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Mo
15/17 aprile 2010
scuole medie
Atelier:
Rivista quadrimestrale della FENIARCO
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
I LUOGHI
DEL CORO
Spedizione in A.P. - art. 2 comma 20/c - legge 662/96 - dci Pordenone - in caso di mancato recapito inviare al CPO di Pordenone per la restituzione al mittente previo pagamento resi
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n. 30 - settembre-dicembre 2009
n. 30 - settembre-dicembre 2009
Associazione
Cori della
Toscana
iscrizioni
entro il
31 gennaio
Musica rinascimentale con Mario Giorgi
Giro giro canto con Mario Mora
Canti etnici con Flora Anna Spreafico
Vocal pop con Denis Monte
IL PROBLEMA DELL’ACUSTICA
FABIO VACCHI
IL CORO SINFONICO
COMPORRE IN
PERFETTA LIBERTÀ
LA MUSICA DI DALLA VECCHIA
SANTE FORNASIER
ALLA GUIDA DELLA
CORALITÀ EUROPEA
22/25 aprile 2010
scuole superiori
Atelier:
Con il patrocinio del
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Regione Toscana
Provincia di Pistoia
Comune di Montecatini Terme
Feniarco
Musica medioevale con Stefano Albarello
Musica rinascimentale con Lorenzo Donati
Musica romantica con Franca Floris
World music con Silvana Noschese
Vocal pop con Rogier Ijmker (Paesi Bassi)
la gioia del suono
la scuola veneziana
dal cinquecento a oggi
+ notizie>
+ approfondimenti>
Editoriale
Anno X n. 30 - settembre-dicembre 2009
Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co.
Federazione Nazionale Italiana
Associazioni Regionali Corali
Presidente: Sante Fornasier
Direttore responsabile: Sandro Bergamo
Comitato di redazione: Efisio Blanc,
Walter Marzilli, Giorgio Morandi,
Puccio Pucci, Mauro Zuccante
Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina
Hanno collaborato: Giovanni La Porta,
Dario De Cicco, Luca Ricci, Andrea Basevi,
Luca Marcossi, Alessandro Kirschner,
Piero Caraba, Domenico Innominato,
Gianni Vecchiati, Alessandro Vatri,
Paola De Maio, Annarita Rigo
Redazione: via Altan 39,
33078 San Vito al Tagliamento Pn
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In copertina: cupola della basilica di San Marco
in Venezia (foto DreamsTime)
Progetto grafico e impaginazione:
Interattiva, Spilimbergo Pn
Stampa:
Areagrafica, Meduno Pn
Associato all’Uspi
Unione Stampa Periodica Italiana
ISSN 2035-4851
Spedizione in A.P. - art. 2 comma 20/c
legge 662/96 dci Pordenone
Autorizzazione Tribunale di Pordenone
del 25.01.2000 n° 460 Reg. periodici
Abbonamento annuale: 25 €
5 abbonamenti: 100 €
c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 39
33078 San Vito al Tagliamento Pn
Tempo di bilanci preventivi, più che consuntivi:
e non tanto perché il numero 30 di Choraliter
giungerà ai lettori dopo Capodanno, quanto perché
gli eventi maturati nel corso del 2009 delineano gli
impegni dei prossimi anni.
Anzitutto l’assegnazione a Feniarco del prossimo
festival Europa Cantat: la decisione del Board di EC
è un riconoscimento alla nostra federazione
nazionale e a quanto essa ha prodotto in questi
anni; il naturale compiacimento per il
raggiungimento di questo obbiettivo, peraltro
fortemente voluto, lascia subito il posto alla
consapevolezza della responsabilità che attende la
struttura di Feniarco, le associazioni regionali e tutta la coralità italiana.
L’appuntamento torinese dovrà essere all’altezza delle aspettative, che sono
molte, nostre e di tutta la coralità europea. Dovremo dar prova non solo di
efficienza organizzativa, ma anche di qualità artistica; dovremo essere presenti
in massa non solo con struttura operativa, ma con i nostri cori: cento cori
italiani a Torino, per dimostrare che il coro non è più un elemento marginale
della cultura italiana e che la coralità italiana non è più periferica in Europa.
L’elezione di Sante Fornasier a presidente di Europa Cantat è l’evento che
certifica questa realtà. La presidenza italiana giunge in un momento importante,
che vede la fusione delle due principali associazioni corali europee.
È un movimento forte, in crescita, quello che Sante Fornasier va a guidare ed è
significativo che venga affidato proprio a un italiano. Hanno portato a questo
esito le personali capacità organizzative e la visione ampia dei problemi che
tutti conoscono nel nuovo presidente, ma soprattutto l’evoluzione che questa
visione ha impresso alla coralità italiana e che le altre associazioni europee
hanno potuto apprezzare.
Il nostro mondo ha sempre più bisogno di forti movimenti culturali: in momenti
di crisi, che non sono solo economici, ma vanno molto più in profondità e
investono un modo di essere e perfino di pensare, il rinnovamento culturale è
altrettanto importante e temporalmente preordinato alla riconversione
economica. Nuova cultura genera nuove idee e queste forniscono nuovi
strumenti alla risoluzione dei problemi. In un’Italia scarsamente innovativa e
incapace, su tante, troppe questioni, di trovare un denominatore comune, la
nostra Federazione è un raro esempio di innovazione e di crescita del senso di
appartenenza. Portiamo questo in Europa, la coralità europea, in un continente
che stenta a trovare unità politica, riuscirà a diventare almeno elemento di
unificazione culturale.
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avvenimenti corali
LA RIVISTA DEL CORISTA
Sandro Bergamo
direttore responsabile
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n. 30 - settembre-dicembre 2009
Rivista quadrimestrale della FENIARCO
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
DossieR
I luoghi del coro
2
I luoghi del concerto
Riflessioni sull’acustica del coro
6
Walter Marzilli
Il suono e lo spazio
Giovanni La Porta
12i luoghi del fare ed essere coro
Non solo questione di spazio…
Dario De Cicco
16 l’uso degli impianti di amplificazione
nei concerti di musica classica
Luca Ricci
Attività dell’Associazione
56 alla guida della coralità europea
sante fornasier presidente di europa cantat
Gianni Vecchiati
60 gli orizzonti della coralità italiana
l’assemblea feniarco a san vito al tagliamento
Sandro Bergamo
Dossier compositore
Fabio Vacchi
62 l’energia della musica
66 Giovani direttori x giovani voci
20 il coro sinfonico
intervista a fabio vacchi
alpe adria cantat 2009
Alessandro Vatri
Paola De Maio
68 direzione come leadership
Si conclude il progetto indirection
Annarita Rigo
26 Analisi di Memoria italiana
Cronaca
al concorso di arezzo 2009
32 comporre in perfetta libertà
La musica di dalla vecchia
attraverso due mottetti per coro misto
76
Notizie dalle regioni
39 cos’è la cantata
Rubriche
Piero Caraba
78 Discografia&Scaffale
82 Mondocoro
ChoraldisC
Andrea Basevi
23 Appunti su dona nobis pacem
Luca Marcossi
Luca Marcossi
70 il “riscatto” dei cori maschili
Nova et veterA
Alessandro Kirschner
Con particolare riferimento alla cantata di
Bach BWV 140, Wachet auf, ruft uns die Stimme
44 la gioia del suono
INDICE
la scuola veneziana dal ’500 a oggi
Walter Marzilli
48 Cum grano salis
intervista a filippo maria bressan
Sandro Bergamo
51 la scuola polifonica veneziana del ’500
e la cappella ducale della basilica di s. marco
Domenico Innominato
Efisio Blanc
I luoghi
del concerto
i luog
Riflessioni sull’acustica del coro
di Walter Marzilli
Premessa
Le implicazioni di ordine fisico-acustico intorno alla propagazione del suono sono numerose e
molto complicate, e questa non è la sede per parlare di coefficienti di assorbimento, impedenza
acustica ecc. Sembrerebbe più opportuno in questo caso indirizzare l’attenzione nel riconoscere
due occasioni distinte: il coro che canta nella liturgia e l’esecuzione di un concerto. Le
conseguenze assumono infatti dimensioni enormi quando nel primo caso la vibrazione sonora
non trasporta un suono qualsiasi, ma la Parola di Dio. Posto di fronte a questa impegnativa
situazione ognuno di noi si trova nella condizione di doversi adoperare per non disturbare
questo trasferimento, dovendo la Parola di Dio raggiungere direttamente il cuore, e non solo il
timpano di chi ascolta. Impostando così i termini della questione si comprende come le
riflessioni toccherebbero presto i confini della teologia, dell’etica, della filosofia ecc. Per questo
è necessario fermarsi subito, cercando qualche punto fermo. Ci limiteremo ad alcune riflessioni
sintetiche, che riguarderanno marginalmente la presenza del coro nella liturgia, ma soprattutto
l’occasione più comune del concerto.
dossIER
Il posto del coro
Fino al Cinquecento il coro era sempre posizionato con le
spalle all’assemblea, rivolto verso l’altare. Nella figura si vede
una cantoria ritratta in una stampa del 1580.1
Possiamo affermare che con l’inaugurazione del Teatro San
Cassiano nel 1637 a Venezia – primo teatro a essere aperto al
pubblico – fu sancito il perfezionamento di un processo di
rotazione della cappella musicale che prima si voltò verso
3
concava il risultato è quello prospettato nella figura qui sotto.
Nel palcoscenico del teatro una
Abside
importante zona sonora come quella dove
è posto il celebrante prende il nome di
“punto Callas”. Si tratta da sempre di una
Celebrante
posizione molto ricercata dai cantanti
d’opera per far emergere la loro voce.
Con un approccio inverso potremmo porre
Assemblea
dei microfoni nel luogo del celebrante per
registrare una grande massa sonora, in
forza della riflessione parabolica delle
onde sulla parete concava.4 È proprio
quello che faceva l’ingegnere del suono di Sergiu Celibidache
e anche quello dei Pink Floyd, entrambi noti per cercare
sempre una forma architettonica concava dell’ambiente
davanti alla quale piazzare i microfoni per le registrazioni dal
vivo… Ecco il perché della necessità della famosa conchiglia
alle spalle degli esecutori all’aperto – cui accenneremo alla
fine – o in un luogo chiuso con poco riverbero! Gli antichi
architetti avevano risolto il problema sul nascere attraverso la
costruzione dell’abside…
Detto ciò, ne consegue che per ottimizzare le possibilità
acustiche del coro, esso dovrebbe essere posto nell’abside,
proprio dove troneggia – guarda caso – il coro ligneo in tutte
le chiese antiche… Il suono del coro ha infatti bisogno di
formarsi completamente prima di diffondersi definitivamente.
La postazione del direttore, così interna alle viscere del coro,
risulta essere quindi la meno godibile, poiché egli ascolta il
suono del coro prima che esso sia completato dal contributo
Il suono del coro ha bisogno
di formarsi completamente
prima di diffondersi definitivamente.
ghi
l’assemblea, poi si espanse in due, tre, sei cori ecc. per
avvolgere completamente il pubblico. Che nel frattempo,
storicamente e socialmente, aveva raggiunto una posizione
ragguardevole tale da non potere più essere sottovalutata.
La riforma liturgica avvenuta dopo il Concilio Vaticano II
(1962-1965) ha definitivamente spostato l’altare molto in avanti
verso l’assemblea, benché ciò non fosse indicato come un
obbligo generalizzato. Ciò ha modificato in modo determinante
l’originario progetto acustico di qualsiasi chiesa. Si deve
sapere infatti che la posizione del celebrante interna all’abside
possedeva una valenza acustica estremamente ricercata. Da
quel punto, infatti, la sua voce si espandeva con onde sonore
indirizzate direttamente verso il popolo, anche quando il
celebrante era rivolto versus Orientem.2 Il fenomeno illustrato
di seguito è dovuto alla legge acustica della riflessione delle
onde, che “rimbalzano” da una parete con un angolo di
riflessione uguale a quello di incidenza.3 Se la parete è
essenziale dell’ambiente acustico. Non si va dal fornaio per
comprare separatamente gli ingredienti come la farina,
l’acqua, il lievito e il sale, ma si pretende di avere il pane
finito: così dovrebbe essere per il suono del coro.5 Per
ottenere la completezza del suono il coro ha bisogno di due
cose essenziali: spazio e risonanza. Il primo non si ottiene
ponendo il coro a ridosso degli ascoltatori; la seconda ha
bisogno di una curvatura avvolgente intorno ai cantori, o
almeno di una parete alle loro spalle. Entrambe queste due
condizioni sono immediatamente ottenibili posizionando i
cantori appunto nell’abside. D’altronde il coro nella liturgia
non ha mai cantato in modo diretto, ma trasversale; l’essere,
non l’apparire.6
Nei concerti, invece, diventa importante anche il fatto visivo,
e l’ascolto, eventualmente comprimario nella liturgia, in
questo caso diventa primario. Per questo motivo – e anche
per non compromettere il suono di un piccolo coro o di un
4
gruppo di cantori con limitata proiezione del suono – si sposti
il coro davanti all’altare, sempre però a una debita distanza
dal pubblico. La posizione a semicerchio risulterà migliore. Ciò
che si perderà in direzionalità del suono rispetto a una
disposizione lineare sarà compensato dal fatto che il suono
nascerà e uscirà da subito più sicuro e compatto. I cantori
disposti a semicerchio, magari piuttosto chiuso, infatti si
controllano meglio tra di loro.
La cupola
Attenzione però alla cupola. Essa crea un vortice aereo
ascensionale che aspira il suono verso l’alto, aiutato anche
dal calore delle luci indirizzate sul coro. Posizionare il coro
proprio sotto di essa significa mandare verso l’alto – quindi
perdere – una quantità non indifferente di suono. Per la verità
ciò è vero soltanto relativamente a cupole estremamente
profonde. In genere, per fortuna, è solo la visione prospettica
dell’affresco a estremizzare la visione, facendo sembrare la
cupola molto più alta, più protesa verso il cielo…7 La stessa
situazione si verifica dietro al proscenio di un teatro.
La cantoria
Esistono situazioni in cui la cantoria nasce come progetto
architettonico iniziale e ha una sua precisa funzione acustica:
in questi casi è raccomandabile usarla. Dall’alto delle cantorie,
infatti, il suono del coro può espandersi liberamente e
invadere l’intero spazio a sua disposizione, senza patire la
presenza di tutti gli ostacoli ad altezza uomo che invece si
frappongono alla sua propagazione quando la sorgente sia
posta sul pavimento.8 Si tratta di un ottimo posto dove
posizionare il secondo di un doppio coro, oppure per iniziare
un concerto avvolgendo gli spettatori di suono
smaterializzato, proseguendo magari con una entrata
cantando in processione…
Amplificazione del suono
Nelle chiese molto grandi la tentazione di amplificare il coro è
altrettanto grande, ma i microfoni conducono all’istante il
suono lontano, prima che nello stesso posto arrivi il suono
reale. Quindi i suoni si sovrappongono e il riverbero aumenta,
insieme all’incomprensibilità dei testi e delle armonie. Solo
dove il suono non arriva più sarebbe opportuno porre dei
diffusori, ma questi sono casi molto rari, legati all’esistenza di
un eventuale spazio architettonico molto particolare che si
chiama zona del tacere).
Dalla prossima figura si capisce come esistano in pratica tre
zone acustiche diverse in uno spazio delimitato e chiuso:
quella relativa alla portanza diretta della voce, caratterizzata
dal suono solido e prestante, l’eventuale zona del tacere,
dove non arriva più la voce diretta, ma solo pochissime onde
riflesse (quelle gravi, che sono più sferiche delle altre), dal
suono delicato ma poco appagante.9 Infine la zona del suono
riflesso, dal tipico suono soffice come la precedente, ma
meno etereo e un po’ più presente.10
Soffitto
Portanza della voce
Zona del tacere
Voce riflessa
Il riverbero
Un altro parametro da tenere in grande considerazione è il
riverbero. La quantità ottimale per una esecuzione corale è
stimata in almeno due secondi.11 Tale misura permette ai
cantori un controllo ideale della voce e al pubblico un ascolto
chiaro ma amalgamato.12 Alquanto al di sopra di questo valore
i cantori godono di una sensazione propriocettiva della voce
molto appagante, mentre il pubblico sarà costretto a un
ascolto impegnativo e confuso.13 Al di sotto di due secondi, al
contrario, il pubblico potrà facilmente avvertire tutte le
minime sfumature, mentre i cantori vivranno una sgomenta
sensazione di solitudine vocale, con difficoltà di controllo
dell’emissione.14
L’eventuale assenza di riverbero può essere contrastata in
alcuni modi. Innanzitutto eliminando per quanto possibile i
materiali fono-assorbenti quali tappeti, tendaggi ecc. E poi
disponendo i cantori in un semicerchio molto chiuso e
raccolto, in modo che possano controllare le voci degli altri
senza che esse, disposte lungo una linea o anche in un
semicerchio molto aperto, corrano via verso il pubblico senza
alcun controllo. Un altro modo efficace per aumentare il
controllo di ogni singolo cantore sulla propria voce è quello di
allargare le postazioni l’una dall’altra. In questo modo la voce
di ognuno arriverà ai propri timpani molto prima di quella
degli altri cantori. Ancora un altro metodo: disporre i cantori
alternati (ststststst-cbcbcbcbcb) in modo che ogni voce sia
incastonata tra due diverse. Ovviamente le ultime due
situazioni devono prima essere sperimentate e maturate in
sede di prova. Al contrario di ciò che potrebbe sembrare a
prima vista, entrambe presentano poche difficoltà iniziali ma
moltissimi vantaggi in ordine alla qualificazione di ogni
singolo cantore, alla fusione, alla caratterizzazione dei timbri,
all’evoluzione dei colori ecc. che non è il momento di
approfondire in questa sede. L’eccesso di riverbero si
combatte al contrario: stendendo possibilmente tappeti,
aprendo eventuali tendaggi raccolti e disponendo il coro in
linea retta per dare maggiore direttività al suono.
L’effetto Haas
Sotto questo nome si nasconde un fenomeno acustico per cui
spostandosi l’ascoltatore di soli trenta centimetri dal centro
simmetrico di una coppia di altoparlanti stereo, egli sentirà
soltanto quello a lui più vicino e non più l’altro. Considerando
le sezioni del coro come una sorgente stereofonica allargata
(in genere con gli acuti a sinistra e i gravi a destra) si può a
ragione ritenere che l’ascolto da una posizione non
simmetrica rispetto alle sezioni (proprio come quella di
dossIER
qualunque panca di una chiesa, separate dal corridoio) risulti
deficitario nei confronti delle sezioni più lontane. Per fortuna
la presenza del riverbero mitiga questo effetto negativo, che
altrimenti renderebbe impossibile qualunque audizione. Ma
comunque è esattamente questo il motivo per cui i microfoni
sono posizionati sempre al centro del corridoio e mai di lato.
Sarà forse questa la causa vera e primitivo-empirica per cui
da sempre le personalità importanti vengono fatte sedere al
centro delle due serie di panche, e non il rispetto sociale della
casta?15
All’aperto
Si tratta della situazione meno auspicabile, dal momento che
non esiste uno spazio architettonico delimitato che, come
abbiamo visto, svolge un ruolo fondamentale nella formazione
del suono definitivo. Inoltre il fenomeno di una particolare
forma di rifrazione16 pone nuove difficoltà.
La direzione delle onde sonore si disperde infatti verso l’alto
nel caso in cui la terra sia più calda dell’aria,
Aria fredda
Suolo
Aria calda
oppure vede accorciarsi notevolmente la portata del suono
cadendo verso il basso quando la terra risulti più fredda
dell’aria.
Aria calda
Suolo
Aria fredda
In entrambi i casi la situazione presenta connotati negativi
che devono essere evitati. Si deve per forza ovviare alle
difficoltà creando uno spazio architettonico delimitato quanto
fittizio attraverso l’uso dei microfoni e dei diffusori. Si ricordi
però che c’è un prezzo da pagare: il timbro sarà
inevitabilmente perso, poiché oltre alle modificazioni del
mixer – che possono anche essere migliorative – occorre
considerare che ogni microfono possiede un suo proprio
suono… Senza parlare dei diffusori, dotati di una loro propria
voce. Inoltre l’impossibilità di sentirsi tra di loro obbligherà i
cantori a fare uso delle spie e/o della conchiglia di cui
parlavamo in apertura. In ogni caso ci deve essere una certa
capacità di adattamento alla situazione e una sufficiente
frequentazione e confidenza con gli ambienti aperti, i
microfoni, le spie, la dispersione del suono ecc.
5
Note
1. Filippo Galle (1537-1612): Cappella Musicale. Particolare di una
incisione tratta da: J. Stradanus, Encomium Musicae, Anversa, 1580 ca.
2. In questo senso è inesatta la diffusa teoria secondo la quale egli
celebrasse “con le spalle al popolo, ignorandolo”: il celebrante
guidava invece la processione ideale del popolo affidatogli verso
oriente, cioè verso Dio, oltretutto con una cura amorevole di natura
acustica, come si vede in figura. L’obiezione che viene solitamente
fatta alla celebrazione verso oriente-Dio è quella che anche il Papa
in San Pietro celebrerebbe rivolto verso il popolo. Senza sapere che
l’altare della basilica di San Pietro, a causa della volontà di farla
sorgere proprio sulla tomba di San Pietro, e anche dovendo tenere
conto della conformazione geologica della collina che sorge alle sue
spalle, è rivolta proprio verso oriente! Diversamente dalla
maggioranza delle chiese antiche, intorno alle quali si sarebbe
sviluppata in seguito l’architettura urbana.
3. Si comprenda che la grafica del computer non ha permesso di
rendere perfettamente simmetrico l’angolo di incidenza con quello di
riflessione.
4. È lo stesso principio delle antenne televisive paraboliche…
5. Ecco perché il posizionamento dei microfoni troppo vicino al coro
distrugge e vanifica tutti gli sforzi del direttore e dei cantori per
creare una fusione apprezzabile. I microfoni prendono le voci singole
separate e non possono cogliere il risultato acustico globale, dato
appunto dal contributo delle riflessioni del suono nell’ambiente
architettonico.
6. Attenzione, però. La legislazione ecclesiastica post-conciliare
invita i cantori a uscire dall’abside e a unirsi all’assemblea dei fedeli,
di cui fanno parte. Senza rinnegare il munus ministeriale del coro,
possibilmente...
7. Possiamo interpretare questa propensione verso l’alto, questo
avvicinarsi al Creatore come il simbolo della potenza di una chiesa
rispetto a un’altra, in un’epoca in cui la Chiesa godeva aveva ancora
di un forte potere temporale.
8. La cantoria posta a una certa altezza da terra richiama una
motivazione di carattere superiore a quello semplicemente acustico.
In qualunque chiesa antica di una certa altezza, infatti, entrando non
è mai possibile osservare il pavimento dell’altare e vedere
contemporaneamente anche il soffitto. Questo a significare la
distanza incolmabile tra l’uomo e Dio, che stava alla base della
antica teologia preconciliare. Esisteva però un unico punto
privilegiato dal quale era possibile guardare l’abside e vedere
contemporaneamente il pavimento (uomo) e il soffitto (Dio): la
cantoria sopraelevata…
9. È quella ben nota zona dove qualcuno che sedeva lì durante il concerto
immancabilmente ti dirà «Stasera avete cantato tutto un po’ troppo
piano…». Guai a mettere in questa zona i microfoni per una registrazione;
neanche il secondo microfono, quello definito “di ambiente”…
10. Si consideri infatti che le riflessioni non provengono solo dal
soffitto, ma anche dalle pareti laterali, dal pavimento, dalle colonne,
dalle persone ecc.
11. Si badi che tale quantità è la misura di cui necessita un suono
per diminuire di 60 decibel (un milione di volte) la sua potenza
sonora massima. Nella pratica si considera il tempo che va dalla
cessazione del suono al suo decadimento a zero.
12. Si consideri che qualunque suono riflesso si sovrapponga a
quello diretto durante la prima fase di ascolto (a seconda dei testi,
da 50 a 100 millisecondi) crea il risultato di rafforzare il suono
originario.
13. Il direttore sarà costretto ad allargare i tempi e le pause, per non
sovrapporre le note e gli accordi.
14. In questo caso il direttore farà bene ad allargare i tempi
dell’esecuzione, per non farla apparire vacua e spoglia.
15. Sono numerosissimi i casi acustici che gli antichi musici avevano
già risolto in modo empirico senza avere le conoscenze necessarie.
Ma questo sarebbe un argomento interessante per un
approfondimento in un’altra occasione…
16. Si parla di rifrazione quando l’onda sonora attraversa due spazi
a temperature differenti.
6
Il suono e lo spazio
di Giovanni La Porta
Il riferirsi all’acustica di un luogo, meglio, alla fruizione che in
questo si fa del suono, implica il coinvolgimento di molteplici
aspetti relativi alla costruzione dell’ambiente, sia esso inteso
come “luogo interno”, ovvero confinato da elementi fisici
definiti (es: pareti e soffitto di una sala) sia come “luogo
esterno”, notoriamente lo spazio aperto in cui risultano
mancanti le superfici di contorno dell’ambiente costruito.
L’acustica di un luogo costituisce sicuramente una delle
componenti fondamentali del comfort ambientale che, insieme
ad altre componenti, sono percepite e giudicate dagli
occupanti: ci si potrà riferire in questo senso al comfort termo
igrometrico (idonee caratteristiche di temperatura e umidità)
o al comfort illuminotecnico (idonee caratteristiche di
illuminamento); in tutti i casi, già solo pensando alle tre
componenti sopra richiamate (acustica, igrotermia e
illuminotecnica), sarà necessario sottolineare come il grado di
benessere, comfort percepito dalle persone che abitano un
ambiente si riferisca a particolari condizioni di utilizzo del
luogo costruito, in altre parole sia strettamente legato alla
tipologia di attività che in esso viene svolta.
Queste considerazioni di carattere generale ci consentono di
affermare che l’acustica di un ambiente sia fondamentalmente
legata alla tipologia del luogo, inteso sia come risultato
formale, “architettura dello spazio”, sia come funzione che in
esso viene esercitata-fruita: la storia dell’architettura ci
documenta come sia sempre esistita una stretta correlazione
tra questi due aspetti. Non a caso si è data la formazione di
tipi architettonici correlati allo svolgimento di particolari forme
di spettacolo: si pensi al teatro antico del periodo classico
rispetto alla nascita della tragedia greca, al teatro
“all’italiana” tardo rinascimentale rispetto al sorgere
dell’opera lirica o ancora alle caratteristiche formali delle sale
cinematografiche dei primi anni del ’900 rispetto al diffondersi
di questa nuova forma di spettacolo. Ciò che può essere
rilevato con evidenza è che, a fronte di una attività umana
ritualizzata, la forma architettonica dell’ambiente costruito ha
dato risposta a necessità funzionali note: l’idoneità acustica di
un luogo rientra sicuramente tra queste.
Per addentrarci brevemente nel merito della disciplina
acustica, esaminando quali sono gli aspetti principali che ne
caratterizzano un ambiente costruito, è necessario
sottolineare una prima linea di demarcazione: da un lato
l’acustica di un luogo può essere intesa come caratteristica
propria dell’ambiente all’interno del quale il suono si propaga,
generando una certa “risposta”, ovvero determinando quelle
condizioni di maggiore o minore idoneità all’ascolto-fruizione;
dall’altro può essere intesa come quella particolare attitudine
che hanno gli ambienti di essere isolati dai luoghi circostanti
determinando, anche in questo caso, il necessario grado di
comfort ambientale, ove con questo termine si identifica
quella necessaria condizione di privacy richiesta dalle persone
in relazione allo svolgimento di particolari attività.
Tale suddivisione di ambiti, nonostante spesso ancora oggi
venga confusa ed equivocata, circoscrive due distinte
categorie di problemi: da una parte l’acustica architettonica,
la “room acoustics”, il cui principale campo di indagine
riguarda lo studio dell’acustica dello spazio “interno” e le
condizioni che determinano la riflessione delle onde sonore
nell’ambiente; dall’altra l’acustica edilizia, identificando con
questo termine le caratteristiche fono isolamenti degli
elementi fisici che confinano lo spazio, in altre parole le
proprietà che hanno i materiali edilizi di impedire il passaggio
dell’energia sonora tra gli ambienti (fig. 1).
Se quindi la propagazione delle onde acustiche nello spazio
costituisce un evento singolo, duplice è la maniera di
esaminare il “problema” acustico di un luogo, dovendosi
riferire ad aspetti complementari della propagazione
dell’energia sonora: immaginando una sorgente sonora
immersa in un spazio come un generatore di onde sonore
caratterizzate da direzione e velocità, incidenti sulle superfici
di contorno dell’ambiente, nel primo caso l’aspetto
fondamentale sarà costituito dal determinare la quota di
energia sonora assorbita non riflessa, ovvero quella
dossIER
7
trasmessa e dissipata, nel secondo sarà importante individuare la sola quota di energia
trasmessa, quella avvertita negli ambienti confinanti in cui si genera il fenomeno acustico.
Caso limite, per questo poco rappresentativo per le nostre considerazioni, è rappresentato da
quegli ambienti in cui non siano presenti tutte le superfici di contorno. È l’esempio del teatro
greco-romano, per sua costruzione aperto verso la volta celeste: questa condizione (assenza di
soffitto), può essere assimilata alla presenza di una superficie caratterizzata da assorbimento
acustico totale, integrale in cui i suoni che la colpiscono fuoriescono in maniera definitiva dal
campo acustico interno, privando così l’ambiente di una quota considerevole di energia sonora e
rendendo nel contempo possibile la fruizione del suono all’esterno del luogo.
Volendo circoscrivere il campo della nostra indagine al solo caso di propagazione del suono
negli ambienti confinati è possibile quindi individuare quali sono i fattori principali che ne
influenzano l’idoneità acustica.
Come accennato sopra, la prima componente riguarda la proprietà dei materiali di assorbireriflettere le onde sonore quando queste colpiscono le superfici interne; si parlerà in questo caso
di “assorbimento acustico” proprio del materiale, identificando così un particolare coefficiente di
assorbimento “α”.1 Tale coefficiente non è
però costante per tutte le onde acustiche
incidenti ma risulta essere correlato alla
loro frequenza: com’e noto i suoni si
differenziano per la loro altezza (i suoni
acuti o gravi ne sono la dimostrazione), e
questa differenza si esprime in termini fisici
con la diversa frequenza con cui un corpo
oscilla nel mezzo elastico che lo circonda.
L’assorbimento acustico dei materiali,
strettamente legato alla frequenza del
suono, non assume quindi un unico valore
ma una serie di valori riferiti a una serie di frequenze convenzionali: 63, 125, 250, 500, 1000,
2000, 4000, 8000 Hz 2 sono le frequenze (più propriamente “bande d’ottava”) alle quali ci si
riferisce per indicare l’assorbimento acustico del materiale usato nella costruzione di un
ambiente. Nonostante tale parametro possa essere espresso in termini unitari,3 sarà sempre
importante esaminare la distribuzione in frequenza dell’assorbimento acustico (fig. 2) al fine di
comprendere la risposta acustica effettiva di una superficie.
Come è possibile riscontrare nella fig. 2, l’assorbimento acustico dei materiali assume
generalmente tre tipologie di andamento in frequenza cui corrispondono tre diversi principi di
assorbimento. Per primo caso l’assorbimento acustico è legato alla proprietà intrinseche di
alcuni materiali idonei a dissipare l’energia sonora per attrito viscoso all’interno della loro
struttura porosa (fig. 3): il riferimento va alle lane minerali, ai tessuti, al sughero; l’andamento in
frequenza dell’assorbimento risulta molto efficiente nella parte alta dello spettro sonoro ma
scarso alle basse frequenze, grazie alla condizione per cui solo i suoni di piccola lunghezza
d’onda (alte frequenze) possono incontrare resistenza nell’attraversare le cavità interstiziali
esistenti tra la gli elementi della trama del materiale.
Nella storia si è assistito alla
formazione di tipi architettonici
correlati allo svolgimento
di determinati tipologie di spettacolo.
Energia
rinviata
Energia
totale
Energia
trasmessa
Energia
dissipata
Fig. 1 - Riflessione-trasmissione
dell’energia sonora.
Coefficiente di assorbimento
1,4
1,2
1,0
materiale
poroso
0,8
0,6
0,4
0,2
cavità
0
63
125
250
500
membrana
1000 2000 4000 8000
Frequenza (Hz)
Fig. 2 - Tipologie
di assorbimento acustico.
Fig. 3 - Dissipazione
dell’energia sonora per porosità.
8
Nel secondo caso l’assorbimento acustico risulta legato alla
possibilità che alcuni materiali sotto l’effetto delle onde
sonore, possano vibrare alla stessa frequenza del suono
incidente (fig. 4): ci si riferisce agli elementi vibranti
(membrane) usati come rivestimento superficiale come le
pannellature in legno, mdf… In questo caso l’assorbimento,
che dipende dalla massa superficiale dei pannelli e dalla
distanza alla quale sono installati rispetto al supporto rigido
retrostante, risulta essere molto efficiente alle basse
frequenze per poi decrescere in maniere netta alle alte.
Il terzo caso è invece costituito dall’assorbimento per
risonanza di cavità che possono trovarsi in collegamento con
l’ambiente principale, quello all’interno del quale si origina il
suono (fig. 5). In questa condizione l’assorbimento acustico,
che dipende dal volume della cavità e dalle dimensioni
dell’apertura di collegamento, risulta essere estremamente
selettivo, ovvero scarsamente efficiente se si esclude la
singola frequenza di risonanza della cavità.
