Attraverso una scelta di schede illustrate il Dossier prova a indagare particolari aspetti della storia medievale e moderna. Le schede vengono presentate secondo un criterio di successione cronologica e sono organizzate in cinque aree di approfondimento: Schede di storia settoriale TECNOLOGIA TECNOLOGIA 9Gutenberg e l’invenzione 1Le nuove tecnologie agricole p. 328 10Firenze influenza 2Acqua e vento, le fonti la moda europea p. 330 3La costruzione delle università p. 332 4Tempo della natura ai tempi di Marco Polo p. 334 5Con Brunelleschi e Leonardo da Vinci nasce la meccanica p. 336 p. 352 Società e cultura ECONOMIA 14La Firenze di Dante, 6Un nuovo modo centro della finanza europea p. 338 p. 354 MEDICINA 15 Epidemie e ospedali TECNOLOGIA 7La bussola e i velieri favoriscono i grandi viaggi per mare p. 350 ECONOMIA le prime associazioni professionali TECNOLOGIA di fare la guerra: la polvere da sparo p. 348 13Le corporazioni: TECNOLOGIA Alimentazione e moda p. 346 ECONOMIA 12La globalizzazione TECNOLOGIA e tempo degli orologi Medicina SOCIETÀ E CULTURA 11La nascita e l’affermazione TECNOLOGIA delle cattedrali p. 344 ALIMENTAZIONE E MODA TECNOLOGIA di energia del mondo antico della stampa nel Basso Medioevo p. 356 p. 340 TECNOLOGIA Economia 326 © Loescher Editore – Torino 8La nascita della moderna cartografia p. 342 Tecnologia © Loescher Editore – Torino 327 1 TECNOLOGIA Le nuove tecnologie agricole Tra i fenomeni che segnarono il passaggio dal mondo antico all’Età medievale vi furono i sostanziali cambiamenti del settore agricolo, che incisero soprattutto sulla rotazione dei raccolti e sulla razionalizzazione delle culture. Il processo che caratterizzò la trasformazione delle campagne e che vide l’origine della rotazione continua, l’invenzione dell’aratro a coltro, l’impiego del bue e del cavallo, l’uso dell’erpice, la coltivazione dell’avena, il nascere delle pratiche per la disinfestazione dei campi dalle erbacce fu tutt’altro che lineare e univoco. L’agricoltura antica era gravemente limitata dalla mancanza di fertilizzanti, quindi dopo il raccolto estivo dei cereali un contadino non poteva seminare subito il campo, ma doveva attendere mesi prima che le zolle tornassero fertili. A tale inconveniente si ovviava dividendo il campo in due metà che venivano coltivate ad anni alterni con un sistema detto «rotazione biennale». Quella «triennale» invece permise di dividere il terreno in tre parti: nella prima si seminavano in autunno frumento e segale; nella seconda si seminavano in primavera piselli, fave, orzo e avena, mentre la terza veniva lasciata a maggese, cioè a riposo. Miniatura che illustra alcune tra le principali invenzioni agricole che si diffusero in Europa dopo il Mille. Scene di lavoro nei campi in una miniatura quattrocentesca di area lombarda. Tra il Mille e il Trecento una significativa crescita demografica della popolazione europea e la contemporanea abolizione della servitù della gleba resero disponibili migliaia di contadini per la messa in coltura di nuove terre: si trattò di un fenomeno assai significativo che gli storici hanno definito «riconquista delle terre incolte», sino a quel momento coperte da boschi e paludi. Tale congiuntura favorevole fu accompagnata dall’invenzione di nuovi strumenti che migliorarono le tecniche agricole, accrescendo la rendita dei terreni: importante fu indubbiamente l’introduzione dell’aratro a ruote consistente in un coltro per fendere il terreno e in un versoio per rivoltarlo. Si trattava di parti metalliche sempre più sofisticate che penetravano profondamente anche nei terreni più duri. La sua origine precisa è oscura, ma probabilmente provenne dal Nord Europa, dove rese possibile la coltivazione dei terreni ricchi e pesanti lungo le rive dei fiumi che sino a quel momento erano di difficile drenaggio. Tracciando solchi 328 © Loescher Editore – Torino più profondi si eliminava anche la necessità di procedere all’aratura «incrociata», che prevedeva una seconda serie di solchi intersecanti ad angolo retto quelli della prima serie. Invece, il nuovo aratro diede inizio al tipico sistema, in uso ancora oggi, della coltivazione a strisce. L’invenzione del collare imbottito e del giogo, ovvero un attrezzo in legno con accessori in metallo e in cuoio che veniva applicato alla parte anteriore del corpo degli animali da traino, consentì di aumentare la forza di trazione evitando che i buoi o i cavalli si ferissero o addirittura si strangolassero mentre trascinavano i pesanti aratri. Nello stesso periodo vennero inventati i ferri con cui ferrare gli zoccoli dei cavalli così da utilizzarli anche su terreni sassosi e pietrosi senza rischiare che si ferissero. Un’altra innovazione fondamentale nel settore agricolo fu la razionalizzazione dello sfruttamento dei terreni, chiamata «rotazione triennale delle colture», che rappresentò la prima grande svolta dopo la rivoluzione agricola del Neolitico. Contadini nella pausa di mezzogiorno in un dipinto di Bruegel il Vecchio (1565). L’anno successivo si ruotava e ciò consentiva di rigenerare il terreno in tempi più brevi, usando una superficie produttiva pari a due terzi e non alla metà del campo e soprattutto di diversificare la produzione, offrendo la possibilità di attenuare i rischi di un eventuale cattivo raccolto. Tali migliorie restarono in uso sino al XIX secolo quando comparvero prima aratri di ferro, poi altri di acciaio che vennero inventati dal fabbro statunitense John Deere. Nella seconda metà dell’Ottocento comparvero i primi trattori a vapore che nel giro di qualche decennio sostituirono le bestie da traino. Un’incisione del XVIII sec. che raffigura diversi lavori agricoli. © Loescher Editore – Torino 329 2 TECNOLOGIA Acqua e vento, le fonti di energia del mondo antico Prima della Rivoluzione industriale e dell’invenzione della macchina a vapore, il vento, l’acqua e la forza animale rappresentarono le uniche fonti di energia a disposizione dell’uomo. Gli antichi impiegavano il mulino ad acqua soltanto nella macinazione dei cereali, mentre nel corso del Medioevo si comprese che si trattava di macchine molto versatili, utilizzabili per altri settori produttivi. Ancora nel 1840 in Inghilterra ne erano in funzione 10.000 e in Olanda 8000 che servivano a macinare il grano, a far funzionare le segherie e le cartiere e soprattutto a sollevare i minerali estratti dalle miniere. Intorno all’anno Mille i mulini ad acqua venivano impiegati per la lavorazione dei tessuti dato che per produrre stoffe morbide era necessario immergerle nell’acqua insieme a sapone, argilla e a sostanze acide. In questo caso la ruota idraulica azionava due grandi magli di legno che schiacciavano e asciugavano i tessuti, effettuando un lavoro che anticamente veniva compiuto dai piedi degli schiavi. Intorno al XII secolo il mulino ad acqua divenne un elemento caratteristico del paesaggio europeo; dove i corsi d’acqua tendevano a gelare per il freddo o a prosciugarsi per il caldo si ricorreva a mulini a vento costituiti da torri dotate di pale montate verticalmente rispetto all’asse orizzontale. Risultavano molto simili alle pale eoliche moderne: già allora ci si era posti il problema di «catturare» le correnti d’aria quindi nel Trecento erano stati inventati complessi ingranaggi meccanici che consentivano alle pale di ruotare, mentre una lunga asta veniva fissata nella parte posteriore della torre in modo che servisse agli uomini come timone per orientare le pale in direzione del vento. Si trattava di strutture complesse composte di due ruote a denti, due alberi e di almeno tre supporti a cuscinetto in metallo. Le pale erano di due tipi: composte di griglie di legno o fatte della stessa tela con cui si cucivano le vele delle navi, montate su appositi telai. I mulini a vento ebbero una larga diffusione, come testimonia un passo del Canto 34° dell’Inferno dove Dante paragona l’angelo decaduto Lucifero proprio a un mulino che agita senza fine le sue ali come se fossero delle pale. Miniatura del XIV sec. che raffigura dei mulini ad acqua sotto un ponte della Senna a Parigi. 