la scuo ) t P ( e m r e T i n i t a c e t n Mo 15/17 aprile 2010 scuole medie Atelier: Rivista quadrimestrale della FENIARCO Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali I LUOGHI DEL CORO Spedizione in A.P. - art. 2 comma 20/c - legge 662/96 - dci Pordenone - in caso di mancato recapito inviare al CPO di Pordenone per la restituzione al mittente previo pagamento resi l a v i t fes di primaverao d n a t n a c a r t n o c la si in n. 30 - settembre-dicembre 2009 n. 30 - settembre-dicembre 2009 Associazione Cori della Toscana iscrizioni entro il 31 gennaio Musica rinascimentale con Mario Giorgi Giro giro canto con Mario Mora Canti etnici con Flora Anna Spreafico Vocal pop con Denis Monte IL PROBLEMA DELL’ACUSTICA FABIO VACCHI IL CORO SINFONICO COMPORRE IN PERFETTA LIBERTÀ LA MUSICA DI DALLA VECCHIA SANTE FORNASIER ALLA GUIDA DELLA CORALITÀ EUROPEA 22/25 aprile 2010 scuole superiori Atelier: Con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali Regione Toscana Provincia di Pistoia Comune di Montecatini Terme Feniarco Musica medioevale con Stefano Albarello Musica rinascimentale con Lorenzo Donati Musica romantica con Franca Floris World music con Silvana Noschese Vocal pop con Rogier Ijmker (Paesi Bassi) la gioia del suono la scuola veneziana dal cinquecento a oggi + notizie> + approfondimenti> Editoriale Anno X n. 30 - settembre-dicembre 2009 Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co. Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Presidente: Sante Fornasier Direttore responsabile: Sandro Bergamo Comitato di redazione: Efisio Blanc, Walter Marzilli, Giorgio Morandi, Puccio Pucci, Mauro Zuccante Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina Hanno collaborato: Giovanni La Porta, Dario De Cicco, Luca Ricci, Andrea Basevi, Luca Marcossi, Alessandro Kirschner, Piero Caraba, Domenico Innominato, Gianni Vecchiati, Alessandro Vatri, Paola De Maio, Annarita Rigo Redazione: via Altan 39, 33078 San Vito al Tagliamento Pn tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 [email protected] In copertina: cupola della basilica di San Marco in Venezia (foto DreamsTime) Progetto grafico e impaginazione: Interattiva, Spilimbergo Pn Stampa: Areagrafica, Meduno Pn Associato all’Uspi Unione Stampa Periodica Italiana ISSN 2035-4851 Spedizione in A.P. - art. 2 comma 20/c legge 662/96 dci Pordenone Autorizzazione Tribunale di Pordenone del 25.01.2000 n° 460 Reg. periodici Abbonamento annuale: 25 € 5 abbonamenti: 100 € c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn Tempo di bilanci preventivi, più che consuntivi: e non tanto perché il numero 30 di Choraliter giungerà ai lettori dopo Capodanno, quanto perché gli eventi maturati nel corso del 2009 delineano gli impegni dei prossimi anni. Anzitutto l’assegnazione a Feniarco del prossimo festival Europa Cantat: la decisione del Board di EC è un riconoscimento alla nostra federazione nazionale e a quanto essa ha prodotto in questi anni; il naturale compiacimento per il raggiungimento di questo obbiettivo, peraltro fortemente voluto, lascia subito il posto alla consapevolezza della responsabilità che attende la struttura di Feniarco, le associazioni regionali e tutta la coralità italiana. L’appuntamento torinese dovrà essere all’altezza delle aspettative, che sono molte, nostre e di tutta la coralità europea. Dovremo dar prova non solo di efficienza organizzativa, ma anche di qualità artistica; dovremo essere presenti in massa non solo con struttura operativa, ma con i nostri cori: cento cori italiani a Torino, per dimostrare che il coro non è più un elemento marginale della cultura italiana e che la coralità italiana non è più periferica in Europa. L’elezione di Sante Fornasier a presidente di Europa Cantat è l’evento che certifica questa realtà. La presidenza italiana giunge in un momento importante, che vede la fusione delle due principali associazioni corali europee. È un movimento forte, in crescita, quello che Sante Fornasier va a guidare ed è significativo che venga affidato proprio a un italiano. Hanno portato a questo esito le personali capacità organizzative e la visione ampia dei problemi che tutti conoscono nel nuovo presidente, ma soprattutto l’evoluzione che questa visione ha impresso alla coralità italiana e che le altre associazioni europee hanno potuto apprezzare. Il nostro mondo ha sempre più bisogno di forti movimenti culturali: in momenti di crisi, che non sono solo economici, ma vanno molto più in profondità e investono un modo di essere e perfino di pensare, il rinnovamento culturale è altrettanto importante e temporalmente preordinato alla riconversione economica. Nuova cultura genera nuove idee e queste forniscono nuovi strumenti alla risoluzione dei problemi. In un’Italia scarsamente innovativa e incapace, su tante, troppe questioni, di trovare un denominatore comune, la nostra Federazione è un raro esempio di innovazione e di crescita del senso di appartenenza. Portiamo questo in Europa, la coralità europea, in un continente che stenta a trovare unità politica, riuscirà a diventare almeno elemento di unificazione culturale. + curiosità> + rubriche> > + + musica> servizi sui principali> principali> avvenimenti corali LA RIVISTA DEL CORISTA Sandro Bergamo direttore responsabile abbonati a aiutaci a sostenere la cultura corale CHORALITER e avrai in omaggio ITALIACORI.IT un magazine dedicato agli eventi corali e alle iniziative dell’associazione. abbonamento annuo: 25 euro / 5 abbonamenti: 100 euro Rivista quadrimestrale della FENIARCO Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Via Altan, 39 - 33078 S. Vito al Tagliamento (Pn) Italia - Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 - www.feniarco.it - [email protected] n. 30 - settembre-dicembre 2009 Rivista quadrimestrale della FENIARCO Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali DossieR I luoghi del coro 2 I luoghi del concerto Riflessioni sull’acustica del coro 6 Walter Marzilli Il suono e lo spazio Giovanni La Porta 12i luoghi del fare ed essere coro Non solo questione di spazio… Dario De Cicco 16 l’uso degli impianti di amplificazione nei concerti di musica classica Luca Ricci Attività dell’Associazione 56 alla guida della coralità europea sante fornasier presidente di europa cantat Gianni Vecchiati 60 gli orizzonti della coralità italiana l’assemblea feniarco a san vito al tagliamento Sandro Bergamo Dossier compositore Fabio Vacchi 62 l’energia della musica 66 Giovani direttori x giovani voci 20 il coro sinfonico intervista a fabio vacchi alpe adria cantat 2009 Alessandro Vatri Paola De Maio 68 direzione come leadership Si conclude il progetto indirection Annarita Rigo 26 Analisi di Memoria italiana Cronaca al concorso di arezzo 2009 32 comporre in perfetta libertà La musica di dalla vecchia attraverso due mottetti per coro misto 76 Notizie dalle regioni 39 cos’è la cantata Rubriche Piero Caraba 78 Discografia&Scaffale 82 Mondocoro ChoraldisC Andrea Basevi 23 Appunti su dona nobis pacem Luca Marcossi Luca Marcossi 70 il “riscatto” dei cori maschili Nova et veterA Alessandro Kirschner Con particolare riferimento alla cantata di Bach BWV 140, Wachet auf, ruft uns die Stimme 44 la gioia del suono INDICE la scuola veneziana dal ’500 a oggi Walter Marzilli 48 Cum grano salis intervista a filippo maria bressan Sandro Bergamo 51 la scuola polifonica veneziana del ’500 e la cappella ducale della basilica di s. marco Domenico Innominato Efisio Blanc I luoghi del concerto i luog Riflessioni sull’acustica del coro di Walter Marzilli Premessa Le implicazioni di ordine fisico-acustico intorno alla propagazione del suono sono numerose e molto complicate, e questa non è la sede per parlare di coefficienti di assorbimento, impedenza acustica ecc. Sembrerebbe più opportuno in questo caso indirizzare l’attenzione nel riconoscere due occasioni distinte: il coro che canta nella liturgia e l’esecuzione di un concerto. Le conseguenze assumono infatti dimensioni enormi quando nel primo caso la vibrazione sonora non trasporta un suono qualsiasi, ma la Parola di Dio. Posto di fronte a questa impegnativa situazione ognuno di noi si trova nella condizione di doversi adoperare per non disturbare questo trasferimento, dovendo la Parola di Dio raggiungere direttamente il cuore, e non solo il timpano di chi ascolta. Impostando così i termini della questione si comprende come le riflessioni toccherebbero presto i confini della teologia, dell’etica, della filosofia ecc. Per questo è necessario fermarsi subito, cercando qualche punto fermo. Ci limiteremo ad alcune riflessioni sintetiche, che riguarderanno marginalmente la presenza del coro nella liturgia, ma soprattutto l’occasione più comune del concerto. dossIER Il posto del coro Fino al Cinquecento il coro era sempre posizionato con le spalle all’assemblea, rivolto verso l’altare. Nella figura si vede una cantoria ritratta in una stampa del 1580.1 Possiamo affermare che con l’inaugurazione del Teatro San Cassiano nel 1637 a Venezia – primo teatro a essere aperto al pubblico – fu sancito il perfezionamento di un processo di rotazione della cappella musicale che prima si voltò verso 3 concava il risultato è quello prospettato nella figura qui sotto. Nel palcoscenico del teatro una Abside importante zona sonora come quella dove è posto il celebrante prende il nome di “punto Callas”. Si tratta da sempre di una Celebrante posizione molto ricercata dai cantanti d’opera per far emergere la loro voce. Con un approccio inverso potremmo porre Assemblea dei microfoni nel luogo del celebrante per registrare una grande massa sonora, in forza della riflessione parabolica delle onde sulla parete concava.4 È proprio quello che faceva l’ingegnere del suono di Sergiu Celibidache e anche quello dei Pink Floyd, entrambi noti per cercare sempre una forma architettonica concava dell’ambiente davanti alla quale piazzare i microfoni per le registrazioni dal vivo… Ecco il perché della necessità della famosa conchiglia alle spalle degli esecutori all’aperto – cui accenneremo alla fine – o in un luogo chiuso con poco riverbero! Gli antichi architetti avevano risolto il problema sul nascere attraverso la costruzione dell’abside… Detto ciò, ne consegue che per ottimizzare le possibilità acustiche del coro, esso dovrebbe essere posto nell’abside, proprio dove troneggia – guarda caso – il coro ligneo in tutte le chiese antiche… Il suono del coro ha infatti bisogno di formarsi completamente prima di diffondersi definitivamente. La postazione del direttore, così interna alle viscere del coro, risulta essere quindi la meno godibile, poiché egli ascolta il suono del coro prima che esso sia completato dal contributo Il suono del coro ha bisogno di formarsi completamente prima di diffondersi definitivamente. ghi l’assemblea, poi si espanse in due, tre, sei cori ecc. per avvolgere completamente il pubblico. Che nel frattempo, storicamente e socialmente, aveva raggiunto una posizione ragguardevole tale da non potere più essere sottovalutata. La riforma liturgica avvenuta dopo il Concilio Vaticano II (1962-1965) ha definitivamente spostato l’altare molto in avanti verso l’assemblea, benché ciò non fosse indicato come un obbligo generalizzato. Ciò ha modificato in modo determinante l’originario progetto acustico di qualsiasi chiesa. Si deve sapere infatti che la posizione del celebrante interna all’abside possedeva una valenza acustica estremamente ricercata. Da quel punto, infatti, la sua voce si espandeva con onde sonore indirizzate direttamente verso il popolo, anche quando il celebrante era rivolto versus Orientem.2 Il fenomeno illustrato di seguito è dovuto alla legge acustica della riflessione delle onde, che “rimbalzano” da una parete con un angolo di riflessione uguale a quello di incidenza.3 Se la parete è essenziale dell’ambiente acustico. Non si va dal fornaio per comprare separatamente gli ingredienti come la farina, l’acqua, il lievito e il sale, ma si pretende di avere il pane finito: così dovrebbe essere per il suono del coro.5 Per ottenere la completezza del suono il coro ha bisogno di due cose essenziali: spazio e risonanza. Il primo non si ottiene ponendo il coro a ridosso degli ascoltatori; la seconda ha bisogno di una curvatura avvolgente intorno ai cantori, o almeno di una parete alle loro spalle. Entrambe queste due condizioni sono immediatamente ottenibili posizionando i cantori appunto nell’abside. D’altronde il coro nella liturgia non ha mai cantato in modo diretto, ma trasversale; l’essere, non l’apparire.6 Nei concerti, invece, diventa importante anche il fatto visivo, e l’ascolto, eventualmente comprimario nella liturgia, in questo caso diventa primario. Per questo motivo – e anche per non compromettere il suono di un piccolo coro o di un 4 gruppo di cantori con limitata proiezione del suono – si sposti il coro davanti all’altare, sempre però a una debita distanza dal pubblico. La posizione a semicerchio risulterà migliore. Ciò che si perderà in direzionalità del suono rispetto a una disposizione lineare sarà compensato dal fatto che il suono nascerà e uscirà da subito più sicuro e compatto. I cantori disposti a semicerchio, magari piuttosto chiuso, infatti si controllano meglio tra di loro. La cupola Attenzione però alla cupola. Essa crea un vortice aereo ascensionale che aspira il suono verso l’alto, aiutato anche dal calore delle luci indirizzate sul coro. Posizionare il coro proprio sotto di essa significa mandare verso l’alto – quindi perdere – una quantità non indifferente di suono. Per la verità ciò è vero soltanto relativamente a cupole estremamente profonde. In genere, per fortuna, è solo la visione prospettica dell’affresco a estremizzare la visione, facendo sembrare la cupola molto più alta, più protesa verso il cielo…7 La stessa situazione si verifica dietro al proscenio di un teatro. La cantoria Esistono situazioni in cui la cantoria nasce come progetto architettonico iniziale e ha una sua precisa funzione acustica: in questi casi è raccomandabile usarla. Dall’alto delle cantorie, infatti, il suono del coro può espandersi liberamente e invadere l’intero spazio a sua disposizione, senza patire la presenza di tutti gli ostacoli ad altezza uomo che invece si frappongono alla sua propagazione quando la sorgente sia posta sul pavimento.8 Si tratta di un ottimo posto dove posizionare il secondo di un doppio coro, oppure per iniziare un concerto avvolgendo gli spettatori di suono smaterializzato, proseguendo magari con una entrata cantando in processione… Amplificazione del suono Nelle chiese molto grandi la tentazione di amplificare il coro è altrettanto grande, ma i microfoni conducono all’istante il suono lontano, prima che nello stesso posto arrivi il suono reale. Quindi i suoni si sovrappongono e il riverbero aumenta, insieme all’incomprensibilità dei testi e delle armonie. Solo dove il suono non arriva più sarebbe opportuno porre dei diffusori, ma questi sono casi molto rari, legati all’esistenza di un eventuale spazio architettonico molto particolare che si chiama zona del tacere). Dalla prossima figura si capisce come esistano in pratica tre zone acustiche diverse in uno spazio delimitato e chiuso: quella relativa alla portanza diretta della voce, caratterizzata dal suono solido e prestante, l’eventuale zona del tacere, dove non arriva più la voce diretta, ma solo pochissime onde riflesse (quelle gravi, che sono più sferiche delle altre), dal suono delicato ma poco appagante.9 Infine la zona del suono riflesso, dal tipico suono soffice come la precedente, ma meno etereo e un po’ più presente.10 Soffitto Portanza della voce Zona del tacere Voce riflessa Il riverbero Un altro parametro da tenere in grande considerazione è il riverbero. La quantità ottimale per una esecuzione corale è stimata in almeno due secondi.11 Tale misura permette ai cantori un controllo ideale della voce e al pubblico un ascolto chiaro ma amalgamato.12 Alquanto al di sopra di questo valore i cantori godono di una sensazione propriocettiva della voce molto appagante, mentre il pubblico sarà costretto a un ascolto impegnativo e confuso.13 Al di sotto di due secondi, al contrario, il pubblico potrà facilmente avvertire tutte le minime sfumature, mentre i cantori vivranno una sgomenta sensazione di solitudine vocale, con difficoltà di controllo dell’emissione.14 L’eventuale assenza di riverbero può essere contrastata in alcuni modi. Innanzitutto eliminando per quanto possibile i materiali fono-assorbenti quali tappeti, tendaggi ecc. E poi disponendo i cantori in un semicerchio molto chiuso e raccolto, in modo che possano controllare le voci degli altri senza che esse, disposte lungo una linea o anche in un semicerchio molto aperto, corrano via verso il pubblico senza alcun controllo. Un altro modo efficace per aumentare il controllo di ogni singolo cantore sulla propria voce è quello di allargare le postazioni l’una dall’altra. In questo modo la voce di ognuno arriverà ai propri timpani molto prima di quella degli altri cantori. Ancora un altro metodo: disporre i cantori alternati (ststststst-cbcbcbcbcb) in modo che ogni voce sia incastonata tra due diverse. Ovviamente le ultime due situazioni devono prima essere sperimentate e maturate in sede di prova. Al contrario di ciò che potrebbe sembrare a prima vista, entrambe presentano poche difficoltà iniziali ma moltissimi vantaggi in ordine alla qualificazione di ogni singolo cantore, alla fusione, alla caratterizzazione dei timbri, all’evoluzione dei colori ecc. che non è il momento di approfondire in questa sede. L’eccesso di riverbero si combatte al contrario: stendendo possibilmente tappeti, aprendo eventuali tendaggi raccolti e disponendo il coro in linea retta per dare maggiore direttività al suono. L’effetto Haas Sotto questo nome si nasconde un fenomeno acustico per cui spostandosi l’ascoltatore di soli trenta centimetri dal centro simmetrico di una coppia di altoparlanti stereo, egli sentirà soltanto quello a lui più vicino e non più l’altro. Considerando le sezioni del coro come una sorgente stereofonica allargata (in genere con gli acuti a sinistra e i gravi a destra) si può a ragione ritenere che l’ascolto da una posizione non simmetrica rispetto alle sezioni (proprio come quella di dossIER qualunque panca di una chiesa, separate dal corridoio) risulti deficitario nei confronti delle sezioni più lontane. Per fortuna la presenza del riverbero mitiga questo effetto negativo, che altrimenti renderebbe impossibile qualunque audizione. Ma comunque è esattamente questo il motivo per cui i microfoni sono posizionati sempre al centro del corridoio e mai di lato. Sarà forse questa la causa vera e primitivo-empirica per cui da sempre le personalità importanti vengono fatte sedere al centro delle due serie di panche, e non il rispetto sociale della casta?15 All’aperto Si tratta della situazione meno auspicabile, dal momento che non esiste uno spazio architettonico delimitato che, come abbiamo visto, svolge un ruolo fondamentale nella formazione del suono definitivo. Inoltre il fenomeno di una particolare forma di rifrazione16 pone nuove difficoltà. La direzione delle onde sonore si disperde infatti verso l’alto nel caso in cui la terra sia più calda dell’aria, Aria fredda Suolo Aria calda oppure vede accorciarsi notevolmente la portata del suono cadendo verso il basso quando la terra risulti più fredda dell’aria. Aria calda Suolo Aria fredda In entrambi i casi la situazione presenta connotati negativi che devono essere evitati. Si deve per forza ovviare alle difficoltà creando uno spazio architettonico delimitato quanto fittizio attraverso l’uso dei microfoni e dei diffusori. Si ricordi però che c’è un prezzo da pagare: il timbro sarà inevitabilmente perso, poiché oltre alle modificazioni del mixer – che possono anche essere migliorative – occorre considerare che ogni microfono possiede un suo proprio suono… Senza parlare dei diffusori, dotati di una loro propria voce. Inoltre l’impossibilità di sentirsi tra di loro obbligherà i cantori a fare uso delle spie e/o della conchiglia di cui parlavamo in apertura. In ogni caso ci deve essere una certa capacità di adattamento alla situazione e una sufficiente frequentazione e confidenza con gli ambienti aperti, i microfoni, le spie, la dispersione del suono ecc. 5 Note 1. Filippo Galle (1537-1612): Cappella Musicale. Particolare di una incisione tratta da: J. Stradanus, Encomium Musicae, Anversa, 1580 ca. 2. In questo senso è inesatta la diffusa teoria secondo la quale egli celebrasse “con le spalle al popolo, ignorandolo”: il celebrante guidava invece la processione ideale del popolo affidatogli verso oriente, cioè verso Dio, oltretutto con una cura amorevole di natura acustica, come si vede in figura. L’obiezione che viene solitamente fatta alla celebrazione verso oriente-Dio è quella che anche il Papa in San Pietro celebrerebbe rivolto verso il popolo. Senza sapere che l’altare della basilica di San Pietro, a causa della volontà di farla sorgere proprio sulla tomba di San Pietro, e anche dovendo tenere conto della conformazione geologica della collina che sorge alle sue spalle, è rivolta proprio verso oriente! Diversamente dalla maggioranza delle chiese antiche, intorno alle quali si sarebbe sviluppata in seguito l’architettura urbana. 3. Si comprenda che la grafica del computer non ha permesso di rendere perfettamente simmetrico l’angolo di incidenza con quello di riflessione. 4. È lo stesso principio delle antenne televisive paraboliche… 5. Ecco perché il posizionamento dei microfoni troppo vicino al coro distrugge e vanifica tutti gli sforzi del direttore e dei cantori per creare una fusione apprezzabile. I microfoni prendono le voci singole separate e non possono cogliere il risultato acustico globale, dato appunto dal contributo delle riflessioni del suono nell’ambiente architettonico. 6. Attenzione, però. La legislazione ecclesiastica post-conciliare invita i cantori a uscire dall’abside e a unirsi all’assemblea dei fedeli, di cui fanno parte. Senza rinnegare il munus ministeriale del coro, possibilmente... 7. Possiamo interpretare questa propensione verso l’alto, questo avvicinarsi al Creatore come il simbolo della potenza di una chiesa rispetto a un’altra, in un’epoca in cui la Chiesa godeva aveva ancora di un forte potere temporale. 8. La cantoria posta a una certa altezza da terra richiama una motivazione di carattere superiore a quello semplicemente acustico. In qualunque chiesa antica di una certa altezza, infatti, entrando non è mai possibile osservare il pavimento dell’altare e vedere contemporaneamente anche il soffitto. Questo a significare la distanza incolmabile tra l’uomo e Dio, che stava alla base della antica teologia preconciliare. Esisteva però un unico punto privilegiato dal quale era possibile guardare l’abside e vedere contemporaneamente il pavimento (uomo) e il soffitto (Dio): la cantoria sopraelevata… 9. È quella ben nota zona dove qualcuno che sedeva lì durante il concerto immancabilmente ti dirà «Stasera avete cantato tutto un po’ troppo piano…». Guai a mettere in questa zona i microfoni per una registrazione; neanche il secondo microfono, quello definito “di ambiente”… 10. Si consideri infatti che le riflessioni non provengono solo dal soffitto, ma anche dalle pareti laterali, dal pavimento, dalle colonne, dalle persone ecc. 11. Si badi che tale quantità è la misura di cui necessita un suono per diminuire di 60 decibel (un milione di volte) la sua potenza sonora massima. Nella pratica si considera il tempo che va dalla cessazione del suono al suo decadimento a zero. 12. Si consideri che qualunque suono riflesso si sovrapponga a quello diretto durante la prima fase di ascolto (a seconda dei testi, da 50 a 100 millisecondi) crea il risultato di rafforzare il suono originario. 13. Il direttore sarà costretto ad allargare i tempi e le pause, per non sovrapporre le note e gli accordi. 14. In questo caso il direttore farà bene ad allargare i tempi dell’esecuzione, per non farla apparire vacua e spoglia. 15. Sono numerosissimi i casi acustici che gli antichi musici avevano già risolto in modo empirico senza avere le conoscenze necessarie. Ma questo sarebbe un argomento interessante per un approfondimento in un’altra occasione… 16. Si parla di rifrazione quando l’onda sonora attraversa due spazi a temperature differenti. 6 Il suono e lo spazio di Giovanni La Porta Il riferirsi all’acustica di un luogo, meglio, alla fruizione che in questo si fa del suono, implica il coinvolgimento di molteplici aspetti relativi alla costruzione dell’ambiente, sia esso inteso come “luogo interno”, ovvero confinato da elementi fisici definiti (es: pareti e soffitto di una sala) sia come “luogo esterno”, notoriamente lo spazio aperto in cui risultano mancanti le superfici di contorno dell’ambiente costruito. L’acustica di un luogo costituisce sicuramente una delle componenti fondamentali del comfort ambientale che, insieme ad altre componenti, sono percepite e giudicate dagli occupanti: ci si potrà riferire in questo senso al comfort termo igrometrico (idonee caratteristiche di temperatura e umidità) o al comfort illuminotecnico (idonee caratteristiche di illuminamento); in tutti i casi, già solo pensando alle tre componenti sopra richiamate (acustica, igrotermia e illuminotecnica), sarà necessario sottolineare come il grado di benessere, comfort percepito dalle persone che abitano un ambiente si riferisca a particolari condizioni di utilizzo del luogo costruito, in altre parole sia strettamente legato alla tipologia di attività che in esso viene svolta. Queste considerazioni di carattere generale ci consentono di affermare che l’acustica di un ambiente sia fondamentalmente legata alla tipologia del luogo, inteso sia come risultato formale, “architettura dello spazio”, sia come funzione che in esso viene esercitata-fruita: la storia dell’architettura ci documenta come sia sempre esistita una stretta correlazione tra questi due aspetti. Non a caso si è data la formazione di tipi architettonici correlati allo svolgimento di particolari forme di spettacolo: si pensi al teatro antico del periodo classico rispetto alla nascita della tragedia greca, al teatro “all’italiana” tardo rinascimentale rispetto al sorgere dell’opera lirica o ancora alle caratteristiche formali delle sale cinematografiche dei primi anni del ’900 rispetto al diffondersi di questa nuova forma di spettacolo. Ciò che può essere rilevato con evidenza è che, a fronte di una attività umana ritualizzata, la forma architettonica dell’ambiente costruito ha dato risposta a necessità funzionali note: l’idoneità acustica di un luogo rientra sicuramente tra queste. Per addentrarci brevemente nel merito della disciplina acustica, esaminando quali sono gli aspetti principali che ne caratterizzano un ambiente costruito, è necessario sottolineare una prima linea di demarcazione: da un lato l’acustica di un luogo può essere intesa come caratteristica propria dell’ambiente all’interno del quale il suono si propaga, generando una certa “risposta”, ovvero determinando quelle condizioni di maggiore o minore idoneità all’ascolto-fruizione; dall’altro può essere intesa come quella particolare attitudine che hanno gli ambienti di essere isolati dai luoghi circostanti determinando, anche in questo caso, il necessario grado di comfort ambientale, ove con questo termine si identifica quella necessaria condizione di privacy richiesta dalle persone in relazione allo svolgimento di particolari attività. Tale suddivisione di ambiti, nonostante spesso ancora oggi venga confusa ed equivocata, circoscrive due distinte categorie di problemi: da una parte l’acustica architettonica, la “room acoustics”, il cui principale campo di indagine riguarda lo studio dell’acustica dello spazio “interno” e le condizioni che determinano la riflessione delle onde sonore nell’ambiente; dall’altra l’acustica edilizia, identificando con questo termine le caratteristiche fono isolamenti degli elementi fisici che confinano lo spazio, in altre parole le proprietà che hanno i materiali edilizi di impedire il passaggio dell’energia sonora tra gli ambienti (fig. 1). Se quindi la propagazione delle onde acustiche nello spazio costituisce un evento singolo, duplice è la maniera di esaminare il “problema” acustico di un luogo, dovendosi riferire ad aspetti complementari della propagazione dell’energia sonora: immaginando una sorgente sonora immersa in un spazio come un generatore di onde sonore caratterizzate da direzione e velocità, incidenti sulle superfici di contorno dell’ambiente, nel primo caso l’aspetto fondamentale sarà costituito dal determinare la quota di energia sonora assorbita non riflessa, ovvero quella dossIER 7 trasmessa e dissipata, nel secondo sarà importante individuare la sola quota di energia trasmessa, quella avvertita negli ambienti confinanti in cui si genera il fenomeno acustico. Caso limite, per questo poco rappresentativo per le nostre considerazioni, è rappresentato da quegli ambienti in cui non siano presenti tutte le superfici di contorno. È l’esempio del teatro greco-romano, per sua costruzione aperto verso la volta celeste: questa condizione (assenza di soffitto), può essere assimilata alla presenza di una superficie caratterizzata da assorbimento acustico totale, integrale in cui i suoni che la colpiscono fuoriescono in maniera definitiva dal campo acustico interno, privando così l’ambiente di una quota considerevole di energia sonora e rendendo nel contempo possibile la fruizione del suono all’esterno del luogo. Volendo circoscrivere il campo della nostra indagine al solo caso di propagazione del suono negli ambienti confinati è possibile quindi individuare quali sono i fattori principali che ne influenzano l’idoneità acustica. Come accennato sopra, la prima componente riguarda la proprietà dei materiali di assorbireriflettere le onde sonore quando queste colpiscono le superfici interne; si parlerà in questo caso di “assorbimento acustico” proprio del materiale, identificando così un particolare coefficiente di assorbimento “α”.1 Tale coefficiente non è però costante per tutte le onde acustiche incidenti ma risulta essere correlato alla loro frequenza: com’e noto i suoni si differenziano per la loro altezza (i suoni acuti o gravi ne sono la dimostrazione), e questa differenza si esprime in termini fisici con la diversa frequenza con cui un corpo oscilla nel mezzo elastico che lo circonda. L’assorbimento acustico dei materiali, strettamente legato alla frequenza del suono, non assume quindi un unico valore ma una serie di valori riferiti a una serie di frequenze convenzionali: 63, 125, 250, 500, 1000, 2000, 4000, 8000 Hz 2 sono le frequenze (più propriamente “bande d’ottava”) alle quali ci si riferisce per indicare l’assorbimento acustico del materiale usato nella costruzione di un ambiente. Nonostante tale parametro possa essere espresso in termini unitari,3 sarà sempre importante esaminare la distribuzione in frequenza dell’assorbimento acustico (fig. 2) al fine di comprendere la risposta acustica effettiva di una superficie. Come è possibile riscontrare nella fig. 2, l’assorbimento acustico dei materiali assume generalmente tre tipologie di andamento in frequenza cui corrispondono tre diversi principi di assorbimento. Per primo caso l’assorbimento acustico è legato alla proprietà intrinseche di alcuni materiali idonei a dissipare l’energia sonora per attrito viscoso all’interno della loro struttura porosa (fig. 3): il riferimento va alle lane minerali, ai tessuti, al sughero; l’andamento in frequenza dell’assorbimento risulta molto efficiente nella parte alta dello spettro sonoro ma scarso alle basse frequenze, grazie alla condizione per cui solo i suoni di piccola lunghezza d’onda (alte frequenze) possono incontrare resistenza nell’attraversare le cavità interstiziali esistenti tra la gli elementi della trama del materiale. Nella storia si è assistito alla formazione di tipi architettonici correlati allo svolgimento di determinati tipologie di spettacolo. Energia rinviata Energia totale Energia trasmessa Energia dissipata Fig. 1 - Riflessione-trasmissione dell’energia sonora. Coefficiente di assorbimento 1,4 1,2 1,0 materiale poroso 0,8 0,6 0,4 0,2 cavità 0 63 125 250 500 membrana 1000 2000 4000 8000 Frequenza (Hz) Fig. 2 - Tipologie di assorbimento acustico. Fig. 3 - Dissipazione dell’energia sonora per porosità. 8 Nel secondo caso l’assorbimento acustico risulta legato alla possibilità che alcuni materiali sotto l’effetto delle onde sonore, possano vibrare alla stessa frequenza del suono incidente (fig. 4): ci si riferisce agli elementi vibranti (membrane) usati come rivestimento superficiale come le pannellature in legno, mdf… In questo caso l’assorbimento, che dipende dalla massa superficiale dei pannelli e dalla distanza alla quale sono installati rispetto al supporto rigido retrostante, risulta essere molto efficiente alle basse frequenze per poi decrescere in maniere netta alle alte. Il terzo caso è invece costituito dall’assorbimento per risonanza di cavità che possono trovarsi in collegamento con l’ambiente principale, quello all’interno del quale si origina il suono (fig. 5). In questa condizione l’assorbimento acustico, che dipende dal volume della cavità e dalle dimensioni dell’apertura di collegamento, risulta essere estremamente selettivo, ovvero scarsamente efficiente se si esclude la singola frequenza di risonanza della cavità. Una sintesi dei valori assunti dall’assorbimento acustico, in relazione alla tipologia del materiale e alla frequenza del suono incidente sulla superficie, può essere fornito dalla tabella sotto riportata (tab. 1). Delineati in sintesi i principi di assorbimento acustico che risultano solitamente associati alle superfici che contornano un ambiente, è necessario evidenziare come l’acustica di un luogo confinato sia sempre relazionata alla sua ampiezza volumetrica: a questo proposito si introdurrà quindi la nozione di “qualità riverberante” dell’ambiente, cui viene associata solitamente la prima e fondamentale impressione acustica che si avverte visitando un luogo costruito. Con tale concetto si intende l’attitudine che il suono ha di perdurare all’interno dell’ambiente al cessare dell’attività della sorgente sonora, in breve la possibilità che il suono risuoni autonomamente per un certo tempo, riducendosi poi in maniera più o meno accentuata. Tale caratteristica risulta essere direttamente proporzionale all’ampiezza del volume dell’ambiente e inversamente proporzionale alla quantità di assorbimento acustico introdotto nell’ambiente, così come individuato secondo le modalità sopra descritte. Queste osservazioni, che costituiscono ancora oggi un riferimento essenziale per analizzare l’acustica di un ambiente confinato, furono oggetto di studio per la prima volta agli inizi del ’900 dal fisico americano W.C. Sabine che riuscì a d [m] Struttura rigida m [kg/m2] Pannello impervio (membrana) Fig. 4 - Assorbimento per risonanza di membrana. L [m] V [m3] A [m2] Area dell’apertura Fig. 5 - Assorbimento per risonanza di cavità individuare empiricamente la relazione tra la lunghezza del tempo necessario affinché il suono si estingua all’interno di un ambiente, il relativo volume e il grado di assorbimento acustico presente: la legge fisica, detta appunto di Sabine,4 è in grado di determinare per ciascuna frequenza il tempo di permanenza del suono successivamente alla cessazione della sorgente. L’utilità della relazione apparve fin da subito evidente: non solo consentì di esprimere valutazioni di tipo oggettivo nei confronti di un certo ambiente, ma permise anche di prevedere il comportamento acustico di un certo luogo già in fase di progetto. Come si accennava in apertura, la caratterizzazione acustica del luogo è legata alla sua funzione e in questo senso il tempo di riverberazione ricopre una importanza fondamentale al fine di rendere congruente la tipologia di attività con le caratteristiche di assorbimento acustico/volume dell’ambiente. La figura 6 delinea quelli che sono i tempi di riverberazione (alle medie frequenze) ritenuti ottimali per sale con destinazione d’uso diversa; tale durata (espressa in secondi) costituisce l’espressione di un gradimento “medio”, riferito a una moltitudine di luoghi/uditori, esprimendo cosi, precedentemente la costruzione di una nuova sala, un riferimento possibile e auspicabile per dimensionare l’assorbimento acustico e il volume dell’ambiente. Un tale criterio, basandosi sull’assunto per cui il suono che si diffonde nell’ambiente sia costituito dal suono originario (il suono “diretto” della sorgente sonora) e dalla moltitudine di riflessioni dovute alle superfici che costituiscono i confini fisici della sala, definisce “l’approccio statistico” dell’acustica architettonica, ovvero riguardante l’ambiente nella sua globalità, prescindendo dalla posizione di un ipotetico ascoltatore. La validità della relazione di Sabine risulta però condizionata da alcune ipotesi fondamentali: – il campo sonoro che si genera nell’ambiente, a fronte di una sorgente sonora attiva, deve risultare omogeneo e isotropo;5 – l’assorbimento acustico introdotto nell’ambiente non deve essere eccessivamente elevato (α<al 40%). 125 250 500 1000 2000 4000 0,014 0,018 0,02 0,036 0,035 0,03 Poltrone libere 0,2 0,4 0,5 0,5 0,45 0,4 Poltrone occupate 0,3 0,45 0,6 0,7 0,68 0,6 Parete di cemento 0,35 0,45 0,3 0,3 0,4 0,25 Vetrata di spessore medio 0,25 0,2 0,12 0,08 0,06 0,03 Assi intonacate 0,15 0,11 0,09 0,06 0,05 0,04 0,07 Superficie Frequenza (Hz) Sedie libere Pavimento di legno 0,15 0,11 0,10 0,08 0,06 Pannelli legno compensato 0,28 0,22 0,17 0,1 0,1 0,1 0,7 0,9 0,8 0,95 0,95 0,9 Pannelli acustici assorbenti sospesi Pannelli acustici poggiati su cemento 0,15 0,2 0,75 0,8 0,6 0,4 Marmo, ceramica, pannelli riflettenti 0,01 0,01 0,01 0,01 0,01 0,02 Drappeggi pesanti 0,15 0,35 0,55 0,7 0,7 0,6 Drappeggi leggeri 0,03 0,05 0,1 0,17 0,25 0,35 Tappeto su cemento 0,02 0,06 0,14 0,37 0,6 0,65 Tappeto su imbottitura 0,08 0,24 0,57 0,7 0,7 0,7 Tab. 1 - Assorbimento acustico dei materiali. dossIER proporzionale al grado di assorbimento acustico introdotto nell’ambiente, ovvero alle sue caratteristiche riverberanti (fig. 7). La presenza di maggior qualità riverberante poi, se da un lato determina un globale innalzamento dell’SPL, rende nel contempo possibile una distribuzione della pressione sonora maggiormente omogenea all’interno dell’ambiente, a prescindere dalla distanza che separa l’ascoltatore dalla sorgente sonora (fig. 8). Tali condizioni portano a considerare quindi che la riduzione della componente riverberante in un ambiente destinato all’ascolto ottenuta con l’introduzione di unità assorbenti supplementari7 comporti conseguentemente una diminuzione significativa del livello sonoro percepito, in molti casi insufficiente, tale da rendere necessaria l’amplificazione della sorgente sonora, pena la scarsa udibilità della stessa nelle posizioni dell’audience più lontane. Una seconda importante riflessione va fatta a proposito dell’importanza rivestita dalle prime riflessioni sonore. Come si è accennato, la determinazione dei tempi di riverberazione e del livello sonoro, pur se qualificano in prima approssimazione l’acustica di un luogo, forniscono delle indicazioni di carattere globale valutando in termini statistici il contributo di tutte le riflessioni sonore che si generano nell’ambiente; un’analisi più approfondita richiede però la conoscenza di quale sia il contributo delle sole prime riflessioni che seguono la produzione del messaggio sonoro iniziale (per consuetudine, le prime riflessioni sono quelle che seguono il suono diretto tra 0 e 50 millesimi di secondo). Tale precisazione, assodato che maggiore sia il contributo di tali riflessioni migliore sia l’impressione soggettiva della “immagine acustica” dell’evento sonoro,8 si fonda sull’’esame dei percorsi che possono essere tracciati dalla sorgente alla posizione di ogni singolo ascoltatore mediante il metodo delle “sorgenti immagine”, ovvero assimilando la modalità di propagazione delle onde sonore a quello di raggi luminosi (percorsi rettilinei e angoli di incidenza e 2,0 Campo diretto 0 1,5 sala da concerto 1,0 cinema sala conferenze chiesa studio tv R=5 R = 10 R = 20 -5 -10 R = 50 R = 100 R = 200 -15 -20 -25 0,5 studio radio O -30 0 200 500 1.000 2.000 5.000 10.000 20.000 Volume della stanza in mq Fig. 6 - Tempi di riverberazione in relazione a tipologia di attività/volume dell’ambiente. 