Una sintesi dei valori assunti dall’assorbimento acustico, in
relazione alla tipologia del materiale e alla frequenza del
suono incidente sulla superficie, può essere fornito dalla
tabella sotto riportata (tab. 1).
Delineati in sintesi i principi di assorbimento acustico che
risultano solitamente associati alle superfici che contornano
un ambiente, è necessario evidenziare come l’acustica di un
luogo confinato sia sempre relazionata alla sua ampiezza
volumetrica: a questo proposito si introdurrà quindi la
nozione di “qualità riverberante” dell’ambiente, cui viene
associata solitamente la prima e fondamentale impressione
acustica che si avverte visitando un luogo costruito. Con tale
concetto si intende l’attitudine che il suono ha di perdurare
all’interno dell’ambiente al cessare dell’attività della sorgente
sonora, in breve la possibilità che il suono risuoni
autonomamente per un certo tempo, riducendosi poi in
maniera più o meno accentuata. Tale caratteristica risulta
essere direttamente proporzionale all’ampiezza del volume
dell’ambiente e inversamente proporzionale alla quantità di
assorbimento acustico introdotto nell’ambiente, così come
individuato secondo le modalità sopra descritte.
Queste osservazioni, che costituiscono ancora oggi un
riferimento essenziale per analizzare l’acustica di un ambiente
confinato, furono oggetto di studio per la prima volta agli inizi
del ’900 dal fisico americano W.C. Sabine che riuscì a
d [m]
Struttura rigida
m
[kg/m2]
Pannello impervio
(membrana)
Fig. 4 - Assorbimento
per risonanza di membrana.
L [m]
V [m3]
A [m2]
Area dell’apertura
Fig. 5 - Assorbimento
per risonanza di cavità
individuare empiricamente la relazione tra la lunghezza del
tempo necessario affinché il suono si estingua all’interno di
un ambiente, il relativo volume e il grado di assorbimento
acustico presente: la legge fisica, detta appunto di Sabine,4 è
in grado di determinare per ciascuna frequenza il tempo di
permanenza del suono successivamente alla cessazione della
sorgente. L’utilità della relazione apparve fin da subito
evidente: non solo consentì di esprimere valutazioni di tipo
oggettivo nei confronti di un certo ambiente, ma permise
anche di prevedere il comportamento acustico di un certo
luogo già in fase di progetto.
Come si accennava in apertura, la caratterizzazione acustica
del luogo è legata alla sua funzione e in questo senso il
tempo di riverberazione ricopre una importanza fondamentale
al fine di rendere congruente la tipologia di attività con le
caratteristiche di assorbimento acustico/volume dell’ambiente.
La figura 6 delinea quelli che sono i tempi di riverberazione
(alle medie frequenze) ritenuti ottimali per sale con
destinazione d’uso diversa; tale durata (espressa in secondi)
costituisce l’espressione di un gradimento “medio”, riferito a
una moltitudine di luoghi/uditori, esprimendo cosi,
precedentemente la costruzione di una nuova sala, un
riferimento possibile e auspicabile per dimensionare
l’assorbimento acustico e il volume dell’ambiente. Un tale
criterio, basandosi sull’assunto per cui il suono che si
diffonde nell’ambiente sia costituito dal suono originario (il
suono “diretto” della sorgente sonora) e dalla moltitudine di
riflessioni dovute alle superfici che costituiscono i confini
fisici della sala, definisce “l’approccio statistico” dell’acustica
architettonica, ovvero riguardante l’ambiente nella sua
globalità, prescindendo dalla posizione di un ipotetico
ascoltatore.
La validità della relazione di Sabine risulta però condizionata
da alcune ipotesi fondamentali:
– il campo sonoro che si genera nell’ambiente, a fronte di una
sorgente sonora attiva, deve risultare omogeneo e isotropo;5
– l’assorbimento acustico introdotto nell’ambiente non deve
essere eccessivamente elevato (α<al 40%).
125
250
500
1000
2000
4000
0,014
0,018
0,02
0,036
0,035
0,03
Poltrone libere
0,2
0,4
0,5
0,5
0,45
0,4
Poltrone occupate
0,3
0,45
0,6
0,7
0,68
0,6
Parete di cemento
0,35
0,45
0,3
0,3
0,4
0,25
Vetrata di spessore medio
0,25
0,2
0,12
0,08
0,06
0,03
Assi intonacate
0,15
0,11
0,09
0,06
0,05
0,04
0,07
Superficie Frequenza (Hz)
Sedie libere
Pavimento di legno
0,15
0,11
0,10
0,08
0,06
Pannelli legno compensato
0,28
0,22
0,17
0,1
0,1
0,1
0,7
0,9
0,8
0,95
0,95
0,9
Pannelli acustici assorbenti sospesi
Pannelli acustici poggiati su cemento
0,15
0,2
0,75
0,8
0,6
0,4
Marmo, ceramica, pannelli riflettenti
0,01
0,01
0,01
0,01
0,01
0,02
Drappeggi pesanti
0,15
0,35
0,55
0,7
0,7
0,6
Drappeggi leggeri
0,03
0,05
0,1
0,17
0,25
0,35
Tappeto su cemento
0,02
0,06
0,14
0,37
0,6
0,65
Tappeto su imbottitura
0,08
0,24
0,57
0,7
0,7
0,7
Tab. 1 - Assorbimento acustico dei materiali.
dossIER
proporzionale al grado di assorbimento acustico
introdotto nell’ambiente, ovvero alle sue
caratteristiche riverberanti (fig. 7).
La presenza di maggior qualità riverberante poi, se da
un lato determina un globale innalzamento dell’SPL,
rende nel contempo possibile una distribuzione della
pressione sonora maggiormente omogenea all’interno
dell’ambiente, a prescindere dalla distanza che separa
l’ascoltatore dalla sorgente sonora (fig. 8).
Tali condizioni portano a considerare quindi che la
riduzione della componente riverberante in un
ambiente destinato all’ascolto ottenuta con
l’introduzione di unità assorbenti supplementari7
comporti conseguentemente una diminuzione
significativa del livello sonoro percepito, in molti casi
insufficiente, tale da rendere necessaria
l’amplificazione della sorgente sonora, pena la scarsa
udibilità della stessa nelle posizioni dell’audience più
lontane.
Una seconda importante riflessione va fatta a
proposito dell’importanza rivestita dalle prime
riflessioni sonore. Come si è accennato, la
determinazione dei tempi di riverberazione e del livello
sonoro, pur se qualificano in prima approssimazione
l’acustica di un luogo, forniscono delle indicazioni di
carattere globale valutando in termini statistici il
contributo di tutte le riflessioni sonore che si generano
nell’ambiente; un’analisi più approfondita richiede però
la conoscenza di quale sia il contributo delle sole
prime riflessioni che seguono la produzione del
messaggio sonoro iniziale (per consuetudine, le prime
riflessioni sono quelle che seguono il suono diretto tra
0 e 50 millesimi di secondo). Tale precisazione,
assodato che maggiore sia il contributo di tali
riflessioni migliore sia l’impressione soggettiva della
“immagine acustica” dell’evento sonoro,8 si fonda
sull’’esame dei percorsi che possono essere tracciati
dalla sorgente alla posizione di ogni singolo
ascoltatore mediante il metodo delle “sorgenti
immagine”, ovvero assimilando la modalità di
propagazione delle onde sonore a quello di raggi
luminosi (percorsi rettilinei e angoli di incidenza e
2,0
Campo diretto
0
1,5
sala da
concerto
1,0
cinema
sala conferenze
chiesa
studio tv
R=5
R = 10
R = 20
-5
-10
R = 50
R = 100
R = 200
-15
-20
-25
0,5
studio
radio
O
-30
0
200
500
1.000 2.000
5.000 10.000 20.000
Volume della stanza in mq
Fig. 6 - Tempi di riverberazione
in relazione a tipologia di
attività/volume dell’ambiente.
50.000
=
0,
25
O
=
O
1
=
4
O
R = 500
R = 1000
R = 2000
=
8
R=x
-35
100
100
Campo riverberato
+5
0,1
0,3 0,5
1
2 3 4 5 7 10
Livello di pressione sonora (dB)
+10
teatro
Lp - Ln in dB
Tempo di riverberazione in secondi
Solo a fronte di queste condizioni la relazione di
Sabine risulta valida, in altre parole sarà possibile
riferirsi a un luogo autenticamente “sabiniano”.
A questo proposito, circa le condizioni di natura
geometrica da introdurre in una sala al fine di rendere
il campo acustico di tipo sabiniano, è possibile
delineare le seguenti caratteristiche fondamentali:
– la distribuzione dell’assorbimento acustico nella sala
dovrebbe essere il più possibile omogenea, evitando
concentrazioni, addensamenti: è il caso, ad esempio,
di posizionamento di materiale fono assorbente
esclusivamente a soffitto (si pensi al caso di una
palestra) determinando un luogo acusticamente
disomogeneo;
– la geometrica delle superfici dell’ambiente dovrebbe
risultare acusticamente “diffondente”,
Sorgente
ovvero caratterizzato da tutti quegli
accorgimenti architettonici atti a
generare riflessioni sonore non
speculari;6 a questo proposito sono
Sorgente
auspicabile tutte le geometrie curve
di forma convessa, evitando quelle
concave per il conseguente effetto di
focalizzazione sonora (vedi figura);
– l’ambiente della sala non dovrebbe presentare
accoppiamenti di volume; tipico è il caso del volume
compreso al di sotto delle gallerie in molte sale
teatrali: tale condizione determina estrema
disomogeneità di campo acustico;
Le condizioni sopra descritte, se da un lato possono
fornire qualche primo elemento che interpreti l’origine
delle caratteristiche acustiche di un luogo, devono
necessariamente essere integrate da altre
fondamentali considerazioni.
In primo luogo la fruizione del messaggio sonoro in un
ambiente risulta essere influenzata dal livello sonoro
con il quale esso raggiunge l’ascoltatore (notoriamente
l’SPL, acronimo di Sound Pressure Level): in linea
generale maggiore sarà il livello, migliore risulterà
l’ascolto nell’ambiente. Tale parametro, se dipende
com’e ovvio immaginare dalla potenza acustica della
sorgente sonora, risulta essere inversamente
2,5
9
legge dell’inverso del quadrato
(6 dB quando raddoppia la distanza)
90
distanza
critica
su
on
od
livello
del suono
riverberato
ire
tto
80
70
20 30 50 100
Distanza (m)
Fig. 7 - Variazione del livello di pressione
sonora in funzione del grado di assorbimento
acustico dell’ambiente (coeff. R).
1,2
3
6
9
15
Frequenza (Hz)
Fig. 8 - Andamento della pressione
sonora in ambiente riverberante.
30
10
riflessione speculari; nota 6, fig. 1) e immaginando che dietro ogni superficie riflettente
si costituisca una sorgente sonora virtuale di ordine crescente (fig. 9).
L’approccio appena descritto, di tipo geometrico “deterministico”, potendo calcolare il
ritardo e l’intensità dei contributi sonori riflessi nei primi istanti successivi alla
generazione del suono diretto, è in grado di qualificare in maniera più precisa la
percezione del messaggio sonoro nell’ambiente, descrivendone la sensazione
soggettiva provata nell’ascolto (fig. 10).
Alle considerazioni sopra esposte, volendo fornire un quadro delle questioni
fondamentali che delineano la valutazione dell’acustica di un ambiente, può essere
aggiunto un richiamo alla natura ondulatoria del suono e alla possibilità che
nell’ambiente si possano determinare “modi di risonanza”.
Si è accennato alla possibilità di equiparare il suono ai raggi luminosi per quanto
La fruizione del messaggio sonoro
in un ambiente è influenzata dal livello sonoro
con il quale esso raggiunge l’ascoltatore.
riguarda le modalità di propagazione: tale ipotesi è però subordinata al rapporto che si
instaura tra lunghezza d’onda del suono e dimensione prevalente degli oggetti che
incontra nel suo percorso (fig. 11).
Qualora le dimensioni dell’ambiente risultano comparabili con la lunghezza d’onda dei
suoni che ne sollecitano il campo sonoro (i locali di piccola dimensione in cui si
generano suoni a bassa frequenza ne sono un esempio), la risposta acustica
dell’ambiente risulta caratterizzata da un marcato innalzamento del livello di pressione
sonora percepito in corrispondenza di quelle frequenze la cui lunghezza d’onda
coincide con le dimensioni del locale.9 Tale comportamento, “risonante”, associato
solitamente ad ambienti di modesta dimensione (sale di prova musicali, studi di
registrazione…), può essere efficacemente contrastato introducendo particolari
dispositivi fono assorbenti, la cui massima efficienza coincida con le frequenze
risonanti riscontrate.
A3
A2
A1
A1
A
A2
A3
R
Fig. 9 - Tracciamento dei raggi acustici
con il metodo delle sorgenti immagine.
Giovanni La Porta_____________________
Architetto, laureato presso lo Iuav di Venezia e diplomato in violino e
viola presso il conservatorio C. Pollini di Padova, oltre all’attività
professionale svolge quella di musicista come didattica ed
esecutore.
Socio Aia (Associazione Italiana di Acustica), è iscritto negli elenchi
dei tecnici competenti in acustica ambientale della Regione Friuli
Venezia Giulia; collabora stabilmente con il Laboratorio di acustica
musicale ed architettonica - Fondazione Scuola di San Giorgio di
Venezia (responsabile dott. Davide Bonsi).
In campo professionale, nell’ambito dell’acustica architettonica,
edilizia e ambientale, è chiamato come consulente in interventi di
nuova progettazione, bonifica e adeguamento di edifici a destinazione residenziale, terziaria e in luoghi collettivi destinati all’ascolto
(auditorium, sale teatrali…); tra i suoi lavori relativi all’acustica
architettonica si segnalano gli studi relativi all’Auditorium di S.
Chiara di Trento, al Teatro di Azzano Decimo (Pn), all’International
Ecumenical Centre di Abuja (Nigeria), al Teatro di Osoppo (Ud), al
Teatro Comunale di Vicenza. Ha partecipato a numerosi concorsi di
architettura ottenendo premi e riconoscimenti.
In ambito locale svolge attività didattica inerente la formazione post
laurea; è chiamato a collaborare con l’Università di Udine (corso di
Architettura degli interni, prof. Davide Raffin) e con l’Università di
Venezia - Ca’ Foscari (corso di Metodologie della conservazione dei
beni artistici, prof. Davide Bonsi), per la quale ricopre il ruolo di
Cultore della materia.
È autore di numerosi articoli a scopo divulgativo in materia di
acustica architettonica ed edilizia; tra questi si segnala il saggio La
camera acustica mobile: un’esperienza padovana, in Lo spazio della
musica, U. Trame (a cura di), Skira ed.
Arch. Giovanni La Porta
Via M. Polo 11 - 33170 Pordenone - [email protected]
dossIER
11
Durata in secondi
Note
1. L’assorbimento acustico “α”, la cui unità di misura è il
Sabine, è compreso tra 0 e 1: più il valore approssima
l’unita, maggiore sarà la quota di energia sonora
assorbita.
2 L’Hz (Hertz) è l’unità di misura della frequenza, definita
come il numero di oscillazioni complete di un corpo
intorno al proprio asse nell’unita di tempo.
3. È il caso dell’indicatore α medio riferito ad alcune
categorie di prodotti commerciali.
4. Com’è noto la relazione di Sabine è RT = 0,161 V/Σass.,
con V volume dell’ambiente chiuso e Σass. sommatoria
delle unità assorbenti introdotte nell’ambiente, ottenute
come somma dei prodotti tra il coefficiente di
assorbimento a una data frequenza e le estensioni
superficiali dei materiali assorbenti in quella determinata
frequenza. A essa Sabine pervenne incrementando in un
ambiente di prova (l’aula universitaria nella quale era
solito tenere le sue lezioni) la
10
9
quota di assorbimento acustico
8
7
(rappresentato da quantità
6
5
crescenti di cuscini), e
4
3
misurando il tempo necessario
2
1
al suono di un organo portativo
0 80 160 240 320 400 480 500
Cuscini
Muri
di estinguersi; il risultato fu la
curva empirica (iperbole)
riportata in figura qui a fianco.
5. La definizione di omogeneità e isotropia del campo
acustico definisce una condizione ideale in cui la densità
dell’energia sonora sia costante in tutti i punti
(omogeneità) e in cui sia la direzione di arrivo dei raggi
risulti ugualmente probabile, sia la media temporale del
flusso di energia in ciascun punto risulti costante
(isotropia).
6. La riflessione del suono su di una superficie liscia,
nell’ipotesi che il comportamento delle onde acustiche sia
assimilabile a quello dei raggi luminosi, avviene
tendenzialmente in maniera speculare, con angolo di
incidenza coincidente con quello di riflessione (fig. seg. 1).
Qualora la superficie non
presenti uniformità superficiale
– ruvidità superficiale di
dimensione comparabile alla
Raggio incidente
Riflessione speculare
lunghezza d’onda del suono
Scattering
incidente – alla superficie è
sempre associato uno specifico
coefficiente di scattering, che
definisce l’attitudine della
Superficie ruvida
superficie di diffondere le onde
acustiche che la colpiscono.
7. È il caso di alcuni intervento di “restauro” acustico di
sale in cui la massiccia posa in opera di componenti edilizi
fortemente fono assorbenti ha comportato una globale
“sordità” dell’acustica, in altre parole la perdita di ogni
sostegno riverberante.
8. Tra i molti contributi all’argomento, si veda L. Beranek,
Concerts halls and opera houses, ed. Springer 2003.
9. Nell’ipotesi di locale di forma parallelepipeda, la
relazione che individua le frequenze di risonanza con le
dimensioni del locale risulta: F0= 340/2 (p2/L2 + q2/W2 +
r2/H2)1/2, con p, q, r numeri interi e L, W, H dimensioni
del locale.
+20
zona di eco
Livello (dB)
+10
0
effetti di immagine
(allargamento, spostamento)
-10
spazialità
C
-20
B
-30
riflessioni non udibili
A
-40
0
20
40
60
80
Ritardo della riflessione (ms)
Fig. 10 - Effetti delle riflessioni ritardate
sulla percezione soggettiva dell’ascolto.
Fig. 11 - Riflessioni sonore e
dimensione degli oggetti.
La panoramica tracciata, seppure nella forzata brevità,
vuole costituire una sorta di vademecum per
interpretare quali sono le questioni fondamentali che
determinano l’acustica in un luogo destinato all’ascolto,
sia in fase di misura fonometrica sia in fase di nuova
progettazione e/o recupero. Tra i molti altri temi che
potrebbero essere doverosamente approfonditi ci
preme sottolineare la necessità di determinare le
caratteristiche di tutti quegli indicatori acustici oggettivi
necessari a qualificare specificatamente la fruizione dei
vari generi sonori, fondamentalmente la musica e il
linguaggio parlato; a questo scopo, in relazione
all’evoluzione tecnologica presente, è necessario
richiamare l’utilità dell’uso di specifici software di
simulazione acustica e delle tecniche di misura
fonometrica basate sulla risposta all’impulso degli
ambienti, strumenti di analisi e progetto il cui uso
appare sempre più auspicabile per il futuro.
I luoghi del
fare ed essere coro
i luog
non solo questione di spazio…
di Dario De Cicco
Riflettere sull’esperienza corale dal punto di
vista dei luoghi fisici, e quindi degli spazi
ambientali, significa esaminare un elemento
dell’attività musicale assai mutevole che
implica necessariamente il ripercorrere,
seppur in maniera rapida e incompleta, il
divenire storico dell’entità coro. I luoghi del
cantare cambiano in relazione alle epoche
delle nostra civiltà e tali mutamenti sono da
considerarsi il segnale di una vitalità che è
sinonimo di crescita continua, musicale e
sociale. Tali due dimensioni sono strettamente
connesse tra loro: il dove il coro esegue è
parte del suo essere.
Ma oggi dove possiamo trarre le informazioni
su questi aspetti? Le fonti di cui oggi
disponiamo sono varie – gli storici le
classificano in “dirette” e “indirette” – e sono
costituite da: immagini (la cosiddetta
“iconografia musicale”), narrazioni (anche non
strettamente musicali), cronache e registri di
corte, epistolari, trattati, documenti di natura
amministrativa ecclesiali, ecc. Una mole di
“reperti” consistente le cui informazioni, se
lette e incrociate opportunamente, possono
permetterci di ricostruire con un buon livello
di attendibilità le linee evolutive di una
dimensione specialissima del “fare musica
collettivo”, presente da sempre
nell’esperienza umana.
Interrogarsi sui luoghi della pratica corale è
anche riflettere sulle relazioni che lo spazio
dossIER
13
fisico ha avuto nel nascere e svilupparsi dei repertori: pensiamo alle monodie gregoriane
istituzionalizzate nella pratica dell’ora et labora benedettino – in un contesto monastico – per
giungere ai repertori popolari rinascimentali eseguiti nelle corti durante le feste o altre
occasioni. Il discorso potrebbe così continuare con una quantità di esempi pressoché infiniti che
ci possono portare a definire una prima relazione circolare importante tra repertorio, coro e
luogo fisico. La consistenza delle compagini corali non è
stata sempre uniforme: da aggregati di pochi elementi a
gruppi di 50-60 cantori per giungere alle ampie masse
corali del XIX secolo. Tale dato numerico ha sicuramente
Repertorio
Coro influito sugli spazi dell’evento e sulle modalità del loro
organizzarsi.
La prima tappa del nostro percorso ideale di riflessione è
costituito dalle culture precristiane che inserirono la pratica
corale nella dimensione del culto e delle rappresentazioni
teatrali legittimandone socialmente l’esistenza e
Luogo
l’importanza. Ecco allora che troviamo il coro posizionato
attorno all’altare del Dio, in dialogo diretto con gli altri
fisico
concelebranti e con la stessa divinità. Questo rapporto
diretto è il segnale di uno spazio culturale forte quasi a dirsi che il coro è parte integrante
dell’essere stesso dell’uomo.
Negli spettacoli teatrali tragici esso era posizionato in un apposito spazio semicircolare detto
“orchestra”, posto innanzi al palco, dove poteva cantare ma anche danzare. Esso era da
considerarsi “come uno degli attori, facente parte del tutto e partecipe dell’azione”.
Le sofferte fasi di affermazione del cristianesimo – sebbene scarsamente documentate dal punto
di vista che a noi interessa – non trascurarono l’esperienza corale. Da alcune immagini ritrovate
all’interno di catacombe di area romana sembrerebbe che il cantare insieme fosse pratica
ricorrente delle prime forme liturgiche.
Con l’età medievale, l’esperienza e i luoghi del fare ed essere coro sono collegati allo spazio che
la musica e la sua pratica ebbero in quella società. Particolarmente significativo è il
collegamento con due dimensioni della vita dell’uomo: la formazione e la fede. Ecco quindi che
la pratica corale viene svolta in luoghi più ristretti e riservati come le chiese, i monasteri e le
“istituzioni educative” del tempo. Con una netta prevalenza delle ubicazioni sacre rispetto a
quelle profane anche se appare oggi certo che molti dei repertori profani medievali avessero
esecuzioni collettive.
Il fatto che Benedetto da Norcia (480-547) abbia dedicato
alcuni articoli della Regula Monasteriorum alla pratica
corale è testimonianza di un grande ruolo a esso affidato
che rimase costante anche nei secoli successivi. La
collocazione fisica del coro è la metafora di un accordo tra
il corpo e lo spirito gestito con “ordine e misura”. La
disposizione dei monaci per la preghiera cantata è
funzionale espressione dell’intento di rendere lode e onore
a Dio. In quest’ottica debbono essere lette le puntuali
prescrizioni sul modo di sedersi, sulle modalità di
interazione, ecc. Non sterile rigore ma luogo di esercizio dei
valori fondanti dell’esperienza monastica.
Nel periodo basso-medievale (1000-1492) le chiese furono il
luogo dove si svilupparono alcune forme di teatro che
traevano spunto da pagine dei Vangeli. In tali azioni
sceniche il coro era presente e vitale. Tale presenza fu il
primo passo verso la nascita e l’affermarsi di repertori
specifici – le laudi – e la nascita di organismi deputati alla
loro esecuzione: le confraternite.
Quindi l’esperienza corale si manifesta come elemento
generatore di un aggregato sociale.
oghi del
14
L’età rinascimentale fu un momento fecondo
per quanto riguarda la coralità, sia in ambito
sacro che profano. L’affermarsi della corte
come modello di organizzazione sociale dette
un grande sostegno al diffondersi di
esecuzioni corali in momenti salienti della loro
vita. Gli spazi a esse deputati erano i
meravigliosi saloni, i nascenti teatri di corte,
ecc. Il tutto in un fiorente sviluppo di
repertori frutto di fecondi dialoghi con la
poesia. Grazie ai luoghi dell’esperienza corale
di questo periodo ebbero grande risalto le
corti nella loro dimensione di aggregato
sociale e culturale in grado di svolgere una
funzione propulsiva sulle arti.
Contemporaneamente la produzione e le
esecuzioni di musica sacra videro una
fioritura eccezionale favorita anche dalla
diffusione delle scuole di canto ecclesiali
(scholae cantorum) che sorsero con l’intento
di formare professionisti della voce che
fossero in grado di assicurare la necessaria
consistenza numerica alle varie tessiture
utilizzate nell’esecuzione della polifonia. La
necessità di avvalersi di cantori dotati di
competenze professionali elevate fu dettata
anche da un significativo elevamento del
livello di complessità della scrittura vocale
(contrappunto) che richiedeva non generiche
capacità di emissione ma complesse
competenze e abilità di emissione ed
espressività. Queste realtà educative
produssero una consistente mole di eventi
nelle più belle sedi della cristianità, luoghi
che si qualificavano anche per la bellezza
delle proprie ornamentazioni quasi
promuovendo un dialogo tra arti visive,
musica e al centro: l’uomo con la sua voce.
In questo periodo la bipartizione sacro/
profano si concretizzò a vari livelli – scrittura
musicale, organizzazione formale dei brani e
luoghi della pratica corale – ponendo così tale
pratica in un contesto culturale dinamico. In
ambito profano fanno il loro timido ingresso
alcuni strumenti musicali che – come
documentato da alcuni dipinti – sicuramente
posero alcune necessità di posizionamento e
di equilibrio con le voci.
A tal proposito è importante citare
l’esperienza veneziana dei cori battenti: in
sostanza fu una forma esecutiva di tipo
dialogico che fu determinata anche dalla
particolare architettura della Basilica di San
Marco. Uno di quei casi in cui si realizzò
quella relazione circolare a cui si accennava in
apertura di questo scritto.
Con l’avvento del melodramma, nel secolo
XVI, il coro si apre nuovamente alla
dimensione scenica: il teatro. Possiamo
considerarlo il recupero di uno spazio che gli
era proprio fin dalle origini. A esso non venne
più affidato un esclusivo luogo fisico –
funzionale alle sue attività all’interno dello
spettacolo teatrale – ma venne inserito in
maniera sostanziale sul palcoscenico con la
medesima rilevanza degli altri personaggi. La
rilevanza che fu assegnata al coro nell’opera
non fu uniforme nei vari secoli e nelle varie
zone europee, pertanto nell’esame della
letteratura melodrammatica è facile trovare
un elevata variabilità nella sua presenza sia in
termini di tempo che di spazio.
Gli studi storico-musicali hanno anche
considerato significativo il posizionamento del
coro rispetto all’orchestra. E anche su questo
versante è dato cogliere significative varianti:
dalla presenza sul palco, al posizionamento
dietro o a lato degli strumenti musicali.
Ciascuna realtà adottava proprie strategie
funzionali alla resa sonora ma anche alle
necessità di una nascente – e a tratti incerta
– direzione orchestrale che era spesso
affidata (se intesa nei termini moderni) a più
soggetti. Quindi non un unico modello di
disposizione ma una pluralità di modelli con
frequenti ibridazioni. Interessanti a questo
proposito sono le molte piante di teatri o di
singole rappresentazioni.
Esempio di concerti corali
sacri barocchi. La miniatura
raffigura la cerimonia
dell’imposizione cardinalizia
ad Alfonso Litta per mano
del legato, cardinale
Carafa, avvenuta nel 1666
tratto da “Insignia degli
anziani del Comune dal
1530 al 1796”, in E. Maule,
Momenti di festa musicale
sacra a Bologna nelle
Insignia degli Anziani
(1666–1751),
in «Il Carrobbio», XIII, Luigi
Parma, Bologna 1987,
p. 261). Si può notare
il coro in posizione centrale
e le due compagini
strumentali (a cori battenti)
ai lati; dietro i due organi.
dossIER
15
Nella collocazione del coro molto dipende, ed è sempre
dipeso, dallo stile direttoriale. L’uso – o il non uso – della
bacchetta assieme allo svilupparsi di una vera e propria
“teoria” della direzione hanno poi dato spinte determinanti
verso l’affermarsi di determinate collocazioni sceniche del
coro: davanti, lateralmente o dietro l’orchestra.
Una particolare rilevanza fu data al coro con la produzione
melodrammatica di Giuseppe Verdi che vi assegnò sovente il
delicato ruolo di soggetto che incarna ed esprime i valori di
una data società.
La presente riflessione è stata prevalentemente incentrata su
pratiche esecutive visibili, ovvero effettuate in luoghi/spazi
aperti alla visione del pubblico. Dobbiamo considerare anche
quelle realtà corali esistenti all’interno delle comunità
monastiche che spesso – soprattutto nei rigorismi dei tempi
passati – non erano visibili al pubblico e la pratica vocale
collettiva era, ed è tutt’oggi, funzionale all’esercizio della
fede. L’esecuzione e l’ascolto sono i medesimi? Cambiano i
parametri posti a fondamento della loro pratica esecutiva? E
la resa sonora? Nelle nostre pratiche di concerto in quale
relazione stanno la dimensione visiva e quella sonora?
Un altro elemento di riflessione importante attiene alla scelta
dei materiali costruttivi dei luoghi dove facciamo coro: perché
nel medioevo, e successivamente, la pietra ebbe un impiego
massiccio? Disponibilità di fatto o scelta consapevole? Sembra
un problema non così importante ma in verità quanti cori
escono talvolta frustrati nel loro lavoro dopo aver eseguito
musica all’interno di “sorde” costruzioni in cemento armato?
È importante riflettere su questi aspetti oggi che viviamo in
una società sostanzialmente proiettata verso il dato visivo
anche nelle esecuzioni musicali e nelle connesse pratiche di
ascolto. Sarebbe bello che nell’organizzazione di un evento
musicale il coro – in tutte le sue componenti – condividesse
anche questi aspetti con un approccio consapevole. Troppo
spesso le scelte di posizionamento e di sede sono dettate
dalla decisione del direttore o comunque di chi si occupa di
organizzare: parlarne e far capire che i soprani a destra
piuttosto che a sinistra, il coro dietro o davanti all’organo…
fanno la differenza!
Auspico pertanto che questa riflessione possa stimolare una
coscienza critica sui vari aspetti della pratica corale in quanti
oggi la praticano – sia nella dimensione amatoriale che
professionale – nella convinzione che l’esperienza di chi ci ha
preceduto non sia un sapere destinato a un’elite di raffinati
cultori del sapere musicale ma materia viva per un “fare
musica” che a distanza di millenni riesce ad appassionarci e a
farci crescere. Questa volta abbiamo, oltre agli strumenti,
anche i due cori dialoganti (insieme agli organi).
Joseph Cristophe, Battesimo del
delfino alla presenza di Lully,
olio su tela, Versailles, Museo del
castello, in A a.Vv. (a cura di
G. Taborelli e V. Crespi), Ritratti di
compositori, Officine grafiche De
Agostini, Novara 1990, pp. 42-43.
Nel presbiterio di San Petronio è in
corso la celebrazione della festa
del Santo. Presente Giacomo III
d’Inghilterra con la moglie
Clementina Sobieski, 1722,
in E. Maule, Momenti di festa
musicale, Op. cit., p. 260.
16
L’USO DEGLI IMPIANTI DI AMPLIFICAZIONE
NEI CONCERTI DI MUSICA CLASSICA
di Luca Ricci
Chi non ha mai assistito a un concerto di musica acustica pensando che a quel certo
strumento, a quel tal cantante, o addirittura a quell’intero coro avrebbe senz’altro giovato un
po’ di… amplificazione?
Nel mio mestiere, che consiste nel realizzare master audio destinati a produzioni
discografiche, il problema è facilmente aggirabile: è sufficiente un microfono in più per
equilibrare il suono dell’esecutore in difetto di volume all’ascolto in cuffia con il resto
dell’organico…
Risolvere il medesimo problema in caso di pubblica esecuzione risulta, tecnicamente parlando,
un po’ più macchinoso, a causa della necessità di impiegare diffusori in sala e, se necessario,
per il monitoring, all’impatto visivo e psicologico con i quali non siamo abituati, a differenza di
quanto invece avviene con gli oggetti appartenenti al mondo delle riprese audio finalizzate
all’incisione, l’attitudine al confronto con le quali fa ormai parte del bagaglio di moltissime
formazioni amatoriali e di pressoché tutte le formazioni professionali.