330 © Loescher Editore – Torino La crescita del numero di mulini favorì anche lo sviluppo di nuove tecnologie in campo idraulico per la realizzazione di nuovi canali, dighe e bacini di riserva. In tal senso il principale teorico del Rinascimento fu Leonardo da Vinci che disegnò diversi progetti di mulini ad acqua e di pompe meccaniche che fossero in grado di ottimizzare al meglio l’energia dispiegata dalla caduta dell’acqua. Ovunque la corporazione dei mugnai godeva di grande importanza, essendo loro i produttori della farina per preparare il pane ovvero l’alimento universalmente più consumato, ma era pure soggetta a dure critiche e sospetti: non si contano le novelle rinascimentali dove la parte del cattivo viene attribuita a un mugnaio disonesto che tiene per sé parte del grano da macinare. Proprio per evitare truffe ogni anno le misure di peso impiegate nei mulini venivano severamente controllate. Nel Seicento i primi coloni che andarono a vivere in Nord America utilizzavano i mulini a vento per irrigare i campi e per fornire di acqua le loro fattorie: e così anche nel «Nuovo Mondo» si dovette attendere l’introduzione delle locomotive a vapore per assistere a un cambiamento tecnologico. Nella prima metà del Settecento l’invenzione di un «mulinello a ventaglio» da parte dell’inglese Edmund Lee consentì ruotare in maniera automatica le pale: quando cambiava il vento il mulinello metteva in moto un volano che faceva ruotare il tetto del mulino finché questo non si «metteva al vento». Tale sistema è in uso ancora oggi nella costruzione delle pale eoliche che in alcuni paesi, come la Germania, contribuiscono a fornire una percentuale significativa del fabbisogno energetico. Particolare del Paliotto della Passione, arazzo del XV sec., con la raffigurazione di un mulino a vento. Le pale eoliche della centrale francese presso Avignonet-Lauragais in Alta Garonna. © Loescher Editore – Torino 331 3 TECNOLOGIA La costruzione delle cattedrali La grande protagonista della vita medievale fu la fede religiosa e il suo simbolo in terra furono le cattedrali. Questi luoghi di culto, enormi rispetto agli altri edifici del tempo, rappresentarono l’espressione più compiuta e matura dell’arte post-romanica, o gotica, che ebbe la sua culla in Francia. La costruzione delle cattedrali contribuì a rilanciare in maniera vigorosa la pittura e la scultura, ma soprattutto influenzò l’architettura valorizzandone gli aspetti più tecnologici. Saint-Denis le spesse masse murarie del romanico vennero sostituite con pareti più leggere coperte da magnifiche vetrate che dovevano creare giochi di luci e ombre all’interno dell’edificio. Grazie a pilastri, contrafforti, archi e pinnacoli le cattedrali si slanciavano verso l’alto, raggiungendo altezze ai limiti delle possibilità architettoniche del periodo. Ciò che rende ancora oggi affascinante l’architettura gotica è la stretta corrispondenza fra idee estetiche e innovazioni tecnologiche: ad esempio l’obiettivo di rendere gli interni degli edifici sacri luminosi e ampi venne raggiunto grazie all’utilizzo dei principi costruttivi della volta a cro- ciera e dell’arco acuto. Inoltre il sistema di spinte e contro-spinte generato dalle volte a crociera e dai contrafforti, realizzati con pinnacoli e archi «rampanti» influenzò gli ingegneri del ferro che tra Otto e Novecento ripresero lo stile gotico nella costruzione di ponti e viadotti. Le grandi cattedrali medievali sono state definite dei «libri di pietra» per un duplice motivo: da un lato perché rigurgitavano di affreschi e di statue che rappresentavano non solo santi, profeti e martiri, ma anche piante e animali reali o immaginari, che dovevano servire a educare il popolo analfabeta ai principi della religione cristiana; dall’altro perché rappresentavano delle specie di musei dove venivano conservati i resti della cultura dei secoli precedenti, spazzata via dalle distruzioni seguite alle invasioni barbariche. La durata dei lavori era variabile, dai 50 anni per la cattedrale di Chartres, ai quasi cento per quella di Bourges, sino ai tre secoli impiegati per il duomo di Milano: alla guida del cantiere vi era un architetto, esperto di matematica e geometria che doveva effettuare i calcoli prima della realizzazione di ogni arco o pilastro. Sotto la sua guida lavoravano vari capomastri che avevano il compito di coordinare le attività di decine di artigiani specializzati, tra muratori, carpentieri, fabbri, scultori e vetrai. Tutti questi artigiani si formavano con un apprendistato che durava molti anni, dopodiché iniziavano a girare per tutta l’Europa, chiamati di cantiere in cantiere. I più apprezzati, e remunerati «profumatamente», erano i capomastri esperti nella costruzione di carrucole e macchine in legno per facilitare la posa dei pesanti blocchi di marmo. Il cantiere per la costruzione di una cattedrale, raffigurato in una miniatura dal Salterio di Canterbury, XIII sec. Tutte le città europee avevano una cattedrale che sorgeva sulla piazza principale e che con la sua immensa mole sovrastava gli altri edifici. In Italia la pianta delle nuove cattedrali generalmente ricalcava quella rettangolare dell’antica basilica romana ed era imperniata su tre navate longitudinali. Una navata trasversale, o transetto, tagliava le tre laterali dando all’edificio la caratteristica forma di croce latina. Il soffitto non era più in legno, ma in muratura, e culminava in un’alta volta che, sfidando le leggi di gravità, conferiva alla costruzione snellezza e slancio. L’arte gotica invece si sviluppò 332 © Loescher Editore – Torino in Francia a partire dal XII secolo, quando a Parigi iniziò la costruzione della cattedrale di SaintDenis. La principale novità risiedeva nel fatto che il progettista doveva seguire precise e complicate regole di matematica e di geometria, che fissavano rapporti numerici analoghi agli intervalli perfetti dell’armonia musicale, cioè ottava, quinta, quarta e unisono. Praticamente l’idea di fondo era quella di trasferire in architettura le regole alla base della musica, ritenute un riflesso delle armonie celesti create da Dio, come aveva teorizzato Sant’Agostino nel trattato De Musica. Nella chiesa parigina di Le caratteristiche principali dell’architettura gotica sono perfettamente rappresentate dalla cattedrale di Saint-Denis (nella foto a sinistra, l’interno): una struttura slanciata e illuminata dalle enormi vetrate istoriate, che si differenzia in modo evidente da una struttura tipicamente romanica, come per esempio il duomo di Costanza (nella foto a destra, un disegno che ricostruisce la sezione delle navate). © Loescher Editore – Torino 333 4 TECNOLOGIA Tempo della natura e tempo degli orologi Il giorno è determinato dalla rotazione della Terra su se stessa, movimento che fa sì che si alternino successivamente alcune ore di luce e altre di oscurità. I momenti dedicati al sonno, al lavoro e al cibo non sono sempre gli stessi, ma anzi variano a seconda della civiltà. Nel XIV secolo in Europa si cominciò a mettere sulle torri dei palazzi comunali e sui campanili delle chiese degli orologi meccanici che regolavano la vita quotidiana della comunità. Meno di cento anni dopo comparvero i primi orologi portatili che oggi rappresentano un oggetto imprescindibile al pari di computer e telefoni portatili. Per centinaia di migliaia di anni il tempo degli uomini è stato ritmato dal tempo della natura: l’alternarsi delle albe e dei tramonti, il ritorno ciclico delle stagioni, le variazioni stagionali della temperatura, delle piogge, delle lune, hanno dettato l’organizzazione delle attività quotidiane degli uomini. Era l’esperienza a suggerire agli uomini quando era il tempo per la semina e quello per il raccolto e in questo modo il calendario dei lavori si è intrecciato in Europa a quello eterno delle stagioni, almeno sino al Trecento. In realtà sin dall’anno Mille in vari monasteri italiani e inglesi venivano impiegati «svegliatori monastici» ad acqua per svegliare il campanaro: si trattava di piccoli pesi mossi da corde che cadendo rovesciavano sulla testa del frate addetto alle campane un catino d’acqua. Non si conosce con certezza il nome dell’inventore degli orologi meccanici, tuttavia si L’orologio astronomico a sette quadranti, disegno di Giovanni di Dondi, XIV sec. Un particolare dell’orologio astronomico della chiesa di Santa Maria, 1472, Rostock. 