50.000 = 0, 25 O = O 1 = 4 O R = 500 R = 1000 R = 2000 = 8 R=x -35 100 100 Campo riverberato +5 0,1 0,3 0,5 1 2 3 4 5 7 10 Livello di pressione sonora (dB) +10 teatro Lp - Ln in dB Tempo di riverberazione in secondi Solo a fronte di queste condizioni la relazione di Sabine risulta valida, in altre parole sarà possibile riferirsi a un luogo autenticamente “sabiniano”. A questo proposito, circa le condizioni di natura geometrica da introdurre in una sala al fine di rendere il campo acustico di tipo sabiniano, è possibile delineare le seguenti caratteristiche fondamentali: – la distribuzione dell’assorbimento acustico nella sala dovrebbe essere il più possibile omogenea, evitando concentrazioni, addensamenti: è il caso, ad esempio, di posizionamento di materiale fono assorbente esclusivamente a soffitto (si pensi al caso di una palestra) determinando un luogo acusticamente disomogeneo; – la geometrica delle superfici dell’ambiente dovrebbe risultare acusticamente “diffondente”, Sorgente ovvero caratterizzato da tutti quegli accorgimenti architettonici atti a generare riflessioni sonore non speculari;6 a questo proposito sono Sorgente auspicabile tutte le geometrie curve di forma convessa, evitando quelle concave per il conseguente effetto di focalizzazione sonora (vedi figura); – l’ambiente della sala non dovrebbe presentare accoppiamenti di volume; tipico è il caso del volume compreso al di sotto delle gallerie in molte sale teatrali: tale condizione determina estrema disomogeneità di campo acustico; Le condizioni sopra descritte, se da un lato possono fornire qualche primo elemento che interpreti l’origine delle caratteristiche acustiche di un luogo, devono necessariamente essere integrate da altre fondamentali considerazioni. In primo luogo la fruizione del messaggio sonoro in un ambiente risulta essere influenzata dal livello sonoro con il quale esso raggiunge l’ascoltatore (notoriamente l’SPL, acronimo di Sound Pressure Level): in linea generale maggiore sarà il livello, migliore risulterà l’ascolto nell’ambiente. Tale parametro, se dipende com’e ovvio immaginare dalla potenza acustica della sorgente sonora, risulta essere inversamente 2,5 9 legge dell’inverso del quadrato (6 dB quando raddoppia la distanza) 90 distanza critica su on od livello del suono riverberato ire tto 80 70 20 30 50 100 Distanza (m) Fig. 7 - Variazione del livello di pressione sonora in funzione del grado di assorbimento acustico dell’ambiente (coeff. R). 1,2 3 6 9 15 Frequenza (Hz) Fig. 8 - Andamento della pressione sonora in ambiente riverberante. 30 10 riflessione speculari; nota 6, fig. 1) e immaginando che dietro ogni superficie riflettente si costituisca una sorgente sonora virtuale di ordine crescente (fig. 9). L’approccio appena descritto, di tipo geometrico “deterministico”, potendo calcolare il ritardo e l’intensità dei contributi sonori riflessi nei primi istanti successivi alla generazione del suono diretto, è in grado di qualificare in maniera più precisa la percezione del messaggio sonoro nell’ambiente, descrivendone la sensazione soggettiva provata nell’ascolto (fig. 10). Alle considerazioni sopra esposte, volendo fornire un quadro delle questioni fondamentali che delineano la valutazione dell’acustica di un ambiente, può essere aggiunto un richiamo alla natura ondulatoria del suono e alla possibilità che nell’ambiente si possano determinare “modi di risonanza”. Si è accennato alla possibilità di equiparare il suono ai raggi luminosi per quanto La fruizione del messaggio sonoro in un ambiente è influenzata dal livello sonoro con il quale esso raggiunge l’ascoltatore. riguarda le modalità di propagazione: tale ipotesi è però subordinata al rapporto che si instaura tra lunghezza d’onda del suono e dimensione prevalente degli oggetti che incontra nel suo percorso (fig. 11). Qualora le dimensioni dell’ambiente risultano comparabili con la lunghezza d’onda dei suoni che ne sollecitano il campo sonoro (i locali di piccola dimensione in cui si generano suoni a bassa frequenza ne sono un esempio), la risposta acustica dell’ambiente risulta caratterizzata da un marcato innalzamento del livello di pressione sonora percepito in corrispondenza di quelle frequenze la cui lunghezza d’onda coincide con le dimensioni del locale.9 Tale comportamento, “risonante”, associato solitamente ad ambienti di modesta dimensione (sale di prova musicali, studi di registrazione…), può essere efficacemente contrastato introducendo particolari dispositivi fono assorbenti, la cui massima efficienza coincida con le frequenze risonanti riscontrate. A3 A2 A1 A1 A A2 A3 R Fig. 9 - Tracciamento dei raggi acustici con il metodo delle sorgenti immagine. Giovanni La Porta_____________________ Architetto, laureato presso lo Iuav di Venezia e diplomato in violino e viola presso il conservatorio C. Pollini di Padova, oltre all’attività professionale svolge quella di musicista come didattica ed esecutore. Socio Aia (Associazione Italiana di Acustica), è iscritto negli elenchi dei tecnici competenti in acustica ambientale della Regione Friuli Venezia Giulia; collabora stabilmente con il Laboratorio di acustica musicale ed architettonica - Fondazione Scuola di San Giorgio di Venezia (responsabile dott. Davide Bonsi). In campo professionale, nell’ambito dell’acustica architettonica, edilizia e ambientale, è chiamato come consulente in interventi di nuova progettazione, bonifica e adeguamento di edifici a destinazione residenziale, terziaria e in luoghi collettivi destinati all’ascolto (auditorium, sale teatrali…); tra i suoi lavori relativi all’acustica architettonica si segnalano gli studi relativi all’Auditorium di S. Chiara di Trento, al Teatro di Azzano Decimo (Pn), all’International Ecumenical Centre di Abuja (Nigeria), al Teatro di Osoppo (Ud), al Teatro Comunale di Vicenza. Ha partecipato a numerosi concorsi di architettura ottenendo premi e riconoscimenti. In ambito locale svolge attività didattica inerente la formazione post laurea; è chiamato a collaborare con l’Università di Udine (corso di Architettura degli interni, prof. Davide Raffin) e con l’Università di Venezia - Ca’ Foscari (corso di Metodologie della conservazione dei beni artistici, prof. Davide Bonsi), per la quale ricopre il ruolo di Cultore della materia. È autore di numerosi articoli a scopo divulgativo in materia di acustica architettonica ed edilizia; tra questi si segnala il saggio La camera acustica mobile: un’esperienza padovana, in Lo spazio della musica, U. Trame (a cura di), Skira ed. Arch. Giovanni La Porta Via M. Polo 11 - 33170 Pordenone - [email protected] dossIER 11 Durata in secondi Note 1. L’assorbimento acustico “α”, la cui unità di misura è il Sabine, è compreso tra 0 e 1: più il valore approssima l’unita, maggiore sarà la quota di energia sonora assorbita. 2 L’Hz (Hertz) è l’unità di misura della frequenza, definita come il numero di oscillazioni complete di un corpo intorno al proprio asse nell’unita di tempo. 3. È il caso dell’indicatore α medio riferito ad alcune categorie di prodotti commerciali. 4. Com’è noto la relazione di Sabine è RT = 0,161 V/Σass., con V volume dell’ambiente chiuso e Σass. sommatoria delle unità assorbenti introdotte nell’ambiente, ottenute come somma dei prodotti tra il coefficiente di assorbimento a una data frequenza e le estensioni superficiali dei materiali assorbenti in quella determinata frequenza. A essa Sabine pervenne incrementando in un ambiente di prova (l’aula universitaria nella quale era solito tenere le sue lezioni) la 10 9 quota di assorbimento acustico 8 7 (rappresentato da quantità 6 5 crescenti di cuscini), e 4 3 misurando il tempo necessario 2 1 al suono di un organo portativo 0 80 160 240 320 400 480 500 Cuscini Muri di estinguersi; il risultato fu la curva empirica (iperbole) riportata in figura qui a fianco. 5. La definizione di omogeneità e isotropia del campo acustico definisce una condizione ideale in cui la densità dell’energia sonora sia costante in tutti i punti (omogeneità) e in cui sia la direzione di arrivo dei raggi risulti ugualmente probabile, sia la media temporale del flusso di energia in ciascun punto risulti costante (isotropia). 6. La riflessione del suono su di una superficie liscia, nell’ipotesi che il comportamento delle onde acustiche sia assimilabile a quello dei raggi luminosi, avviene tendenzialmente in maniera speculare, con angolo di incidenza coincidente con quello di riflessione (fig. seg. 1). Qualora la superficie non presenti uniformità superficiale – ruvidità superficiale di dimensione comparabile alla Raggio incidente Riflessione speculare lunghezza d’onda del suono Scattering incidente – alla superficie è sempre associato uno specifico coefficiente di scattering, che definisce l’attitudine della Superficie ruvida superficie di diffondere le onde acustiche che la colpiscono. 7. È il caso di alcuni intervento di “restauro” acustico di sale in cui la massiccia posa in opera di componenti edilizi fortemente fono assorbenti ha comportato una globale “sordità” dell’acustica, in altre parole la perdita di ogni sostegno riverberante. 8. Tra i molti contributi all’argomento, si veda L. Beranek, Concerts halls and opera houses, ed. Springer 2003. 9. Nell’ipotesi di locale di forma parallelepipeda, la relazione che individua le frequenze di risonanza con le dimensioni del locale risulta: F0= 340/2 (p2/L2 + q2/W2 + r2/H2)1/2, con p, q, r numeri interi e L, W, H dimensioni del locale. +20 zona di eco Livello (dB) +10 0 effetti di immagine (allargamento, spostamento) -10 spazialità C -20 B -30 riflessioni non udibili A -40 0 20 40 60 80 Ritardo della riflessione (ms) Fig. 10 - Effetti delle riflessioni ritardate sulla percezione soggettiva dell’ascolto. Fig. 11 - Riflessioni sonore e dimensione degli oggetti. La panoramica tracciata, seppure nella forzata brevità, vuole costituire una sorta di vademecum per interpretare quali sono le questioni fondamentali che determinano l’acustica in un luogo destinato all’ascolto, sia in fase di misura fonometrica sia in fase di nuova progettazione e/o recupero. Tra i molti altri temi che potrebbero essere doverosamente approfonditi ci preme sottolineare la necessità di determinare le caratteristiche di tutti quegli indicatori acustici oggettivi necessari a qualificare specificatamente la fruizione dei vari generi sonori, fondamentalmente la musica e il linguaggio parlato; a questo scopo, in relazione all’evoluzione tecnologica presente, è necessario richiamare l’utilità dell’uso di specifici software di simulazione acustica e delle tecniche di misura fonometrica basate sulla risposta all’impulso degli ambienti, strumenti di analisi e progetto il cui uso appare sempre più auspicabile per il futuro. I luoghi del fare ed essere coro i luog non solo questione di spazio… di Dario De Cicco Riflettere sull’esperienza corale dal punto di vista dei luoghi fisici, e quindi degli spazi ambientali, significa esaminare un elemento dell’attività musicale assai mutevole che implica necessariamente il ripercorrere, seppur in maniera rapida e incompleta, il divenire storico dell’entità coro. I luoghi del cantare cambiano in relazione alle epoche delle nostra civiltà e tali mutamenti sono da considerarsi il segnale di una vitalità che è sinonimo di crescita continua, musicale e sociale. Tali due dimensioni sono strettamente connesse tra loro: il dove il coro esegue è parte del suo essere. Ma oggi dove possiamo trarre le informazioni su questi aspetti? Le fonti di cui oggi disponiamo sono varie – gli storici le classificano in “dirette” e “indirette” – e sono costituite da: immagini (la cosiddetta “iconografia musicale”), narrazioni (anche non strettamente musicali), cronache e registri di corte, epistolari, trattati, documenti di natura amministrativa ecclesiali, ecc. Una mole di “reperti” consistente le cui informazioni, se lette e incrociate opportunamente, possono permetterci di ricostruire con un buon livello di attendibilità le linee evolutive di una dimensione specialissima del “fare musica collettivo”, presente da sempre nell’esperienza umana. Interrogarsi sui luoghi della pratica corale è anche riflettere sulle relazioni che lo spazio dossIER 13 fisico ha avuto nel nascere e svilupparsi dei repertori: pensiamo alle monodie gregoriane istituzionalizzate nella pratica dell’ora et labora benedettino – in un contesto monastico – per giungere ai repertori popolari rinascimentali eseguiti nelle corti durante le feste o altre occasioni. Il discorso potrebbe così continuare con una quantità di esempi pressoché infiniti che ci possono portare a definire una prima relazione circolare importante tra repertorio, coro e luogo fisico. La consistenza delle compagini corali non è stata sempre uniforme: da aggregati di pochi elementi a gruppi di 50-60 cantori per giungere alle ampie masse corali del XIX secolo. Tale dato numerico ha sicuramente Repertorio Coro influito sugli spazi dell’evento e sulle modalità del loro organizzarsi. La prima tappa del nostro percorso ideale di riflessione è costituito dalle culture precristiane che inserirono la pratica corale nella dimensione del culto e delle rappresentazioni teatrali legittimandone socialmente l’esistenza e Luogo l’importanza. Ecco allora che troviamo il coro posizionato attorno all’altare del Dio, in dialogo diretto con gli altri fisico concelebranti e con la stessa divinità. Questo rapporto diretto è il segnale di uno spazio culturale forte quasi a dirsi che il coro è parte integrante dell’essere stesso dell’uomo. Negli spettacoli teatrali tragici esso era posizionato in un apposito spazio semicircolare detto “orchestra”, posto innanzi al palco, dove poteva cantare ma anche danzare. Esso era da considerarsi “come uno degli attori, facente parte del tutto e partecipe dell’azione”. Le sofferte fasi di affermazione del cristianesimo – sebbene scarsamente documentate dal punto di vista che a noi interessa – non trascurarono l’esperienza corale. Da alcune immagini ritrovate all’interno di catacombe di area romana sembrerebbe che il cantare insieme fosse pratica ricorrente delle prime forme liturgiche. Con l’età medievale, l’esperienza e i luoghi del fare ed essere coro sono collegati allo spazio che la musica e la sua pratica ebbero in quella società. Particolarmente significativo è il collegamento con due dimensioni della vita dell’uomo: la formazione e la fede. Ecco quindi che la pratica corale viene svolta in luoghi più ristretti e riservati come le chiese, i monasteri e le “istituzioni educative” del tempo. Con una netta prevalenza delle ubicazioni sacre rispetto a quelle profane anche se appare oggi certo che molti dei repertori profani medievali avessero esecuzioni collettive. Il fatto che Benedetto da Norcia (480-547) abbia dedicato alcuni articoli della Regula Monasteriorum alla pratica corale è testimonianza di un grande ruolo a esso affidato che rimase costante anche nei secoli successivi. La collocazione fisica del coro è la metafora di un accordo tra il corpo e lo spirito gestito con “ordine e misura”. La disposizione dei monaci per la preghiera cantata è funzionale espressione dell’intento di rendere lode e onore a Dio. In quest’ottica debbono essere lette le puntuali prescrizioni sul modo di sedersi, sulle modalità di interazione, ecc. Non sterile rigore ma luogo di esercizio dei valori fondanti dell’esperienza monastica. Nel periodo basso-medievale (1000-1492) le chiese furono il luogo dove si svilupparono alcune forme di teatro che traevano spunto da pagine dei Vangeli. In tali azioni sceniche il coro era presente e vitale. Tale presenza fu il primo passo verso la nascita e l’affermarsi di repertori specifici – le laudi – e la nascita di organismi deputati alla loro esecuzione: le confraternite. Quindi l’esperienza corale si manifesta come elemento generatore di un aggregato sociale. oghi del 14 L’età rinascimentale fu un momento fecondo per quanto riguarda la coralità, sia in ambito sacro che profano. L’affermarsi della corte come modello di organizzazione sociale dette un grande sostegno al diffondersi di esecuzioni corali in momenti salienti della loro vita. Gli spazi a esse deputati erano i meravigliosi saloni, i nascenti teatri di corte, ecc. Il tutto in un fiorente sviluppo di repertori frutto di fecondi dialoghi con la poesia. Grazie ai luoghi dell’esperienza corale di questo periodo ebbero grande risalto le corti nella loro dimensione di aggregato sociale e culturale in grado di svolgere una funzione propulsiva sulle arti. Contemporaneamente la produzione e le esecuzioni di musica sacra videro una fioritura eccezionale favorita anche dalla diffusione delle scuole di canto ecclesiali (scholae cantorum) che sorsero con l’intento di formare professionisti della voce che fossero in grado di assicurare la necessaria consistenza numerica alle varie tessiture utilizzate nell’esecuzione della polifonia. La necessità di avvalersi di cantori dotati di competenze professionali elevate fu dettata anche da un significativo elevamento del livello di complessità della scrittura vocale (contrappunto) che richiedeva non generiche capacità di emissione ma complesse competenze e abilità di emissione ed espressività. Queste realtà educative produssero una consistente mole di eventi nelle più belle sedi della cristianità, luoghi che si qualificavano anche per la bellezza delle proprie ornamentazioni quasi promuovendo un dialogo tra arti visive, musica e al centro: l’uomo con la sua voce. In questo periodo la bipartizione sacro/ profano si concretizzò a vari livelli – scrittura musicale, organizzazione formale dei brani e luoghi della pratica corale – ponendo così tale pratica in un contesto culturale dinamico. In ambito profano fanno il loro timido ingresso alcuni strumenti musicali che – come documentato da alcuni dipinti – sicuramente posero alcune necessità di posizionamento e di equilibrio con le voci. A tal proposito è importante citare l’esperienza veneziana dei cori battenti: in sostanza fu una forma esecutiva di tipo dialogico che fu determinata anche dalla particolare architettura della Basilica di San Marco. Uno di quei casi in cui si realizzò quella relazione circolare a cui si accennava in apertura di questo scritto. Con l’avvento del melodramma, nel secolo XVI, il coro si apre nuovamente alla dimensione scenica: il teatro. Possiamo considerarlo il recupero di uno spazio che gli era proprio fin dalle origini. A esso non venne più affidato un esclusivo luogo fisico – funzionale alle sue attività all’interno dello spettacolo teatrale – ma venne inserito in maniera sostanziale sul palcoscenico con la medesima rilevanza degli altri personaggi. La rilevanza che fu assegnata al coro nell’opera non fu uniforme nei vari secoli e nelle varie zone europee, pertanto nell’esame della letteratura melodrammatica è facile trovare un elevata variabilità nella sua presenza sia in termini di tempo che di spazio. Gli studi storico-musicali hanno anche considerato significativo il posizionamento del coro rispetto all’orchestra. E anche su questo versante è dato cogliere significative varianti: dalla presenza sul palco, al posizionamento dietro o a lato degli strumenti musicali. Ciascuna realtà adottava proprie strategie funzionali alla resa sonora ma anche alle necessità di una nascente – e a tratti incerta – direzione orchestrale che era spesso affidata (se intesa nei termini moderni) a più soggetti. Quindi non un unico modello di disposizione ma una pluralità di modelli con frequenti ibridazioni. Interessanti a questo proposito sono le molte piante di teatri o di singole rappresentazioni. Esempio di concerti corali sacri barocchi. La miniatura raffigura la cerimonia dell’imposizione cardinalizia ad Alfonso Litta per mano del legato, cardinale Carafa, avvenuta nel 1666 tratto da “Insignia degli anziani del Comune dal 1530 al 1796”, in E. Maule, Momenti di festa musicale sacra a Bologna nelle Insignia degli Anziani (1666–1751), in «Il Carrobbio», XIII, Luigi Parma, Bologna 1987, p. 261). Si può notare il coro in posizione centrale e le due compagini strumentali (a cori battenti) ai lati; dietro i due organi. dossIER 15 Nella collocazione del coro molto dipende, ed è sempre dipeso, dallo stile direttoriale. L’uso – o il non uso – della bacchetta assieme allo svilupparsi di una vera e propria “teoria” della direzione hanno poi dato spinte determinanti verso l’affermarsi di determinate collocazioni sceniche del coro: davanti, lateralmente o dietro l’orchestra. Una particolare rilevanza fu data al coro con la produzione melodrammatica di Giuseppe Verdi che vi assegnò sovente il delicato ruolo di soggetto che incarna ed esprime i valori di una data società. La presente riflessione è stata prevalentemente incentrata su pratiche esecutive visibili, ovvero effettuate in luoghi/spazi aperti alla visione del pubblico. Dobbiamo considerare anche quelle realtà corali esistenti all’interno delle comunità monastiche che spesso – soprattutto nei rigorismi dei tempi passati – non erano visibili al pubblico e la pratica vocale collettiva era, ed è tutt’oggi, funzionale all’esercizio della fede. L’esecuzione e l’ascolto sono i medesimi? Cambiano i parametri posti a fondamento della loro pratica esecutiva? E la resa sonora? Nelle nostre pratiche di concerto in quale relazione stanno la dimensione visiva e quella sonora? Un altro elemento di riflessione importante attiene alla scelta dei materiali costruttivi dei luoghi dove facciamo coro: perché nel medioevo, e successivamente, la pietra ebbe un impiego massiccio? Disponibilità di fatto o scelta consapevole? Sembra un problema non così importante ma in verità quanti cori escono talvolta frustrati nel loro lavoro dopo aver eseguito musica all’interno di “sorde” costruzioni in cemento armato? È importante riflettere su questi aspetti oggi che viviamo in una società sostanzialmente proiettata verso il dato visivo anche nelle esecuzioni musicali e nelle connesse pratiche di ascolto. Sarebbe bello che nell’organizzazione di un evento musicale il coro – in tutte le sue componenti – condividesse anche questi aspetti con un approccio consapevole. Troppo spesso le scelte di posizionamento e di sede sono dettate dalla decisione del direttore o comunque di chi si occupa di organizzare: parlarne e far capire che i soprani a destra piuttosto che a sinistra, il coro dietro o davanti all’organo… fanno la differenza! Auspico pertanto che questa riflessione possa stimolare una coscienza critica sui vari aspetti della pratica corale in quanti oggi la praticano – sia nella dimensione amatoriale che professionale – nella convinzione che l’esperienza di chi ci ha preceduto non sia un sapere destinato a un’elite di raffinati cultori del sapere musicale ma materia viva per un “fare musica” che a distanza di millenni riesce ad appassionarci e a farci crescere. Questa volta abbiamo, oltre agli strumenti, anche i due cori dialoganti (insieme agli organi). Joseph Cristophe, Battesimo del delfino alla presenza di Lully, olio su tela, Versailles, Museo del castello, in A a.Vv. (a cura di G. Taborelli e V. Crespi), Ritratti di compositori, Officine grafiche De Agostini, Novara 1990, pp. 42-43. Nel presbiterio di San Petronio è in corso la celebrazione della festa del Santo. Presente Giacomo III d’Inghilterra con la moglie Clementina Sobieski, 1722, in E. Maule, Momenti di festa musicale, Op. cit., p. 260. 16 L’USO DEGLI IMPIANTI DI AMPLIFICAZIONE NEI CONCERTI DI MUSICA CLASSICA di Luca Ricci Chi non ha mai assistito a un concerto di musica acustica pensando che a quel certo strumento, a quel tal cantante, o addirittura a quell’intero coro avrebbe senz’altro giovato un po’ di… amplificazione? Nel mio mestiere, che consiste nel realizzare master audio destinati a produzioni discografiche, il problema è facilmente aggirabile: è sufficiente un microfono in più per equilibrare il suono dell’esecutore in difetto di volume all’ascolto in cuffia con il resto dell’organico… Risolvere il medesimo problema in caso di pubblica esecuzione risulta, tecnicamente parlando, un po’ più macchinoso, a causa della necessità di impiegare diffusori in sala e, se necessario, per il monitoring, all’impatto visivo e psicologico con i quali non siamo abituati, a differenza di quanto invece avviene con gli oggetti appartenenti al mondo delle riprese audio finalizzate all’incisione, l’attitudine al confronto con le quali fa ormai parte del bagaglio di moltissime formazioni amatoriali e di pressoché tutte le formazioni professionali. Se è vero, come è vero, che la musica acustica, che si tratti di monodia sacra, di polifonia palestriniana o di una messa mozartiana, è stata concepita per essere eseguita senza l’ausilio di amplificazione, occorre altresì considerare che l’uso ormai consolidato da decenni di sempre più performanti supporti per la riproduzione fonografica, dove ogni parte (almeno nelle incisioni ben realizzate) viene dettagliata con cura, può portare a ricercare in un evento live lo stesso grado di leggibilità, il che rende sempre più necessario che la tecnica esecutiva, e parte delle scelte interpretative esibite durante un concerto, mirino prima di tutto a rendere chiaramente intelleggibile il movimento di tutte le parti che compongono la partitura al pubblico presente in sala. In base alla mia esperienza in sede di documentazione audio di concerti posso tranquillamente affermare che questa situazione ottimale spesso non si verifica, motivo per cui mi trovo di frequente a dover aggiungere uno o più microfoni d’accento (ovvero microfoni sulle sezioni o su singoli strumenti o cantanti) all’array principale (i cosiddetti microfoni “panoramici”). Questo perché al solo array principale non arriva con chiarezza il segnale di tutte le parti interessate. È opportuno ricordare che l’array principale gode di una posizione privilegiata rispetto alle poltrone della sala da concerto; ciò comporta che quello che l’array “non sente” lo spettatore, anche quello in prima fila, lo sente ancor di meno… Non di rado persone del pubblico durante l’intervallo si avvicinano alla mia postazione per chiedere se è possibile “ascoltare qualcosa” e dopo aver ascoltato spesso affermano che “si sente meglio che in sala”; di sicuro gioverebbe alla crescita della mia attività dossIER rispondere che è tutto merito della mia perizia, ma la verità è che a volte l’incaricato delle riprese audio è costretto a intervenire per rimediare all’insufficiente presenza di uno strumento o di una sezione in termini di volume rispetto al resto dell’organico, in parti dell’opera eseguita e, a volte, dell’opera intera. Nel caso di formazioni di professionisti la causa del problema è da ricondurre essenzialmente a due fattori. 1) I gruppi in tournée tendono ad assumere sul palco una disposizione standard, con spazi tra gli esecutori che restano sempre gli stessi indipendentemente dalla location. 2) A volte gli spazi che ospitano i concerti costringono le formazioni a disposizioni occasionali. In entrambi i casi l’equilibrio realizzato in sala prove o in sala d’incisione viene meno in sede di concerto: nel primo caso perché difficilmente si avrà la fortuna di suonare in un luogo acusticamente e strutturalmente simile a quello in cui tale equilibrio è stato messo a punto. Nel secondo caso perché, come dovrebbe essere ovvio, ridistribuire le posizioni in uno spazio che non consente nemmeno di riprodurre la disposizione standard aumenta il rischio di mascherare alcune parti e/o di accentarne altre. Esistono naturalmente anche formazioni capaci di ridisporsi efficacemente nella sala da concerto, ma anche i più accorti in tal senso nulla possono se si trovano a doversi riposizionare in uno spazio angusto in relazione al numero degli esecutori. 3) Una ulteriore situazione assai nefasta è costituita dagli ambienti eccessivamente riverberanti. Neanche in tal caso un’oculata disposizione degli esecutori sul palco è in grado di ovviare a un suono perdurante al punto da formare dei cluster, anche quando il programma non preveda classici del secondo dopoguerra… Nel precedente articolo apparso su Choraliter ho parlato della scelta della location nella realizzazione di incisioni destinate al mercato discografico; personalmente ritengo che gli organizzatori di eventi concertistici dovrebbero riservare pari attenzione alla scelta dei luoghi destinati a ospitare concerti. Spesso, purtroppo, parametri quali l’acustica del luogo e le sue dimensioni in relazione all’organico che deve ospitare passano in secondo piano rispetto al valore 17 storico artistico del sito o alla sua disponibilità rispetto a luoghi acusticamente più adatti. L’affrontare partiture senza disporre di un organico quantitativamente adeguato rispetto a quello prescritto è un ulteriore problema che si va ad aggiungere a quelli citati ai punti 1, 2 e 3, e che affligge essenzialmente le formazioni amatoriali. La tecnologia di cui oggi disponiamo nelle vesti di un impianto di amplificazione proporzionato al contesto e di eccellente qualità sonora, potrebbe fornire un valido ausilio per migliorare la situazione nei casi fin qui descritti. Dico potrebbe perché difficilmente nelle stagioni concertistiche la cui partecipazione sia riservata a formazioni professionali verrebbe accettato l’uso di un mezzo elettromeccanico per migliorare la fruizione del concerto in sala. Da una La tecnologia di cui oggi disponiamo nelle vesti di un impianto di amplificazione proporzionato al contesto può fornire un valido ausilio. statistica tratta dai lavori finora effettuati, deduco che a tale riguardo le formazioni amatoriali sono più possibiliste! Nel caso in cui una sezione, un singolo strumento o un solista in sala si sentano poco, a causa dei problemi descritti fino a ora, una microfonazione discreta e un impianto di amplificazione collocato con accortezza possono molto spesso risolvere il problema. Vediamo qualche esempio. Uno dei problemi più comuni è costituito dai cantanti solisti, magari inseriti all’interno di una sezione corale anziché davanti a essa, che in sala “si sentono poco”; un microfono dinamico, tipo il classicissimo Shure SM58 posto di fronte all’esecutore, minimizza i rientri e rende facilmente gestibile la voce in questione. Per il posizionamento degli altoparlanti due sono a mio avviso le possibili soluzioni; la prima, meno invasiva visivamente, prevede l’uso di un altoparlante di buona qualità di piccole o medie dimensioni ai piedi del cantante rivolta verso 18 il pubblico; dosando opportunamente il volume, si può avere quasi l’impressione che la voce non sia neppure amplificata. La seconda soluzione prevede di porre due altoparlanti su stativo in posizione stereofonica rispetto al pubblico, in genere oltre i bordi laterali della formazione musicale; il suono della voce solista risulterà di sicuro effetto, anche se un po’ meno naturale… Se il solista è in movimento, come ad esempio in un’azione scenica, quest’ultima soluzione diventa l’unica praticabile; fra l’altro con un panning gestito da un fonico è possibile accompagnare con il movimento del suono quello dell’esecutore. In questo caso però un radiomicrofono lavallier (o “a goccia”) diventa una scelta obbligata, anche se quelli di buona qualità hanno un prezzo assai più elevato rispetto al succitato SM58. Lo stesso problema di volume potrebbe affliggere una sezione di un coro meno nutrita rispetto alle altre, e la risoluzione del problema è simile alla precedente, con l’amplificatore vicino alla sezione come scelta pressoché obbligata per non rischiare di far si che il rimedio sia peggiore del male! Il tipo di microfoni da utilizzare però sarà di quelli descritti all’esempio successivo. Nel caso di formazioni corali poste alle spalle di formazioni strumentali che ne coprono la vocalità, l’impianto di Luca Ricci_________________________ Luca Ricci svolge dal 1998 l’attività di tecnico del suono specializzato in riprese in studio mobile di musica vocale, orchestrale e cameristica. Gli studi in composizione effettuati presso il conservatorio statale di musica F. Morlacchi di Perugia, sotto la guida del maestro Stefano Bracci, gli consentono di supervisionare le riprese sotto il profilo artistico oltre che fonico, e se necessario di eseguire il montaggio dei brani senza ausilio da parte del direttore dell’esecuzione. In collaborazione con stamperie di livello internazionale è in grado di fornire al cliente cd duplicati completi di grafica. Al suo attivo ha produzioni (anche in corso) per le seguenti case discografiche: Brilliant, Tactus, Bottega Discantica, Amiata, Quadrivium, Cefa. L’elenco delle principali produzioni da Luca Ricci realizzate fino a oggi è disponibile sul sito www. armoniosoincanto.it assieme alla scheda tecnica dettagliata. [email protected] amplificazione, a questo punto obbligatoriamente stereofonico, dovrebbe essere posto ai lati del coro, ma a meno di non usare una microfonazione chiusa (in genere un microfono a condensatore con capsula da 1/2 pollice ogni quattro cantori di cui due davanti e due dietro, rispettando la divisione fra sezioni e/o parti, oppure uno ogni due se il coro compone un unico semicerchio) i rischi di larsen (il famigerato “fischio” a volte prodotto dagli impianti di amplificazione) diventano altissimi. Considerato che il tipo di microfonazione appena descritto è appannaggio di service piuttosto grandi e che il costo dell’affitto sale di conseguenza, si finisce spesso per effettuare una microfonazione panoramica per ogni sezione, posizionando gli amplificatori ai lati dell’orchestra; l’intelleggibilità delle parti cantate dal coro è comunque al sicuro, ma in sala si ha l’impressione che i coristi cantino... in braccio agli orchestrali! In un ambiente eccessivamente riverberante si rende necessaria una microfonazione chiusa sul coro, sull’eventuale orchestra, e sulle voci soliste, questo per cercare di captare il più possibile il segnale diretto rispetto a quello riverberato che altrimenti verrebbe poi amplificato. Si procede poi al posizionamento dell’impianto di amplificazione, che deve essere costituito da tante coppie stereofoniche di altoparlanti medio/piccoli quante ne sono necessarie in base alla profondità dell’ambiente e al suo tempo di riverberazione (sta al fonico giudicarlo) disposte a intervalli regolari a partire se necessario dalla prima fila di platea (le prime file in alcuni casi non subiscono gli effetti di un riverbero eccessivo come le file che seguono) e regolate a volume medio/basso; il principio è lo stesso secondo il quale nelle chiese vengono disposti gli altoparlanti per permettere ai fedeli di seguire la liturgia a dispetto di una cattiva acustica. All’aperto si potrebbe presentare il problema opposto; il suono risente spesso di eccessiva “secchezza”, oltre che risultare a volte di volume, in questo caso complessivo, insufficiente. La minor presenza di riflessioni dovute alla vicinanza di pareti laterali e/o soffitti (parlo in generale; su un chiostro manca solo il soffitto, ma le pareti laterali ci sono! E anche una piccola piazza in tal senso può risultare pericolosa...) comporta di solito minori problemi nel piazzamento dei microfoni in rapporto a quello dell’impianto di amplificazione (che può essere anche di grandi dimensioni, se il luogo e il numero di spettatori lo permettono) e il problema della “secchezza” può essere risolto mediante l’uso di riverbero artificiale. A questo punto è bene chiarire che nel settore dell’amplificazione audio, così come in quello del riprese audio, il “fai da te” è vivamente sconsigliato; ammesso e non concesso che un gruppo musicale disponga dell’attrezzatura necessaria per far fronte a ogni evenienza occorre poi un fonico abituato a lavorare con il genere musicale che è chiamato ad amplificare. Un fonico non preparato o un fonico assente, come nel caso del corista che dossIER prende posto in sezione dopo aver calibrato l’impianto lasciandolo in balia di se stesso per l’intera durata del concerto (ebbene sì, ho assistito anche a questo…) possono rovinare l’esecuzione. A livello professionale, come dicevo, si incontra presso esecutori, direttori e organizzatori di concerti una notevole riluttanza ad avvalersi dell’ausilio di un impianto di amplificazione. Le giustificazioni più diffuse argomentano perdita di suggestione scenica, rischi di creare squilibri di volume (quando tali squilibri verrebbero come abbiamo visto invece risolti dalla presenza di un buon impianto), e persino timore di recensioni negative su riviste specializzate. Personalmente ritengo che la cosa peggiore che possa capitare a un ascoltatore durante il concerto sia di non riuscire a seguire in parte o in toto il movimento delle parti; senza intelleggibilità non ci può essere godimento nemmeno per la più straordinaria delle interpretazioni. Al contrario nel caso dei saggi musicali scolastici o di azioni sceniche costituite da recitazione e canto, con l’uso o di basi 19 preregistrate, o di vere orchestre, che siano di strumentini o di strumenti orchestrali, vengo contattato senza alcuna delle remore succitate; l’uso della tecnologia è accolto a braccia aperte da presidi e direttori musicali, nonché dai registi e dai giovani artisti. Non ponendosi questioni di “purezza” esecutiva, il fonico gode di ampia libertà di movimento, i brani musicali e le parti recitate risuonano forti e chiari nei teatri come negli auditorium che ospitano gli eventi. Nell’esperienza di fonico per la musica classica che da qualche anno svolgo parallelamente alla mia decennale attività di tecnico del suono ho spesso ottenuto i migliori risultati proprio in contesti come questo. E se la predisposizione all’utilizzo dei mezzi elettroacustici trova terreno fertile nelle nuove generazioni di musicisti, negli anni a venire ci auguriamo la caduta di ogni pregiudizio nei confronti di questa branca della tecnologia elettroacustica che contribuisce a una più completa fruizione del messaggio musicale dal vivo. Il coro sinfonico fabio intervista a fabio Vacchi a cura di Andrea Basevi Qual è il tuo rapporto con l’oggetto coro? A parte le esercitazioni corali al conservatorio di Bologna, hai mai partecipato da ragazzo a un coro? La base della mia educazione musicale è stata fatta cantando, mio padre adorava cantare e conosceva un’infinità di canzoni tradizionali e il mio orecchio armonico me lo sono formato imparando a cantare in terza canzoni militari, popolari, alpine, canzoni di ogni genere. Da studente ero uno dei pochi che non si perdeva una lezione di esercitazioni corali. Con il mio amico Sergio Vartolo, che poi ha proseguito con il barocco, fondammo un coro dove