specificità delle caratteristiche
prestazionali richieste per la realizzazione delle due
soluzioni illuminotecniche: in particolare la
necessità di avere una tonalità di colore calda,
lampade che riproducono la fiamma e la
miniaturizzazione delle sorgenti.
Conclusioni
In un museo di ambientazione, rinunciare a una
riproposizione filologica delle condizioni luminose
dell’epoca storica messa in scena sembra essere
un’occasione mancata. Rinunciare però a
un’illuminazione che metta in evidenza gli elementi
significativi dell’allestimento può rivelarsi una scelta
altrettanto discutibile. Lo studio condotto sulla Rocca
del Borgo Medievale di Torino ha cercato di superare
l’inconciliabilità dei due modelli espositivi,
progettando un meccanismo che permetta l’alternasi
di due scenari di luce diversi. Tale soluzione, che si
auspica possa essere ulteriormente affinata e
approfondita nella fase esecutiva del progetto di
riallestimento della Rocca, potrebbe costituire un
metodo progettuale in altri musei di ambientazione
con analoghe caratteristiche.
BIBLIOGRAFIA
[1] M.C. Ruggieri Tricoli, I fantasmi e le cose. La
messa in scena della storia nella
comunicazione museale, Edizioni Lybra
Immagine, Milano 2000.
[2] Museografia italiana negli anni Venti: il museo di
ambientazione, a cura di F. Lanza, atti del
convegno (Feltre, 2001), Comune di Feltre,
Feltre 2003.
[3] A. D’Andrade, G. Giacosa, P. Vayra, Esposizione
generale italiana Torino 1884. Catalogo Ufficiale
della Sezione Storia dell’Arte. Guida Illustrata al
Castello Feudale del Secolo XV [Vincenzo Bona
Tipografo, Torino 1884], Città di Torino, Torino 1997.
[4] R. Maggio Serra, Borgo e Rocca medioevali,
Daniela Piazza Editore, Torino, 1983.
[5] P.E. Boccalatte, La sezione di Storia dell’arte
all’Esposizione di Torino del 1884, in E.
Castelnuovo, A. Monciatti (a cura di),
Medioevo/Medioevi. Un secolo di esposizioni
d’arte medievale, Edizioni della Normale, Pisa
2008, pp. 31-59.
[6] Decreto del Ministero per i beni e le attività
culturali, Atto di indirizzo sui criteri tecnicoscientifici e sugli standard di funzionamento e
sviluppo dei musei, 10 maggio 2001, Ambito VI.
[7] UNI EN 12464-1, Luce e illuminazione.
Illuminazione dei posti di lavoro. Posti di lavoro
in interni, 1 ottobre 2004.
5/2011
A sinistra: borgo medivale di Torino.
Sopra: camerone degli uomini d’arme.
Sotto: cucina baronale.
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LUCE INTERNI
20
ILLUMINAZIONE DI SPAZIO MUSEALE
TORINO / IT
LUCE 296
5/2011
21
INNOVAZIONE
PROGETTAZIONE DELLA LUCE A LED
Il design del Solid State Lighting
UNA
SPERIMENTAZIONE
CONTINUA
di Daria Casciani*, Danilo Paleari*, Maurizio Rossi*
L
a progettazione della luce a LED cattura un interesse sempre maggiore
tra le schiere di imprenditori e tra i
designer: si tratta infatti di una sorgente relativamente nuova nel campo
dell’illuminazione che sta facendosi largo in maniera progressivamente crescente nel
design degli apparecchi di illuminazione secondo
forme e modalità molto eterogenee. Le dinamiche di diffusione della tecnologia LED nelle
aziende di illuminotecnica e i processi di progettazione di apparecchi a LED sono infatti caratterizzati da una serie di cambiamenti molto
importanti sia in termini culturali, perché arricchiti da nuove forme di conoscenza di altri settori, sia in termini di coinvolgimento di nuovi
attori nelle fasi di ricerca, progettazione e produzione e quindi, come conseguenza, di riorganizzazione dell’intero sistema creativo e
industriale.La storia dell’illuminazione a LED è
relativamente recente rispetto alle altre tecnologie della luce e, per questo motivo, risulta difficile prevedere come si evolverà nel futuro.