Se è vero, come è vero, che la musica acustica, che si
tratti di monodia sacra, di polifonia palestriniana o di
una messa mozartiana, è stata concepita per essere
eseguita senza l’ausilio di amplificazione, occorre altresì
considerare che l’uso ormai consolidato da decenni di
sempre più performanti supporti per la riproduzione
fonografica, dove ogni parte (almeno nelle incisioni ben
realizzate) viene dettagliata con cura, può portare a
ricercare in un evento live lo stesso grado di leggibilità, il
che rende sempre più necessario che la tecnica
esecutiva, e parte delle scelte interpretative esibite
durante un concerto, mirino prima di tutto a rendere
chiaramente intelleggibile il movimento di tutte le parti
che compongono la partitura al pubblico presente in
sala.
In base alla mia esperienza in sede di documentazione
audio di concerti posso tranquillamente affermare che
questa situazione ottimale spesso non si verifica, motivo
per cui mi trovo di frequente a dover aggiungere uno o
più microfoni d’accento (ovvero microfoni sulle sezioni o
su singoli strumenti o cantanti) all’array principale (i
cosiddetti microfoni “panoramici”). Questo perché al solo
array principale non arriva con chiarezza il segnale di
tutte le parti interessate. È opportuno ricordare che
l’array principale gode di una posizione privilegiata
rispetto alle poltrone della sala da concerto; ciò
comporta che quello che l’array “non sente” lo
spettatore, anche quello in prima fila, lo sente ancor di
meno…
Non di rado persone del pubblico durante l’intervallo si
avvicinano alla mia postazione per chiedere se è
possibile “ascoltare qualcosa” e dopo aver ascoltato
spesso affermano che “si sente meglio che in sala”; di
sicuro gioverebbe alla crescita della mia attività
dossIER
rispondere che è tutto merito della mia
perizia, ma la verità è che a volte l’incaricato
delle riprese audio è costretto a intervenire
per rimediare all’insufficiente presenza di
uno strumento o di una sezione in termini di
volume rispetto al resto dell’organico, in
parti dell’opera eseguita e, a volte, dell’opera
intera.
Nel caso di formazioni di professionisti la
causa del problema è da ricondurre
essenzialmente a due fattori.
1) I gruppi in tournée tendono ad assumere
sul palco una disposizione standard, con
spazi tra gli esecutori che restano sempre gli
stessi indipendentemente dalla location.
2) A volte gli spazi che ospitano i concerti
costringono le formazioni a disposizioni
occasionali.
In entrambi i casi l’equilibrio realizzato in
sala prove o in sala d’incisione viene meno
in sede di concerto: nel primo caso perché
difficilmente si avrà la fortuna di suonare in
un luogo acusticamente e strutturalmente
simile a quello in cui tale equilibrio è stato
messo a punto. Nel secondo caso perché,
come dovrebbe essere ovvio, ridistribuire le
posizioni in uno spazio che non consente
nemmeno di riprodurre la disposizione
standard aumenta il rischio di mascherare
alcune parti e/o di accentarne altre.
Esistono naturalmente anche formazioni
capaci di ridisporsi efficacemente nella sala
da concerto, ma anche i più accorti in tal
senso nulla possono se si trovano a doversi
riposizionare in uno spazio angusto in
relazione al numero degli esecutori.
3) Una ulteriore situazione assai nefasta è
costituita dagli ambienti eccessivamente
riverberanti. Neanche in tal caso un’oculata
disposizione degli esecutori sul palco è in
grado di ovviare a un suono perdurante al
punto da formare dei cluster, anche quando
il programma non preveda classici del
secondo dopoguerra…
Nel precedente articolo apparso su Choraliter
ho parlato della scelta della location nella
realizzazione di incisioni destinate al mercato
discografico; personalmente ritengo che gli
organizzatori di eventi concertistici
dovrebbero riservare pari attenzione alla
scelta dei luoghi destinati a ospitare
concerti. Spesso, purtroppo, parametri quali
l’acustica del luogo e le sue dimensioni in
relazione all’organico che deve ospitare
passano in secondo piano rispetto al valore
17
storico artistico del sito o alla sua
disponibilità rispetto a luoghi acusticamente
più adatti.
L’affrontare partiture senza disporre di un
organico quantitativamente adeguato
rispetto a quello prescritto è un ulteriore
problema che si va ad aggiungere a quelli
citati ai punti 1, 2 e 3, e che affligge
essenzialmente le formazioni amatoriali.
La tecnologia di cui oggi disponiamo nelle
vesti di un impianto di amplificazione
proporzionato al contesto e di eccellente
qualità sonora, potrebbe fornire un valido
ausilio per migliorare la situazione nei casi
fin qui descritti. Dico potrebbe perché
difficilmente nelle stagioni concertistiche la
cui partecipazione sia riservata a formazioni
professionali verrebbe accettato l’uso di un
mezzo elettromeccanico per migliorare la
fruizione del concerto in sala. Da una
La tecnologia di cui oggi disponiamo
nelle vesti di un impianto
di amplificazione proporzionato
al contesto può fornire un valido ausilio.
statistica tratta dai lavori finora effettuati,
deduco che a tale riguardo le formazioni
amatoriali sono più possibiliste!
Nel caso in cui una sezione, un singolo
strumento o un solista in sala si sentano
poco, a causa dei problemi descritti fino a
ora, una microfonazione discreta e un
impianto di amplificazione collocato con
accortezza possono molto spesso risolvere il
problema. Vediamo qualche esempio.
Uno dei problemi più comuni è costituito dai
cantanti solisti, magari inseriti all’interno di
una sezione corale anziché davanti a essa,
che in sala “si sentono poco”; un microfono
dinamico, tipo il classicissimo Shure SM58
posto di fronte all’esecutore, minimizza i
rientri e rende facilmente gestibile la voce in
questione. Per il posizionamento degli
altoparlanti due sono a mio avviso le
possibili soluzioni; la prima, meno invasiva
visivamente, prevede l’uso di un altoparlante
di buona qualità di piccole o medie
dimensioni ai piedi del cantante rivolta verso
18
il pubblico; dosando opportunamente il volume, si può avere
quasi l’impressione che la voce non sia neppure amplificata.
La seconda soluzione prevede di porre due altoparlanti su
stativo in posizione stereofonica rispetto al pubblico, in
genere oltre i bordi laterali della formazione musicale; il
suono della voce solista risulterà di sicuro effetto, anche se
un po’ meno naturale…
Se il solista è in movimento, come ad esempio in un’azione
scenica, quest’ultima soluzione diventa l’unica praticabile;
fra l’altro con un panning gestito da un fonico è possibile
accompagnare con il movimento del suono quello
dell’esecutore. In questo caso però un radiomicrofono
lavallier (o “a goccia”) diventa una scelta obbligata, anche
se quelli di buona qualità hanno un prezzo assai più elevato
rispetto al succitato SM58.
Lo stesso problema di volume potrebbe affliggere una
sezione di un coro meno nutrita rispetto alle altre, e la
risoluzione del problema è simile alla precedente, con
l’amplificatore vicino alla sezione come scelta pressoché
obbligata per non rischiare di far si che il rimedio sia
peggiore del male! Il tipo di microfoni da utilizzare però sarà
di quelli descritti all’esempio successivo.
Nel caso di formazioni corali poste alle spalle di formazioni
strumentali che ne coprono la vocalità, l’impianto di
Luca Ricci_________________________
Luca Ricci svolge dal 1998 l’attività di tecnico del suono
specializzato in riprese in studio mobile di musica vocale,
orchestrale e cameristica.
Gli studi in composizione effettuati presso il conservatorio
statale di musica F. Morlacchi di Perugia, sotto la guida del
maestro Stefano Bracci, gli consentono di supervisionare le
riprese sotto il profilo artistico oltre che fonico, e se necessario
di eseguire il montaggio dei brani senza ausilio da parte del
direttore dell’esecuzione. In collaborazione con stamperie di
livello internazionale è in grado di fornire al cliente cd duplicati
completi di grafica.
Al suo attivo ha produzioni
(anche in corso) per le
seguenti case discografiche: Brilliant, Tactus,
Bottega Discantica,
Amiata, Quadrivium, Cefa.
L’elenco delle principali
produzioni da Luca Ricci
realizzate fino a oggi è
disponibile sul sito www.
armoniosoincanto.it
assieme alla scheda
tecnica dettagliata.
[email protected]
amplificazione, a questo punto obbligatoriamente
stereofonico, dovrebbe essere posto ai lati del coro, ma a
meno di non usare una microfonazione chiusa (in genere un
microfono a condensatore con capsula da 1/2 pollice ogni
quattro cantori di cui due davanti e due dietro, rispettando
la divisione fra sezioni e/o parti, oppure uno ogni due se il
coro compone un unico semicerchio) i rischi di larsen (il
famigerato “fischio” a volte prodotto dagli impianti di
amplificazione) diventano altissimi. Considerato che il tipo di
microfonazione appena descritto è appannaggio di service
piuttosto grandi e che il costo dell’affitto sale di
conseguenza, si finisce spesso per effettuare una
microfonazione panoramica per ogni sezione, posizionando
gli amplificatori ai lati dell’orchestra; l’intelleggibilità delle
parti cantate dal coro è comunque al sicuro, ma in sala si ha
l’impressione che i coristi cantino... in braccio agli
orchestrali!
In un ambiente eccessivamente riverberante si rende
necessaria una microfonazione chiusa sul coro, sull’eventuale
orchestra, e sulle voci soliste, questo per cercare di captare
il più possibile il segnale diretto rispetto a quello riverberato
che altrimenti verrebbe poi amplificato. Si procede poi al
posizionamento dell’impianto di amplificazione, che deve
essere costituito da tante coppie stereofoniche di altoparlanti
medio/piccoli quante ne sono necessarie in base alla
profondità dell’ambiente e al suo tempo di riverberazione
(sta al fonico giudicarlo) disposte a intervalli regolari a
partire se necessario dalla prima fila di platea (le prime file
in alcuni casi non subiscono gli effetti di un riverbero
eccessivo come le file che seguono) e regolate a volume
medio/basso; il principio è lo stesso secondo il quale nelle
chiese vengono disposti gli altoparlanti per permettere ai
fedeli di seguire la liturgia a dispetto di una cattiva acustica.
All’aperto si potrebbe presentare il problema opposto; il
suono risente spesso di eccessiva “secchezza”, oltre che
risultare a volte di volume, in questo caso complessivo,
insufficiente.
La minor presenza di riflessioni dovute alla vicinanza di
pareti laterali e/o soffitti (parlo in generale; su un chiostro
manca solo il soffitto, ma le pareti laterali ci sono! E anche
una piccola piazza in tal senso può risultare pericolosa...)
comporta di solito minori problemi nel piazzamento dei
microfoni in rapporto a quello dell’impianto di amplificazione
(che può essere anche di grandi dimensioni, se il luogo e il
numero di spettatori lo permettono) e il problema della
“secchezza” può essere risolto mediante l’uso di riverbero
artificiale.
A questo punto è bene chiarire che nel settore
dell’amplificazione audio, così come in quello del riprese
audio, il “fai da te” è vivamente sconsigliato; ammesso e
non concesso che un gruppo musicale disponga
dell’attrezzatura necessaria per far fronte a ogni evenienza
occorre poi un fonico abituato a lavorare con il genere
musicale che è chiamato ad amplificare. Un fonico non
preparato o un fonico assente, come nel caso del corista che
dossIER
prende posto in sezione dopo aver calibrato
l’impianto lasciandolo in balia di se stesso
per l’intera durata del concerto (ebbene sì,
ho assistito anche a questo…) possono
rovinare l’esecuzione.
A livello professionale, come dicevo, si
incontra presso esecutori, direttori e
organizzatori di concerti una notevole
riluttanza ad avvalersi dell’ausilio di un
impianto di amplificazione. Le giustificazioni
più diffuse argomentano perdita di
suggestione scenica, rischi di creare squilibri
di volume (quando tali squilibri verrebbero
come abbiamo visto invece risolti dalla
presenza di un buon impianto), e persino
timore di recensioni negative su riviste
specializzate. Personalmente ritengo che la
cosa peggiore che possa capitare a un
ascoltatore durante il concerto sia di non
riuscire a seguire in parte o in toto il
movimento delle parti; senza intelleggibilità
non ci può essere godimento nemmeno per
la più straordinaria delle interpretazioni.
Al contrario nel caso dei saggi musicali
scolastici o di azioni sceniche costituite da
recitazione e canto, con l’uso o di basi
19
preregistrate, o di vere orchestre, che siano
di strumentini o di strumenti orchestrali,
vengo contattato senza alcuna delle remore
succitate; l’uso della tecnologia è accolto a
braccia aperte da presidi e direttori musicali,
nonché dai registi e dai giovani artisti. Non
ponendosi questioni di “purezza” esecutiva,
il fonico gode di ampia libertà di movimento,
i brani musicali e le parti recitate risuonano
forti e chiari nei teatri come negli auditorium
che ospitano gli eventi.
Nell’esperienza di fonico per la musica
classica che da qualche anno svolgo
parallelamente alla mia decennale attività di
tecnico del suono ho spesso ottenuto i
migliori risultati proprio in contesti come
questo. E se la predisposizione all’utilizzo dei
mezzi elettroacustici trova terreno fertile
nelle nuove generazioni di musicisti, negli
anni a venire ci auguriamo la caduta di ogni
pregiudizio nei confronti di questa branca
della tecnologia elettroacustica che
contribuisce a una più completa fruizione del
messaggio musicale dal vivo.
Il coro
sinfonico
fabio
intervista a fabio Vacchi
a cura di Andrea Basevi
Qual è il tuo rapporto con l’oggetto coro? A parte le esercitazioni corali al
conservatorio di Bologna, hai mai partecipato da ragazzo a un coro?
La base della mia educazione musicale è stata fatta cantando, mio padre
adorava cantare e conosceva un’infinità di canzoni tradizionali e il mio orecchio
armonico me lo sono formato imparando a cantare in terza canzoni militari,
popolari, alpine, canzoni di ogni genere. Da studente ero uno dei pochi che non
si perdeva una lezione di esercitazioni corali. Con il mio amico Sergio Vartolo,
che poi ha proseguito con il barocco, fondammo un coro dove facevamo un
repertorio cinquecentesco, ci piacevano molto le chansons di Janequin, senza
impedirci Palestrina, Orlando di Lasso fino a Monteverdi.
Considero il coro non solo la base di una vera educazione musicale dal punto di
compositorE
vista sensuale, ma anche un momento fisico irripetibile,
perché essere parte di un’armonia corale lo descriverei come
un’importante esperienza fisica non solo musicale e culturale.
Questo mio rapporto mi ha portato a scrivere con una certa
facilità per coro, infatti il mio primo diploma è stato in Musica
corale.
Quale repertorio corale ti piace maggiormente?
Mi interessa tutta la coralità popolare in tutte le sue latitudini
e tradizioni: dai canti alpini ai cantori di Orgosolo o quelli di
Santu Lussugiu, dai tralleleri genovesi, che adoro con i loro
ruoli fissi, ai canti responsoriali africani.
Con la voce, con un coro, si comunica in maniera diversa
che con un brano strumentale; puoi tracciare un percorso che
abbracci questa considerazione?
Il mio primo brano importante composto per coro è Sacer
Sanctus su testo scritto appositamente da Giuseppe
Pontiggia, unico testo in versi dello scrittore. Dall’esecuzione
di questo brano nacque un forte rapporto artistico e
d’amicizia con Roberto Gabbiani che mi ha portato a essere
membro della giuria internazionale del concorso Guido
d’Arezzo sia corale che di composizione. Spesso Gabbiani mi
invita a far parte della commissione per la scelta dei coristi,
prima alla Scala poi a Santa Cecilia e questo mi fa pensare di
avere qualche dimestichezza con lo strumento voce. Anche il
concerto di inaugurazione di una delle tre sale dell’Auditorium
di Roma si aprì con un mio brano sinfonico-corale Terra
comune, per risaltare questo importante spazio acustico.
Inoltre il coro è uno dei protagonisti principali della mia ultima
opera Teneke data alla Scala nel 2007. Il coro ha una parte
massiccia, anzi ci sono due cori, uno grande composto da più
di cento coristi, il coro dei contadini, e un coro di solisti, il
coro dei proprietari. Il coro non risulta mai sfondo, commento,
o compare come ripieno timbrico, è invece un coro che agisce,
tanto che le parti corali di Teneke sono state giudicate tra le
più riuscite dell’opera. Il coro per me è come una seconda
natura, come un quartetto per archi.
Tu sei sempre molto attento e preciso nella tua scrittura
strumentale a indicare modi d’attacco e suoni armonici. Nella
scrittura corale adotti sistemi simili, ossia usi della voce non
solo il canto ma per esempio fonemi e modi di parlare,
sussurrare tipici di molte scritture contemporanee?
Al contrario, uso il coro per le sue potenzialità melodiche e
armoniche. Cerco di usare le voci nella tessitura che più si
adatta alla situazione timbrico-dinamica del momento. Non
cerco mai di forzare e arrivare al limite delle possibilità di
emissione, uso il coro in senso sinfonico più che solistico.
Anche nella scrittura madrigalistica – al festival di Città di
Castello il gruppo Hilliard Ensemble ha cantato un pezzo scritto
per loro, Memoria italiana – non mi spingo a cercare diverse
emissioni vocali. In questo brano sono partito da antichi canti
italiani trovate nelle raccolte di Alan Lomax nei primi anni ’50, e
li ho usati per costruzioni contrappuntistiche esattamente
21
come si faceva all’epoca dell’homme armé. Il materiale poi
scompare dando luogo a una cattedrale polifonica.
Come insegnante consideri importante comunicare ai tuoi
allievi l’amore per la coralità? Penso che anni fa, in certe
classi di composizione, l’uso della voce che canta non veniva
insegnata perché portatrice di storia, emozioni ed emotività.
Nel paese più affetto da fanatismo avanguardista, la Francia,
è stato pubblicato un paio d’anni fa un grande libro sulla
musica contemporanea escludendo non solo tutti i brani che
fanno uso di una voce, ma anche gli autori che hanno scritto
opere liriche, non considerati musicisti “puri”. Eppure si sa
bene che in Europa la musica strumentale nasce come
prolungamento della musica vocale, salvo poi assumere
proprie caratteristiche. Gli strumenti in origine dovevano
imitare le voci, portando la vocalità a essere fondamentale.
Nel fraseggio e nella scrittura strumentale, nella concezione
formale di un lavoro musicale, quello che mi sforzo di
comunicare è che la sintassi debba ricalcare la respirazione di
un corpo. La sintassi nasce come fisiologia. Arsi e tesi sono
ispirazione ed espirazione. Il coro, la voce, non è quindi un
colore ma uno strumento generativo.
In questo che dici emerge il tuo amore grandissimo per la
voce in tutte le sue sfaccettature, da quella recitante, alla
voce non impostata, al canto spiegato, al coro.
Non solo tutto questo ma ti dirò che il mio amore per il canto
22
è riscontrabile in molti miei lavori solo strumentali. Tutti i
gesti tematici nascono da idee di cantabilità che poi si
sviluppano in modo strumentale, ma il principio generatore
resta un fatto melodico, quindi cantabile.
Luciano Berio diceva che la voce è la casa della musica e
che dalla voce nasce tutto. Anche i grandi etnomusicologi
hanno sottolineato che dal canto primordiale può esser nata
la musica. Il cantare si lega immediatamente al movimento,
un bambino che canta si muove automaticamente.
La melodia e il ritmo sono elementi assolutamente fisiologici.
Poi ci sono gli elementi culturali che sono sintattici e formali,
ma come materiale base la voce è ritmo attraverso il fiato, la
pulsazione cardiaca, il passo e poi l’espressione.
Hai mai fatto uso nei tuoi lavori di cantori popolari?
Non ho mai usato strumenti etnici né cantori perché il mio
rapporto con la musica è quello tipico di un compositore
europeo, cioè dal pensiero, alla carta scritta, all’interprete. C’è
da dire che la musica colta europea si è sempre abbeverata,
fertilizzata direi con spunti popolari ed etnici anche extra
europei con questa contraddizione: che non si possa prendere
il suonatore popolare e inserire in un brano sinfonico perché
pensa in un’altra lingua, non ha quel tipo di stacco
speculativo che noi abbiamo. Inoltre appena si dà una
trascrizione di una melodia etnica in qualche modo la si
travisa limitandola a una versione, mentre le versioni sono
infinite soprattutto nell’aspetto fondamentale delle
ornamentazioni. Io ho coronato un mio sogno inserendo in
Irini, Esselam, Shalom (pace nelle lingue greco, arabo ed
ebraico) la voce di Moni Ovadia, non educata al canto lirico,
ma profondamente emozionale. Una voce da cantore di strada
un po’ sfiatata con singhiozzi, colpi di glottide, portamenti,
glissandi piccole stonature usate in senso espressivo che non
avrei mai potuto chiedere a una voce impostata perché
questo modo di cantare non fa parte del nostro mondo
culturale classico.
Dalla musica etnica provengono molte delle mie linee cantabili
e dei miei gesti melodici. L’esecuzione che se ne ricava è
spesso un’approssimazione, non potendo chiedere a un
cantante tradizionale la vocalità di uno popolare che nasce
spesso dal gesto vocale legato al lavoro, alla postura quindi
del cantore. Come esempi potrei ricordare una mondina che
cantava stando molto piegata e mettendo il diaframma in un
dato modo per far uscire quel tipo di canto, così come per far
arrivare lontano nei campi la voce bisognerà metterla in
maschera oppure il cantore siciliano che, qualunque sia la
vocale con cui termina la frase, inserisce nel canto la vocale
“a” per dare un certo timbro al finale della frase. Tutte queste
cose si possono trovare in senso stilizzato, metabolizzato,
elaborato all’interno di un linguaggio unitario in molti miei
brani anche strumentali, come colore, inflessione.
C’è un episodio significativo a questo proposito, durante una
prima assoluta alla Biennale Musica nel 1985. Il brano era
L’usignol in vatta a un fil, dove durante la prova ero disperato
perché non saltava fuori ciò che avevo scritto finché non ebbi
l’illuminazione di dire a tutti i quindici esecutori di provare a
suonare come se sotto le note ci fossero state delle sillabe di
parole, cioè di mettere una cantabilità come se dovessero
cantare delle parole. Immediatamente il brano decollò e andò
benissimo, mentre pochi minuti prima era un blob senza
forma acquistò la sua pronuncia, la sua inflessione vera. Ogni
nota va quindi “vissuta” dal punto di vista della pronuncia
melodica che insieme all’aspetto timbrico risultano parametri
percettivi fondamentali per la tenuta narrativa di un brano.
Fabio Vacchi_____________________
Fabio Vacchi nasce a Bologna nel 1949. Studia con
Giacomo Manzoni e Tito Gotti nel conservatorio della sua
città, perfezionandosi poi negli Usa, a Tanglewood, dove
vince il Koussewitzky Prize in Composition. L’esordio
italiano avviene nel 1975, alla Biennale Musica di Venezia.
Fin dall’anno successivo i primi premi, con la vittoria al
concorso olandese Gaudeamus che laurea Les soupirs de
Geneviève per 11 archi solisti.
Da allora la sua musica gode di sempre maggiore
circolazione e, specie a partire dall’inizio degli anni
Novanta, il successo e la fama crescono fino al punto di
collocarlo tra i compositori più affermati dell’attuale
panorama musicale.
Tappe importanti della sua carriera sono il debutto al Maggio
Fiorentino (1982) con Girotondo, opera in due atti su libretto
tratto da Schnitzler alla quale sono seguite, negli anni ’90, Il
viaggio, La station thermale, allestita anche alla Scala, Les
oiseaux de passage e, nel 2003, Il letto della Storia (libretto
di Franco Marcoaldi e regia di Giorgio Barberio Corsetti), per
la quale Vacchi ha ricevuto il premio Franco Abbiati della
Critica Musicale Italiana alla miglior novità dell’anno.
Da sempre attento ai fermenti artistici e, più largamente,
culturali e sociali della contemporaneità, Fabio Vacchi ha
collaborato con alcune delle penne più interessanti del
secondo Novecento, da Tonino Guerra a Giuseppe Pontigia,
che negli anni ’90 hanno scritto per lui, fino alle più recenti
collaborazioni con Michele Serra e Franco Marcoaldi, autori
dei libretti di alcune opere dell’ultimo decennio.
Dal sodalizio con Marcoaldi sono nati anche Terra comune
(con cui Vacchi è stato chiamato da Luciano Berio a inaugurare l’auditorium Parco della Musica di Roma nel 2002) e Tre
Veglie (1998), commissionatogli dal Festival di Salisburgo.
Sempre a Salisburgo, nell’ambito delle celebrazioni mozartiane del 2006, la prima assoluta de La giusta armonia,
melologo per voce recitante e orchestra interpretato dai
Wiener Philharmoniker guidati da Riccardo Muti che, insieme
a Abbado, Berio, Chailly, Chung, Harding, Marriner, Mehta e
Pappano – per citarne alcuni – ha più volte diretto, negli anni,
musiche di Fabio Vacchi.
È accademico effettivo dell’Accademia Nazionale di Santa
Cecilia e membro onorario dell’Accademia Filarmonica di
Bologna.
compositorE
23
appunti su Dona nobis pacem di fabio vacchi
di Luca Marcossi
Se a un primo sguardo Dona nobis pacem (1994), doppio coro composto da Fabio Vacchi a
partire da tre soggetti della Missa “In illo tempore” di Monteverdi, potrebbe sembrare un
semplice pezzo “in stile”, a un’analisi più attenta risulta essere molto di più che un
divertissement.
L’opera originale di Monteverdi, la Missa da cappella a sei voci fatta sopra il motetto “In Illo
Tempore” del Gomberti è a sua volta un lavoro, per così dire, in stile. Monteverdi infatti la
scrisse nel 1610, mentre tentava di separarsi dalla corte del duca di Mantova, cercando di
dimostrare sua maestria contrappuntisica al papa Paolo V nella speranza di ricevere un incarico.
La messa infatti, diversamente dai coevi Vespri della Beata Vergine è scritta nello “stile antico”,
ritenuto all’epoca arcaico e conservatore, di Palestrina. Anche la scelta di comporre per 6 voci in
un periodo in cui 4 erano la norma (persino le composizioni dello stesso Palestrina venivano
ridotte) va interpretata in tal senso. Come modello per la messa il compositore mantovano
prende a prestito 10 soggetti dal motetto In illo Tempore di Nicolas Gombert
(ca. 1495 - ca. 1560) compositore fiammingo probabilmente allievo di Josquin Des Prez.
Lo stile è un’entità molto complessa che investe tutti i possibili parametri di organizzazione del
discorso musicale: basta alterarne uno per sfalsare l’effetto finale, soprattutto se il parametro
non è (apparentemente) secondario come potrebbe essere la forma o il fraseggio, bensì
lampante come l’armonia. In questo brano, se da un lato la vocalità rimane grosso modo quella
del modello di riferimento, non identificabile in un particolare compositore quanto piuttosto in
una concezione astratta della polifonia sacra del XV - XVI secolo (i Gabrieli, Josquin, Gombert,
Palestrina e Monteverdi) non è del tutto un caso che il brano sia stato composto a Venezia,
patria natia dei cori battenti. Dall’altro la componente armonica segna una grande distanza col
passato, il brano infatti pur muovendosi senza eccezioni su di un campo armonico diatonico (la
scala di do maggiore) è costruito in modo
tale da non avere nessun nesso (o quasi)
con l’armonia tonale/modale di base. In
un contesto rinascimentale o di primo
periodo barocco avremmo una serie di
linee le cui verticalità, private degli
arricchimenti melodici e armonici dei vari
abbellimenti, note di passaggio,
appoggiature e ritardi darebbero sempre
come risultato delle triadi o al massimo
degli accordi di settima: qui la somma
delle note tende sempre a dare la totalità
delle note della scala, senza privilegiarne
alcuna.
Ovviamente trattandosi di un campo
armonico diatonico, il grado di
dissonanza non potrà risultare aspro oltre
un certo grado, allo stesso modo la
consonanza non sarà mai pura. Non va
dimenticato come la consonanza sia una
categoria di definizione pertinente
all’acustica, non alla psicologia
dell’ascolto. Il fatto che il nostro orecchio
sia ormai abituato a considerare come
Corte interna
del conservatorio
di Bologna.
24
piacevoli e appaganti accordi molto complessi, per non
arrivare a esempi estremi come i vastissimi cluster cromatici
in pppp che impiega Ligeti in Atmosphéres (1961), non deve
trarci in inganno né permetterci di dichiararli consonanti (in
senso stretto).
La dissonanza secondo l’acustica non è altro che una
relazione tra due note poste in un rapporto complesso tra le
due frequenze. Un discorso diverso semmai deve essere fatto
sulla “dissonanza”, intendendo il termine dal punto di vista
strettamente musicale/compositivo.
Da questo punto di vista infatti, si tratta di una relazione tra
due note che fin dagli albori della musica polifonica ha
necessitato di chiare regolamentazioni sui modi e i luoghi in
cui veniva impiegata (preparazione/risoluzione; inizio/fine del
brano, cadenze). Inoltre è sempre stata un mezzo per definire
il gusto delle epoche che si sono susseguite, basti ricordare
quanti “scandali” risultano indissolubilmente legati alla
plateale rottura di queste convenzioni da parte di compositori
in evidente anticipo sui tempi, solo per citarne alcuni:
Beethoven, Prima Sinfonia (1800); Richard Wagner, Tristan
und Isolde (1856-59); Igor Stravinskij, Le Sacre du Printemps
(1913). La cosa più importante insita nel concetto di
dissonanza è la necessità di movimento insita implicitamente
nell’idea di instabilità, di situazione passeggera, che secondo
Vacchi è il punto focale della polifonia stessa.
Venendo a mancare qui un legame ritmico in relazione alla
dissonanza e vista la costante presenza delle sette note nel
tessuto polifonico troviamo più opportuno in questo contesto
parlare di “assonanza”, termine più rappresentativo di questa
piacevole convivenza tra le note del campo armonico.
Vacchi infatti concepisce l’insieme della trama
contrappuntistica come una sorta di cluster vibrante che
rende perfettamente l’idea di una trama molto fitta di linee
indipendenti in cui non c’è nessun ordine gerarchico tra di
esse né tantomeno tra le note del campo armonico. Questa
concezione armonica è comune a tutte le composizioni di
Vacchi, in cui, anche in presenza di campi armonici piuttosto
ristretti, vige sempre il criterio di presenza simultanea di tutte
le note del campo armonico e della mancanza di ordine
gerarchico tra di esse.
Dal punto di vista dell’ascolto, è chiaro come la mancanza di
punti di aggregazione armonica di riferimento o comunque
riconoscibili dall’ascoltatore tenda a focalizzare l’ascolto
esclusivamente sulla dimensione orizzontale, melodica,
portando la dimensione verticale a essere avvertita come una
sovrapposizione più o meno densa di strati rendendo le linee
il più possibile prive di relazione tra di loro. Per enfatizzare
ulteriormente questo effetto, Vacchi compone le linee in
contrappunto ai soggetti farcendole di spunti imitativi così da
annullare la preminenza del profilo melodico del soggetto,
che finisce così per confondersi tra i suoi simili, “un uomo tra
altri uomini”.
Per questo motivo e per gli altri precedentemente elencati è
la melodia stessa a essere polifonica, acquisisce senso
musicale in relazione alle sue controparti, è un “canto
corale” nel vero senso della parola.
Passando ad analizzare la forma del brano,
sì noterà come allo stesso modo essa venga percepita
come un susseguirsi di blocchi contrappuntistici dotati
di una propria fisionomia, dipendente dal modo
in cui sono costruiti quelli che il compositore bolognese
chiama “temi reticolari”.
La totalità di questo brano è costruita utilizzando fino in
fondo tutte le possibilità combinatorie di queste strutture
semplici e complesse al tempo stesso. In breve, si tratta di
vere e proprie griglie di breve durata, solitamente di 1-2
battute, composte di una sovrapposizione verticale di un
numero solitamente elevato di cellule (almeno 4, in questo
brano invece sono sempre 8) che possono essere disposte in
qualsiasi ordine, sempre rispettando le verticalità stabilite
dalle colonne. La forza costruttiva di questo sistema sta nella
propria “giocosa” qualità di permettere la costruzione di linee
orizzontali con grande libertà, semplicemente accostando le
cellule l’una all’altra e sovrapponendovi altre linee costruite
similmente (che devono comunque rispettare le verticalità dei
temi). Ulteriore mobilità viene data dalla possibilità di
trasporre l’intera griglia sia cromaticamente che
diatonicamente, stratagemma quest’ultimo largamente
utilizzato nella prima parte del brano (pagg. 1-6), in cui
vediamo costantemente alternarsi una griglia per il soggetto e
un’altra per la risposta, con lievi differenze nel profilo
intervallare che mirano a imitare il principio della “mutazione”
della risposta. È altresì possibile inserire veri e propri temi
all’interno della griglia, sempre a condizione che i frammenti
di cui sono composti siano tra loro in contrappunto rivoltabile.
Siamo quindi in un’ottica compositiva che pone sullo stesso
piano armonia e melodia, verticale e orizzontale.
Guardando il brano da lontano, si noterà come esso presenti
una serie di esposizioni dei blocchi contrappuntistici costruiti
sui frammenti monteverdiani senza che essi entrino mai in
relazione l’uno con l’altro, ma il fatto che contengano notevoli
elementi di somiglianza li fa risultare all’ascolto quasi come
delle variazioni, delle metamorfosi di un’idea comune. I tre
soggetti utilizzati da Vacchi sono piuttosto simili dal punto di
vista melodico:
Ma da come si evince guardando i modelli astratti delle
griglie tematiche, è la forma di quest’ultime a sancire in
ultima analisi il risultato fonico.
compositorE
25
brano di Vacchi il numero delle parti in gioco è
sottoposto a costante variazione; guardiamo nel
dettaglio le prime 40 battute:
Il finale del brano differisce sostanzialmente dal resto
per quel che riguarda l’utilizzo del tema reticolare.