facevamo un repertorio cinquecentesco, ci piacevano molto le chansons di Janequin, senza impedirci Palestrina, Orlando di Lasso fino a Monteverdi. Considero il coro non solo la base di una vera educazione musicale dal punto di compositorE vista sensuale, ma anche un momento fisico irripetibile, perché essere parte di un’armonia corale lo descriverei come un’importante esperienza fisica non solo musicale e culturale. Questo mio rapporto mi ha portato a scrivere con una certa facilità per coro, infatti il mio primo diploma è stato in Musica corale. Quale repertorio corale ti piace maggiormente? Mi interessa tutta la coralità popolare in tutte le sue latitudini e tradizioni: dai canti alpini ai cantori di Orgosolo o quelli di Santu Lussugiu, dai tralleleri genovesi, che adoro con i loro ruoli fissi, ai canti responsoriali africani. Con la voce, con un coro, si comunica in maniera diversa che con un brano strumentale; puoi tracciare un percorso che abbracci questa considerazione? Il mio primo brano importante composto per coro è Sacer Sanctus su testo scritto appositamente da Giuseppe Pontiggia, unico testo in versi dello scrittore. Dall’esecuzione di questo brano nacque un forte rapporto artistico e d’amicizia con Roberto Gabbiani che mi ha portato a essere membro della giuria internazionale del concorso Guido d’Arezzo sia corale che di composizione. Spesso Gabbiani mi invita a far parte della commissione per la scelta dei coristi, prima alla Scala poi a Santa Cecilia e questo mi fa pensare di avere qualche dimestichezza con lo strumento voce. Anche il concerto di inaugurazione di una delle tre sale dell’Auditorium di Roma si aprì con un mio brano sinfonico-corale Terra comune, per risaltare questo importante spazio acustico. Inoltre il coro è uno dei protagonisti principali della mia ultima opera Teneke data alla Scala nel 2007. Il coro ha una parte massiccia, anzi ci sono due cori, uno grande composto da più di cento coristi, il coro dei contadini, e un coro di solisti, il coro dei proprietari. Il coro non risulta mai sfondo, commento, o compare come ripieno timbrico, è invece un coro che agisce, tanto che le parti corali di Teneke sono state giudicate tra le più riuscite dell’opera. Il coro per me è come una seconda natura, come un quartetto per archi. Tu sei sempre molto attento e preciso nella tua scrittura strumentale a indicare modi d’attacco e suoni armonici. Nella scrittura corale adotti sistemi simili, ossia usi della voce non solo il canto ma per esempio fonemi e modi di parlare, sussurrare tipici di molte scritture contemporanee? Al contrario, uso il coro per le sue potenzialità melodiche e armoniche. Cerco di usare le voci nella tessitura che più si adatta alla situazione timbrico-dinamica del momento. Non cerco mai di forzare e arrivare al limite delle possibilità di emissione, uso il coro in senso sinfonico più che solistico. Anche nella scrittura madrigalistica – al festival di Città di Castello il gruppo Hilliard Ensemble ha cantato un pezzo scritto per loro, Memoria italiana – non mi spingo a cercare diverse emissioni vocali. In questo brano sono partito da antichi canti italiani trovate nelle raccolte di Alan Lomax nei primi anni ’50, e li ho usati per costruzioni contrappuntistiche esattamente 21 come si faceva all’epoca dell’homme armé. Il materiale poi scompare dando luogo a una cattedrale polifonica. Come insegnante consideri importante comunicare ai tuoi allievi l’amore per la coralità? Penso che anni fa, in certe classi di composizione, l’uso della voce che canta non veniva insegnata perché portatrice di storia, emozioni ed emotività. Nel paese più affetto da fanatismo avanguardista, la Francia, è stato pubblicato un paio d’anni fa un grande libro sulla musica contemporanea escludendo non solo tutti i brani che fanno uso di una voce, ma anche gli autori che hanno scritto opere liriche, non considerati musicisti “puri”. Eppure si sa bene che in Europa la musica strumentale nasce come prolungamento della musica vocale, salvo poi assumere proprie caratteristiche. Gli strumenti in origine dovevano imitare le voci, portando la vocalità a essere fondamentale. Nel fraseggio e nella scrittura strumentale, nella concezione formale di un lavoro musicale, quello che mi sforzo di comunicare è che la sintassi debba ricalcare la respirazione di un corpo. La sintassi nasce come fisiologia. Arsi e tesi sono ispirazione ed espirazione. Il coro, la voce, non è quindi un colore ma uno strumento generativo. In questo che dici emerge il tuo amore grandissimo per la voce in tutte le sue sfaccettature, da quella recitante, alla voce non impostata, al canto spiegato, al coro. Non solo tutto questo ma ti dirò che il mio amore per il canto 22 è riscontrabile in molti miei lavori solo strumentali. Tutti i gesti tematici nascono da idee di cantabilità che poi si sviluppano in modo strumentale, ma il principio generatore resta un fatto melodico, quindi cantabile. Luciano Berio diceva che la voce è la casa della musica e che dalla voce nasce tutto. Anche i grandi etnomusicologi hanno sottolineato che dal canto primordiale può esser nata la musica. Il cantare si lega immediatamente al movimento, un bambino che canta si muove automaticamente. La melodia e il ritmo sono elementi assolutamente fisiologici. Poi ci sono gli elementi culturali che sono sintattici e formali, ma come materiale base la voce è ritmo attraverso il fiato, la pulsazione cardiaca, il passo e poi l’espressione. Hai mai fatto uso nei tuoi lavori di cantori popolari? Non ho mai usato strumenti etnici né cantori perché il mio rapporto con la musica è quello tipico di un compositore europeo, cioè dal pensiero, alla carta scritta, all’interprete. C’è da dire che la musica colta europea si è sempre abbeverata, fertilizzata direi con spunti popolari ed etnici anche extra europei con questa contraddizione: che non si possa prendere il suonatore popolare e inserire in un brano sinfonico perché pensa in un’altra lingua, non ha quel tipo di stacco speculativo che noi abbiamo. Inoltre appena si dà una trascrizione di una melodia etnica in qualche modo la si travisa limitandola a una versione, mentre le versioni sono infinite soprattutto nell’aspetto fondamentale delle ornamentazioni. Io ho coronato un mio sogno inserendo in Irini, Esselam, Shalom (pace nelle lingue greco, arabo ed ebraico) la voce di Moni Ovadia, non educata al canto lirico, ma profondamente emozionale. Una voce da cantore di strada un po’ sfiatata con singhiozzi, colpi di glottide, portamenti, glissandi piccole stonature usate in senso espressivo che non avrei mai potuto chiedere a una voce impostata perché questo modo di cantare non fa parte del nostro mondo culturale classico. Dalla musica etnica provengono molte delle mie linee cantabili e dei miei gesti melodici. L’esecuzione che se ne ricava è spesso un’approssimazione, non potendo chiedere a un cantante tradizionale la vocalità di uno popolare che nasce spesso dal gesto vocale legato al lavoro, alla postura quindi del cantore. Come esempi potrei ricordare una mondina che cantava stando molto piegata e mettendo il diaframma in un dato modo per far uscire quel tipo di canto, così come per far arrivare lontano nei campi la voce bisognerà metterla in maschera oppure il cantore siciliano che, qualunque sia la vocale con cui termina la frase, inserisce nel canto la vocale “a” per dare un certo timbro al finale della frase. Tutte queste cose si possono trovare in senso stilizzato, metabolizzato, elaborato all’interno di un linguaggio unitario in molti miei brani anche strumentali, come colore, inflessione. C’è un episodio significativo a questo proposito, durante una prima assoluta alla Biennale Musica nel 1985. Il brano era L’usignol in vatta a un fil, dove durante la prova ero disperato perché non saltava fuori ciò che avevo scritto finché non ebbi l’illuminazione di dire a tutti i quindici esecutori di provare a suonare come se sotto le note ci fossero state delle sillabe di parole, cioè di mettere una cantabilità come se dovessero cantare delle parole. Immediatamente il brano decollò e andò benissimo, mentre pochi minuti prima era un blob senza forma acquistò la sua pronuncia, la sua inflessione vera. Ogni nota va quindi “vissuta” dal punto di vista della pronuncia melodica che insieme all’aspetto timbrico risultano parametri percettivi fondamentali per la tenuta narrativa di un brano. Fabio Vacchi_____________________ Fabio Vacchi nasce a Bologna nel 1949. Studia con Giacomo Manzoni e Tito Gotti nel conservatorio della sua città, perfezionandosi poi negli Usa, a Tanglewood, dove vince il Koussewitzky Prize in Composition. L’esordio italiano avviene nel 1975, alla Biennale Musica di Venezia. Fin dall’anno successivo i primi premi, con la vittoria al concorso olandese Gaudeamus che laurea Les soupirs de Geneviève per 11 archi solisti. Da allora la sua musica gode di sempre maggiore circolazione e, specie a partire dall’inizio degli anni Novanta, il successo e la fama crescono fino al punto di collocarlo tra i compositori più affermati dell’attuale panorama musicale. Tappe importanti della sua carriera sono il debutto al Maggio Fiorentino (1982) con Girotondo, opera in due atti su libretto tratto da Schnitzler alla quale sono seguite, negli anni ’90, Il viaggio, La station thermale, allestita anche alla Scala, Les oiseaux de passage e, nel 2003, Il letto della Storia (libretto di Franco Marcoaldi e regia di Giorgio Barberio Corsetti), per la quale Vacchi ha ricevuto il premio Franco Abbiati della Critica Musicale Italiana alla miglior novità dell’anno. Da sempre attento ai fermenti artistici e, più largamente, culturali e sociali della contemporaneità, Fabio Vacchi ha collaborato con alcune delle penne più interessanti del secondo Novecento, da Tonino Guerra a Giuseppe Pontigia, che negli anni ’90 hanno scritto per lui, fino alle più recenti collaborazioni con Michele Serra e Franco Marcoaldi, autori dei libretti di alcune opere dell’ultimo decennio. Dal sodalizio con Marcoaldi sono nati anche Terra comune (con cui Vacchi è stato chiamato da Luciano Berio a inaugurare l’auditorium Parco della Musica di Roma nel 2002) e Tre Veglie (1998), commissionatogli dal Festival di Salisburgo. Sempre a Salisburgo, nell’ambito delle celebrazioni mozartiane del 2006, la prima assoluta de La giusta armonia, melologo per voce recitante e orchestra interpretato dai Wiener Philharmoniker guidati da Riccardo Muti che, insieme a Abbado, Berio, Chailly, Chung, Harding, Marriner, Mehta e Pappano – per citarne alcuni – ha più volte diretto, negli anni, musiche di Fabio Vacchi. È accademico effettivo dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e membro onorario dell’Accademia Filarmonica di Bologna. compositorE 23 appunti su Dona nobis pacem di fabio vacchi di Luca Marcossi Se a un primo sguardo Dona nobis pacem (1994), doppio coro composto da Fabio Vacchi a partire da tre soggetti della Missa “In illo tempore” di Monteverdi, potrebbe sembrare un semplice pezzo “in stile”, a un’analisi più attenta risulta essere molto di più che un divertissement. L’opera originale di Monteverdi, la Missa da cappella a sei voci fatta sopra il motetto “In Illo Tempore” del Gomberti è a sua volta un lavoro, per così dire, in stile. Monteverdi infatti la scrisse nel 1610, mentre tentava di separarsi dalla corte del duca di Mantova, cercando di dimostrare sua maestria contrappuntisica al papa Paolo V nella speranza di ricevere un incarico. La messa infatti, diversamente dai coevi Vespri della Beata Vergine è scritta nello “stile antico”, ritenuto all’epoca arcaico e conservatore, di Palestrina. Anche la scelta di comporre per 6 voci in un periodo in cui 4 erano la norma (persino le composizioni dello stesso Palestrina venivano ridotte) va interpretata in tal senso. Come modello per la messa il compositore mantovano prende a prestito 10 soggetti dal motetto In illo Tempore di Nicolas Gombert (ca. 1495 - ca. 1560) compositore fiammingo probabilmente allievo di Josquin Des Prez. Lo stile è un’entità molto complessa che investe tutti i possibili parametri di organizzazione del discorso musicale: basta alterarne uno per sfalsare l’effetto finale, soprattutto se il parametro non è (apparentemente) secondario come potrebbe essere la forma o il fraseggio, bensì lampante come l’armonia. In questo brano, se da un lato la vocalità rimane grosso modo quella del modello di riferimento, non identificabile in un particolare compositore quanto piuttosto in una concezione astratta della polifonia sacra del XV - XVI secolo (i Gabrieli, Josquin, Gombert, Palestrina e Monteverdi) non è del tutto un caso che il brano sia stato composto a Venezia, patria natia dei cori battenti. Dall’altro la componente armonica segna una grande distanza col passato, il brano infatti pur muovendosi senza eccezioni su di un campo armonico diatonico (la scala di do maggiore) è costruito in modo tale da non avere nessun nesso (o quasi) con l’armonia tonale/modale di base. In un contesto rinascimentale o di primo periodo barocco avremmo una serie di linee le cui verticalità, private degli arricchimenti melodici e armonici dei vari abbellimenti, note di passaggio, appoggiature e ritardi darebbero sempre come risultato delle triadi o al massimo degli accordi di settima: qui la somma delle note tende sempre a dare la totalità delle note della scala, senza privilegiarne alcuna. Ovviamente trattandosi di un campo armonico diatonico, il grado di dissonanza non potrà risultare aspro oltre un certo grado, allo stesso modo la consonanza non sarà mai pura. Non va dimenticato come la consonanza sia una categoria di definizione pertinente all’acustica, non alla psicologia dell’ascolto. Il fatto che il nostro orecchio sia ormai abituato a considerare come Corte interna del conservatorio di Bologna. 24 piacevoli e appaganti accordi molto complessi, per non arrivare a esempi estremi come i vastissimi cluster cromatici in pppp che impiega Ligeti in Atmosphéres (1961), non deve trarci in inganno né permetterci di dichiararli consonanti (in senso stretto). La dissonanza secondo l’acustica non è altro che una relazione tra due note poste in un rapporto complesso tra le due frequenze. Un discorso diverso semmai deve essere fatto sulla “dissonanza”, intendendo il termine dal punto di vista strettamente musicale/compositivo. Da questo punto di vista infatti, si tratta di una relazione tra due note che fin dagli albori della musica polifonica ha necessitato di chiare regolamentazioni sui modi e i luoghi in cui veniva impiegata (preparazione/risoluzione; inizio/fine del brano, cadenze). Inoltre è sempre stata un mezzo per definire il gusto delle epoche che si sono susseguite, basti ricordare quanti “scandali” risultano indissolubilmente legati alla plateale rottura di queste convenzioni da parte di compositori in evidente anticipo sui tempi, solo per citarne alcuni: Beethoven, Prima Sinfonia (1800); Richard Wagner, Tristan und Isolde (1856-59); Igor Stravinskij, Le Sacre du Printemps (1913). La cosa più importante insita nel concetto di dissonanza è la necessità di movimento insita implicitamente nell’idea di instabilità, di situazione passeggera, che secondo Vacchi è il punto focale della polifonia stessa. Venendo a mancare qui un legame ritmico in relazione alla dissonanza e vista la costante presenza delle sette note nel tessuto polifonico troviamo più opportuno in questo contesto parlare di “assonanza”, termine più rappresentativo di questa piacevole convivenza tra le note del campo armonico. Vacchi infatti concepisce l’insieme della trama contrappuntistica come una sorta di cluster vibrante che rende perfettamente l’idea di una trama molto fitta di linee indipendenti in cui non c’è nessun ordine gerarchico tra di esse né tantomeno tra le note del campo armonico. Questa concezione armonica è comune a tutte le composizioni di Vacchi, in cui, anche in presenza di campi armonici piuttosto ristretti, vige sempre il criterio di presenza simultanea di tutte le note del campo armonico e della mancanza di ordine gerarchico tra di esse. Dal punto di vista dell’ascolto, è chiaro come la mancanza di punti di aggregazione armonica di riferimento o comunque riconoscibili dall’ascoltatore tenda a focalizzare l’ascolto esclusivamente sulla dimensione orizzontale, melodica, portando la dimensione verticale a essere avvertita come una sovrapposizione più o meno densa di strati rendendo le linee il più possibile prive di relazione tra di loro. Per enfatizzare ulteriormente questo effetto, Vacchi compone le linee in contrappunto ai soggetti farcendole di spunti imitativi così da annullare la preminenza del profilo melodico del soggetto, che finisce così per confondersi tra i suoi simili, “un uomo tra altri uomini”. Per questo motivo e per gli altri precedentemente elencati è la melodia stessa a essere polifonica, acquisisce senso musicale in relazione alle sue controparti, è un “canto corale” nel vero senso della parola. Passando ad analizzare la forma del brano, sì noterà come allo stesso modo essa venga percepita come un susseguirsi di blocchi contrappuntistici dotati di una propria fisionomia, dipendente dal modo in cui sono costruiti quelli che il compositore bolognese chiama “temi reticolari”. La totalità di questo brano è costruita utilizzando fino in fondo tutte le possibilità combinatorie di queste strutture semplici e complesse al tempo stesso. In breve, si tratta di vere e proprie griglie di breve durata, solitamente di 1-2 battute, composte di una sovrapposizione verticale di un numero solitamente elevato di cellule (almeno 4, in questo brano invece sono sempre 8) che possono essere disposte in qualsiasi ordine, sempre rispettando le verticalità stabilite dalle colonne. La forza costruttiva di questo sistema sta nella propria “giocosa” qualità di permettere la costruzione di linee orizzontali con grande libertà, semplicemente accostando le cellule l’una all’altra e sovrapponendovi altre linee costruite similmente (che devono comunque rispettare le verticalità dei temi). Ulteriore mobilità viene data dalla possibilità di trasporre l’intera griglia sia cromaticamente che diatonicamente, stratagemma quest’ultimo largamente utilizzato nella prima parte del brano (pagg. 1-6), in cui vediamo costantemente alternarsi una griglia per il soggetto e un’altra per la risposta, con lievi differenze nel profilo intervallare che mirano a imitare il principio della “mutazione” della risposta. È altresì possibile inserire veri e propri temi all’interno della griglia, sempre a condizione che i frammenti di cui sono composti siano tra loro in contrappunto rivoltabile. Siamo quindi in un’ottica compositiva che pone sullo stesso piano armonia e melodia, verticale e orizzontale. Guardando il brano da lontano, si noterà come esso presenti una serie di esposizioni dei blocchi contrappuntistici costruiti sui frammenti monteverdiani senza che essi entrino mai in relazione l’uno con l’altro, ma il fatto che contengano notevoli elementi di somiglianza li fa risultare all’ascolto quasi come delle variazioni, delle metamorfosi di un’idea comune. I tre soggetti utilizzati da Vacchi sono piuttosto simili dal punto di vista melodico: Ma da come si evince guardando i modelli astratti delle griglie tematiche, è la forma di quest’ultime a sancire in ultima analisi il risultato fonico. compositorE 25 brano di Vacchi il numero delle parti in gioco è sottoposto a costante variazione; guardiamo nel dettaglio le prime 40 battute: Il finale del brano differisce sostanzialmente dal resto per quel che riguarda l’utilizzo del tema reticolare. Utilizzando un procedimento molto frequente nella musica rinascimentale e barocca, Vacchi sottopone il terzo soggetto a un costante aggravamento, arrivando a quadruplicarne la durata, limitandosi nel finale a utilizzare le ultime due note (della durata di 4/2 ciascuna, alle battute 147-170). A questo progressivo rallentamento della parte principale corrisponde una costante variazione delle altre parti melodiche che risultano, con l’avvicinarsi del finale, sempre più fiorite e perciò sempre più fuse l’una nell’altra, creando così un effetto di grande crescendo di tensione che culmina nel ff di battuta 163, dopo il quale un diminuendo ci porta fino al pp di battuta 170 (senza però diminuire nel numero delle parti), sul quale si innestano i 4 accordi delle ultime battute, i quali creano un forte senso di chiusura sia per l’arresto del movimento ritmico/melodico sia per l’effetto cadenzale ottenuto passando dalle sette note del primo accordo alle sei dell’ultimo (manca il fa) passando per disposizioni accordali progressivamente meno dissonanti e di registro più ristretto. Semplicemente considerandone la lunghezza, si noterà come il primo soggetto non potrà che risultare più frammentato degli altri, anche per la mancanza, nell’effettiva realizzazione della griglia, di una versione univoca nella successione orizzontale delle cellule. Confrontiamo ad esempio con il tema del “divertimento” alle battute 105-120, una lunga frase di 8 battute sottoposta a un canone alla terza discendente sviluppato in maniera rigorosa. Nonostante il carattere molto articolato del tema in questione, non potrà che risultare molto più lineare. La varietà del brano, oltre che dalle differenze tra i soggetti e il modo in cui sono trattati, è assicurata dalla presenza non costante di passi a 8 voci, diversamente dall’opera di Monteverdi in cui le 6 voci (7 nel finale) cantano quasi senza interruzione. Nel 26 analisi di memoria italiana di fabio vacchi di Luca Marcossi MAGGIO DELLE RAGAZZE Quasi a stabilire un ponte con il precedente Dona nobis pacem (1994) per doppio coro, ci troviamo qui di fronte a un brano che presenta fortissime affinità con la polifonia rinascimentale di scuola fiamminga (Des Prez) o romana (Palestrina). Il compositore, lungi dal negare queste parentele, guarda a esse con una certa ironia affermando che, in sostanza, le tecniche da lui utilizzate non differiscono sostanzialmente da quelle dei compositori cinquecenteschi. Sempre in questo spirito la vocalità qui utilizzata è decisamente più classica, lineare rispetto agli altri brani, questo anche perché la melodia originale, proveniente dagli Appennini toscoemiliani, è in lingua aulica, cioè in italiano. Nel dettaglio il brano non è altro che un canone isoritmico (o mensurale) sviluppato rigorosamente, salvo alcune eccezioni riguardanti le pause tra una frase e l’altra o tra le ripetizioni delle strofe. Il tema non subisce modificazione alcuna riguardo agli intervalli né tantomeno viene sottoposto a procedimenti contrappuntistici quali inversione o retrogrado, le voci si limitano a scorrere l’una sull’altra “misurando” il tempo in maniera diversa, annullando così la propulsione ritmica e il ritmo ternario della melodia originale. Di conseguenza alla figura ritmica di base (semiminima, semiminima puntata, minima o minima puntata), il piede diviene quindi di ½ battuta, ¾ di battuta, 1 battuta o 1 battuta e ½. La melodia è in modo dorico, cantata sulla scala di sol da baritono e controtenore e su quella di do dai due tenori (parti interne). Le quattro entrate del canone seguono l’alternanza “dominante-tonica” e sono pensate di modo che la nuova voce si innesti sempre su di un unisono della precedente, partendo dai valori più lenti affidati alle voci più gravi per arrivare a quelli più veloci affidati alle voci più acute. Le voci si muovono sempre all’interno della stessa modalità, ripetendo ciascuna il tema e variandone solamente il valore ritmico di base (vedi es.) Va notato come le due voci superiori, più scorrevoli, ripetano la melodia quattro volte (l’ultima volta ripetendo il testo della prima strofa) mentre le voci più gravi solo tre volte, il tutto perché il tema aggravato alla minima puntata compare solo al secondo tenore e al baritono. anche nella seconda parte del brano (batt. 27 ca. - 58) ma viene invertito nelle due coppie delle voci superiori e inferiori; – le quattro velocità sono sempre presenti e non ci sono mai due voci con lo stesso aggravamento, tranne che alle battute 41-45 in cui controtenore e baritono procedono con lo stesso ritmo. Si tratta quindi della parte più lenta dell’intero brano, venendo qui a mancare il tema “alla semiminima”. La presenza del tema “alla semiminima” risulta essere il maggiore punto di interesse per la comprensione del brano principalmente grazie alla sua velocità, Dato il carattere chiaro della forma del brano, questo modello costituisce qualcosa di più di un semplice schema riassuntivo, basta confrontarlo con la partitura per realizzare come di fatto esso contenga, in forma sintetica e pur mancante di molti dettagli alquanto vitali, una gran parte delle informazioni necessarie per costruire il pezzo; inoltre ci permette di guardare alla forma da una distanza tale da cogliere alcune simmetrie: – il tema aggravato alla minima puntata è presente solamente due volte; – il tema “alla semiminima” è presente una volta sola per ogni voce, a differenza della versione alla semiminima puntata, presente due volte sia al controtenore che al tenore primo; – al fine di mantenere costanti gli intrecci armonici durante il brano, l’ordine delle mensurazioni è identico che lo rende molto più evidente rispetto agli altri, rendendo molto più chiaro sia il ritmo originale della melodia sia il testo. Oltre a ciò, la sua presenza in punti strategici sia del tessuto musicale che della forma contribuisce a rendere vivo il brano, ad esempio si può notare come sia presente al controtenore soltanto a battuta 32, poco dopo l’inizio della seconda parte del brano, mentre la volta successiva è a battuta 46, esposto dal baritono, il quale intona la seconda frase all’ottava inferiore (batt. 50) rispetto a come la rendono le altre voci (che sfruttano il picco acuto sul sesto grado maggiore per dare lucentezza alla linea melodica) dando una netta sensazione di chiusura a battuta 54, sulla quale il controtenore e tenore primo sembrano adagiarsi lasciando esaurire i propri versi nella coda finale. compositorE 27 maggiore o minore. Non c’è alcun criterio nella sequenza delle triadi se non la sua stessa assenza o quello di non-ripetizione, o entrambi. Si noti infatti come in presenza di due note ripetute a breve distanza esse vengano armonizzate sia con delle triadi diverse (battuta 5, melodia: la - si - la - si armonizzata con re min - si magg – fa magg - sim) sia con la medesima triade ripetuta (subito dopo a battuta 6, dove i la della melodia sono sempre armonizzati con re minore). Un’ulteriore costante nel brano è la presenza, nelle cadenze alla fine delle frasi, del medesimo tipo di accordo (seconda maggiore, quarta giusta, quinta giusta) che, essendo nettamente più consonante degli accordi precedente, ha una funzione assimilabile a quella della tonica. SURFARARA Brano a carattere rapsodico, ritmicamente molto libero (l’unico brano della raccolta a non avere battute vere e proprie), che lascia ampio sfogo alle qualità liriche del controtenore, qui praticamente in veste di solista. Come nel brano precedente, la melodia viene esposta più volte con differenti abbellimenti e fioriture mantenendo salda una struttura di base, un modello originale che non ci è dato conoscere (si può comunque provare a dedurlo a partire dal semplice dato acustico, vedi es). La melodia qui presentata infatti è una trascrizione il più fedele possibile dalla registrazione di Alan Lomax di questo canto di solfatara proveniente dalla Sicilia. ALLA CAMPAGNOLA In netto contrasto con il precedente, in questo brano la polifonia è quasi assente. La melodia infatti viene esposta tre volte, ogni volta con un’intonazione leggermente diversa sia dal punto di vista del ritmo che da quello dell’utilizzo degli abbellimenti. Lo stile vocale è tendenzialmente sillabico ed omoritmico, con saltuari melismi, mentre il testo è sempre cantato contemporaneamente dalle quattro voci, assicurandone la piena comprensibilità. La linea melodica principale è in tono di re maggiore e consta di due frasi principali, la prima con movimento dalla tonica alla dominante, la seconda dalla dominante alla tonica, con un’ulteriore cadenza discendente al settimo grado naturale. Il carattere tonale della melodia viene costantemente contraddetto e arricchito dalle altre tre voci: il baritono segue un movimento grosso modo cromatico-ascendente, che evita sistematicamente ogni rapporto di unisono o di ottava con le parti superiori a partire da un rapporto di quarta con la melodia per chiudere con un rapporto di quinta, mentre le parti interne seguono due logiche distinte sottese alla loro costruzione, nessuna delle quali avente niente a che fare con delle scale. La prima implica un’imitazione per moto retto della parte superiore, la seconda richiede che la somma delle tre parti superiori concorra sempre a formare una triade La scala utilizzata è grosso modo quella di fa minore melodica, vista la tendenza a salire utilizzando il mi naturale e a scendere con il mi bemolle. Bisogna notare però come le due note principali della scala siano do e sol, e come il re manchi completamente durante il movimento ascendente. Le altre tre voci sostengono la melodia con accordi-pedali sulla vocale del solista, i quali divengono via via più complessi man mano che il brano prosegue. Si notino, sempre nelle voci inferiori, le frequenti oscillazioni cromatiche che deviano dalla scala della melodia principale, il cui valore sembra essere più timbrico che armonico, quasi come se fossero delle deviazioni di intonazione su di un accordo statico, per arricchirne il colore. IL GLICINE Il brano comincia con il richiamo dei pescatori di pesce spada di Messina (da confrontare con la parte centrale dell’ultimo brano, incentrata sulla medesima melodia), intonato prima dal tenore e poi ripetuto in eco dal baritono. È improprio definire 28 ripetizioni queste due frasi, si tratta piuttosto di due diverse realizzazioni dello stesso modello di base: un glissando cromatico molto graduale tra due note a distanza di semitono, le quali vengono reiterate più volte sempre con diversi abbellimenti (anche qui un termine improprio, si tratta piuttosto di modi di intonazione diversi, colpi di glottide, sforzati, minimi glissandi di semitono sul battere, oppure note volutamente “stonate” a fini espressivi) il tutto insieme a un diminuendo molto marcato che porta la melodia dal forte iniziale al pianissimo finale. Le prime due frasi rappresentano il materiale di base su cui si sviluppa il brano: le cellule dell’urlo di richiamo vengono infatti frammentate e disposte su quattro voci secondo la tecnica spesso usata da Vacchi del tema reticolare (vedi articolo su Dona nobis pacem): si tratta, in breve, di una griglia piuttosto breve (qui è formata di 3 battute di 2/4) a 4 voci, la cui disposizione verticale può essere liberamente variata a seconda delle necessità melodiche. mentre il registro scende gradualmente di un’ottava con le stesse modalità della melodia di riferimento, questo perché tutte le linee di questo fittissimo contrappunto sono costruite in maniera non dissimile da quella del canto. Si tratta quindi per tutte le voci di un ostinato reiterare la stessa nota, sempre con diversi attacchi, scendendo gradualmente di semitono fino alla fine del brano. L’affinità di questo brano con l’ultimo della raccolta (la cartomante) non è rappresentata soltanto dalla presenza del canto di pescatori, ma anche dall’utilizzo di un testo letterario (in entrambi i casi di Franco Marcoaldi) in opposizione ai testi di tradizione popolare degli altri quattro brani. Il procedere dell’intero brano rispecchia su larga scala la forma della melodia principale. La seconda parte del brano inizia (batt. 11) in fortissimo per terminare a battuta 29 in pianissimo mediante un criterio compositivo in “negativo”. A partire da questo materiale di base infatti, paragonabile a un blocco di marmo, il brano acquista vitalità espressiva mediante una serie di sottrazioni/estrazioni che ne lasciano trasparire solo le parti funzionali allo svolgimento musicale, dando forma a un materiale altrimenti inerte. Allo stesso procedimento viene sottoposto anche il testo, presente sotto forma di frammenti sparsi in tutte le voci, i quali seguono però l’ordine del testo U PISARI Quello che all’apparenza sembrerebbe essere un brano in stile imitativo, quasi un’invenzione a quattro voci, in cui le parti in gioco si rincorrono presentando varianti della stessa melodia (un canto cosiddetto di sdegno proveniente dalla Sicilia), è in realtà una complessa costruzione isoritmica. Il tema originale, presente oltre che nella sua forma originale (la prima a comparire, al controtenore) nella sua forma inversa, retrogradata e nel retrogrado dell’inversione, viene anche sottoposto ad aggravamenti, il tutto per generare un tessuto molto denso la cui natura statica viene evitata dal compositore originale. Il brano termina con una breve codetta sull’ultimo verso del testo (battute 128-132), qui pronunciato in omoritmia dalle 4 voci in un movimento discendente a imitazione della prima frase della melodia, la frase è costruita su delle armonie veloci che donano una carattere sfuggente e mutevole a quest’ultima parte. LA CARTOMANTE Il brano consta di tre sezioni (A - B - A’) più una breve coda conclusiva. Tratto comune è la costante presenza della linea melodica principale al controtenore, sostenuta in modo sempre diverso dal terzetto (baritono e due tenori) con triadi veloci. Nonostante il parziale raddoppio, la voce si staglia sempre a causa del registro più acuto, la dinamica più forte e la presenza di un ritmo ternario molto netto, di andamento popolare. Il brano è caratterizzato da una scrittura all’apparenza molto densa a 4 parti, in cui la voce superiore, affidata al controtenore, presenta una linea melodica in netto contrasto (principalmente ritmico) con le parti sottostanti, i cui frammenti melodici sono sempre presenti, un’ottava sotto, nel brusio materico delle altre tre voci. Queste ultime invece offrono un movimento magmatico di linee cromatiche molto legate tra loro ma in cui permane la necessità per l’autore di rendere il testo intelligibile, vista la costante sincronia nel cambio delle sillabe, che avviene sempre sul battere della battuta. Il testo della parte di “accompagnamento” (nonostante la complessità della scrittura) rappresenta una selezione del testo di Marcoaldi, quasi a voler sottolineare alcune parti della versione integrale, cantata dal solista. Molto delicato l’equilibrio consonanzadissonanza, perché se da un lato guardando l’orizzontalità delle linee si evince una texture che potrebbe ricordare per certi versi la micropolifonia ligetiana, dall’altro si può notare come le verticalità sulle semicrome risultino sempre essere delle compositorE 29 triadi che, data l’elevata velocità, non possono essere avvertite singolarmente ma il cui colore permane sotto forma di timbro. La bellezza e forza del passo in questione risiede comunque nel suo essere ambiguo, sempre in bilico tra rumore e polifonia, nel suo essere al tempo stesso una cosa e l’altra e nessuna delle due. L’effetto quasi descrittivo, come di onde e di fruscii ottenuto dall’applicazione di questa scrittura ad armonia veloce applicata alle voci si trova in sintonia sia con il testo sia con la tipologia vocale del solista, che anche qui presenta forti affinità con la musica popolare. Le prime due frasi vengono ritornellate, necessità molto forte in rapporto alla velocità del brano (le prime 16 battute che formano la prima frase durano appena 8”). L’andamento cromatico della parte superiore si fonde sempre con una delle parti inferiori raddoppiandola all’ottava superiore. Sebbene il ritmo risulti sempre diverso con una conseguente divergenza di carattere, questa presenza costante delle stesse note dona indubbiamente una forte coerenza all’intero passo. Dato l’andamento privo di salti delle voci inferiori per gran parte del brano, ogni qual volta la melodia superiore compie un salto (almeno di terza minore) lo fa appoggiandosi sulle note di una delle altre due voci sottostanti, procedimento molto evidente alle battute 36-42. Le selezioni dei versi esposte all’inizio al ritmo di una sillaba per battuta sono qui reiterate ossessivamente al ritmo di una sillaba per ogni sedicesimo (quattro volte più veloce) creando così l’illusione acustica che adesso sia l’accompagnamento a essere più veloce della parte melodica. Nella coda finale (batt. 167 - fine del brano) si possono notare alcune raffinatezze di scrittura. Nell’accompagnamento viene abbandonata la sincronia del testo che diventa così puro materiale fonico, la cui comprensione non è più un vincolo per la composizione. I sei micro-versi estratti dalla poesia di Marcoaldi vengono sovrapposti a se stessi e divisi in due gruppi in base al senso (marinaio - belladonna - impiccato e d’adulterio - accusata condannata). Da notare inoltre come i tre micro-versi siano sempre presenti in tutte e tre le voci e, per aggiungere un ulteriore elemento di variazione, le singole parole non siano mai ripetute dalla stessa voce seguendo un semplice sistema combinatorio ad alternanza. La melodia della voce, similmente a quanto accaduto prima, si appoggia “armonicamente” sulle note di una delle tre voci sottostanti di battuta in battuta, questa volta invertendone l’ordine, aggiungendo un ulteriore elemento di dissonanza. La parte centrale risulta essere più distesa rispetto alle parti estreme per una serie di fattori tra cui: – il progressivo aggravarsi dei valori ritmici sia della voce principale1 che dell’accompagnamento; – il diminuendo generale che ci porta dal precedente mf a un generale pianissimo punteggiato a tratti da singole battute in mf; – la dilatazione dei tempi di pronuncia delle parole con il conseguente ammorbidimento del ritmo, una volta venuto a mancare il considerevole apporto timbrico dato dalle consonanti. Questo processo distensivo risulta essere tanto più efficace in rapporto con la ripresa seguente, sensibilmente più breve (le due frasi melodiche vengono eseguite solo una volta e senza soluzione di continuità), mentre l’accompagnamento subisce una trasformazione tanto semplice quanto efficace, pur rimanendo intatta la struttura sia armonica che ritmica, alle note tenute della prima sezione si sostituiscono qui dei sedicesimi ribattuti, dando una sensazione di velocità nettamente superiore a quella dell’inizio. Come per la parte mediana, i transitori d’attacco delle consonanti hanno anche qui un’importanza fondamentale. L’ultima codetta (batt. 188-191) interrompe bruscamente il processo di frammentazione delle battute precedenti troncando la melodia prima che si completi la parola “condannata” su di un vocalizzo ascendente-discendente sulla parola “marinaio”, sulla quale per un attimo il gioco di triadi concatenate per false relazioni diventa trasparente lasciando emergere finalmente il campo armonico sottostante, in modo non dissimile dall’effetto che si ha guardando una girandola che, mentre rallenta, lascia intravvedere i colori dell’iride con i quali è dipinta. Il campo armonico in questione, molto caro al compositore bolognese, elemento portante di molti lavori quali Dai Calanchi di Sabbiuno (1995) o Notturno Concertante (1994) è presente implicitamente in tutto il brano per via del modo in cui le triadi veloci sono concatenate tra di loro. 30 Come si può facilmente notare, il movimento per triadi veloci scorre internamente a tutto il brano e risulta essere costruito come una progressione infinita. Ora, secondo i dettami della psicologia dell’ascolto, un brano basato unicamente su di una sola progressione dovrebbe essere di una noia mortale, ma cosa accade dunque in questa sede tale da ovviare a questo effetto? Ogni progressione è per sua stessa definizione “statica”, è portatrice dunque di elementi che già a un primo, superficiale ascolto la rendono prevedibile, stabile, avente quindi in un contesto tonale una funzione distensiva nell’ambito del discorso musicale, sempre a causa di quell’univoca direzione. Venendo a mancare un contesto in cui la progressione costituisca una sospensione, un’eccezione all’insieme di convenzioni costituenti il discorso musicale, essa finisce col diventarne fondamento stesso. Più chiaramente, in un sistema tonale quella che possiamo provare a chiamare “norma” è, dal punto di vista armonico, una sequenza di fondamentali (intese come funzioni) in cui statisticamente sono presenti una certa alternanza tra tonica, dominante e sottodominante, schematizzabile grosso modo come una linea zigzagante dove in verticale vediamo disposte le regioni tonali2 e in orizzontale lo scorrere del tempo musicale. Una progressione invece è più simile a un andamento rettilineo, più o meno inclinato rispetto all’ “asse” della tonalità di impianto ed è tanto più chiaramente percepibile se le altre parti del discorso assecondano quest’andamento. Nel brano di Vacchi invece, venendo a mancare il punto di riferimento, la linea della progressione, per quanto potesse risultare inclinata, in queste circostanze risulterà invariabilmente equiparata a una linea orizzontale, come se fosse statica, si innalza quindi a norma essa stessa e assume una funzione simile a quella di tonica, di punto di riferimento. In un contesto in cui non esistono singoli accordi percepibili come tali, la percezione del fenomeno sonoro si ritrova obbligata a orientare nuovamente i propri parametri su di un criterio più ampio, arrivando a percepire un’intera progressione come un’univoca entità armonica. 