Inizialmente percepita come un’innovazione immediata ed epocale, una tecnologia dirompente
e rivoluzionaria, soprattutto da parte del mondo
della produzione, oggi, la realtà progettuale del
LED presenta uno scenario molto diverso: l’esperienza dei lighting designer, la sperimentazione prototipale e i prodotti attualmente in
commercio dimostrano che il percorso verso
l’entusiastico cambiamento di rotta del design
della luce tramite i LED è in continua evoluzione. Il design degli apparecchi con seorgenti
* Dip. INDACO
Politecnico di Milano
58
LED sta infatti attraversando un lungo periodo
di costante sperimentazione secondo due modalità antitetiche. Se infatti alcuni [1] ritengono
che il LED sia una “tecnologia trasformazionale” ed entusiasticamente parlano di nuove
forme e tipologie di progetti di luce, altri, tra
cui Mark Rea [2], hanno opinioni diametralmente opposte, considerando il LED una “tecnologia incrementale” che si evolve tramite
adattamenti e miglioramenti verso efficacia e
qualità, durata di vita e riduzione del prezzo.
Questo duplice atteggiamento si manifesta in
maniera evidente sia nell’attività progettuale
sia nei prodotti di illuminazione a LED oggi disponibili, anche se non in modo così netto: da
un lato un approccio di tipo più tradizionale e
cautelativo per cui il LED è considerato una
delle tante tecnologie disponibili per la progettazione della luce; dall’altro un approccio di
tipo sperimentale per cui il LED sarà la sorgente di un futuro luminoso tutto da ridisegnare. Quello che oggi risulta evidente è un
cambiamento del settore dell’illuminazione
orientato al LED che procede secondo forme,
vie e velocità differenti, perseguendo obiettivi
molto diversificati tra le necessità commerciali
e di marketing, le possibilità tecnologiche e
produttive e le potenzialità di visualizzare prodotti di luce innovativi dal punto di vista del
design. Dopo un breve excursus sulle possibilità tecnologiche offerte oggi dai LED, verranno
presentati alcuni esempi di prodotti a LED al
fine di riflettere sulle possibilità tecnologiche
incrementali o trasformazionali offerte al
mondo della progettazione.
INNOVAZIONE
PROGETTAZIONE DELLA LUCE A LED
LED: sorgenti mutevoli in costante
trasformazione tecnologica
Il LED è entrato nel settore illuminazione da
ormai parecchi anni ed è oggi protagonista dei
cataloghi di moltissime aziende di illuminazione.
Il continuo lavoro tecnologico vede un costante
potenziamento dei LED in termini di crescita del
flusso luminoso (arrivato oggi a circa 160 lm/W
@ 350mA) [3], ottimizzazione delle condizioni
termiche con conseguente prolungamento della
durata di vita della sorgente e infine in termini
di miglioramento della qualità della luce sia rispetto alla composizione spettrale sia rispetto
alla selezione del binning.[4]
Si tratta di un incessante perfezionamento tecnologico per LED sempre più stabili, efficienti e
qualitativamente performanti: tale processo di
ricambio tecnologico è talmente accelerato che
quando un nuovo apparecchio di illuminazione
viene messo in vendita è subito pronta sul mercato una nuova generazione di LED, più potenti,
efficienti e performanti. In questa continua ricerca della sorgente LED ideale sono nati da
qualche anno una serie di prodotti molto particolari che appartengono alla famiglia del Solid
State Lighting ma che si allontanano molto dall'idea di punto luminoso in miniatura a cui siamo
abituati a pensare: LED Array, LED Multichip e
Moduli LED.
Questi LED generano una quantità di luce superiore rispetto ai LED Monochip sia in termini di
flusso che a livello qualitativo, in termini di spettro e di definizione del bianco alla giusta temperatura di colore. Di seguito se ne descrivono le
caratteristiche, soprattutto in riferimento alle
loro potenzialità progettuali e al valore aggiunto
apportato al design di prodotti di illuminazione.