Utilizzando un procedimento molto frequente nella
musica rinascimentale e barocca, Vacchi sottopone il
terzo soggetto a un costante aggravamento, arrivando
a quadruplicarne la durata, limitandosi nel finale a
utilizzare le ultime due note (della durata di 4/2
ciascuna, alle battute 147-170). A questo progressivo
rallentamento della parte principale corrisponde una
costante variazione delle altre parti melodiche che
risultano, con l’avvicinarsi del finale, sempre più
fiorite e perciò sempre più fuse l’una nell’altra,
creando così un effetto di grande crescendo di
tensione che culmina nel ff di battuta 163, dopo il
quale un diminuendo ci porta fino al pp di battuta
170 (senza però diminuire nel numero delle parti), sul
quale si innestano i 4 accordi delle ultime battute, i
quali creano un forte senso di chiusura sia per
l’arresto del movimento ritmico/melodico sia per
l’effetto cadenzale ottenuto passando dalle sette note
del primo accordo alle sei dell’ultimo (manca il fa)
passando per disposizioni accordali progressivamente
meno dissonanti e di registro più ristretto.
Semplicemente considerandone la lunghezza, si
noterà come il primo soggetto non potrà che risultare
più frammentato degli altri, anche per la mancanza,
nell’effettiva realizzazione della griglia, di una
versione univoca nella successione orizzontale delle
cellule. Confrontiamo ad esempio con il tema del
“divertimento” alle battute 105-120, una lunga frase
di 8 battute sottoposta a un canone alla terza
discendente sviluppato in maniera rigorosa.
Nonostante il carattere molto articolato del tema in
questione, non potrà che risultare molto più lineare.
La varietà del brano, oltre che dalle differenze tra i
soggetti e il modo in cui sono trattati, è assicurata
dalla presenza non costante di passi a 8 voci,
diversamente dall’opera di Monteverdi in cui le 6 voci
(7 nel finale) cantano quasi senza interruzione. Nel
26
analisi di memoria italiana di fabio vacchi
di Luca Marcossi
MAGGIO DELLE RAGAZZE
Quasi a stabilire un ponte con il
precedente Dona nobis pacem (1994)
per doppio coro, ci troviamo qui di
fronte a un brano che presenta
fortissime affinità con la polifonia
rinascimentale di scuola fiamminga
(Des Prez) o romana (Palestrina). Il
compositore, lungi dal negare queste
parentele, guarda a esse con una certa
ironia affermando che, in sostanza, le
tecniche da lui utilizzate non
differiscono sostanzialmente da quelle
dei compositori cinquecenteschi.
Sempre in questo spirito la vocalità qui
utilizzata è decisamente più classica,
lineare rispetto agli altri brani, questo
anche perché la melodia originale,
proveniente dagli Appennini toscoemiliani, è in lingua aulica, cioè in
italiano. Nel dettaglio il brano non è
altro che un canone isoritmico (o
mensurale) sviluppato rigorosamente,
salvo alcune eccezioni riguardanti le
pause tra una frase e l’altra o tra le
ripetizioni delle strofe. Il tema non
subisce modificazione alcuna riguardo
agli intervalli né tantomeno viene
sottoposto a procedimenti
contrappuntistici quali inversione o
retrogrado, le voci si limitano a scorrere
l’una sull’altra “misurando” il tempo in
maniera diversa, annullando così la
propulsione ritmica e il ritmo ternario
della melodia originale. Di conseguenza
alla figura ritmica di base (semiminima,
semiminima puntata, minima o minima
puntata), il piede diviene quindi di ½
battuta, ¾ di battuta, 1 battuta o 1
battuta e ½. La melodia è in modo
dorico, cantata sulla scala di sol da
baritono e controtenore e su quella di
do dai due tenori (parti interne). Le
quattro entrate del canone seguono
l’alternanza “dominante-tonica” e sono
pensate di modo che la nuova voce si
innesti sempre su di un unisono della
precedente, partendo dai valori più lenti
affidati alle voci più gravi per arrivare a
quelli più veloci affidati alle voci più
acute.
Le voci si muovono sempre all’interno
della stessa modalità, ripetendo
ciascuna il tema e variandone
solamente il valore ritmico di base (vedi
es.) Va notato come le due voci
superiori, più scorrevoli, ripetano la
melodia quattro volte (l’ultima volta
ripetendo il testo della prima strofa)
mentre le voci più gravi solo tre volte, il
tutto perché il tema aggravato alla
minima puntata compare solo al
secondo tenore e al baritono.
anche nella seconda parte del brano
(batt. 27 ca. - 58) ma viene invertito
nelle due coppie delle voci superiori e
inferiori;
– le quattro velocità sono sempre
presenti e non ci sono mai due voci con
lo stesso aggravamento, tranne che alle
battute 41-45 in cui controtenore e
baritono procedono con lo stesso ritmo.
Si tratta quindi della parte più lenta
dell’intero brano, venendo qui a
mancare il tema “alla semiminima”.
La presenza del tema “alla semiminima”
risulta essere il maggiore punto di
interesse per la comprensione del brano
principalmente grazie alla sua velocità,
Dato il carattere chiaro della forma del
brano, questo modello costituisce
qualcosa di più di un semplice schema
riassuntivo, basta confrontarlo con la
partitura per realizzare come di fatto
esso contenga, in forma sintetica e pur
mancante di molti dettagli alquanto
vitali, una gran parte delle informazioni
necessarie per costruire il pezzo; inoltre
ci permette di guardare alla forma da
una distanza tale da cogliere alcune
simmetrie:
– il tema aggravato alla minima puntata
è presente solamente due volte;
– il tema “alla semiminima” è presente
una volta sola per ogni voce, a
differenza della versione alla
semiminima puntata, presente due volte
sia al controtenore che al tenore primo;
– al fine di mantenere costanti gli
intrecci armonici durante il brano,
l’ordine delle mensurazioni è identico
che lo rende molto più evidente rispetto
agli altri, rendendo molto più chiaro sia
il ritmo originale della melodia sia il
testo. Oltre a ciò, la sua presenza in
punti strategici sia del tessuto musicale
che della forma contribuisce a rendere
vivo il brano, ad esempio si può notare
come sia presente al controtenore
soltanto a battuta 32, poco dopo l’inizio
della seconda parte del brano, mentre
la volta successiva è a battuta 46,
esposto dal baritono, il quale intona la
seconda frase all’ottava inferiore (batt.
50) rispetto a come la rendono le altre
voci (che sfruttano il picco acuto sul
sesto grado maggiore per dare
lucentezza alla linea melodica) dando
una netta sensazione di chiusura a
battuta 54, sulla quale il controtenore e
tenore primo sembrano adagiarsi
lasciando esaurire i propri versi nella
coda finale.
compositorE
27
maggiore o minore. Non c’è alcun criterio nella sequenza
delle triadi se non la sua stessa assenza o quello di
non-ripetizione, o entrambi. Si noti infatti come in presenza di
due note ripetute a breve distanza esse vengano armonizzate
sia con delle triadi diverse (battuta 5, melodia: la - si - la - si
armonizzata con re min - si magg – fa magg - sim) sia con la
medesima triade ripetuta (subito dopo a battuta 6, dove i la
della melodia sono sempre armonizzati con re minore).
Un’ulteriore costante nel brano è la presenza, nelle cadenze
alla fine delle frasi, del medesimo tipo di accordo (seconda
maggiore, quarta giusta, quinta giusta) che, essendo
nettamente più consonante degli accordi precedente, ha una
funzione assimilabile a quella della tonica.
SURFARARA
Brano a carattere rapsodico, ritmicamente molto libero
(l’unico brano della raccolta a non avere battute vere e
proprie), che lascia ampio sfogo alle qualità liriche del
controtenore, qui praticamente in veste di solista.
Come nel brano precedente, la melodia viene esposta più
volte con differenti abbellimenti e fioriture mantenendo salda
una struttura di base, un modello originale che non ci è dato
conoscere (si può comunque provare a dedurlo a partire dal
semplice dato acustico, vedi es). La melodia qui presentata
infatti è una trascrizione il più fedele possibile dalla
registrazione di Alan Lomax di questo canto di solfatara
proveniente dalla Sicilia.
ALLA CAMPAGNOLA
In netto contrasto con il precedente, in questo brano la
polifonia è quasi assente. La melodia infatti viene esposta tre
volte, ogni volta con un’intonazione leggermente diversa sia
dal punto di vista del ritmo che da quello dell’utilizzo degli
abbellimenti. Lo stile vocale è tendenzialmente sillabico ed
omoritmico, con saltuari melismi, mentre il testo è sempre
cantato contemporaneamente dalle quattro voci,
assicurandone la piena comprensibilità. La linea melodica
principale è in tono di re maggiore e consta di due frasi
principali, la prima con movimento dalla tonica alla
dominante, la seconda dalla dominante alla tonica, con
un’ulteriore cadenza discendente al settimo grado naturale. Il
carattere tonale della melodia viene costantemente
contraddetto e arricchito dalle altre tre voci: il baritono segue
un movimento grosso modo cromatico-ascendente, che evita
sistematicamente ogni rapporto di unisono o di ottava con le
parti superiori a partire da un rapporto di quarta con la
melodia per chiudere con un rapporto di quinta, mentre le
parti interne seguono due logiche distinte sottese alla loro
costruzione, nessuna delle quali avente niente a che fare con
delle scale. La prima implica un’imitazione per moto retto
della parte superiore, la seconda richiede che la somma delle
tre parti superiori concorra sempre a formare una triade
La scala utilizzata è grosso modo quella di fa minore
melodica, vista la tendenza a salire utilizzando il mi naturale
e a scendere con il mi bemolle. Bisogna notare però come le
due note principali della scala siano do e sol, e come il re
manchi completamente durante il movimento ascendente.
Le altre tre voci sostengono la melodia con accordi-pedali
sulla vocale del solista, i quali divengono via via più
complessi man mano che il brano prosegue. Si notino, sempre
nelle voci inferiori, le frequenti oscillazioni cromatiche che
deviano dalla scala della melodia principale, il cui valore
sembra essere più timbrico che armonico, quasi come se
fossero delle deviazioni di intonazione su di un accordo
statico, per arricchirne il colore.
IL GLICINE
Il brano comincia con il richiamo dei pescatori di pesce spada
di Messina (da confrontare con la parte centrale dell’ultimo
brano, incentrata sulla medesima melodia), intonato prima dal
tenore e poi ripetuto in eco dal baritono. È improprio definire
28
ripetizioni queste due frasi, si tratta
piuttosto di due diverse realizzazioni
dello stesso modello di base: un
glissando cromatico molto graduale tra
due note a distanza di semitono, le
quali vengono reiterate più volte
sempre con diversi abbellimenti (anche
qui un termine improprio, si tratta
piuttosto di modi di intonazione diversi,
colpi di glottide, sforzati, minimi
glissandi di semitono sul battere,
oppure note volutamente “stonate” a
fini espressivi) il tutto insieme a un
diminuendo molto marcato che porta la
melodia dal forte iniziale al pianissimo
finale.
Le prime due frasi rappresentano il
materiale di base su cui si sviluppa il
brano: le cellule dell’urlo di richiamo
vengono infatti frammentate e disposte
su quattro voci secondo la tecnica
spesso usata da Vacchi del tema
reticolare (vedi articolo su Dona nobis
pacem): si tratta, in breve, di una
griglia piuttosto breve (qui è formata di
3 battute di 2/4) a 4 voci, la cui
disposizione verticale può essere
liberamente variata a seconda delle
necessità melodiche.
mentre il registro scende gradualmente
di un’ottava con le stesse modalità
della melodia di riferimento, questo
perché tutte le linee di questo fittissimo
contrappunto sono costruite in maniera
non dissimile da quella del canto. Si
tratta quindi per tutte le voci di un
ostinato reiterare la stessa nota,
sempre con diversi attacchi, scendendo
gradualmente di semitono fino alla fine
del brano.
L’affinità di questo brano con l’ultimo
della raccolta (la cartomante) non è
rappresentata soltanto dalla presenza
del canto di pescatori, ma anche
dall’utilizzo di un testo letterario (in
entrambi i casi di Franco Marcoaldi) in
opposizione ai testi di tradizione
popolare degli altri quattro brani.
Il procedere dell’intero brano rispecchia
su larga scala la forma della melodia
principale. La seconda parte del brano
inizia (batt. 11) in fortissimo per
terminare a battuta 29 in pianissimo
mediante un criterio compositivo in
“negativo”. A partire da questo
materiale di base infatti, paragonabile a
un blocco di marmo, il brano acquista
vitalità espressiva mediante una serie
di sottrazioni/estrazioni che ne lasciano
trasparire solo le parti funzionali allo
svolgimento musicale, dando forma a
un materiale altrimenti inerte. Allo
stesso procedimento viene sottoposto
anche il testo, presente sotto forma di
frammenti sparsi in tutte le voci, i quali
seguono però l’ordine del testo
U PISARI
Quello che all’apparenza sembrerebbe
essere un brano in stile imitativo, quasi
un’invenzione a quattro voci, in cui le
parti in gioco si rincorrono presentando
varianti della stessa melodia (un canto
cosiddetto di sdegno proveniente dalla
Sicilia), è in realtà una complessa
costruzione isoritmica. Il tema originale,
presente oltre che nella sua forma
originale (la prima a comparire, al
controtenore) nella sua forma inversa,
retrogradata e nel retrogrado
dell’inversione, viene anche sottoposto
ad aggravamenti, il tutto per generare
un tessuto molto denso la cui natura
statica viene evitata dal compositore
originale. Il brano termina con una
breve codetta sull’ultimo verso del testo
(battute 128-132), qui pronunciato in
omoritmia dalle 4 voci in un movimento
discendente a imitazione della prima
frase della melodia, la frase è costruita
su delle armonie veloci che donano una
carattere sfuggente e mutevole a
quest’ultima parte.
LA CARTOMANTE
Il brano consta di tre sezioni (A - B - A’)
più una breve coda conclusiva. Tratto
comune è la costante presenza della
linea melodica principale al
controtenore, sostenuta in modo
sempre diverso dal terzetto (baritono e
due tenori) con triadi veloci. Nonostante
il parziale raddoppio, la voce si staglia
sempre a causa del registro più acuto,
la dinamica più forte e la presenza di
un ritmo ternario molto netto, di
andamento popolare.
Il brano è caratterizzato da una
scrittura all’apparenza molto densa a 4
parti, in cui la voce superiore, affidata
al controtenore, presenta una linea
melodica in netto contrasto
(principalmente ritmico) con le parti
sottostanti, i cui frammenti melodici
sono sempre presenti, un’ottava sotto,
nel brusio materico delle altre tre voci.
Queste ultime invece offrono un
movimento magmatico di linee
cromatiche molto legate tra loro ma in
cui permane la necessità per l’autore di
rendere il testo intelligibile, vista la
costante sincronia nel cambio delle
sillabe, che avviene sempre sul battere
della battuta.
Il testo della parte di
“accompagnamento” (nonostante
la complessità della scrittura)
rappresenta una selezione del testo di
Marcoaldi, quasi a voler sottolineare
alcune parti della versione integrale,
cantata dal solista.
Molto delicato l’equilibrio consonanzadissonanza, perché se da un lato
guardando l’orizzontalità delle linee si
evince una texture che potrebbe
ricordare per certi versi la
micropolifonia ligetiana, dall’altro si può
notare come le verticalità sulle
semicrome risultino sempre essere delle
compositorE
29
triadi che, data l’elevata velocità, non possono essere
avvertite singolarmente ma il cui colore permane sotto forma
di timbro. La bellezza e forza del passo in questione risiede
comunque nel suo essere ambiguo, sempre in bilico tra
rumore e polifonia, nel suo essere al tempo stesso una cosa e
l’altra e nessuna delle due. L’effetto quasi descrittivo, come di
onde e di fruscii ottenuto dall’applicazione di questa scrittura
ad armonia veloce applicata alle voci si trova in sintonia sia
con il testo sia con la tipologia vocale del solista, che anche
qui presenta forti affinità con la musica popolare.
Le prime due frasi vengono ritornellate, necessità molto forte
in rapporto alla velocità del brano (le prime 16 battute che
formano la prima frase durano appena 8”). L’andamento
cromatico della parte superiore si fonde sempre con una delle
parti inferiori raddoppiandola all’ottava superiore. Sebbene il
ritmo risulti sempre diverso con una conseguente divergenza
di carattere, questa presenza costante delle stesse note dona
indubbiamente una forte coerenza all’intero passo. Dato
l’andamento privo di salti delle voci inferiori per gran parte
del brano, ogni qual volta la melodia superiore compie un
salto (almeno di terza minore) lo fa appoggiandosi sulle note
di una delle altre due voci sottostanti, procedimento molto
evidente alle battute 36-42.
Le selezioni dei versi esposte all’inizio al ritmo di una sillaba
per battuta sono qui reiterate ossessivamente al ritmo di una
sillaba per ogni sedicesimo (quattro volte più veloce) creando
così l’illusione acustica che adesso sia l’accompagnamento a
essere più veloce della parte melodica.
Nella coda finale (batt. 167 - fine del brano) si possono notare
alcune raffinatezze di scrittura.
Nell’accompagnamento viene abbandonata la sincronia del
testo che diventa così puro materiale fonico, la cui
comprensione non è più un vincolo per la composizione.
I sei micro-versi estratti dalla poesia di Marcoaldi vengono
sovrapposti a se stessi e divisi in due gruppi in base al senso
(marinaio - belladonna - impiccato e d’adulterio - accusata condannata). Da notare inoltre come i tre micro-versi siano
sempre presenti in tutte e tre le voci e, per aggiungere un
ulteriore elemento di variazione, le singole parole non siano
mai ripetute dalla stessa voce seguendo un semplice sistema
combinatorio ad alternanza.
La melodia della voce, similmente a quanto accaduto
prima, si appoggia “armonicamente” sulle note di una
delle tre voci sottostanti di battuta in battuta, questa volta
invertendone l’ordine, aggiungendo un ulteriore elemento
di dissonanza.
La parte centrale risulta essere più distesa rispetto alle parti
estreme per una serie di fattori tra cui:
– il progressivo aggravarsi dei valori ritmici sia della voce
principale1 che dell’accompagnamento;
– il diminuendo generale che ci porta dal precedente mf a un
generale pianissimo punteggiato a tratti da singole battute in mf;
– la dilatazione dei tempi di pronuncia delle parole con il
conseguente ammorbidimento del ritmo, una volta venuto a
mancare il considerevole apporto timbrico dato dalle consonanti.
Questo processo distensivo risulta essere tanto più efficace in
rapporto con la ripresa seguente, sensibilmente più breve (le
due frasi melodiche vengono eseguite solo una volta e senza
soluzione di continuità), mentre l’accompagnamento subisce
una trasformazione tanto semplice quanto efficace, pur
rimanendo intatta la struttura sia armonica che ritmica, alle
note tenute della prima sezione si sostituiscono qui dei
sedicesimi ribattuti, dando una sensazione di velocità
nettamente superiore a quella dell’inizio.
Come per la parte mediana, i transitori d’attacco delle
consonanti hanno anche qui un’importanza fondamentale.
L’ultima codetta (batt. 188-191) interrompe bruscamente il
processo di frammentazione delle battute precedenti
troncando la melodia prima che si completi la parola
“condannata” su di un vocalizzo ascendente-discendente sulla
parola “marinaio”, sulla quale per un attimo il gioco di triadi
concatenate per false relazioni diventa trasparente lasciando
emergere finalmente il campo armonico sottostante, in modo
non dissimile dall’effetto che si ha guardando una girandola
che, mentre rallenta, lascia intravvedere i colori dell’iride con i
quali è dipinta. Il campo armonico in questione, molto caro al
compositore bolognese, elemento portante di molti lavori
quali Dai Calanchi di Sabbiuno (1995) o Notturno Concertante
(1994) è presente implicitamente in tutto il brano per via del
modo in cui le triadi veloci sono concatenate tra di loro.
30
Come si può facilmente notare, il
movimento per triadi veloci scorre
internamente a tutto il brano e risulta
essere costruito come una progressione
infinita. Ora, secondo i dettami della
psicologia dell’ascolto, un brano basato
unicamente su di una sola progressione
dovrebbe essere di una noia mortale,
ma cosa accade dunque in questa sede
tale da ovviare a questo effetto?
Ogni progressione è per sua stessa
definizione “statica”, è portatrice
dunque di elementi che già a un primo,
superficiale ascolto la rendono
prevedibile, stabile, avente quindi in un
contesto tonale una funzione distensiva
nell’ambito del discorso musicale,
sempre a causa di quell’univoca
direzione.
Venendo a mancare un contesto in cui
la progressione costituisca una
sospensione, un’eccezione all’insieme di
convenzioni costituenti il discorso
musicale, essa finisce col diventarne
fondamento stesso. Più chiaramente, in
un sistema tonale quella che possiamo
provare a chiamare “norma” è, dal
punto di vista armonico, una sequenza
di fondamentali (intese come funzioni)
in cui statisticamente sono presenti una
certa alternanza tra tonica, dominante e
sottodominante, schematizzabile grosso
modo come una linea zigzagante dove
in verticale vediamo disposte le regioni
tonali2 e in orizzontale lo scorrere del
tempo musicale. Una progressione
invece è più simile a un andamento
rettilineo, più o meno inclinato rispetto
all’ “asse” della tonalità di impianto ed
è tanto più chiaramente percepibile se
le altre parti del discorso assecondano
quest’andamento.
Nel brano di Vacchi invece, venendo a
mancare il punto di riferimento, la linea
della progressione, per quanto potesse
risultare inclinata, in queste circostanze
risulterà invariabilmente equiparata a
una linea orizzontale, come se fosse
statica, si innalza quindi a norma essa
stessa e assume una funzione simile a
quella di tonica, di punto di riferimento.
In un contesto in cui non esistono
singoli accordi percepibili come tali, la
percezione del fenomeno sonoro si
ritrova obbligata a orientare
nuovamente i propri parametri su di un
criterio più ampio, arrivando a percepire
un’intera progressione come un’univoca
entità armonica.
1. Qui assume il carattere di richiamo/segnale,
insistendo su di un gruppo ristretto di altezze
collegate tra loro da glissandi cromatici
discendenti, un altro riferimento esplicito ai
canti dei pescatori di pesce spada che
abbiamo già sentito nel quarto brano.
2. Ovviamente in base al periodo storico
questo grafico prenderà forma diversa in
funzione della porzione di brano presa in
esame, considerando l’armonia all’interno delle
frasi oppure di sezioni intere.
compositorE
31
Composizioni di Fabio Vacchi
Opere liriche in cui appare il coro
Il Viaggio (1990), opera in 2 atti, libretto di Tonino
Guerra (commissione del Teatro Comunale di
Bologna)
La madre del mostro (2007), libretto di Michele Serra
(commissione dell’Accademia Musicale Chigiana)
Teneke (2007), opera in tre atti, libretto di Franco
Marcoaldi su soggetto di Yashar Kemal
(commissione del Teatro alla Scala di Milano)
Musiche corali
Ecce Sacerdos, Sacerdos Dei beati Petroni (1990), per
doppio coro (commissione per i 600 anni della
Basilica di San Petronio a Bologna)
Dona nobis pacem (1994), per doppio coro su tre
soggetti di Claudio Monteverdi dalla Missa in
illo tempore
Sacer sanctus (1997), cantata per coro misto ed
ensemble, testo di Giuseppe Pontiggia
Terra comune (2002) per coro e orchestra, testo di
Franco Marcoaldi (commissione dell’Accademia
Nazionale di Santa Cecilia in occasione
dell’inaugurazione dell’Auditorium Parco della
Musica di Roma)
Memoria italiana (2003) per quattro voci, testi di
Franco Marcoaldi (commissione del Festival delle
Nazioni di Città di Castello)
Voce d’altra voce (2005) per due voci recitanti, coro e
orchestra su frammento del Cantico dei Cantici
tradotto in arabo, ebraico e friulano
(commissione del Mittelfest di Cividale del Friuli)
Musiche vocali
Ballade (1978) per soprano e orchestra da camera,
testo di William Butler Yeats
Continuo (1979) per soprano e strumenti, testo di
Dino Campana
Scherzo (1979) per soprano e orchestra da camera,
testo di Tonino Guerra
Arietta Pensiero non darti (1980) per flauto e soprano
o anche per flauto solo dall’opera Girotondo
Grande Aria A guardar (1981) per soprano e strumenti
dall’opera Girotondo
Trois visions de Geneviève (1981) per 11 archi solisti
con una voce bianca
Mignon (über die Sehnsucht) (1995) per canto e
pianoforte, testo di Johann Wolfgang Goethe
Briefe Büchners (1996), sei lieder per baritono,
clarinetto basso e pianoforte su frammenti dalle
lettere di Georg Büchner (commissione di
Claudio Abbado e delle Berliner Festwochen)
Io vorrei, superato ogni tremore (1998) per soprano
ed ensemble, testo di Alda Merini (commissione
del festival Milano Musica)
Die neugeborne Ros’entzückt (1998) per soprano e
orchestra
Tre veglie (1999) per mezzosoprano, violoncello e
orchestra, testo di Franco Marcoaldi
(commissione del Festival di Salisburgo)
La prima figura da sinistra (2000) per voce e
clarinetto basso
Io vorrei, superato ogni tremore (1998) per soprano
ed ensemble, testo di Alda Merini (commissione
del festival Milano Musica)
Die neugeborne Ros’entzückt (1998) per soprano e
orchestra
Tre veglie (1999) per mezzosoprano, violoncello e
orchestra, testo di Franco Marcoaldi
(commissione del Festival di Salisburgo)
La prima figura da sinistra (2000) per voce e
clarinetto basso
Canti di Benjaminovo (2003) per voce e quintetto
d’archi, testi di Franco Marcoaldi (commissione
del Boston Musica Viva Ensemble)
Cjante (2004) per soprano e orchestra su frammento
del Cantico dei Cantici tradotto in friulano
(commissione del Mittelfest di Cividale del Friuli)
Irini, Esselam, Shalom (2004) per voce, violino
concertante e orchestra, testi a cura di Moni
Ovadia (commissione dell’Orchestra Sinfonica di
Milano G. Verdi)
Noc’ (2004) per soprano e pianoforte, testo di
Aleksandr Pus̆kin
Mi chiamo Roberta (2006) per violino, violoncello,
percussioni, pianoforte e due voci recitanti, testi
di Aldo Nove (commissione e coproduzione del
Mittelfest di Cividale del Friuli)
La giusta armonia (2006) per voce recitante e
orchestra, testo di Franz Heinrich Ziegenhagen
(commissione del Festival di Salisburgo)
Parla Persefone (2009) per clarinetto e clarinetto
basso, violino, pianoforte, due voci recitanti e
live electronics, testo di Aldo Nove
(commissione della Fondazione Arnaldo
Pomodoro)
Prospero, o dell’armonia (2009), melologo da La
tempesta di William Shakespeare per voce
recitante e orchestra (commissione della
Filarmonica della Scala)
comporre in
perfetta libertà
comp
La musica di Dalla Vecchia attraverso
due mottetti per coro misto
di Alessandro Kirschner
è esperienza comune il provare un senso di
smarrimento e di profonda meraviglia quando
si ascolta un testo ben noto, magari recitato
mille volte, ma ora vestito di musica.
Comincia allora un’avventura emozionale che
può trasformare una parola, un pensiero, in
un volo purissimo o, al contrario, un semplice
verso in un abisso di solitudine. è il potere
della musica, quello di andare al cuore delle
emozioni rendendole finalmente manifeste.
Quando poi il compositore è un uomo di
grande talento, di infinita creatività e di
profonda fede come Wolfango Dalla Vecchia,
il risultato che si ottiene può essere una sorta
nova et vetera
di icona sonora, un’immagine che racchiude in sé la doppia
percezione spazio-temporale, specchio del mistero divino.
Nella vasta produzione di Dalla Vecchia non è raro incontrare
brani per coro, scritti per ogni tipo di organico e di assai
diversa difficoltà esecutiva,1 spaziando da composizioni
destinate alla liturgia a quelle concertistiche. Tuttavia in
questo vasto corpus difficilmente si possono trovare chiari
elementi comuni tra un brano e l’altro. Come racconta il
compositore stesso, ogni brano inizia a prendere forma da
una intuizione e poi, dopo una fase intensa di progettazione,
«si inventa un oggetto musicale diverso da tutti i precedenti
operando in perfetta libertà».2 Ecco perché la sua musica, da
qualunque punto di vista la si prenda, ci stupisce sempre per
la vivezza e l’autenticità della radice creativa, creando
continuamente nuovi ponti tra il passato e il presente
(dall’uso di arcaicismi, come clausole dell’Ars nova, alla
musica elettronica), architettati da una grande conoscenza del
fatto storico ed estetico. «Sono un uomo che ama il presente
senza bisogno di odiare il passato: detesto tutto ciò che si
picca di nascere dal nulla e un’arte déraciné dal passato mi
sembra come una signora che, desiderando rammodernare la
propria casa, si crede obbligata a buttare dalla finestra i
mobili antichi. Inevitabile pertanto che, pensando così, finisca
per essere classificato un eclettico e come tale guardato con
sospetto dagli addetti ai lavori».
Così nel 1994 in un programma di sala si autodefiniva il
compositore padovano, forte di un’integrità intellettuale che
gli consentì, tenendo coscientemente le distanze dalle coeve
avanguardie europee, di percorrere itinerari personalissimi
collocandosi al di là di ogni moda e ideologia. Riallacciandosi
in questo all’esperienza strawinskiana, Dalla Vecchia optò per
un cosciente eclettismo esplorando sin dagli esordi uno
spettro vastissimo di soluzioni linguistiche.
È dunque possibile tentare di descrivere l’opera corale di
Wolfango Dalla Vecchia partendo da due «oggetti sonori
diversi da tutti gli altri, nati in perfetta libertà»? Ci proveremo,
sicuri che la bellezza di questi due piccoli mottetti possa far
nascere curiosità verso il resto della sua produzione.
33
tuo seno, il dolce Figlio,
Tu sai Madonna, lo smarrimento, / il vuoto senza fine / del
nostro cuore,
Tu che fosti l’Attesa / nella notte perduta senza Cielo,
Tu che ogni lacrima / ogni nostro tormento
puoi mutare in preghiera al tuo Gesù,
Madre della Vita / Madre nostra Maria,
Prega per noi / prega per noi / prega per noi.
Amen
Il testo qui riportato rispetta già la suddivisione episodica
scelta dal compositore. La partitura si presenta con una
scrittura senza battute, esistono tuttavia delle stanghette
tratteggiate che delimitano un ambito di frase più o meno
lungo e il relativo contesto armonico.
Come nella lauda antica, l’andamento musicale è in stretta
connessione con le sillabe del testo, anzi per la maggior parte
dei casi le singole armonie si identificano con le parole
stesse. Il melos asseconda la carica emotiva della parola
apparentemente annullando la sua autonomia strutturale. In
realtà i vertici della melodia, posti su parole particolarmente
significative quali “amore”, “lacrima”, “Maria”, vanno a
delineare un contorno melodico d’ampio respiro, segno di una
struttura musicale autonoma e coerente che può esistere
persino indipendentemente dal testo.3
L’indicazione di andamento (Largo, con libertà) seguita dal
simbolo del tempo suggerisce, in ogni caso, una pulsazione in
semiminime che va a determinare il ritmo iniziale di quasi
tutti gli episodi: l’ictus anacrusico, o meglio ancora acefalo
che, con la sua pausa iniziale, suggerisce l’attesa e lo
smarrimento invocato dal testo. Solamente verso il termine
del brano, nel punto che corrisponde al vertice dinamico, la
parola “Madre” viene gestita con un ritmo tetico: una sorta di
scioglimento della tensione accumulata dall’inizio del brano.
porre
Lauda alla Madonna fu scritta nel 1973 inizialmente per
soprano e organo e venne successivamente trascritta nel 1980
per coro misto a quattro voci. Non ci fu una vera e propria
committenza: il brano nasce semplicemente per il desiderio di
mettere in musica una poesia di una poetessa padovana,
Evelina Bazzarello, che il compositore aveva conosciuto
direttamente. Il testo è quello che potrebbe nascere da uno di
quei rari momenti di grazia in cui, per un attimo, tutto sembra
chiaro e finalmente salvifico. Lauda alla Madonna è
un’accorata preghiera a Maria pregna di fervore mistico:
Ave Maria
Tu che detergi / divinamente Madre il nostro pianto
se confidiamo in Te, / Tu luce della luce che sconfina
al di là del Calvario, / al di là della notte…
Tu che porgi, ostensorio d’amore / e di dolore, il frutto del
Dal punto di vista armonico, il brano pur non avendo
un’armatura in chiave, si presenta come gravitante a una
modalità di mi eolio (scala minore naturale), conservato per i
primi otto versi e riconfermato alla fine. A partire dalla parte
centrale del brano si assiste a una progressiva acquisizione di
34
Note
1. Nel presentare una sua nuova
opera per coro così Dalla Vecchia
stesso descrive il proprio
particolare rapporto verso la
musica corale di ispirazione sacra:
«Sono stato per molti anni
organista all’Iglesia Nacional
Argentina di Roma e
successivamente nella Chiesa di
san Nicolò di Padova, dirigendo i
cori che vi prestavano servizio
liturgico. Per il coro romano ho
scritto negli anni 1948-50, (...) pezzi
impegnativi sia dal lato compositivo
che esecutivo, scritti quando la
musica sacra doveva essere
eseguita dal coro per l’edificazione
e la gioia spirituale di un’assemblea
che si raccoglieva in ascolto. A
Padova il coro era inizialmente più
modesto e i tempi erano quelli,
molto diversi, del Vaticano II. Mons.