1. Qui assume il carattere di richiamo/segnale, insistendo su di un gruppo ristretto di altezze collegate tra loro da glissandi cromatici discendenti, un altro riferimento esplicito ai canti dei pescatori di pesce spada che abbiamo già sentito nel quarto brano. 2. Ovviamente in base al periodo storico questo grafico prenderà forma diversa in funzione della porzione di brano presa in esame, considerando l’armonia all’interno delle frasi oppure di sezioni intere. compositorE 31 Composizioni di Fabio Vacchi Opere liriche in cui appare il coro Il Viaggio (1990), opera in 2 atti, libretto di Tonino Guerra (commissione del Teatro Comunale di Bologna) La madre del mostro (2007), libretto di Michele Serra (commissione dell’Accademia Musicale Chigiana) Teneke (2007), opera in tre atti, libretto di Franco Marcoaldi su soggetto di Yashar Kemal (commissione del Teatro alla Scala di Milano) Musiche corali Ecce Sacerdos, Sacerdos Dei beati Petroni (1990), per doppio coro (commissione per i 600 anni della Basilica di San Petronio a Bologna) Dona nobis pacem (1994), per doppio coro su tre soggetti di Claudio Monteverdi dalla Missa in illo tempore Sacer sanctus (1997), cantata per coro misto ed ensemble, testo di Giuseppe Pontiggia Terra comune (2002) per coro e orchestra, testo di Franco Marcoaldi (commissione dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia in occasione dell’inaugurazione dell’Auditorium Parco della Musica di Roma) Memoria italiana (2003) per quattro voci, testi di Franco Marcoaldi (commissione del Festival delle Nazioni di Città di Castello) Voce d’altra voce (2005) per due voci recitanti, coro e orchestra su frammento del Cantico dei Cantici tradotto in arabo, ebraico e friulano (commissione del Mittelfest di Cividale del Friuli) Musiche vocali Ballade (1978) per soprano e orchestra da camera, testo di William Butler Yeats Continuo (1979) per soprano e strumenti, testo di Dino Campana Scherzo (1979) per soprano e orchestra da camera, testo di Tonino Guerra Arietta Pensiero non darti (1980) per flauto e soprano o anche per flauto solo dall’opera Girotondo Grande Aria A guardar (1981) per soprano e strumenti dall’opera Girotondo Trois visions de Geneviève (1981) per 11 archi solisti con una voce bianca Mignon (über die Sehnsucht) (1995) per canto e pianoforte, testo di Johann Wolfgang Goethe Briefe Büchners (1996), sei lieder per baritono, clarinetto basso e pianoforte su frammenti dalle lettere di Georg Büchner (commissione di Claudio Abbado e delle Berliner Festwochen) Io vorrei, superato ogni tremore (1998) per soprano ed ensemble, testo di Alda Merini (commissione del festival Milano Musica) Die neugeborne Ros’entzückt (1998) per soprano e orchestra Tre veglie (1999) per mezzosoprano, violoncello e orchestra, testo di Franco Marcoaldi (commissione del Festival di Salisburgo) La prima figura da sinistra (2000) per voce e clarinetto basso Io vorrei, superato ogni tremore (1998) per soprano ed ensemble, testo di Alda Merini (commissione del festival Milano Musica) Die neugeborne Ros’entzückt (1998) per soprano e orchestra Tre veglie (1999) per mezzosoprano, violoncello e orchestra, testo di Franco Marcoaldi (commissione del Festival di Salisburgo) La prima figura da sinistra (2000) per voce e clarinetto basso Canti di Benjaminovo (2003) per voce e quintetto d’archi, testi di Franco Marcoaldi (commissione del Boston Musica Viva Ensemble) Cjante (2004) per soprano e orchestra su frammento del Cantico dei Cantici tradotto in friulano (commissione del Mittelfest di Cividale del Friuli) Irini, Esselam, Shalom (2004) per voce, violino concertante e orchestra, testi a cura di Moni Ovadia (commissione dell’Orchestra Sinfonica di Milano G. Verdi) Noc’ (2004) per soprano e pianoforte, testo di Aleksandr Pus̆kin Mi chiamo Roberta (2006) per violino, violoncello, percussioni, pianoforte e due voci recitanti, testi di Aldo Nove (commissione e coproduzione del Mittelfest di Cividale del Friuli) La giusta armonia (2006) per voce recitante e orchestra, testo di Franz Heinrich Ziegenhagen (commissione del Festival di Salisburgo) Parla Persefone (2009) per clarinetto e clarinetto basso, violino, pianoforte, due voci recitanti e live electronics, testo di Aldo Nove (commissione della Fondazione Arnaldo Pomodoro) Prospero, o dell’armonia (2009), melologo da La tempesta di William Shakespeare per voce recitante e orchestra (commissione della Filarmonica della Scala) comporre in perfetta libertà comp La musica di Dalla Vecchia attraverso due mottetti per coro misto di Alessandro Kirschner è esperienza comune il provare un senso di smarrimento e di profonda meraviglia quando si ascolta un testo ben noto, magari recitato mille volte, ma ora vestito di musica. Comincia allora un’avventura emozionale che può trasformare una parola, un pensiero, in un volo purissimo o, al contrario, un semplice verso in un abisso di solitudine. è il potere della musica, quello di andare al cuore delle emozioni rendendole finalmente manifeste. Quando poi il compositore è un uomo di grande talento, di infinita creatività e di profonda fede come Wolfango Dalla Vecchia, il risultato che si ottiene può essere una sorta nova et vetera di icona sonora, un’immagine che racchiude in sé la doppia percezione spazio-temporale, specchio del mistero divino. Nella vasta produzione di Dalla Vecchia non è raro incontrare brani per coro, scritti per ogni tipo di organico e di assai diversa difficoltà esecutiva,1 spaziando da composizioni destinate alla liturgia a quelle concertistiche. Tuttavia in questo vasto corpus difficilmente si possono trovare chiari elementi comuni tra un brano e l’altro. Come racconta il compositore stesso, ogni brano inizia a prendere forma da una intuizione e poi, dopo una fase intensa di progettazione, «si inventa un oggetto musicale diverso da tutti i precedenti operando in perfetta libertà».2 Ecco perché la sua musica, da qualunque punto di vista la si prenda, ci stupisce sempre per la vivezza e l’autenticità della radice creativa, creando continuamente nuovi ponti tra il passato e il presente (dall’uso di arcaicismi, come clausole dell’Ars nova, alla musica elettronica), architettati da una grande conoscenza del fatto storico ed estetico. «Sono un uomo che ama il presente senza bisogno di odiare il passato: detesto tutto ciò che si picca di nascere dal nulla e un’arte déraciné dal passato mi sembra come una signora che, desiderando rammodernare la propria casa, si crede obbligata a buttare dalla finestra i mobili antichi. Inevitabile pertanto che, pensando così, finisca per essere classificato un eclettico e come tale guardato con sospetto dagli addetti ai lavori». Così nel 1994 in un programma di sala si autodefiniva il compositore padovano, forte di un’integrità intellettuale che gli consentì, tenendo coscientemente le distanze dalle coeve avanguardie europee, di percorrere itinerari personalissimi collocandosi al di là di ogni moda e ideologia. Riallacciandosi in questo all’esperienza strawinskiana, Dalla Vecchia optò per un cosciente eclettismo esplorando sin dagli esordi uno spettro vastissimo di soluzioni linguistiche. È dunque possibile tentare di descrivere l’opera corale di Wolfango Dalla Vecchia partendo da due «oggetti sonori diversi da tutti gli altri, nati in perfetta libertà»? Ci proveremo, sicuri che la bellezza di questi due piccoli mottetti possa far nascere curiosità verso il resto della sua produzione. 33 tuo seno, il dolce Figlio, Tu sai Madonna, lo smarrimento, / il vuoto senza fine / del nostro cuore, Tu che fosti l’Attesa / nella notte perduta senza Cielo, Tu che ogni lacrima / ogni nostro tormento puoi mutare in preghiera al tuo Gesù, Madre della Vita / Madre nostra Maria, Prega per noi / prega per noi / prega per noi. Amen Il testo qui riportato rispetta già la suddivisione episodica scelta dal compositore. La partitura si presenta con una scrittura senza battute, esistono tuttavia delle stanghette tratteggiate che delimitano un ambito di frase più o meno lungo e il relativo contesto armonico. Come nella lauda antica, l’andamento musicale è in stretta connessione con le sillabe del testo, anzi per la maggior parte dei casi le singole armonie si identificano con le parole stesse. Il melos asseconda la carica emotiva della parola apparentemente annullando la sua autonomia strutturale. In realtà i vertici della melodia, posti su parole particolarmente significative quali “amore”, “lacrima”, “Maria”, vanno a delineare un contorno melodico d’ampio respiro, segno di una struttura musicale autonoma e coerente che può esistere persino indipendentemente dal testo.3 L’indicazione di andamento (Largo, con libertà) seguita dal simbolo del tempo suggerisce, in ogni caso, una pulsazione in semiminime che va a determinare il ritmo iniziale di quasi tutti gli episodi: l’ictus anacrusico, o meglio ancora acefalo che, con la sua pausa iniziale, suggerisce l’attesa e lo smarrimento invocato dal testo. Solamente verso il termine del brano, nel punto che corrisponde al vertice dinamico, la parola “Madre” viene gestita con un ritmo tetico: una sorta di scioglimento della tensione accumulata dall’inizio del brano. porre Lauda alla Madonna fu scritta nel 1973 inizialmente per soprano e organo e venne successivamente trascritta nel 1980 per coro misto a quattro voci. Non ci fu una vera e propria committenza: il brano nasce semplicemente per il desiderio di mettere in musica una poesia di una poetessa padovana, Evelina Bazzarello, che il compositore aveva conosciuto direttamente. Il testo è quello che potrebbe nascere da uno di quei rari momenti di grazia in cui, per un attimo, tutto sembra chiaro e finalmente salvifico. Lauda alla Madonna è un’accorata preghiera a Maria pregna di fervore mistico: Ave Maria Tu che detergi / divinamente Madre il nostro pianto se confidiamo in Te, / Tu luce della luce che sconfina al di là del Calvario, / al di là della notte… Tu che porgi, ostensorio d’amore / e di dolore, il frutto del Dal punto di vista armonico, il brano pur non avendo un’armatura in chiave, si presenta come gravitante a una modalità di mi eolio (scala minore naturale), conservato per i primi otto versi e riconfermato alla fine. A partire dalla parte centrale del brano si assiste a una progressiva acquisizione di 34 Note 1. Nel presentare una sua nuova opera per coro così Dalla Vecchia stesso descrive il proprio particolare rapporto verso la musica corale di ispirazione sacra: «Sono stato per molti anni organista all’Iglesia Nacional Argentina di Roma e successivamente nella Chiesa di san Nicolò di Padova, dirigendo i cori che vi prestavano servizio liturgico. Per il coro romano ho scritto negli anni 1948-50, (...) pezzi impegnativi sia dal lato compositivo che esecutivo, scritti quando la musica sacra doveva essere eseguita dal coro per l’edificazione e la gioia spirituale di un’assemblea che si raccoglieva in ascolto. A Padova il coro era inizialmente più modesto e i tempi erano quelli, molto diversi, del Vaticano II. Mons. Luigi Sola, il parroco (...) incoraggiava in tutti i modi me e il piccolo coro parrocchiale alla creazione e alla esecuzione di nuova musiche nello spirito degli indirizzi conciliari. Ho sempre voluto “tentare la materia” artistica per verificare in quali modi si potessero esprimere gli immutabili sentimenti religiosi della cristianità. (...) Rimango meravigliato per la grande varietà di stili che vi ho usato: fatto questo voluto in parte alla volontà di portare il coro alla capacità di eseguire musiche sempre più evolute e magari ardue, ma in parte anche al desiderio di “rifare il verso” agli autori del passato, rievocandone le immortali suggestioni. Un modo per arrivare a qualsiasi tipo di assemblea, di ascoltatore e di esecutore; ma soprattutto il bisogno di esprimere in tanti modi diversi l’unico amore di Dio che tutti ci affratella.» 2. Scrive Dalla Vecchia in uno dei suoi ultimi scritti: «Libertà nella sua realtà assoluta è un fatto intimamente interiore e personale che consente all’uomo di sottrarsi a ogni vincolo che si voglia imporre, anche contro le sue convinzioni e la sua volontà, anche in forma violenta e persecutoria». 3. Nel 1985 Lauda alla Madonna fu eseguita da I Solisti Veneti diretti da Claudio Scimone in una trascrizione (dell’autore) per sola orchestra d’archi. 4. Nel naturale procedere armonico si sarebbe potuto immaginare bemolli fino ad arrivare alla settima di quarta specie di re bemolle per poi tornare, più o meno urgentemente, alle armonie iniziali. Al di là del descrivere l’aderenza al testo dei singoli episodi, peraltro resa evidente dalla logica del percorso armonico e dei picchi melodici, può essere interessante sottolineare quelli che sono i mutamenti principali di questo percorso armonico. Il primo vertice melodico (rappresentato dalla nota mi) arriva sulla parola “amore”: il moto contrario tra basso e soprano porta le voci da una triade minore in stretta posizione di quinta a un ampliamento della posizione accordale fino ad arrivare a una triade maggiore con settima maggiore distribuita in due ottave e mezza (posizione particolarmente felice poiché va a evidenziare gli armonici naturali presenti nella fondamentale cantata dal basso. La settima maggiore cantata dai tenori servirà a sottolineare la consonanza delle altre voci). Con l’accordo successivo, distribuito su quasi tre ottave, massima distanza raggiunta nel pezzo tra le parti estreme, proprio sulle parole “e di dolore” comincia quel processo di acquisizione di bemolli. Questo mutamento di direzione è caratterizzato, oltre che dalla catabasi del soprano e il procedere di tutte le voci in un registro grave, dalla dissonanza di ottava aumentata del movimento discendente del basso che si accumula nella memoria di chi ascolta; inoltre è ancor più importante notare come in realtà il cambio di direzione armonica non costituisca una frattura, ma piuttosto evidenzi il doppio aspetto del Figlio “ostensorio d’amore e di dolore”. Il secondo picco melodico lo si trova al culmine di quel processo di “bemollizzazione” precedentemente descritto. Il mi (questa volta inevitabilmente bemolle, sensibile in senso lato) viene ripetuto insistentemente su ogni sillaba di “lacrima” con un accordo di settima di dominante che con cadenza d’inganno modulante4 intraprende il percorso armonico inverso che lentamente fa sparire tutte le alterazioni fino a “Gesù”, quando si rientra nel modo iniziale. Senza soluzione di continuità si arriva agli episodi finali: l’ultimo vertice melodico è riservato a “Maria”: il mi arriva dopo una permanenza sul re, con note di volta inferiori, quasi con un effetto catartico, approdo sereno dopo il viaggio armonico nova et vetera precedente. Il contesto armonico ricalca esattamente l’accordo del primo picco melodico: una settima di quarta specie sviluppata nella naturale posizione degli armonici. Successivamente con la triplice invocazione “prega per noi” si ristabilisce l’ictus acefalo che ha caratterizzato tutto il brano e, attraverso un procedere armonico dal sapore antico (IV-I, VI-VII, I-IV, V-I), si assiste a una progressiva limitazione dello sviluppo accordale verticale: tra le parti estreme dalla diciassettesima iniziale l’estensione si riduce fino ad arrivare a una quinta, tanto che lo sviluppo verso il grave delle voci maschili nell’accordo conclusivo dovrà essere inteso come una sorta di colore armonico rispetto all’unisono delle voci femminili. L’aver sottolineato in questa breve analisi la presenza di questi tre vertici melodici ci permette di sintetizzare la Lauda alla Madonna con lo schema che segue. Come si potrà facilmente notare il progetto compositivo è alimentato e vivificato da un’adesione personale del compositore al testo, vissuto come preghiera personale. Con l’acutezza che gli era propria, Carlo De Pirro, compositore, critico musicale, allievo di Dalla Vecchia, ha così descritto questo breve componimento: «Lauda alla Madonna appartiene a quelle composizioni che sembrano far 35 questa settima di dominante come appartenente a si bemolle minore, di conseguenza la cadenza d’inganno avrebbe dovuto portare a sol bemolle. 5. Carlo De Pirro, Omaggio a W. Dalla Vecchia programma di sala, 25 novembre 1988, Auditorium di Padova. 6. Esiste anche una versione, redatta dall’autore, per coro maschile eseguita, e successivamente anche incisa, dal coro Tre Pini di Padova diretto da Gianni Malatesta. 7. L’assenza del VII rende più vaga l’appartenenza modale del pezzo, determinando quel senso di indefinito che si ottiene al termine (si oscilla tra un modo misolidio e uno ionio di do o, meglio ancora, viene esplicitato l’esacordo naturale). 8. S. Ceccato, G. Zotto, G. Porzionato, Dalla Cibernetica all’Arte musicale, a cura di G. Zotto, Padova, Zanibon, 1980, pp. 30-31. 36 esplodere di getto tutti i primitivi legami fra musica e poesia. E questo non nel senso di una reciproca tensione alla modernità, quanto per un immediatezza che, innervandosi in un linguaggio già storicizzato, trova la via libera da problemi grammaticali per concentrarsi esclusivamente sull’urgenza espressiva».5 Il secondo brano che prenderemo in esame è Anima di Cristo per coro a quattro voci miste,6 scritto nel 1981. Il testo utilizzato è la suggestiva preghiera-poesia attribuita a sant’Ignazio di Lojola: “Anima di Cristo santificami, Corpo di Cristo salvami, acqua del costato di Cristo purificami…” A ogni invocazione corrisponde un aumento della tensione emotiva fino ad arrivare all’ultimo verso (“Comandami di raggiungerti… affinché assieme ai tuoi Santi… ti lodi eternamente”) con il quale tale tensione viene a sciogliersi in una prospettiva totalizzante. è una struttura semplice nel suo ripetersi ma poderosa per l’effetto che conquista con naturalezza. Sono un uomo che ama il presente senza bisogno di odiare il passato. Dalla Vecchia adotta alcune scelte compositive che possono in parte ricordare quanto avvenuto per la Lauda. Innanzitutto la scelta dell’andamento Largo, con libertà tuttavia specificando un andamento metronomico (probabilmente per suggerire il tactus a semiminime piuttosto che a crome) che tuttavia, se rispettato pedissequamente, priverebbe il brano della spontaneità ritmica che nasce solo dalla naturale simbiosi con il testo parlato. Per tutto il brano il melos insiste su poche note, quasi fossero corde di recita di una liturgia antica. è possibile sintetizzare il pezzo secondo una forma ternaria in questo modo: A b a (b a) coda esplicitando il ritornello degli episodi b e a peraltro di minor dimensione rispetto all’episodio A iniziale. Dal punto di vista compositivo si possono fare numerose osservazioni circa il materiale utilizzato: tuttavia è forse più efficace ricondurre il pezzo a una modalità misolidia di do con sostituzione del si bemolle con il si bequadro in fase cadenzante. Dal punto di vista armonico, tutta la prima parte può essere sintetizzata in questo modo: è evidente che tutte le armonie facciano perno sulla nota do: essa non si presenta mai come fondamentale di un accordo ma ha piuttosto funzione di pedale interno, lontana eco di una gregorianeggiante corda di recita. Triadi in stato fondamentale e in rivolto si succedono ad accordi più densi che tuttavia gravitano attorno al suono do, suggerendo quindi – come evidenziato in precedenza – una modalità misolidia di do. Dopo la cadenza alla dominante con quinta vuota, si entra nell’episodio centrale: l’urgente invocazione insita nel testo (“Difendimi dal perfido nemico”) suggerisce dei drastici cambiamenti (ritmo puntato, accenti persino nelle parti deboli delle suddivisioni, una generale sonorità nel fortissimo) che si manifestano anche nei richiami a canone tra voci femminili e maschili. Dal punto di vista armonico, quest’episodio, così diverso da quanto precede e da quanto segue, si presenta come sviluppo ritmico sulla triade di tonica (do maggiore) in cui le cellule melodiche non sono altro che le note di volta inferiori e superiori alla modale. In assoluta continuità ma con un effetto di contenimento progressivo dell’impeto che caratterizza l’episodio b, si ritorna alla calma iniziale, progredendo verso la cadenza sospesa del finale primo. Il finale secondo è testualmente rappresentato dalla parola “Amen” quale suggello del cammino interiore vissuto nel brano. Dal punto di vista compositivo si possono cogliere molti elementi interessanti: innanzitutto il ritmo asimmetrico di cinque tempi primi (crètico) quasi a favorire uno sviluppo orizzontale in piena libertà della linea melodica, ma più evidente ancora è la presenza quasi simultanea di tutti i suoni della scala a eccezione del settimo grado7 (presenza resa libera da legami triadici, grazie all’uso di armonie più dense, cluster, none, tredicesime). Inoltre è suggestiva la progressiva rarefazione dello sviluppo armonico verticale: dai quattro suoni estesi in oltre due ottave si raggiunge, per moto contrario, l’inquieta consonanza di una seconda maggiore raddoppiata in ottava. Queste due composizioni sacre, pur nella loro sostanziale diversità, ci permettono un’ulteriore riflessione sul concetto di tempo in musica. Sebbene in entrambi i brani si trovi la medesima indicazione di andamento (Largo, con libertà), oltre all’evidenziare la nota che va a costituire il tactus del pezzo, tuttavia nessuna delle due opere descritte conserva la tradizionale suddivisione in battute, preferendo invece una segmentazione in frasi che segue il ritmo libero insito nel verso in prosa. Come nel gregoriano, anche qui il melos prevale sul ritmo e gli accenti del testo vengono utilizzati come sistema di “ancoraggio” al testo. In un certo senso la libertà ritmica che ne deriva ci riporta agli albori della musica nova et vetera Wolfango Dalla Vecchia____________ Wolfango Dalla Vecchia nacque a Roma il 5 febbraio 1923, ma si trasferì giovanissimo a Padova, dove seguì contemporaneamente gli studi classici e quelli musicali, diplomandosi in organo presso il locale istituto musicale nel 1942. Nel 1944, a causa degli eventi bellici, si ritrovò a Roma e lì continuò lo studio dell’organo con Fernando Germani, che lo protesse e aiutò, e di composizione con Goffredo Petrassi presso il conservatorio di Santa Cecilia. Conclusi gli studi universitari a Padova nel 1945 con una tesi di laurea intitolata Saggio storico di Filosofia della Musica, conseguì il diploma in composizione a Roma nel 1948. Le sue prime composizioni risalgono a questo periodo durante il quale lavorò come organista alla Iglesia Nacional Argentina e come pianista-accompagnatore all’Accademia Nazionale di Danza, allora diretta dalla celebre Jia Ruskaja. Per lei compose la Seconda Suite (balletto) che verrà poi data col titolo Le stelle vere al Teatro delle Novità di Bergamo nel 1955, segnando l’inizio ufficiale della sua attività di compositore. Nel 1951 lasciò l’Accademia di Danza per tornare a Padova, sperando di ottenere un incarico presso il conservatorio di Venezia, allora diretto da Gian Francesco Malipiero: tale speranza rimase delusa, per cui dovette adattarsi ad accettare la cattedra di organo lasciata scoperta da Sandro Dalla Libera presso l’istituto pareggiato Cesare Pollini di Padova, ottenendo solo l’anno seguente (1952) l’incarico per la stessa cattedra al conservatorio di Bolzano, dove rimase due anni. Nel frattempo partecipò a vari concorsi per titoli e esami, classificandosi secondo (dopo Marcello Abbado) in quello per la direzione del Nicolini di Piacenza. Pur restando sempre al Pollini (del quale, in quel periodo, era titolare d’organo e vicedirettore), nel 1958 sostituì Franco Donatoni nell’insegnamento della composizione nel conservatorio di Bologna. Nel 1960 rinunciò invece a Padova, dove intanto era succeduto a Arrigo Pedrollo nella direzione, per prendere il posto di G. Bianchi a Venezia, dove fu titolare della cattedra di composizione per tredici anni. Nel 1964 sposò Mariantonia Guazzoni, insegnante di musica, con la quale ebbe cinque figli. La trasformazione del Pollini in Conservatorio di Stato lo vide primo direttore di questa istituzione; dopo due anni però decise di lasciare la direzione per poter riprendere l’insegnamento della composizione, e si trasferì definitivamente a Padova nel 1975, dove insegnò ininterrottamente fino al 1993. Membro di varie istituzioni accademiche, si dedicò ampiamente all’attività didattica promuovendo a Vicenza dal 1970 al 1976 il Seminario di studi e ricerche sul linguaggio musicale, al quale parteciparono anche 37 Stockhausen, Kagel, Berio, Nono, Manzoni, Ferneyhough, Ambrosini e Ceccato. Scrisse diversi saggi di critica e teoria, e animò nel 1977 la ricerca nel campo della computer-music, fino ad arrivare all’istituzione del Centro di Sonologia Computazionale dell’Università di Padova, legando così la produzione artistica a quella scientifica. La sua attività concertistica come organista fu costante e apprezzata in Italia e all’estero. Dalla Vecchia propose, oltre al repertorio tradizionale, musiche inedite e poco frequentate, trascrizioni d’epoca e originali, composizioni proprie e di suoi allievi, e continuò, tra i pochi in Italia, la pratica dell’improvvisazione. Consulente per il restauro e la costruzione di diversi strumenti, fu organista onorario della basilica di sant’Antonio da Padova e del duomo di san Lorenzo a Abano Terme, e accompagnò settimanalmente le funzioni presso le chiese parrocchiali padovane – soprattutto a san Nicolò – componendo appositamente brani liturgici. Le sue musiche compaiono costantemente in sede concertistica e sono state presentate in importanti festival di musica contemporanea. Molte delle sue opere sono state realizzate su commissione; in particolare la maggior parte delle composizioni per orchestra erano destinate ai Solisti Veneti. Alcune associazioni musicali – come gli Amici della Musica di Vicenza, gli Amici della Musica di Padova e Sonopolis di Venezia – gli hanno dedicato concerti monografici. Dal 1988 tenne corsi annuali sulla teoria generale della composizione presso l’istituto musicale A. Benvenuti di Conegliano, fino alla sua scomparsa, il 7 dicembre 1994. Biografia tratta da Wolfango Dalla Vecchia, Teoria generale della Composizione, Diastema Analisi 2, Treviso, 1997 38 cristiana, quando l’elemento melodico, in tutto il suo incedere lineare, aveva prepotentemente tralasciato la ritmicizzazione poetica dell’aureo intellettualismo greco-romano. Gli anni del secondo Novecento sono stati caratterizzati da un continuo cercare nuove vie e nuove possibilità di vivere la dimensione temporale in musica; in questi due brani Dalla Vecchia ci fa riscoprire la naturalezza dell’assaporare lo scorrere del tempo in un atto e(ste)tico: la ritmicizzazione che inconsciamente si opera ascoltando una qualsiasi musica procede da una frammentazione dell’immagine musicale secondo i criteri del bello e dell’emozione. Come giustamente osserva Silvio Ceccato nel suo volumetto Dalla Cibernetica all’Arte musicale «(...) il ritmo non esiste già fatto nelle vibrazioni sonore che un brano ci offre, esso viene prodotto dalla nostra attenzione con l’atto stesso della frammentazione estetica. In altre parole per ritmicizzare una cosa, di qualsiasi tipo essa sia, fisica o psichica, basta osservarla domandandoci se essa sia bella o meno. (...) Quelle vibrazioni sonore riceveranno, allora, una ritmicizzazione con risultato positivo, venendo assunte, così, come musica».8 Fortunatamente il catalogo delle composizioni corali di Wolfango Dalla Vecchia è assai vasto e i brani presi in esame non aprono che una limitata visione sul suo vasto e interessantissimo mondo musicale. Tra le sue composizioni vocali si incontrano altri mottetti (tra gli altri si distinguono Si quaeris miracula, Angele Dei, Psallite sapienter), alcune messe, diversi brani su testo profano, l’opera lirica Andreuccio da Perugia e la cantata Musiche per una professione di pace. Ogni brano ha una fisionomia talmente propria e caratteristica da comprendere e superare allo stesso tempo tutti i precedenti. Sembra, appunto, nascere e svilupparsi proprio in quella esigenza di “perfetta libertà” che Dalla Vecchia ha sempre posto come punto di partenza per ogni sua composizione. Bibliografia Wolfango Dalla Vecchia, Teoria generale della Composizione, Diastema Analisi 2, Treviso 1997 Marco Peretti, Wolfango Dalla Vecchia, Stringendo la musica al tempo, Ensemble 900, Treviso 2006 è possibile ascoltare un’esecuzione di Lauda alla Madonna nel sito del Coro Mortalisatis: www.coromortalisatis.it Catalogo della musica corale di Wolfango Dalla Vecchia Su testi liturgici o di ispirazione sacra –Tre studi, coro femminile e orchestra (1948) –Messa bassa, basso, coro di voci bianche e orchestra con live electronic (1960-1962, rielaborazione 1991) –Tre canti di acclamazione, coro unisono e organo (1967) –Missa Antoniana, coro unisono e organo (1968) –Si quaeris miracula, coro a 4 voci miste (1970) –Lauda alla Madonna, coro a 4 voci miste (1973) –Pastorella, coro a 4 voci miste (1979) –Anima di Cristo, coro a 4 voci miste (1981) – Venire a Te, Francesco, coro a 4 voci miste (1982) – Kyrie e Gloria “d’après Beethoven”, coro a 4 voci miste (1985, strumentato 1992) –Angele Dei, coro a 4 voci miste (1987) –Missa “Ubi charitas”, coro a 4 voci miste (1989) –Psallite sapienter, coro a 4 voci miste (1992) –Christus passus est pro nobis, soprano e coro a 4 voci miste (1992) – Inno a s. Teresa di Lisieux, coro a 4 voci miste (1994) Su testi profani –La collina, coro a 4 voci miste (1953) –Piangi, piangi, coro a 4 voci miste (1978) –Andreuccio da Perugia, opera lirica, S, Ms, 2T, 2B, coro misto, orchestra da camera, mimi (1984) –Musiche per una professione di pace, cantata per Baritono, coro di voci bianche, coro misto e orchestra (1986) nova et vetera 39 cos’è la cantata Con particolare riferimento alla cantata di Bach BWV 140, Wachet auf, ruft uns die Stimme di Piero Caraba Per comprendere l’importanza della cantata in quanto forma musicale, è sufficiente, per noi frequentatori di cori, pensare alla forma del madrigale: sappiamo bene quale sia stato il ruolo, la diffusione e le molteplici modalità espressive con le quali questa forma polifonica ha predominato in tutto il sec. XVI. Ebbene, la cantata dal ’600 in poi ebbe lo stesso ruolo, diremmo lo stesso “successo” e la stessa accoglienza riservata in precedenza al madrigale, ma di certo con maggiori varianti proprio sul piano della forma. Se infatti il madrigale, pur nelle sue numerose trasformazioni e utilizzazioni, mantiene una sua essenziale caratterizzazione morfologica anche quando si manifesta in forme di più ampio respiro (vedi i madrigali a più parti o i madrigali dialogici), la cantata, con le sue componenti, si presenta nelle più ampie possibilità combinatorie, sia riguardo al genere che alla tecnica e dunque allo stile compositivo, rendendo difficile, se non impossibile, una formulazione tout-court del che cos’è una cantata. Dato che il nostro intento è principalmente chiarire sul piano formale la definizione di un oggetto musicale, limiteremo i dati storici ai soli funzionali al nostro scopo, e come punto di riferimento analitico, per non parlare in astratto, osserveremo la cantata BWV 140 di Bach Wachet auf, ruft uns die Stimme. La scelta è determinata dal fatto che oltre a essere tra le più famose e tecnicamente alla portata esecutiva di gran parte dei nostri complessi corali, la BWV 140 possiede struttura ed elementi di cui, acquisendone la conoscenza, saremo poi in grado di riconoscerne questo o quello in altri oggetti musicali che sapremo identificare come “cantate”. L’elemento costante e significativo della forma musicale che stiamo considerando è senza dubbio costituito dall’aria, che da sola può determinare una cantata. Tra i possibili esempi in tal senso basti citare la cantata sacra Herr, wenn ich nur dich hab (BuxWV 38) di Dietrich Buxtehude: è una sola aria, dalla melodia flessuosa e continua che, contrappuntata o alternata da brevi interventi di due violini, si sviluppa poggiandosi su di un basso ostinato di tre battute ripetute ventiquattro volte nei circa tre minuti della sua breve durata. La cantata, in questo caso, offre il carattere e una delle sue possibili strutture (il basso ostinato) all’aria, e l’aria va a identificarsi con la cantata, in un reciproco scambio di qualità formali. La successiva possibilità costruttiva e il binomio che più di ogni altro identifica la forma della cantata è rappresentato dalla successione recitativo - aria, una delle formule di maggior successo, 40 per duttilità ed efficacia, nella più parte dei generi e delle epoche. Il recitativo1 ha il compito di introdurre l’argomento dell’aria, e può presentarsi come recitativo semplice (detto anche secco) se sostenuto dal solo basso continuo, o accompagnato, se le successioni armoniche sono scritte e affidate all’orchestra. Gli esempi di cantate costituite esclusivamente da una sola o da più coppie di recitativo e aria sono numerose; tra quelle di Bach citiamo la BWV 54, Widerstehe doch der Sünde, che si apre con un’aria immediatamente seguita da una sola coppia recitativo - aria e lì termina. Altra è la più famosa BWV 82, Ich habe genug, ove all’aria iniziale seguono due coppie di recitativo e aria, esaurendo quindi in cinque numeri il percorso dell’intera composizione. Identica struttura ha la successiva BWV 170, Vergnügte Ruh beliebte Seelenlust, in cinque numeri, con un’aria e due coppie recitativo - aria. Il coro, nella forma di Chor o di Choral, non è dunque elemento essenziale di una cantata, e la sua presenza è determinata certamente dal carattere e dalla circostanza per la quale è stata scritta la composizione, ma nel caso di Bach, come testimoniano i suoi stessi scritti, il coro è presente o no soprattutto per ragioni pratiche, tra le quali la certezza o meno di poter disporre materialmente dei cantori alla data in cui la cantata doveva essere eseguita. Consideriamo ora la cantata BWV 140, in cui sono presenti, come abbiamo detto, tutte le possibili componenti di questa forma musicale, e cioè il recitativo, l’aria, il Choral e il Chor. La cantata Wachet auf, ruft uns die Stimme fu scritta per la XXVII domenica dopo la Trinità;2 appartiene al genere delle Choralkantate, ove il testo e la linea melodica di un corale costituiscono la struttura portante e danno l’impronta all’intero lavoro. Se infatti si osserva la successione dei sette numeri che la costituiscono, notiamo che la melodia dello stesso corale (“Wachet auf…”) occupa i numeri 1, 4, 7, punti centrali che marcano una precisa simmetria e lasciano spazio alle due coppie recitativo-aria (numeri 2-3 e 5-6). 1 Chor 2 Recitativo 3 Aria 4 Choral 5 Recitativo 6 Aria 7 Choral melodia del corale a note lunghe utilizzate come cantus firmus per il contrappunto melodia del corale affidata al tenore e contrappunto in forma di variazione sul corale melodia del corale armonizzata a quattro voci Chor, n. 1 della cantata BWV 140 - Le 16 battute strumentali iniziali e a seguire le prime 6 battute del cantus firmus ai soprani nova et vetera 41 Recitativo, n. 2 della cantata BWV 140 - Il recitativo semplice (o secco) del tenore Aria, n. 3 della cantata BWV 140 - La linea melodica del violino concertante Choral, n. 4 della cantata BWV 140 - Le prime battute delle variazioni contrappuntistiche sulle note del corale affidate al tenore Il Chor iniziale è una mirabile costruzione che si apre con un episodio strumentale di 16 battute; segue la melodia del corale, proposta dai soprani (con il corno all’unisono) in valori uguali e lunghi (tutte minime col punto) che costituisce il cantus firmus attorno al quale ruota il contrappunto delle rimanenti tre voci del coro e delle parti orchestrali (due oboi, taille [oggi sostituito dal corno inglese], archi). Alla prima frase del corale (35 battute) segue la ripetizione dell’intervento strumentale iniziale (16 battute) cui succede identica la seconda frase del corale (35 battute). Queste due parti identiche sono i due Stollen di una più ampia architettura, la cosiddetta Barform, largamente utilizzata fin dall’epoca dei Meistersinger. Ai due Stollen fa seguito l’Abgesang, ovvero il compimento della forma, con le sue 70 battute, equivalenti alla somma delle battute dei due Stollen. La melodia del corale, sempre in cantus firmus, presenta qui la sua seconda parte, con i rimanenti versetti del testo; l’episodio è però caratterizzato dal liberarsi di una breve e concitata fuga a tre voci, sulla cui conclusione il corale riprende il proprio cammino fino al termine del versetto. La ripresa «da capo» delle 16 battute strumentali conclude l’affresco, che Bach stesso chiama Chor, inteso come ampio gesto compositivo che apre (o a volte chiude) questa come numerose altre cantate, bachiane e non. Il seguente primo recitativo, semplice, del tenore, riprende il testo della parabola delle vergini sagge e annuncia l’arrivo dello sposo. L’aria successiva è un dialogo tra l’anima (soprano) e il Cristo (basso), con un violino3 concertante che esalta con virtuosistiche figurazioni l’emozione dell’incontro. Il numero 4 è nella forma di variazione sul corale. Il tenore dispiega con autorevolezza la melodia già precedentemente ascoltata nel cantus firmus; i violini primi e secondi e le viole all’unisono le tessono intorno un contrappunto di straordinaria valenza melodica, tanto da divenire l’emblema della cantata stessa e una delle melodie più note di Bach in assoluto. Il recitativo che segue è accompagnato dagli archi; la voce del basso esprime il desiderio dello sposo (il Cristo) per la sua amata (l’anima) e anticipa il gioioso dialogo dell’aria successiva tra il soprano e ancora il basso, con oboe concertante a suggerire l’immagine di una danza tra i due. L’aria si presenta assai fluida nell’incedere melodico e nella forma più antica, con il «da capo» che, in luogo di “rallentare”, esalta la freschezza del gesto musicale. 