334 © Loescher Editore – Torino ha notizia che nel 1309 un primo esemplare venne installato nella chiesa di Sant’Eustorgio a Milano; 35 anni dopo a Padova il primo orologio pubblico, visibile da tutti i passanti, venne posto sulla facciata di Palazzo Carrara. Nel giro di pochi anni le più importanti città europee fecero a gara per dotarsi dei più complicati orologi da torre che i costruttori addobbavano con automi che allo scoccare delle ore principali effettuavano danze o percuotevano strumenti. Tracce di quest’arte si possono ancora trovare in varie città del Nord Europa come Monaco di Baviera o Rottenburg dove i figurini che addobbano l’orologio del municipio ogni giorno alle 11 ricostruiscono l’episodio della «grande bevuta» avvenuto nel 1631, durante la Guerra dei Trent’Anni, quando gli abitanti offrirono grandi quantità di vino ai mercenari svedesi che li assediavano in cambio della salvezza della loro città. Dopo 16 anni di lavo- Progetto di un orologio ad acqua, da un manoscritto arabo del 1203. ro nel 1364 l’astronomo Giovanni Dondi completò il suo «astrario», ovvero un orologio capolavoro della meccanica medievale, alto circa un metro e dotato di sette quadranti indicanti le ore, i giorni, i moti del Sole, della Luna e dei pianeti allora conosciuti. Non si sa nemmeno chi per primo ebbe l’intuizione di applicare ai meccanismi per regolare il tempo una molla, così da muovere gli ingranaggi in maniera costante: di certo intorno al 1410 ne impiegò una Filippo Brunelleschi. Gli orologi a molla avevano il pregio di essere più leggeri dei precedenti e quindi più facilmente trasportabili: se ne realizzarono quindi di sempre più piccoli, tanto che all’inizio del Cinquecento ne circolavano in Europa esemplari da tasca. Se fino a quel momento gli orologi meccanici avevano rappresentato un costoso «giocattolo» per le corti o le residenze aristocratiche, nella società rinascimentale dominata dal sistema mercantile divennero uno strumento fondamentale per organizzare gli affari: grazie ad essi infatti si potevano stabilire con precisione gli appuntamenti di lavoro, in base al principio che «il tempo è denaro». Nell’Inghilterra della Rivoluzione industriale apparve il concetto di orario applicato al lavoro e da quel momento gli uomini non furono più liberi di decidere come suddividere le proprie giornate, visto che il tempo quotidiano divenne il risultato di un compromesso tra i bisogni individuali e i ritmi imposti dalla società. Le istruzioni per costruire un orologio su una torre da un manoscritto francese del XIII sec. Primo disegno rappresentante un orologio meccanico sostenuto da una dea, da un manoscritto del 1360. © Loescher Editore – Torino 335 5 TECNOLOGIA Con Brunelleschi e Leonardo da Vinci nasce la meccanica Firenze sotto la dinastia dei Medici (1430-1737) divenne l’indiscussa capitale della cultura europea: qui nacquero la grande poesia con Dante, la narrativa con Boccaccio, l’erudizione con Petrarca e la grande pittura con Cimabue e Giotto. Questo clima culturale vivace favorì anche la rinascita delle arti della meccanica, grazie a Filippo Brunelleschi e Leonardo da Vinci, un architetto e un ingegnere, che anticiparono la «rivoluzione scientifica» del Cinquecento. Appassionato di cesellatura, da ragazzo Brunelleschi cominciò a lavorare come orafo; in seguito affinò la sua fantasia e le sue capacità manuali nella realizzazione di grandi orologi per le torri civiche, poi si dedicò alla progettazione e realizzazione di alcuni tra i più celebri palazzi nobiliari fiorentini. Fu una figura poliedrica: ingegnere idraulico e civile, costruttore di fortificazioni militari, scultore e incisore, ma soprattutto architetto. Con lui nacque la figura dell’architetto moderno che partecipa a tutte le fasi della costruzione di un edificio, dal progetto ai processi tecnico-operativi di messa in opera. Brunelleschi considerava fondamentale lo studio della matematica e della geometria che gli permettevano di calcolare in maniera precisa le proporzioni degli edifici: questa passione per il calcolo, unita alla conoscenza di nozioni di ottica, lo spinse a ideare la prospettiva «a punto unico di fuga» (o «geometrica lineare») che fu l’elemento caratterizzante e innovativo delle rappresentazioni artistiche del Rinascimento. Il suo capolavoro fu la costruzione della cupola di Santa Maria del Fiore (1420-1436), il duomo di Firenze, che era diventata un autentico rompicapo per gli ingegneri, visto che i committenti la volevano alta e grandiosa così che sovrastasse tutti gli altri edifici della città. Brunelleschi si ispirò al funzionamento degli orologi, progettando 24 supporti che come una griglia di meridiani e paralleli avrebbero sostenuto la cupola. Sempre rifacendosi agli ingranaggi degli orologi inventò impalcature e ponteggi aerei per gli operai e gru per tirare su il materiale, sostenuti da carrucole e da un sistema di moltiplicatori, simili a quelli usati nella fabbricazione degli orologi. Per trasportare lungo l’Arno i blocchi di marmo e i mattoni, brevettò un’imbarcazione con propulsione ad eliche mosse da aria e acqua. A Firenze nel 1470 giunse anche Leonardo Da Vinci che era stato mandato dal padre a far pratica nella bottega del pittore Andrea del Verrocchio. Dotato di un grande talento per la pittura, egli si mise in luce prima nella corte medicea di Lorenzo il Magnifico, poi in quella di Ludovico il Moro, duca di Milano, dipingendo capolavori quali La Vergine delle rocce, La dama con l’ermellino e L’ultima cena. Tornato a Firenze dipinse il ritratto della giovane moglie di Francesco del Giocondo, la Gioconda, poi si trasferì in Francia alla corte di Francesco I. Leonardo non fu solo pittore, ma anche scultore, disegnatore, architetto, ingegnere e inventore. Con incredibile anticipo sui tempi progettò macchine che vennero poi realizzate soltanto tra Otto e Novecento, come l’elicottero, che lui aveva battezzato «vite aerea», il «carro sicuro» che sarebbe diventato il carro armato, il paracadute che ideò osservando l’anatomia degli uccelli e studiando la resistenza dell’aria e la caduta dei gravi. Progettò il sistema dei navigli di Milano, disegnò il prototipo di un’automobile a molla e quello di un telaio meccanico che di recente è stato ricostruito dal Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano; ma è nell’invenzione di fortificazioni, armi e marchingegni bellici che Leonardo dimostrò la sua vasta arte. Sia lui che Brunelleschi compirono grandi sforzi per conoscere e capire: comperavano e leggevano molti libri, studiavano, facevano calcoli matematici e disegnavano progetti. Con loro gli scienziati e gli architetti cessarono di essere solo dei teorici, per diventare anche degli esperti di meccanica e di nuove tecnologie. Un disegno di Leonardo da Vinci che raffigura la fabbricazione dei cannoni. Disegni di Leonardo da Vinci per macchine belliche, 1503 Ludovico Cigoli, Prospetto della cupola di Santa Maria del Fiore, disegno della seconda metà del XVI sec.; la cupola del Brunelleschi domina ancora oggi il profilo della città di Firenze. 336 © Loescher Editore – Torino © Loescher Editore – Torino 337 6 TECNOLOGIA Un nuovo modo di fare la guerra: la polvere da sparo Anticamente l’uomo affrontava il nemico nel corpo a corpo poi volle colpirlo da lontano e inventò l’arco; in seguito, per dare maggior forza al lancio, ideò la catapulta. Per secoli i combattimenti si basarono sullo scontro ravvicinato di fanti e di cavalieri, che per difendersi dalle spade e dalle lance del nemico indossavano pesanti armature di ferro. L’«arte della guerra» venne radicalmente cambiata alla fine del Trecento con l’invenzione della polvere da sparo e successivamente dei cannoni. La polvere da sparo venne portata in Europa, e precisamente a Venezia, nel XIV secolo da un frate tedesco, appassionato di chimica. Il fatto che in alcuni trattati risalenti al Medioevo il salnitro (una delle principali componenti della polvere pirica) fosse chiamato «sale di Cina» ha suffragato la teoria che anticamente i cinesi impiegassero una miscela di salnitro e torba per confezionare fuochi d’artificio. Nel Mediterraneo i greci impiegavano una mistura di zolfo, bitume e pece che scagliata con frecce contro le triremi nemiche era impossibile da spegnere anche usando l’acqua. Probabilmente la polvere pirica vera e propria venne inventata dagli alchimisti arabi che per primi mescolarono zolfo, carbone e salnitro: l’impiego di dardi esplosivi è stato infatti documentato con precisione nelle cronache delle