Luigi Sola, il parroco (...)
incoraggiava in tutti i modi me e il
piccolo coro parrocchiale alla
creazione e alla esecuzione di
nuova musiche nello spirito degli
indirizzi conciliari.
Ho sempre voluto “tentare la
materia” artistica per verificare in
quali modi si potessero esprimere
gli immutabili sentimenti religiosi
della cristianità. (...) Rimango
meravigliato per la grande varietà
di stili che vi ho usato: fatto questo
voluto in parte alla volontà di
portare il coro alla capacità di
eseguire musiche sempre più
evolute e magari ardue, ma in parte
anche al desiderio di “rifare il
verso” agli autori del passato,
rievocandone le immortali
suggestioni.
Un modo per arrivare a qualsiasi
tipo di assemblea, di ascoltatore e
di esecutore; ma soprattutto il
bisogno di esprimere in tanti modi
diversi l’unico amore di Dio che
tutti ci affratella.»
2. Scrive Dalla Vecchia in uno dei
suoi ultimi scritti: «Libertà nella sua
realtà assoluta è un fatto
intimamente interiore e personale
che consente all’uomo di sottrarsi a
ogni vincolo che si voglia imporre,
anche contro le sue convinzioni e la
sua volontà, anche in forma
violenta e persecutoria».
3. Nel 1985 Lauda alla Madonna fu
eseguita da I Solisti Veneti diretti
da Claudio Scimone in una
trascrizione (dell’autore) per sola
orchestra d’archi.
4. Nel naturale procedere armonico
si sarebbe potuto immaginare
bemolli fino ad arrivare alla settima di quarta specie di re bemolle per poi tornare,
più o meno urgentemente, alle armonie iniziali.
Al di là del descrivere l’aderenza al testo dei singoli episodi, peraltro resa evidente
dalla logica del percorso armonico e dei picchi melodici, può essere interessante
sottolineare quelli che sono i mutamenti principali di questo percorso armonico.
Il primo vertice melodico (rappresentato dalla nota mi) arriva sulla parola “amore”:
il moto contrario tra basso e soprano porta le voci da una triade minore in stretta
posizione di quinta a un ampliamento della posizione accordale fino ad arrivare a
una triade maggiore con settima maggiore distribuita in due ottave e mezza
(posizione particolarmente felice poiché va a evidenziare gli armonici naturali
presenti nella fondamentale cantata dal basso. La settima maggiore cantata dai
tenori servirà a sottolineare la consonanza delle altre voci).
Con l’accordo successivo, distribuito su quasi tre ottave, massima distanza
raggiunta nel pezzo tra le parti estreme, proprio sulle parole “e di dolore”
comincia quel processo di acquisizione di bemolli. Questo mutamento di direzione
è caratterizzato, oltre che dalla catabasi del soprano e il procedere di tutte le voci
in un registro grave, dalla dissonanza di ottava aumentata del movimento
discendente del basso che si accumula nella memoria di chi ascolta; inoltre è
ancor più importante notare come in realtà il cambio di direzione armonica non
costituisca una frattura, ma piuttosto evidenzi il doppio aspetto del Figlio
“ostensorio d’amore e di dolore”.
Il secondo picco melodico lo si trova al culmine di quel processo di
“bemollizzazione” precedentemente descritto. Il mi (questa volta inevitabilmente
bemolle, sensibile in senso lato) viene ripetuto insistentemente su ogni sillaba di
“lacrima” con un accordo di settima di dominante che con cadenza d’inganno
modulante4 intraprende il percorso armonico inverso che lentamente fa sparire
tutte le alterazioni fino a “Gesù”, quando si rientra nel modo iniziale.
Senza soluzione di continuità si arriva agli episodi finali: l’ultimo vertice melodico
è riservato a “Maria”: il mi arriva dopo una permanenza sul re, con note di volta
inferiori, quasi con un effetto catartico, approdo sereno dopo il viaggio armonico
nova et vetera
precedente. Il contesto armonico ricalca esattamente l’accordo del primo picco
melodico: una settima di quarta specie sviluppata nella naturale posizione degli
armonici.
Successivamente con la triplice invocazione “prega per noi” si ristabilisce l’ictus
acefalo che ha caratterizzato tutto il brano e, attraverso un procedere armonico
dal sapore antico (IV-I, VI-VII, I-IV, V-I), si assiste a una progressiva limitazione
dello sviluppo accordale verticale: tra le parti estreme dalla diciassettesima
iniziale l’estensione si riduce fino ad arrivare a una quinta, tanto che lo sviluppo
verso il grave delle voci maschili nell’accordo conclusivo dovrà essere inteso
come una sorta di colore armonico rispetto all’unisono delle voci femminili.
L’aver sottolineato in questa breve analisi la presenza di questi tre vertici
melodici ci permette di sintetizzare la Lauda alla Madonna con lo schema che
segue. Come si potrà facilmente notare il progetto compositivo è alimentato e
vivificato da un’adesione personale del compositore al testo, vissuto come
preghiera personale.
Con l’acutezza che gli era propria, Carlo De Pirro, compositore, critico musicale,
allievo di Dalla Vecchia, ha così descritto questo breve componimento:
«Lauda alla Madonna appartiene a quelle composizioni che sembrano far
35
questa settima di dominante come
appartenente a si bemolle minore, di
conseguenza la cadenza d’inganno
avrebbe dovuto portare a sol
bemolle.
5. Carlo De Pirro, Omaggio a W. Dalla
Vecchia programma di sala, 25
novembre 1988, Auditorium di Padova.
6. Esiste anche una versione, redatta
dall’autore, per coro maschile
eseguita, e successivamente anche
incisa, dal coro Tre Pini di Padova
diretto da Gianni Malatesta.
7. L’assenza del VII rende più vaga
l’appartenenza modale del pezzo,
determinando quel senso di indefinito
che si ottiene al termine (si oscilla tra
un modo misolidio e uno ionio di do
o, meglio ancora, viene esplicitato
l’esacordo naturale).
8. S. Ceccato, G. Zotto, G. Porzionato,
Dalla Cibernetica all’Arte musicale, a
cura di G. Zotto, Padova, Zanibon,
1980, pp. 30-31.
36
esplodere di getto tutti i primitivi legami fra musica e poesia.
E questo non nel senso di una reciproca tensione alla
modernità, quanto per un immediatezza che, innervandosi in
un linguaggio già storicizzato, trova la via libera da problemi
grammaticali per concentrarsi esclusivamente sull’urgenza
espressiva».5
Il secondo brano che prenderemo in esame è Anima di Cristo
per coro a quattro voci miste,6 scritto nel 1981. Il testo
utilizzato è la suggestiva preghiera-poesia attribuita a
sant’Ignazio di Lojola: “Anima di Cristo santificami, Corpo di
Cristo salvami, acqua del costato di Cristo purificami…” A ogni
invocazione corrisponde un aumento della tensione emotiva
fino ad arrivare all’ultimo verso (“Comandami di raggiungerti…
affinché assieme ai tuoi Santi… ti lodi eternamente”) con il
quale tale tensione viene a sciogliersi in una prospettiva
totalizzante. è una struttura semplice nel suo ripetersi ma
poderosa per l’effetto che conquista con naturalezza.
Sono un uomo che ama
il presente senza bisogno
di odiare il passato.
Dalla Vecchia adotta alcune scelte compositive che possono
in parte ricordare quanto avvenuto per la Lauda. Innanzitutto
la scelta dell’andamento Largo, con libertà tuttavia
specificando un andamento metronomico (probabilmente per
suggerire il tactus a semiminime piuttosto che a crome) che
tuttavia, se rispettato pedissequamente, priverebbe il brano
della spontaneità ritmica che nasce solo dalla naturale
simbiosi con il testo parlato. Per tutto il brano il melos insiste
su poche note, quasi fossero corde di recita di una liturgia
antica.
è possibile sintetizzare il pezzo secondo una forma ternaria in
questo modo: A b a (b a) coda esplicitando il ritornello degli
episodi b e a peraltro di minor dimensione rispetto
all’episodio A iniziale. Dal punto di vista compositivo si
possono fare numerose osservazioni circa il materiale
utilizzato: tuttavia è forse più efficace ricondurre il pezzo a
una modalità misolidia di do con sostituzione del si bemolle
con il si bequadro in fase cadenzante. Dal punto di vista
armonico, tutta la prima parte può essere sintetizzata in
questo modo:
è evidente che tutte le armonie facciano perno sulla nota do:
essa non si presenta mai come fondamentale di un accordo
ma ha piuttosto funzione di pedale interno, lontana eco di una
gregorianeggiante corda di recita. Triadi in stato fondamentale
e in rivolto si succedono ad accordi più densi che tuttavia
gravitano attorno al suono do, suggerendo quindi – come
evidenziato in precedenza – una modalità misolidia di do.
Dopo la cadenza alla dominante con quinta vuota, si entra
nell’episodio centrale: l’urgente invocazione insita nel testo
(“Difendimi dal perfido nemico”) suggerisce dei drastici
cambiamenti (ritmo puntato, accenti persino nelle parti deboli
delle suddivisioni, una generale sonorità nel fortissimo) che si
manifestano anche nei richiami a canone tra voci femminili e
maschili. Dal punto di vista armonico, quest’episodio, così
diverso da quanto precede e da quanto segue, si presenta
come sviluppo ritmico sulla triade di tonica (do maggiore) in
cui le cellule melodiche non sono altro che le note di volta
inferiori e superiori alla modale. In assoluta continuità ma con
un effetto di contenimento progressivo dell’impeto che
caratterizza l’episodio b, si ritorna alla calma iniziale,
progredendo verso la cadenza sospesa del finale primo.
Il finale secondo è testualmente rappresentato dalla parola
“Amen” quale suggello del cammino interiore vissuto nel
brano. Dal punto di vista compositivo si possono cogliere
molti elementi interessanti: innanzitutto il ritmo asimmetrico
di cinque tempi primi (crètico) quasi a favorire uno sviluppo
orizzontale in piena libertà della linea melodica, ma più
evidente ancora è la presenza quasi simultanea di tutti i suoni
della scala a eccezione del settimo grado7 (presenza resa
libera da legami triadici, grazie all’uso di armonie più dense,
cluster, none, tredicesime). Inoltre è suggestiva la progressiva
rarefazione dello sviluppo armonico verticale: dai quattro
suoni estesi in oltre due ottave si raggiunge, per moto
contrario, l’inquieta consonanza di una seconda maggiore
raddoppiata in ottava.
Queste due composizioni sacre, pur nella loro sostanziale
diversità, ci permettono un’ulteriore riflessione sul concetto di
tempo in musica. Sebbene in entrambi i brani si trovi la
medesima indicazione di andamento (Largo, con libertà), oltre
all’evidenziare la nota che va a costituire il tactus del pezzo,
tuttavia nessuna delle due opere descritte conserva la
tradizionale suddivisione in battute, preferendo invece una
segmentazione in frasi che segue il ritmo libero insito nel
verso in prosa. Come nel gregoriano, anche qui il melos
prevale sul ritmo e gli accenti del testo vengono utilizzati
come sistema di “ancoraggio” al testo. In un certo senso la
libertà ritmica che ne deriva ci riporta agli albori della musica
nova et vetera
Wolfango Dalla Vecchia____________
Wolfango Dalla Vecchia nacque a Roma il 5 febbraio 1923,
ma si trasferì giovanissimo a Padova, dove seguì
contemporaneamente gli studi classici e quelli musicali,
diplomandosi in organo presso il locale istituto musicale
nel 1942. Nel 1944, a causa degli eventi bellici, si ritrovò
a Roma e lì continuò lo studio dell’organo con Fernando
Germani, che lo protesse e aiutò, e di composizione con
Goffredo Petrassi presso il conservatorio di Santa Cecilia.
Conclusi gli studi universitari a Padova nel 1945 con una
tesi di laurea intitolata Saggio storico di Filosofia della
Musica, conseguì il diploma in composizione
a Roma nel 1948.
Le sue prime composizioni risalgono a questo periodo
durante il quale lavorò come organista alla Iglesia
Nacional Argentina e come pianista-accompagnatore
all’Accademia Nazionale di Danza, allora diretta dalla
celebre Jia Ruskaja. Per lei compose la Seconda Suite
(balletto) che verrà poi data col titolo Le stelle vere al
Teatro delle Novità di Bergamo nel 1955, segnando l’inizio
ufficiale della sua attività di compositore.
Nel 1951 lasciò l’Accademia di Danza per tornare a
Padova, sperando di ottenere un incarico presso il
conservatorio di Venezia, allora diretto da Gian Francesco
Malipiero: tale speranza rimase delusa, per cui dovette
adattarsi ad accettare la cattedra di organo lasciata
scoperta da Sandro Dalla Libera presso l’istituto
pareggiato Cesare Pollini di Padova, ottenendo solo
l’anno seguente (1952) l’incarico per la stessa cattedra al
conservatorio di Bolzano, dove rimase due anni. Nel
frattempo partecipò a vari concorsi per titoli e esami,
classificandosi secondo (dopo Marcello Abbado) in quello
per la direzione del Nicolini di Piacenza.
Pur restando sempre al Pollini (del quale, in quel periodo,
era titolare d’organo e vicedirettore), nel 1958 sostituì
Franco Donatoni nell’insegnamento della composizione
nel conservatorio di Bologna. Nel 1960 rinunciò invece a
Padova, dove intanto era succeduto a Arrigo Pedrollo
nella direzione, per prendere il posto di G. Bianchi a
Venezia, dove fu titolare della cattedra di composizione
per tredici anni. Nel 1964 sposò Mariantonia Guazzoni,
insegnante di musica, con la quale ebbe cinque figli.
La trasformazione del Pollini in Conservatorio di Stato lo
vide primo direttore di questa istituzione; dopo due anni
però decise di lasciare la direzione per poter riprendere
l’insegnamento della composizione, e si trasferì
definitivamente a Padova nel 1975, dove insegnò
ininterrottamente fino al 1993.
Membro di varie istituzioni accademiche, si dedicò
ampiamente all’attività didattica promuovendo a Vicenza
dal 1970 al 1976 il Seminario di studi e ricerche sul
linguaggio musicale, al quale parteciparono anche
37
Stockhausen, Kagel, Berio, Nono, Manzoni, Ferneyhough,
Ambrosini e Ceccato.
Scrisse diversi saggi di critica e teoria, e animò nel 1977
la ricerca nel campo della computer-music, fino ad
arrivare all’istituzione del Centro di Sonologia
Computazionale dell’Università di Padova, legando così la
produzione artistica a quella scientifica. La sua attività
concertistica come organista fu costante e apprezzata in
Italia e all’estero. Dalla Vecchia propose, oltre al
repertorio tradizionale, musiche inedite e poco
frequentate, trascrizioni d’epoca e originali, composizioni
proprie e di suoi allievi, e continuò, tra i pochi in Italia, la
pratica dell’improvvisazione.
Consulente per il restauro e la costruzione di diversi
strumenti, fu organista onorario della basilica di
sant’Antonio da Padova e del duomo di san Lorenzo a
Abano Terme, e accompagnò settimanalmente le funzioni
presso le chiese parrocchiali padovane – soprattutto a
san Nicolò – componendo appositamente brani liturgici.
Le sue musiche compaiono costantemente in sede
concertistica e sono state presentate in importanti
festival di musica contemporanea. Molte delle sue opere
sono state realizzate su commissione; in particolare la
maggior parte delle composizioni per orchestra erano
destinate ai Solisti Veneti. Alcune associazioni musicali
– come gli Amici della Musica di Vicenza, gli Amici della
Musica di Padova e Sonopolis di Venezia – gli hanno
dedicato concerti monografici. Dal 1988 tenne corsi
annuali sulla teoria generale della composizione presso
l’istituto musicale A. Benvenuti di Conegliano, fino alla
sua scomparsa, il 7 dicembre 1994.
Biografia tratta da Wolfango Dalla Vecchia, Teoria generale
della Composizione, Diastema Analisi 2, Treviso, 1997
38
cristiana, quando l’elemento melodico,
in tutto il suo incedere lineare, aveva
prepotentemente tralasciato la
ritmicizzazione poetica dell’aureo
intellettualismo greco-romano.
Gli anni del secondo Novecento sono
stati caratterizzati da un continuo
cercare nuove vie e nuove possibilità di
vivere la dimensione temporale in
musica; in questi due brani Dalla
Vecchia ci fa riscoprire la naturalezza
dell’assaporare lo scorrere del tempo in
un atto e(ste)tico: la ritmicizzazione che
inconsciamente si opera ascoltando una
qualsiasi musica procede da una
frammentazione dell’immagine musicale
secondo i criteri del bello e
dell’emozione.
Come giustamente osserva Silvio
Ceccato nel suo volumetto Dalla
Cibernetica all’Arte musicale «(...) il
ritmo non esiste già fatto nelle
vibrazioni sonore che un brano ci offre,
esso viene prodotto dalla nostra
attenzione con l’atto stesso della
frammentazione estetica. In altre parole
per ritmicizzare una cosa, di qualsiasi
tipo essa sia, fisica o psichica, basta
osservarla domandandoci se essa sia
bella o meno. (...) Quelle vibrazioni
sonore riceveranno, allora, una
ritmicizzazione con risultato positivo,
venendo assunte, così, come musica».8
Fortunatamente il catalogo delle
composizioni corali di Wolfango Dalla
Vecchia è assai vasto e i brani presi in
esame non aprono che una limitata
visione sul suo vasto e
interessantissimo mondo musicale. Tra
le sue composizioni vocali si incontrano
altri mottetti (tra gli altri si distinguono
Si quaeris miracula, Angele Dei, Psallite
sapienter), alcune messe, diversi brani
su testo profano, l’opera lirica
Andreuccio da Perugia e la cantata
Musiche per una professione di pace.
Ogni brano ha una fisionomia talmente
propria e caratteristica da comprendere
e superare allo stesso tempo tutti i
precedenti. Sembra, appunto, nascere e
svilupparsi proprio in quella esigenza di
“perfetta libertà” che Dalla Vecchia ha
sempre posto come punto di partenza
per ogni sua composizione.
Bibliografia
Wolfango Dalla Vecchia, Teoria generale
della Composizione, Diastema Analisi 2, Treviso 1997
Marco Peretti, Wolfango Dalla Vecchia,
Stringendo la musica al tempo,
Ensemble 900, Treviso 2006
è possibile ascoltare un’esecuzione di
Lauda alla Madonna nel sito del Coro
Mortalisatis: www.coromortalisatis.it
Catalogo della musica corale
di Wolfango Dalla Vecchia
Su testi liturgici
o di ispirazione sacra
–Tre studi, coro femminile e
orchestra (1948)
–Messa bassa, basso, coro di voci
bianche e orchestra con live
electronic (1960-1962,
rielaborazione 1991)
–Tre canti di acclamazione, coro
unisono e organo (1967)
–Missa Antoniana, coro unisono e
organo (1968)
–Si quaeris miracula, coro a 4 voci
miste (1970)
–Lauda alla Madonna, coro a 4
voci miste (1973)
–Pastorella, coro a 4 voci miste
(1979)
–Anima di Cristo, coro a 4 voci
miste (1981)
– Venire a Te, Francesco, coro a 4
voci miste (1982)
– Kyrie e Gloria “d’après
Beethoven”, coro a 4 voci miste
(1985, strumentato 1992)
–Angele Dei, coro a 4 voci miste
(1987)
–Missa “Ubi charitas”, coro a 4
voci miste (1989)
–Psallite sapienter, coro a 4 voci
miste (1992)
–Christus passus est pro nobis,
soprano e coro a 4 voci miste
(1992)
– Inno a s. Teresa di Lisieux, coro a
4 voci miste (1994)
Su testi profani
–La collina, coro a 4 voci miste
(1953)
–Piangi, piangi, coro a 4 voci
miste (1978)
–Andreuccio da Perugia, opera
lirica, S, Ms, 2T, 2B, coro misto,
orchestra da camera, mimi (1984)
–Musiche per una professione di
pace, cantata per Baritono, coro
di voci bianche, coro misto e
orchestra (1986)
nova et vetera
39
cos’è la cantata
Con particolare riferimento alla cantata di Bach BWV 140, Wachet auf, ruft uns die Stimme
di Piero Caraba
Per comprendere l’importanza della cantata in quanto forma musicale, è sufficiente, per noi frequentatori di cori,
pensare alla forma del madrigale: sappiamo bene quale sia stato il ruolo, la diffusione e le molteplici modalità
espressive con le quali questa forma polifonica ha predominato in tutto il sec. XVI. Ebbene, la cantata dal ’600 in
poi ebbe lo stesso ruolo, diremmo lo stesso “successo” e la stessa accoglienza riservata in precedenza al
madrigale, ma di certo con maggiori varianti proprio sul piano della forma. Se infatti il madrigale, pur nelle sue
numerose trasformazioni e utilizzazioni, mantiene una sua essenziale caratterizzazione morfologica anche quando si
manifesta in forme di più ampio respiro (vedi i madrigali a più parti o i madrigali dialogici), la cantata, con le sue
componenti, si presenta nelle più ampie possibilità combinatorie, sia riguardo al genere che alla tecnica e dunque
allo stile compositivo, rendendo difficile, se non impossibile, una formulazione tout-court del che cos’è una cantata.
Dato che il nostro intento è principalmente chiarire sul piano formale la definizione di un oggetto musicale,
limiteremo i dati storici ai soli funzionali al nostro scopo, e come punto di riferimento analitico, per non parlare in
astratto, osserveremo la cantata BWV 140 di Bach Wachet auf, ruft uns die Stimme. La scelta è determinata dal
fatto che oltre a essere tra le più famose e tecnicamente alla portata esecutiva di gran parte dei nostri complessi
corali, la BWV 140 possiede struttura ed elementi di cui, acquisendone la conoscenza, saremo poi in grado di
riconoscerne questo o quello in altri oggetti musicali che sapremo identificare come “cantate”.
L’elemento costante e significativo della forma musicale che stiamo considerando è senza dubbio costituito dall’aria,
che da sola può determinare una cantata. Tra i possibili esempi in tal senso basti citare la cantata sacra Herr, wenn
ich nur dich hab (BuxWV 38) di Dietrich Buxtehude: è una sola aria, dalla melodia flessuosa e continua che,
contrappuntata o alternata da brevi interventi di due violini, si sviluppa poggiandosi su di un basso ostinato di tre
battute ripetute ventiquattro volte nei circa tre minuti della sua breve durata. La cantata, in questo caso, offre il
carattere e una delle sue possibili strutture (il basso ostinato) all’aria, e l’aria va a identificarsi con la cantata, in un
reciproco scambio di qualità formali. La successiva possibilità costruttiva e il binomio che più di ogni altro identifica
la forma della cantata è rappresentato dalla successione recitativo - aria, una delle formule di maggior successo,
40
per duttilità ed efficacia, nella più parte dei generi e delle
epoche. Il recitativo1 ha il compito di introdurre l’argomento
dell’aria, e può presentarsi come recitativo semplice (detto
anche secco) se sostenuto dal solo basso continuo, o
accompagnato, se le successioni armoniche sono scritte e
affidate all’orchestra. Gli esempi di cantate costituite
esclusivamente da una sola o da più coppie di recitativo e aria
sono numerose; tra quelle di Bach citiamo la BWV 54,
Widerstehe doch der Sünde, che si apre con un’aria
immediatamente seguita da una sola coppia recitativo - aria e lì
termina. Altra è la più famosa BWV 82, Ich habe genug, ove
all’aria iniziale seguono due coppie di recitativo e aria,
esaurendo quindi in cinque numeri il percorso dell’intera
composizione. Identica struttura ha la successiva BWV 170,
Vergnügte Ruh beliebte Seelenlust, in cinque numeri, con
un’aria e due coppie recitativo - aria.
Il coro, nella forma di Chor o di Choral, non è dunque elemento
essenziale di una cantata, e la sua presenza è determinata
certamente dal carattere e dalla circostanza per la quale è stata
scritta la composizione, ma nel caso di Bach, come
testimoniano i suoi stessi scritti, il coro è presente o no
soprattutto per ragioni pratiche, tra le quali la certezza o meno
di poter disporre materialmente dei cantori alla data in cui la
cantata doveva essere eseguita.
Consideriamo ora la cantata BWV 140, in cui sono presenti,
come abbiamo detto, tutte le possibili componenti di questa
forma musicale, e cioè il recitativo, l’aria, il Choral e il Chor.
La cantata Wachet auf, ruft uns die Stimme fu scritta per la
XXVII domenica dopo la Trinità;2 appartiene al genere delle
Choralkantate, ove il testo e la linea melodica di un corale
costituiscono la struttura portante e danno l’impronta all’intero
lavoro. Se infatti si osserva la successione dei sette numeri che
la costituiscono, notiamo che la melodia dello stesso corale
(“Wachet auf…”) occupa i numeri 1, 4, 7, punti centrali che
marcano una precisa simmetria e lasciano spazio alle due
coppie recitativo-aria (numeri 2-3 e 5-6).
1 Chor
2 Recitativo
3 Aria
4 Choral
5 Recitativo
6 Aria
7 Choral
melodia del corale a note lunghe utilizzate come
cantus firmus per il contrappunto
melodia del corale affidata al tenore e
contrappunto in forma di variazione sul corale
melodia del corale armonizzata a quattro voci
Chor, n. 1 della cantata BWV 140 - Le 16 battute strumentali iniziali e a seguire le prime 6 battute del cantus firmus ai soprani
nova et vetera
41
Recitativo, n. 2 della cantata BWV 140 - Il recitativo semplice (o secco)
del tenore
Aria, n. 3 della cantata BWV 140 - La linea melodica del violino concertante
Choral, n. 4 della cantata BWV 140 - Le prime battute delle variazioni
contrappuntistiche sulle note del corale affidate al tenore
Il Chor iniziale è una mirabile costruzione che si apre con un
episodio strumentale di 16 battute; segue la melodia del corale,
proposta dai soprani (con il corno all’unisono) in valori uguali e
lunghi (tutte minime col punto) che costituisce il cantus firmus
attorno al quale ruota il contrappunto delle rimanenti tre voci
del coro e delle parti orchestrali (due oboi, taille [oggi sostituito
dal corno inglese], archi). Alla prima frase del corale (35
battute) segue la ripetizione dell’intervento strumentale iniziale
(16 battute) cui succede identica la seconda frase del corale (35
battute). Queste due parti identiche sono i due Stollen di una
più ampia architettura, la cosiddetta Barform, largamente
utilizzata fin dall’epoca dei Meistersinger. Ai due Stollen fa
seguito l’Abgesang, ovvero il compimento della forma, con le
sue 70 battute, equivalenti alla somma delle battute dei due
Stollen. La melodia del corale, sempre in cantus firmus,
presenta qui la sua seconda parte, con i rimanenti versetti del
testo; l’episodio è però caratterizzato dal liberarsi di una breve
e concitata fuga a tre voci, sulla cui conclusione il corale
riprende il proprio cammino fino al termine del versetto. La
ripresa «da capo» delle 16 battute strumentali conclude
l’affresco, che Bach stesso chiama Chor, inteso come ampio
gesto compositivo che apre (o a volte chiude) questa come
numerose altre cantate, bachiane e non.
Il seguente primo recitativo, semplice, del tenore, riprende il
testo della parabola delle vergini sagge e annuncia l’arrivo dello
sposo. L’aria successiva è un dialogo tra l’anima (soprano) e il
Cristo (basso), con un violino3 concertante che esalta con
virtuosistiche figurazioni l’emozione dell’incontro.
Il numero 4 è nella forma di variazione sul corale. Il tenore
dispiega con autorevolezza la melodia già precedentemente
ascoltata nel cantus firmus; i violini primi e secondi e le viole
all’unisono le tessono intorno un contrappunto di straordinaria
valenza melodica, tanto da divenire l’emblema della cantata
stessa e una delle melodie più note di Bach in assoluto.
Il recitativo che segue è accompagnato dagli archi; la voce del
basso esprime il desiderio dello sposo (il Cristo) per la sua
amata (l’anima) e anticipa il gioioso dialogo dell’aria successiva
tra il soprano e ancora il basso, con oboe concertante a
suggerire l’immagine di una danza tra i due. L’aria si presenta
assai fluida nell’incedere melodico e nella forma più antica, con
il «da capo» che, in luogo di “rallentare”, esalta la freschezza
del gesto musicale.
42
Recitativo, n. 5 della cantata BWV 140 - Il recitativo accompagnato del
basso
Choral, n. 7 della cantata BWV 140 - Il corale armonizzato a 4 voci (più
basso continuo) raddoppiate dall’orchestra
La cantata si chiude con il Choral, cioè la melodia del corale
armonizzata per le quattro voci del coro con l’orchestra a
raddoppiare le parti. L’esposizione della melodia nel suo assetto
originale, dopo che la si è ascoltata prima come cantus firmus
(nel num. 1) quindi come elemento di variazione
contrappuntistica (nel num. 4), da un lato rende manifesto il
materiale all’origine del lavoro, dall’altro sancisce con
autorevolezza la costruzione formale.
Come si vede, il respiro della cantata, sia che si esprima in una
unica aria (come nel citato esempio di Buxtehude) sia che si
articoli in numeri diversi per quantità e genere, risulta regolato
da una attenta ricerca di proporzioni, simmetrie,
interconnessioni ove musica e testo godono di pari e reciproche
opportunità.
Ci piace concludere con quanto Alberto Basso afferma nella
ricerca di una definizione della Kirchenmusik all’epoca di Bach;
Kirchenmusik di cui la cantata occupa senza alcun dubbio lo
spazio più ampio e autorevole: «Caricata di simboli, ispirata alle
sacre letture e alle interpretazioni suggerite dalla teologia, la
Kirchenmusik si presentava, dunque, come una similitudine del
cosmo, come un mondo in sé compiuto e dotato di tutti gli
attributi, degli elementi fondamentali che regolano la natura. E
in questa sua compiutezza raggiungeva il massimo rendimento
possibile, consentendo al fedele di sentirsi calato totalmente
nella vita contemplativa e al musicista di conquistare, con
l’esercizio e l’applicazione, smisurati spazi».4
Note
1. Con tale termine si definisce uno stile del cantare e del
comporre, ove la parola si esprime in una recitazione intonata e
il carattere discorsivo è assicurato da note ferme su cui
poggiano numerose sillabe in ritmo libero. Questo procedere, in
unione a semplici stilemi di formule cadenzali, assicurava un
naturale fluire della parola a imitazione della lingua parlata,
libera e flessuosa.
2. Secondo il calendario liturgico si arriva alla 27ª domenica
dopo la Trinità solo se la Pasqua cade prima del 27 marzo,
altrimenti si hanno solo 26 domeniche. Tenendo conto della
permanenza di Bach a Lipsia dal 1732 al 1750, la festività in
oggetto capitò due volte, nel 1731 e nel 1742; ciò ci aiuta
stabilire la precisa datazione dell’opera. Quasi certamente fu
scritta nella prima occasione, 1731, e probabilmente riproposta
nel 1742.
3. La partitura porta l’indicazione violino piccolo, riferendosi a
uno strumento in uso all’epoca, dalla tecnica agilissima e
accordato una terza minore sopra.
4. A. Basso, Frau Musika, Torino 1983, vol. II p. 237.
Federazione Nazionale Italiana delle Associazioni Regionali Corali
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la gioia del suono
la gi
la scuola veneziana dal ’500 a oggi
di Walter Marzilli
In occasione dell’Assemblea di Europa Cantat a Venezia nel 2004,
il Coro Giovanile Italiano, diretto da Filippo Maria Bressan,
presentava un interessante progetto a cavallo tra nova et vetera,
un percorso articolato tra la musica della scuola veneziana e le
suggestioni che essa evoca nei nuovi compositori contemporanei.
Oggi la registrazione live di questo grande e importante evento
vede la luce, mantenendo così una promessa a suo tempo
formulata: arriva infatti il primo cd di Choraliter, un ulteriore
impegno tangibile per la divulgazione della musica corale e, ci
auguriamo, un gradito regalo per tutti i nostri fedeli lettori.
choraldisC
45
L’idea del concerto di Venezia: commissionare composizioni policorali e plurivocali da
avvicinare a quelle antiche della scuola veneziana. La struttura: creare una suddivisione
interna dei brani, raggruppandoli in tre nuclei, Contemplantes, Adorantes, Jubilantes Te. Il
tutto con l’intervento prezioso di brani di organo eseguiti da Gaetano Magarelli e Roberto
Loreggian, che sapientemente completano il quadro con un linguaggio e un tocco sul
tasto che più pertinenti non si può. Non esiterei poi a descrivere l’approccio del direttore
Filippo Maria Bressan e dei cantori del Coro Giovanile Italiano, la rilevanza del suono
vocale, la maturità del fraseggio e la profondità del porgere con questa definizione: la
gioia del suono. Le antiche partiture vocali di Claudio Monteverdi e Giovanni Gabrieli ci
sono restituite con un piglio acceso e luminoso. I fraseggi coraggiosi e divertiti risultano
di grande fascino. La voce mai ferma, poi, dona al suono una vivacità che difficilmente
capita di sentire in altre situazioni discografiche. La scuola veneziana mostra in questo
disco tutte le sue potenzialità espressive e tutto lo
splendore delle sue evoluzioni melodiche, più ardite e
audaci di quelle della contemporanea scuola romana.
