Scuola Dottorale di Ricerca in Sociologia e Ricerca Sociale

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Scuola Dottorale di Ricerca in Sociologia e Ricerca Sociale
Università di Trento
Indirizzo Comparative Social Work
XXIV° ciclo
Dottorando: Miceli Alessandro
[email protected]
Supervisore: Prof. Walter Lorenz
Progetto di ricerca: Lo sviluppo della libera professione di assistente sociale
in italia
Trento, 20 ottobre 2009
Oggetto
Il presente lavoro è volto a rilevare lo stato dell’arte della libera professione
di assistente sociale nel contesto italiano e ad indagare le tappe fondamentali che
ne hanno determinato lo sviluppo. L’oggetto principale è lo sviluppo della libera
professione di assistente sociale e dunque lo scopo è mettere in luce e analizzare i
fattori che nel corso del tempo si sono rivelati determinanti nell’ambito del
servizio sociale, nonché quelli che all’inverso ne hanno limitato l’espansione.
L’intenzione è capire perché la libera professione di assistente sociale in Italia
risulta essere ancora praticata in modo limitato benché l’operatività del servizio
sociale professionale sia oramai significativa e diffusa nell’ambito dei servizi
sociali pubblici (es. consultori familiari, servizi di base dei comuni, servizi sociosanitari, ecc.). Al fine di individuare i suddetti fattori che talvolta ne hanno
favorito lo sviluppo talaltra hanno invece operato come vincoli, sarà opportuno
porre un attento sguardo sul processo di istituzionalizzazione della professione di
assistente sociale nel contesto italiano (Abbott, A. 1988; Larson, M.S. 1977;
Tousin, W. 1979; Wilensky, H. 1964). Ciò consentirà di riflettere sullo sviluppo
della professione nel contesto in questione e per di più di identificare i fattori che,
all’intero della comunità professionale, nel corso degli ultimi decenni hanno
accresciuto l’interesse verso l’esercizio della libera professine.
Premessa
Una riflessione sui concetti che compongono il quadro della sociologia delle
professioni risulta essere indispensabile per introdurre ed affrontare nel dettaglio
la tematica proposta. Il richiamo ad elementi teoretici identificati dagli autori
classici della sociologia (Comte, A. 1892; Durkheim, E. 1999; Parsons, T. 1939;
Spencer H. 1967; Weber, M. 1961) nonché da altri autorevoli studiosi delle
professioni (Speranza, L. 1999; Prandstraller, G.P. 1980; Greenwood, E. 1957;
Johnson, T.J. 1972) induce chiunque presti un certo interesse verso lo studio delle
professioni a vedere queste ultime come l’espressione di un’abilità utile alla
società la cui esistenza va da un lato salvaguardata, dall’altro limitata nelle sue
conseguenze di potere.
Nella letteratura sociologica la definizione di professione è
convenzionalmente riservata ad occupazioni basate su un corpo di teorie e su una
particolare abilità intellettuale. Autori come Spencer (1967) e Durkheim (1999)
vedono le professioni come elementi positivi del corpo sociale. Il primo sostiene
che in uno stadio successivo al soddisfacimento dei bisogni primari (difesa,
nutrimento,ecc.) lo sviluppo professionale assume un compito di miglioramento e
accrescimento della qualità della vita. Il secondo, preoccupato delle conseguenze
del fenomeno dell’anomia, interpreta l’emergere delle deontologie professionali in
termini di sistemi di imperativi che obbligano il singolo a perseguire scopi
egoistici e finalità che coincidono con gli interessi dell’intero agglomerato sociale.
1
In altre parole, a seguito dell’avanzare dei processi di divisione del lavoro nelle
società moderne, basate su meccanismi di funzionamento convergenti con quelli
della solidarietà organica, le professioni possono considerarsi come organi della
società, forme funzionali che permettono a quest’ultima di esprimere appieno le
proprie virtuosità nel deserto lasciato dalla crisi della famiglia e della Chiesa. Si
formano così delle isole morali, dei focolai di vita morale distinti e localizzati in
una zona limitata della società, appunto le comunità professionali. Lo stesso Max
Weber (1961), in linea con l’approccio teorico proposto, scorge nel concetto di
professione un’espressione dell’azione razionale rispetto allo scopo, considerata
particolarmente consona alle esigenze produttive e organizzative della società
avanzata. Altri importanti studi nell’area delle professioni si susseguono a partire
da quello pionieristico di Flexner del 1915, al punto che nel 1928 vede la luce il
primo studio organico diretto ad esplorare le caratteristiche intrinseche di una
professione a partire dal processo di formazione del gruppo professionale (CarrSaunders, A.M.). Nel 1939 vengono pubblicati due mportanti saggi, uno ad opera
di Talcott Parsons e l’altro di Thomas Humphrey Marshall. In particolare
quest’ultimo si sofferma sulla crescente dipendenza della società moderna dai
servizi professionali, mettendo in risalto la grande varietà delle professioni sia
nella configurazione libero-professionale sia in quella impiegatizia. La stessa
collettività – osserva Marshall – è cliente di numerose professioni moderne, il cui
futuro è dunque assicurato da una precisa corrispondenza tra le richieste collettive
e i servizi che le stesse sono in grado di offrire.
Gli autori finora menzionati sono accomunati dalla caratteristica di guardare
con un certo ottimismo il processo di professionalizzazione della società moderna
e di vedere le professioni come un gruppo organizzato in costante interazione con
la società. La peculiarità dei gruppi professionali può essere ravvisata nella loro
capacità di assolvere alle proprie funzioni sociali potendo confidare su una rete di
relazioni formali e informali e creando la propria subcultura per via di continui
adattamenti che costituiscono prerequisiti del successo nella carriera.