LED Multichip di potenza
1
I Led Multichip di potenza sono caratterizzati da
una serie di diodi luminosi ad alta potenza (attualmente fino a 24 diodi) inseriti sullo stesso
package (figura 1: esempio di LED Multichip di
potenza: MT-G e MP-L CREE): sono di dimensioni
estremamente ridotte, hanno potenze e flussi
molto elevati. Necessitano di un circuito stampato
per il loro assemblaggio motivo per cui la progettazione di un apparecchio con tale tecnologia a
LED necessita di competenze nell'ambito dell'elettronica. Date le dimensioni ridotte, questi LED
permettono la concentrazione di molto flusso in
uno spazio di alloggiamento minimo e per questo
sono utilizzati nella progettazione di proiettori di
piccole dimensioni in abbinamento ad ottiche secondarie a riflessione totale (lenti TIR) o riflettori.
LED Array
2
60
I LED Array presentano un elevato numero di
diodi di potenza generalmente inferiore rispetto
ai Multichip e, solitamente, sono caratterizzati
da uno strato di fosforatura unico: l’area di
emissione luminosa assume dimensioni superiori rispetto ai Multichip (figura 2:alcuni esempi
di LED Array Sharp, Bridgelux, Citizen). I LED
Array possono essere fissati direttamente a con-
tatto con il dissipatore tramite viti o appositi
supporti in materiale plastico: si tratta di una
semplificazione progettuale e produttiva finalizzata all’utilizzo del LED in modo incrementale
come retrofit di proiettori da interni o da esterni
al fine di migliorarne le prestazioni. I LED Array,
infatti, presentano flussi equiparabili alle sorgenti tradizionali ma con efficienze superiori.
Moduli LED
La possibilità di creare dei motori luminosi completi e standardizzati, semplici da utilizzare da
un punto di vista progettuale è il motivo per cui,
recentemente, sono nati anche i moduli LED. Si
tratta di sorgenti che integrano funzioni luminose con flussi e qualità di luce elevati e funzioni elettroniche, di alimentazione, gestione e
controllo, in un package compatto. Tali soluzioni
modulari facilitano il compito del designer che
non necessita di intervenire sulla sorgente le cui
caratteristiche sono già predeterminate dall’azienda produttrice. Il design degli apparecchi di
illuminazione diventa, nella maggior parte dei
casi, un lavoro di stiling formale che riprende la
forma degli apparecchi tradizionali. Uno dei
primi esempi di modulo LED è il Fortimo Philips
(figura 3) evolutosi negli anni in esemplari sempre più performanti a luce dinamica e qualitativamente migliore.
Alcuni motori luminosi sono upgradabili nel
tempo (con sostituzione tecnologica sia dei LED
e settaggio automatico da parte dell’elettronica
rispetto alle nuove caratteristiche): è il caso del
sistema PrevaLED di Osram (figura 4) che permette il disassemblaggio delle parti a fine vita
[5] o in caso di guasto per una completa sostituzione delle parti. Tali scelte, anche se non dettate esattamente da logiche di eco-sostenibilità,
favoriscono la definizione di standard di produzione qualitativi e di controllo dell’intero ciclo di
vita del prodotto luce a LED da parte dei costruttori.
Un ulteriore esempio è la nuova famiglia di moduli LM di CREE (figura 5): si tratta di una soluzione integrata di componenti elettroniche,
ottiche e termiche che rendono i moduli estremamente compatti e pronti all’uso. La nuova
tecnologia TrueWhite™ è in grado di fornire
una luce di alta qualità ed efficiente, disponibile
anche a 2.700 K con un flusso fino a 2.900 lumen
e una resa cromatica superiore a 90.
LED e Design: trasformazionale
o incrementale
Nonostante una grande fetta delle risorse industriali si concentri sull’innovazione tecnologica
dei LED, il loro futuro e soprattutto le potenzialità applicative risultano, ad oggi, ancora incerte. Light + Building 2010 ed Euroluce 2011
hanno presentato un panorama piuttosto eterogeneo di prodotti a LED: da un lato pochi prodotti ad alto contenuto di innovazione e
dall’altro, una generale tendenza alla produzione di apparecchi tradizionali sia a livello formale sia in termini applicativi.