42 Recitativo, n. 5 della cantata BWV 140 - Il recitativo accompagnato del basso Choral, n. 7 della cantata BWV 140 - Il corale armonizzato a 4 voci (più basso continuo) raddoppiate dall’orchestra La cantata si chiude con il Choral, cioè la melodia del corale armonizzata per le quattro voci del coro con l’orchestra a raddoppiare le parti. L’esposizione della melodia nel suo assetto originale, dopo che la si è ascoltata prima come cantus firmus (nel num. 1) quindi come elemento di variazione contrappuntistica (nel num. 4), da un lato rende manifesto il materiale all’origine del lavoro, dall’altro sancisce con autorevolezza la costruzione formale. Come si vede, il respiro della cantata, sia che si esprima in una unica aria (come nel citato esempio di Buxtehude) sia che si articoli in numeri diversi per quantità e genere, risulta regolato da una attenta ricerca di proporzioni, simmetrie, interconnessioni ove musica e testo godono di pari e reciproche opportunità. Ci piace concludere con quanto Alberto Basso afferma nella ricerca di una definizione della Kirchenmusik all’epoca di Bach; Kirchenmusik di cui la cantata occupa senza alcun dubbio lo spazio più ampio e autorevole: «Caricata di simboli, ispirata alle sacre letture e alle interpretazioni suggerite dalla teologia, la Kirchenmusik si presentava, dunque, come una similitudine del cosmo, come un mondo in sé compiuto e dotato di tutti gli attributi, degli elementi fondamentali che regolano la natura. E in questa sua compiutezza raggiungeva il massimo rendimento possibile, consentendo al fedele di sentirsi calato totalmente nella vita contemplativa e al musicista di conquistare, con l’esercizio e l’applicazione, smisurati spazi».4 Note 1. Con tale termine si definisce uno stile del cantare e del comporre, ove la parola si esprime in una recitazione intonata e il carattere discorsivo è assicurato da note ferme su cui poggiano numerose sillabe in ritmo libero. Questo procedere, in unione a semplici stilemi di formule cadenzali, assicurava un naturale fluire della parola a imitazione della lingua parlata, libera e flessuosa. 2. Secondo il calendario liturgico si arriva alla 27ª domenica dopo la Trinità solo se la Pasqua cade prima del 27 marzo, altrimenti si hanno solo 26 domeniche. Tenendo conto della permanenza di Bach a Lipsia dal 1732 al 1750, la festività in oggetto capitò due volte, nel 1731 e nel 1742; ciò ci aiuta stabilire la precisa datazione dell’opera. Quasi certamente fu scritta nella prima occasione, 1731, e probabilmente riproposta nel 1742. 3. La partitura porta l’indicazione violino piccolo, riferendosi a uno strumento in uso all’epoca, dalla tecnica agilissima e accordato una terza minore sopra. 4. A. Basso, Frau Musika, Torino 1983, vol. II p. 237. Federazione Nazionale Italiana delle Associazioni Regionali Corali 33078 San Vito al Tagliamento (Pn) via Altan, 39 tel. 0434 876724 - [email protected] - www.feniarco.it 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 0 0 0 1 5 O C R A I N FE E P 5x1000 5x1000 5x R 10005 10005x lia a t i n i e l a i r lità amato la cora x10005 x1 0005x 0005x1 10005x 100 05x10 05x100 005x10 Sostieni FENIARCO e firma nell’apposito spazio della dichiarazione dei redditi riservato al sostegno delle Associazioni di Promozione Sociale (A.P.S.) che trovi nei modelli 730, UNICO e CUD, indicando a fianco il nostro codice fiscale: 92004340516 www.feniarco.it 00 la gioia del suono la gi la scuola veneziana dal ’500 a oggi di Walter Marzilli In occasione dell’Assemblea di Europa Cantat a Venezia nel 2004, il Coro Giovanile Italiano, diretto da Filippo Maria Bressan, presentava un interessante progetto a cavallo tra nova et vetera, un percorso articolato tra la musica della scuola veneziana e le suggestioni che essa evoca nei nuovi compositori contemporanei. Oggi la registrazione live di questo grande e importante evento vede la luce, mantenendo così una promessa a suo tempo formulata: arriva infatti il primo cd di Choraliter, un ulteriore impegno tangibile per la divulgazione della musica corale e, ci auguriamo, un gradito regalo per tutti i nostri fedeli lettori. choraldisC 45 L’idea del concerto di Venezia: commissionare composizioni policorali e plurivocali da avvicinare a quelle antiche della scuola veneziana. La struttura: creare una suddivisione interna dei brani, raggruppandoli in tre nuclei, Contemplantes, Adorantes, Jubilantes Te. Il tutto con l’intervento prezioso di brani di organo eseguiti da Gaetano Magarelli e Roberto Loreggian, che sapientemente completano il quadro con un linguaggio e un tocco sul tasto che più pertinenti non si può. Non esiterei poi a descrivere l’approccio del direttore Filippo Maria Bressan e dei cantori del Coro Giovanile Italiano, la rilevanza del suono vocale, la maturità del fraseggio e la profondità del porgere con questa definizione: la gioia del suono. Le antiche partiture vocali di Claudio Monteverdi e Giovanni Gabrieli ci sono restituite con un piglio acceso e luminoso. I fraseggi coraggiosi e divertiti risultano di grande fascino. La voce mai ferma, poi, dona al suono una vivacità che difficilmente capita di sentire in altre situazioni discografiche. La scuola veneziana mostra in questo disco tutte le sue potenzialità espressive e tutto lo splendore delle sue evoluzioni melodiche, più ardite e audaci di quelle della contemporanea scuola romana. Il connubio tra antico e moderno risulta particolarmente riuscito anche perché è possibile riconoscere nelle composizioni attuali tracce della prassi compositiva antica, sapientemente citata.1 Basta scorrere il brano Tristis est anima mea di Elena Camoletto e osservare l’elegante cadenza melodica di stampo tipicamente cinquecentesco affidata al primo coro, al quale risponde il secondo coro in imitazione. Particolarmente significativo, inoltre, risulta essere l’incipit del secondo coro, che colloca immediatamente l’atmosfera sonora nell’ambito di un responsorio dell’epoca tardorinascimentale della scuola veneziana. A esso è affidato il compito di avvicinare il modo antico e quello moderno di scrivere fino a congiungerli. I passaggi più cromatici e accidentati sono invece affidati in genere al primo coro. Un intelligente Giano bifronte, con uno sguardo coerente verso il passato e uno, altrettanto congruente, verso il futuro. Si può infatti scrivere qualcosa di estremamente moderno e attuale anche utilizzando e reinterpretando un linguaggio compositivo antichissimo come quello della modalità. Il brano di Mauro Zuccante si apre in un caratteristico ambiente di protus trasportato in sol, con un bemolle in chiave. L’andamento melodico si appoggia inizialmente su un assetto puramente diatonico, e questa caratteristica persiste per tutta la durata del brano. C’è di più: lo stesso tema iniziale permea e pervade l’intera composizione da capo a fondo, come un leit-motiv. Questo legame con la modalità si configura quindi come qualcosa di molto più di una citazione (cfr. nota 1). Si può infatti immaginare che l’autore abbia voluto in qualche modo ancorare la sua ispirazione agli stilemi compositivi della musica pregressa, all’interno della quale il suo brano si sarebbe dovuto calare. Nonostante questa ricercata impostazione colta, il brano di Zuccante si configura tra i più attuali della collezione. Il brano di Giovanni Bonato propone un approccio esuberante alla musica corale, con una visione spigliata e disinvolta non solo dal punto di vista grafico e formale, ma anche da quello stilistico e sostanziale (senza peraltro arrivare a una situazione di esasperata avanguardia), secondo un’ottica disinibita e libera da preconcetti. Al di là della grafia continuamente interrotta e della conseguente frammentazione del testo letterario, della particolare impaginazione e dell’attenzione al riverbero causato dalla successione delle entrate, nonché della spazializzazione del coro richiesta espressamente all’autore, si vuole fare riferimento in particolare all’uso di alcuni bicchieri intonati, scrupolosamente riportati in partitura, che dovranno essere suonati dai cantori tramite la frizione del dito sul bordo. Un coup de théâtre fascinoso, che si pone con coerenza accanto al linguaggio moderno e non come una trovata fine a se stessa, ben contribuendo ad aumentare la suggestione del brano. Piero Caraba usa la dissonanza dell’intervallo armonico di seconda con grande efficacia, inserendolo provocatoriamente proprio in occasione delle parole dal significato più La scuola veneziana mostra in questo disco tutte le sue potenzialità espressive. ioia 46 suadente presenti nel suo brano (...amabilis, …dulcis, …pie, …bone), e ottenendo sorprendentemente una ricercatissima morbidezza. Sempre in perfetto equilibrio tra la castità dell’antica lauda e il raggiante splendore di alcuni passaggi estremamente moderni, il brano di Caraba si regge su una struttura profondamente salda e matura, che permette all’autore di toccare atmosfere anche molto diverse tra loro, e di passare dall’una all’altra interrompendo gli episodi con lunghe pause, che però non distruggono la ricca omogeneità della composizione. Notevole il senso di fuggevolezza ritmica che Giuseppe Mignemi riesce a ottenere all’interno del suo brano. Sono infatti frequentissimi i cambiamenti di tempo, non solo al numeratore ma anche al denominatore della frazione. Con questo espediente il compositore riesce continuamente a rendere sfumato e incorporeo l’incedere del fraseggio e della discorsività tematica, come fluttuante è lo Spirito del Signore che aleggiando si espande nell’universo. Tutto si materializza e concretizza nelle affermazioni risolutive in conclusione delle diverse frasi. Il suo brano si fa apprezzare per la brillante solarità di certe affermazioni tematiche, per l’eleganza di alcuni passaggi transitivi e per l’imponenza ben sfruttata nell’impiego delle dodici voci. Si denota in tutti i moderni compositori una notevole e premurosa attenzione alle voci. Ognuno ha dispiegato le voci attraversando tutte le loro ricche sfaccettature sonore, sfruttandone senza preclusioni i colori, il fascino e le possibilità, ma anche senza violarne i confini naturali. Basterà dire che in tutti e cinque i brani i soprani (notoriamente la sezione che deve faticosamente arrampicarsi più in alto…) toccano soltanto due volte – e molto fugacemente – il la sopra il rigo. È opportuno inoltre anche riconoscere come nessuno dei cinque compositori abbia sentito il bisogno di affermare l’appartenenza delle proprie musiche alla modernità attraverso l’uso di prodotti sonori di stampo onomatopeico, allitterativo o quant’altro ricordasse qualcosa come gli studi fonetici, tanto in voga da qualche anno a questa parte. Nonostante che alcuni passaggi testuali dei brani da musicare fornissero una ghiotta occasione per introdurre sperimentalismi fonetici, siamo grati ai compositori di non aver ceduto alla tentazione di farlo. Se da una parte è vero che sotto certi aspetti la “sfida” compositiva poteva anche spingere gli autori a osare qualcosa di più sul piano sperimentale, dall’altra evidentemente l’equilibrio tra antico e moderno ha potuto mitigare gli estremismi, raccogliendo le composizioni all’interno di un territorio vocale percorribile, senza dover ricorrere a soluzioni astruse di improbabile eseguibilità. Astruserie, complicanze, introspezioni sospette, elucubrazioni mentali. Inutile cercarne: non c’è traccia. Non che i brani siano di facile esecuzione: un coro amatoriale, al di là del numero elevato di voci necessarie, difficilmente potrà affrontare un programma simile. Ma è anche opportuno ricordare che l’intento choraldisC 47 La gioia del suono La scuola veneziana dal Cinquecento a oggi O quam amabilis (a 8 v.), P. Caraba (1956) O Jesu mi dulcissime (a 8 v. in 2 cori), G. Gabrieli (1557-1612) O quam suavis (a 7 v.), G. Gabrieli Nisi dominus (a 10 v. in 2 cori), C. Monteverdi (1567-1643) Ricercar primo, G. Gabrieli Tristis est anima mea (a 8 v. in 2 cori), E. Camoletto (1965) Domine in furore tuo (a 6 v.), C. Monteverdi Adoramus te (a 6 v.), C. Monteverdi Ecce vidimus (a 8 v. in 2 cori), M. Zuccante (1962) Toccata del II tono, G. Gabrieli Spiritus domini (a 12 v. in 3 cori), G. Mignemi (1966) Hodie completi sunt (a 8 v. in 2 cori), G. Gabrieli Audi filia (per 8 gruppi e bicchieri), G. Bonato (1961) Coro Giovanile Italiano Filippo Maria Bressan, direttore Gaetano Magarelli e Roberto Loreggian, organo Fabio Anti, Maria Cristina Battaglia, Enrico Benati, Valentina Bernardini, Marta Bonomi, Pasquale Bottalico, Nikolaj Bukavec, Alessandra Cordova, Andrea Crastolla, Barbara Crisponi, Marco Dainese, Vittoria De Leonardis, Cesare Facchetti, Jacopo Facchini, Matteo Ferrara, Davide Fior, Silvia Frigato, Emanuele di queste composizioni non era quello di essere cantate da tutti i cori, ma dal Coro Giovanile Italiano. Conservare et promuovere:2 perché c’è un paradosso in tutto questo. È dato dal fatto che un progetto nato in ambiente laico – inteso nell’accezione più apolitica e apartitica del termine – e senza nessun interesse diretto e consapevole verso le esigenze del mondo della musica sacra, si è trovato a incarnare nel modo più efficace possibile il più importante obiettivo di tutta la riforma liturgica scaturita dal Concilio Vaticano II per quanto riguarda la musica sacra: conservare il patrimonio della musica sacra del passato e promuovere la composizione di nuove musiche.3 Gasparini, Simone Gentili, Fabio Biagio La Torre, Vito Lopriore, Andrea Macis, Lucia Maggi, Annalisa Metus, Maria Giovanna Michelini, Maurizio Miglioresi, Lucia Montanaro, Angela Nisi, Francesco Pittari, Sheila Rech, Nadia Romeo, Elena Rossetto, Elia Serafini, Vincenzo Spinuso, Luigi Turnaturi Note 1. Nel brano di Mauro Zuccante si può riconoscere un vero e proprio cammeo: la riproduzione di un passaggio da un madrigale di Monteverdi tratto dal Sesto libro dei Madrigali: Dunque amate reliquie, riproposto non soltanto nella parte del soprano, ma anche nelle parti sottostanti. Un ulteriore modo discreto e raffinato per collegare intimamente il proprio novum al veterum, soprattutto in considerazione del fatto che, nel concerto di Venezia, il brano di Zuccante sarebbe stato inserito dopo due composizioni di Monteverdi… Già che ci troviamo in tema di citazioni, nominiamo – stavolta sorridendo – la risposta di Monteverdi in un episodio che incorre nel suo brano Nisi Dominus, nel quale l’autore, mostrando sorprendenti doti di preveggenza, cita qualcosa che ricorda in modo preoccupante un passaggio del 2/2 di Ecce gratum dei Carmina Burana di Carl Orff… 2. Allocuzione di Papa Paolo VI in occasione del decimo anniversario della fondazione della Consociatio Internationalis Musicae Sacrae, Roma, 12 ottobre 1973. 3. Cfr.: Costituzione Sacrosanctum Concilium, Cap. VI, nn. 114, 116a, 116b, 121, 121b. Registrato dal vivo presso la Scuola Grande di San Giovanni Evangelista Venezia, 20 novembre 2004 48 cum grano salis intervista a Filippo Maria Bressan a cura di Sandro Bergamo Quello del 2004 è stato non solo uno dei primi stages del Coro Giovanile Italiano, ma anche quello del battesimo europeo del coro, che ha cantato all’assemblea veneziana di Europa Cantat. Da dove nasce l’idea di dedicarlo alla scuola veneziana? Tutto nasce dall’idea di proporre ai cantori del Coro Giovanile Italiano un repertorio desueto ma anche importante e impegnativo, come meritava d’essere il programma di composizioni corali oggetto di studio per l’atelier del coro. Pensando alla grande tradizione corale dei secoli passati, era evidente la scelta tra le due grandi scuole: quella veneziana e quella napoletana; la scelta sulla scuola veneziana mi è sembrata più adatta al coro giovanile anche per poter approfondire il repertorio per doppio coro che ne è la caratteristica portante. La coincidenza poi dell’assemblea di Europa Cantat a Venezia rendeva ancora più appropriata la scelta. la polifonia rinascimentale sia frequentata sempre meno dalla coralità amatoriale, che pure, per decenni, ne aveva fatto uno dei propri pilastri e, almeno in Italia, ne era l’unica interprete. Da dove nasce questa disaffezione? Credo che molto dipenda dal fatto che negli ultimi anni la musicologia e la filologia abbiano infuso la consapevolezza che la musica antica era eseguita da piccoli gruppi vocali e non propriamente da cori numerosi, per cui, bandita già da almeno un ventennio l’esecuzione del madrigale da parte del coro, anche per la musica corale sacra ci sia ora il timore di incorrere in critiche filologiche molto spesso esagerate. Direi di lasciare da parte le posizioni integraliste dovute a un atteggiamento museale di fronte all’esecuzione musicale che ingessa gli interpreti e l’interpretazione ma di godere della musica rinascimentale ogniqualvolta si possa (con le dovute consapevolezze stilistiche) perché fonte di inesauribile piacere musicale e oltremodo formativa. Gabrieli e Monteverdi insieme alle nuove composizioni di musicisti italiani viventi: stili e sonorità diverse, che sicuramente avranno posto qualche problema in più nello studio e nell’esecuzione. Gestendo bene la prova e scegliendo opportunamente l’accostamento dei diversi brani da studiare nei vari giorni, non ci sono stati molti problemi. È vero che la tecnica di studio della musica contemporanea è completamente diversa da quella dello studio della musica antica ma è anche vero che la duttilità dei cantori che avevo a disposizione ha permesso uno studio e un apprendimento sereno e concentrato. Nella tua esperienza di lavoro sono molti i contatti con la coralità internazionale, tra l’altro come direttore del World Youth Choir e, tra gli ultimi impegni, il laboratorio che hai tenuto a Utrecht, nell’ambito di Europa Cantat 2009, sulla messa per doppio coro di Martin. Vista dall’Europa, come ti pare lo stato dell’arte della coralità italiana e di quella giovanile in particolare? Negli ultimi anni la coralità italiana ha fatto passi da gigante: ci sono molti buoni cori, il livello dei cantori è molto più alto, alla sola passione per il canto si è aggiunta una maggiore disciplina e una certa consapevolezza del “far coro” inteso nel senso formativo e sociale; insomma, siamo molto più allineati con gli altri cori degli altri paesi e anche competitivi. Il livello dei direttori è anche migliorato, particolarmente nelle forze giovani, frutto dei vari corsi che in tutta l’Italia si svolgono e si continuano a svolgere ma anche dell’entusiasmo delle nuove generazioni e delle tecnologie di ascolto, di viaggi e di comunicazione, che consentono scambi più veloci e rapide informazioni. Abbiamo, noi italiani, un gusto per una vocalità più calda e affascinante che i paesi d’oltralpe si sognano di avere, ma anche di difficile gestione, a volte… non abbiamo ancora quella disciplina dello stare insieme (e quindi del cantare insieme) che invece è una prerogativa di molti altri paesi. Ma se guardiamo bene, tutta la nostra società italiana è poco disciplinata, quindi che dire… Per quanto riguarda la coralità giovanile, purtroppo devo constatare che in questo l’Italia soffre uno stato di grande svantaggio, dovuto particolarmente alla mancanza di Come hanno reagito i coristi a questo accostamento? E il pubblico? La reazione dei cantori era ogni volta di sorpresa e di curiosità. E anche il pubblico, devo dire, dimostrava di gradire le nuove composizioni. La musica contemporanea è una risorsa fondamentale ed è l’espressione del nostro tempo. Facendo i giusti distinguo, non è vero che la musica contemporanea è ostica da apprendere e da capire ed è di difficile ascolto, tutto sta nello scegliere le giuste composizioni adatte al gruppo che le deve eseguire, adatte al programma complessivo del concerto e adatte al pubblico al quale ci si rivolge, magari cum grano salis… Basta assistere a qualche concorso, nazionale o internazionale, per rendersi conto, dal numero di brani presentati e dalle esecuzioni spesso insoddisfacenti, di come choraldisC formazione musicale nelle scuole e quindi nei giovani. Abbiamo avuto una pessima riforma della scuola, per quanto riguarda la musica, e abbiamo una insensibilità governativa sulla necessità di considerare la cultura e la formazione dei ragazzi come una risorsa da sviluppare e da sostenere in quanto espressione dell’Italia e quindi della cultura e dell’arte nel futuro. All’estero si fa a gara per partecipare a un coro giovanile – che è sostenuto da tutte le strutture pubbliche e anche private – perché si sa che in esso vi si trova formazione, cultura, socializzazione, viaggi, esperienze importanti, ecc. Tutti i direttori dei vari Filippo Maria Bressan____ Ha studiato pianoforte, canto, composizione e in particolare direzione d’orchestra a Vienna con K. Österreicher e direzione di coro con J. Jürgens e M. Brown, perfezionandosi successivamente, tra gli altri, con Sir J.E. Gardiner, F. Leitner, F. Corti. Già assistente di J. Jürgens, ha lavorato a fianco di grandi direttori come C. Abbado, L. Berio, F. Brüggen, M.W. Chung, C.M. Giulini, E. Inbal, N. Järvi, P. Maag, L. Maazel, A. Pärt, G. Prêtre, M. Rostropovich, G. Sinopoli, J. Tate, R. Vlad. Direttore stabile dell’Orchestra Sinfonica di Savona, ha collaborato con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, la Mahler Chamber Orchestra, l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di S. Cecilia, l’Orchestra da Camera di Mantova, l’Orchestra di Padova e del Veneto, l’Orchestra della Toscana ORT, l’Orchestra Filarmonica di Torino, la Scottish Chamber Orchestra, la Camerata Strumentale Città di Prato, l’Orchestra Scarlatti di Napoli, l’Orchestra Toscanini, l’Orchestra Sinfonica di Bari, l’Orchestra Sinfonica di Sanremo, l’Orchestra del Teatro Marrucino di Chieti, l’Orchestra Maderna, i Filarmonici di Verona, i Virtuosi Italiani, l’Accademia Montis Regalis, e con solisti quali A. Ballista, R. Buchbinder, M. Campanella, B. Canino, G. Carmignola, G. Cassone, B. Lupo, M. Pletnev e molti altri. Dal 2000 al 2002 è stato direttore del Coro dell’Accademia Nazionale di S. Cecilia a Roma. Ha inoltre diretto il World Youth Choir in una serie di concerti in Belgio nel 2005, 49 cori spingono i loro coristi a partecipare a simili esperienze, perché sanno che ne va di mezzo la formazione della persona stessa ma sanno anche che poi l’esperienza di quell’artista che vi parteciperà si riverserà nel coro dal quale proveniva. Anche in Italia si sa che potrebbe essere bello cantare in un coro giovanile ma i direttori dei vari cori temono la perdita dei cantori, anziché pensare alla loro formazione… Temono che poi si montino la testa e che squilibrino il coro successivamente… Insomma, si ha paura e si nasconde tutto. E allora restano gli allievi dei conservatori, che però, dovendo fare i conti con l’insegnante di canto – che dice loro di non cantare nei cori perché rovinerebbero la voce (!!??!!) – non osano e perdono una bella e importante opportunità. C’è proprio una mentalità da cambiare, e bisognerebbe fare in fretta… ed è stato il direttore titolare del Coro Giovanile Italiano dal 2003 al 2005. Ha diretto in molti teatri e nelle principali sale da concerto d’Italia, d’Europa e del Sudamerica, ed è considerato uno dei più innovativi nuovi direttori italiani, sia nel repertorio antico che in quello sinfonicocorale. Specialista nell’opera del Settecento, ha recentemente diretto al Teatro Goldoni di Venezia e in prima esecuzione assoluta Ifigenia in Tauride di B. Galuppi, al Teatro Verdi di Trieste Il mondo della luna di Paisiello e Alcina di Haendel, al Teatro Politeama di Prato Paride ed Elena di C.W. Gluck, al Teatro Verdi di Padova Orfeo ed Euridice di C.W. Gluck, al Teatro Filarmonico di Verona Don Giovanni di Mozart e nei teatri di Pisa, Livorno, Rovigo e Trento, Semiramide di Rossini. Nel dicembre 2006 ha diretto, nella Basilica di San Marco di Venezia e in prima esecuzione assoluta, i Vespri di Natale di B. Galuppi con il coro e l’orchestra del Teatro La Fenice. Ha fondato l’Athestis Chorus e l’Academia de li Musici, coro e orchestra impegnati nell’esecuzione della musica barocca, avvalendosi di testi autentici e con strumenti d’epoca, con i quali è divenuto uno dei protagonisti della rivalutazione della musica antica ed è regolarmente invitato dalle più importanti stagioni concertistiche e da numerosi festivals tra cui la Sagra Musicale Umbra, la Sagra Malatestiana, Veneto Festival, Settembre Musica di Torino, Biennale di Venezia, Festival Monteverdi di Cremona, Settimane Musicali di Stresa, Settimana Musicale Senese e dallo scorso anno dai principali teatri di Argentina, Brasile e Cina. Si dedica allo studio della musicologia e della prassi esecutiva della musica antica, collaborando con musicisti e orchestre specializzate nel settore. Ha conseguito quattro primi e due secondi premi in concorsi nazionali e internazionali e ha ricevuto il premio della critica musicale a Gorizia nel 1994. Per la raffinatezza delle sue interpretazioni e la sua eclettica attività, ha ricevuto il premio Monacciani, a Savona e il Premio Chiavi d’Argento a Chiavenna. Ha registrato diverse prime esecuzioni assolute e concerti dal vivo per la Rai e per le radiotelevisioni austriaca, francese, slovena e brasiliana. Ha inciso per numerose etichette discografiche tra cui: Emi, Virgin, Deutsche Grammophon, Decca e per Chandos Records quattro cofanetti (Arianna, Requiem di B. Marcello, Messa per San Marco di B. Galuppi, La Resurrezione di Lazzaro di A. Calegari). Nel tuo lavoro di direttore hai vissuto e vivi le dimensioni della coralità professionale e di quella amatoriale. Due mondi contrapposti? Complementari? Intrecciati?… Sì, sono due mondi opposti. Come ho avuto modo di apprendere anche dal maestro Jurgen Jurgens, quando gli facevo da assistente, e in base anche alle esperienze che ho vissuto, la 50 poetica della coralità amatoriale è completamente diversa da quella professionale. I comportamenti dei cantori, le motivazioni e le dinamiche che si svolgono all’interno dei diversi complessi – amatoriale e professionale – sono completamente differenti. Il cantore professionista segue la sua agenda e fa i suoi conti, il cantore amatoriale canta esclusivamente per passione e dopo il lavoro e la famiglia. La disponibilità di tempo del cantore professionista è legata sì alla passione per il canto, ma specialmente alla paga e ai giorni e agli orari di lavoro, quella del cantore amatoriale è di solito dopolavoristica. Gli entusiasmi possono essere molto simili ma l’atmosfera è completamente diversa. Ad esempio, come diceva anche Jurgens, quando all’interno di un coro amatoriale cominciano a girare soldi e compensi ai cantori, inizia la disgregazione e la rovina del coro. Il coro amatoriale gode di entusiasmi e del piacere nel fare musica insieme che va pari passo con le possibilità più varie del coro e delle persone, dove ognuno dà del suo meglio spontaneamente, non perché ha firmato un contratto di lavoro o ha superato un’audizione. Diversamente, nel coro professionale, pur seguendo e rispettando le regole della convivenza, della gioia della musica e del desiderio di sentirsi soddisfatti del livello alto esecutivo, ogni cantore sa di avere a fianco un professionista come lui, che deve dare una prestazione seria e di alto livello come da contratto; le assenze vanno giustificate, decurtate dalla paga a seconda del tipo di contratto, ecc. Sono quindi le dinamiche comportamentali a farne la differenza, senza nulla togliere alla bellezza del lavoro di cantare insieme. Intrecciare amatorialità con professionalità è molto nocivo, a meno che non sia un progetto di formazione fine a se stesso e alla formazione del cantore, avendo qualcuno ad esempio… (ma a che pro? quello di vedere quanti minuti mancano alla fine della prova?). Troppo spesso si assiste a tensioni e a esiti artistici alterni in gruppi corali amatoriali che per riuscire a portare a termine un programma troppo ambizioso per il coro – ma voluto molto spesso dalla vanità del suo direttore o da qualche organizzatore senza scrupoli – assoldano cantori professionisti senza i quali non riuscirebbero a portare a termine dignitosamente il programma. Questa contaminazione della coralità, scontenta tutti: il professionista che si trova costretto, per lavorare, a cantare magari vicino a qualcuno che non è del suo livello, e il cantore amatoriale che si deprime nell’accorgersi che senza quegli aggiunti non si sarebbe riusciti a portare a termine il progetto autonomamente e bene. Questo vale anche per i concorsi, quando vi si partecipa sapendo che da soli non si sarebbe capaci di fare una bella figura (…di vincere un premio…), e per quei concerti, spesso con orchestra, che autonomamente un coro amatoriale non sarebbe in grado di affrontare. Combatto da tempo questa scorrettezza e contaminazione, perché, oltre a tutto il resto, toglie lavoro ai complessi professionali – inserendo qua e là qualche complesso ibrido a basso costo – e snatura la bellezza e la purezza del coro amatoriale. Non fatevi infettare dal virus della vanità e dell’ambizione smodata e malsana, rimanete integri in una posizione, qualunque essa sia, professionale o amatoriale, ma pura e duratura. la scuola polifonica veneziana del ’5OO scuo polif e la cappella ducale della basilica di san marco di Domenico Innominato La musica nella Venezia del Rinascimento fu considerata l’espressione artistica più rilevante per il governo della città, tanto che la Capella ducale della Basilica di San Marco era il servizio più curato (e costoso) della Serenissima, autentica pupilla della vita culturale di tutta la repubblica. Gli artisti che ne facevano parte erano alle dirette dipendenze dei tre principali funzionari della Serenissima, il doge e i procuratori di San Marco. Un irripetibile cocktail di eventi e di favorevoli circostanze politiche, economiche, sociali e culturali, non solo facilitò nel primo trentennio del Cinquecento le sorti del servizio musicale della repubblica, ma sostenne anche un prodigioso sviluppo nell’ambito creativo. Dopo la scomparsa di papa Leone X (1521) e a seguito del Sacco di Roma del 1527 da parte dei Lanzichenecchi (durato un anno intero) la lunga tradizione musicale della città papale si indebolisce, Roma si svuota quasi completamente dei molti e importanti musicisti stranieri, alcuni dei quali si trasferiscono a Venezia. Nei primi anni del XVI secolo la città lagunare è invece prosperosa, con un governo stabile, essa diviene ben presto anche un importante centro di editoria musicale. Accorrono compositori da ogni parte d’Italia per beneficiare di questa innovazione da pochi anni inventata; nella Venezia del ’500 operano tutti gli stampatori più bravi e famosi: Ottaviano Petrucci da Fossombrone (la tecnica per stampare musica risale alla fine del Quattrocento, inventata dal Petrucci, che opera a Venezia dal 1490 al 1509 e dal 1536 al ’39), Scotto, Gardano, Vincenti, Antico, Giunta; anche i compositori d’oltralpe, fiamminghi, tedeschi e francesi, considerati i migliori d’Europa, vennero numerosi a Venezia. A metà del XV secolo Venezia era uno fra i 52 più importanti centri europei, la magnificenza era cosa di tutti i giorni; in città vivevano circa 170.000 abitanti. Egemonici negli scambi mercantili via mare, i veneziani commerciavano ed erano rispettati in tutto il mondo (ancor oggi il loro più tipico saluto “s’ciavo/schiavo vostro” contratto in “ciao” è conosciuto in ogni nazione che si affaccia sul mare!). Il patriziato veneziano raggiunse verso metà Cinquecento il numero massimo di 2000 persone, appartenenti alle 150 famiglie detentrici del potere politico-amministrativo. Nel 1523 il doge Andrea Gritti inizia un’opera di rinnovamento (Renovatio), riguardante la supremazia di Venezia sia in campo politico (Auctoritas) sia in campo artistico: nell’architettura, con il Sansovino, nella pittura, con Tiziano e con Tintoretto e, naturalmente, nella musica. Il belga Adrian Willaert (Bruges, Fiandre, ca. 1490 - Venezia, 1562), già cantore al servizio degli Este a Ferrara e a Milano, è nominato nel 1527 Maestro della Cappella Ducale di San Marco, è la massima autorità musicale della città. Il fiammingo rimarrà in carica per 35 anni, fino alla sua morte. Il secondo fattore, ancora più importante per l’evoluzione dello stile polifonico veneziano, fu l’esistenza in basilica di due organi e di due alloggiamenti per il coro: a sinistra guardando l’altare, a cornu (spigolo) Evangelii, si trovava l’organo principale, lì cantava la maggior parte della cappella; a destra, a cornu Epistulae, c’era un organo di più modeste dimensioni, deputato ad accompagnare piccoli gruppi o solisti. Proprio in questo periodo (1520-30), molti musicisti veneti – fra cui va ricordato soprattutto il maestro di cappella del duomo di Padova Ruffino d’Assisi – percepiscono in modo nuovo l’unicità acustica della basilica con i suoi spazi, “adattando” a tali peculiarità le proprie composizioni. Sviluppano uno stile musicale che mette a profitto l’eccezionale permanenza del suono (la “coda sonora” è di ben sei secondi!) causata sia per la particolare conformazione architettonica della chiesa sia per le caratteristiche riflettenti delle pareti, completamente rivestite di mosaici dorati. Attraverso la tecnica del “coro battente” (o spezzato, o doppio), sorta di esecuzione vocale, corale e strumentale dall’effetto stereofonico ante litteram, nella quale la sorgente sonora proviene appunto da più localizzazioni (solitamente due, ma anche quattro o più, come testimoniano le note di spesa per i falegnami, impiegati per la costruzione di palchi suppletivi ove disporre gli eccellentissimi musici ingaggiati per le celebrazioni delle solennità più importanti, prima fra tutte la festa dell’Ascensione o della Sensa) lo stile veneziano si sviluppa in esecuzioni antifonali, a risposta, in cui i diversi gruppi di cantori accompagnati da strumenti musicali cantavano in alcuni momenti in opposizione, in alternanza, e in altri assieme, riuniti dal suono dei due organi. Questa fortunata combinazione di eventi e di circostanze concorse – con il passare degli anni e il perfezionarsi della tecnica di scrittura – alla creazione di musiche dalle sonorità policrome, fastose, mai udite, in uno stile originale, ripreso dai musicisti di tutta Europa (dalla Germania alla Francia, dalle Fiandre alla stessa Roma…) che noi moderni siamo consueti chiamare “scuola veneziana”. Occorre però rilevare che il Willaert, principale musico della Serenissima, assunse per queste innovazioni un atteggiamento di diffidenza. Saranno i suoi allievi, schiera di grandissimi musicisti, ad affinare la tecnica, portandola ai massimi livelli espressivi. Lo stile polifonico del Willaert è un mirabile compendio fra la straordinaria maestria fiamminga del contrappunto (da punctum contra punctum, nota contro nota, è l’arte di comporre intrecciando molte linee melodiche indipendenti una dall’altra), basata principalmente su inflessibili paradigmi matematici e alcune caratteristiche prettamente italiane più connesse all’espressione poetico/musicale quali, ad esempio, la “più facile” cantabilità, l’impiego di armonie “più gradevoli” all’orecchio, il rispetto della declamazione testuale nel fluire ritmico della melodie. Connubio perfetto fra tecnica, arte e scienza! Le novità creative non bastano, Willaert migliora la struttura musicale della cappella, selezionando per l’organico ducale il meglio che poteva offrire il mercato nel campo degli esecutori. Ecco, ad esempio, come si svolgeva l’esame d’ammissione per il posto di organista: «Prova solita per esperimentar li organisti che pretendono di concorrere a l’organo nella chiesa di s. Marco in Venezia. Antonio Canal detto il “Canaletto”, San Marco: il transetto nord e la cantoria “a cornu Epistulae” (1766, penna e acquarello, Kunsthalle, Hamburg, Germania). Adriano Willaert, maestro della Cappella Ducale della Basilica di San Marco choraldisC Primo si apre il libro di Capella, et a sorte si trova un principio di Kyrie, o vero di Motetto, et si copia mandando a l’organista che concorre, il quale sopra quel sugeto (soggetto), ne l’istesso organo vacante bene sonare di fantasia regolatamente, non confondendo le parti, come che quattro Cantori cantassero. Secondo si apre il libro de canti fermi pur a sorte, et si copia un Canto fermo, o d’introito o d’altro, et si manda al deto organista, sopra il qual deve sonar cavando le pie parti, facendo il deto canto fermo, una volta in Basso l’altra in Tenore, poi in contralto, et soprano, cavando fughe regolatamente et non semplici accompagnamenti. Terzo si fa cantar la Capella de Cantori, qualche versetto di compositione non troppo usitata, la qual deve imitare et rispondergli, si in tuono come fuori di tuono: et queste cose fatte d’improvviso dan chiaro indicio del valor da l’organista, facendole bene.» Oltre a essere un musicista a tutto tondo e con notevoli capacità organizzative, Willaert – come accennato – ebbe la fortuna di condurre la Cappella Ducale per 35 anni: la sua autorità nella vita musicale della città fu totale e perdurò per moltissimi anni anche dopo la sua morte; non solo per la sua autorevolezza o per la posizione di assoluta egemonia resa dalla sua carica, ma anche perché il fiammingo fu maestro di importantissimi musicisti – organisti, compositori e maestri di cappella – delle generazioni successive: Cipriano De Rore, Nicolò Vicentino, Gioseffo Zarlino, Andrea Gabrieli e, attraverso la mediazione di quest’ultimo, il nipote Giovanni (Gabrieli), a sua volta maestro di Giovanni Della Croce e di Heinrich Schütz (Köstritz, 1585 - Dresda, 1672); quest’ultimo venne a Venezia per imparare l’Arte: «Andai a trascorrere i primi anni di apprendistato della mia arte presso il grande Gabrielli (sic), oh dei immortali! Se l’antichità, così ricca d’espressione, l’avesse conosciuto, l’avrebbe messo al di sopra di Anfione e se le muse prendessero marito, Melpomene non avrebbe voluto altro sposo che lui, tanto è grande nell’arte del canto». Il musico di Dresda esportò in seguito lo stile dei cori battenti nella Germania del Seicento, di lì a poco, un altro astro – il più grande e importante di tutti – splenderà luminoso nel firmamento della musica, raccogliendo nei suoi Motetten la tradizione, l’eredità musicale che fu di Schütz, Johann Sebastian Bach. Alla morte di Willaert la direzione della cappella passò a Cipriano De Rore (Ronse, Fiandre 1515 - Parma, 1565), suo allievo, che la tenne per due anni, fino al 1565, quando gli subentrò il teorico Gioseffo Zarlino (Chioggia, 1517 - Venezia, 1590), autore del più importante trattato musicale del tempo, Le Istitutioni armoniche, nel quale le regole per ben comporre vengono codificate e organizzate. De Rore, il Divin Cipriano, apporta anch’egli degli importanti contributi allo stile polifonico veneziano. Introduce una quinta voce nella composizione profana per eccellenza, il madrigale, e indirizza il cromatismo (passaggi accordali e/o melodici contenenti scale di semitoni) a finalità espressive, cercando di far rispecchiare la poetica e 53 l’atmosfera del testo scelto nella propria polifonia. La raffinata declamazione musicale, variegata ritmicamente, con dinamici passaggi a note negre (vale a dire figure dai valori più brevi, le “crome”, da cui proviene inizialmente il termine “cromatico”, adoperato in seguito anche per indicare le sfumature di colore dovute all’impiego dei suoni alterati), non raggiunse tuttavia gli estremi toccati dagli allievi italiani di Willaert i quali, recependo le innovazioni introdotte dai loro antesignani fiamminghi, le reinterpreteranno nei cori antifonali, diffondendo lo stile della scuola veneziana in tutta Italia. Con l’uscita di scena di Cipriano De Rore inizia una fase nuova, è ora la volta dei “veneziani”: Andrea Gabrieli (Venezia, 1510-1586), il nipote Giovanni (Venezia, 1557-1612), entrambi organisti in San Marco, il maestro di cappella Giovanni Della Croce “Chiozzotto” (Chioggia, 1557 - Venezia, 1609), il compositore e cornettista Giovanni Bassano (?, ca. 1560 - Venezia, 1617); sono l’espressione più rappresentativa di questo ultimo squarcio di secolo. «In questa fase il gioco contrappuntistico delle parti dissimula [...] ogni difficoltà di problemi tecnici. Il senso dell’accordo è in armonico equilibrio con l’agilità del contrappunto. Le dissonanze [...] sono accortamente impiegate come mezzi espressivi corrispondenti a un’approfondita penetrazione psicologica.» (Massimo Mila, Breve storia della musica, Einaudi, Torino, 1993) Ed è proprio con i “Tre Giovanni”, Gabrieli, Bassano e Della Croce, che si raggiunge l’apice creativo, la Cappella Ducale è al massimo splendore, forte di 36 elementi fra cantori, organisti e strumentisti. Le loro composizioni policorali si impongono per novità d’impostazione, ancora d’impianto polifonico, ma più ricche ritmicamente, con un impiego esteso di note ribattute (un’autentica novità per il mondo contrappuntistico!) che rende vitale la musica eseguita in basilica. Sonorità fastose, che ben rispecchiano lo stile di vita della città; cosa rendeva quella 54 Ritratto di Annibale Caracci (circa 1600), Gemäldegalerie, Staatliche Museen zu Berlin Frontespizio e prima pagina (altus) della raccolta Musica nova di Adrian Willaert musica così attraente, tanto da richiamare in città musicisti da tutta Europa? Sicuramente l’avvolgente effetto acustico, i variegati colori composti dall’inaudita mescolanza dei suoni dei cori, degli organi, degli squillanti strumenti, principalmente d’ottone, cornetti e tromboni, suoni fatti più per colpire l’immaginazione dei fedeli che il loro spirito. Il papa, Roma e Palestrina sono ben lontani! L’epoca musicale successiva – dal 1613 – è caratterizzata dalla presenza a Venezia di Claudio Monteverdi; in San Marco il cremonese si adopera per migliorare l’attività della cappella, componendo appositamente per essa e sperimentando vie nuove: di lì a poco la polifonia cederà il passo alla monodia accompagnata, il basso non sarà più “spezzato” (polifonico) ma, sostenendo l’armonia, dovrà essere “continuo”. Le innovazioni compositive introdotte saranno un punto di riferimento basilare per i compositori delle generazioni successive: Monteverdi traccerà un solco fra la «prima pratica dell’antica musica» e la «seconda, da considerare intorno all’armonia» (lettera a G.B. Doni ? del 22 ottobre 1633), traghettando lo stile a nuove dimensioni, ma questa, ormai, è un’altra storia… USCI FRIULI VENEZIA GIULIA Via Altan S.Vito al Tagliamento (Pn) Italy Tel +39 0434 876724 Fax +39 0434 877554 www.feniarco.it [email protected] ASAC VENETO REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI e l a n o i z a n r e l e t a n r i o a c n o a t n m i a r t c t u i e o d S dy t u t s l a n io t a n r e t In ori dirett r e p orso ni e c IT) i b m i ba fo ( cori d Paranin r e p a ica ert na 1 Mus ente: Rob R E I nezia (IT) L e E c V T o A a d • cuol nolo ella S io Spag d a c i n 2 Mus ente: Anto R E I L E ) c do • AT (USA pel s n o a g m hit al e piritu : Walt W S 3 e LIER docent ) r (DE • ATE e ica t h n c a ma rom Schu usica n a M J 4 LIER docente: E) n (S • ATE o s z s z n a Göra op / j cal p Anders o V LIER 5 docente: N) • ATE icana aga (VE r e m suda María R usica na M 6 R te: A E I n L e E c (IT) do • AT R U utti O g r T a Y oM TUD NAL S te: Corrad O I T A ERN docen • INT LIGNANO (UD) 29 AGOSTO»5 SETTEMBRE alla guida della coralità europea sante fornasier presidente di europa cantat di Gianni Vecchiati «Quel giorno c’ero anch’io». Penso di non sbagliare nel ritenere di avere vissuto un momento straordinario per la nostra coralità nazionale partecipando all’assemblea di Europa Cantat tenutasi a Sofia (Bulgaria) nei giorni 13 e 14 novembre e poter pertanto prendere la licenza di usare una già sfruttata frase. Ma andiamo per ordine… Dopo la mia partecipazione all’assemblea 2009 di San Sebastian (Paesi Baschi) ho accolto con piacere l’opportunità di ripetere l’esperienza di valicare i confini della coralità locale per approdare in una dimensione realmente europea. A Fiumicino ritrovo con piacere i vicepresidenti Feniarco, Alvaro Vatri e Piefranco Semeraro, e Carlo Pavese con i quali attraverserò l’Adriatico. ASSOCIAZIONE 57 All’arrivo al Park Hotel Moskva di Sofia ad accoglierci, come sempre, un iperattivo Lorenzo Benedet. Appena il tempo di lasciare le valigie in camera per non perderci il concerto di benvenuto che invece, nonostante tutto, perderemo a causa delle difficoltà a comunicare con i tassisti bulgari e della lascerà il segno nella storia della coralità europea. Dopo una lenta maturazione negli anni viene accolta con unanime favore la fusione tra le due principali federazioni europee: Europa Cantat e Agec (Arbeitsgemeinschaft Europäischer Chorverbände) che da oggi guarderanno loro apparente scarsa conoscenza della propria città. Il nostro riuscirà a portarci a destinazione per gli applausi finali mentre Lorenzo e Carlo rinunceranno tornando in hotel. All’uscita dell’auditorium incontriamo Sante Fornasier, i coniugi Coda Luchina, Giorgio Morandi, Federico Driussi, Alessandro Cadario, Krishna Nagaraja, Riccardo Bianchi e insieme torniamo in hotel per la cena. A tavola l’argomento non può non toccare le imminenti elezioni del Board e pare avvertire già la ricerca di una soluzione sicuramente non semplice. In ogni elezione è sicuramente difficile trovare la convergenza di opinioni, di esperienze, di interessi, di gap generazionali, ma c’è la convinzione che la comune passione per le attività corali riuscirà senz’altro a dare dei buoni frutti ed esprimere la sintesi migliore. Vedremo. La mattina di sabato 14 trascorre in un sereno esame dei punti all’ordine del giorno arrivando così, dopo l’approvazione del bilancio, al primo avvenimento che insieme al futuro come European Choral Association - Europa Cantat. Il tempo di un caffè e di nuovo in sala per la presentazione delle strategie 2010-2013 e le future iniziative, tra cui Torino 2012. Seguono le elezioni che avvengono con rapidità subito dopo l’auto presentazione dei candidati al Youth Committee e al nuovo Board. L’assemblea procede (distratta?) nell’attesa del “verdetto delle urne”. La comunicazione dell’esito avviene poco dopo e porterà la conferma alle avvisaglie percepite. È comunque in parte una sorpresa il grande consenso ricevuto dal presidente della federazione italiana che balza così in vetta tra gli eletti. Diffusa soddisfazione e non solo da parte della nostra delegazione per la dimostrazione di unanime stima nei confronti di Sante Fornasier… e forse qualche sua preoccupazione per i possibili successivi sviluppi. Le congratulazioni piovono copiose. Il pomeriggio come sempre è dedicato ai 58 lavori e così, mentre il neoeletto Board si riunisce per l’attribuzione delle cariche, assistiamo alla conferenza “Il canto, benedizione per il corpo e lo spirito”; ci distribuiamo poi verso le aule dei tre workshops. Partecipo insieme a Pierfranco e ai coniugi Coda Luchina al workshop “Fare musica con i disabili e fare musica con un handicap” con la partecipazione di un coro professionale di non vedenti della città di Sofia. L’unicità della formazione composta in gran parte da persone colpite da handicap visivo e la buona performance cui abbiamo modo di assistere colpisce i presenti che sollecitano il direttore e due coristi non vedenti con varie domande. Certo, la sensibilità e l’umanità dei componenti di una simile formazione non può lasciare indifferenti. Al termine dei workshops, dopo una breve pausa, ci rechiamo alla Bulgaria Concert Hall per il concerto di gala, dove tre cori bulgari (sezione CORALITà ITALIANA… INTERNAZIONALE! Il salto in alto è una disciplina sportiva che a molti sembrerà giustamente avere nulla a che vedere con la coralità, ma l’immagine è perfetta per raffigurare il progresso e l’affermazione dell’associazionismo corale italiano – e quindi più in generale della coralità italiana – in meno di dieci anni. Davvero la situazione di oggi supera le aspettative di chiunque, tra noi, abbia dedicato tanto tempo e tanta buona volontà alla coralità. Ancora negli anni a cavallo del duemila la Feniarco (fondata nel 1983) – e con essa la coralità italiana – nutriva scarsa considerazione fuori dai nostri confini. I notiziari corali internazionali dell’epoca (EC Magazine di Europa Cantat e ICB - International Choral Bulletin di Ifcm) rarissimamente citavano un coro, un direttore di coro, un evento corale, un compositore, una partitura corale in lingua italiana. Dopo il 14 novembre scorso, data di elezione del nuovo Board della federazione europea dei cori Europa Cantat, possiamo riassumere le presenze internazionali italiane in questo breve elenco: –Sante Fornasier: presidente di Europa Cantat; –Carlo Pavese: membro della Music Commission di Europa Cantat; – Riccardo Bianchi: membro della commissione giovanile (Youth Committee) di Europa Cantat, successore di Alessandro Cadario; –Andrea Angelini: direttore dell’International Choral Bulletin (ICB) della Ifcm; –Enrico Miaroma: uno dei sedici consulenti (advisors) del Board di Ifcm. E naturalmente non dobbiamo dimenticare le manifestazioni italiane di livello internazionale come Alpe Adria Cantat, settimana internazionale di canto corale con l’abbinato International Study Tour, l’Accademia europea per direttori di coro e cantori di Fano, il Seminario europeo per giovani compositori di Aosta. E come ignorare la presenza di così tanti cori italiani all’Europa Cantat Festival di Utrecht nell’estate 2009? …Perdonate eventuali dimenticanze o omissioni, prove inconfutabili del grande numero e varietà di attività corali internazionali di origine italiana. Se ne è fatta di strada per arrivare preparati sul campo di gara! Giudicate voi se tutto questo non è pari a un record di salto in alto (m. 2.45? non sono un esperto…)! Del resto… Bravi si diventa! E non è una presuntuosa auto-laudatio. È sicuramente «…un riconoscimento per il buon lavoro realizzato in questi anni dalla Feniarco, di concerto con le associazioni regionali corali che la costituiscono, stimolando e valorizzando la qualità della coralità amatoriale italiana, ed è allo stesso tempo un attestato di stima e di fiducia nella persona e nella professionalità di Sante Fornasier». C’è forse, allora, da cullarsi sugli allori di questo passato recente? Certo che no! Il futuro è impegnativo; in parte è già segnato. Sulle attività “minori”, più ordinarie (perché già sperimentate e comunque riprogrammate per la loro importanza), sovrasta l’Europa Cantat Festival 2012 a Torino, impegno immane (si prevedono fino a 5000 partecipanti) a cui Feniarco sta lavorando alacremente e a cui i singoli cori, cantori, direttori di coro, compositori italiani devono cominciare a pensare concretamente. Con tutto questo, come si può dar torto al vicepresidente Feniarco Alvaro Vatri quando ci ricorda che «…non è più tempo di indugi, né ci sono più alibi. In un certo senso la nostra coralità ora è “in vetrina”, con tutto quello che questo può significare»? Si legge e si dice spesso che bisogna “pensare globalmente e agire localmente” ed è bene che questa mentalità si diffonda sempre più. La spinta in questo senso di Sante Fornasier – già da quasi un decennio presidente della Feniarco e ora presidente di Europa Cantat (20 milioni di cantori, direttori di coro e compositori da 40 paesi europei vi sono coinvolti) – si dimostra forza vincente. E non è ancora tutto! C’è di più! L’assemblea di Sofia ha deliberato la fusione (preparata dal precedente Board presieduto da Jeroen Schrjiner cui va un sincero pensiero di gratitudine e un saluto) di Europa Cantat e di Agec (Arbeitsgemeinschaft Europäischer Chorverbände) nella nuova European Choral Association - Europa Cantat. La fusione è un fatto di grande importanza poiché le due ASSOCIAZIONE giovanile del Coro Maschile di Sofia, direttore Adriana Blagoeva; Coro da Camera della Chiesa di S. Trinità di Sofia, direttore Elianka Mihaylova; Coro da Camera di Sofia Vassil Arnaudov, direttore Theodora Pavlovitch) ci delizieranno con splendide performance. Al termine, avviandoci verso il locale dove verrà offerta la cena, riceviamo le prime indiscrezioni: pare che gli eletti abbiano fortemente voluto Sante Fornasier presidente… La gioia e la soddisfazione cominciano a pervaderci e la conferma ufficiale arriva poco dopo, quando seduti a tavola avviene l’ingresso del Board al completo e la comunicazione dei risultati. Convinzione comune è che l’unanime associazioni primigenie in questo modo convogliano conoscenza, esperienza attività e mezzi nell’unica grande forza associativa europea, la più grande nel nostro vecchio continente (grazie anche al presidente dell’Agec, Michael Scheck, per la lungimiranza e il vero amore che dimostra verso la coralità in generale. Con un calice di buon Brunello di Montalcino… Salute!). Anche il perfezionamento di questa fusione nel 2010 e l’avvio della nuova associazione ai primi del 2011 cadono sotto la presidenza dell’italiano Sante Fornasier. Inutile dire che cadono un po’ anche sulla coralità italiana che al nuovo presidente deve essere vicina non solo con gli auguri verbali del momento, ma con un vero sostegno che deve manifestarsi nella collaborazione diretta richiesta e in attività locali proprie, di levatura artistico-sociale sempre più elevata. Auguri coralità italiana! Auguri presidente! Auguri coralità europea. W la coralità! Giorgio Morandi 59 voto espresso dagli eletti abbia voluto premiare sicuramente la persona, il suo lavoro per la coralità e i risultati conseguiti alla guida di Feniarco, riconoscendogli il ruolo di garante delle varie componenti della nascente associazione europea e trait d’union tra le generazioni. Un riconoscimento ampiamente meritato ma probabilmente impensabile solo qualche tempo addietro e per questo voglio ripetere «quel giorno c’ero anch’io». Sono certo che nel prossimo triennio il neoeletto presidente saprà dimostrare la bontà della scelta mettendo in campo le proprie capacità organizzative e relazionali, la forza del made in Italy e di una struttura collaudata che potrà sostenerlo nel suo cammino europeo. L’incarico a cui – lo posso testimoniare – Sante ha cercato di sottrarsi per nulla togliere alla nostra Feniarco in termini di tempo e di impegno, è anche una dimostrazione di stima nei confronti di tutta la coralità italiana e per questo dobbiamo darci da fare, Torino 2012 è vicina. Il resto del viaggio è cronaca… 60 Gli orizzonti della coralità italiana L’assemblea Feniarco a San Vito al Tagliamento di Sandro Bergamo L’assemblea autunnale di Feniarco si è tenuta questa volta a San Vito al Tagliamento: per due giorni – sabato 17, presso la sala consiliare del Comune di San Vito, e domenica 18 ottobre, presso Palazzo Altan, che ospita la sede della federazione – i rappresentanti di 19 associazioni (erano assenti solo l’Umbria e la Liguria) hanno dibattuto un fitto ordine del giorno che ha spaziato sui più diversi temi caldi del momento. Più che tracciare un riassunto della discussione, è importante in questa sede cogliere alcune linee di tendenza sul percorso che la nostra federazione sta compiendo, così come sono emersi dai temi dibattuti nell’assemblea. Ogni assemblea semestrale di Feniarco è una foto della coralità italiana, colta da diverse angolature, tante quante sono le tipologie di coro, i generi musicali, le regioni di provenienza. Un mondo che si conferma ricco di fermenti, in un cammino non certo senza di ostacoli, ma per i quali le associazioni regionali e la federazione nazionale hanno acquistato esperienza sufficiente per elaborare una strategie e credibilità per sostenerla presso le istituzioni. Una credibilità che si fa sentire a livello internazionale: a metà ottobre nessuno immaginava che di lì a un mese un italiano avrebbe presieduto la federazione Europa Cantat, ma intanto si potevano registrare diverse nomine, tra le quali quella di Enrico Miaroma quale Board Advisor di Ifcm e di Andrea Angelini quale direttore della rivista della stessa federazione. Il fatto che si tratti di nomine non scaturite da designazioni di Feniarco ma da scelte autonome dell’Ifcm non toglie importanza alla presenza sempre più ampia di italiani negli organismi internazionali, anche se pone il problema di coordinare maggiormente l’azione di tutti, raccordandola sempre meglio a quella della federazione del suo insieme. Apertura, peraltro, reciproca, quella tra coralità italiana e coralità europea: se i nostri docenti sono sempre più presenti in occasioni come il Festival Europa Cantat, anche i nostri appuntamenti si aprono alla collaborazione: da qui la decisione di ospitare un docente straniero alla prossima edizione del Festival di Primavera, l’olandese Rogier Ijmker, che guiderà l’atelier vocal-pop per le scuole superiori. Sul fronte interno, va registrato positivamente come sempre più la federazione e le associazioni regionali diventino il riferimento delle istituzioni che vogliono dialogare con il mondo corale. Se da un lato sono sempre più le regioni che prendono come interlocutore unico l’associazione corale regionale, anche le istituzioni dello Stato vedono in Feniarco ormai l’elemento capace di coagulare il mondo corale e, come si vedrà, non solo quello. Significativo, il progetto Paci, su cui il presidente Fornasier ha relazionato all’assemblea: un censimento del patrimonio culturale immateriale rappresentato dalle tradizioni popolari e dagli artisti di strada, di cui il ministero dei beni culturali ha voluto incaricare Feniarco. Anche se economicamente non rilevantissimo, il progetto, di cui titolare è l’Unesco, è di estrema importanza e affidandolo alla nostra federazione il ministero ne riconosce la capacità operativa e il livello professionale. Ma i progetti Aps, ormai due all’anno da diverso tempo, sono lì a testimoniare in modo ancor più corposo il rapporto instauratosi con le istituzioni. Archiviati quegli degli anni passati, tra i quali ha lasciato un particolare segno il Bilancio Sociale col volume che ne è scaturito, Marco Fornasier, che ne è il responsabile, ha illustrato in particolare uno di quelli in corso, InDirection, che ha ASSOCIAZIONE 61 rappresentato un’occasione importante di crescita per decine di direttori partecipanti al forum e che proprio a partire dalla settimana che vedeva l’assemblea nazionale riunita a San Vito avrebbero tenuto una serie di incontri in tutta Italia per trarre un bilancio del lavoro svolto. Le conclusioni del progetto sono previste per febbraio. Già avviati, intanto, altri due progetti: Archivicorali.net, per creare un archivio delle partiture a disposizione di Feniarco e delle associazioni regionali, e Armonia di voci, per la creazione di un festival delle minoranze linguistiche presenti sul territorio italiano. Sullo sfondo, altri progetti che sono già stati presentati e attendono l’approvazione del ministero. Nel corso dell’anno Feniarco ha esercitato una capacità di aggregazione anche al di fuori della coralità, diventando punto di incontro tra altre realtà del mondo amatoriale, come bande e gruppi folkloristici, in occasione dell’esame di un disegno di legge governativo in materia. Un tema sul quale Sante Fornasier aveva avuto già modo di relazionare all’assemblea. Questo rende ancora più attuale il rapporto della nostra federazione con alcuni settori della coralità. L’assemblea ha esaminato le relazioni con la Federazione Nazionale dei Pueri Cantores e con la Südtiroler Sängerbund, che riunisce i cori altoatesini di lingua tedesca, stabilendo di sottoscrivere un protocollo di intesa con le due associazioni. Più complesso il rapporto con realtà meno istituzionalizzate, come i cori parrocchiali e quelli scolastici, sui quali ogni decisione è stata rinviata a successivi approfondimenti. Rimane l’importanza di un ambito vastissimo, che costituisce una specie di retroterra per la nostra coralità, alla quale, soprattutto a quella scolastica, la nostra federazione ha già rivolto molte iniziative. Un rapporto più strutturato non può che beneficiare gli uni e gli altri… Non poteva mancare, naturalmente, lo spazio per Europa Cantat 2012. Il presidente Sante Fornasier ha riferito dell’incontro avuto pochi giorni prima, il 15 ottobre, a Torino, dove ha potuto riscontrare un’adesione convinta da parte delle istituzioni. I problemi logistici da risolvere non sono indifferenti e non vanno sottovalutati. Ma soprattutto fin d’ora si deve intervenire per stimolare i cori italiani a partecipare a questo importane appuntamento, a trarre tutti i benefici possibili da questa occasione. È questo l’invito rivolto dal presidente e dai vicepresidenti a tutta l’assemblea, il compito che attende da qui ai prossimi due anni tutte le nostre associazioni regionali, per portare a Torino tutta la coralità italiana. Una considerazione finale si può fare sul clima instauratosi. Frequentando da alcuni anni le assemblee nazionali di Feniarco, vedo un po’ alla volta sciogliersi ogni elemento di separazione tra le diverse associazioni regionali. Sempre più i componenti dell’assemblea mi appaiano i membri di una associazione nazionale che discutono di problemi comuni secondo un intento condiviso e sempre meno i rappresentanti di realtà autonome federate. Uno spirito unitario che non potrà che far bene alla nostra azione al servizio della musica corale in Italia. l’energia della musica alpe Ad alpe adria cantat 2009 di Alessandro Vatri Anche quest’anno Feniarco ha organizzato la settimana internazionale di canto corale Alpe Adria Cantat. Per la dodicesima volta, cantori di tutte le età e della più diversa provenienza si sono radunati a condividere nel nome della musica e dell’amicizia gli ultimi giorni di un’estate corale particolarmente intensa, che ha visto il movimento corale italiano partecipare da protagonista al Festival Europa Cantat di Utrecht. Tra il 30 agosto e il 6 settembre, circa 300 tra cantori e accompagnatori hanno popolato il villaggio Ge.Tur. di Lignano Sabbiadoro, cornice ormai consueta della settimana cantante. Il complesso si è prestato – ancora una volta – ottimamente allo scopo, offrendo, oltre ai suoi chilometri di spiaggia privata, numerosi spazi utilizzabili come sale prova e da concerto, sparsi fra le sue numerose strutture di accoglienza e ricreative, e confermandosi luogo ideale in particolare per i numerosi bambini che hanno partecipato ad Alpe Adria Cantat 2009. Undici le nazioni presenti: oltre all’Italia, anche Austria, Belgio, Francia, Germania, Norvegia, Romania, Russia, Spagna, Svezia e Ungheria erano rappresentate da cantori arrivati in gruppo o singolarmente. Internazionale, ovviamente, anche il corpo docente: oltre che dai “nostri” Roberta Paraninfo, direttrice ASSOCIAZIONE dell’atelier di Musica per cori di bambini e corso per direttori, e Antonio Spagnolo, che ha tenuto il corso di Musica della scuola veneziana, Alpe Adria Cantat 2009 ha visto la presenza del tedesco Thomas Kiefer (Musica romantica) e dello statunitense Robert Ray, trascinatore del popolarissimo atelier – circa 100 partecipanti – di Spiritual & gospel. Alta la partecipazione anche all’atelier di Roberta Paraninfo, che nelle poche ore a sua disposizione ha saputo coinvolgere e fondere in un coro le voci di ben 66 bambini provenienti da gruppi e realtà diverse. Colta e intrinsecamente difficile la musica proposta da Antonio Spagnolo, il cui atelier ha richiamato coristi più esperti ma dalla differente formazione musicale e ha progressivamente decollato nello svolgersi della settimana. Sarebbe stato difficile per chiunque, infine, resistere al fascino dell’atelier tutto al femminile di Thomas Kiefer: la scelta del repertorio, raffinato e poco frequentato, ha incontrato l’apprezzamento generale tanto dei partecipanti quanto del pubblico del concerto finale. Le attività musicali e sociali nell’ambito di Alpe Adria Cantat 2009, come ogni anno, non si sono esaurite con le sessioni quotidiane degli atelier. Uno dei momenti più divertenti delle giornate corali è stato il canto comune, condotto ogni sera da un docente diverso, che ha così avuto modo di proporre un assaggio del proprio repertorio anche ai partecipanti iscritti agli altri atelier. Un modo rilassato, ma molto coinvolgente, di esplorare per un’ora un nuovo orizzonte musicale, nonché un’occasione per fare nuove conoscenze oltre al di là dei confini del proprio atelier. La condivisione e l’affiatamento non sono mancati neanche nel “backstage” della settimana cantante: il quartetto dei docenti ha agito da squadra fin dall’inizio, spalleggiato e sostenuto dai rappresentanti di Feniarco presenti a Lignano e dall’efficienza e allegria dello staff. Non ce ne vogliano gli altri collaboratori, ma è impossibile non segnalare il successo dell’amico Paul Mariuz, che grazie alle sue travolgenti e imprevedibili prestazioni da interprete è diventato prestissimo 63 uno dei volti più noti e più amati dai partecipanti ad Alpe Adria Cantat 2009. I gruppi corali intervenuti come tali alla settimana cantante hanno avuto la possibilità di esibirsi di fronte agli altri partecipanti nei concerti serali. Il concerto di apertura è stato tenuto da due cori ospiti, il Genova Vocal Ensemble e lo JanuaVox, entrambi diretti da Roberta Paraninfo. Dalla sera successiva in poi è stata la volta dei cori partecipanti alla settimana cantante. Rompere il ghiaccio è spettato al coro di bambini InControCanto di Arezzo, diretto da Gianna Ghiori, al Rauma Musikkskoles Ungdomskor di Åndalsnes (Norvegia), diretto da Torkil Klami, e al coro femminile da camera Ozarenie di Mosca, diretto da Olga Burova. Il 2 settembre a calcare il palco della Sala Blu sono stati il coro Armonia di Sebes (Romania), diretto da Adriana Comsa Haber, e il Nacka Musikklasser di Nacka (Svezia), sotto la guida di Daniel Möller. Come da consuetudine, gli stessi cori hanno partecipato anche a concerti nel territorio attorno a Lignano: il 4 settembre il Nacka Musikklasser si è esibito a Fiume Veneto (Pn), il coro Armonia e il Rauma Musikkskoles Ungdomskor a Trieste (insieme al coro del liceo scientifico G. Galilei della stessa città, diretto da Roberta Ghietti Pulich), mentre il coro Ozarenie e i catalani del coro Estudi XX di Terrassa, diretti da Rosa Maria Ribera, hanno tenuto un concerto a Vazzola (Tv) insieme al coro locale San Giovanni, diretto da Camillo De Biasi. Giusto in tempo per rientrare, rilassarsi e prepararsi al gran finale di sabato 5 settembre: il concerto di chiusura al villaggio Ge.Tur., con le esibizioni di tutti gli atelier e il canto comune finale, diretto da Roberta Paraninfo e da uno scatenato Robert Ray, con l’accompagnamento al pianoforte dell’ottimo jazzman Denis Feletto, che ha assistito l’atelier di spiritual e gospel per tutto il corso della settimana cantante. Un altro momento in cui emersa tutta l’energia della musica, tutta la gioia di cantare insieme e lo spirito di amicizia e condivisione che ogni anno rinnova la magia di Alpe Adria Cantat. Il miglior viatico ai festeggiamenti finali e il miglior modo per darsi l’arrivederci ad Alpe Adria Cantat 2010. Adria 2009 64 A COLLOQUIO CON I DOCENTI a cura di Sandro Bergamo In occasione della settimana di Alpe Adria Cantat, abbiamo intervistato il corpo docenti per sondarne aspettative e impressioni sul lavoro degli ateliers ma anche, più ampiamente, sullo stato attuale della coralità nei suoi diversi aspetti. Riportiamo in questa sede queste brevi chiacchierate dalle quali emergono interessanti spunti di riflessione… Roberta Paraninfo docente dell’atelier di Musica per cori di bambini L’atelier per voci bianche è anche quest’anno affollatissi­ mo. Dunque la musica corale è ancora in grado di dire qualcosa ai ragazzi di oggi? Senz’altro! La musica è un nutrimento indispensabile nell’esistenza. Detto questo, l’esperienza di condivisione, collaborazione e unione che può dare il cantare in coro, sono la più gustosa ed emozionante ricetta perché possa durare tutta la vita. Anche in Italia i cori di voci bianche, i cori giovanili, i cori sco­lastici non sono più una rarità. Cosa è cambiato in questi anni? Tanti aspetti si potrebbero far emergere, voglio privile­giarne uno: è cresciuto l’interesse dei compositori italiani nel produrre opere per l’infanzia e per i giovani. Opere di altissima qualità sia per i contenuti testuali che per quelli musicali, composizioni attente e mirate, che offrono ai di­rettori la possibilità di condurre i piccoli e i giovani attraverso un corretto e stimolante percorso di crescita. Sviluppare il senso estetico dei coristi con proposte musicali in­teressanti e complete favorisce il terreno per la proposta di repertori di altre epoche, come quella rinascimentale, ad esempio, ricca di intramontabili opere che ampliano gli orizzonti della conoscenza e del gusto. Feniarco ha lavorato molto in questa direzione. Cosa è stato più efficace: la formazione, l’attività editoriale, eventi come il Festival di Primavera…? Tutto quanto è stato e viene proposto è necessario in egual misura: la formazione dei direttori è fondamentale, ma lo è altrettanto favorire la circolazione del repertorio, senza il quale anche il più bravo direttore è perduto! In­f ine, ma non per importanza, gli incontri e lo scambio di ascolto alimentano la crescita dei giovani, il loro orecchio critico e la possibilità di condividere, in preziosi momenti osmotici di dare-avere, i valori umani, creativi e sociali, che la musica trasmette loro. considerata ancora un’attività “di nicchia”, è il far­si popolare, cercando di non snaturarsi e di non perdere la qualità, attraverso i mezzi di comunicazione di massa (televisione, radio, internet…). Aggiungo che, per creare buoni ascoltatori e coltivare l’interesse di chi, crescendo, vorrà far musica, è indispensabile ampliare nettamente le proposte musicali nell’ambito scolastico: quindi incentiva­re la realizzazione di corsi di formazione per insegnanti o per esperti che, con didattiche adeguate, siano in grado di operare direttamente sul gruppo classe. Antonio Spagnolo docente dell’atelier di Musica della scuola veneziana Anche quest’anno l’atelier di musica veneziana registra un buon numero di presenze. Perché la musica veneziana continua a essere la preferita tra le scuole italiane? L’interesse che la musica veneziana suscita negli appassionati di coralità è, a mio parere, strettamente connesso alle innovazioni da essa introdotte nei decenni conclusivi del XVI secolo. Le composizioni policorali veneziane del XVI secolo furono il più importante fenomeno musicale in Europa e influenzarono moltissimo la musica europea di quel periodo. Una nuova concezione dello spazio sonoro fu elaborata partendo dalle caratteristiche architettoniche di San Marco e lo stile antifonale divenne l’elemento strutturale della nuova polifonia veneziana. L’introduzione di strumenti colle voci, l’indicazione in partitura delle dinamiche, con la tavolozza di colori che ne consegue, completano un affresco sonoro di dimensioni e fascino ineguagliabile. Molti anche gli stranieri, più della metà... Sappiamo che la cultura musicale è più diffusa nei paesi europei di quanto non lo sia da noi, la partecipazione di tanti coristi provenienti da altre nazioni ne è un esempio. La loro presenza, la loro passione, il loro entusiasmo uniti a quelli degli amici italiani permetterà di creare un clima ideale per uno studio e approfondimento proficui. alpe Adria c Che fare per essere ancora più efficaci nel far crescere la coralità tra i più giovani? Parlando con una mia giovane corista, è sgorgato da lei un suggerimento che trovo realistico: ciò che manca alla coralità, Sembra tuttavia che la polifonia sia trascurata dai cori. Anche nei concorsi le esecuzioni sono poche e spesso insoddisfacenti. Eppure per decenni, almeno in Italia, è stata ASSOCIAZIONE 65 proprio la coralità amatoriale a mantenere viva la polifonia antica… docente dell’atelier di Spiritual & Gospel Lei sa che per eseguire correttamente la musica polifonica sono necessari tanti elementi la cui costruzione richiede tempo e competenze, inoltre alcuni repertori richiedono una vera professionalità di difficile acquisizione in contesti amatoriali. È certamente compito dei giovani direttori suscitare entusiasmo e mantenere viva la tradizione e a essi vanno rivolte tutte le attenzioni perché proseguano nel cammino intrapreso nei decenni trascorsi dai loro colleghi più anziani, con rinnovato slancio! Lei è già stato presente a diverse edizioni di Alpe Adria. In questi ultimi dieci anni, trova qualcosa di diverso nel mondo del gospel europeo? C’è ancora più entusiasmo e interesse tanto per il canto spiritual quanto per il gospel. Il gospel è estremamente popolare negli Stati Uniti, così come in Europa. In che direzione si sta evolvendo il gospel in America? In America sta prendendo sempre più piede il gospel moderno contemporaneo. C’è uno stile tradizionale, e c’è uno stile moderno, con armonie più estese e strumenti diversi, con una forte influenza della musica contemporanea. Quanto è legato il gospel alle sue origini afro-americane e cosa cambia nel trasferirlo a un pubblico e a degli esecutori europei? Mi sono reso conto che alla gente piace fare musica, a prescindere da cosa sia. Per un po’ il gospel è un mondo nuovo, poi si impara e ci si adatta, anche nell’arco di una sola settimana. Che cosa pensa del gospel cantato dagli europei? Anche in America ci sono diverse maniere di cantare il gospel: gli europei hanno il loro stile, ed è assolutamente valido, non devono tentare di imitare gli americani. In America il gospel viene eseguito solo in ambito liturgico o viene proposto anche in forma di concerto e per questo non necessariamente con valenza religiosa? Assolutamente sì: si esegue in sale da concerto, locali notturni, teatri… dappertutto, non solo in chiesa. In ogni luogo e in ogni orario, senza perdere la propria valenza religiosa. È solo un contesto diverso, e perfino gli evangelizzatori vanno nei locali notturni a cantare gospel per portare la gente in chiesa! Thomas Kiefer docente dell’atelier di Musica romantica Nell’anno di Mendelssohn, è proprio una sua composi­zione ad aprire il fascicolo dell’atelier di musica romanti­ca. È solo un omaggio al calendario? È una semplice coincidenza. Provenendo dalla Germa­nia, quando si parla di musica romantica, non è possi­bile prescindere da alcuni autori, come Rheinberger o Mendelssohn. Tanto più se ci si trova di fronte a un atelier interamente costituito da voci femminili. Quali criteri l’hanno guidata nella scelta dei brani? Innanzitutto mi ha guidato la bellezza delle composizio­ni. Poi ho cercato di rappresentare i diversi aspetti del romanticismo, sia per la provenienza nazionale dei com­ positori, sia per i caratteri dei brani, che, contrastando l’uno con l’altro, cercano di cogliere i diversi caratteri della musica romantica: c’è il brano veloce e quello lento, c’è il brano legato e quello staccato, il brano sentimen­tale e quello vivace… Con un gruppo di ragazze giovani, sarebbe stata difficile una scelta selettiva, incentrata su un unico aspetto del romanticismo. cantat 2009 Può sorprendere l’inclusione di autori come Busto o Alfvén… Al di là della cronologia, non sono certo autori d’avan­guardia. Lo stile di Alfvén è completamente romantico. Anche Busto, benché sia un compositore del XX secolo, rimane legato all’esperienza del romanticismo. Robert Ray 66 Giovani direttori x giovani voci di Paola De Maio corista del coro laboratorio dell’accademia di Fano 5ª Accademia europea per direttori di coro e cantori. Vi sembra la solita cosa sentita e risentita, noiosa e monotona? Vi assicuro che è stato ben diverso! Quella fredda settimana di settembre trascorsa nella piccola cittadina di Fano, in provincia di Pesaro-Urbino, è stata, forse, fin troppo breve. Tutti quanti noi cantori, di ritorno ognuno dalle proprie vacanze estive, al mare, in montagna, in luoghi esotici o capitali europee, non ci aspettavamo di certo di trascorrere una settimana all’insegna del lavoro, ma allo stesso tempo anche del divertimento e della buona musica. Forse non tutti sanno bene in cosa consista l’accademia di Fano e pensano di poterlo facilmente immaginare, invece di sicuro si sbagliano. Il canto ci ha impegnati mattina, pomeriggio e sera, ma mai un gruppo di “poco-più-cheventenni” ne fu tanto felice. Certo, lo studio di noi cantori e dei giovani direttori iscritti quest’anno non è stato da poco: il repertorio vocal pop scelto per questa quinta edizione dell’accademia era sì piacevole, ma per nulla semplice come si potrebbe erroneamente credere. Qualcuno di noi partecipava per la prima volta a un coro laboratorio, altri ne avevano già avuto esperienza in passato, ma rendersi conto del lavoro di precisione e qualità che fa un direttore è sempre qualcosa di nuovo e “seguire” quello che in ogni istante, in ogni battuta, cerca il direttore è sempre una conquista. Non posso non dire due parole sul protagonista di questa settimana di istruzione e spettacolo: il maestro Fred Sjöberg che, insieme al suo collaboratore Stefan Berglund, ha contribuito a rendere lo studio del repertorio vocal pop ancora più piacevole. Addirittura il riscaldamento vocale della mattina era momento di svago! Inutile dire che grazie a lui, i direttori sono stati tutti in grado, l’ultima sera, di reggere l’esecuzione di un grande spettacolo. Sembra banale, ma il ricordo più presente è di sicuro il concerto finale nel teatro della città di Fano… Teatro che ha fatto il tutto esaurito entro mezzogiorno (anche queste sono piccole soddisfazioni!). Si è spaziato da Stevie Wonder, Elton John, Eric Clapton, Queen… fino alle musiche italiane di Bersani, Raf, Negramaro. Mi permetterete senz’altro di elogiare un pochino anche noi cantori; un gruppo di giovani ognuno con la propria vocalità, ognuno con il proprio background, ciascuno con il proprio spirito, le proprie emozioni, reazioni, ognuno con il suo stile, messi “per la prima volta” tutti insieme su un palco con un unico comune obiettivo: la musica. Ognuno ha respirato l’esperienza e la professionalità dell’altro e in appena una settimana eravamo un coro al cento per cento! Tutti noi, anche chi leggerà anche solo per curiosità questo articolo, sa benissimo quanto sia fondamentale ai giorni nostri dare spazio alla musica dei giovani (e il mio giudizio non è di parte nonostante sia una “poco-più-cheventenne”). Sembra facile retorica, ma la musica può fare molto e vedere che anche i nuovi direttori che si avvicinano alla fresca polifonia delle voci giovanili sono giovani a loro volta è rincuorante. Ho ripetuto più volte che questa settimana non è stata come tutti se la potrebbero immaginare: abbiamo intuito che si è cantato, fatto spettacolo, studiato e, come è normale che sia tra amici, riso, ASSOCIAZIONE scherzato, giocato. Ma non vi ho ancora detto che un altro ricordo importante che rimarrà sarà la complicità raggiunta tra noi cantori e i