crociate, tra l’XI e il XII secolo. Rientrando in patria i crociati descrissero gli effetti distruttivi di questa nuova arma, che venne ulteriormente sviluppata negli ultimi decenni del Trecento dal monaco tedesco Berthold Schwartz di Friburgo. Secondo la leggenda egli per primo trovò la composizione ideale della polvere da sparo, vale a dire il 10% di zolfo, il 75% di salnitro e il 15% di carbone, dopodiché la sperimentò impiegando le cosiddette «bombarde», rudimentali cannoni di ferro e legno (in seguito di bronzo): in questo modo inventò le bombe, cioè ordigni cilindrici cavi, riempiti con polvere da sparo che veniva innescata da una miccia. Dopo aver compreso l’importanza della sua scoperta, Schwartz cercò di venderla al miglior offerente che risultò essere il Doge della Repubblica di Venezia, in quel periodo intenta a difendere il suo vasto impero marinaro dagli attacchi degli Ottomani. Avendo cercato di rivendere la ricetta della polvere da sparo anche a un principe tedesco, Schwartz fu imprigionato dai veneziani e secondo alcuni cronisti condannato a morte e fatto esplodere dopo essere stato legato a una botte riempita della polvere da lui inventata. Al di là della leggenda, l’idea di sparare prese 338 © Loescher Editore – Torino Miniatura indiana che raffigura tre donne con fuochi d’artificio, Teheran, Gulistan Imperial Library. rapidamente piede e nel corso del Quattrocento apparvero le prime armi da fuoco individuali, come l’archibugio, lo scoppietto e la pistola. Tramontò così l’epoca della «singolar tenzone», ovvero dello scontro dell’uomo contro l’uomo, cantato anche dai poemi cavallereschi, e comparvero le prime artiglierie che coinvolsero direttamente anche le popolazioni civili nelle battaglie. Le prime bombarde erano pesanti fusti lunghi dai cinque ai sette metri che lanciavano palle di ferro e di pietra di 40 centimetri circa di diametro: ognuna sparava solo una decina di colpi al giorno perché il procedimento per caricarle era assai complesso. Nell’aprile 1453 Maometto II ne schierò 200 contro le mura di Bisanzio, l’antica Costantinopoli, la cui caduta segnò la fine dell’Impero romano d’Oriente. Poco più di un secolo dopo, nel 1571, Mustafà Pascià a capo dell’esercito turco, schierò 1500 bocche da fuoco contro la fortezza di Famagosta, sull’isola di Cipro, difesa dalle truppe veneziane guidate da Marc’Antonio Bragadin, che vennero decimate dal primo vero e proprio bombardamento d’artiglieria della storia. Nel corso dei secoli successivi le bombarde vennero migliorate grazie all’invenzione dell’avancarica (cioè venivano caricate più rapidamente dalla bocca) e dotate di ruote che, spinte da buoi o da cavalli, le rendevano più manovrabili: in tal modo nel 1494 il re di Francia Carlo VIII poté invadere l’Italia portandosi dietro 140 cannoni. Gli eunuchi accendono i fuochi d’artificio su una barca, dal manoscritto della Processione dell’imperatore Jiajing, di epoca Ming. Disegni di alcune armi da fuoco usate nel XV sec.: colubrine, cannone e bombarda. © Loescher Editore – Torino 339 7 TECNOLOGIA La bussola e i velieri favoriscono i grandi viaggi per mare L’elemento naturale dell’uomo è la terra, ma già agli albori della civiltà l’uomo sentì la spinta a costruire imbarcazioni e ad avventurarsi sull’acqua. L’impiego di nuovi tipi di navi e di strumenti di navigazione nell’epoca delle grandi esplorazioni consentì di aprire nuove rotte commerciali e mise in ombra i paesi del Mediterraneo, facendo emergere nuove nazioni. Le prime barche erano semplici, un tronco scavato o una zattera di giunchi, e su di esse gli uomini non si avventuravano lontano dalle coste. I navigatori fenici osservando l’ombra del sole cominciarono a «fare il punto» per stabilire la posizione della nave, inoltre compresero l’importanza delle stelle, servendosi di quella Polare come punto di riferimento. Grazie a queste intuizioni nei secoli seguenti fu possibile inventare i primi strumenti di navigazione, come il quadrante, l’astrolabio e il sestante. Un ulteriore sviluppo si ebbe con la diffusione della bussola, che probabilmente venne importata in Europa dalla Cina da mercanti arabi. I cinesi usavano un ago magnetico che, posto dentro una cannuccia che galleggiava in un recipiente d’acqua, indicava la direzione del Nord magnetico. Intorno alla fine del XII secolo tale sistema venne perfezionato con l’impiego di un ago montato su un perno. Un secolo dopo si arrivò all’ideazione della bussola moderna: secondo la leggenda andrebbe attribuita a Flavio Gioia di Amalfi che avrebbe avuto l’intuizione di applicare all’ago magnetico la Rosa dei Venti, resa così rotante con esso, e la divisione per gradi. L’affermarsi delle Repubbliche marinare (Venezia, Pisa, Genova e Amalfi) e l’incremento dei loro commerci con il Medio Oriente e il Nord Europa favorì lo scambio reciproco di conoscenze nel campo delle costruzioni navali, che diede un apporto decisivo allo sviluppo delle tecniche di navigazione. Nel XV secolo fece la sua comparsa la cosiddetta «nave ad attrezzatura completa», che cambiò radicalmente il corso della storia. Si trattava di un vascello a tre alberi munito di un timone a poppa, già in uso nel Mediterraneo sin Francis Drake e Ferdinando Magellano (nei tondi a sinistra) in un’incisione del XVII sec. in cui è rappresentata anche una caravella. 340 © Loescher Editore – Torino Mappa di Cartagena di Baptista Boazio che illustra il viaggio di Sir Francis Drake nelle Indie occidentali, 1585-86. dal XII secolo. Le vele quadre e «latine» (inventate dai Romani) permettevano alla nave di sfruttare la forza del vento in varie direzione, rendendola così più veloce e facilmente manovrabile. Dai Vichinghi venne presa l’idea di costruire il guscio del veliero a «fasciame sovrapposto», cioè partendo da un’intelaiatura di legno alla quale venivano poi fissate le tavole del fasciame. Venne modificata pure la progettazione della prua, dove i «castelli» che servivano a proteggere gli arcieri furono sostituiti con basse e robuste paratie in grado di ospitare i cannoni. Nello stesso periodo gli studi di Gerardo Mercatore, che ideò una nuova proiezione piana della Terra sferica consentendo di migliorare le carte nautiche, permisero di tracciare nuove rotte, mentre la prospettiva di trovare oro, spezie e nuove vie commerciali costituì un forte incentivo per gli esploratori e i grandi mercanti che li finanziavano. I portoghesi Bartolomeo Diaz (1487) e Vasco de Gama (1498) doppiarono la punta meridionale dell’Africa, raggiungendo le Indie, Cristofo Colombo scoprì le Americhe (1492) credendo di aver trovato una nuova via per il Giappone, Amerigo Vespucci (1500) dimostrò che le Indie Occidentali erano appunto un nuovo continente, il portoghese Caravella con le insegne della città spagnola di Paterna, XV sec. Ferdinando Magellano (1519) riuscì a passare lo stretto che ora porta il suo nome all’estremità sud dell’America meridionale aprendo una nuova via verso l’Asia, infine il pirata inglese Sir Francis Drake nel 1577 guidò una spedizione di cinque velieri alla ricerca della «Terra Australis Incognita», l’Australia. I velieri hanno rivoluzionato il patrimonio genetico dell’umanità e di molte specie viventi, consentendo di trasportare piante, prodotti e animali originari di alcune regioni in tutto il Mondo. © Loescher Editore – Torino 341 8 TECNOLOGIA La nascita della moderna cartografia con lo scopo di migliorarne la leggibilità. A causa delle sue idee alla fine del Cinquecento venne accusato di eresia dall’Inquisizione e incarcerato per circa sette mesi, tuttavia le proteste del clero di Lovanio e del rettore dell’università ottennero la sua liberazione. Le sue carte rimasero in uso sino al Settecento, pur venendo costantemente migliorate e aggiornate dagli esploratori e dai tecnici degli eserciti, in virtù dei progressi registrati nella balistica. La cartografia antica finì definitivamente nel 1860 quando gli studiosi dell’Accademia di Francia misurarono la longitudine terrestre; nello stesso periodo i cartografi al seguito dell’esercito francese disegnarono le prime carte topografiche, complete anche della rappresentazione dei rilievi. Solo a partire dagli anni Trenta del Novecento il sistema di Mercatore venne sostituito con le foto realizzate dagli aerei, mentre dagli anni Settanta si cominciò a impiegare i