I moduli LED, gli Array, i fosfori remoti, le strut-
3
4
5
INNOVAZIONE
PROGETTAZIONE DELLA LUCE A LED
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7
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62
ture intercambiabili, i sistemi ottici pre-ingegnerizzati forniscono ai designer una soluzione
pronta all’uso, sedimentando una prassi progettuale e produttiva molto conservatrice, caratterizzata da un lento adattamento progettuale,
produttivo e di utilizzo. Nella logica incrementale,
infatti, progettare un apparecchio di illuminazione
a LED in forma tradizionale ha senso se si raggiunge una migliore efficienza energetica del prodotto stesso e se il sistema produttivo rimane
invariato, ovvero se l’integrazione tecnologica rimane allineata al know-how dell’azienda stessa.
Un esempio applicativo di questa tipologia di prodotti è il sistema di apparecchi Reflex Easy nati
dalla collaborazione tra Philips e iGuzzini: si tratta
di apparecchi classici downlight ad incasso che
integrano la tecnologia Fortimo DLM Philips raggiungendo un’elevata efficienza energetica e
un’elevata qualità cromatica della luce (figura 6)
Il retrofit, dunque, è la ragione principale per cui
tanta innovazione tecnologica a LED venga dirottata verso forme tradizionali sia a livello di sistemi ottici che di forma complessiva degli
apparecchi. Lo sforzo progettuale è rivolto alla
riproduzione, pressoché fedele, di apparecchi
esistenti in versione LED che vanno a sostituirsi
a quelli classici, alcuni riutilizzando scocche di
apparecchi precedentemente disegnati oppure
utilizzando logiche progettuali che ancora non
incarnano completamente le potenzialità dei
LED. L’esempio massimo di retrofit è la produzione di sorgenti di illuminazione a LED in forma
di bulbo ad incandescenza con la funzione di innestarsi all’interno di apparecchi tradizionali tramite l’attacco E27 ed E14. Molto noti i bulbi a
LED Philips (figura 7) ma interessanti anche gli
esperimenti di CREE che, tramite la tecnologia
TrueWhite™, permette di avere un prototipo di
lampada a LED con un’efficienza molto elevata
(circa 152 lm/watt), una resa cromatica superiore
a 90 e una temperatura di colore molto simile alla
sorgente ad incandescenza (2800K) (figura 8).
Tali soluzioni tendono a “semplificare” l’uso dei
LED permettendone l’integrazione negli apparecchi di illuminazione attuali e garantendo il
veloce “plug&play” della sorgente. Inoltre, l’interfaccia iconografica e riconoscibile determina
una notevole facilità e velocità di utilizzo da
parte degli utenti: a livello simbolico e semiotico
il bulbo incarna la forma domestica intuitiva
emozionale e poetica della luce. Tali sorgenti
ibride vengono ingegnerizzate al massimo delle
possibilità tecnologiche sia da un punto di vista
di dissipazione termica sia rispetto alle qualità
della luce grazie all’utilizzo di fosfori remoti e di
sistemi ottici inseriti sul bulbo. Di contro il costo
di acquisto è ancora molto elevato. Paradossalmente, anche in questo lento processo adattivo
ed incrementale, in cui la tecnologia LED diventa lampadina, si possono scorgere caratteristiche di design innovativo.
Un caso molto interessante è la sperimentazione
di Alessi che, insieme all’azienda olandese Foreverlamp, ha realizzato una collezione di bulbi
a LED: Giovanni Alessi Anghini, Gabriele
Chiave e Frederic Gooris hanno disegnato un sistema di sorgenti di illuminazione "AlessiLux" in
cui cadono i limiti tra sorgente e apparecchio e
ci si concentra sull’emozione della forma della
luce iconica, funzionale e semplice. (figura 9)
Flame, Paraffina, Abatjour, Vienna, Polaris sono
Moduli LED da 5 o 7 Watt nati dalle memorie stilistiche delle prime sorgenti di illuminazione
che, tramite le possibilità offerte dalla tecnologia a fosfori remoti e attraverso la reinterpretazione ironica e poetica della lampadina classica,
configurano una forma tradizionale ma innovativa della luce a LED.
In questa logica è interessante pensare alle possibilità fornite dalla tecnologia e al potere di immaginazione del designer per cui il progetto
della luce LED del futuro non sia più solo quello
di sorgente all’interno di un apparecchio ma un
oggetto di luce in cui le due cose siano compenetrate. Si può immaginare che, lentamente,
queste forme di luce intelligenti perderanno sia
la forma della lampadina sia l’attacco E27 per diventare qualcosa di materico, invisibile e integrato nell’architettura. Un oggetto luminoso a
LED che dura tutta la vita.
