la repubblica del 27 settembre 2014

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Santi e guaritori così la medicina
ispirava l'arte siciliana
PERSONE
L'indemoniato di Pietro Novelli e i tisici degli ex voto un viaggio
nell'iconografia che attraversa storia e religione
SERGIO TROISI
LETTA dalla prospettiva di Esculapio, dio greco della medicina, la storia
dell'arte può riservare delle piccole sorprese. È quanto si propone in un
piccolo volume edito da Kalòs Antonino Giuseppe Marchese ("L'immagine
artistica della medicina in Sicilia", pagine135, 18 euro, prefazioni di Roberto
Lagalla e Teresa Pugliatti), medico ma anche cultore della storia dell'arte,
compilando un repertorio (desunto da opere siciliane ma estensibile a
piacimento) che dalla preistoria giunge sino al XX secolo.
Intendiamoci, simboli e iconologie sono materiali noti agli specialisti della
disciplina: quello che eventualmente muta, in quest'ottica, è innanzitutto
l'uso delle immagini e il loro valore documentario. Così, un esempio con un
opera celeberrima, il quattrocentesco Trionfo della morte proveniente
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dall'Ospedale maggiore un tempo ubicato a Palazzo Sclafani e ora a
Palazzo Abatellis, svariati anni fa è stato interpretato da Angela Mazzé in
relazione alla peste, con i dardi scagliati dallo scheletro a cavallo conficcati
nei punti dove si gonfiavano i bubboni e il doppio ritratto tradizionalmente
riconosciuto effigie dell'anonimo autore e di un suo presunto collaboratore
riletto come rappresentazione di un chirurgo che in mano tiene, anziché un
pennello, un bisturi. Del resto, l'affresco era in un ospedale, e la sua
funzione sarebbe stata così non troppo dissimile dall'altro Trionfo di
Buffalmacco nel Camposanto monumentale di Pisa. In questo senso, un
storia dell'arte così narrata è una storia sociale della medicina e delle
malattie, anche quelle per secoli collocate in un dispositivo simbolico oggi
relativamente remoto. Sappiamo già che i tanti malinconici che affollano la
storia della pittura nella posa canonica della testa reclina su una mano
erano con tutta probabilità dei depressi. Ma saranno stati per caso epilettici,
sventurati affetti dal grande male, gli ossessi e gli indemoniati affidati agli
sguardi e ai gesti imperiosi di santi guaritori, come il San Filippo d'Agira
dipinto da Pietro Novelli nella tela un tempo collocata nella chiesa omonima
(un caso che nella Palermo cinquecentesca venisse dedicata una chiesa a
un santo esorcista?) e ora a Casa Professa, dinanzi a cui viene tenuto a
forza un disgraziato con gli occhi roteanti e la bava alla bocca?
C'è malattia e malattia, insomma, ognuna con una sua peculiarità figurativa,
si tratti della tisi che una miriade di ex voto popolari raffigurava nel momento
dello sbocco di sangue del malato, giacente a letto tra i parenti disperati, o
del morbo gallico, il mal francese, la sifilide, che un artista potente e
visionario quale lo Zumbo, ceroplasta siracusano al servizio dei Medici e in
viaggio nell'Europa di fine Seicento tra Firenze, Genova e Parigi,
rappresentava in corpi in abbandono, emaciati e — letteralmente — disfatti.
Il confine tra l'immagine, il ruolo sociale della malattia e la cultura di
un'epoca è ogni volta labile, oscillante, e in questo consiste il fascino di un
simile repertorio, soprattutto quello religioso la cui diffusione mappa territori
e epoche delle patologie. Non tutti i santi guariscono tutti i mali, e anzi
spesso procedono per specializzazioni e relativi attributi iconografici: San
Rocco preserva dalla peste, e la tradizione pittorica lo mostra mentre
presenta le piaghe che un cane viene a leccare (Marchese lo illustra con un
dipinto seicentesco di anonimo fiammingo ora al Pepoli di Trapani)
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dipinto seicentesco di anonimo fiammingo ora al Pepoli di Trapani)
Sant'Anna — ebbe Maria in tarda età — protegge le partorienti, Santa
Apollonia dal mal di denti (spesso tiene in mano una grande tenaglia
minacciosa) Cosma e Damiano assistono invece tanto i medici quanto i
malati. A queste opere veniva associato un rituale propiziatorio che era non
di rado sovrapposto all'azione medica con cui, talvolta e sino a tempi
recenti, si confondeva: una storia delle immagini è anche una storia del loro
uso — e del loro potere, come intitolava anni fa David Freedberg un suo
denso saggio.
Esiste tuttavia almeno un repertorio in cui dimensione sacra, pratica
conoscitiva e storia dell'arte si toccano con uguale forza, ed è quello degli
scorticati, gli studi anatomici che mostravano le fasce muscolari del corpo
umano. Scorticati sono i martiri sottoposti a un supplizio atroce che ritorna
drammaticamente d'attualità durante il conflitto con l'impero ottomano: San
Bartolomeo è la loro imago tragica, appena raffreddata dalla tensione di
uno sguardo analitico e descrittivo "scientifico". Marchese pubblica un
disegno di Giuseppe Alvino del 1601, un San Bartolomeo scorticato,
testimonianza esemplare di quell'epoca. Lo fa seguire, nel corpus di
illustrazioni in coda al volume, ad un'altra opera dello Zumbo, una testa
scorticata, riversa come in una deposizione. Qui, il discrimine tra il
sentimento di pietà e pratica da teatro anatomico si elide quasi del tutto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
S. Anna protegge le partorienti S. Filippo i posseduti S. Apollonia raffigurata
con una tenaglia preserva dal mal di denti
LA CERA
Un'opera del ceroplasta siracusano Zumbo che raffigura la peste e
conservata a Firenze
27 settembre 2014
sez.
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