satelliti. Recentemente la cartografia ha conosciuto un’ulteriore svolta grazie all’impiego di Internet, che ha combinato foto scattate dagli aerei, immagini dei satelliti e rilevazioni compiute a terra, offrendo mappe che possono essere aggiornate in tempo reale. L’uso di disegnare mappe era già diffuso nell’antichità: la prima cartina conosciuta risale al 3000 a.C. e riproduce la vallata aurifera di Hammarat in Egitto, dove si estraevano i metalli preziosi per produrre i gioielli dei faraoni. Nel corso dei secoli le cartine sono diventate sempre più precise e accurate, soprattutto dopo la svolta rappresentata dai grandi viaggi di esplorazione di fine Quattrocento. Lo sviluppo delle teorie e delle tecniche matematiche e geometriche nel Rinascimento ha contribuito all’invenzione delle proiezioni cartografiche che hanno permesso di realizzare cartine con scale e proporzioni universalmente riconosciute e accettate. Negli ultimi decenni le tecnologie informatiche hanno consentito di trasferire quelle regole in piccoli computer che ci indicano quotidianamente le rotte da percorrere. I marinai fenici disegnarono le prime mappe delle coste del Mediterraneo, mentre fu il greco Anassimandro nel VI secolo a rappresentare l’intero globo come un disco circondato dalle acque. Intorno al 120 d.C. Marino di Tiro, un fenicio, elaborò la longitudine e la latitudine divise per gradi. Il Medioevo fu contraddistinto da una grande ignoranza circa la geografia e di conseguenza le cartine, che venivano ricopiate dai monaci amanuensi nei conventi, videro accentuarsi le indicazioni fantasiose che rappresentavano terre e animali immaginari. Nel periodo della Carta geografica di Mercatore, da un’edizione del 1633. Europa e Asia in una carta del 1520: la raffigurazione dell’Asia è molto imprecisa. 342 © Loescher Editore – Torino Incisione del XVII secolo che raffigura Gerardo Mercatore e Jodocus Hondius (Joost de Hondt), i due grandi protagonisti della rivoluzione cartografica. cosiddetta «Rivoluzione scientifica» di Galileo Galilei fondamentale risultò il contributo di Gerardo Mercatore, ossia Gerard de Cremer, matematico e astronomo fiammingo ritenuto l’iniziatore della moderna cartografia. Dopo aver studiato all’Università di Lovanio egli andò come apprendista nella bottega di un cesellatore, dove si specializzò nella tecnica dell’incisione del rame realizzando in tal modo varie mappe. Nel 1569 provò a immaginare il globo come se si trattasse di un cilindro srotolato su una superficie piatta: da questa intuizione nacque il sistema che prese il suo nome, «la proiezione di Mercatore», che risolveva uno dei più fastidiosi problemi per i navigatori sin dai tempi dei Fenici, quello cioè di riuscire a tracciare una linea retta su una superficie curva. Mercatore pubblicò una mappa della Terra Santa, una piccola mappa dell’intero globo terrestre e infine un grande planisfero composto di 18 fogli, impiegando il carattere corsivo detto “italico”, quello usato anche da Gutenberg, per scrivere le indicazioni sulle mappe, Una rappresentazione cartografica del porto di Trani (BA): confronto tra fotografia aerea e particolare cartografico. © Loescher Editore – Torino 343 9 TECNOLOGIA Gutenberg e l’invenzione della stampa merose innovazioni destinate a segnare la storia della tipografia sino ai nostri giorni. All’inizio del Cinquecento egli sistemò in maniera definitiva la punteggiatura, regolando l’uso di punto, virgola e apostrofo e inventando il punto e virgola. Inoltre ispirandosi allo stile romano antico ideò un nuovo elegante carattere, detto corsivo (o italico), che ancora oggi viene impiegato da tutti i principali sistemi per scrittura su computer. Intorno al 1510 Manunzio ebbe anche il merito di pubblicare il primo catalogo di libri, che per ogni volume offriva una breve descrizione dei contenuti e una recensione critica. Il boom del mercato editoriale, che a metà del XVI secolo vide la nascita della prima fiera internazionale a Francoforte, favorì l’affermazione delle «lingue volgari» dopo secoli di predominio del latino. Secondo il filosofo inglese Francis Bacon (1561-1626) l’invenzione della stampa, insieme a quelle della polvere da sparo e della bussola, segnarono «l’inizio di una nuova epoca e cambiarono la faccia del mondo». L’invenzione della stampa fornì all’umanità il primo veicolo di comunicazione di massa capace di raccogliere e divulgare un gran numero di informazioni a un vasto pubblico. Quando, intorno al 1450, Johann Gutenberg a Magonza ideò i caratteri mobili, la stampa divenne la forza più potente per la diffusione delle idee: le idee artistiche del Rinascimento italiano, le idee umanistiche della Rivoluzione scientifica, le idee dei riformatori religiosi come Martin Lutero. In Cina e in Giappone la stampa era praticata fin dall’VII secolo, ma con la tecnica della xilografia, cioè una tavoletta di legno incisa in rilievo veniva utilizzata per stampare una pagina di un testo. In Occidente invece la diffusione delle notizie era ancora affidata alla voce umana e all’abilità degli amanuensi nel ricopiare più volte le stesse opere manoscritte. Ogni singolo libro doveva essere scritto a mano e ci volevano mesi per completarne una copia che spesso risultava piena di errori commessi nel lavoro di trascrizione. Ispirandosi ai torchi usati per La bottega di un tipografo in una miniatura francese dei primi del Cinquecento. Uno stampatore al lavoro con il torchio tipografico, in una ricostruzione fantastica del XX. 344 © Loescher Editore – Torino pigiare l’uva, Gutenberg ideò un torchio tipografico che utilizzava caratteri mobili: invece di incidere nel legno l’intera pagina, si preparavano in metallo le singole lettere che poi, composte insieme, formavano le parole. Una volta stampata una pagina, i caratteri erano pronti per essere usati di nuovo. Con questo sistema stampare un libro diventava più semplice e più rapido, permettendo di abbassare il prezzo del volume. Nel giro di pochi decenni l’invenzione di Gutenberg si diffuse in tutta Europa grazie all’emigrazione di decine di stampatori tedeschi che aprirono laboratori (le future tipografie) in vari paesi: nel 1500 ne esistevano 80 solo in Italia. I primi «best-sellers» furono la Bibbia e i testi classici della letteratura latina, che venivano stampati con cura e spesso abbelliti realizzando a mano le lettere maiuscole e le incisioni colorate che ornavano i bordi delle pagine. Opere Una pagina de Il sogno di Polifilo di Francesco Colonna, stampato a Venezia nel 1499 da Aldo Manuzio. di letteratura rimaste per secoli chiuse nelle inaccessibili biblioteche dei monasteri vennero rese disponibili e in pochi decenni il costo dei libri crollò: inizialmente erano gli stessi stampatori a venderli, ma ben presto altre persone si occuparono di farlo per loro. Nelle grandi città nacque la figura del libraio, mentre nei centri più piccoli la vendita era affidata a venditori ambulanti che giravano per fiere e mercati. In due anni Gutenberg riuscì a stampare 180 copie della Bibbia ma non fu in grado di restituire le somme, con gli interessi, che l’orafo Fust gli aveva prestato per impiantare il suo laboratorio: soffocato dai debiti e nel frattempo divenuto quasi cieco, l’inventore della stampa trascorse la sua vecchiaia in povertà, tirando avanti grazie al sussidio di grano e vino che gli concesse un nobile, appassionato di lettura. Nello sviluppo del mercato librario importante fu il contributo di un italiano, il veneziano Aldo Manuzio, il quale introdusse nu- Una pagina della Bibbia latina di Gutenberg: l’incipit del Libro della Genesi. © Loescher Editore – Torino 345 10 ALIMENTAZIONE E MODA Firenze influenza la moda europea A partire dal Trecento sotto la dinastia dei Medici Firenze divenne la culla della civiltà moderna grazie ai suoi intellettuali e agli artisti che la abbellirono, come Brunelleschi, Donatello e Giotto. La chiamavano la «nuova Atene» e sotto il governo di Lorenzo detto il Magnifico divenne un punto di riferimento anche per la moda europea. Per tutto il Medioevo gli uomini avevano badato poco alla moda preferendo abiti comodi per scaldarsi e per combattere; nelle corti signorili erano sopravvissuti a lungo i gusti romano e bizantino di indossare lunghe tuniche ricamate. I barbari che invasero la penisola italica diffusero abiti bicolori