Quello che ci si domanda oggi è dove sia la vera
rivoluzione LED, in quali forme si manifesti, chi
se ne sta occupando, cosa stanno progettando i
designer grazie alle nuove potenzialità dirompenti della tecnologia LED? L’architetto Michele
De Lucchi in un’intervista [6], interpreta il nostro
tempo come “un momento bellissimo per disegnare lampade perché tutto il mondo si sta disperatamente confrontando su come sarà fatta la
nuova lampada a LED”. Il suo atteggiamento di
entusiastica attesa verso il nuovo ci fa pensare
che presto la tecnologia a LED porterà ad un potenziale sconvolgimento del modo di pensare al
design del prodotto di illuminazione: sarà possibile disegnare la luce definendone caratteristiche
più rispondenti al benessere dell’individuo anche
grazie a nuove funzionalità di interazione.
Il potenziale rivoluzionario di una tecnologia in
fase di continua sperimentazione si esprime non
solo da un punto di vista estetico ma anche dinamico e interattivo: l'innovazione non risiede soltanto nella realizzazione di sorgenti che
ottengano sempre più luce utilizzando meno
energia, ma soprattutto sulla possibilità di rendere la luce intelligente, attraverso forme e sistemi che più si adattano allo spazio e alla
persona. Un esempio che guarda in questa direzione è la lampada da tavolo Otto Watt, prodotta
da Luceplan e disegnata da Alberto Meda e
Paolo Rizzatto: utilizzando un modulo LED di Philips dimmerabile, Otto Watt è dotato di un dispositivo che può variare a piacere la temperatura
colore da 2.400 a 3.500 K grazie ad un sensore attivato con una gestualità molto semplice. La testa
dell’apparecchio ospita il modulo LED in uno spazio limitato e secondo una geometria particolare
che ne consente, in maniera elegante e rigorosa,
la dissipazione termica. (figura 10)
Questo prodotto apre la via ad una vasta gamma
di nuove possibilità progettuali per apparecchi
di illuminazione a LED intelligenti in grado di
modificare le caratteristiche della luce rispetto
ad una varia serie di input esterni, umani ed ambientali. Un sensibile e comunicativo sistema di
oggetti luminosi a LED.
Dal punto di vista estetico formale, il connubio di
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INNOVAZIONE
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PROGETTAZIONE DELLA LUCE A LED
tecnologica LED e di materiali sempre più performanti rende possibile una progettazione/sperimentazione per la generazione di prodotti di luce
con potenzialità tuttora inesplorate. Come afferma Ezio Manzini nel suo libro "La materia dell'invenzione", la nostra fantasia di progettisti o di
utenti di prodotti (di luce) merita di essere alleggerita dagli stereotipi affinché nuovi linguaggi di
luce possano prendere forma.
Con le nuove tecnologie a LED oggi disponibili
è infatti possibile pensare a prodotti nuovi che
incarnino un proprio linguaggio attraverso l’esaltazione della luce all’interno di oggetti minimalisti, caratterizzati dalle sole componenti
funzionali secondo una logica di smaterializzazione formale. Si tratta di una sperimentazione
in cui la funzione illuminante, la funzione termica e la funzione elettronica e meccanica si
manifestano in maniera altamente funzionale e
allo stesso tempo evocativa. Un esempio di questa filosofia progettuale è Assume Nothing Spot
di Carlotta De Bevilacqua che per Artemide ha
disegnato un proiettore minimalista in cui il motore luminoso è caratterizzato dalle sole due sorgenti LED da 8 Watt complete di sistema ottico
integrato. La piastra di alluminio ritorta e i pin
disposti secondo una matrice geometrica determinano la forma innovativa dell’apparecchio assicurando al contempo una corretta dissipazione
termica. (figura 11)
Un ulteriore esempio è Manifold disegnato da
Ingo Maurer e Axel Schmid. L’apparecchio in alluminio anodizzato nero è caratterizzato da cinque bracci orientabili tramite giunti flessibili su
cui sono posizionati i LED: luce bianca calda
(2.700 K), flusso di 1.900 lm e consumo totale di