A differenza Grenwood (1957), considerato il fondatore dell’approccio per
attributi, prende le distanze dalle idee degli autori menzionati in precedenza e
colloca le professioni in uno spazio predefinito della società. La sua impostazione
difatti tenta di essere più cauta disponendo le occupazioni lungo un continuum a
capo del quale si trovano le professioni indiscutibilmente riconosciute e non
contestate (medico, avvocato, professore, scienziato) e all’estremo opposto le
occupazioni meno prestigiose e meno specializzate (donna di fatica, bracciante,
facchino, guardiano). Lo stesso autore, riprendendo uno studio condotto da CarrSaunders e Wilson nel 1933, prova ad identificare gli attributi comuni che
distinguono le occupazioni di tipo professionale e lo fa considerando
essenzialmente cinque caratteristiche: abilità superiore, autorità professionale,
sanzione della comunità, codice di regole etiche, associazioni che tutelano i
membri. Queste caratteristiche identificano secondo gradi diversi tutte le
professioni che lo studioso prende in considerazione e colloca lungo la linea
virtuale da lui stesso proposta.
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Indipendentemente dalla misura in cui si possa essere concordi nel ritenere
validi gli elementi forniti da ciascun autore, è innegabile che gli sforzi teorici fatti
da ciascuno di essi nell’insieme sono stati tutti indirizzati all’identificazione
idealtipica di ciò che si può generalmente intendere per professione. Negli ultimi
tempi l’interesse è stato rivolto sempre più ad una questione che desta ancora più
esitazione, ovverosia quella relativa al problema del potere professionale. Questo
rinvigorito interesse per tale tematica rispecchia in qualche misura la presa di
coscienza che congiuntamente al potere economico e burocratico, anche il potere
professionale può condizionare articolazioni sociali di preminente importanza. In
questo ambito il pensiero di Johnson (1972) si propone come contraltare sia
dell’approccio funzionalista sia di quello greenwoodiano. A ben vedere, secondo
l’autore bisogna ripartire dal problema della divisione del lavoro e chiedersi in
che modo quest’ultimo determini ipotesi di dipendenza economica tra chi produce
prestazioni specializzate e chi le utilizza. La tesi dell’autore sostiene che la
dipendenza dalle abilità degli altri nella società contemporanea produce un certo
livello d’incertezza. Incertezza causata da due fenomeni che si verificano in
maniera congiunta e vedono la società moderna quale principale scenario in cui si
riverberano i loro effetti. Uno di questi è la specializzazione del lavoro che
produce relazioni sistematiche di interdipendenza; al contempo l’altro fenomeno,
la divisione del lavoro, genera distanza sociale e crea delle potenzialità di
autonomia a cui corrisponde una struttura di incertezza nella relazione tra
produttore e consumatore dando luogo ad una tensione nella relazione che bisogna
risolvere. Seguendo questo ragionamento, è evidente che sulla base del grado di
indeterminatezza e del contesto socio-strutturale sorgeranno varie istituzioni con il
compito di ridurre l’incertezza stessa. Le professioni sono un tipo particolare di
istituzioni che esercitano un controllo occupazionale. Allorché il rapporto
produttore-consumatore si sviluppa in modo tale da garantire al produttore
autonomia, cioè la concreta possibilità di autogovernarsi, sorge la professione
(ibidem). Nell’ipotesi di una professione eccessivamente autonoma ed autoritaria
ne consegue una riduzione dell’incertezza a spese del consumatore e a vantaggio
del produttore. Sulla scorta di questa tesi, in ultima istanza, si può sostenere che
sono proprio le relazioni di potere i fattori che determineranno se l’incertezza è
ridotta a spese del produttore o del consumatore.
Da queste ultime considerazioni nascono una serie di esigenze che per certi
versi suggeriscono di porre una limitazione all’autorità delle professioni, per altri
raccomandano un’attenzione e un impegno particolare nella salvaguardia delle
loro funzioni.
A completare il quadro finora delineato contribuisce un’autorevole voce
come quella di Friedson (2002), che enfatizza l’effettivo controllo che una
professione deve esercitare sul proprio campo di lavoro avvertendo che la
limitazione di questo controllo sfocerebbe nell’impossibilità per i suoi membri di
prendere decisioni autonome, e quindi di non essere in grado di gestire con
efficacia la propria attività. L’autorità professionale risulta essere sempre più al
centro del dibattito pubblico e spesso soggetta a molte critiche, tutto ciò accade
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perché vi sono ampie zone della vita sociale che oramai la comunità esige di
controllare direttamente, scavalcando la mediazione dei titolari di particolari
abilità. Si pensi a tal proposito alle continue critiche dell’opinione pubblica che
hanno ad oggetto l’intervento professionale di assistenti sociali, medici, avvocati,
eccetera. Nella maggior parte delle situazioni è anche facile rilevare come gli
autori di quelle critiche, il più delle volte, non siano in possesso delle appropriate
competenze e dunque i loro giudizi si basino meramente su una conoscenza di
senso comune. L’attenzione va dunque posta sul bilanciamento dell’autonomia e
dell’autorità professionale contenendo al massimo la possibilità per il
consumatore di pagare un prezzo troppo alto in termini di incetezza e che, al
contempo, lasci ampi margini di autonomia alla professione.