Il connubio tra antico e moderno risulta particolarmente
riuscito anche perché è possibile riconoscere nelle
composizioni attuali tracce della prassi compositiva
antica, sapientemente citata.1 Basta scorrere il brano
Tristis est anima mea di Elena Camoletto e osservare
l’elegante cadenza melodica di stampo tipicamente
cinquecentesco affidata al primo coro, al quale risponde
il secondo coro in imitazione. Particolarmente
significativo, inoltre, risulta essere l’incipit del secondo coro, che colloca immediatamente
l’atmosfera sonora nell’ambito di un responsorio dell’epoca tardorinascimentale della
scuola veneziana. A esso è affidato il compito di avvicinare il modo antico e quello
moderno di scrivere fino a congiungerli. I passaggi più cromatici e accidentati sono invece
affidati in genere al primo coro. Un intelligente Giano bifronte, con uno sguardo coerente
verso il passato e uno, altrettanto congruente, verso il futuro.
Si può infatti scrivere qualcosa di estremamente moderno e attuale anche utilizzando e
reinterpretando un linguaggio compositivo antichissimo come quello della modalità. Il
brano di Mauro Zuccante si apre in un caratteristico ambiente di protus trasportato in sol,
con un bemolle in chiave. L’andamento melodico si appoggia inizialmente su un assetto
puramente diatonico, e questa caratteristica persiste per tutta la durata del brano. C’è di
più: lo stesso tema iniziale permea e pervade l’intera composizione da capo a fondo,
come un leit-motiv. Questo legame con la modalità si configura quindi come qualcosa di
molto più di una citazione (cfr. nota 1). Si può infatti immaginare che l’autore abbia voluto
in qualche modo ancorare la sua ispirazione agli stilemi compositivi della musica
pregressa, all’interno della quale il suo brano si sarebbe dovuto calare. Nonostante
questa ricercata impostazione colta, il brano di Zuccante si configura tra i più attuali della
collezione.
Il brano di Giovanni Bonato propone un approccio esuberante alla musica corale, con una
visione spigliata e disinvolta non solo dal punto di vista grafico e formale, ma anche da
quello stilistico e sostanziale (senza peraltro arrivare a una situazione di esasperata
avanguardia), secondo un’ottica disinibita e libera da preconcetti. Al di là della grafia
continuamente interrotta e della conseguente frammentazione del testo letterario, della
particolare impaginazione e dell’attenzione al riverbero causato dalla successione delle
entrate, nonché della spazializzazione del coro richiesta espressamente all’autore, si
vuole fare riferimento in particolare all’uso di alcuni bicchieri intonati, scrupolosamente
riportati in partitura, che dovranno essere suonati dai cantori tramite la frizione del dito
sul bordo. Un coup de théâtre fascinoso, che si pone con coerenza accanto al linguaggio
moderno e non come una trovata fine a se stessa, ben contribuendo ad aumentare la
suggestione del brano.
Piero Caraba usa la dissonanza dell’intervallo armonico di seconda con grande efficacia,
inserendolo provocatoriamente proprio in occasione delle parole dal significato più
La scuola veneziana mostra
in questo disco tutte le sue
potenzialità espressive.
ioia
46
suadente presenti nel suo brano
(...amabilis, …dulcis, …pie, …bone),
e ottenendo sorprendentemente una
ricercatissima morbidezza. Sempre in
perfetto equilibrio tra la castità dell’antica
lauda e il raggiante splendore di alcuni
passaggi estremamente moderni, il brano
di Caraba si regge su una struttura
profondamente salda e matura, che
permette all’autore di toccare atmosfere
anche molto diverse tra loro, e di passare
dall’una all’altra interrompendo gli episodi
con lunghe pause, che però non
distruggono la ricca omogeneità della
composizione.
Notevole il senso di fuggevolezza ritmica
che Giuseppe Mignemi riesce a ottenere
all’interno del suo brano. Sono infatti
frequentissimi i cambiamenti di tempo,
non solo al numeratore ma anche al
denominatore della frazione. Con questo
espediente il compositore riesce
continuamente a rendere sfumato e
incorporeo l’incedere del fraseggio e della
discorsività tematica, come fluttuante è lo
Spirito del Signore che aleggiando si
espande nell’universo. Tutto si materializza
e concretizza nelle affermazioni risolutive
in conclusione delle diverse frasi. Il suo
brano si fa apprezzare per la brillante
solarità di certe affermazioni tematiche,
per l’eleganza di alcuni passaggi transitivi
e per l’imponenza ben sfruttata
nell’impiego delle dodici voci.
Si denota in tutti i moderni compositori
una notevole e premurosa attenzione alle
voci. Ognuno ha dispiegato le voci
attraversando tutte le loro ricche
sfaccettature sonore, sfruttandone senza
preclusioni i colori, il fascino e le
possibilità, ma anche senza violarne i
confini naturali. Basterà dire che in tutti e
cinque i brani i soprani (notoriamente la
sezione che deve faticosamente
arrampicarsi più in alto…) toccano soltanto
due volte – e molto fugacemente – il la
sopra il rigo.
È opportuno inoltre anche riconoscere
come nessuno dei cinque compositori
abbia sentito il bisogno di affermare
l’appartenenza delle proprie musiche alla
modernità attraverso l’uso di prodotti
sonori di stampo onomatopeico,
allitterativo o quant’altro ricordasse
qualcosa come gli studi fonetici, tanto in
voga da qualche anno a questa parte.
Nonostante che alcuni passaggi testuali
dei brani da musicare fornissero una
ghiotta occasione per introdurre
sperimentalismi fonetici, siamo grati ai
compositori di non aver ceduto alla
tentazione di farlo.
Se da una parte è vero che sotto certi
aspetti la “sfida” compositiva poteva
anche spingere gli autori a osare qualcosa
di più sul piano sperimentale, dall’altra
evidentemente l’equilibrio tra antico e
moderno ha potuto mitigare gli
estremismi, raccogliendo le composizioni
all’interno di un territorio vocale
percorribile, senza dover ricorrere a
soluzioni astruse di improbabile
eseguibilità. Astruserie, complicanze,
introspezioni sospette, elucubrazioni
mentali. Inutile cercarne: non c’è traccia.
Non che i brani siano di facile esecuzione:
un coro amatoriale, al di là del numero
elevato di voci necessarie, difficilmente
potrà affrontare un programma simile. Ma
è anche opportuno ricordare che l’intento
choraldisC
47
La gioia del suono
La scuola veneziana dal Cinquecento a oggi
O quam amabilis (a 8 v.), P. Caraba (1956)
O Jesu mi dulcissime (a 8 v. in 2 cori), G. Gabrieli (1557-1612)
O quam suavis (a 7 v.), G. Gabrieli
Nisi dominus (a 10 v. in 2 cori), C. Monteverdi (1567-1643)
Ricercar primo, G. Gabrieli
Tristis est anima mea (a 8 v. in 2 cori), E. Camoletto (1965)
Domine in furore tuo (a 6 v.), C. Monteverdi
Adoramus te (a 6 v.), C. Monteverdi
Ecce vidimus (a 8 v. in 2 cori), M. Zuccante (1962)
Toccata del II tono, G. Gabrieli
Spiritus domini (a 12 v. in 3 cori), G. Mignemi (1966)
Hodie completi sunt (a 8 v. in 2 cori), G. Gabrieli
Audi filia (per 8 gruppi e bicchieri), G. Bonato (1961)
Coro Giovanile Italiano
Filippo Maria Bressan, direttore
Gaetano Magarelli e Roberto Loreggian, organo
Fabio Anti, Maria Cristina Battaglia, Enrico
Benati, Valentina Bernardini, Marta Bonomi,
Pasquale Bottalico, Nikolaj Bukavec,
Alessandra Cordova, Andrea Crastolla, Barbara
Crisponi, Marco Dainese, Vittoria De Leonardis,
Cesare Facchetti, Jacopo Facchini, Matteo
Ferrara, Davide Fior, Silvia Frigato, Emanuele
di queste composizioni non era
quello di essere cantate da tutti i
cori, ma dal Coro Giovanile Italiano.
Conservare et promuovere:2 perché
c’è un paradosso in tutto questo. È
dato dal fatto che un progetto nato
in ambiente laico – inteso
nell’accezione più apolitica e
apartitica del termine – e senza
nessun interesse diretto e
consapevole verso le esigenze del
mondo della musica sacra, si è
trovato a incarnare nel modo più
efficace possibile il più importante
obiettivo di tutta la riforma liturgica
scaturita dal Concilio Vaticano II per
quanto riguarda la musica sacra:
conservare il patrimonio della musica
sacra del passato e promuovere la
composizione di nuove musiche.3
Gasparini, Simone Gentili, Fabio Biagio La
Torre, Vito Lopriore, Andrea Macis, Lucia
Maggi, Annalisa Metus, Maria Giovanna
Michelini, Maurizio Miglioresi, Lucia
Montanaro, Angela Nisi, Francesco Pittari,
Sheila Rech, Nadia Romeo, Elena Rossetto, Elia
Serafini, Vincenzo Spinuso, Luigi Turnaturi
Note
1. Nel brano di Mauro Zuccante si può
riconoscere un vero e proprio cammeo: la
riproduzione di un passaggio da un madrigale
di Monteverdi tratto dal Sesto libro dei
Madrigali: Dunque amate reliquie, riproposto
non soltanto nella parte del soprano, ma
anche nelle parti sottostanti. Un ulteriore
modo discreto e raffinato per collegare
intimamente il proprio novum al veterum,
soprattutto in considerazione del fatto che, nel
concerto di Venezia, il brano di Zuccante
sarebbe stato inserito dopo due composizioni
di Monteverdi… Già che ci troviamo in tema di
citazioni, nominiamo – stavolta sorridendo – la
risposta di Monteverdi in un episodio che
incorre nel suo brano Nisi Dominus, nel quale
l’autore, mostrando sorprendenti doti di
preveggenza, cita qualcosa che ricorda in
modo preoccupante un passaggio del 2/2 di
Ecce gratum dei Carmina Burana di Carl Orff…
2. Allocuzione di Papa Paolo VI in occasione
del decimo anniversario della fondazione della
Consociatio Internationalis Musicae Sacrae,
Roma, 12 ottobre 1973.
3. Cfr.: Costituzione Sacrosanctum Concilium,
Cap. VI, nn. 114, 116a, 116b, 121, 121b.
Registrato dal vivo presso
la Scuola Grande
di San Giovanni Evangelista
Venezia, 20 novembre 2004
48
cum grano salis
intervista a Filippo Maria Bressan
a cura di Sandro Bergamo
Quello del 2004 è stato non solo uno dei primi stages del
Coro Giovanile Italiano, ma anche quello del battesimo
europeo del coro, che ha cantato all’assemblea veneziana di
Europa Cantat. Da dove nasce l’idea di dedicarlo alla scuola
veneziana?
Tutto nasce dall’idea di proporre ai cantori del Coro Giovanile
Italiano un repertorio desueto ma anche importante e
impegnativo, come meritava d’essere il programma di
composizioni corali oggetto di studio per l’atelier del coro.
Pensando alla grande tradizione corale dei secoli passati, era
evidente la scelta tra le due grandi scuole: quella veneziana e
quella napoletana; la scelta sulla scuola veneziana mi è
sembrata più adatta al coro giovanile anche per poter
approfondire il repertorio per doppio coro che ne è la
caratteristica portante. La coincidenza poi dell’assemblea di
Europa Cantat a Venezia rendeva ancora più appropriata la
scelta.
la polifonia rinascimentale sia frequentata sempre meno
dalla coralità amatoriale, che pure, per decenni, ne aveva
fatto uno dei propri pilastri e, almeno in Italia, ne era l’unica
interprete. Da dove nasce questa disaffezione?
Credo che molto dipenda dal fatto che negli ultimi anni la
musicologia e la filologia abbiano infuso la consapevolezza
che la musica antica era eseguita da piccoli gruppi vocali e
non propriamente da cori numerosi, per cui, bandita già da
almeno un ventennio l’esecuzione del madrigale da parte del
coro, anche per la musica corale sacra ci sia ora il timore di
incorrere in critiche filologiche molto spesso esagerate. Direi
di lasciare da parte le posizioni integraliste dovute a un
atteggiamento museale di fronte all’esecuzione musicale che
ingessa gli interpreti e l’interpretazione ma di godere della
musica rinascimentale ogniqualvolta si possa (con le dovute
consapevolezze stilistiche) perché fonte di inesauribile piacere
musicale e oltremodo formativa.
Gabrieli e Monteverdi insieme alle nuove composizioni di
musicisti italiani viventi: stili e sonorità diverse, che
sicuramente avranno posto qualche problema in più nello
studio e nell’esecuzione.
Gestendo bene la prova e scegliendo opportunamente
l’accostamento dei diversi brani da studiare nei vari giorni,
non ci sono stati molti problemi. È vero che la tecnica di
studio della musica contemporanea è completamente diversa
da quella dello studio della musica antica ma è anche vero
che la duttilità dei cantori che avevo a disposizione ha
permesso uno studio e un apprendimento sereno e
concentrato.
Nella tua esperienza di lavoro sono molti i contatti con la
coralità internazionale, tra l’altro come direttore del World
Youth Choir e, tra gli ultimi impegni, il laboratorio che hai
tenuto a Utrecht, nell’ambito di Europa Cantat 2009, sulla
messa per doppio coro di Martin. Vista dall’Europa, come ti
pare lo stato dell’arte della coralità italiana e di quella
giovanile in particolare?
Negli ultimi anni la coralità italiana ha fatto passi da gigante:
ci sono molti buoni cori, il livello dei cantori è molto più alto,
alla sola passione per il canto si è aggiunta una maggiore
disciplina e una certa consapevolezza del “far coro” inteso nel
senso formativo e sociale; insomma, siamo molto più allineati
con gli altri cori degli altri paesi e anche competitivi. Il livello
dei direttori è anche migliorato, particolarmente nelle forze
giovani, frutto dei vari corsi che in tutta l’Italia si svolgono e
si continuano a svolgere ma anche dell’entusiasmo delle
nuove generazioni e delle tecnologie di ascolto, di viaggi e di
comunicazione, che consentono scambi più veloci e rapide
informazioni.
Abbiamo, noi italiani, un gusto per una vocalità più calda e
affascinante che i paesi d’oltralpe si sognano di avere, ma
anche di difficile gestione, a volte… non abbiamo ancora
quella disciplina dello stare insieme (e quindi del cantare
insieme) che invece è una prerogativa di molti altri paesi. Ma
se guardiamo bene, tutta la nostra società italiana è poco
disciplinata, quindi che dire…
Per quanto riguarda la coralità giovanile, purtroppo devo
constatare che in questo l’Italia soffre uno stato di grande
svantaggio, dovuto particolarmente alla mancanza di
Come hanno reagito i coristi a questo accostamento? E il
pubblico?
La reazione dei cantori era ogni volta di sorpresa e di
curiosità. E anche il pubblico, devo dire, dimostrava di gradire
le nuove composizioni. La musica contemporanea è una
risorsa fondamentale ed è l’espressione del nostro tempo.
Facendo i giusti distinguo, non è vero che la musica
contemporanea è ostica da apprendere e da capire ed è di
difficile ascolto, tutto sta nello scegliere le giuste
composizioni adatte al gruppo che le deve eseguire, adatte al
programma complessivo del concerto e adatte al pubblico al
quale ci si rivolge, magari cum grano salis…
Basta assistere a qualche concorso, nazionale o
internazionale, per rendersi conto, dal numero di brani
presentati e dalle esecuzioni spesso insoddisfacenti, di come
choraldisC
formazione musicale nelle scuole e
quindi nei giovani. Abbiamo avuto una
pessima riforma della scuola, per
quanto riguarda la musica, e abbiamo
una insensibilità governativa sulla
necessità di considerare la cultura e la
formazione dei ragazzi come una
risorsa da sviluppare e da sostenere in
quanto espressione dell’Italia e quindi
della cultura e dell’arte nel futuro.
All’estero si fa a gara per partecipare a
un coro giovanile – che è sostenuto da
tutte le strutture pubbliche e anche
private – perché si sa che in esso vi si
trova formazione, cultura,
socializzazione, viaggi, esperienze
importanti, ecc. Tutti i direttori dei vari
Filippo Maria Bressan____
Ha studiato pianoforte, canto, composizione
e in particolare direzione d’orchestra a
Vienna con K. Österreicher e direzione di
coro con J. Jürgens e M. Brown, perfezionandosi successivamente, tra gli altri, con
Sir J.E. Gardiner, F. Leitner, F. Corti. Già
assistente di J. Jürgens, ha lavorato a fianco
di grandi direttori come C. Abbado, L. Berio,
F. Brüggen, M.W. Chung, C.M. Giulini,
E. Inbal, N. Järvi, P. Maag, L. Maazel, A. Pärt,
G. Prêtre, M. Rostropovich, G. Sinopoli,
J. Tate, R. Vlad. Direttore stabile dell’Orchestra Sinfonica di Savona, ha collaborato con
l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, la
Mahler Chamber Orchestra, l’Orchestra
dell’Accademia Nazionale di S. Cecilia,
l’Orchestra da Camera di Mantova, l’Orchestra di Padova e del Veneto, l’Orchestra della
Toscana ORT, l’Orchestra Filarmonica di
Torino, la Scottish Chamber Orchestra, la
Camerata Strumentale Città di Prato,
l’Orchestra Scarlatti di Napoli, l’Orchestra
Toscanini, l’Orchestra Sinfonica di Bari,
l’Orchestra Sinfonica di Sanremo, l’Orchestra
del Teatro Marrucino di Chieti, l’Orchestra
Maderna, i Filarmonici di Verona, i Virtuosi
Italiani, l’Accademia Montis Regalis, e con
solisti quali A. Ballista, R. Buchbinder,
M. Campanella, B. Canino, G. Carmignola,
G. Cassone, B. Lupo, M. Pletnev e molti altri.
Dal 2000 al 2002 è stato direttore del Coro
dell’Accademia Nazionale di S. Cecilia a
Roma. Ha inoltre diretto il World Youth Choir
in una serie di concerti in Belgio nel 2005,
49
cori spingono i loro coristi a partecipare
a simili esperienze, perché sanno che
ne va di mezzo la formazione della
persona stessa ma sanno anche che
poi l’esperienza di quell’artista che vi
parteciperà si riverserà nel coro dal
quale proveniva. Anche in Italia si sa
che potrebbe essere bello cantare in un
coro giovanile ma i direttori dei vari cori
temono la perdita dei cantori, anziché
pensare alla loro formazione… Temono
che poi si montino la testa e che
squilibrino il coro successivamente…
Insomma, si ha paura e si nasconde
tutto. E allora restano gli allievi dei
conservatori, che però, dovendo fare i
conti con l’insegnante di canto – che
dice loro di non cantare nei cori perché
rovinerebbero la voce (!!??!!) – non
osano e perdono una bella e
importante opportunità. C’è proprio una
mentalità da cambiare, e bisognerebbe
fare in fretta…
ed è stato il direttore titolare del Coro
Giovanile Italiano dal 2003 al 2005.
Ha diretto in molti teatri e nelle principali
sale da concerto d’Italia, d’Europa e del
Sudamerica, ed è considerato uno dei più
innovativi nuovi direttori italiani, sia nel
repertorio antico che in quello sinfonicocorale. Specialista nell’opera del Settecento,
ha recentemente diretto al Teatro Goldoni di
Venezia e in prima esecuzione assoluta
Ifigenia in Tauride di B. Galuppi, al Teatro
Verdi di Trieste Il mondo della luna di
Paisiello e Alcina di Haendel, al Teatro
Politeama di Prato Paride ed Elena di C.W.
Gluck, al Teatro Verdi di Padova Orfeo ed
Euridice di C.W. Gluck, al Teatro Filarmonico
di Verona Don Giovanni di Mozart e nei teatri
di Pisa, Livorno, Rovigo e Trento, Semiramide
di Rossini. Nel dicembre 2006 ha diretto,
nella Basilica di San Marco di Venezia e in
prima esecuzione assoluta, i Vespri di Natale
di B. Galuppi con il coro e l’orchestra del
Teatro La Fenice. Ha fondato l’Athestis
Chorus e l’Academia de li Musici, coro e
orchestra impegnati nell’esecuzione della
musica barocca, avvalendosi di testi autentici
e con strumenti d’epoca, con i quali è
divenuto uno dei protagonisti della rivalutazione della musica antica ed è regolarmente
invitato dalle più importanti stagioni
concertistiche e da numerosi festivals tra cui
la Sagra Musicale Umbra, la Sagra Malatestiana, Veneto Festival, Settembre Musica di
Torino, Biennale di Venezia, Festival
Monteverdi di Cremona, Settimane Musicali
di Stresa, Settimana Musicale Senese e dallo
scorso anno dai principali teatri di Argentina,
Brasile e Cina. Si dedica allo studio della
musicologia e della prassi esecutiva della
musica antica, collaborando con musicisti e
orchestre specializzate nel settore.
Ha conseguito quattro primi e due secondi
premi in concorsi nazionali e internazionali e
ha ricevuto il premio della critica musicale a
Gorizia nel 1994. Per la raffinatezza delle sue
interpretazioni e la sua eclettica attività, ha
ricevuto il premio Monacciani, a Savona e il
Premio Chiavi d’Argento a Chiavenna. Ha
registrato diverse prime esecuzioni assolute
e concerti dal vivo per la Rai e per le
radiotelevisioni austriaca, francese, slovena e
brasiliana. Ha inciso per numerose etichette
discografiche tra cui: Emi, Virgin, Deutsche
Grammophon, Decca e per Chandos Records
quattro cofanetti (Arianna, Requiem
di B. Marcello, Messa per San Marco
di B. Galuppi, La Resurrezione di Lazzaro
di A. Calegari).
Nel tuo lavoro di direttore hai
vissuto e vivi le dimensioni della
coralità professionale e di quella
amatoriale. Due mondi contrapposti?
Complementari? Intrecciati?…
Sì, sono due mondi opposti. Come ho
avuto modo di apprendere anche dal
maestro Jurgen Jurgens, quando gli
facevo da assistente, e in base anche
alle esperienze che ho vissuto, la
50
poetica della coralità amatoriale è
completamente diversa da quella
professionale. I comportamenti dei cantori, le
motivazioni e le dinamiche che si svolgono
all’interno dei diversi complessi – amatoriale
e professionale – sono completamente
differenti. Il cantore professionista segue la
sua agenda e fa i suoi conti, il cantore
amatoriale canta esclusivamente per passione
e dopo il lavoro e la famiglia. La disponibilità
di tempo del cantore professionista è legata
sì alla passione per il canto, ma specialmente
alla paga e ai giorni e agli orari di lavoro,
quella del cantore amatoriale è di solito
dopolavoristica. Gli entusiasmi possono
essere molto simili ma l’atmosfera è
completamente diversa. Ad esempio, come
diceva anche Jurgens, quando all’interno di un
coro amatoriale cominciano a girare soldi e
compensi ai cantori, inizia la disgregazione e
la rovina del coro. Il coro amatoriale gode di
entusiasmi e del piacere nel fare musica
insieme che va pari passo con le possibilità
più varie del coro e delle persone, dove
ognuno dà del suo meglio spontaneamente,
non perché ha firmato un contratto di lavoro
o ha superato un’audizione. Diversamente, nel
coro professionale, pur seguendo e
rispettando le regole della convivenza, della
gioia della musica e del desiderio di sentirsi
soddisfatti del livello alto esecutivo, ogni
cantore sa di avere a fianco un professionista
come lui, che deve dare una prestazione seria
e di alto livello come da contratto; le assenze
vanno giustificate, decurtate dalla paga a
seconda del tipo di contratto, ecc. Sono
quindi le dinamiche comportamentali a farne
la differenza, senza nulla togliere alla bellezza
del lavoro di cantare insieme. Intrecciare
amatorialità con professionalità è molto
nocivo, a meno che non sia un progetto di
formazione fine a se stesso e alla formazione
del cantore, avendo qualcuno ad esempio…
(ma a che pro? quello di vedere quanti minuti
mancano alla fine della prova?). Troppo
spesso si assiste a tensioni e a esiti artistici
alterni in gruppi corali amatoriali che per
riuscire a portare a termine un programma
troppo ambizioso per il coro – ma voluto
molto spesso dalla vanità del suo direttore o
da qualche organizzatore senza scrupoli –
assoldano cantori professionisti senza i quali
non riuscirebbero a portare a termine
dignitosamente il programma. Questa
contaminazione della coralità, scontenta tutti:
il professionista che si trova costretto, per
lavorare, a cantare magari vicino a qualcuno
che non è del suo livello, e il cantore
amatoriale che si deprime nell’accorgersi che
senza quegli aggiunti non si sarebbe riusciti a
portare a termine il progetto autonomamente
e bene. Questo vale anche per i concorsi,
quando vi si partecipa sapendo che da soli
non si sarebbe capaci di fare una bella figura
(…di vincere un premio…), e per quei concerti,
spesso con orchestra, che autonomamente un
coro amatoriale non sarebbe in grado di
affrontare.
Combatto da tempo questa scorrettezza e
contaminazione, perché, oltre a tutto il resto,
toglie lavoro ai complessi professionali –
inserendo qua e là qualche complesso ibrido
a basso costo – e snatura la bellezza e la
purezza del coro amatoriale.
Non fatevi infettare dal virus della vanità e
dell’ambizione smodata e malsana, rimanete
integri in una posizione, qualunque essa sia,
professionale o amatoriale, ma pura e
duratura.
la scuola polifonica
veneziana del ’5OO
scuo
polif
e la cappella ducale
della basilica di san marco
di Domenico Innominato
La musica nella Venezia del Rinascimento fu
considerata l’espressione artistica più
rilevante per il governo della città, tanto che
la Capella ducale della Basilica di San Marco
era il servizio più curato (e costoso) della
Serenissima, autentica pupilla della vita
culturale di tutta la repubblica. Gli artisti che
ne facevano parte erano alle dirette
dipendenze dei tre principali funzionari della
Serenissima, il doge e i procuratori di San
Marco.
Un irripetibile cocktail di eventi e di favorevoli
circostanze politiche, economiche, sociali e
culturali, non solo facilitò nel primo trentennio
del Cinquecento le sorti del servizio musicale
della repubblica, ma sostenne anche un
prodigioso sviluppo nell’ambito creativo.
Dopo la scomparsa di papa Leone X (1521) e
a seguito del Sacco di Roma del 1527 da
parte dei Lanzichenecchi (durato un anno
intero) la lunga tradizione musicale della città
papale si indebolisce, Roma si svuota quasi
completamente dei molti e importanti
musicisti stranieri, alcuni dei quali si
trasferiscono a Venezia. Nei primi anni del XVI
secolo la città lagunare è invece prosperosa,
con un governo stabile, essa diviene ben
presto anche un importante centro di editoria
musicale. Accorrono compositori da ogni
parte d’Italia per beneficiare di questa
innovazione da pochi anni inventata; nella
Venezia del ’500 operano tutti gli stampatori
più bravi e famosi: Ottaviano Petrucci da
Fossombrone (la tecnica per stampare musica
risale alla fine del Quattrocento, inventata dal
Petrucci, che opera a Venezia dal 1490 al
1509 e dal 1536 al ’39), Scotto, Gardano,
Vincenti, Antico, Giunta; anche i compositori
d’oltralpe, fiamminghi, tedeschi e francesi,
considerati i migliori d’Europa, vennero
numerosi a Venezia.
A metà del XV secolo Venezia era uno fra i
52
più importanti centri europei, la magnificenza
era cosa di tutti i giorni; in città vivevano
circa 170.000 abitanti. Egemonici negli scambi
mercantili via mare, i veneziani
commerciavano ed erano rispettati in tutto il
mondo (ancor oggi il loro più tipico saluto
“s’ciavo/schiavo vostro” contratto in “ciao” è
conosciuto in ogni nazione che si affaccia sul
mare!). Il patriziato veneziano raggiunse verso
metà Cinquecento il numero massimo di 2000
persone, appartenenti alle 150 famiglie
detentrici del potere politico-amministrativo.
Nel 1523 il doge Andrea Gritti inizia un’opera
di rinnovamento (Renovatio), riguardante la
supremazia di Venezia sia in campo politico
(Auctoritas) sia in campo artistico:
nell’architettura, con il Sansovino, nella
pittura, con Tiziano e con Tintoretto e,
naturalmente, nella musica. Il belga Adrian
Willaert (Bruges, Fiandre, ca. 1490 - Venezia,
1562), già cantore al servizio degli Este a
Ferrara e a Milano, è nominato nel 1527
Maestro della Cappella Ducale di San Marco,
è la massima autorità musicale della città. Il
fiammingo rimarrà in carica per 35 anni, fino
alla sua morte.
Il secondo fattore, ancora più importante per
l’evoluzione dello stile polifonico veneziano,
fu l’esistenza in basilica di due organi e di
due alloggiamenti per il coro: a sinistra
guardando l’altare, a cornu (spigolo)
Evangelii, si trovava l’organo principale, lì
cantava la maggior parte della cappella; a
destra, a cornu Epistulae, c’era un organo di
più modeste dimensioni, deputato ad
accompagnare piccoli gruppi o solisti. Proprio
in questo periodo (1520-30), molti musicisti
veneti – fra cui va ricordato soprattutto il
maestro di cappella del duomo di Padova
Ruffino d’Assisi – percepiscono in modo
nuovo l’unicità acustica della basilica con i
suoi spazi, “adattando” a tali peculiarità le
proprie composizioni. Sviluppano uno stile
musicale che mette a profitto l’eccezionale
permanenza del suono (la “coda sonora” è di
ben sei secondi!) causata sia per la
particolare conformazione architettonica della
chiesa sia per le caratteristiche riflettenti
delle pareti, completamente rivestite di
mosaici dorati. Attraverso la tecnica del “coro
battente” (o spezzato, o doppio), sorta di
esecuzione vocale, corale e strumentale
dall’effetto stereofonico ante litteram, nella
quale la sorgente sonora proviene appunto da
più localizzazioni (solitamente due, ma anche
quattro o più, come testimoniano le note
di spesa per i falegnami, impiegati per la
costruzione di palchi suppletivi ove
disporre gli eccellentissimi musici
ingaggiati per le celebrazioni delle
solennità più importanti, prima fra tutte
la festa dell’Ascensione o della Sensa) lo
stile veneziano si sviluppa in esecuzioni
antifonali, a risposta, in cui i diversi
gruppi di cantori accompagnati da
strumenti musicali cantavano in alcuni
momenti in opposizione, in alternanza, e
in altri assieme, riuniti dal suono dei due
organi.
Questa fortunata combinazione di eventi
e di circostanze concorse – con il passare
degli anni e il perfezionarsi della tecnica
di scrittura – alla creazione di musiche
dalle sonorità policrome, fastose, mai
udite, in uno stile originale, ripreso dai
musicisti di tutta Europa (dalla Germania
alla Francia, dalle Fiandre alla stessa Roma…)
che noi moderni siamo consueti chiamare
“scuola veneziana”.
Occorre però rilevare che il Willaert, principale
musico della Serenissima, assunse per queste
innovazioni un atteggiamento di diffidenza.
Saranno i suoi allievi, schiera di grandissimi
musicisti, ad affinare la tecnica, portandola ai
massimi livelli espressivi.
Lo stile polifonico del Willaert è un mirabile
compendio fra la straordinaria maestria
fiamminga del contrappunto (da punctum
contra punctum, nota contro nota, è l’arte di
comporre intrecciando molte linee melodiche
indipendenti una dall’altra), basata
principalmente su inflessibili paradigmi
matematici e alcune caratteristiche
prettamente italiane più connesse
all’espressione poetico/musicale quali, ad
esempio, la “più facile” cantabilità, l’impiego
di armonie “più gradevoli” all’orecchio, il
rispetto della declamazione testuale nel fluire
ritmico della melodie. Connubio perfetto fra
tecnica, arte e scienza!
Le novità creative non bastano, Willaert
migliora la struttura musicale della cappella,
selezionando per l’organico ducale il meglio
che poteva offrire il mercato nel campo degli
esecutori. Ecco, ad esempio, come si svolgeva
l’esame d’ammissione per il posto di
organista:
«Prova solita per esperimentar li organisti che
pretendono di concorrere a l’organo nella
chiesa di s. Marco in Venezia.
Antonio Canal
detto il “Canaletto”,
San Marco: il transetto
nord e la cantoria
“a cornu Epistulae”
(1766, penna e acquarello,
Kunsthalle, Hamburg,
Germania).
Adriano Willaert,
maestro della Cappella Ducale
della Basilica di San Marco
choraldisC
Primo si apre il libro di Capella, et a
sorte si trova un principio di Kyrie, o
vero di Motetto, et si copia mandando
a l’organista che concorre, il quale
sopra quel sugeto (soggetto), ne
l’istesso organo vacante bene sonare di
fantasia regolatamente, non
confondendo le parti, come che quattro
Cantori cantassero.
Secondo si apre il libro de canti fermi
pur a sorte, et si copia un Canto fermo,
o d’introito o d’altro, et si manda al
deto organista, sopra il qual deve sonar
cavando le pie parti, facendo il deto
canto fermo, una volta in Basso l’altra
in Tenore, poi in contralto, et soprano,
cavando fughe regolatamente et non
semplici accompagnamenti.