direttori. È stato incredibile come la musica sia riuscita a fare da “livella” (citazione di una famosa poesia di Totò che è parte della mia cultura partenopea e per questo concedetemela) e a renderci tutti amici. Non ci credete? Beh, allora vi dirò che la prova di ciò sono le serate passate tutti seduti per terra in cerchio sul lungomare di Fano improvvisando giochi; sono le imitazioni incredibilmente realistiche di tutti i direttori, compreso il maestro Sjöberg, che i vari miei colleghi cantori hanno partorito con totale spontaneità dimostrando di essere degli artisti veramente completi; la prova è la sorprendente autoironia con cui i direttori hanno accettato tutto ciò. Infine, la prova sta anche su facebook, nel racconto di una partita di calcetto tra coristi e direttori a cui hanno partecipato tutti e di cui non svelerò in questa sede i più arcani segreti. Insomma, credo di parlare a nome di tutti dicendo che l’esperienza dell’accademia di Fano ci rimarrà per molto tempo dentro per tutti i motivi sopra raccontati e per molti altri ancora che sono gelosamente nascosti nel profondo di ognuno di noi. Dal mio personalissimo punto di vista approfitto per ringraziare la Feniarco e in particolare il maestro Alessandro Cadario che nei suoi infiniti viaggi nell’accogliente cittadina di Salerno ha scovato quattro ragazzi e li ha portati con sé in questa unica esperienza dandoci la possibilità di crescere e di far conoscere anche quella parte meridionale dell’Italia che solo da poco si sta rendendo conto di quanto sia bello “fare coro”. Ovviamente tutto questo è stato scritto per dire che siamo prontissimi a fare tanto altro, siamo pronti per cantare insieme in tante altre occasioni che spero ci saranno e, perché no, siamo pronti a far risuonare una volta di più la città di Fano. 67 Direzione come leadership direzio leaders Si conclude il progetto nazionale InDirection di Annarita Rigo Feniarco da sempre si impegna nella promozione di numerose iniziative come festival, concorsi, rassegne, manifestazioni culturali, incontri e convegni, progetti di promozione sociale dediti al sostegno e alla valorizzazione del mondo corale. Per la federazione nazionale questa sfida è in continua evoluzione e il progetto InDirection ne costituisce una prova concreta. Una ricerca sperimentale innovativa per idee e modalità di realizzazione, nata dalla collaborazione tra Feniarco e il Dipartimento di Psicologia della Comunicazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e realizzato con il contributo del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali. Fulcro dell’iniziativa il direttore di coro, il suo ruolo e le dinamiche di interrelazione con il gruppo coro. Il confrontarsi ininterrotto del direttore con i coristi coinvolge non solo il rapporto tra gesto e suono, ma anche la relazione interpersonale che esso instaura con ogni corista e con il coro inteso come unità. La sua figura è di fondamentale importanza per l’esistenza della realtà corale. Il direttore è un musicista e, al tempo stesso, è guida di un gruppo, educatore, formatore, organizzatore di concerti e di eventi. Tutti questi ruoli richiedono sicuramente un’adeguata preparazione. L’idea progettuale di InDirection è nata come risposta alla particolare esigenza dei direttori di disporre di strumenti adeguati a governare situazioni di natura non-musicale all’interno del ASSOCIAZIONE proprio coro quali: capacità nel motivare i propri coristi; individuazione di strategie che facilitino l’apprendimento e il mantenimento della concentrazione; risoluzione di contrasti interni che influiscono negativamente sulle attività del coro; gestione dell’ansia di gruppo in occasione dei concerti; relazioni pubbliche e altre ancora. I temi legati a queste problematiche spesso sono sottovalutati dalla letteratura in materia e dall’offerta formativa esistente mentre, in altri casi, si citano le importanti competenze psicologiche relazionali che il direttore dovrebbe possedere ma con il limite di presentarle come un fatto innato e non acquisibile. La realizzazione di questa ricerca ha offerto la possibilità di studiare in modo approfondito le principali problematiche di natura non-musicale legate alla direzione di un coro. In particolare la ricerca si è concentrata sull’analisi delle strategie che abitualmente vengono utilizzate per risolvere le criticità, di conseguenza valutarne l’efficacia e formularne di nuove, verificare l’esistenza di esigenze formative specifiche, non musicali, da parte dei direttori, potenziare le abilità di leadership e di gestione delle dinamiche di gruppo, migliorare la qualità dell’ambiente di gruppo con ricadute positive anche in termini musicali. In particolare il progetto si poneva come obiettivo primario lo studio di una cultura della direzione corale che comprendesse, oltre agli aspetti di natura prettamente tecnico-musicale, anche quelli psicologici/relazionali. Il progetto ha preso avvio in febbraio e si è sviluppato seguendo due distinti percorsi: il primo, di natura più sperimentale, ha coinvolto oltre 80 direttori del panorama italiano individuati dalle associazioni regionali sulla base di specifiche indicazioni fornite da Feniarco; il secondo, di natura più pratica, ha previsto la realizzazione di un corso di alto perfezionamento nella direzione corale che è coinciso con l’Accademia per direttori di coro e cantori svoltasi dal 6 al 13 settembre 2009 a Fano (Pu). Il carattere innovativo di questo progetto sperimentale si è concentrato particolarmente sul primo percorso, condotto dai dott. Fabiana Gatti e Simone Scerri dell’Università Cattolica di Milano in sinergia con Feniarco. La ricerca ha visto innanzitutto la predisposizione di una piattaforma comunicativa virtuale all’interno della quale gli 80 direttori coinvolti sono stati suddivisi, per tipologia di coro e per genere, in otto gruppi (di cui sette rivolti a direttori di coro di tipo “artistico” e uno rivolto a direttori di coro a valenza “sociale” tra i quali cori parrocchiali, dell’università della terza età, psichiatrici e altri). I direttori iscritti, tra aprile e luglio, tramite la piattaforma online hanno risposto ai quesiti di indagine conoscitiva proposti dai ricercatori e, come in un vero gruppo di discussione, avevano la possibilità di leggere e commentare le risposte date dagli altri direttori appartenenti al proprio gruppo instaurando con essi un dialogo interattivo e fornendo ulteriore consistenza e qualità alla ricerca. Successivamente, i direttori attivi nei focus group online e altri direttori del panorama nazionale si sono confrontati direttamente faccia a faccia (face to face) nell’ambito di alcuni incontri dislocati sul territorio nazionale nelle sedi a loro più prossime (Torino, Castelfranco Veneto, Roma e Bari). Gli incontri si sono conclusi nel mese di novembre e i direttori partecipanti, nonostante gli innumerevoli impegni e imprevisti, si sono dimostrati one ship 69 particolarmente interessati ed entusiasti della proposta che li ha coinvolti in primo luogo come persone e non come tecnici del mestiere. Di sicuro è emerso che essere leader e guida di un gruppo non è semplice e che il confronto aperto su argomenti di tipo psicologico, relazionale e di gestione delle dinamiche di gruppo solitamente è limitato e non viene mai affrontato così apertamente e approfonditamente. Un aspetto sicuramente positivo dell’intero percorso è stata la sinergia e la condivisione di pensiero che si è creata all’interno dei gruppi a dimostrazione di quanto limitato sia lo spazio per affrontare queste problematiche negli ambienti istituzionali. Il bisogno di esprimere le proprie opinioni, le difficoltà e di trovare assieme strategie concrete condividendo anche le esperienze personali è stato ampiamente manifestato dai direttori e i punti che richiederebbero ulteriori approfondimenti sono ancora molti. Ottimo presupposto per continuare a investire attivamente su questo tipo di iniziative di cui i destinatari per eccellenza, i direttori, ne percepiscono la necessità. L’intero percorso confluirà in un report finale che fornirà un’analisi del progetto, un approfondimento sul tema della direzione corale e una valutazione degli obiettivi raggiunti durante la realizzazione delle fasi. La relazione conclusiva sarà messa a disposizione dell’intera rete associativa. 70 Il “riscatto” dei cori maschili al concorso di Arezzo 2009 di Efisio Blanc L’evento corale italiano, e forse europeo, più importante di inizio autunno è sicuramente il Concorso polifonico “Guido d’Arezzo”, svoltosi quest’anno nelle sue varie articolazioni dal 16 al 20 settembre e dedicato a Paolo Antonio del Bivi detto Paolo Aretino. Le varie fasi del 26º Concorso polifonico nazionale e del 57º Concorso polifonico internazionale si sono tenute ad Arezzo nella ritrovata sede del Sottochiesa della Basilica di San Francesco. Seppure un po’ sacrificato per la ridotta capienza di pubblico (in realtà questo problema si è avuto solo in occasione delle esibizioni per il Gran Premio), il sottochiesa risulta dal punto di vista acustico funzionale alle esigenze foniche dei cori e, rispetto alla pur bellissima Pieve di Santa Maria, permette un maggiore contatto fra i cori stessi e il pubblico per la minor distanza fra platea e palco. Il Concorso nazionale Credo di non esagerare affermando che l’edizione di quest’anno del Concorso nazionale ha evidenziato la solidità, il continuo progresso e l’apprezzabile qualità della coralità italiana. Gli elementi a sostegno di questa impressione sono: la partecipazione ben di nove cori che rappresentano comunque, tenuto conto dell’alto livello del concorso stesso, uno spaccato della coralità italiana (la larga adesione dei cori si è avuta forse anche per l’inaspettata soppressione del Concorso di Vittorio Veneto, uno dei più quotati concorsi corali nazionali, che si spera possa essere ripristinato per i prossimi anni); vi è quindi il livello qualitativo dei cori che è stato medio-alto senza presentare, come è successo in passato anche in concorsi di alto livello, esibizioni davvero inascoltabili per la loro scarsa qualità tecnica e musicale; l’assegnazione da parte della giuria di tutti i premi messi in palio; il lusinghiero risultato del Coro Città di Roma che, oltre ad avere ottenuto il primo premio al Concorso nazionale, si è collocato nella posizione d’onore ottenendo il secondo premio al Concorso internazionale. Come è ovvio, i livelli fra i vari cori presenti ad Arezzo erano diversificati, ma le prime posizioni, come evidenziano anche i punteggi assegnati (20 punti di scarto fra il primo e il terzo premio), non distano fra di loro enormemente a riprova di una certa solidità di preparazione da parte dei cori premiati. Il primo premio, come già anticipato, è andato al poliedrico Coro Città di Roma diretto da Mauro Marchetti, un gruppo dalla solida presenza sonora, che ha sapientemente diversificato l’organico rispetto al repertorio proposto e che ha eseguito brillantemente il dinamico brano descrittivo del contemporaneo Eric Whitacre, Cloudburst (nubifragio) che introduce elementi di spettacolarità con uso, oltre che di pianoforte e di percussioni, anche di gesti coreografici. Raffinata e curata l’esibizione del coro che ha ottenuto il secondo premio, il coro JanuaVox di Genova diretto da Roberta Paraninfo, un coro di recente formazione che si avvale, per le sezioni femminili, del coro femminile Genova Vocal Ensemble. Il coro della Paraninfo si è distinto per l’elegante fraseggio, per la cura riservata all’articolazione del testo e per la freschezza delle giovani voci. Il terzo premio è stato invece assegnato al Coro polifonico Madonna della Consolazione di Reggio Calabria diretto da Luigi Miriello, un coro che per la prima volta sale agli onori della ribalta nazionale. Si tratta di un gruppo non numeroso (18 coristi) con apprezzabili qualità vocali, che anche in questo caso ha differenziato l’organico in base al repertorio e che si è distinto particolarmente nella non facile esecuzione di due brani di Paul Hindemith: Trink aus! e, dalla Messa, Kyrie. Il primo gruppo a mancare il podio è stato il coro di voci bianche Piccola Harmonia di Venezia diretto da Nicola Ardolino che però, oltre ad aver conseguito una apprezzabile quarta posizione, ha ottenuto il premio Feniarco di euro 700 in buoni acquisto per materiale musicale con la seguente motivazione della giuria: “Per la valenza didattica e culturale del lavoro svolto con i bambini”. Questo Polifonico nazionale 2009 ci ha inoltre riservato una piacevole sorpresa nell’affermazione di cori provenienti dall’Italia centro-meridionale. Si è spesso detto che la coralità italiana si esprimeva soprattutto al nord per ragioni storiche e culturali e in effetti la superiorità numerica dei gruppi delle regioni settentrionali e di conseguenza anche la loro presenza nelle competizioni concorsuali aveva in un certo senso confermato tale impressione. I cori di Roma e di Reggio, ma anche il coro La Corolla di Ascoli Piceno diretto da Mario Giorgi e il coro Ad Dei Laudem di Lentini (Sr) diretto da Ezio Spinoccia (uno dei direttori diplomandi presso la Scuola Superiore per direttori di coro della Fondazione Guido d’Arezzo) sono un segnale dello sviluppo e della voglia di rinnovamento che la coralità delle regioni centro-meridionali sta esprimendo. Il Concorso internazionale Passando ora al “fratello maggiore”, il Concorso internazionale, bisogna innanzitutto segnalare il successo del Vokal Akademija Ljubljanana diretto da Stojan Kuret. Il coro maschile sloveno ha vinto il Gran Premio Città di Arezzo dopo avere trionfato nella categoria polifonia (sezione cori), nella rassegna di musica corale contemporanea (la sezione che CRONACA prevede l’esecuzione di un’opera scelta tra quelle premiate o segnalate nell’ambito del Concorso internazionale di composizione “Guido d’Arezzo”), nella rassegna per periodi storici: sia per la sezione polifonia classico-romantica, sia per la sezione polifonia dall’impressionismo ai giorni nostri. I giurati non hanno quindi avuto modo di sbagliare e più volte hanno ribadito con i loro punteggi l’eccellenza del gruppo sloveno che ha ripetutamente convinto pubblico ed esperti per la professionale prestazione tecnico-vocale e per l’avvincente musicalità delle loro esibizioni. Non so se sia corretto parlare, a questi livelli, di esecuzioni meglio riuscite di altre, ma nella soggettività di chi ascolta mi sembra di poter dire che il coro si è espresso al meglio nel repertorio romantico eseguendo Beati Mortui n. 1 e Adspice Domine per coro maschile, violoncello e contrabbasso, entrambi di Felix Mandelsshon-Bartholdy, e nell’esecuzione del suggestivo brano di Giovanni Bonato, Crux fidelis per gruppo corale maschile spazializzato (tra i brani vincitori del 29° Concorso internazionale di composizione “Guido d’Arezzo” 2002), con il quale il gruppo sloveno ha vinto la rassegna di musica corale contemporanea. Un importante riconoscimento alla coralità italiana è quindi giunto con la posizione d’onore assegnata al Coro Città di Roma diretto da Mauro Marchetti che ha ottenuto una conferma di quanto già sancito dai risultati del Concorso nazionale (si ricorda che i due concorsi, nazionale e internazionale, hanno giurie diverse). Il coro romano, oltre al secondo premio nella categoria polifonia (cori), ha ottenuto anche il secondo premio, primo non assegnato, per la sezione “gruppi vocali”. Se ancora non bastasse, il palmares della compagine romana si è ulteriormente arricchito del premio speciale della Fondazione “Mariele Ventre” per il miglior direttore nelle sezioni della categoria B (polifonia) assegnato al suo direttore Mauro Marchetti. Anche in questo caso un lusinghiero riconoscimento per la coralità italiana. Il terzo premio della categoria polifonia (cori) è stato assegnato a un coro femminile con buon livello tecnico e vocale: il Bøler Vocalensemble di Oslo (Norvegia) diretto da Vigdis Oftung, coro che ha ottenuto anche il premio assegnato dalla commissione d’ascolto (ex-aequo con i Cantores Maruli di Split – Croazia – diretti da Marijo Krnic) nel Festival corale internazionale di canto popolare. Primo escluso dal podio in questa prestigiosa sezione, a soli punti 6/200 di distanza, è stato il pur bravo Coro Municipal de la Ciudad de Mendoza di Mendoza (Argentina) diretto da Ricardo Alberto Portillo che si è però visto assegnare il terzo premio nella sezione “gruppi vocali”. Il dispiacere per l’esiguità dei cori presentatisi nella categoria voci bianche è stato però compensato dalla loro qualità, infatti, il Cantemus Chilren’s Choir di Nyiregyhaza (Ungheria) diretto da Denes Slabo e il Leioa Kantika Korala di Leioa (Spagna) diretti da Basilio Astulez hanno vinto il primo premio ex-aequo della categoria con il punteggio di 180,8/200. Il Leioa Kantika Korala è un coro di cui avevamo già sentito parlare per le sue esecuzioni in cui spesso la coreografia si inserisce a pieno titolo nel cantare e nel fare musica (si veda l’articolo di Mauro Zuccante Cori e Dvd video - la musica da vedere sul n. 28 di Choraliter). Da sottolineare ancora la capacità dei direttori nel coinvolgere i giovani coristi e la capacità di questi ultimi nel trasmettere la gioia stessa del cantare e nel vivere la musica che si canta. Cori di voci bianche o cori giovanili? Riguardo ai cori di voci bianche sentiti ad Arezzo si possono ancora fare alcune considerazioni. In realtà, più che cori di bambini si tratta di cori che definirei 71 72 giovanili in quanto composti quasi esclusivamente da adolescenti la cui età si avvicina al limite massimo previsto dal regolamento (15 anni). I bambini al disotto dei 10 anni erano veramente pochi, con conseguenze prevedibili dal punto di vista della qualità sonora: in questi casi il coro acquista forse in ampiezza dinamica, ma perde parte di quella qualità timbrica che fa del coro di voci bianche quello “strumento” dalla sonorità unica ed emotivamente impareggiabile. Nei cori di voci bianche sembrano poi essere spariti i “maschietti” (ma questo è un problema socio-culturale che non si presenta da oggi) e anche in questo caso si ha una perdita non marginale della qualità timbrica. Il repertorio dei gruppi vocali Per quanto riguarda la sezione gruppi vocali abbiamo già detto della classifica, ma vorremmo sottolineare come in realtà nell’esibizione dei singoli ensemble non si sia ascoltato praticamente nulla espressamente pensato e scritto per gruppi vocali; talvolta si è trattato di una riduzione da coro più numeroso a coro da camera (Coro Città di Roma) o da coro a voci miste a coro di voci pari (sezione femminile del coro Coro Municipal de la Ciudad de Mendoza), il che ci sembra tradire lo spirito e la peculiarità stessa di questa sezione del concorso. Si potrebbe forse a questo punto suggerire all’organizzazione del concorso di imporre come pezzo d’obbligo non già gli stessi brani rinascimentali sacri previsti per i cori (quest’anno due mottetti di G. Pierluigi da Palestrina: Nos autem gloriari per i cori misti e Adoramus te Christe per i cori a voci pari), bensì un brano madrigalistico, espressamente concepito per un ensemble ridotto o, addirittura, per l’esecuzione a parti reali. Sicuramente questo aumenterebbe il livello di difficoltà di questa sezione, ma non è forse questo uno degli aspetti che differenzia la sezione per cori da quella per gruppi vocali? Repertorio rinascimentale e repertorio contemporaneo L’avere accennato al madrigale rinascimentale ci riporta alla difficile situazione che questa edizione del Polifonico aretino ha evidenziato per il repertorio di questo periodo storico. Il premio speciale per la migliore esecuzione del brano obbligatorio (uno dei due brani di Palestrina citati sopra) non è stato assegnato; nella categoria “Rassegna per periodi storici” il premio speciale per la categoria della polifonia a cappella dal 1450 al 1600 (che vedeva iscritti tre soli gruppi) non è stato assegnato (come anche quello della polifonia a cappella o con basso continuo dal 1600 al 1750); nei programmi per concorrere al Gran Premio Città di Arezzo è stato inserito un solo brano rinascimentale (Una hora di T. L. De Victoria) eseguito dal Cantemus Chilren’s Choir, mentre gli altri due cori non hanno preso in considerazione il periodo storico in questione. Da un certo punto di vista ci può consolare il fatto che la situazione è cambiata rispetto ad alcuni anni or sono quando molti cori si cimentavano nel repertorio rinascimentale ritenendolo fra i più facili (un brano si legge in una sera di prove!). Forse che ora c’è più consapevolezza della complessità di questa musica e di quanto debba essere ampio il lavoro di ricerca interpretativa, soprattutto da parte del direttore, per ognuno dei brani studiati? Se la realtà fosse questa sicuramente avremmo fatto un passo avanti. Questo ci impegnerebbe però di più, soprattutto in quanto coralità italiana, depositaria di questa preziosa eredità, a incrementare la formazione rispetto alla musica corale di questo periodo, a fornire esempi e modelli esecutivi credibili e condivisi, ora assolutamente mancanti, e a fornire ulteriori occasioni per esibizioni mirate e possibilità di confronto. La scommessa è quella di fare in modo che questo repertorio ritrovi sempre i suoi giusti canoni interpretativi e solo a questo punto i cori ritroveranno il piacere di eseguirlo e il pubblico le giuste emozioni nell’ascoltarlo, valorizzando così «…la grande tradizione, che del resto (cfr. Palestrina) è sempre la più difficile» (Bruno Zanolini, intervista pubblicata sul n. 29 di Choraliter). Al contrario, la musica corale moderna e contemporanea sembra avere trovato un felice momento, contrariamente a quanto ancora avviene nell’esecuzione professionale della musica strumentale (quanti concerti di musica classica prevedono l’esecuzione di musica contemporanea?). La sezione “polifonia dall’impressionismo ai giorni nostri” ha visto ben tredici cori iscritti e anche i brani presentati al Gran Premio erano per la maggior parti stati scritti dopo il 1900. La ritrovata possibilità di attivare in questa edizione la Rassegna di musica corale contemporanea (la sezione che prevede l’esecuzione di un’opera tra quelle premiate al Concorso di composizione “Guido d’Arezzo”) con la presenza di due cori, dopo diversi anni in cui la sezione si era dovuta annullare per mancanza di adesioni, è un sintomo della buona salute e dell’apprezzamento di cui gode questo specifico repertorio. Il Festival di canto popolare In ultimo, sempre apprezzato e festante il Festival di canto CRONACA popolare che ha visto sfilare gruppi provenienti da nazioni e continenti diversi, con costumi e canti che testimoniano la varietà di popoli e di culture che il concorso di Arezzo rappresenta. Il premio del pubblico del festival è stato assegnato al Khp Coro Techniuv di Dasmarinas Cavite (Filippine) diretto da Steve Collado, caratterizzatosi per una esibizione davvero folcloristica, nel vero senso del termine, che ha catturato l’interesse e la simpatia del pubblico stesso. Nell’ambito di questo Festival è da segnalare l’esibizione del quintetto Gruppo Vocale Concentus di Boves (Cn) diretti da Flavio Becchis che ha saputo rendere in maniera originale e quanto mai accattivante i due brani popolari piemontesi proposti, con l’utilizzo di costumi e di graziose messe in scena. Il “riscatto” dei cori maschili Un’ultima considerazione sul fatto che il Polifonico sia stato vinto quest’anno da un coro maschile (se non erro, nessun coro maschile aveva mai vinto il Gran Premio sin dalla sua istituzione): non si dice che i cori maschili sono in crisi, che molti “chiudono” e altri non trovano più coristi? Mi si obietterà che il coro che ha vinto è a un livello non paragonabile alla media dei nostri cori maschili, che la maggior parte di questi ultimi si dedica a un repertorio popolare e che, quindi, non si possono fare dei paragoni. Pur condividendo in parte tale obiezione, credo che il coro di Lubiana possa rappresentare un modello, anche se ad alti livelli, per tutti i cori maschili, 73 indipendentemente dal repertorio affrontato: non è l’organico del coro che ne determina la qualità! Forse che quel coro è così bravo solo perché si dedica a un repertorio “classico”? Forse che non lo sarebbe altrettanto se si dedicasse a un repertorio popolare? Non credo la questione stia in questi termini. Potrebbe però essere l’occasione per porsi alcune domande: se nel nostro paese i cori maschili incontrano maggiori difficoltà rispetto ad altri organici, queste non sono forse dovute alla preparazione stessa dello strumento coro? Forse che il repertorio popolare non esige apparentemente un alto grado di preparazione per cui i cori che lo frequentato non sono spronati a migliorarsi? Forse che il repertorio popolare trova maggiori difficoltà a inserirsi in un “moderno” contesto culturale? Forse che una frequentazione a metà strada fra repertorio popolare e repertorio “colto” potrebbe rappresentare una via d’uscita dalle attuali difficoltà? La questione è aperta e le risposte non sono così immediate. Il Guidoneum Festival e i Guidoneum Awards Non si può infine non parlare di tutte quelle manifestazioni di alto livello che costituiscono il “valore aggiunto” del Polifonico. Il Guidoneum Festival, giunto quest’anno alla sua terza edizione, ha offerto uno spaccato della musica medievale con il gruppo La Reverdie diretto da Claudia Caffagni, in occasione del concerto di inaugurazione. Il canto gregoriano ha ritrovato in questo festival la sua giusta visibilità con il Mediae Aetatis Sodalicium diretto da Nino Albarosa 74 nel concerto “Omaggio a Guido” (che il maestro Albarosa ha voluto dedicare alla memoria del compianto maestro Tito Molisani). A questi gruppi professionali si sono aggiunti i cori invitati per il premio alla carriera (Guidoneum Awards, seconda edizione): il St. Jacobs Chamber Choir di Stoccolma diretto da Gary Graden, il Kamerinis Choras Brevis di Vilnius diretto da Gintautas Venislovas, la Wiener Choralschola di Vienna diretta da Daniel Mair. Tutti questi cori hanno conseguito più di dieci anni fa un primo premio al Concorso polifonico internazionale (in molti casi hanno poi vinto il Gran Premio europeo di canto corale) e sono stati ora richiamati per testimoniare come tutti i gruppi che hanno ottenuto in passato premi e riconoscimenti al concorso aretino abbiano mantenuto o raggiunto livelli di eccellenza. Quest’anno è stato inoltre assegnato uno Special Award al Coro della Sat diretto da Mauro Pedrotti, vincitore del Polifonico nel 1953, anche a volere affermare il valore assoluto della coralità, a prescindere da qualsivoglia repertorio. Con questo riconoscimento questa 57ª edizione del polifonico ha rappresentato un ideale congiungimento fra due cori maschili: il Coro della Sat vincitore del Polifonico nel 1953 e il Vokal Akademija Ljubljanana vincitore nel 2009 del Polifonico e del Gran Premio Città di Arezzo. L’augurio è che come allora la Sat seppe diventare un modello per quasi tutti i cori maschili italiani, così oggi il coro di Lubiana rappresenti un modello per il rinnovamento e il successo dell’attuale coralità maschile. 57º CONCORSO POLIFONICO INTERNAZIONALE “GUIDO D’AREZZO” Sezione 3 - Gruppi vocali (da 4 a 12) Primo premio - Premio “Nino Antonellini” non assegnato Secondo premio Coro Città di Roma, direttore Mauro Marchetti (punteggio: 163,6) Terzo premio Coro Municipal de la Ciudad de Mendoza (Argentina), direttore Ricardo Alberto Portillo (punteggio: 153,4) Seguono in ordine di punteggio 4. Gruppo vocale Concentus - Boves, direttore Flavio Becchis (punteggio: 136,8) 5. Cantores Maruli - Split (Croazia), direttore Marijo Krnic (punteggio: 132,2) Sezione 4 - Cori (da 12 a 32) Primo premio - Premio“Agostino e Beatrice Negrotto Cambiaso” Vokalna Akademija Ljubljana, direttore Stojan Kuret (punteggio: 182,4) Secondo premio Coro Città di Roma, direttore Mauro Marchetti (punteggio: 169,6) Terzo premio Bøler Vokalensemble - Oslo, direttore Vigdis Oftung (punteggio: 160,8) Seguono in ordine di punteggio 4. Coro Municipal de la Ciudad de Mendoza (Argentina), direttore Ricardo Alberto Portillo (punteggio: 154,6) 5. Khp Coro Techniuv - Dasmarinas Cavite (Filippine), direttore Steve Collado (punteggio: 148) 6. Ass. Corale “Sette torri” - Settimo Torinese, direttore Giovanni Cucci (punteggio: 147,6) 7. Female Choir of Tallin University (Estonia), direttore Linda Kardna (punteggio: 145) 8. Oslo Cathedral Youth (Norvegia), direttore Ketil Grøttin (punteggio: 144,8) 9. Monteverdi Kamerkoor Utrecht (Paesi Bassi), direttore Wilko Brouwers (punteggio: 130) Premio speciale per la miglior esecuzione del brano obbligatorio non assegnato Sezione 5 - Voci bianche (da 12 a 32) Primo premio - Premio “Fosco Corti” ex aequo (punteggio: 180,8) Cantemus Children’s Choir - Nyiregyhaza (Ungheria), direttore Denes Slabo Leioa Kantika Kprala - Leioa (Spagna), direttore Basilio Astulez Sezione 7 - Rassegna di musica corale contemporanea Premio speciale “Mario A. Bucciolotti” Vokalna Akademija Ljubljana, direttore Stojan Kuret Premio della Fondazione “Mariele Ventre” per il miglior direttore nelle sezioni della categoria B Mauro Marchetti Sezione 6 - Rassegna per periodi storici Premio speciale periodo storico B: non assegnato Premio speciale periodo storico C: non assegnato Premio speciale periodo storico D: Vokalna Akademija Ljubljana, direttore Stojan Kuret Premio speciale periodo storico E: Vokalna Akademija Ljubljana, direttore Stojan Kuret Sezione 8 - Festival Corale Internazionale di Canto Popolare Premio di assegnato da una commissione d’ascolto ex-aequo: Bøler Vokalensemble - Oslo, direttore Vigdis Oftung Cantores Maruli - Split (Croazia), direttore Marijo Krnic Piatto d’argento offerto dall’Atp di Arezzo, premio assegnato dal pubblico Khp Coro Techniuv - Dasmarinas Cavite (Filippine) 26º CONCORSO POLIFONICO NAZIONALE Vincitore Coro Città di Roma (Roma), diretto da Mauro Marchetti (punteggio: 179,6) Secondo classificato JanuaVox (Genova), diretto da Roberta Paraninfo (punteggio: 160,9) Terzo classificato Coro Polifonico Madonna della Consolazione (Reggio Calabria), diretto da Luigi Miriello (punteggio: 159,6) Seguono in ordine di punteggio: 4. Piccola Harmonia - Venezia (punteggio: 153,6) 5. Ass. Corale “Sette Torri” - Settimo Torinese (punteggio: 151,6) 6. Coro “Ad dei Laudem” - Lentini (punteggio: 144,6) 7. Coro Giovanile Iride - Roma (punteggio: 140,9) 8. Coro Marc’Antonio Ingegneri - Cremona (punteggio: 135,9) 9. Coro “La Corolla” - Ascoli Piceno (punteggio: 133,6) Premio Feniarco Coro Piccola Harmonia di Venezia, diretto da Nicola Ardolino Interattiva, Spilimbergo in collaborazione con FENIARCO Via Altan, 39 S.Vito al Tagliamento (Pn) - Italy Tel +39 0434 876724 Fax +39 0434 877554 www.feniarco.it [email protected] REGIONE AUTONOMA DELLA VALLE D’AOSTA Assessorato all’Istruzione e Cultura COMUNE DI AOSTA FONDAZIONE ISTITUTO MUSICALE DELLA VALLE D’AOSTA SEMINARIO COMPORRE EUROPEO P E R C ORO PER GIOVANI O COMPOSITORI GGI DOCENTI Mia Makaroff • Pierangelo Valtinoni • Thierry Lalo • Carlo Pavese • Bottega di Composizione per cori di bambini LABORATORIO DI COMPOSIZIONE CORALE ORIGINALE Bottega di Elaborazione LABORATORIO DI ELABORAZIONE E ARRANGIAMENTO SU MATERIALI DATI AOSTA 18-24 luglio 2010 Bottega di Arrangiamento e composizione vocal jazz-pop LABORATORIO DI ARRANGIAMENTO E COMPOSIZIONE VOCAL JAZZ-POP Bottega di Sperimentazione LABORATORIO COLLETTIVO DI SPERIMENTAZIONE-ESECUZIONE 76 Notizie dalle regioni A.R.C.C. Associazione Regionale Cori Campani Via Trento, 170 - 84131 Salerno Presidente: Vicente Pepe Incontrarsi, conoscersi, confrontarsi L’Arcc il 17 novembre 2009 ha organizzato presso il Teatro Augusteo di Salerno la XIV Rassegna regionale Arcc 2009; una serata tutta “nostra” – cioè dedicata interamente alla proprio associazione – dove l’intera coralità amatoriale regionale ha potuto far sentire il proprio “importante” valore culturale. Incontrarsi, conoscersi, confrontarsi, è stato stimolante per i quattordici cori intervenuti e per il pubblico presente, ed emozionante è stato esibirsi davanti a una folta platea piena di amici e appassionati con cui condividere l’amore per la musica. Nelle giornate di sabato 21 e domenica 22 novembre si è poi tenuto nella Chiesa della Consolazione di Posillipo (Na) il corso per coristi, direttori e professionisti della voce associati all’Arcc su “Tecnica vocale e prassi esecutiva”, con la presenza di circa 50 partecipanti. Il corso, tenuto dalla docente Antonella Tatulli, era incentrato sul trinomio parola-ritmo-suono nell’uso dell’organo vocale e nella sua applicazione artistica. In particolare, sono stati approfonditi i temi della respirazione, risonanza, articolazione, intonazione, emissione, espressione. Infine segnaliamo due manifestazioni che si sono recentemente svolte con il patrocinio dell’Arcc: il 6º Festival della musica polifonica “Cori in coro” organizzato dall’associazione Estro Armonico a Salerno dal 17 ottobre al 29 novembre, e il 5º Raduno regionale per cori polifonici “Natal cantando”, organizzato il 29 novembre a Lancusi (Sa) dal Coro polifonico San Martino, felice occasione d’incontro tra i coro per prepararsi all’arrivo del Natale. U.S.C.I. Friuli Venezia Giulia Unione Società Corali del Friuli Venezia Giulia Via Altan, 39 - 33078 San Vito al Tagliamento (Pn) Presidente: Sante Fornasier Canti e tradizioni natalizie in Alpe Adria Novanta concerti sono il regalo di Natale che la coralità del Friuli Venezia Giulia offre alla propria regione: tanti sono gli appuntamenti di questa nuova, straordinaria edizione di Nativitas, il festival con cui l’Usci Friuli Venezia Giulia chiude il vecchio anno e apre quello nuovo. Un ampio cartellone che dal 28 novembre al 10 gennaio percorre l’Avvento e le festività del Natale fino all’Epifania, espressione della ricchezza culturale della regione e offerta musicale radicata nella storia e nelle tradizioni del suo popolo. Ma denso di iniziative è stato tutto il periodo autunnale. A fine settembre, la conclusione dei seminari Voce e consapevolezza corporea, tenuti a Lignano Sabbiadoro dai docenti Paolo Loss e Bettina von Hacke, con sempre ricca presenza di corsisti. E poi ottobre, mese nel quale gli appuntamenti con la musica corale si sono infittiti: su tutti, Corovivo - Confronti corali itineranti del Friuli Venezia Giulia, la rassegna di carattere competitivo che domenica 25 ottobre ha portato a Pasiano di Pordenone 17 cori, che si sono esibiti nei rispettivi progetti, classificandosi secondo le tre fasce di eccellenza, merito e distinzione e competendo inoltre per il primo Gran Premio Corovivo, grande novità di quest’anno, assegnato dalla REGIONI giuria al coro femminile Clara Schumann di Trieste. E poi c’era l’altra novità, il Festival Corovivo, che ha preparato il terreno alla kermesse finale con tre importanti appuntamenti musicali nei teatri di Pasiano, San Vito al Tagliamento e Azzano Decimo, protagonisti l’insieme corale Ecclesia Nova di Bosco Chiesanuova, il coro di voci bianche Artemìa di Torviscosa e il Polifonico di Ruda. E poi ancora l’assemblea di Feniarco a San Vito il 17 e 18 ottobre, la presentazione del volume Cjantutis pai fruts n. 2, raccolta di nuove composizioni per l’infanzia su testi in lingua friulana, realizzato in collaborazione con la Società Filologica Friulana e – a chiusura del mese – l’incontro/intervista con il compositore Orlando Dipiazza, a Gorizia il 30 ottobre, per presentare il nuovo volume Florilegium Sacrum antologia corale di musica sacra e per festeggiare con tutto il mondo corale gli ottant’anni di questo grande autore. U.S.C.I. Lombardia Unione Società Corali della Lombardia Via Santa Marta, 5 - 23807 Merate (Lc) Presidente: Franco Monego Delegazione di Bergamo Un mese di ottobre ricco di iniziative nella provincia di Bergamo, apertosi sabato 3 e domenica 4 con il 3º Corso per insegnanti e direttori di coro, tenuto dal docente Mauro Zuccante con la presenza di circa 40 partecipanti. Nell’intero arco del mese si è poi svolta a Sotto il Monte la decima edizione della rassegna corale e strumentale “In Memoriam”, mentre il 5º Concorso regionale “Daniele Maffeis” per le corali parrocchiali lombarde si è tenuto a Gazzaniga sabato 24 e domenica 25, coinvolgendo 13 cori partecipanti. Delegazione di Varese In provincia di Varese, a Porto Valtravaglia, il “Concerto d’autunno” di domenica 4 ottobre, organizzato con il contributo della Pro Loco di Porto Valtravaglia e il patrocinio del Comune, ha visto eseguire canti di Bepi De Marzi e brani della tradizione negro-spiritual. A.E.R.CO. Associazione Emiliano-Romagnola Cori Via San Carlo, 25/F - 40121 Bologna Presidente: Fedele Fantuzzi Quando la musica fa storia La tradizionale rassegna musicale dell’Aerco Itinerari di musica corale, giunta quest’anno alla ventesima edizione e svoltasi a Bologna il 24 ottobre, ha trovato collocazione anche nel 2009 nelle iniziative culturali organizzate dall’ateneo bolognese per la Festa della Storia. Il tema proposto dagli organizzatori – “Quando la musica fa storia” – ha avuto un immediato riscontro nella presenza di tre gruppi che affondano le radici del loro repertorio in quel patrimonio di storie popolari rappresentato dai canti delle loro regioni. Le armonizzazioni dei maestri Giorgio Vacchi e Giacomo Monica per i canti dell’Emilia Romagna e di Teo Usuelli per quelli abruzzesi, hanno dato forza e vita a uno spettacolo che ha voluto anche manifestare al Coro della Portella di Paganica (Aq) 77 la convinta solidarietà dei cori emiliano-romagnoli, dopo il tremendo evento dello scorso aprile. Si sono inoltre svolti i primi due incontri del corso che l’Aerco ha organizzato per gli aspiranti direttori di coro della regione Emilia Romagna. Hanno aderito alla iniziativa 37 iscritti, 10 dei quali uditori. Il primo incontro tenuto a Bologna in ottobre dalla professoressa Giovanna Giovannini ha coinvolto gli allievi in una serie di problematiche legate al tema della fisiologia e della vocalità con numerosi esercizi preparatori che sono stati molto apprezzati. Il 6 novembre invece tutto il gruppo si è trasferito a Piacenza per assistere a una lezione del maestro Mario Pigazzini che, con sperimentazioni eseguite dal suo coro, ha illustrato ampiamente il grande lavoro che un direttore deve affrontare nella direzione di un coro di voci bianche. A.R.C.L. Associazione Regionale Cori del Lazio Via Valle della Storta, 5 - 00123 Roma Presidente: Alvaro Vatri Didattica, formazione, divulgazione Si è svolta il 21 novembre, presso il Teatro del Pontificio Oratorio di San Paolo a Roma, l’assemblea ordinaria dell’Arcl. Il presidente Alvaro Vatri ha presentato il resoconto sull’attività svolta da settembre e i progetti per il primo semestre 2010. Nell’occasione sono inoltre stati consegnati i riconoscimenti “I cori dell’anno” relativi alla stagione 2008-09. Il 27 settembre, nell’ambito della seconda Giornata Corale organizzata a Roma presso la Scuola San Paolo, l’Arcl ha offerto ai suoi associati l’opportunità di trascorrere una giornata coinvolgente e intellettualmente stimolante attraverso lo svolgimento, durante la mattinata e nel primo pomeriggio, di sette atelier, sul modello ormai sperimentato da anni nelle settimane cantanti di Europa Cantat, condotti da Remo Guerrini, Ermanno Testi, Lucio Ivaldi, Piero Caraba, Walter Marzilli, Giorgio Monari e Tullio Visioli. Il lavoro svolto è stato poi presentato in una manifestazione conclusiva a teatro. È giunta quest’anno alla settima edizione la Giornata di studi in onore di Domenico Cieri, che il 12 dicembre presso l’aula di musica dell’Università La Sapienza di Roma ha affrontato il tema “La didattica della vocalità nella storia”, con interventi dei relatori Antonio Juvarra, Mauro Uberti, Antonio Rostagno, Francesca La Rosa. La manifestazione rientra in un progetto triennale, che intende esaminare le premesse dell’attuale tradizione didattica del canto nella storia dei secoli moderni affrontando in tre fasi distinte le problematiche legate al suono (estetica, anno 2009), alle metodologie (storia della didattica musicale, anno 2010), alle istituzioni (organizzazione della didattica, anno 2011). Prosegue inoltre la pubblicazione di Lazio in Coro, l’informatore mensile dell’Arcl che fornisce informazioni sulla vita dell’associazione, offre spazi per dibattiti, riflessioni e per resoconti di attività svolte sia dall’associazione che dai singoli cori, svolge attività di informazione circa corsi, seminari, concorsi, rassegne e manifestazioni riguardanti la coralità nella regione Lazio, in Italia e all’estero. Nel mese di novembre si è provveduto a un restyling grafico del bollettino, avviando un processo volto alla redazione di un magazine dell’associazione. 