Lo scenario che si palesa è reso ancora più complesso dal fatto che l’universo
professionale nella sua interezza, in termini analitici, si presta ad una
scomposizione ulteriore. Si possono cogliere essenzialmente due dimensioni,
l’una relativa all’esercizio della libera professione (più o meno vivace a seconda
della professione oggetto di studio e al contesto socio-politico in cui essa si trova
ad operare), l’altra assimilabile alle svariate forme che assume l’impiego nelle
organizzazioni pubbliche o private moderne. L’ennesimo elemento di riflessione
riguarda il fatto che le professioni contemporanee sono prevalentemente esercitate
entro grandi organizzazioni, anziché in forma libera, e questa condizione suscita
una serie di problemi sui limiti da imporre all’autorità professionale in questi
ambiti.
Saranno prese in esame le definizioni del concetto di professione succedutesi
nel tempo, ma lo scopo di questo studio spinge l’impostazione teorica verso il
percorso di studio delle professioni suggerito da Roth (1974), ovvero tornare
all’esame della genesi concreta delle professioni per vedere nel modo più
dettagliato possibile come le professioni si sono sviluppate. In tal modo si sarebbe
meno inclini ad evocare una lista di caratteristiche e di attributi verso cui
convergono certe linee di lavoro e, dunque, il moderno processo di
professionalizzazione potrebbe essere interpretato piuttosto come un processo di
negoziazione a lungo termine.
Pertanto le professioni possono essere considerate come degli attori collettivi
che nello svolgimento della loro attività possono adottare diverse modalità di
azione più o meno prevalenti a seconda del contesto socio-politico e istituzionale
in cui sono chiamate ad operare. Una di queste opzioni assume la forma
dell’esercizio libero-professionale. Per definire in prima approssimazione cosa si
intenda per libera professione si può fare riferimento all’analisi di Prandstraller
(1980) il quale, rifacendosi alle ricerche sociologiche classiche, sostiene che
affinché si configuri l’azione libero-professione il rapporto determinante è quello
tra professionista e cliente. Allo scopo di evitare che questo rapporto non sia
condizionato da fattori esterni e dunque il professionista possa disporre della sua
autonomia ed esercitare la sua autorità fondata sul possesso di competenze
specializzate è necessario che egli possa indirizzare i sui servizi ad una pluralità di
clienti. L’autore continua la sua analisi ricordando che le professioni acquistano la
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loro fisionomia moderna allorquando riescono a sottrarsi alla committenza della
Chiesa e della nobiltà e offrire i loro servizi ad una clientela sempre più ampia e
diversificata (processo di sottrazione dalla chiesa, 3° settore). Questo processo in
Europa si attua a partire dal XVIII secolo e fa si che progressivamente si creino le
condizioni affinché al professionista sia consentito sottrarsi dal ricatto economico
e morale del singolo committente. “La nascita delle professioni moderne è
dunque collegata al principio di libero scambio che trasforma il professionista da
sostanziale dipendente in autonomo artigiano” (ibidem, p. 31).
Le cause dell’ipotizzata debolezza dello sviluppo della libera professione di
assistente sociale potrebbero essere ricondotte ad una serie di elementi che
troveranno degli spazi di analisi nel progetto di ricerca ipotizzato.
Provando a riflettere sulla suddetta situazione si potrebbe giungere a
considerare la stessa come l’esito di un immediato accostamento - ampiamente
accreditato nel contesto culturale italiano - del servizio sociale all’ambito delle
responsabilità del settore pubblico. Difatti, l’azione del servizio sociale è
comunemente immaginata come un intervento professionale che trova una sua
naturale collocazione ed espletazione nell’ambito dei servizi sociali approntati
dall’apparato dello stato, i cui interventi sono tesi ad apportare sollievo a
situazioni di bisogno la cui responsabilità è di pertinenza dello stesso ente
pubblico. Una più approfondita riflessione deve necessariamente tenere in
considerazione le origini del servizio sociale nei diversi contesti e nel caso
specifico in quello italiano. Percorrendo questo itinerario storico, in seguito ad
una prima fase d’acquisizione delle fonti, sarà possibile rilevare che le matrici del
servizio sociale sono rinvenibili prevalentemente nella società civile. Seppure la
necessità del servizio sociale viene ravvisata in primis nella società civile, tuttavia
nel concreto evolversi della disciplina se ne delinea lo sviluppo e la definizione
delle funzioni in linea con i principi di politica sociale prevalenti nei diversi paesi
europei. Per esempio, in Germania nel 1853 un sistema di assistenza,
comunemente conosciuto come “Elberfeld System”, fu lanciato e coordinato dal
comune di Elberfeld da cui prese il nome. L’obiettivo era combinare l’attività
d’aiuto rivolta all’individuo con la necessità di un controllo pubblico. Al
contrario, nel Regno Unito lo sviluppo delle Charity Organization Society della
seconda metà dell’Ottocento può essere letto come un fenomeno che affonda le
radici in una versione assistenziale che relegava all’ambito privato l’intervento ed
assegnava al singolo individuo la responsabilità della sua condizione di bisogno
(Lorenz, W 2007). A questo punto lo sforzo sarà indirizzato a ricostruire cosa è
accaduto nella società italiana e a capire come il servizio sociale in chiave
moderna ha acquistato visibilità e legittimazione.