Terzo si fa cantar la Capella de Cantori,
qualche versetto di compositione non
troppo usitata, la qual deve imitare et
rispondergli, si in tuono come fuori di
tuono: et queste cose fatte
d’improvviso dan chiaro indicio del
valor da l’organista, facendole bene.»
Oltre a essere un musicista a tutto
tondo e con notevoli capacità
organizzative, Willaert – come
accennato – ebbe la fortuna di condurre
la Cappella Ducale per 35 anni: la sua
autorità nella vita musicale della città
fu totale e perdurò per moltissimi anni
anche dopo la sua morte; non solo per
la sua autorevolezza o per la posizione
di assoluta egemonia resa dalla sua
carica, ma anche perché il fiammingo fu
maestro di importantissimi musicisti
– organisti, compositori e maestri di
cappella – delle generazioni successive:
Cipriano De Rore, Nicolò Vicentino,
Gioseffo Zarlino, Andrea Gabrieli e,
attraverso la mediazione di
quest’ultimo, il nipote Giovanni
(Gabrieli), a sua volta maestro di
Giovanni Della Croce e di Heinrich
Schütz (Köstritz, 1585 - Dresda, 1672);
quest’ultimo venne a Venezia per
imparare l’Arte: «Andai a trascorrere i
primi anni di apprendistato della mia
arte presso il grande Gabrielli (sic), oh
dei immortali! Se l’antichità, così ricca
d’espressione, l’avesse conosciuto,
l’avrebbe messo al di sopra di Anfione
e se le muse prendessero marito,
Melpomene non avrebbe voluto altro
sposo che lui, tanto è grande nell’arte
del canto». Il musico di Dresda esportò
in seguito lo stile dei cori battenti nella
Germania del Seicento, di lì a poco, un
altro astro – il più grande e importante
di tutti – splenderà luminoso nel
firmamento della musica, raccogliendo
nei suoi Motetten la tradizione, l’eredità
musicale che fu di Schütz, Johann
Sebastian Bach.
Alla morte di Willaert la direzione della
cappella passò a Cipriano De Rore
(Ronse, Fiandre 1515 - Parma, 1565),
suo allievo, che la tenne per due anni,
fino al 1565, quando gli subentrò il
teorico Gioseffo Zarlino (Chioggia, 1517
- Venezia, 1590), autore del più
importante trattato musicale del tempo,
Le Istitutioni armoniche, nel quale le
regole per ben comporre vengono
codificate e organizzate.
De Rore, il Divin Cipriano, apporta
anch’egli degli importanti contributi allo
stile polifonico veneziano. Introduce
una quinta voce nella composizione
profana per eccellenza, il madrigale, e
indirizza il cromatismo (passaggi
accordali e/o melodici contenenti scale
di semitoni) a finalità espressive,
cercando di far rispecchiare la poetica e
53
l’atmosfera del testo scelto nella
propria polifonia. La raffinata
declamazione musicale, variegata
ritmicamente, con dinamici passaggi a
note negre (vale a dire figure dai valori
più brevi, le “crome”, da cui proviene
inizialmente il termine “cromatico”,
adoperato in seguito anche per indicare
le sfumature di colore dovute
all’impiego dei suoni alterati), non
raggiunse tuttavia gli estremi toccati
dagli allievi italiani di Willaert i quali,
recependo le innovazioni introdotte dai
loro antesignani fiamminghi, le
reinterpreteranno nei cori antifonali,
diffondendo lo stile della scuola
veneziana in tutta Italia. Con l’uscita di
scena di Cipriano De Rore inizia una
fase nuova, è ora la volta dei
“veneziani”: Andrea Gabrieli (Venezia,
1510-1586), il nipote Giovanni (Venezia,
1557-1612), entrambi organisti in San
Marco, il maestro di cappella Giovanni
Della Croce “Chiozzotto” (Chioggia,
1557 - Venezia, 1609), il compositore e
cornettista Giovanni Bassano (?, ca.
1560 - Venezia, 1617); sono
l’espressione più rappresentativa di
questo ultimo squarcio di secolo.
«In questa fase il gioco
contrappuntistico delle parti dissimula
[...] ogni difficoltà di problemi tecnici. Il
senso dell’accordo è in armonico
equilibrio con l’agilità del contrappunto.
Le dissonanze [...] sono accortamente
impiegate come mezzi espressivi
corrispondenti a un’approfondita
penetrazione psicologica.» (Massimo
Mila, Breve storia della musica, Einaudi,
Torino, 1993)
Ed è proprio con i “Tre Giovanni”,
Gabrieli, Bassano e Della Croce, che si
raggiunge l’apice creativo, la Cappella
Ducale è al massimo splendore, forte di
36 elementi fra cantori, organisti e
strumentisti. Le loro composizioni
policorali si impongono per novità
d’impostazione, ancora d’impianto
polifonico, ma più ricche ritmicamente,
con un impiego esteso di note ribattute
(un’autentica novità per il mondo
contrappuntistico!) che rende vitale la
musica eseguita in basilica. Sonorità
fastose, che ben rispecchiano lo stile di
vita della città; cosa rendeva quella
54
Ritratto di Annibale Caracci
(circa 1600), Gemäldegalerie,
Staatliche Museen zu Berlin
Frontespizio
e prima pagina (altus)
della raccolta Musica nova
di Adrian Willaert
musica così attraente, tanto da
richiamare in città musicisti da tutta
Europa? Sicuramente l’avvolgente
effetto acustico, i variegati colori
composti dall’inaudita mescolanza
dei suoni dei cori, degli organi, degli
squillanti strumenti, principalmente
d’ottone, cornetti e tromboni, suoni
fatti più per colpire l’immaginazione
dei fedeli che il loro spirito. Il papa,
Roma e Palestrina sono ben lontani!
L’epoca musicale successiva – dal
1613 – è caratterizzata dalla
presenza a Venezia di Claudio
Monteverdi; in San Marco il
cremonese si adopera per migliorare
l’attività della cappella, componendo
appositamente per essa e
sperimentando vie nuove: di lì a
poco la polifonia cederà il passo alla
monodia accompagnata, il basso
non sarà più “spezzato” (polifonico)
ma, sostenendo l’armonia, dovrà
essere “continuo”. Le innovazioni
compositive introdotte saranno un
punto di riferimento basilare per i
compositori delle generazioni
successive: Monteverdi traccerà un
solco fra la «prima pratica dell’antica
musica» e la «seconda, da
considerare intorno all’armonia»
(lettera a G.B. Doni ? del 22 ottobre
1633), traghettando lo stile a nuove
dimensioni, ma questa, ormai, è
un’altra storia…
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LIGNANO (UD)
29 AGOSTO»5 SETTEMBRE
alla guida della
coralità europea
sante fornasier presidente di europa cantat
di Gianni Vecchiati
«Quel giorno c’ero anch’io». Penso di non
sbagliare nel ritenere di avere vissuto un
momento straordinario per la nostra coralità
nazionale partecipando all’assemblea di
Europa Cantat tenutasi a Sofia (Bulgaria) nei
giorni 13 e 14 novembre e poter pertanto
prendere la licenza di usare una già sfruttata
frase. Ma andiamo per ordine…
Dopo la mia partecipazione all’assemblea
2009 di San Sebastian (Paesi Baschi) ho
accolto con piacere l’opportunità di ripetere
l’esperienza di valicare i confini della coralità
locale per approdare in una dimensione
realmente europea.
A Fiumicino ritrovo con piacere i vicepresidenti
Feniarco, Alvaro Vatri e Piefranco Semeraro, e
Carlo Pavese con i quali attraverserò
l’Adriatico.
ASSOCIAZIONE
57
All’arrivo al Park Hotel Moskva di Sofia ad
accoglierci, come sempre, un iperattivo
Lorenzo Benedet.
Appena il tempo di lasciare le valigie in
camera per non perderci il concerto di
benvenuto che invece, nonostante tutto,
perderemo a causa delle difficoltà a
comunicare con i tassisti bulgari e della
lascerà il segno nella storia della coralità
europea.
Dopo una lenta maturazione negli anni
viene accolta con unanime favore la
fusione tra le due principali federazioni
europee: Europa Cantat e Agec
(Arbeitsgemeinschaft Europäischer
Chorverbände) che da oggi guarderanno
loro apparente scarsa conoscenza della
propria città.
Il nostro riuscirà a portarci a destinazione
per gli applausi finali mentre Lorenzo e
Carlo rinunceranno tornando in hotel.
All’uscita dell’auditorium incontriamo Sante
Fornasier, i coniugi Coda Luchina, Giorgio
Morandi, Federico Driussi, Alessandro
Cadario, Krishna Nagaraja, Riccardo Bianchi
e insieme torniamo in hotel per la cena.
A tavola l’argomento non può non toccare
le imminenti elezioni del Board e pare
avvertire già la ricerca di una soluzione
sicuramente non semplice.
In ogni elezione è sicuramente difficile
trovare la convergenza di opinioni, di
esperienze, di interessi, di gap
generazionali, ma c’è la convinzione che la
comune passione per le attività corali
riuscirà senz’altro a dare dei buoni frutti ed
esprimere la sintesi migliore.
Vedremo.
La mattina di sabato 14 trascorre in un
sereno esame dei punti all’ordine del
giorno arrivando così, dopo l’approvazione
del bilancio, al primo avvenimento che
insieme al futuro come European Choral
Association - Europa Cantat.
Il tempo di un caffè e di nuovo in sala per
la presentazione delle strategie 2010-2013
e le future iniziative, tra cui Torino 2012.
Seguono le elezioni che avvengono con
rapidità subito dopo l’auto presentazione
dei candidati al Youth Committee e al
nuovo Board.
L’assemblea procede (distratta?) nell’attesa
del “verdetto delle urne”.
La comunicazione dell’esito avviene poco
dopo e porterà la conferma alle avvisaglie
percepite.
È comunque in parte una sorpresa il
grande consenso ricevuto dal presidente
della federazione italiana che balza così in
vetta tra gli eletti.
Diffusa soddisfazione e non solo da parte
della nostra delegazione per la
dimostrazione di unanime stima nei
confronti di Sante Fornasier… e forse
qualche sua preoccupazione per i possibili
successivi sviluppi. Le congratulazioni
piovono copiose.
Il pomeriggio come sempre è dedicato ai
58
lavori e così, mentre il neoeletto
Board si riunisce per l’attribuzione
delle cariche, assistiamo alla
conferenza “Il canto, benedizione per
il corpo e lo spirito”; ci distribuiamo
poi verso le aule dei tre workshops.
Partecipo insieme a Pierfranco e ai
coniugi Coda Luchina al workshop
“Fare musica con i disabili e fare
musica con un handicap” con la
partecipazione di un coro
professionale di non vedenti della
città di Sofia.
L’unicità della formazione composta
in gran parte da persone colpite da
handicap visivo e la buona
performance cui abbiamo modo di
assistere colpisce i presenti che
sollecitano il direttore e due coristi
non vedenti con varie domande.
Certo, la sensibilità e l’umanità dei
componenti di una simile formazione
non può lasciare indifferenti.
Al termine dei workshops, dopo una
breve pausa, ci rechiamo alla
Bulgaria Concert Hall per il concerto
di gala, dove tre cori bulgari (sezione
CORALITà ITALIANA… INTERNAZIONALE!
Il salto in alto è una disciplina sportiva che a molti sembrerà
giustamente avere nulla a che vedere con la coralità, ma
l’immagine è perfetta per raffigurare il progresso e
l’affermazione dell’associazionismo corale italiano – e quindi
più in generale della coralità italiana – in meno di dieci anni.
Davvero la situazione di oggi supera le aspettative di
chiunque, tra noi, abbia dedicato tanto tempo e tanta buona
volontà alla coralità.
Ancora negli anni a cavallo del duemila la Feniarco (fondata
nel 1983) – e con essa la coralità italiana – nutriva scarsa
considerazione fuori dai nostri confini. I notiziari corali
internazionali dell’epoca (EC Magazine di Europa Cantat e ICB
- International Choral Bulletin di Ifcm) rarissimamente
citavano un coro, un direttore di coro, un evento corale, un
compositore, una partitura corale in lingua italiana.
Dopo il 14 novembre scorso, data di elezione del nuovo
Board della federazione europea dei cori Europa Cantat,
possiamo riassumere le presenze internazionali italiane in
questo breve elenco:
–Sante Fornasier: presidente di Europa Cantat;
–Carlo Pavese: membro della Music Commission di Europa
Cantat;
– Riccardo Bianchi: membro della commissione giovanile
(Youth Committee) di Europa Cantat, successore di
Alessandro Cadario;
–Andrea Angelini: direttore dell’International Choral Bulletin
(ICB) della Ifcm;
–Enrico Miaroma: uno dei sedici consulenti (advisors) del
Board di Ifcm.
E naturalmente non dobbiamo dimenticare le manifestazioni
italiane di livello internazionale come Alpe Adria Cantat,
settimana internazionale di canto corale con l’abbinato
International Study Tour, l’Accademia europea per direttori di
coro e cantori di Fano, il Seminario europeo per giovani
compositori di Aosta. E come ignorare la presenza di così
tanti cori italiani all’Europa Cantat Festival di Utrecht
nell’estate 2009?
…Perdonate eventuali dimenticanze o omissioni, prove
inconfutabili del grande numero e varietà di attività corali
internazionali di origine italiana.
Se ne è fatta di strada per arrivare preparati sul campo di
gara! Giudicate voi se tutto questo non è pari a un record di
salto in alto (m. 2.45? non sono un esperto…)!
Del resto… Bravi si diventa! E non è una presuntuosa
auto-laudatio. È sicuramente «…un riconoscimento per il
buon lavoro realizzato in questi anni dalla Feniarco, di
concerto con le associazioni regionali corali che la
costituiscono, stimolando e valorizzando la qualità della
coralità amatoriale italiana, ed è allo stesso tempo un
attestato di stima e di fiducia nella persona e nella
professionalità di Sante Fornasier». C’è forse, allora, da
cullarsi sugli allori di questo passato recente?
Certo che no! Il futuro è impegnativo; in parte è già segnato.
Sulle attività “minori”, più ordinarie (perché già sperimentate
e comunque riprogrammate per la loro importanza), sovrasta
l’Europa Cantat Festival 2012 a Torino, impegno immane (si
prevedono fino a 5000 partecipanti) a cui Feniarco sta
lavorando alacremente e a cui i singoli cori, cantori, direttori
di coro, compositori italiani devono cominciare a pensare
concretamente.
Con tutto questo, come si può dar torto al vicepresidente
Feniarco Alvaro Vatri quando ci ricorda che «…non è più
tempo di indugi, né ci sono più alibi. In un certo senso la
nostra coralità ora è “in vetrina”, con tutto quello che questo
può significare»? Si legge e si dice spesso che bisogna
“pensare globalmente e agire localmente” ed è bene che
questa mentalità si diffonda sempre più. La spinta in questo
senso di Sante Fornasier – già da quasi un decennio
presidente della Feniarco e ora presidente di Europa Cantat
(20 milioni di cantori, direttori di coro e compositori da 40
paesi europei vi sono coinvolti) – si dimostra forza vincente.
E non è ancora tutto! C’è di più!
L’assemblea di Sofia ha deliberato la fusione (preparata dal
precedente Board presieduto da Jeroen Schrjiner cui va un
sincero pensiero di gratitudine e un saluto) di Europa Cantat
e di Agec (Arbeitsgemeinschaft Europäischer Chorverbände)
nella nuova European Choral Association - Europa Cantat.
La fusione è un fatto di grande importanza poiché le due
ASSOCIAZIONE
giovanile del Coro Maschile di Sofia,
direttore Adriana Blagoeva; Coro da
Camera della Chiesa di S. Trinità di
Sofia, direttore Elianka Mihaylova;
Coro da Camera di Sofia Vassil
Arnaudov, direttore Theodora
Pavlovitch) ci delizieranno con
splendide performance.
Al termine, avviandoci verso il locale
dove verrà offerta la cena, riceviamo
le prime indiscrezioni: pare che gli
eletti abbiano fortemente voluto
Sante Fornasier presidente…
La gioia e la soddisfazione
cominciano a pervaderci e la
conferma ufficiale arriva poco dopo,
quando seduti a tavola avviene
l’ingresso del Board al completo e la
comunicazione dei risultati.
Convinzione comune è che l’unanime
associazioni primigenie in questo modo convogliano
conoscenza, esperienza attività e mezzi nell’unica grande
forza associativa europea, la più grande nel nostro vecchio
continente (grazie anche al presidente dell’Agec, Michael
Scheck, per la lungimiranza e il vero amore che dimostra
verso la coralità in generale. Con un calice di buon Brunello
di Montalcino… Salute!).
Anche il perfezionamento di questa fusione nel 2010 e l’avvio
della nuova associazione ai primi del 2011 cadono sotto la
presidenza dell’italiano Sante Fornasier. Inutile dire che
cadono un po’ anche sulla coralità italiana che al nuovo
presidente deve essere vicina non solo con gli auguri verbali
del momento, ma con un vero sostegno che deve
manifestarsi nella collaborazione diretta richiesta e in attività
locali proprie, di levatura artistico-sociale sempre più elevata.
Auguri coralità italiana! Auguri presidente! Auguri coralità
europea.
W la coralità!
Giorgio Morandi
59
voto espresso dagli eletti abbia
voluto premiare sicuramente la
persona, il suo lavoro per la coralità
e i risultati conseguiti alla guida di
Feniarco, riconoscendogli il ruolo di
garante delle varie componenti della
nascente associazione europea e trait
d’union tra le generazioni.
Un riconoscimento ampiamente
meritato ma probabilmente
impensabile solo qualche tempo
addietro e per questo voglio ripetere
«quel giorno c’ero anch’io».
Sono certo che nel prossimo triennio
il neoeletto presidente saprà
dimostrare la bontà della scelta
mettendo in campo le proprie
capacità organizzative e relazionali,
la forza del made in Italy e di una
struttura collaudata che potrà
sostenerlo nel suo cammino europeo.
L’incarico a cui – lo posso
testimoniare – Sante ha cercato di
sottrarsi per nulla togliere alla nostra
Feniarco in termini di tempo e di
impegno, è anche una dimostrazione
di stima nei confronti di tutta la
coralità italiana e per questo
dobbiamo darci da fare, Torino 2012
è vicina.
Il resto del viaggio è cronaca…
60
Gli orizzonti della coralità italiana
L’assemblea Feniarco a San Vito al Tagliamento
di Sandro Bergamo
L’assemblea autunnale di Feniarco si è tenuta questa volta a San Vito al Tagliamento: per due
giorni – sabato 17, presso la sala consiliare del Comune di San Vito, e domenica 18 ottobre,
presso Palazzo Altan, che ospita la sede della federazione – i rappresentanti di 19 associazioni
(erano assenti solo l’Umbria e la Liguria) hanno dibattuto un fitto ordine del giorno che ha
spaziato sui più diversi temi caldi del momento. Più che tracciare un riassunto della discussione,
è importante in questa sede cogliere alcune linee di tendenza sul percorso che la nostra
federazione sta compiendo, così come sono emersi dai temi dibattuti nell’assemblea.
Ogni assemblea semestrale di Feniarco è una foto della coralità italiana, colta da diverse
angolature, tante quante sono le tipologie di coro, i generi musicali, le regioni di provenienza.
Un mondo che si conferma ricco di fermenti, in un cammino non certo senza di ostacoli, ma per
i quali le associazioni regionali e la federazione nazionale hanno acquistato esperienza
sufficiente per elaborare una strategie e credibilità per sostenerla presso le istituzioni.
Una credibilità che si fa sentire a livello internazionale: a metà ottobre nessuno immaginava che
di lì a un mese un italiano avrebbe presieduto la federazione Europa Cantat, ma intanto si
potevano registrare diverse nomine, tra le quali quella di Enrico Miaroma quale Board Advisor di
Ifcm e di Andrea Angelini quale direttore della rivista della stessa federazione. Il fatto che si
tratti di nomine non scaturite da designazioni di Feniarco ma da scelte autonome dell’Ifcm non
toglie importanza alla presenza sempre più ampia di italiani negli organismi internazionali,
anche se pone il problema di coordinare maggiormente l’azione di tutti, raccordandola sempre
meglio a quella della federazione del suo insieme.
Apertura, peraltro, reciproca, quella tra coralità italiana e coralità europea: se i nostri docenti
sono sempre più presenti in occasioni come il Festival Europa Cantat, anche i nostri
appuntamenti si aprono alla collaborazione: da qui la decisione di ospitare un docente straniero
alla prossima edizione del Festival di Primavera, l’olandese Rogier Ijmker, che guiderà l’atelier
vocal-pop per le scuole superiori.
Sul fronte interno, va registrato positivamente come sempre più la federazione e le associazioni
regionali diventino il riferimento delle istituzioni che vogliono dialogare con il mondo corale.
Se da un lato sono sempre più le regioni che prendono come interlocutore unico l’associazione
corale regionale, anche le istituzioni dello Stato vedono in
Feniarco ormai l’elemento capace di coagulare il mondo
corale e, come si vedrà, non solo quello.
Significativo, il progetto Paci, su cui il presidente Fornasier
ha relazionato all’assemblea: un censimento del patrimonio
culturale immateriale rappresentato dalle tradizioni popolari
e dagli artisti di strada, di cui il ministero dei beni culturali
ha voluto incaricare Feniarco. Anche se economicamente
non rilevantissimo, il progetto, di cui titolare è l’Unesco, è
di estrema importanza e affidandolo alla nostra federazione
il ministero ne riconosce la capacità operativa e il livello
professionale.
Ma i progetti Aps, ormai due all’anno da diverso tempo,
sono lì a testimoniare in modo ancor più corposo il
rapporto instauratosi con le istituzioni. Archiviati quegli
degli anni passati, tra i quali ha lasciato un particolare
segno il Bilancio Sociale col volume che ne è scaturito,
Marco Fornasier, che ne è il responsabile, ha illustrato in
particolare uno di quelli in corso, InDirection, che ha
ASSOCIAZIONE
61
rappresentato un’occasione importante di crescita per decine di direttori partecipanti al forum e
che proprio a partire dalla settimana che vedeva l’assemblea nazionale riunita a San Vito
avrebbero tenuto una serie di incontri in tutta Italia per trarre un bilancio del lavoro svolto. Le
conclusioni del progetto sono previste per febbraio. Già avviati, intanto, altri due progetti:
Archivicorali.net, per creare un archivio delle partiture a disposizione di Feniarco e delle
associazioni regionali, e Armonia di voci, per la creazione di un festival delle minoranze
linguistiche presenti sul territorio italiano. Sullo sfondo, altri progetti che sono già stati
presentati e attendono l’approvazione del ministero.
Nel corso dell’anno Feniarco ha esercitato una capacità di aggregazione anche al di fuori della
coralità, diventando punto di incontro tra altre realtà del mondo amatoriale, come bande e
gruppi folkloristici, in occasione dell’esame di un disegno di legge governativo in materia. Un
tema sul quale Sante Fornasier aveva avuto già modo di relazionare all’assemblea. Questo rende
ancora più attuale il rapporto della nostra federazione con alcuni settori della coralità.
L’assemblea ha esaminato le relazioni con la Federazione Nazionale dei Pueri Cantores e con la
Südtiroler Sängerbund, che riunisce i cori altoatesini di lingua tedesca, stabilendo di
sottoscrivere un protocollo di intesa con le due associazioni. Più complesso il rapporto con
realtà meno istituzionalizzate, come i cori parrocchiali e quelli scolastici, sui quali ogni decisione
è stata rinviata a successivi approfondimenti. Rimane l’importanza di un ambito vastissimo, che
costituisce una specie di retroterra per la nostra coralità, alla quale, soprattutto a quella
scolastica, la nostra federazione ha già rivolto molte iniziative. Un rapporto più strutturato non
può che beneficiare gli uni e gli altri…
Non poteva mancare, naturalmente, lo spazio per Europa Cantat 2012. Il presidente Sante
Fornasier ha riferito dell’incontro avuto pochi giorni prima, il 15 ottobre, a Torino, dove ha
potuto riscontrare un’adesione convinta da parte delle istituzioni. I problemi logistici da risolvere
non sono indifferenti e non vanno sottovalutati. Ma soprattutto fin d’ora si deve intervenire per
stimolare i cori italiani a partecipare a questo importane appuntamento, a trarre tutti i benefici
possibili da questa occasione. È questo l’invito rivolto dal presidente e dai vicepresidenti a tutta
l’assemblea, il compito che attende da qui ai prossimi due anni tutte le nostre associazioni
regionali, per portare a Torino tutta la coralità italiana.
Una considerazione finale si può fare sul clima instauratosi. Frequentando da alcuni anni le
assemblee nazionali di Feniarco, vedo un po’ alla volta sciogliersi ogni elemento di separazione
tra le diverse associazioni regionali. Sempre più i componenti dell’assemblea mi appaiano i
membri di una associazione nazionale che discutono di problemi comuni secondo un intento
condiviso e sempre meno i rappresentanti di realtà autonome federate. Uno spirito unitario che
non potrà che far bene alla nostra azione al servizio della musica corale in Italia.
l’energia
della musica
alpe Ad
alpe adria cantat 2009
di Alessandro Vatri
Anche quest’anno Feniarco ha organizzato la settimana internazionale di canto corale Alpe Adria
Cantat. Per la dodicesima volta, cantori di tutte le età e della più diversa provenienza si sono radunati
a condividere nel nome della musica e dell’amicizia gli ultimi giorni di un’estate corale particolarmente
intensa, che ha visto il movimento corale italiano partecipare da protagonista al Festival Europa Cantat
di Utrecht. Tra il 30 agosto e il 6 settembre, circa 300 tra cantori e accompagnatori hanno popolato il
villaggio Ge.Tur. di Lignano Sabbiadoro, cornice ormai consueta della settimana cantante. Il complesso
si è prestato – ancora una volta – ottimamente allo scopo, offrendo, oltre ai suoi chilometri di spiaggia
privata, numerosi spazi utilizzabili come sale prova e da concerto, sparsi fra le sue numerose strutture
di accoglienza e ricreative, e confermandosi luogo ideale in particolare per i numerosi bambini che
hanno partecipato ad Alpe Adria Cantat 2009.
Undici le nazioni presenti: oltre all’Italia, anche Austria, Belgio, Francia, Germania, Norvegia, Romania,
Russia, Spagna, Svezia e Ungheria erano rappresentate da cantori arrivati in gruppo o singolarmente.
Internazionale, ovviamente, anche il corpo docente: oltre che dai “nostri” Roberta Paraninfo, direttrice
ASSOCIAZIONE
dell’atelier di Musica per cori di bambini e corso per direttori,
e Antonio Spagnolo, che ha tenuto il corso di Musica della
scuola veneziana, Alpe Adria Cantat 2009 ha visto la presenza
del tedesco Thomas Kiefer (Musica romantica) e dello
statunitense Robert Ray, trascinatore del popolarissimo atelier
– circa 100 partecipanti – di Spiritual & gospel. Alta la
partecipazione anche all’atelier di Roberta Paraninfo, che nelle
poche ore a sua disposizione ha saputo coinvolgere e fondere
in un coro le voci di ben 66 bambini provenienti da gruppi e
realtà diverse. Colta e intrinsecamente difficile la musica
proposta da Antonio Spagnolo, il cui atelier ha richiamato
coristi più esperti ma dalla differente formazione musicale e
ha progressivamente decollato nello svolgersi della settimana.
Sarebbe stato difficile per chiunque, infine, resistere al
fascino dell’atelier tutto al femminile di Thomas Kiefer: la
scelta del repertorio, raffinato e poco frequentato, ha
incontrato l’apprezzamento generale tanto dei partecipanti
quanto del pubblico del concerto finale.
Le attività musicali e sociali nell’ambito di Alpe Adria Cantat
2009, come ogni anno, non si sono esaurite con le sessioni
quotidiane degli atelier. Uno dei momenti più divertenti delle
giornate corali è stato il canto comune, condotto ogni sera da
un docente diverso, che ha così avuto modo di proporre un
assaggio del proprio repertorio anche ai partecipanti iscritti
agli altri atelier. Un modo rilassato, ma molto coinvolgente, di
esplorare per un’ora un nuovo orizzonte musicale, nonché
un’occasione per fare nuove conoscenze oltre al di là dei
confini del proprio atelier.
La condivisione e l’affiatamento non sono mancati neanche
nel “backstage” della settimana cantante: il quartetto dei
docenti ha agito da squadra fin dall’inizio, spalleggiato e
sostenuto dai rappresentanti di Feniarco presenti a Lignano e
dall’efficienza e allegria dello staff. Non ce ne vogliano gli altri
collaboratori, ma è impossibile non segnalare il successo
dell’amico Paul Mariuz, che grazie alle sue travolgenti e
imprevedibili prestazioni da interprete è diventato prestissimo
63
uno dei volti più noti e più amati dai partecipanti ad Alpe
Adria Cantat 2009.
I gruppi corali intervenuti come tali alla settimana cantante
hanno avuto la possibilità di esibirsi di fronte agli altri
partecipanti nei concerti serali. Il concerto di apertura è stato
tenuto da due cori ospiti, il Genova Vocal Ensemble e lo
JanuaVox, entrambi diretti da Roberta Paraninfo. Dalla sera
successiva in poi è stata la volta dei cori partecipanti alla
settimana cantante. Rompere il ghiaccio è spettato al coro di
bambini InControCanto di Arezzo, diretto da Gianna Ghiori, al
Rauma Musikkskoles Ungdomskor di Åndalsnes (Norvegia),
diretto da Torkil Klami, e al coro femminile da camera
Ozarenie di Mosca, diretto da Olga Burova. Il 2 settembre a
calcare il palco della Sala Blu sono stati il coro Armonia di
Sebes (Romania), diretto da Adriana Comsa Haber, e il Nacka
Musikklasser di Nacka (Svezia), sotto la guida di Daniel
Möller. Come da consuetudine, gli stessi cori hanno
partecipato anche a concerti nel territorio attorno a Lignano:
il 4 settembre il Nacka Musikklasser si è esibito a Fiume
Veneto (Pn), il coro Armonia e il Rauma Musikkskoles
Ungdomskor a Trieste (insieme al coro del liceo scientifico
G. Galilei della stessa città, diretto da Roberta Ghietti Pulich),
mentre il coro Ozarenie e i catalani del coro Estudi XX di
Terrassa, diretti da Rosa Maria Ribera, hanno tenuto un
concerto a Vazzola (Tv) insieme al coro locale San Giovanni,
diretto da Camillo De Biasi.
Giusto in tempo per rientrare, rilassarsi e prepararsi al gran
finale di sabato 5 settembre: il concerto di chiusura al
villaggio Ge.Tur., con le esibizioni di tutti gli atelier e il canto
comune finale, diretto da Roberta Paraninfo e da uno
scatenato Robert Ray, con l’accompagnamento al pianoforte
dell’ottimo jazzman Denis Feletto, che ha assistito l’atelier di
spiritual e gospel per tutto il corso della settimana cantante.
Un altro momento in cui emersa tutta l’energia della musica,
tutta la gioia di cantare insieme e lo spirito di amicizia e
condivisione che ogni anno rinnova la magia di Alpe Adria
Cantat. Il miglior viatico ai festeggiamenti finali e il miglior
modo per darsi l’arrivederci ad Alpe Adria Cantat 2010.
Adria
2009
64
A COLLOQUIO CON I DOCENTI
a cura di Sandro Bergamo
In occasione della settimana di Alpe Adria Cantat, abbiamo intervistato il corpo docenti per sondarne aspettative e impressioni
sul lavoro degli ateliers ma anche, più ampiamente, sullo stato attuale della coralità nei suoi diversi aspetti. Riportiamo in
questa sede queste brevi chiacchierate dalle quali emergono interessanti spunti di riflessione…
Roberta Paraninfo
docente dell’atelier di Musica per cori di bambini
L’atelier per voci bianche è anche quest’anno affollatissi­
mo. Dunque la musica corale è ancora in grado di dire
qualcosa ai ragazzi di oggi?
Senz’altro! La musica è un nutrimento indispensabile
nell’esistenza. Detto questo, l’esperienza di condivisione,
collaborazione e unione che può dare il cantare in coro, sono
la più gustosa ed emozionante ricetta perché possa durare
tutta la vita.
Anche in Italia i cori di voci bianche, i cori giovanili, i cori sco­lastici
non sono più una rarità. Cosa è cambiato in questi anni?
Tanti aspetti si potrebbero far emergere, voglio privile­giarne
uno: è cresciuto l’interesse dei compositori italiani nel
produrre opere per l’infanzia e per i giovani. Opere di
altissima qualità sia per i contenuti testuali che per quelli
musicali, composizioni attente e mirate, che offrono ai
di­rettori la possibilità di condurre i piccoli e i giovani
attraverso un corretto e stimolante percorso di crescita.
Sviluppare il senso estetico dei coristi con proposte musicali
in­teressanti e complete favorisce il terreno per la proposta di
repertori di altre epoche, come quella rinascimentale, ad
esempio, ricca di intramontabili opere che ampliano gli
orizzonti della conoscenza e del gusto.
Feniarco ha lavorato molto in questa direzione. Cosa è stato più
efficace: la formazione, l’attività editoriale, eventi come il Festival di
Primavera…?