e pellicce, mentre uno sviluppo significativo lo conobbero gli indumenti per coloro che combattevano: dal Duecento in avanti infatti si cominciò a fabbricare lunghe maglie di ferro sopra le quali i cavalieri indossavano pesanti corazze fatte interamente di metallo, prima di ferro, poi di acciaio. Lorenzo il Magnifico fu il primo signore del tempo a riscoprire il gusto per i divertimenti, già ben presente nella cultura greca e romana, e a lanciare quello stile di vita che oggi chiameremmo «mondanità». Egli amava i grandi festeggiamenti di massa tanto da assoldare i più grandi artisti del tempo per contribuire all’organizzazione di fastose celebrazioni di Carnevale aperte a tutti i cittadini fiorentini. In tali occasioni nacquero le prime «tendenze» della moda femminile che venivano poi prodotte in serie dall’industria tessile e vendute non solo in Italia: non esistendo ancora le riviste di moda, i mercanti si portavano dietro bambole abbigliate con i «figurini», cioè i prototipi degli ultimi modelli. Nel capoluogo toscano nacque l’uso di camicie arricchite di merletti, con maniche lunghe e profonde Tiziano, Ritratto di Isabella d’Este, 1534, Vienna, Kunsthistorisches Museum. Una delle prime stiliste di fama internazionale fu Isabella d’Este, figlia del duca di Ferrara e moglie di Francesco Gonzaga, marchese di Mantova. Nel periodo a cavallo tra Quattro e Cinquecento fu lei a chiamare alla corte mantovana personaggi del calibro di Andrea Mantegna, Raffaello Sanzio e Tiziano, che la ritrasse in due dei suoi dipinti. Al Louvre di Parigi è conservato un ritratto di Isabella fatto da Leonardo da Vinci che pare amasse aiutare la marchesa nella progettazione di vestiti e accessori. I modelli da lei disegnati erano abiti di damasco e seta con colori vivacissimi, dotati di giustacuori o busti che dovevano abbellire e mettere in risalto le forme della dama. In quel periodo le gonne si allargarono e vennero dotate di bordi di ricami o di pelliccia, favoriti dalla convinzione che la ricchezza andasse ostentata con lo sfarzo nell’abbigliamento. Anche gli uomini cominciarono ad interessarsi di stile, indossando giubbe e pantaloni di velluto che terminavano sul collo con colletti di pizzo pieghettati e inamidati. Nel Seicento alcuni stampatori iniziarono a far circolare libretti con le immagini delle dame più eleganti del momento, aprendo così la via ad una moda sempre più di massa, insieme con piccoli prontuari di buone maniere che consigliavano di non pulirsi i denti nel tovagliolo, alla maniera dei rudi cavalieri, ma di usare forchetta e coltello al posto delle dita e di lavarsi le mani prima dei pasti. Bronzino, Ritratto di un giovane uomo, 1530 circa, New York, Metropolitan Museum of Art. Un gruppo di ragazze intente a diversi lavori di sartoria (taglio e cucito, ricamo, tessitura) in un vivace affresco di Francesco del Cossa, 1468-70, Salone dei Mesi, Ferrara, Palazzo Schifanoia. 346 © Loescher Editore – Torino scollature, mentre un accessorio di gran lusso erano i guanti di seta o di pelle finissima. Le dame si arricciavano i capelli con allume, zolfo e miele, adornandoli con fili di perle e pettini d’avorio e al collo indossavano collane ispirate alle opere di Benvenuto Cellini, il celebre orefice fiorentino dalla vita tumultuosa fatta di amori, risse e battaglie. Bronzino, Ritratto di Eleonora di Toledo col figlio, 1545 circa, Firenze, Galleria degli Uffizi. © Loescher Editore – Torino 347 11 SOCIETÀ E CULTURA La nascita e l’affermazione delle università Le università sono senza dubbio una delle più significative creazioni che il Medioevo ci ha trasmesso. Nate nel periodo compreso tra il XII e il XIV secolo, con il sorgere delle città e con la divisione del lavoro, esse favorirono l’affermarsi di un personaggio della vita culturale e sociale assolutamente nuovo: il chierico, ovvero «il lavoratore del pensiero, che fa il mestiere di pensare e di trasmettere il proprio pensiero mediante l’insegnamento» (Jacques Le Goff). Il carattere decisivo nel modello dell’intellettuale medievale è stato il suo legame con le città: infatti l’evoluzione della cultura europea si collocò nella scia della cosiddetta «rivoluzione urbana» dei secoli dal X al XIII. Fondamentale fu la differenziazione tra le scuole monastiche, ospitate nei monasteri e riservate ai futuri monaci, e le scuole urbane, istituite nelle grandi città e aperte a tutti. Le università modificarono in maniera radicale il sistema di reclutamento delle classi dirigenti europee: frequentate soprattutto da giovani nobili o «borghesi», cioè provenienti dalle famiglie dei grandi mercanti e dei primi imprenditori del settore tessile, esse consentirono per la prima volta Una lezione all’università di Bologna in una miniatura del XIV sec. riferimento era la «schola palatina» di Aquisgrana voluta nel IX secolo da Carlo Magno per formare i futuri burocrati dell’amministrazione imperiale. La prima università in senso moderno nacque a Bologna nel XII secolo su iniziativa di un gruppo di giuristi che erano stati nominati consulenti di diritto dall’imperatore Federico Barbarossa, impegnato in una lunga contesa contro lo Stato della Chiesa circa il controllo di vasti territori della penisola italiana. Nel 1230 le autorità comunali bolognesi riconobbero agli studenti che provenivano da fuori città tutti i privilegi e i diritti dei cittadini residenti, segno che la popolazione studentesca era grandemente aumentata. Più o meno nello stesso periodo altri atenei sorsero a Parigi, qui come prima sede vennero utilizzate le dimore dei canonici che sorgevano intorno alla cattedrale di Nôtre-Dame; e in Inghilterra dove tra il 1208 e il 1214 il re e il Papa ratificarono ufficialmente gli statuti delle scuole di Oxford e Cambridge. A livello amministrativo docenti e studenti ben presto diedero vita a delle vere e proprie corporazioni, in modo tale da essere riconosciuti dai Comuni. Dal punto di vista didattico inizialmente esistevano quattro facoltà: «artes» (le arti liberali), teologia, diritto canonico e civile, e medicina. A capo della struttura veniva eletto un rettore che non solo amministrava le finanze universitarie ma che era dotato di giurisdizione civile, cioè sorvegliava la vita privata di docenti e studenti. Allora come oggi le lezioni si tenevano principalmente di mattina e gli insegnanti leggevano e commentavano dei testi; in mancanza di spazi precisi all’interno dei centri cittadini, gli esami e le cerimonie di laurea si tenevano in chiese o conventi. Di differente vi erano le «dispute», ovvero lezioni dedicate a un tema specifico («quaestio», da cui «questione») e aperte a tutti, durante le quali anche i membri del pubblico potevano intervenire: ne nascevano veri e propri dibattiti, spesso accesi e appassionati, che potevano durare per giorni. Le università garantirono la formazione a un gran numero di notai, giudici e avvocati che, insieme ai mercanti, furono i protagonisti principali dello sviluppo urbano nell’Occidente tra Medioevo ed Età moderna. Una lezione di diritto all’Università di Bologna, miniatura del XV sec., Bologna, Museo Civico. Miniatura medievale con le sette arti liberali, raffigurate come giovani donne. 