Continuando la riflessione sullo sviluppo della libera professione un altro
elemento da considerare è una delle funzione a cui è deputato il servizio sociale,
ossia sostenere e accrescere le capacità degli individui nell’uso delle risorse
istituzionali e della comunità. Una diretta ed immediata associazione del servizio
sociale al settore pubblico potrebbe indurre a credere che lo statuto del servizio
sociale sia di natura meramente pubblica imputando, almeno in una società giusta
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ed efficiente, al settore pubblico il compito di assolvere alle funzioni di
facilitazione all’accesso e di accompagnamento ad un uso adeguato delle risorse.
Limitando il campo di riflessione a quanto affermato si ridurrebbe il servizio
sociale ad anello di congiunzione tra cittadino e pubblica amministrazione.
L’operatività quotidiana degli assistenti sociali più impegnati fa emergere invece
uno scenario operativo costellato da interventi di diversa natura e che estende il
suo interesse nei più svariati ambiti di vita delle persone e di funzionamento delle
istituzioni. E’ sufficiente prendere in considerazione l’intervento attuato da un
assistente sociale in un qualsiasi ambito per rendersi conto che l’approccio
metodologico di tale professionista prende usualmente in considerazione le reti
sociali (famiglia, parentela, amici, vicinato), le risorse della comunità
(associazioni di volontariato, coperative che gestiscono servizi), e quelle
istituzionali (servizi sociali, uffici centrali e periferici della pubblica
amministrazione) nel loro complesso. Queste ultime aree difatti si configurano
come l’ambito d’azione dell’assistente sociale per eccellenza, in cui tale
professionista opera spaziando da interventi di natura consulenziale ad interventi
assistenziali in senso proprio. A ben vedere, lo scenario d’azione risulta essere
molto più variegato e accanto al settore pubblico un ruolo importante è giocato
dalla società civile spesso richiamata dal servizio sociale ad un pieno ed intenso
coinvolgimento nell’intervento.
Sicuramente un elemento che differenzia la professione di assistente sociale
da quelle che si inseriscono nel campo della psicoterapia è costituito
dall’orientamento di queste ultime (es. psicologi, psicoanalisti, psichiatri) verso il
sostegno rivolto al singolo individuo in termini di funzionamento intrapsichico e
d’integrità del proprio sé. In maniera diametralmente opposta l’azione
professionale degli assistenti sociali travalica lo psicologismo individualista
fondando il proprio intervento su principi di giustizia sociale e di lotta alla povertà
e alla discriminazione. Questa divergenza rispetto ai fuochi d’interesse tra le
professioni menzionate potrebbe avere un impatto sulla pratica liberoprofessionale, poiché diversa è la percezione di coloro che usufruiscono delle
prestazioni. Coloro che si affidano alla psicoterapia, alla medicina, alla
giurisprudenza possono percepire in maniera più immediata i vantaggi derivanti
da queste prestazioni poiché l’intervento è rivolto esclusivamente ad aspetti
circostanziati della vita del singolo. Una tale circostanza non si verifica per gli
interventi messi in atto dall’assistente sociale che agisce su una pluralità di sistemi
tra i quali il più importante è quello costituito dall’individuo poiché è lo stesso che
deve essere spinto ad interagire con gli altri. Da ciò discende che la percezione
che lo stesso ha dell’intervento è maggiormente sfuocata e di difficile valutazione
nel breve periodo.
Ancora, a concorrere alla scarsa diffusione della libera professione potrebbe
aggiungersi la valutazione di senso comune secondo la quale gli assistenti sociali
intervengono in situazioni di precarietà e verso coloro che non possono
permettersi di pagare determinati servizi. Infatti, spesso si associa alla pratica
professionale l’immagine dell’assistente sociale come supervisore di situazioni e
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vite di persone relegate ai margini della società. Tuttavia, questa rappresentazione
del lavoro svolto dall’assistente sociale non corrisponde alla realtà perchè
l’intervento dell’assistente sociale non riguarda esclusivamente quelle che in
letteratura sono state definite come under class (Hill, M. 1999), ma invece
riguarda complessivamente tutti i soggetti posizionati ai vari strati della struttura
sociale.
Oltretutto, ulteriori elementi di potenziale indebolimento della libera
professione potrebbero derivare dalla mancata comunanza a livello europeo di
linguaggi comuni, dalla difficoltà di delimitare delle competenze standardizzabili,
dalla ambiguità nel definire in maniera netta i confini interprofessionali, le
metodologie e gli approcci d’intervento. Questa situazione di ambiguità non
permette di disegnare in maniera univoca a livello europeo la figura del
professionista assistente sociale. Queste ultime considerazioni inducono Lorenz
(2006) a ritenere il processo di professionalizzazione del servizio sociale
essenzialmente incompleto.
Uno dei primi autori a fare esplicito riferimento alla professione di assistente
sociale nell’ambito di un complesso discorso definitorio sugli elementi
caratterizzanti una professione è stato Flexner. Egli nel 1917 diede una lettura
degli elementi del servizio sociale come professione e giunse ad affermare che
quando ci si riferisce ad esso si può parlare di una “semi-professione” piuttosto
che di una professione (Campanini, A 1999)1. A tal proposito sarà necessario
definire gli elementi che possono essere considerati essenziali per una professione
e provare a ragionare sulle funzioni che le professioni svolgono nelle società
moderne. Ad esempio esse possono essere considerate come strumenti che
consentono di svolgere alcuni compiti in epoche precedenti assegnati invece alla
famiglia, a gruppi più estesi di parentele, ai membri delle tribù o dei villaggi, in
linea con quello che i sociologi definiscono il processo di differenziazione e
specializzazione delle funzioni svolte in una determinata società (Durkheim, E.