35 Watt. La forma particolarmente minimalista
e giocosa presenta il dissipatore come elemento
decorativo evidente: può essere utilizzata come
sospensione, da tavolo e a parete. (figura 12)
Un ulteriore esperimento formale, per quanto riguarda la dissipazione termica, caratteristica
fondamentale per il corretto funzionamento e la
performance luminosa dei LED, appare evidente
in Radarr Floor Lamp di Ingo Maurer e Tobias
Reischle: il design trasforma un elemento funzionale in segno altamente evocativo. I 2 LED da
13W a luce Bianca calda da 2.700K con un flusso
complessivo di 1.660 lumen utilizzano un sistema ottico molto particolare: si tratta di un
piatto paralume sfaccettato in alluminio che riflette la luce all’intorno perché rotabile e basculante mediante un giunto a sfera. Lo stesso
sistema di diffusione e riflessione della luce è
adottato per Lunatic. (figura 13)
Conclusioni: quali scenari futuri
Il design degli apparecchi a LED del futuro va
verso la semplificazione formale, l’intelligenza e
l’innovazione spinta di forme e tipologie estetiche di apparecchi o lampade a LED. Se da un
lato molti produttori stanno intraprendendo una
strada incrementale in cui il LED si adatta alle
logiche tradizionali, dall’altro si sente l’esigenza
e i tempi sono maturi per offrire al mercato prodotti a LED in cui la tecnologia si manifesti attraverso una sua presenza e una sua ragion
64
d’essere esteticamente evidente. L’approccio
trasformazionale è infatti un campo fertilissimo
in cui pochi si stanno cimentando e dal quale ci
si aspetta una completa trasformazione progettuale e produttiva della luce a LED.
Questa strada promette, seppur con le sue difficoltà, sviluppi progettuali altamente innovativi, attraverso la continua sperimentazione, la
capacità di prefigurare funzionalità, scenari, integrazioni e forme nuove. Tutto questo prevede anche un'evoluzione della figura del
designer della luce: affrontare un progetto a
LED vuole dire essere consapevoli di una serie
di gradi di complessità superiori che è necessario saper gestire.
Per questo motivo si sente l’esigenza di una formazione più completa del designer della luce a
LED mediante l’approfondimento di tematiche
più tecniche legate da un lato al mondo dell’elettronica e dall’altro all’illuminotecnica che si
sta evolvendo insieme alle nuove sorgenti LED.
Inoltre sarebbe opportuno pensare a nuove
forme di progettazione che siano in grado di gestire la complessità del progetto contemporaneo
mediante la strutturazione di gruppi di lavoro
multidisciplinari che mettano in comune le proprie conoscenze per lo sviluppo di prodotti più
intelligenti, più performanti e realmente innovativi. Designer, ingegneri elettronici, fisici e
scienziati cognitivi ma anche imprenditori e produttori di sorgenti di illuminazione a LED coinvolti in un processo di ricerca e progettazione
collaborativo che possiamo identificare come
Advance Lighting Design.
Bibliografia
[1] McKinsey & Company, “Lighting the way:
Perspectives on the global lighting market”,
http://img.ledsmagazine.com/pdf/LightingtheWay.pdf, accesso al sito il 30 settembre
2011.
[2] Rea, M.S., “More Light? Less Light? Better
Light! Illuminazione LED: qual è il valore?”, brochure esplicativa per l’evento iGuzzini “Lightinprogress”.
[3] Cree Announces Revolutionary New LED
Platform Delivering 160 lm/W, http://www.ledsmagazine.com/press/21866, accesso al sito il
30/09/11.
[4] DOE looks at replacement LED lamps with
Caliper report, webcast, http://www.ledsmagazine.com/news/8/5/17, accesso al sito il 30 settembre 2011.
[5] McDonough W. , Braungart M. , “Cradle to
Cradle; Remaking the way we make things”,
North Point Press, 2002.
[6] La Venaria Reale, Michele De Lucchi, iGuzzini@Triennale, 2011, http://www.youtube.com
/watch?v=ZEwrdy0IsR8, accesso al sito il 30
settembre 2011.
[7] Manzini, E., “La materia dell’invenzione”,
Arcadia Edizioni, Milano 1986.
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