78 DISCOGRAFIA&Scaffale Canti alpini in cornice di Mauro Zuccante Chissà come Renato Dionisi avrebbe giudicato l’operazione di calare in un contesto sinfonico la sua canzone Siam prigionieri. Dionisi era uno che insegnava a togliere, piuttosto che ad aggiungere. Cavare fino a lasciare l’essenziale. Una volta, mi fece notare un particolare. Un discreto bicordo sincopato e nulla più accompagna il secondo tema nel primo movimento della Sinfonia Incompiuta di Schubert; quel tanto che basta per disegnare il contesto armonico di tonica e dominante. Due note solamente, per evitare di appesantire e frenare lo slancio espressivo dell’incantevole melodia dei violoncelli. Premetto questa osservazione perché la canzone Siam prigionieri di Dionisi è inserita nel cd Non ti ricordi quel Mese d’Aprile…, che documenta il concerto straordinario che il Coro A.N.A. - Sez. di Milano e l’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, hanno tenuto il 15 novembre 2008, per celebrare il 90º anniversario della fine della Grande Guerra. Un progetto che presenta un restyling sinfonicocorale di una collana di tradizionali canti alpini di guerra. Tutte le strumentazioni orchestrali sono di Giovanni Veneri. Un’idea non nuova. Risale infatti al 2002 una simile proposta realizzata dal Coro della Sat in collaborazione con l’Orchestra Haydn di Trento e Bolzano. Nella fattispecie, il programma si può ascoltare nel cd Canti della montagna, contenente canti popolari della montagna, di guerra, di dolore e d’amore. Il rivestimento orchestrale opera del compositore Armando Franceschini. In entrambe le circostanze, riedizioni di canti alpini, in cui vengono mantenute le parti corali degli impianti originali a cappella (per intenderci, quelli delle trascrizioni dei vari Pedrotti, Pigarelli, Dionisi, Benedetti Michelangeli), ma ulteriormente farcite con le sontuose sonorità dell’orchestra sinfonica. Insomma, non siamo in presenza di vere e proprie re-invenzioni musicali sui tradizionali temi melodici alpini. Piuttosto giustapposizioni e sovrapposizioni. Prodotti diversi da originali rifacimenti sinfonici dei canti alpini. Si riascolti, a proposito, il magistrale lavoro di Nino Rota per la colonna sonora del film La Grande Guerra di Mario Monicelli. Prima di passare all’ascolto del cd Non ti ricordi quel Mese d’Aprile…, provo a ricordare come Dionisi – il quale, a dispetto del nome, era un apollineo – ha elaborato la melodia Siam prigionieri. Memore della lezione di Schubert, egli stende rare e diafane pennellate a contorno dell’angosciosa melodia intonata dalle voci gravi, la quale si spande, sola, nel gelo de «l’ingrato suolo siberian»; un po’ più di colore usa per sottolineare lo strazio del grido esasperato «Ma quando, ma quando…»; inserisce uno scarto armonico sul finire e nulla più. Incuriosito, ascolto la nuova edizione con l’orchestra. Non c’è dubbio, si è perso il carattere di lontano e scarno lamento che echeggia nella versione di Dionisi. C’è del tumulto, buriana. Un’altra cosa, insomma. Ascolto l’intero cd e l’impressione iniziale è confermata. Pertanto, mi chiedo quali siano le motivazioni che giustificano tutto questo schieramento di mezzi, l’accostamento di coro alpino e orchestra sinfonica. Leggo tra le righe della presentazione del cd prodotto dalle compagini milanesi, curata da Angelo Foletto: «Nulla di strano che nella solenne occasione celebrativa del no- RUBRICHE vantesimo, e proprio tramite l’iniziativa del glorioso Coro dell’Associazione Nazionale Alpini, il patrimonio popolare tenti la via della ‘nobilitazione’ (formale, ché la nobiltà di sostanza la interpretano da allora): non per complesso di inferiorità né per rinunciare a se stessa ma per fare partecipi più persone dei valori unici, morali e artistici, della sua tradizione e del suo universo poetico. Non è la prima volta che la coralità popolare moderna va a nozze con la musica colta, quasi sempre trasferendo gli originali per voci maschili all’orchestra sinfonica, con o senza coro professionale». Ora il senso mi è più chiaro. Si tratta di un evento celebrativo e si tratta di seminare il canto alpino su nuovi terreni. Fare breccia nei templi del mondo musicale accademico. Legittimo. In sostanza, si incorniciano le tradizionali cante della montagna, per farne degli allestimenti più consoni ai luoghi della Haute Culture. Giuseppe Calliari, chiosando l’altro cd, quello del 2002 del Coro Sat, ha scritto: «La montagna è celebrata con questo evento da due realtà musicali delle quali essere ha ragione orgogliosi, un’orchestra sinfonica e un coro alpino che rappresenta dalla sua nascita l’intreccio di popolare e di colto, mai fin qui incontratesi. Al di là dell’importanza oggettiva del fatto, non possiamo non leggere il segno che i generi sempre più si intrecciano, si contamino, si intendono. Questa è la prospettiva estetica nella quale l’oggi si muove». Quindi, c’è dell’altro. La contaminazione. Quel processo culturale, per cui oggi si mescola di tutto. Ricordo quando (credo fosse il 1989) ascoltai attraverso la radio un remix techno, il cui sottofondo era costituito da un canto corale tratto dal folklore bulgaro. Cercai il cd, e fu così che mi imbattei ne Les mystère des voix bulgares. Un’antologia di canti popolari bulgari arrangiati per coro di sole voci femminili, nell’esecuzione di uno dei tanti cori che, a partire da allora, diffusero in Occidente quel sound dal sapore così arcano e primitivo. Insomma, fu grazie a un’operazione che aveva evidenti scopi di mercato, che ebbi l’occasione di conoscere un interessante repertorio. Sarà così anche per il canto alpino? Forse. Alcuni segni già non mancano. Oltre ai due cd di cui ho parlato, cito l’incursione di un paio di cori alpini trentini (il Coro Sant’Ilario e il Coro Valle dei Laghi) in una recente edizione del Festival di Sanremo, in cui hanno duettato con la cantante Antonella Ruggiero. In questo caso, però, credo trattasi di una canzone originale. Ma potrei fare anche altri esempi. In conclusione, tutto si giustifica, soprattutto in considerazione degli incroci (più o meno pericolosi) stilistici ed estetici, ai quali ci ha abituato la realtà musicale attuale. Ma rimane aperta la domanda iniziale, la cui risposta, ahimé, «soffia nel vento». Renato Dionisi avrebbe condiviso? 79 Musica francescana di Sandro Bergamo Una certa agiografia da ebdomadario parrocchiale può far pensare che la cifra musicale del francescano sia quella chitarristica del presunto frate Cionfoli ed epigoni. Per nostra fortuna la realtà è molto più seria e lusinghiera. Oscar Mischiati annotava anzi in un convegno che l’ordine religioso più prolifico dal punto di vista dell’editoria musicale tra ’500 e ’700 è proprio quello del frati minori conventuali. Le loro grandi e frequentate chiese richiedevano predicazione e liturgia in consonanza. Mischiati, in quell’occasione, ne annotava oltre cento: dai più importanti come padre Martini e Costanzo Porta, alle schiere di loro allievi che popolarono le cappelle musicali d’Italia. Tanti sono che ne è nata una collana, il Corpus Musicum Franciscanum, che da decenni il Centro Studi Antoniani di Padova pubblica, raggiungendo, fra testi pubblicati e in preparazione, la bellezza di 141 titoli. Tra gli ultimi pubblicati, nel corso del 2009, il Magnificat in fa maggiore a 4 voci con strumenti di Luigi Antonio Sabbatini (1732-1809), con in­troduzione di Piero Caraba che è anche autore della trascrizione. Allievo di padre Martini, Sabbatini dopo essere stato a Bologna, Marino e Roma, giunse a Padova nel 1786, dove rimase fino alla morte direttore della cappella musicale della Basilica di S. Antonio. È proprio a Padova, nell’archivio musicale della Cappella Antoniana, che si conservano gli originali di questa sua opera, per la quale mancano elementi per una precisa datazione, al di là dei limiti cronologici posti dal servizio prestato dal compositore nella città veneta. L’opera di Sabbatini si presenta come un tipico prodotto degli anni a cavallo tra Sette e Ottocento. Una serie di episodi che alternano l’omoritmia all’indipendenza delle parti, ciascuno dei quali corrisponde a un versetto del testo, separato da una o due battute orchestrali. Un struttura frammentata, dove «un chiaro intento madrigalistico», spiega il curatore, «fa sì che ogni singolo versetto abbia caratteristiche ritmico melodiche ed espressive sue proprie controbilanciate dalle semplici e regolari figurazioni dell’orchestra, [che] costituiscono l’elemento di coesione, stabilizzano in qualche modo la forma e rendono naturale il fluire da un episodio all’altro». Il coro a quattro voci, l’orchestra d’archi e continuo arricchita dalle classiche coppie di oboi e corni, testimoniano anche della sontuosità del rito che si svolgeva nella Basilica del Santo. Annota Caraba che l’archivio conserva tutte le parti staccate, dalle quali si può ricavare la presenza di 28 orchestrali, due organi e coro di 16 elementi: il rito, insomma, anche quand’è francescano, non è sciatto. 80 All’altro polo della musica francescana, quello rinascimentale dominato dalla figura di Costanzo Porta si colloca invece un allievo di quest’ultimo: Ludovico Balbi (15451604). Anche qui siamo in terra veneta, svolgendosi la vicenda di frate Ludovico tra Venezia, Padova e Feltre. Per la cappella della cattedrale di quest’ultima città, Balbi scrive nel 1594 i Psalmi ad Vesperas canendi per annum, conservati manoscritti nell’Archivio Capitolare del Duomo. Siamo lontani dal fasto della liturgia policorale veneta: una scrittura molto essenziale, un sobrio stile alternatim tra le quattro voci e la schola gregoriana sono la dimensione di quest’opera di Balbi. Vogliamo qui segnalare il lavoro di valorizzazione di questo compositore che da anni sta compiendo la Schola cantorum di Santa Giustina (Bl), diretta dapprima da Alberto Da Ros e ora da Fabrizio Da Ros. Lo facciamo in occasione dell’uscita del secondo cd (Tactus, 2009) dove la schola, assieme agli strumenti del Daphne Ensemble e all’organista Stefano Lorenzetti, presenta sei salmi del francescano. Dell’interpretazione offerta dall’ensemble bellunese va sottolineata, oltre alla complessiva buona qualità dell’esecuzione, la cura di variare per ogni salmo l’organico, offrendo le molte possibili alternative, tutte storicamente documentate (raddoppio strumentale o a cappella, versetti organistici al posto della schola gregoriana, versetti gregoriani accompagnati all’organo, ecc.) e sfuggendo così al rischio della ripetitività. La registrazione fa seguito a un’altra, del 2006, cui si accompagnava la stampa dell’opera per i tipi della Nuova Pro Musica Studium, a cura di Piervito Malusà. Un progetto complessivo che attende di essere completato da un terzo cd. Tenendo conto delle proprie radici di Pier Filippo Rendina Due nuove pubblicazioni giungono alla re­da­ zio­ne di Choraliter da parte dell’Usci Friuli Venezia Giulia. Due volumi musicali es­tre­ma­ men­te diversi per repertorio, genere e de­sti­ na­tario, eppure accomunati dalla medesima volontà di coltivare e valorizzare le proprie radici culturali. Aprendo le prime pagine di Cjantutis pai fruts (“Canzoncine per bambini”), quindicesimo volume della collana Choraliamusica, sco­ priamo che esso «raccoglie i lavori vincitori e segnalati alla II edizione dell’omonimo premio tenutosi nel 2007. Una pubblicazione che dà continuità ad un concorso storico, finalizzato soprattutto a fornire nuovi strumenti didattici, in campo musicale, al mondo della scuola friulana, con particolare attenzione alla scuola dell’infanzia e alle scuole primarie. Gli insegnanti avranno ora a disposizione proposte nuove, adatte ai bimbi di età scolare, uno strumento didattico in grado di conciliare armonicamente educazione musicale e insegnamento dalla lingua friulana». Citando le parole di Lucio Peressi, referente della Commissione scuola RUBRICHE della Società Filologica Friulana – in collaborazione con la quale l’Usci Friuli Venezia Giulia ha realizzato e presentato questo volume – le sette composizioni raccolte, peraltro incise da parte del coro Artemìa di Torviscosa e contenute in un pregevole cd allegato al volume, sono «il segnale di un nuovo interesse da parte dei compositori in questo settore artistico». Un segnale, dunque, che lascia ben sperare per il futuro, nell’ottica della riscoperta e quindi maggiore diffusione – specialmente tra le nuove generazioni, così spesso troppo impermeabili al costruttivo confronto con il proprio passato – del patrimonio culturale insito nella lingua friulana, affinché dal solco della tradizione possa scaturire un rinnovamento fecondo e consapevole. Se Cjantutis pai fruts prende le mosse dall’omonimo concorso di composizione, il secondo volume che qui presentiamo nasce come “regalo di compleanno” dell’Usci Friuli Venezia Giulia per gli ottant’anni del maestro Orlando Dipiazza. Con il titolo Florilegium sacrum, questa antologia corale curata da Franco Colussi – e inserita anch’essa nella collana Choraliamusica di cui costituisce il sedicesimo volume – raccoglie brani inediti scelti tra le sue composizioni sacre dell’ultimo decennio. Forte è il legame con le radici profonde della musica occidentale, passato e presente si incontrano e si fondono nelle pagine del maestro aiellese. «Si tratta di musiche», osserva il curatore, «che intonano testi liturgici o devozionali antichi, in parte “costruite sulla tematica gregoriana non intesa come cantus firmus, ma come linfa vitale che arriva in tutte le voci infondendo alla pagina vita e vigore”, in parte tra quelle di sua invenzione, “legate ad una modalità largamente intesa” (G. Radole)». Ampia la gamma di scelta per i cori che vorranno accostarsi a questa pubblicazione, dal momento che «questa antologia […] è costruita all’insegna di una certa varietas: diverse sono infatti le tipologie di organici corali cui si rivolge proprio per offrire un’ampia fruibilità […], diverse le lingue […], diverse infine le possibili destinazioni liturgiche». Una pubblicazione che vuole essere innanzitutto un omaggio al compositore in occasione dell’importante traguardo degli ottant’anni e nel contempo il riconoscimento per una vita spesa al servizio della musica corale. 81 82 MONDOCORO a cura di Giorgio Morandi Preghiera alla Musa Lascia che mi immerga nella musica quando il cuore dentro di me cade. Fammi sentire le vibrazioni che rimbalzano contro le pareti. Lascia che la grande musica mi porti i brividi mentre vivo giorno per giorno. Quando uno strumento suona, fammi sperimentare la bellezza. Ascolta la mia preghiera o amorevole musa che dà pace alla mia anima in pena. Aiutami a condividere le tue voci radiose. Questo sia il mio obiettivo. Sempre di più, io dico Amen. Prayer to the muse è il titolo originale di un brano corale. Sembra, ma non è una preghiera religiosa; ne ha il carattere. La parte pianistica emette un sapore antico che attira l’ascoltatore. Il messaggio è facilmente comprensibile per un pubblico internazionale. Il brano può servire come congedo beneaugurate alla fine di un concerto, ma a me piace metterlo all’inizio di questa rubrica come augurio ai lettori di Mondocoro per un nuovo anno ricco di serenità, salute e… musica! Libri per una corretta pronuncia delle lingue straniere Il libro di Richard Sheil, A Singer’s Manual of Foreign Language Dictions (Manuale di dizione delle lingue straniere) può essere acquisito presso Amazon per $ 30. Esso copre le lingue francese, tedesco, ebraico, italiano, russo, spagnolo e latino, in un modo conciso e molto utile. Qui e là può presentare alcune incoerenze, da attribuire probabilmente al fatto di essere una edizione economica, ma per il prezzo e la vasta copertura linguistica è un’opera difficilmente superabile. Probabilmente si avrà la necessità di qualche integrazione, ma nello studio sarebbe così comunque. Per gli studenti è un ottimo strumento di lavoro. Nello stesso campo alcuni direttori di coro raccomandano vivamente la The Singer’s Guide to Languages (Guida alle lingue straniere per il cantore) di Marcie Stapp, pubblicato da Teddy’s Music Press. Questo libro è altamente quotato in fatto di praticità. Esso fornisce molti utili suggerimenti a quelle “piccole/ brevi” parole delle altre lingue che mettono in difficoltà quando si deve procedere a una traduzione: pronomi vari, pronomi e aggettivi possessivi, contrazioni e varie altre parole come – per es. in inglese – at, to, also, before, which, ecc. L’approccio alle parole di Marcie Stapp è fresco e onesto. I suoni non sono gli stessi in ogni lingua. Uno schwa non è sempre solo uno schwa. Se, dopo avervi dato un’occhiata veloce, questa Guida… di RUBRICHE 83 Marcie Stapp sembra che sia troppo dettagliata per un principiante, si provi il libro di Joan Wall, Diction for singers. Esso è molto più diretto e di facile uso di quello di John Moriarty, Diction, in quanto ogni lettera in ogni lingua ha la propria pagina con norme, ecc. Moriarty tende a fornire abbondanti informazioni, forse anche troppe. Tuttavia, Moriarty ha alcuni esercizi eccezionali, soprattutto nella edizione riveduta del 2008. È consigliabile utilizzare il libro di Joan Wall come libro di testo per lo studente, integrandolo con gli esercizi di Moriarty là dove è ritenuto opportuno. ogni aspetto della gestione del coro, dal consiglio direttivo alla gestione artistica e fino alla gestione complessiva del gruppo. Questa nuova e arricchita edizione della guida offre anche profili reali di direttori di coro e l’accesso esclusivo a una varietà vastissima di strumenti on-line che si possono costruire a misura del proprio coro, per cui non si dovrà più “re-inventare la ruota” con articoli di statuto, descrizioni di lavoro, moduli per la valutazione del Board, ordinanze, contratti di commissionamento, manuali per cantori, budgets, piani di finanziamento e molto altro (eVoice, ottobre 2009, n. 3). E restiamo perfettamente in tema parlando di… Guidare un’organizzazione artistica Tempi duri per finanziare le nostre attività Guidare un’organizzazione creativa significa dare agli altri uno spazio per il loro contributo. Significa, come punto di partenza, la volontà di accettare molti punti di vista diversi e riconoscere che chiunque nell’organizzazione, non importa dove si trovi nella scala gerarchica istituzionale, ha qualcosa di valido da dire. …Mentre cerca spazio per il contributo degli altri, un leader creativo deve anche essere cosciente e accettare il fatto di non avere tutte le risposte. Per molti questa è la sfida più difficile di tutte. Dopo essere cresciuti in un ambiente in cui il progredire è legato al fatto di avere sempre le risposte giuste, sembra controintuitivo credere che si possa andare avanti con strategie alternative. (Robert Sirman, direttore del Canada Council for the Arts - Consiglio canadese per le arti). Se scendiamo nel particolare, per quanto ci riguarda direttamente troviamo una… Guida alla gestione del coro Dov’è che si possono trovare le risposte alle frequenti domande su una soddisfacente gestione di un coro? La nuova pubblicazione di Chorus America The Chorus Leadership Guide dà tutto ciò che è necessario per conoscere Un argomento sul quale praticamente tutti i cori in questo periodo si trovano a lottare duramente è quello di come affrontare nel migliore dei modi i donatori nel difficile clima economico che stiamo vivendo. Pertanto qualsiasi suggerimento può essere di aiuto. Navigando nell’oceano informatico dei cori e del cosiddetto fundrasing si può trovare il seguente suggerimento: «Chiedi, ma tenendo presenti quattro cose: 1. l’empatia è opportuna. Riconosci che – in questo momento – i tempi sono difficili per tutti; 2. fai vedere che anche tu stai tirando la cinghia. Spiega che cosa sta facendo il tuo coro per ridurre i costi e operare nel modo più efficiente possibile; 3. sottolinea l’importanza di ogni donazione; poiché stai risparmiando ogni euro possibile, fai capire che quest’anno una donazione, qualunque sia la sua entità, è importante più che nel passato; 4. esprimi convinta gratitudine per i contributi passati offerti dal donatore e dimostra concretamente come essi hanno fatto la differenza! E poi fallo ancora, e ancora di nuovo. I donatori solitamente non smettono di donare soltanto perché non hanno danaro. Di solito essi smettono di donare a causa di richieste troppo insistenti e di scarsità di ringraziamenti. Fai capire al donatore che è lui che sta permettendo che si realizzino cose molto buone, e attribuisci a lui il merito di qualsiasi aspetto positivo tu abbia rilevato nei tuoi programmi» (eVoice, novembre 2009, n. 1). 84 Ai giovani (di ieri e di oggi) Dieci motivi per entrare in un coro 1.Puoi farti sentire. Sei convinto che insegnanti e adulti in genere ti zittiscano sempre? Nel coro sei vivamente incoraggiato a far sentire la tua voce! 2.Amicizia. Milioni di persone cantano in un coro, quindi sei sicuro di poter stringere qualche amicizia importante. 3.Puoi vedere il mondo. Molti cori fanno viaggi in luoghi interessanti e lontani. 4.Puoi iniziare il percorso verso la celebrità. Grandi personaggi hanno iniziato la loro carriera cantando nei cori scolastici o parrocchiali. Anche il presidente Usa Obama una volta era un corista. 5.Porterai a casa il massimo dei voti. Un’attenta ricerca dimostra che gli studenti che cantano in un coro sono studenti migliori di quelli che non cantano. 6.Metterai in luce la tua richiesta di iscrizione alla scuola che ti piace, al lavoro che preferisci. Gli addetti alla valutazione per l’ammissione amano vedere che sei impegnato in attività extra-didattiche, specialmente in attività come quelle corali che sviluppano abilità nel lavoro d’equipe e autodisciplina. 7.Amore. Molti cantori danno appuntamenti alle persone che incontrano nel coro, poiché la musica, dopo tutto, è il cibo dell’amore. 8.Grattarsi la schiena. Sì, proprio così: grattarsi la schiena! Molti lo fanno come esercizio di riscaldamento e scioglimento muscoli all’inizio delle prove di coro. 9.Non c’è nulla da tirarsi dietro. Per cantare non è necessario portarsi appresso pesanti strumenti o borsoni da palestra. Tutto quello che ti serve è la tua bellissima voce. 10.Vantarsi a ragione. Non tutti possono vantarsi di essere stati sotto le luci della ribalta, ma tu potrai farlo perché, ragazzo!, cantare in un coro ti dà la possibilità di stare al centro e in prima fila. Conferenza internazionale sul canto e l’educazione musicale Raccomandazione ai ministeri dell’educazione, della cultura, della salute e degli affari sociali e alle organizzazioni musicali internazionali. Tenendo conto dei lavori compiuti durante la conferenza internazionale Glee of Centuries – Music Education and Singing (Canto ed educazione musicale) tenutasi a Vilnius in Lituania dal 3 al 6 giugno 2009, noi, i partecipanti provenienti da 11 paesi, vale a dire Belgio, Canada, Finlandia, Francia, Germania, Lettonia, Lituania, Norvegia, Svezia, Svizzera, Stati Uniti d’America e Venezuela, basandoci sulle presentazioni delle conferenze e sui risultati della ricerca scientifica dichiariamo che: Cantare insieme è un fenomeno educativo, sociale e artistico che assicura la comprensione interculturale, l’integrazione sociale e il rispetto per gli altri, contribuendo alla salute fisica e mentale dei cittadini e pertanto della società in cui vivono e lavorano; esortiamo quindi i governi e le organizzazioni musicali a considerare attentamente e applicare con buona volontà le seguenti raccoman- RUBRICHE 85 spetto per gli altri, la solidarietà sociale, la tolleranza, l’empatia e la lealtà, qualità essenziali per il processo di costruzione della società. Da sottolineare è l’accento sulla diminuzione della violenza e della criminalità . Pertanto, il canto deve essere incoraggiato e integrato nel servizio alla comunità e nei progetti di intervento sociale per le famiglie (in fase prenatale e di prima infanzia) e per gli anziani, nonché per i detenuti e le altre persone socialmente svantaggiate. A questi progetti devono essere assegnati finanziamenti in alta priorità e una leadership professionale qualificata. Ai ministeri della cultura Il canto corale è essenziale per la conservazione del patrimonio immateriale e lo sviluppo delle diversità culturali, come sostenuto dalla convenzione dell’Unesco sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali. Quindi ai programmi nazionali e internazionali che sostengono le tradizioni del canto o che utilizzano il canto come strumento per l’integrazione interculturale deve essere assegnata massima priorità e attenzione per il sostegno e il finanziamento. dazioni che suggeriscono modalità per un’azione concreta e immediata. Ai ministeri della pubblica istruzione La ricerca dimostra che cantare insieme contribuisce in modo significativo al miglioramento della personalità dello studente, delle prestazioni sociali e delle competenze culturali. Quindi un programma obbligatorio di canto corale deve essere accessibile a tutti i bambini e ragazzi in ogni ordine e grado di scuola; lo stesso programma deve essere oggetto di massima priorità di finanziamento e deve essere dotato di insegnanti musicalmente e pedagogicamente qualificati. Ai ministeri della salute La ricerca dimostra che cantare insieme ha un notevole impatto sullo stato generale della salute fisica, mentale ed emotiva degli individui partecipanti. Pertanto il canto corale deve essere fortemente incoraggiato nelle scuole, nelle comunità, negli ospedali, nei luoghi di lavoro e nei centri sociali. Ai programmi di canto deve essere data la massima priorità di finanziamento e allo stesso devono essere preposti insegnanti, direttori, personale altamente qualificato. Ai ministeri degli affari sociali Cantare insieme aumenta il capitale sociale di una cultura rafforzandone le qualità umane, comprese l’autostima, il ri- Per le organizzazioni musicali nazionali e internazionali La ricerca sui benefici del canto corale è stata effettuata a livello internazionale. Pertanto le organizzazioni musicali, nazionali e internazionali, devono raccogliere, tradurre, diffondere e commissionare ricerche, rinnovando le strategie e sviluppando progetti basati sui risultati. Esse devono utilizzare i risultati della ricerca per il lavoro di sostegno. Vilnius, 6 luglio 2009. Il progetto Unire i giovani nel canto Uniting Youth in Song è un progetto coordinato da organizzazioni musicali internazionali come la Lansmusiken di Örebro (Svezia) in collaborazione con Feniarco (Italia), Scic (Catalogna/Spagna), Kota (Ungheria), il Festival Europa Cantat e la federazione Europa Cantat; è sostenuto dal programma Cultura 2007-2013 dell’Unione Europea ed è stato lanciato a luglio 2009. La Conferenza sul canto e l’educazione musicale che ha avuto luogo all’inizio di luglio 2009 (e di cui si è riferito più sopra in questa rubrica) è stato l’evento iniziale del progetto. Esso è stato poi seguito da una serie di attività per cori di bambini e di giovani nella cornice del XVII Festival Europa Cantat realizzato a Utrecht la scorsa estate. Tra l’altro è proprio qui a Utrecht che si è riunito anche il Consiglio Direttivo con i rappresentanti dei partners del progetto. www.ectorino2012.it 86 readyTOsing Great and joyful vocal festival torino Singers and choirs from all over the world Ateliers of all vocal genres Open Singing Famous international conductors ready sing More than 100 concerts Italian music, art, culture and… food! Meetings & friendships RUBRICHE Altre attività organizzate nel 2009 sono state l’Accademia europea per direttori di coro a Fano (Italia) e un Seminario per direttori di cori per ragazzi tenutosi a Örebro (Svezia) e conclusosi a Stoccolma nello scorso mese di ottobre. Ulteriori progetti, fra cui due Hearts-in-Harmony (a marzo in Ungheria e a maggio in Catalogna/Spagna) seguiranno nel 2010 e 2011. Per informazioni più dettagliate su questo progetto si digiti www.swicco.se per entrare nel sito di Lansmusiken, principale coordinatore del progetto. 87 suggerimenti innovativi». Novità, anche per chi da qualche anno segue personalmente questo tipo di eventi, è stata la parte di assemblea svoltasi con la suddivisione dei partecipanti in gruppi di studio che hanno affrontato i seguenti temi specifici: sviluppo dei progetti in corso e di progetti nuovi; associati, finanza e raccolta fondi; relazioni internazionali; coinvolgimento dei giovani; centri regionali di Ifcm. Un capogruppo ha dato relazione in sede di assemblea generale delle idee, commenti e suggerimenti scaturiti nei singoli gruppi di studio rivelatisi davvero interessanti e ben svolti. Cuori in armonia Gli organizzatori delle edizioni passate e future di Hearts-inHarmony (in Francia, Norvegia, Ungheria, Catalogna, Spagna e Svezia) si sono incontrati in occasione del Festival Europa Cantat di Utrecht con Thierry Thiébaut, uno dei fondatori dell’originale iniziativa Choeurs-en-choeurs per conto dell’associazione corale A Coeur Joie. Essi hanno scambiato informazioni in merito ai rispettivi eventi e hanno deciso di mettere in comune vicendevolmente informazioni circa gli sviluppi futuri del progetto, compresi gli inviti alle rispettive iniziative nell’ambito del progetto. Il prossimo evento sarà un fine settimana Heart-in Harmony per menomati visivi e videolesi in Budapest (Ungheria), evento che per cause di forza maggiore è stato posticipato da ottobre 2009 al 4-7 marzo 2010. Assemblee annuali delle associazioni corali maggiori Assemblea Ifcm Örebro (Svezia), 23 e 24 ottobre 2009, sala congressi dello Scandic Örebro Väst Hotel. Evento importante come dovrebbe essere ogni assemblea annuale di qualsiasi associazione, è passato, invece, abbastanza in sordina, anche se per la coralità italiana è stata occasione di un notevole “salto internazionale”. Per dichiarazione stessa del presidente di Ifcm Lupwishi Mbuyamba non vi erano all’ordine del giorno argomenti particolarmente importanti o decisivi, inoltre la grande evidenza data a o assunta da altre iniziative promosse contemporaneamente (anche dalla stessa Ifcm) ha in qualche modo tolto un po’ di luce all’evento assembleare che così era stato presentato: «“Ifcm in crescita: vogliamo sentire voi”: Esaminate attentamente i programmi in corso di Ifcm e portateci le vostre idee e i vostri Assemblea annuale di Europa Cantat Ha avuto luogo a Sofia (Bulgaria) nei giorni 13 e 14 novembre. L’importanza di questo evento merita la doppia sottolineatura che viene data in altra parte della rivista. Ottobre corale in Svezia Le città coinvolte: Örebro e Stoccolma. Örebro, come si è detto sopra, è stata sede della assemblea generale di Ifcm, ma è stata anche sede per le celebrazioni ufficiali per i 20 anni di attività svolta dal World Youth Choir (Coro Mondiale Giovanile). Convocati dai funzionari Ifcm Christina Kühlewein, coordinatrice del programma, e da Vladimir Opacic, responsabile operativo, poco meno di duecento cantori provenienti da 44 diversi paesi di tutti i continenti e già passati attraverso l’esperienza gratificante e altamente formativa del Coro Mondiale Giovanile in questi 20 anni si sono ritrovati e sotto la guida di direttori di coro di fama mondiale [Fred Sjoberg in primis in quanto padrone di casa, ma poi anche Maria Guinand (Venezuela), Sidumo Jacobs (South Africa), Nobuaki Tanaka (Japan) e Steve Zegree (Usa)] hanno realizzato diverse esecuzioni ufficiali tra le quali si ricorda The World Sings for You (Il mondo canta per voi) e il WYC Anniversary Ensemble Great Gala Concert. Inoltre il World Chamber Choir Anniversary Ensemble è stato invitato a Stoccolma dalla tv nazionale (esecuzione disponibile in http://tv4play.se/aktualitet/ nyhetsmorgon?videoId=1.1279790 ). A Örebro ha avuto luogo anche l’inaugurazione del Swicco (Swedish International Choral Centre Örebro), il quinto centro corale internazionale della Svezia. A Stoccolma, invece, si è concluso il concorso per giovani direttori di coro denominato Eric Ericson Award (vincitore Kjetil Almenning, nato in Norvegia nel 1979). Il tutto in un concerto in cui hanno gareggiato i tre finalisti, hanno avuto luogo le premiazioni e ha avuto spazio anche il Coro Mondiale Giova- 88 nile. Lo stesso maestro Ericson ha diretto la platea a cui all’entrata era stata distribuita una partitura corale. Naturalmente l’anziano ma vivace maestro Eric Ericson è stato protagonista del rinfresco successivo al concerto durante il quale ha simpaticamente incontrato anche i rappresentanti della Feniarco Pierfranco Semeraro, Lorenzo Benedet, Giorgio Morandi e il maestro Andrea Venturini. mo a i b b a o t Quan ntato nel 2009 are n ca o u s i r a s s 10 o 0 p 2 l e n o t amplifica La Feniarco e la redazione di Choraliter augurano a tutti un felice anno nuovo + notizie> + approfondimenti> Editoriale Anno X n. 30 - settembre-dicembre 2009 Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co. Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Presidente: Sante Fornasier Direttore responsabile: Sandro Bergamo Comitato di redazione: Efisio Blanc, Walter Marzilli, Giorgio Morandi, Puccio Pucci, Mauro Zuccante Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina Hanno collaborato: Giovanni La Porta, Dario De Cicco, Luca Ricci, Andrea Basevi, Luca Marcossi, Alessandro Kirschner, Piero Caraba, Domenico Innominato, Gianni Vecchiati, Alessandro Vatri, Paola De Maio, Annarita Rigo Redazione: via Altan 39, 33078 San Vito al Tagliamento Pn tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 [email protected] In copertina: cupola della basilica di San Marco in Venezia (foto DreamsTime) Progetto grafico e impaginazione: Interattiva, Spilimbergo Pn Stampa: Areagrafica, Meduno Pn Associato all’Uspi Unione Stampa Periodica Italiana ISSN 2035-4851 Spedizione in A.P. - art. 2 comma 20/c legge 662/96 dci Pordenone Autorizzazione Tribunale di Pordenone del 25.01.2000 n° 460 Reg. periodici Abbonamento annuale: 25 € 5 abbonamenti: 100 € c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn Tempo di bilanci preventivi, più che consuntivi: e non tanto perché il numero 30 di Choraliter giungerà ai lettori dopo Capodanno, quanto perché gli eventi maturati nel corso del 2009 delineano gli impegni dei prossimi anni. Anzitutto l’assegnazione a Feniarco del prossimo festival Europa Cantat: la decisione del Board di EC è un riconoscimento alla nostra federazione nazionale e a quanto essa ha prodotto in questi anni; il naturale compiacimento per il raggiungimento di questo obbiettivo, peraltro fortemente voluto, lascia subito il posto alla consapevolezza della responsabilità che attende la struttura di Feniarco, le associazioni regionali e tutta la coralità italiana. L’appuntamento torinese dovrà essere all’altezza delle aspettative, che sono molte, nostre e di tutta la coralità europea. Dovremo dar prova non solo di efficienza organizzativa, ma anche di qualità artistica; dovremo essere presenti in massa non solo con struttura operativa, ma con i nostri cori: cento cori italiani a Torino, per dimostrare che il coro non è più un elemento marginale della cultura italiana e che la coralità italiana non è più periferica in Europa. L’elezione di Sante Fornasier a presidente di Europa Cantat è l’evento che certifica questa realtà. La presidenza italiana giunge in un momento importante, che vede la fusione delle due principali associazioni corali europee. È un movimento forte, in crescita, quello che Sante Fornasier va a guidare ed è significativo che venga affidato proprio a un italiano. Hanno portato a questo esito le personali capacità organizzative e la visione ampia dei problemi che tutti conoscono nel nuovo presidente, ma soprattutto l’evoluzione che questa visione ha impresso alla coralità italiana e che le altre associazioni europee hanno potuto apprezzare. Il nostro mondo ha sempre più bisogno di forti movimenti culturali: in momenti di crisi, che non sono solo economici, ma vanno molto più in profondità e investono un modo di essere e perfino di pensare, il rinnovamento culturale è altrettanto importante e temporalmente preordinato alla riconversione economica. Nuova cultura genera nuove idee e queste forniscono nuovi strumenti alla risoluzione dei problemi. In un’Italia scarsamente innovativa e incapace, su tante, troppe questioni, di trovare un denominatore comune, la nostra Federazione è un raro esempio di innovazione e di crescita del senso di appartenenza. Portiamo questo in Europa, la coralità europea, in un continente che stenta a trovare unità politica, riuscirà a diventare almeno elemento di unificazione culturale. + curiosità> + rubriche> > + + musica> servizi sui principali> principali> avvenimenti corali LA RIVISTA DEL CORISTA Sandro Bergamo direttore responsabile abbonati a aiutaci a sostenere la cultura corale CHORALITER e avrai in omaggio ITALIACORI.IT un magazine dedicato agli eventi corali e alle iniziative dell’associazione. abbonamento annuo: 25 euro / 5 abbonamenti: 100 euro Rivista quadrimestrale della FENIARCO Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Via Altan, 39 - 33078 S. Vito al Tagliamento (Pn) Italia - Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 - www.feniarco.it - [email protected] la scuo ) t P ( e m r e T i n i t a c e t n Mo 15/17 aprile 2010 scuole medie Atelier: Rivista quadrimestrale della FENIARCO Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali I LUOGHI DEL CORO Spedizione in A.P. - art. 2 comma 20/c - legge 662/96 - dci Pordenone - in caso di mancato recapito inviare al CPO di Pordenone per la restituzione al mittente previo pagamento resi l a v i t fes di primaverao d n a t n a c a r t n o c la si in n. 30 - settembre-dicembre 2009 n. 30 - settembre-dicembre 2009 Associazione Cori della Toscana iscrizioni entro il 31 gennaio Musica rinascimentale con Mario Giorgi Giro giro canto con Mario Mora Canti etnici con Flora Anna Spreafico Vocal pop con Denis Monte IL PROBLEMA DELL’ACUSTICA FABIO VACCHI IL CORO SINFONICO COMPORRE IN PERFETTA LIBERTÀ LA MUSICA DI DALLA VECCHIA SANTE FORNASIER ALLA GUIDA DELLA CORALITÀ EUROPEA 22/25 aprile 2010 scuole superiori Atelier: Con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali Regione Toscana Provincia di Pistoia Comune di Montecatini Terme Feniarco Musica medioevale con Stefano Albarello Musica rinascimentale con Lorenzo Donati Musica romantica con Franca Floris World music con Silvana Noschese Vocal pop con Rogier Ijmker (Paesi Bassi) la gioia del suono la scuola veneziana dal cinquecento a oggi