1979; Specht, H. Courtney, M. E. 1994). Anche il servizio sociale, con
l’aumentare della complessità delle società moderne, si è evoluto sulla scorta di
questa logica. La professione di assistente sociale svolge compiti che prima erano
assegnati ad altri soggetti. Si pensi ad esempio alla cura degli anziani che, assieme
alla tutela ed educazione dei minori, prima era affidata ai membri del nucleo
familiare più ristretto, od anche al trattamento dei soggetti condannati
tradizionalmente era assegnato alla comunità.
Attraverso tale studio si vuol far luce sui principali fattori che concorrono ad
aprire degli spazi di intervento attorno alla libera professione nel servizio sociale
italiano. Difatti la comunità professionale di servizio sociale può essere vista
come un attore collettivo che opera in contesti specifici (Abbott, A. 1988;
1
Le ambiguità legate alla difficoltà di definire il servizio sociale come professione, poiché
mancante dei requisiti che a parere di Flexner delineavano o caratterizzavano una professione sono state
superate dalla comunità scientifico-professionale nel corso del tempo. Infatti, il servizio sociale in Italia
possiede ormai requisiti normativi di riconoscimento della professione (es. ordine professionale, codice
deontologico, corpus teorico di riferimento, percorsi formativi specifici)(ibidem).
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Friedson, E.1994; Larson, M.S. 1977) ed è nel processo di professionalizzazione
che si tenterà di individuare le ragioni che hanno prodotto le attuali condizioni di
esercizio della libera professione. A tale scopo è utile indagare i dibattiti passati e
presenti attorno al tema in esame giacché con essi la comunità professionale
contribuisce a creare una rappresentazione di questa modalità di intervento e a
negoziare con le altre istituzioni e con la società nel suo complesso i confini della
propria operatività.
Sin dal suo nascere il servizio sociale ha presentato un nucleo critico di
principi e valori che non si prestano ad essere interamente inglobati e ridotti al
mero intervento posto in essere dalle istituzioni pubbliche. Tale disciplina si è
posta su un versante di dialogo in ambito privato, di concerto con la società civile,
che sovente ha avuto il merito di patrocinare e porre all’attenzione delle istituzioni
pubbliche una serie di problematiche di cui solo in seguito queste ultime si sono
fatte carico. La tensione resta aperta ancora oggi che affiorano nuovi bisogni che
vengono in parte a sommarsi alle tradizionali aree di marginalità. La libera
professione nel servizio sociale può assumere connotati diversi che saranno
esplorati nel corso del presente lavoro. Un’anticipazione di come può esplicarsi
tale pratica proviene dall’esperienza narrata da una delle prime pioniere della
professione nel contesto statunitense. Mary Ellen Richmond riporta una breve
storia che risale al 1896 quando la stessa, al termine della sua giornata di lavoro in
una Charity Organizzation Society (COS) di Baltimora, fu avvicinata da un
operatore dell’organizzazione in cui lavorava per discutere di problemi personali
(i.e. Specht, H. Courtney, M. E. 1994). La preziosa consulenza prestata, assieme
alle competenze messe in campo e al tempo dedicato dalla Richmond, indusse
l’operatore a offrire alla professionista una somma di tre dollari. Questo episodio
ebbe come epilogo la pubblicazione da parte della Richmond di un testo in cui
venivano illustrate le potenzialità della libera professione nel servizio sociale e in
cui si suggeriva che le competenze messe in campo potevano rispondere a
situazioni di disagio vissute da cittadini appartenenti a diversi strati della società.
Quanto appena affermato porta a considerare lo sviluppò della libera professione
come un momento di evoluzione della disciplina nel complessivo processo di
professionalizzazione.
L’interesse verso questo oggetto di studio è stato stimolalo essenzialmente dai
dibattiti in corso sulla libera professione sempre più ricorrenti nell’ultimo
decennio e dalla presa d’atto che la comprensione di un processo verso lo
sviluppo della libera professione, ormai avviatosi anche in Italia, può fornire un
utile strumento per governare i successivi sviluppi. Approfondire la conoscenza in
tale ambito consente oltretutto di comprendere meglio le esigenze interne alla
comunità professionale, acquisire consapevolezza rispetto al posizionamento di
tale settore di intervento professionale, nonché aumentare la capacità di
negoziazione nel lavoro che quotidianamente gli assistenti sociali svolgono di
concerto con le altre professioni. Inoltre, tale lavoro potrà rivelarsi utile
soprattutto a coloro che intendono accrescere la loro efficacia di intervento in
ambito privato in modo complementare al prezioso lavoro svolto dai colleghi che
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operano negli enti pubblici. Strappare alla routine quotidiana del lavoro degli
assistenti sociali l’ennesimo spazio di riflessione sulla libera professione
solleciterà una rilettura critica del lavoro svolto e stimolerà l’apertura di nuovi
orizzonti simbolici e reali per lo sviluppo della professione. Indagare tale
fenomeno consentirà di capire come il servizio sociale si posiziona nel panorama
delle professioni. In definitiva, la libera professione nell’ambito del servizio
sociale può essere vista come il terzo pilastro posto accanto a quello
dell’intervento statale e a quello costituito dall’intervento solidaristico del terzo
settore nelle sue diverse forme.