348 © Loescher Editore – Torino un’ascesa sociale anche ai figli di contadini che terminati gli studi potevano accedere alla carriera burocratica nelle amministrazioni laiche o in quella ecclesiastica. All’inizio del XII secolo le uniche scuole laiche si trovavano in Italia: a Roma, Ravenna e Pavia, dove s’insegnavano le arti «liberali» (grammatica, retorica, dialettica, aritmetica, geometria, astronomia e musica) insieme a elementi di diritto e di notariato, e a Salerno dove nell’XI secolo era stata aperta una scuola di medicina che mescolava la cultura bizantina e latina con quella araba. Il modello di Studenti che bevono in compagnia, miniatura da un’edizione dei Carmina Burana, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale. © Loescher Editore – Torino 349 ECONOMIA 12 La globalizzazione ai tempi di Marco Polo Testimone e al contempo narratore di quest’epoca particolare fu un giovane veneziano di 17 anni, Marco Polo, che affrontò itinerari sconosciuti e scoprì paesi nuovi. Nel 1271 Marco lasciò la sua città natale in compagnia del padre Niccolò e dello zio Matteo, ricchi mercanti di pietre preziose che da anni viaggiavano tra il Medio Oriente e l’Asia: al comando di una carovana i tre fecero tappa a Gerusalemme, dove videro i massacri perpetrati dai crociati e dai predoni arabi, poi attraversarono l’Anatolia e l’Armenia, giungendo a Baghdad. In questa prima parte del loro itinerario videro sorgenti che gettavano olio nero, il petrolio, salamandre che avvolte in strani tessuti resistevano al fuoco, si trattava dell’amianto, e sassi che ardevano come legna, il carbon fossile. Il termine «globalizzazione» in anni recenti ha conosciuto una fortuna improvvisa, venendo assunto da numerosi economisti, storici e sociologi come categoria principale delle loro analisi. Spesso i mezzi di comunicazione parlano di tale fenomeno come se si trattasse della connotazione più adatta per definire l’epoca che stiamo vivendo: pregi e difetti della società attuale sembra infatti che derivino dalla globalizzazione. In realtà una prima integrazione tra civiltà molto distanti si ebbe già intorno al XIII secolo e Marco Polo ne fu testimone. Tra il X e il XIII secolo si verificarono nel mondo arabo e in Oriente grandi spostamenti di popolazione e contemporaneamente da Occidente partirono spedizioni di mercanti desiderosi di aprire nuove via commerciali: l’incontro di queste civiltà così distanti costituì un primo assaggio del fenomeno della globalizzazione. Mentre l’aristocrazia militare musulmana conquistava un ampio territorio che andava dall’Andalusia, in Spagna, sino a Samarcanda nell’odierno Uzbekistan, nelle steppe a nord della Cina si formò in breve tempo il potere nomade dei cavalieri mongoli le cui tribù, unificate da Gengis Khan, si spinsero a est sino in Corea e a ovest sino a Damasco e a Vienna, creando un nuovo grande impero. Nello stesso periodo la spinta all’espansionismo delle repubbliche marinare italiane, che non si accontentavano più di spartirsi il controllo del bacino del Mediterraneo, aprì spazi di migrazione e di circolazione di merci, uomini e idee che forse mai si era verificato in precedenza. Una processione di dignitari mongoli della Persia in una miniatura del XV sec. Miniatura del XV sec. da un manoscritto del Milione di Marco Polo che raffigura le creature mostruose del paese dei Mekrit (l’odierna Siberia). Poi proseguirono fino a Sumatra dove Marco vide il leggendario unicorno, probabilmente un rinoceronte, affrontarono il deserto indiano, poi quello del Gobi; infine superarono le montagne del Tibet e dopo tre anni e mezzo giunsero nella residenza del Khan a Cambaluc, l’odierna Pechino. Marco imparò il cinese e si conquistò le grazie dell’imperatore che lo nominò suo ambasciatore, inviandolo in missioni in Cina, India, Corea e nelle isole del Cipango, l’odierno Giappone. Dopo 17 anni di viaggi avventurosi egli ritornò a Venezia, ma nel 1298 a seguito di uno scontro navale tra veneziani e genovesi presso l’isola di Curzola, venne fatto prigioniero: rimase in prigione un anno, durante il quale raccontò 350 © Loescher Editore – Torino La partenza di Marco Polo da Venezia, miniatura del XV sec. le sue avventure allo scrittore pisano Rustichello che le trascrisse e le pubblicò in un libro intitolato Il Milione. Tradotto in latino e in francese tale volume venne arricchito di immagini fantasiose e di parti inventate da vari redattori e divenne uno dei best-seller del tempo. Il pregio principale del racconto di Marco Polo fu che contribuì ad aprire gli occhi degli europei, stimolando in loro la curiosità nei confronti dell’Oriente: per secoli divenne un punto di riferimento per gli esploratori che volevano aprire nuove rotte commerciali verso il Giappone, come Cristoforo Colombo. Il Milione contribuì quindi a cambiare radicalmente la mentalità degli europei, spingendoli a diventare più «globali». © Loescher Editore – Torino 351 ECONOMIA 13 Le corporazioni: le prime associazioni professionali La forza dei Comuni italiani nei «secoli d’oro» tra il Basso Medioevo e il Rinascimento poggiò sulle corporazioni mercantili, che furono non soltanto le organizzazioni di categoria di quei tempi, ma il pilastro del sistema politico e sociale. Le corporazioni favorirono l’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani, attraverso la tutela dell’apprendistato, e anche la mobilità del «sapere» attirando nelle città della penisola tecnici specializzati provenienti da tutta Europa. Miniatura del XV sec. di Sano di Pietro che illustra lo Statuto della Mercanzia di Siena, Siena, Archivio di Stato. Denys van Alslool, Processione dei maestri delle corporazioni attraverso Bruxelles, Madrid, Museo del Prado. Le corporazioni erano associazioni che riunivano tutti coloro i quali esercitavano una determinata attività economica produttiva o una professione: sorsero tra l’XI e il XII secolo nelle città Stato della Germania e dei Paesi Bassi, poi si estesero in Francia e nel Centro-nord d’Italia, dove presero anche il nome di «Arti». «Corpi» o «collegi» di persone che esercitavano lo stesso mestiere erano esistiti nell’antica Roma e nel mondo germanico, dove erano chiamate «gilde», ma non avevano avuto voce né influenze nella vita politica: al contrario nel Basso Medioevo le corporazioni divennero un influente interlocutore di mercato in grado di negoziare con i potenti mercanti e con le autorità locali, di offrire ai loro membri protezione legale, supporto finanziario e credito a basso costo. Nel XII secolo a Firenze vi fu un’evoluzione di tali organismi visto che quelle dei banchieri, degli speziali (i medici e farmacisti del tempo) e dei mercanti del settore tessile si rafforzarono così tanto da riuscire a ottenere il controllo di diversi aspetti della vita cittadina, quali la costruzione di opere pubbliche, 352 © Loescher Editore – Torino il vettovagliamento delle derrate alimentari e la vigilanza urbana. Diventarono insomma degli Stati nello Stato, capaci di influenzare anche la politica estera imponendo tasse sui prodotti forestieri o addirittura vietandone l’importazione. Ogni «Arte» era guidata da un consiglio dei soci che sceglieva un console, possedeva un patrimonio, una sede con archivi, uffici e un personale composto da cancellieri e tesorieri e aveva anche un proprio tribunale che giudicava in «prima istanza» visto che per gli appelli si faceva ricorso alla magistratura ordinaria. Ogni corporazioni fissava salari, prezzi delle merci e orari di lavoro, seguendo un codice morale assai rigoroso che non si limitava a dettare le norme di condotta ma stabiliva persino come i suoi aderenti dovevano vestirsi; aveva il suo santo patrono a cui quasi sempre erano dedicata una chiesa e riservata una celebrazione. Molta attenzione veniva riposta, attraverso l’emanazione di severi codici di regolamento, alla lotta contro le contraffazioni, tema quanto mai ancora oggi attuale: già allora le «Arti» contrassegnavano i loro prodotti con un marchio di garanzia e comminavano severe ammende ai falsificatori. Gran parte del patrimonio delle «Arti» serviva a finanziare l’apprendistato dei giovani come garzoni che in media durava circa dieci anni; inoltre i soldi delle iscrizioni servivano a creare un fondo comune per le cure sanitarie dei soci e per il sostentamento delle famiglie in caso di decesso. Le corporazioni più ricche riuscivano ad attrarre nella loro città tecnici specializzati provenienti dal Nord Europa, che portavano le loro esperienze e conoscenze. Inoltre per accrescere il propri prestigio finanziavano spettacoli teatrali e sovvenzionavano ospedali e ospizi per i vecchi. Solo coloro che appartenevano a un’«arte» potevano avere accesso e parte attiva alla vita politica cittadina, assumendo cariche di governo: con il tempo anche gli artigiani minori, come macellai, falegnami, sellai, crearono le loro organizzazioni che entrarono spesso in conflitto con le «arti» cosiddette «maggiori», provocando violente proteste e scontri che sconvolsero la vita cittadina e spinsero molti Comuni ad affidare la propria amministrazione a podestà forestieri, estranei alla lotta tra fazioni. Dipinto di Petrus Christus che rappresenta la Corporazione degli orafi e degli argentieri di Bruges, XV sec. © Loescher Editore – Torino 353 ECONOMIA 14 La Firenze di Dante, centro della finanza europea Tra Basso Medioevo ed Età moderna Firenze conobbe a livello economico-finanziario un’importanza pari a quella di Londra