Ipotesi e interrogativi di ricerca
L’ipotesi principale del presente lavoro è che l’attuale livello di esercizio
della libera professione di assistente sociale, congiuntamente all’aumentare
dell’interesse per quest’ultima modalità di lavoro da una parte della comunità
professionale, siano entrambe imputabili alla genesi stessa della professione. A
ben vedere, se si osserva il processo di professionalizzazione più da vicino è facile
notare come esso sia avvenuto per adattamento ad un sistema di interventi e
servizi pubblici precostituito (Neve, E 2000). Per di più, lo studio degli elementi e
dei passaggi significativi del processo di professionalizzazione che ha condotto
all’affermazione del servizio sociale, congiuntamente all’analisi dei trend in
corso, pone in evidenza come l’interesse verso la libera professione – benché
ancora scarsamente sviluppata – sia tendenzialmente in rimonta all’interno della
comunità professionale. Seppure nell’attuale contesto storico-istituzionale il
servizio sociale presenta un sufficiente grado di istituzionalizzazione2, tuttavia il
sopramenzionato interesse per la libera professione potrebbe costituire una
strategia tesa a dare sfogo ad una sottesa e fortemente avvertita esigenza di fornire
una decisa e concreta risposta ad una difficoltà di adattamento al precostituito
sistema di servizi e alle politiche di liberalizzazione poste in essere dal governo
italiano negli ultimi decenni. Tale scenario farà da sfondo al percorso di ricerca
proposto.
Al fine di testare empiricamente le ipotesi proposte il percorso di ricerca
mirerà essenzialmente a trovare delle risposte significativa sia sul piano
prettamente teorico, sia sul piano empirico, ai seguenti interrogativi di ricerca:
 qual’è il livello di sviluppo della libera professione di assistente sociale nel
contesto italiano?
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Il grado di istituzionalizzazone di un sistema di regole può essere misurato attraverso il controllo
dell’esistenza di diversi elementi, quali: le forme del controllo sociale che conferisce cogenza alle
regole del sistema; dall’informazione che gli attori coinvolti hanno dell’esistenza delle regole;
dall’accettazione da parte della società di tali regole; dalla tipologia di sanzioni che premiano o
puniscono il trasgressore; dall’interiorizzazione dei codici morali individuali; dal grado in cui le norme
vengono osservate oppure no (Bagnasco et al. 1997).
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 Si può identificare una progressione costante di eventi, un cammino verso il
quale il servizio sociale ha deliberatamente viaggiato verso la terra promessa
del professionalismo?
 É possibile rintracciare degli elementi relativi all’esercizio della libera
professione e al suo sviluppo nel processo di istituzionalizzazione della
professione?
 A quali fattori si può ricorrere per fornire una valida spiegazione dello stato
attuale della libera professione in Italia?
 Che forma assume l’esercizio della libera professione di assistente sociale nel
contesto sotto indagine?
 Quali sono gli elementi che ostacolano o facilitano lo sviluppo di tale pratica in
Italia?
 Quali sono le implicazioni del lento sviluppo della libera professione di
assistente sociale e come influiscono sulla rappresentazione del servizio sociale
in Italia?
Considerazioni metodologiche, strumenti e fasi della ricerca
Al fine di indagare l’oggetto della presente proposta progettuale la prima
tappa consisterà nel porre attenzione al processo di professionalizzazione del
servizio sociale esaminando principalmente lo sviluppo di una particolare branca:
la libera professione. Quest’ultima sarà collocata in un contesto d’analisi che
prenderà in considerazione l’analisi delle principali fonti teoriche elaborate nel
contesto sociologico e relative allo sviluppo delle professioni in maniera
congiunta alla ricognizione delle fonti bibliografiche e delle ricerche empiriche
pregresse, ritenute di maggior rilievo per il raggiungimento dello scopo della
ricerca. Laddove sia possibile si analizzerà anche bibliografia grigia (carteggio di
enti, tesi di laura, documenti non pubblicati). Questa prima fase di studio
consentirà di ridisegnare le tappe principali dello sviluppo della professione e di
capire quali sono stati gli elementi e i passaggi essenziali che ne hanno
determinato l’evoluzione nel corso del tempo e nel contesto storico-culturale di
riferimento.
La parte empirica sarà suddivisa in tre fasi fondamentali, la prima di esse
riguarderà la raccolta di dati preesistenti sui livelli di esercizio della libera
professione in Italia; la seconda sarà orientata alla ricognizione e all’analisi di
documenti relativi alla libera professione nel servizio sociale nel contesto italiano;
a seguire, nella terza fase si procederà ad effettuare delle interviste semistrutturate
a testimoni privilegiati e ad assistenti sociali libero-professionisti.
La prima fase della ricerca empirica sarà articolata nell’acquisizione dei dati
di natura quantitativa sulla presenza numerica di assistenti sociali libero
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professionisti3. Per l’acquisizione degli stessi si contatteranno gli Ordini Nazionali
e gli Ordini Professionali Regionali. Per eseguire una validazione dei dati potrà
essere utile consultare i diversi organismi sindacali che, solitamente, raggruppano
i professionisti sulla base del tipo di attività svolta. Dal quadro che emergerà si
potrebbe riscontrare una significativa variazione dei livelli di esercizio
professionale nell’area considerata e, ad esempio, tra regioni diverse. In tal caso si
proverà ad indagarne i motivi che determinano tali variazioni e a fotografare la
realtà in cui tali livelli si manifestano ponendo in luce le principali cause.
L’impiego delle tecniche d’analisi della statistica descrittiva, in questa prima
parte del lavoro, consentirà una dettagliata ricostruzione del quadro della libera
professione da cui prenderà spunto la successiva parte del lavoro. Trattare i dati in
modo anonimo consentirà di ricostruire un elenco delle regioni che metterà in
evidenza i rispettivi livelli di esercizio della libera professione. L’analisi verterà
anche sulle modalità attraverso cui essa viene espletata. Tale quadro potrà essere
suffragato, aggiungendo alcuni cenni relativi alla libera professione di assistente
sociale, da una accurata ricognizione di dati e informazioni relative al contesto
internazionale4. A tal fine saranno consultate on-line alcune fonti tra cui le banche
dati degli ordini professionali, nonché saranno richiesti i dati ad organismi quali
l’International Federation of Social Work (IFSW), l’ International Association of
School of Social Work (IASSW). Questo ulteriore lavoro di ampliamento del
campo d’osservazione permetterà di avanzare delle ipotesi sullo stato attuale della
libera professione nel contesto europeo fornendo altresì la possibilità di un
parziale confronto con quello italiano.
Nella fase successiva, l’analisi procederà recuperando i documenti che
testimoniano la nascita della libera professione di assistente sociale e permettono
di ricostruirne i passaggi storici che hanno portato all’istituionalizzazione della
stessa. Per portare avanti un lavoro di questo tipo si esamineranno ì dibattiti
parlamentari che precedono l’approvazione della legge di istituzione della
professione e del relativo ordine professionale. Infatti, nel 1993 viene approvata in
Italia la legge n. 84 in cui è inserita la possibilità di esercitare in forma autonoma
la professione di assistente sociale. Si comprende bene che questo importante
riconoscimento istituzionale per la professione sancisce un’importante tappa del
processo di istituzionalizzazione della professione assegnando alla stessa delle
prerogative aggiuntive nel complesso panorama delle professioni. Per studiare i
dibattiti parlamentari sarà adoperato un approccio di tipo qualitativo, che
3
La richiesta dei dati, delle informazioni relative a ricerche condotte e più in generale ad
informazioni varie (es. contatti assistenti sociali libero professionisti, richiesta di un appuntamento di
chiarimento e approfondimento, ecc.) è stata già effettuata tramite e-mail al Consiglio Nazionale
dell’Ordine degli Assistenti Sociali nella seconda decade del mese di settembre 2009.
4
Limitatamente al contesto australiano e sudafricano è stata già effettuata, nella seconda decade
del mese di settembre 2009, una richiesta tramite e-mail a persone a me segnalate da una docente di
nome Mel Gray dell’Università di Newcastle. I due contesti citati risultano essere di particolare
interesse giacché, assieme a quello statunitense, presentano un discreto sviluppo della libera professione
di assistente sociale. Per maggiori approfondimenti cfr. http://www.aasw.asn.au/ e
http://www.saaswipp.co.za/
11
attraverso l’analisi del contenuto dei documenti più importanti porterà a
ricostruire il dibattito e a sintetizzarne i passaggi cruciali (Neuendorf, K.A. 2002).
Nella fase conclusiva, mediante il ricorso ad interviste semistrutturate, sarà
utile intervistare coloro che sono stati testimoni di ciascuna conquista in campo
istituzionale e legislativo relativamente al processo di istituzionalizzazione della
professione prestando particolare attenzione agli aspetti più strettamente legati
alla libera professione. Questa modalità di rilevazione delle informazioni è stata
scelta giacché ciò che si vuol far emergere attraverso il racconto degli intervistati i
temi ritenuti maggiormente importanti dall’intervistatore. Dunque, si tratta di uno
strumento flessibile che fornisce la possibilità di trattare in modo piuttosto
esaustivo i temi identificati nel corso della ricerca. I confronti tra le interviste
saranno resi possibili giacché la base comune delle stesse rimarrà pressoché
invariata (Corbetta, P. 2000). Inoltre, l’efficacia di questo strumento sarà esaltata
dal fatto che gli intervistati appartengono a categorie di persone in possesso di un
elevato livello di istruzione a cui dovrebbe essere correlata un’altrettanto elevata
capacità di verbalizzazione ed esposizione degli argomenti. Si cercherà di cogliere
il punto di vista degli attori coinvolti in tale processo, sia a partire dalla fase che
ha portato all’approvazione della legge 184/93 sia rispetto all’attuale dibattito
sulla possibilità di esercizio della libera professione di assistente sociale.
Utilizzare delle interviste semistrutturate come strumento di acquisizione delle
informazioni darà la possibilità di fare emergere una doppia posizione
intellettuale, ossia quella formale-ufficiale e quella ufficiosa-informale, che tali
attori potrebbero testimoniare. Le interviste saranno rivolte ai presidenti
dell’Ordine professionale nazionale che hanno guidato il processo di
professionalizzazione nel corso degli anni, ad eventuali altri attori che pur in
maniera informale hanno stimolato l’interesse per il tema, ed al ministro del
welfare che si fece promotore della legge dal titolo “Ordinamento della
professione di assistente sociale e istituzione dell’albo professionale (l. n. 84/93)
in cui viene sancito che in Italia la professione di assistente sociale può essere
esercitata in forma autonoma”. A queste interviste, che hanno un valore di
memoria storica, saranno affiancate altre interviste indirizzate agli assistenti
sociali liberi professionisti a cui verrà chiesto di descrivere in concreto l’attività
da loro svolta, i vincoli e le opportunità che emergono nel corso del loro impegno
quotidiano, le motivazioni che li hanno spinti ad adottare questa particolare
modalità di lavoro, di valutare la loro professione rispetto ai valori e principi del
servizio sociale, di fornire elementi in grado di descrivere ed interpretare i trend
in corso nel contesto italiano.