nel periodo delle rivoluzioni industriali o di Wall Street, la Borsa di New York, nel Novecento. Tra il Trecento e il Cinquecento il «miracolo economico» di Firenze non ebbe equivalenti in tutta Europa: tutto ciò fu reso possibile dal primato raggiunto dall’industria tessile fiorentina che era riuscita a sgominare qualsiasi concorrenza. In realtà il capoluogo toscano non possedeva materie prime ed era al centro di un contado povero; inoltre non aveva un fiume navigabile, essendo l’Arno in secca per buona parte dell’anno e la sua vita politica, come ha testimoniato Dante, era movimentata dalle lotte tra fazioni. Eppure conobbe un grande sviluppo grazie soprattutto alle famiglie arricchitesi coi commerci che aprirono banche per salvaguardare e reinvestire i capitali guadagnati: i Pitti, gli Strozzi, i Bardi, tanto per citarne alcune, incaricarono anche i migliori architetti e artisti del tempo affinché costruissero e decorassero fastosi Recto di un fiorino d’oro, Firenze, Museo del Bargello. palazzi nel centro cittadino. Già nel XIV secolo questa piccola città da sola aveva un reddito superiore a quello dell’intera Inghilterra e proprio ai banchieri fiorentini si rivolse re Edoardo per richiedere finanziamenti necessari ad armare un esercito con cui attaccare la nemica Francia. Intorno al 1340, durante la Guerra dei Cent’Anni, il monarca inglese si dichiarò insolvente: ne derivò una crisi finanziaria che colpì alcuni istituti bancari legati alle famiglie dei Bardi e dei Peruzzi e coinvolse centinaia di piccoli investitori. Eppure nonostante questo duro colpo il sistema finanziario fiorentino non crollò, visto che si era tutelato inventando alcune polizze, come i chéques, le lettere di credito e i buoni del tesoro, e adottando una doppia contabilità, cioè basata su un registro a due colonne dove venivano annotate le entrate e le uscite: per questo si può affermare che i banchieri fiorentini furono gli inventori delle società per azioni. Per una completa ripresa si dovette attendere i primi decenni del Quattrocento quando sotto la signoria di Cosimo de’ Medici, detto «il vecchio», Firenze tornò a rappresentare un punto di riferimento per il commercio internazionale, grazie soprattutto all’esportazione di prodotti manifatturieri e di oreficeria: molti ricchi mercanti tornarono così a investire nell’attività di cambio e prestito di denaro, aprendo nuovi istituti di credito. Lo stesso Cosimo era proprietario della Banca di Calamala che aveva filiali nelle principali città europee: fare affari con le banche fiorentine rappresentava in quei tempi il miglior investimento possibile Pontormo, Ritratto di Cosimo il Vecchio, 1518 circa, Firenze, Galleria degli Uffizi. Giorgio Vasari, L’assedio di Firenze, 1555 circa, Firenze, Palazzo Vecchio. e la moneta locale, il fiorino, divenne la più forte e la più scambiata d’Europa, una sorta di dollaro dell’epoca. Come banchiere Cosimo non sbagliava un affare, visto che quando il vescovo di Bologna Tommaso Parentuccelli venne eletto Papa nel 1447, con il nome di Nicolò V, egli gli concesse un prestito vantaggioso e in seguito ottenne l’appalto delle finanze del Vaticano. I banchieri fiorentini non si limitarono ad accumulare denari e profitti, ma li reinvestirono in grandi opere che abbellirono la città. Lo stesso Cosimo spese 400.000 fiorini, pari 354 © Loescher Editore – Torino Mercanti pagano il dazio all’ingresso in città, miniatura, XV sec. a svariati milioni di euro attuali, per ingaggiare architetti come il Brunelleschi, scultori come Donatello, pittori come Botticelli e letterati come Pico della Mirandola e Marsilio Ficino. Quando Niccolò de Piccoli, il più grande bibliofilo del tempo, si rovinò per acquistare antichi manoscritti greci, Cosimo gli fece credito dopodiché acquistò la sua ricca biblioteca per regalarla ai fiorentini. Grazie al contributo degli esponenti del mondo finanziario, Firenze divenne la protagonista della rinascita culturale non solo italiana ma europea. © Loescher Editore – Torino 355 MEDICINA 15 Epidemie e ospedali nel Basso Medioevo Il Trecento viene ricordato soprattutto per la Divina Commedia di Dante. In realtà l’Inferno reale non fu quello cantato dal poeta fiorentino, ma quello provocato a partire dalla metà del secolo da una forte epidemia di peste che ridusse di un terzo la popolazione europea. La cosiddetta «morte nera», come venne ribattezzata la malattia, provocò la decadenza della città di Firenze, sino a quel momento punto di riferimento di tutte le mode sociali e culturali, qual è descritta nelle pagine del Decamerone di Boccaccio, e delle principali città italiane. La morte di un giovane, ucciso dal contagio della peste nera, miniatura del XV sec. di topi: tutti i membri dell’equipaggio erano morti o moribondi, dopo essere stati infettati dalle pulci che avevano fatto della pelliccia dei roditori il loro habitat ideale. L’uomo medievale si lavava poco ed era solito indossare gli stessi indumenti per molti giorni prima di lavarli: grazie alle scarse condizioni igieniche personali e delle città, solcate di canali di scolo a cielo aperto e abitate da miriade di animali, la peste dilagò in maniera incontenibile in Francia, poi in Inghilterra e in Germania, viaggiando lungo le vie commerciali in quel tempo rappresentate dai fiumi. Il bacillo della peste venne isolato soltan- to nel 1894 durante un contagio scoppiato a Hong Kong, ma nel Basso Medioevo la medicina era pressoché incapace di arrestare la malattia, in quanto ancora basata su credenze magiche. Si pensava che il veleno di vipera fosse un’efficace panacea e come tale lo si dava da bere, mescolato ad altre sostanze, ai malati; questi ultimi poi venivano spalmati di un unguento a base di zafferano nella speranza che potesse ridare colore alla loro pallida pelle. Non riuscendo a trovare rimedi e spiegazioni scientifiche alle morti, le autorità civili e religiose avvaloravano le paure e le isterie collettive, dando la causa del contagio agli arabi o agli ebrei che nel corso dei secoli hanno rappresentato per i cristiani «utili» capri espiatori per ogni calamità. Eppure lo choc rappresentato dalla «morte nera» favorì la nascita di un primo embrione di sistema sanitario, grazie alla costruzione di ospedali da parte degli ordini cavallereschi reduci dalle crociate. Nel 1308 l’ordine religioso-militare dei Cavalieri di San Giovanni, detti appunto Ospitalieri, aprì a Rodi, poi a Malta i suoi ospedali; stessa cosa fecero i Cavalieri Teutonici e i Templari in varie città europee. Generalmente si trattava di strutture a due piani, il primo destinato ai magazzini e alle dispense, il secondo ad accogliere le corsie con i letti. A Venezia venne aperto il primo «lazzaretto», ovvero un edificio chiuso dove tenere isolati «in quarantena» (cioè per un periodo di 40 giorni) gli appestati; sempre nella città lagunare venne creato un Ufficio di Sanità che si occupava di censire i malati, di organizzare i pochi medici a disposizione, ma pure di migliorare le condizioni igieniche della città, gestendo la raccolta della nettezza urbana. Una stampa del XVII sec. che raffigura un’esecuzione al tempo della peste. Il Boccaccio nelle prime pagine della sua opera descrisse i sintomi della peste che si presentava con diffusi rigonfiamenti, detti «bubboni», accompagnati da alte febbri capaci di provocare la morte nel giro di due o tre giorni. Sempre Boccaccio ci informa che i morti venivano buttati, anzi «stivati», in fosse comuni allo stesso modo in cui si mettevano le mercanzie nelle stive delle navi, cioè uno sull’altro sino a ricoprire lo spazio per intero. L’Italia, che a metà del Trecento contava 11 milioni di abitanti, 356 © Loescher Editore – Torino più o meno un quinto della popolazione attuale, nel giro di pochi anni scese a sei: alcuni storici hanno paragonato la pestilenza a un bombardamento effettuato con una «grandinata di bombe atomiche». Morirono per primi gli abitanti delle repubbliche marinare, dove la peste giunse dal mare, portata dai sorci annidati tra le merci delle navi mercantili. Le cronache informano che nel 1347 a Messina giunsero dodici vascelli fantasma con le stive cariche di grano proveniente dall’Ucraina infestato La sepoltura delle vittime della peste del 1349 a Tournai, in Belgio, da una miniatura dell’epoca. © Loescher Editore – Torino 357