Diverse perplessità sorgono rispetto alla possibilità di identificare in maniera
univoca i liberi professionisti. In tale situazione di rafforzamento della professione
e di contemporaneo mutamento degli scenari di politica sociale restringere la
ricerca meramente a coloro i quali sono riconosciuti dalla legge come liberi
12
professionisti – ossia i soggetti che hanno richiesto presso l’Agenzia delle Entrate5
l’apertura della partita iva –risulterebbe limitante allo scopo della presente ricerca.
Questo limitte costituirebbe una semplificazione inaccettabile oscurando degli
spazi di ricerca che potrebbero essere rivolti alle forme di esercizio dela libera
professione. Per far si che la lista dei professionisti da intervistare corrisponda ai
criteri scelti durante l’elaborazione di questo lavoro, si chiederà agli assistenti
sociali di autoselezionarsi. Sotto il profilo metodologico tale deriva può essere
evitata previa la ricostruzione dell’elenco degli ordini professionali regionali a cui
seguirà l’invio di una e-mail con cui si chiede la segnalazione degli assistenti
sociali che esercitano la libera professione e la pubblicazione, all’interno del sito
web dell’organizzazione stessa, di un annuncio con cui si invitano i colleghi
assistenti sociali libero professionisti a contattare telefonicamente o per e-mail il
sottoscritto. Questo sistema di annunci permetterà l’autoselezione di un gran
numero di candidati a cui seguirà una scrematura che consentirà di mantenere
nella lista coloro che presentano le caratteristiche tipiche dell’assistente sociale
libero professionista. Si tratterà pertanto di un campione non probabilistico che,
sebbene non garantirà la generalizzazione delle informazioni rilevate, consentirà
di raggiungere uno degli obiettivi di questo studio, ossia identificare le forme che
assume l’esercizio della libera professione di assistente sociale e tracciare
l’identikit dell’assistente sociale libero professionista nel contesto sotto indagine.
Una delle motivazioni che mi ha spinto ad interessarmi al tema in esame
deriva dalla presa d’atto di una carenza in termini di studi scientifici sullo
sviluppo storico della libera professione e sui fattori che potrebbero averla
ostacolata o che al contrario potrebbero costituire un trampolino di lancio. Nella
letteratura italiana di servizio sociale un tentativo di studio della libera professione
è stato effettuato da Ugo Albano, il quale ha indirizzato i suoi sforzi
all’elencazione delle aree di esercizio della libera professione nel (Albano et al.
2008). Altro fattore che accresce il mio interesse di ricerca è rappresentato
dall’attuale elaborazione da parte degli ordini professionali regionali di documenti
tesi a definire a livello normativo la libera professione e ad indicare ai componenti
della comunità professionale le modalità di esercizio della stessa6. Il proliferare di
documenti di questo tipo potrebbe essere la traduzione pratica di numerose
richieste avanzate agli ordini professionali dagli assistenti sociali.
Pertanto, attraverso questa ricerca si potrebbe addivenire ad una più
approfondita comprensione del fenomeno e delle questioni principali che ruotano
attorno ad esso. In particolare un contributo di rilievo andrebbe nella direzione di
un rafforzamento della consapevolezza della comunità professionale da un lato
rispetto alla natura e allo sviluppo della professione nel suo complesso, dall’altro
5
L'Agenzia delle Entrate è un ente pubblico non economico che si occupa della gestione,
dell'accertamento e del contenzioso in materia fiscale. Dotata di autonomia regolamentare,
amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria, è sottoposta alla vigilanza del
Ministero dell'Economia e delle Finanze, che mantiene la responsabilità di indirizzo politico.
6
L’Ordine regionale degli assistenti sociali della Calabria ha provveduto di recente alla
pubblicazione di un vademecum ed altri ordini professionali stanno procendendo in direzione analoga
anche attraverso brevi pubblicazioni on-line.
13
riguardo all’effettivo funzionamento di leve e fattori che spingono verso lo
sviluppo della libera professione.
Un altro contributo può essere dato alla riflessione in corso relativa al
mercato occupazionale degli assistenti sociali che intendano esercitare il proprio
lavoro in forma autonoma.
Aprire una tale riflessione, permetterà di seguire meglio gli sviluppi della
professione in questo particolare ambito che, per il servizio sociale, da sempre
costituisce un terreno fecondo di interrogativi e dilemmi etici.
Questioni etiche
Nell’ambito delle scienze umane uno studio che meriti di essere definito
scientifico deve necessariamente prendere in considerazione gli aspetti etici legati
alla sua realizzazione. Le considerazioni etiche risultano marginali in molte altre
discipline, ma nel servizio sociale è indispensabile prestare loro particolare
riguardo, tanto più allorché si scelga di adottare dei metodi d’indagine di tipo
qualitativo e di rilevare dati in modo diretto.
La ricerca che si propone costituirà peraltro un tentativo di riflettere sulla
corrispondenza tra il set di valori propri del servizio sociale e le metodologie
adottate. Si presterà attenzione a vari aspetti, focalizzandosi sulle implicazioni
etiche correlate alle metodologie adottate nel corso dell’indagine, relative ad
esempio alla selezione del campione da cui rilevare i dati e sul modo di adoperare
le tecniche di ricerca. Il riferimento è oltretutto di pertinenza delle nuove
normative in materia di tutela della privacy nell’esercizio della professione di
ricerca, di quella relativa al consenso informato e di tutti gli altri aspetti inerenti il
trattamento dei dati della ricerca in modo anonimo, laddove se ne ravvisasse la
necessità, assieme all’impegno di raccogliere i dati e presentare i risultati della
ricerca supportati da evidenze empiriche significative.
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