Tutto quanto è stato e viene proposto è necessario in egual
misura: la formazione dei direttori è fondamentale, ma lo è
altrettanto favorire la circolazione del repertorio, senza il
quale anche il più bravo direttore è perduto! In­f ine, ma non
per importanza, gli incontri e lo scambio di ascolto
alimentano la crescita dei giovani, il loro orecchio critico e la
possibilità di condividere, in preziosi momenti osmotici di
dare-avere, i valori umani, creativi e sociali, che la musica
trasmette loro.
considerata ancora un’attività “di nicchia”, è il far­si popolare,
cercando di non snaturarsi e di non perdere la qualità,
attraverso i mezzi di comunicazione di massa (televisione,
radio, internet…). Aggiungo che, per creare buoni ascoltatori
e coltivare l’interesse di chi, crescendo, vorrà far musica, è
indispensabile ampliare nettamente le proposte musicali
nell’ambito scolastico: quindi incentiva­re la realizzazione di
corsi di formazione per insegnanti o per esperti che, con
didattiche adeguate, siano in grado di operare direttamente
sul gruppo classe.
Antonio Spagnolo
docente dell’atelier di Musica della scuola veneziana
Anche quest’anno l’atelier di musica veneziana registra un
buon numero di presenze. Perché la musica veneziana continua
a essere la preferita tra le scuole italiane?
L’interesse che la musica veneziana suscita negli appassionati
di coralità è, a mio parere, strettamente connesso alle
innovazioni da essa introdotte nei decenni conclusivi del XVI
secolo. Le composizioni policorali veneziane del XVI secolo
furono il più importante fenomeno musicale in Europa e
influenzarono moltissimo la musica europea di quel periodo.
Una nuova concezione dello spazio sonoro fu elaborata
partendo dalle caratteristiche architettoniche di San Marco e
lo stile antifonale divenne l’elemento strutturale della nuova
polifonia veneziana. L’introduzione di strumenti colle voci,
l’indicazione in partitura delle dinamiche, con la tavolozza di
colori che ne consegue, completano un affresco sonoro di
dimensioni e fascino ineguagliabile.
Molti anche gli stranieri, più della metà...
Sappiamo che la cultura musicale è più diffusa nei paesi
europei di quanto non lo sia da noi, la partecipazione di tanti
coristi provenienti da altre nazioni ne è un esempio. La loro
presenza, la loro passione, il loro entusiasmo uniti a quelli
degli amici italiani permetterà di creare un clima ideale per
uno studio e approfondimento proficui.
alpe Adria c
Che fare per essere ancora più efficaci nel far crescere la coralità
tra i più giovani?
Parlando con una mia giovane corista, è sgorgato da lei un
suggerimento che trovo realistico: ciò che manca alla coralità,
Sembra tuttavia che la polifonia sia trascurata dai cori.
Anche nei concorsi le esecuzioni sono poche e spesso
insoddisfacenti. Eppure per decenni, almeno in Italia, è stata
ASSOCIAZIONE
65
proprio la coralità amatoriale a mantenere viva la polifonia
antica…
docente dell’atelier di Spiritual & Gospel
Lei sa che per eseguire correttamente la musica polifonica
sono necessari tanti elementi la cui costruzione richiede
tempo e competenze, inoltre alcuni repertori richiedono una
vera professionalità di difficile acquisizione in contesti
amatoriali. È certamente compito dei giovani direttori
suscitare entusiasmo e mantenere viva la tradizione e a essi
vanno rivolte tutte le attenzioni perché proseguano nel
cammino intrapreso nei decenni trascorsi dai loro colleghi più
anziani, con rinnovato slancio!
Lei è già stato presente a diverse edizioni di Alpe Adria.
In questi ultimi dieci anni, trova qualcosa di diverso nel
mondo del gospel europeo?
C’è ancora più entusiasmo e interesse tanto per il canto
spiritual quanto per il gospel. Il gospel è estremamente
popolare negli Stati Uniti, così come in Europa.
In che direzione si sta evolvendo il gospel in America?
In America sta prendendo sempre più piede il gospel
moderno contemporaneo. C’è uno stile tradizionale, e c’è uno
stile moderno, con armonie più estese e strumenti diversi,
con una forte influenza della musica contemporanea.
Quanto è legato il gospel alle sue origini afro-americane
e cosa cambia nel trasferirlo a un pubblico e a degli
esecutori europei?
Mi sono reso conto che alla gente piace fare musica, a
prescindere da cosa sia. Per un po’ il gospel è un mondo
nuovo, poi si impara e ci si adatta, anche nell’arco di una
sola settimana.
Che cosa pensa del gospel cantato dagli europei?
Anche in America ci sono diverse maniere di cantare il
gospel: gli europei hanno il loro stile, ed è assolutamente
valido, non devono tentare di imitare gli americani.
In America il gospel viene eseguito solo in ambito
liturgico o viene proposto anche in forma di concerto e per
questo non necessariamente con valenza religiosa?
Assolutamente sì: si esegue in sale da concerto, locali
notturni, teatri… dappertutto, non solo in chiesa. In ogni
luogo e in ogni orario, senza perdere la propria valenza
religiosa. È solo un contesto diverso, e perfino gli
evangelizzatori vanno nei locali notturni a cantare gospel per
portare la gente in chiesa!
Thomas Kiefer
docente dell’atelier di Musica romantica
Nell’anno di Mendelssohn, è proprio una sua composi­zione
ad aprire il fascicolo dell’atelier di musica romanti­ca. È solo un
omaggio al calendario?
È una semplice coincidenza. Provenendo dalla Germa­nia,
quando si parla di musica romantica, non è possi­bile
prescindere da alcuni autori, come Rheinberger o
Mendelssohn. Tanto più se ci si trova di fronte a un atelier
interamente costituito da voci femminili.
Quali criteri l’hanno guidata nella scelta dei brani?
Innanzitutto mi ha guidato la bellezza delle composizio­ni. Poi
ho cercato di rappresentare i diversi aspetti del
romanticismo, sia per la provenienza nazionale dei com­
positori, sia per i caratteri dei brani, che, contrastando l’uno
con l’altro, cercano di cogliere i diversi caratteri della musica
romantica: c’è il brano veloce e quello lento, c’è il brano
legato e quello staccato, il brano sentimen­tale e quello
vivace… Con un gruppo di ragazze giovani, sarebbe stata
difficile una scelta selettiva, incentrata su un unico aspetto
del romanticismo.
cantat 2009
Può sorprendere l’inclusione di autori come Busto o Alfvén…
Al di là della cronologia, non sono certo autori d’avan­guardia.
Lo stile di Alfvén è completamente romantico. Anche Busto,
benché sia un compositore del XX secolo, rimane legato
all’esperienza del romanticismo.
Robert Ray
66
Giovani direttori x giovani voci
di Paola De Maio
corista del coro laboratorio dell’accademia di
Fano
5ª Accademia europea per direttori
di coro e cantori. Vi sembra la solita
cosa sentita e risentita, noiosa e
monotona? Vi assicuro che è stato
ben diverso! Quella fredda settimana
di settembre trascorsa nella piccola
cittadina di Fano, in provincia di
Pesaro-Urbino, è stata, forse, fin
troppo breve. Tutti quanti noi cantori,
di ritorno ognuno dalle proprie
vacanze estive, al mare, in
montagna, in luoghi esotici o capitali
europee, non ci aspettavamo di certo
di trascorrere una settimana
all’insegna del lavoro, ma allo stesso
tempo anche del divertimento e della
buona musica.
Forse non tutti sanno bene in cosa
consista l’accademia di Fano e
pensano di poterlo facilmente
immaginare, invece di sicuro si
sbagliano. Il canto ci ha impegnati
mattina, pomeriggio e sera, ma mai
un gruppo di “poco-più-cheventenni” ne fu tanto felice. Certo, lo
studio di noi cantori e dei giovani
direttori iscritti quest’anno non è
stato da poco: il repertorio vocal pop
scelto per questa quinta edizione
dell’accademia era sì piacevole, ma
per nulla semplice come si potrebbe
erroneamente credere. Qualcuno di
noi partecipava per la prima volta a
un coro laboratorio, altri ne avevano
già avuto esperienza in passato, ma
rendersi conto del lavoro di
precisione e qualità che fa un
direttore è sempre qualcosa di nuovo
e “seguire” quello che in ogni
istante, in ogni battuta, cerca il
direttore è sempre una conquista.
Non posso non dire due parole sul
protagonista di questa settimana di
istruzione e spettacolo: il maestro
Fred Sjöberg che, insieme al suo
collaboratore Stefan Berglund, ha
contribuito a rendere lo studio del
repertorio vocal pop ancora più
piacevole. Addirittura il riscaldamento
vocale della mattina era momento di
svago! Inutile dire che grazie a lui, i
direttori sono stati tutti in grado,
l’ultima sera, di reggere l’esecuzione
di un grande spettacolo.
Sembra banale, ma il ricordo più
presente è di sicuro il concerto finale
nel teatro della città di Fano… Teatro
che ha fatto il tutto esaurito entro
mezzogiorno (anche queste sono
piccole soddisfazioni!). Si è spaziato
da Stevie Wonder, Elton John, Eric
Clapton, Queen… fino alle musiche
italiane di Bersani, Raf, Negramaro.
Mi permetterete senz’altro di elogiare
un pochino anche noi cantori; un
gruppo di giovani ognuno con la
propria vocalità, ognuno con il
proprio background, ciascuno con il
proprio spirito, le proprie emozioni,
reazioni, ognuno con il suo stile,
messi “per la prima volta” tutti
insieme su un palco con un unico
comune obiettivo: la musica. Ognuno
ha respirato l’esperienza e la
professionalità dell’altro e in appena
una settimana eravamo un coro al
cento per cento! Tutti noi, anche chi
leggerà anche solo per curiosità
questo articolo, sa benissimo quanto
sia fondamentale ai giorni nostri dare
spazio alla musica dei giovani (e il
mio giudizio non è di parte
nonostante sia una “poco-più-cheventenne”). Sembra facile retorica,
ma la musica può fare molto e
vedere che anche i nuovi direttori
che si avvicinano alla fresca polifonia
delle voci giovanili sono giovani a
loro volta è rincuorante.
Ho ripetuto più volte che questa
settimana non è stata come tutti se
la potrebbero immaginare: abbiamo
intuito che si è cantato, fatto
spettacolo, studiato e, come è
normale che sia tra amici, riso,
ASSOCIAZIONE
scherzato, giocato. Ma non vi ho
ancora detto che un altro ricordo
importante che rimarrà sarà la
complicità raggiunta tra noi cantori e
i direttori. È stato incredibile come la
musica sia riuscita a fare da “livella”
(citazione di una famosa poesia di
Totò che è parte della mia cultura
partenopea e per questo
concedetemela) e a renderci tutti
amici. Non ci credete? Beh, allora vi
dirò che la prova di ciò sono le
serate passate tutti seduti per terra
in cerchio sul lungomare di Fano
improvvisando giochi; sono le
imitazioni incredibilmente realistiche
di tutti i direttori, compreso il
maestro Sjöberg, che i vari miei
colleghi cantori hanno partorito con
totale spontaneità dimostrando di
essere degli artisti veramente
completi; la prova è la sorprendente
autoironia con cui i direttori hanno
accettato tutto ciò. Infine, la prova
sta anche su facebook, nel racconto
di una partita di calcetto tra coristi e
direttori a cui hanno partecipato tutti
e di cui non svelerò in questa sede i
più arcani segreti.
Insomma, credo di parlare a nome di
tutti dicendo che l’esperienza
dell’accademia di Fano ci rimarrà per
molto tempo dentro per tutti i motivi
sopra raccontati e per molti altri
ancora che sono gelosamente
nascosti nel profondo di ognuno di
noi. Dal mio personalissimo punto di
vista approfitto per ringraziare la
Feniarco e in particolare il maestro
Alessandro Cadario che nei suoi
infiniti viaggi nell’accogliente
cittadina di Salerno ha scovato
quattro ragazzi e li ha portati con sé
in questa unica esperienza dandoci
la possibilità di crescere e di far
conoscere anche quella parte
meridionale dell’Italia che solo da
poco si sta rendendo conto di quanto
sia bello “fare coro”.
Ovviamente tutto questo è stato
scritto per dire che siamo prontissimi
a fare tanto altro, siamo pronti per
cantare insieme in tante altre
occasioni che spero ci saranno e,
perché no, siamo pronti a far
risuonare una volta di più la
città di Fano.
67
Direzione
come leadership
direzio
leaders
Si conclude il progetto nazionale InDirection
di Annarita Rigo
Feniarco da sempre si impegna nella promozione
di numerose iniziative come festival, concorsi,
rassegne, manifestazioni culturali, incontri e
convegni, progetti di promozione sociale dediti al
sostegno e alla valorizzazione del mondo corale.
Per la federazione nazionale questa sfida è in
continua evoluzione e il progetto InDirection ne
costituisce una prova concreta. Una ricerca
sperimentale innovativa per idee e modalità di
realizzazione, nata dalla collaborazione tra
Feniarco e il Dipartimento di Psicologia della
Comunicazione dell’Università Cattolica del Sacro
Cuore di Milano e realizzato con il contributo del
Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche
Sociali.
Fulcro dell’iniziativa il direttore di coro, il suo
ruolo e le dinamiche di interrelazione con il
gruppo coro. Il confrontarsi ininterrotto del
direttore con i coristi coinvolge non solo il
rapporto tra gesto e suono, ma anche la relazione
interpersonale che esso instaura con ogni corista
e con il coro inteso come unità. La sua figura è di
fondamentale importanza per l’esistenza della
realtà corale. Il direttore è un musicista e, al
tempo stesso, è guida di un gruppo, educatore,
formatore, organizzatore di concerti e di eventi.
Tutti questi ruoli richiedono sicuramente
un’adeguata preparazione.
L’idea progettuale di InDirection è nata come
risposta alla particolare esigenza dei direttori di
disporre di strumenti adeguati a governare
situazioni di natura non-musicale all’interno del
ASSOCIAZIONE
proprio coro quali: capacità nel motivare
i propri coristi; individuazione di
strategie che facilitino l’apprendimento e
il mantenimento della concentrazione;
risoluzione di contrasti interni che
influiscono negativamente sulle attività
del coro; gestione dell’ansia di gruppo in
occasione dei concerti; relazioni
pubbliche e altre ancora. I temi legati a
queste problematiche spesso sono
sottovalutati dalla letteratura in materia
e dall’offerta formativa esistente mentre,
in altri casi, si citano le importanti
competenze psicologiche relazionali che
il direttore dovrebbe possedere ma con
il limite di presentarle come un fatto
innato e non acquisibile.
La realizzazione di questa ricerca ha
offerto la possibilità di studiare in modo
approfondito le principali problematiche
di natura non-musicale legate alla
direzione di un coro. In particolare la
ricerca si è concentrata sull’analisi delle
strategie che abitualmente vengono
utilizzate per risolvere le criticità, di
conseguenza valutarne l’efficacia e
formularne di nuove, verificare
l’esistenza di esigenze formative
specifiche, non musicali, da parte dei
direttori, potenziare le abilità di
leadership e di gestione delle dinamiche
di gruppo, migliorare la qualità
dell’ambiente di gruppo con ricadute
positive anche in termini musicali. In
particolare il progetto si poneva come
obiettivo primario lo studio di una
cultura della direzione corale che
comprendesse, oltre agli aspetti di
natura prettamente tecnico-musicale,
anche quelli psicologici/relazionali.
Il progetto ha preso avvio in febbraio e
si è sviluppato seguendo due distinti
percorsi: il primo, di natura più
sperimentale, ha coinvolto oltre 80
direttori del panorama italiano
individuati dalle associazioni regionali
sulla base di specifiche indicazioni
fornite da Feniarco; il secondo, di natura
più pratica, ha previsto la realizzazione
di un corso di alto perfezionamento
nella direzione corale che è coinciso con
l’Accademia per direttori di coro e
cantori svoltasi dal 6 al 13 settembre
2009 a Fano (Pu).
Il carattere innovativo di questo progetto
sperimentale si è concentrato
particolarmente sul primo percorso,
condotto dai dott. Fabiana Gatti e
Simone Scerri dell’Università Cattolica di
Milano in sinergia con Feniarco.
La ricerca ha visto innanzitutto la
predisposizione di una piattaforma
comunicativa virtuale all’interno della
quale gli 80 direttori coinvolti sono stati
suddivisi, per tipologia di coro e per
genere, in otto gruppi (di cui sette rivolti
a direttori di coro di tipo “artistico” e
uno rivolto a direttori di coro a valenza
“sociale” tra i quali cori parrocchiali,
dell’università della terza età, psichiatrici
e altri). I direttori iscritti, tra aprile e
luglio, tramite la piattaforma online
hanno risposto ai quesiti di indagine
conoscitiva proposti dai ricercatori e,
come in un vero gruppo di discussione,
avevano la possibilità di leggere e
commentare le risposte date dagli altri
direttori appartenenti al proprio gruppo
instaurando con essi un dialogo
interattivo e fornendo ulteriore
consistenza e qualità alla ricerca.
Successivamente, i direttori attivi nei
focus group online e altri direttori del
panorama nazionale si sono confrontati
direttamente faccia a faccia (face to
face) nell’ambito di alcuni incontri
dislocati sul territorio nazionale nelle
sedi a loro più prossime (Torino,
Castelfranco Veneto, Roma e Bari).
Gli incontri si sono conclusi nel mese di
novembre e i direttori partecipanti,
nonostante gli innumerevoli impegni e
imprevisti, si sono dimostrati
one
ship
69
particolarmente interessati ed entusiasti
della proposta che li ha coinvolti in
primo luogo come persone e non come
tecnici del mestiere. Di sicuro è emerso
che essere leader e guida di un gruppo
non è semplice e che il confronto aperto
su argomenti di tipo psicologico,
relazionale e di gestione delle dinamiche
di gruppo solitamente è limitato e non
viene mai affrontato così apertamente e
approfonditamente. Un aspetto
sicuramente positivo dell’intero percorso
è stata la sinergia e la condivisione di
pensiero che si è creata all’interno dei
gruppi a dimostrazione di quanto
limitato sia lo spazio per affrontare
queste problematiche negli ambienti
istituzionali. Il bisogno di esprimere le
proprie opinioni, le difficoltà e di trovare
assieme strategie concrete condividendo
anche le esperienze personali è stato
ampiamente manifestato dai direttori e i
punti che richiederebbero ulteriori
approfondimenti sono ancora molti.
Ottimo presupposto per continuare a
investire attivamente su questo tipo di
iniziative di cui i destinatari per
eccellenza, i direttori, ne percepiscono la
necessità.
L’intero percorso confluirà in un report
finale che fornirà un’analisi del progetto,
un approfondimento sul tema della
direzione corale e una valutazione degli
obiettivi raggiunti durante la
realizzazione delle fasi. La relazione
conclusiva sarà messa a disposizione
dell’intera rete associativa.
70
Il “riscatto” dei cori maschili
al concorso di Arezzo 2009
di Efisio Blanc
L’evento corale italiano, e forse europeo, più importante di
inizio autunno è sicuramente il Concorso polifonico “Guido
d’Arezzo”, svoltosi quest’anno nelle sue varie articolazioni dal
16 al 20 settembre e dedicato a Paolo Antonio del Bivi detto
Paolo Aretino.
Le varie fasi del 26º Concorso polifonico nazionale e del 57º
Concorso polifonico internazionale si sono tenute ad Arezzo
nella ritrovata sede del Sottochiesa della Basilica di San
Francesco. Seppure un po’ sacrificato per la ridotta capienza
di pubblico (in realtà questo problema si è avuto solo in
occasione delle esibizioni per il Gran Premio), il sottochiesa
risulta dal punto di vista acustico funzionale alle esigenze
foniche dei cori e, rispetto alla pur bellissima Pieve di Santa
Maria, permette un maggiore contatto fra i cori stessi e il
pubblico per la minor distanza fra platea e palco.
Il Concorso nazionale
Credo di non esagerare affermando che l’edizione di
quest’anno del Concorso nazionale ha evidenziato la solidità,
il continuo progresso e l’apprezzabile qualità della coralità
italiana. Gli elementi a sostegno di questa impressione sono:
la partecipazione ben di nove cori che rappresentano
comunque, tenuto conto dell’alto livello del concorso stesso,
uno spaccato della coralità italiana (la larga adesione dei cori
si è avuta forse anche per l’inaspettata soppressione del
Concorso di Vittorio Veneto, uno dei più quotati concorsi
corali nazionali, che si spera possa essere ripristinato per i
prossimi anni); vi è quindi il livello qualitativo dei cori che è
stato medio-alto senza presentare, come è successo in
passato anche in concorsi di alto livello, esibizioni davvero
inascoltabili per la loro scarsa qualità tecnica e musicale;
l’assegnazione da parte della giuria di tutti i premi messi in
palio; il lusinghiero risultato del Coro Città di Roma che, oltre
ad avere ottenuto il primo premio al Concorso nazionale, si è
collocato nella posizione d’onore ottenendo il secondo premio
al Concorso internazionale.
Come è ovvio, i livelli fra i vari cori presenti ad Arezzo erano
diversificati, ma le prime posizioni, come evidenziano anche i
punteggi assegnati (20 punti di scarto fra il primo e il terzo
premio), non distano fra di loro enormemente a riprova di una
certa solidità di preparazione da parte dei cori premiati.
Il primo premio, come già anticipato, è andato al poliedrico
Coro Città di Roma diretto da Mauro Marchetti, un gruppo
dalla solida presenza sonora, che ha sapientemente
diversificato l’organico rispetto al repertorio proposto e che
ha eseguito brillantemente il dinamico brano descrittivo del
contemporaneo Eric Whitacre, Cloudburst (nubifragio) che
introduce elementi di spettacolarità con uso, oltre che di
pianoforte e di percussioni, anche di gesti coreografici.
Raffinata e curata l’esibizione del coro che ha ottenuto il
secondo premio, il coro JanuaVox di Genova diretto da
Roberta Paraninfo, un coro di recente formazione che si
avvale, per le sezioni femminili, del coro femminile Genova
Vocal Ensemble. Il coro della Paraninfo si è distinto per
l’elegante fraseggio, per la cura riservata all’articolazione del
testo e per la freschezza delle giovani voci.
Il terzo premio è stato invece assegnato al Coro polifonico
Madonna della Consolazione di Reggio Calabria diretto da
Luigi Miriello, un coro che per la prima volta sale agli onori
della ribalta nazionale. Si tratta di un gruppo non numeroso
(18 coristi) con apprezzabili qualità vocali, che anche in
questo caso ha differenziato l’organico in base al repertorio e
che si è distinto particolarmente nella non facile esecuzione di
due brani di Paul Hindemith: Trink aus! e, dalla Messa, Kyrie.
Il primo gruppo a mancare il podio è stato il coro di voci
bianche Piccola Harmonia di Venezia diretto da Nicola
Ardolino che però, oltre ad aver conseguito una apprezzabile
quarta posizione, ha ottenuto il premio Feniarco di euro 700
in buoni acquisto per materiale musicale con la seguente
motivazione della giuria: “Per la valenza didattica e culturale
del lavoro svolto con i bambini”.
Questo Polifonico nazionale 2009 ci ha inoltre riservato una
piacevole sorpresa nell’affermazione di cori provenienti
dall’Italia centro-meridionale. Si è spesso detto che la coralità
italiana si esprimeva soprattutto al nord per ragioni storiche e
culturali e in effetti la superiorità numerica dei gruppi delle
regioni settentrionali e di conseguenza anche la loro presenza
nelle competizioni concorsuali aveva in un certo senso
confermato tale impressione. I cori di Roma e di Reggio, ma
anche il coro La Corolla di Ascoli Piceno diretto da Mario
Giorgi e il coro Ad Dei Laudem di Lentini (Sr) diretto da Ezio
Spinoccia (uno dei direttori diplomandi presso la Scuola
Superiore per direttori di coro della Fondazione Guido
d’Arezzo) sono un segnale dello sviluppo e della voglia di
rinnovamento che la coralità delle regioni centro-meridionali
sta esprimendo.
Il Concorso internazionale
Passando ora al “fratello maggiore”, il Concorso
internazionale, bisogna innanzitutto segnalare il successo del
Vokal Akademija Ljubljanana diretto da Stojan Kuret. Il coro
maschile sloveno ha vinto il Gran Premio Città di Arezzo dopo
avere trionfato nella categoria polifonia (sezione cori), nella
rassegna di musica corale contemporanea (la sezione che
CRONACA
prevede l’esecuzione di un’opera scelta tra quelle premiate o
segnalate nell’ambito del Concorso internazionale di
composizione “Guido d’Arezzo”), nella rassegna per periodi
storici: sia per la sezione polifonia classico-romantica, sia per la
sezione polifonia dall’impressionismo ai giorni nostri. I giurati
non hanno quindi avuto modo di sbagliare e più volte hanno
ribadito con i loro punteggi l’eccellenza del gruppo sloveno che
ha ripetutamente convinto pubblico ed esperti per la
professionale prestazione tecnico-vocale e per l’avvincente
musicalità delle loro esibizioni. Non so se sia corretto parlare, a
questi livelli, di esecuzioni meglio riuscite di altre, ma nella
soggettività di chi ascolta mi sembra di poter dire che il coro si
è espresso al meglio nel repertorio romantico eseguendo Beati
Mortui n. 1 e Adspice Domine per coro maschile, violoncello e
contrabbasso, entrambi di Felix Mandelsshon-Bartholdy, e
nell’esecuzione del suggestivo brano di Giovanni Bonato, Crux
fidelis per gruppo corale maschile spazializzato (tra i brani
vincitori del 29° Concorso internazionale di composizione
“Guido d’Arezzo” 2002), con il quale il gruppo sloveno ha vinto la rassegna di
musica corale contemporanea.
Un importante riconoscimento alla coralità italiana è quindi giunto con la
posizione d’onore assegnata al Coro Città di Roma diretto da Mauro Marchetti
che ha ottenuto una conferma di quanto già sancito dai risultati del Concorso
nazionale (si ricorda che i due concorsi, nazionale e internazionale, hanno giurie
diverse). Il coro romano, oltre al secondo premio nella categoria polifonia (cori),
ha ottenuto anche il secondo premio, primo non assegnato, per la sezione
“gruppi vocali”. Se ancora non bastasse, il palmares della compagine romana si
è ulteriormente arricchito del premio speciale della Fondazione “Mariele Ventre”
per il miglior direttore nelle sezioni della categoria B (polifonia) assegnato al
suo direttore Mauro Marchetti. Anche in questo caso un lusinghiero
riconoscimento per la coralità italiana.
Il terzo premio della categoria polifonia (cori) è stato assegnato a un coro
femminile con buon livello tecnico e vocale: il Bøler Vocalensemble di Oslo
(Norvegia) diretto da Vigdis Oftung, coro che ha ottenuto anche il premio
assegnato dalla commissione d’ascolto (ex-aequo con i Cantores Maruli di Split
– Croazia – diretti da Marijo Krnic) nel Festival corale internazionale di canto
popolare. Primo escluso dal podio in questa prestigiosa sezione, a soli punti
6/200 di distanza, è stato il pur bravo Coro Municipal de la Ciudad de Mendoza
di Mendoza (Argentina) diretto da Ricardo Alberto Portillo che si è però visto
assegnare il terzo premio nella sezione “gruppi vocali”.
Il dispiacere per l’esiguità dei cori presentatisi nella categoria voci bianche è
stato però compensato dalla loro qualità, infatti, il Cantemus Chilren’s Choir di
Nyiregyhaza (Ungheria) diretto da Denes Slabo e il Leioa Kantika Korala di Leioa
(Spagna) diretti da Basilio Astulez hanno vinto il primo premio ex-aequo della
categoria con il punteggio di 180,8/200. Il Leioa Kantika Korala è un coro di cui
avevamo già sentito parlare per le sue esecuzioni in cui spesso la coreografia si
inserisce a pieno titolo nel cantare e nel fare musica (si veda l’articolo di Mauro
Zuccante Cori e Dvd video - la musica da vedere sul n. 28 di Choraliter). Da
sottolineare ancora la capacità dei direttori nel coinvolgere i giovani coristi e la
capacità di questi ultimi nel trasmettere la gioia stessa del cantare e nel vivere
la musica che si canta.
Cori di voci bianche o cori giovanili?
Riguardo ai cori di voci bianche sentiti ad Arezzo si possono ancora fare alcune
considerazioni. In realtà, più che cori di bambini si tratta di cori che definirei
71
72
giovanili in quanto composti quasi esclusivamente da
adolescenti la cui età si avvicina al limite massimo previsto
dal regolamento (15 anni). I bambini al disotto dei 10 anni
erano veramente pochi, con conseguenze prevedibili dal
punto di vista della qualità sonora: in questi casi il coro
acquista forse in ampiezza dinamica, ma perde parte di
quella qualità timbrica che fa del coro di voci bianche quello
“strumento” dalla sonorità unica ed emotivamente
impareggiabile.
Nei cori di voci bianche sembrano poi essere spariti i
“maschietti” (ma questo è un problema socio-culturale che
non si presenta da oggi) e anche in questo caso si ha una
perdita non marginale della qualità timbrica.
Il repertorio dei gruppi vocali
Per quanto riguarda la sezione gruppi vocali abbiamo già
detto della classifica, ma vorremmo sottolineare come in
realtà nell’esibizione dei singoli ensemble non si sia ascoltato
praticamente nulla espressamente pensato e scritto per
gruppi vocali; talvolta si è trattato di una riduzione da coro
più numeroso a coro da camera (Coro Città di Roma) o da
coro a voci miste a coro di voci pari (sezione femminile del
coro Coro Municipal de la Ciudad de Mendoza), il che ci
sembra tradire lo spirito e la peculiarità stessa di questa
sezione del concorso. Si potrebbe forse a questo punto
suggerire all’organizzazione del concorso di imporre come
pezzo d’obbligo non già gli stessi brani rinascimentali sacri
previsti per i cori (quest’anno due mottetti di G. Pierluigi da
Palestrina: Nos autem gloriari per i cori misti e Adoramus te
Christe per i cori a voci pari), bensì un brano madrigalistico,
espressamente concepito per un ensemble ridotto o,
addirittura, per l’esecuzione a parti reali. Sicuramente questo
aumenterebbe il livello di difficoltà di questa sezione, ma non
è forse questo uno degli aspetti che differenzia la sezione per
cori da quella per gruppi vocali?
Repertorio rinascimentale e repertorio contemporaneo
L’avere accennato al madrigale rinascimentale ci riporta alla
difficile situazione che questa edizione del Polifonico aretino
ha evidenziato per il repertorio di questo periodo storico. Il
premio speciale per la migliore esecuzione del brano
obbligatorio (uno dei due brani di Palestrina citati sopra) non
è stato assegnato; nella categoria “Rassegna per periodi
storici” il premio speciale per la categoria della polifonia a
cappella dal 1450 al 1600 (che vedeva iscritti tre soli gruppi)
non è stato assegnato (come anche quello della polifonia a
cappella o con basso continuo dal 1600 al 1750); nei
programmi per concorrere al Gran Premio Città di Arezzo è
stato inserito un solo brano rinascimentale (Una hora di T. L.
De Victoria) eseguito dal Cantemus Chilren’s Choir, mentre gli
altri due cori non hanno preso in considerazione il periodo
storico in questione.
Da un certo punto di vista ci può consolare il fatto che la
situazione è cambiata rispetto ad alcuni anni or sono quando
molti cori si cimentavano nel repertorio rinascimentale
ritenendolo fra i più facili (un brano si legge in una sera di
prove!). Forse che ora c’è più consapevolezza della
complessità di questa musica e di quanto debba essere
ampio il lavoro di ricerca interpretativa, soprattutto da parte
del direttore, per ognuno dei brani studiati? Se la realtà fosse
questa sicuramente avremmo fatto un passo avanti. Questo ci
impegnerebbe però di più, soprattutto in quanto coralità
italiana, depositaria di questa preziosa eredità, a incrementare
la formazione rispetto alla musica corale di questo periodo, a
fornire esempi e modelli esecutivi credibili e condivisi, ora
assolutamente mancanti, e a fornire ulteriori occasioni per
esibizioni mirate e possibilità di confronto. La scommessa è
quella di fare in modo che questo repertorio ritrovi sempre i
suoi giusti canoni interpretativi e solo a questo punto i cori
ritroveranno il piacere di eseguirlo e il pubblico le giuste
emozioni nell’ascoltarlo, valorizzando così «…la grande
tradizione, che del resto (cfr. Palestrina) è sempre la più
difficile» (Bruno Zanolini, intervista pubblicata sul n. 29 di
Choraliter).
Al contrario, la musica corale moderna e contemporanea
sembra avere trovato un felice momento, contrariamente a
quanto ancora avviene nell’esecuzione professionale della
musica strumentale (quanti concerti di musica classica
prevedono l’esecuzione di musica contemporanea?). La
sezione “polifonia dall’impressionismo ai giorni nostri” ha
visto ben tredici cori iscritti e anche i brani presentati al Gran
Premio erano per la maggior parti stati scritti dopo il 1900. La
ritrovata possibilità di attivare in questa edizione la Rassegna
di musica corale contemporanea (la sezione che prevede
l’esecuzione di un’opera tra quelle premiate al Concorso di
composizione “Guido d’Arezzo”) con la presenza di due cori,
dopo diversi anni in cui la sezione si era dovuta annullare per
mancanza di adesioni, è un sintomo della buona salute e
dell’apprezzamento di cui gode questo specifico repertorio.
Il Festival di canto popolare
In ultimo, sempre apprezzato e festante il Festival di canto
CRONACA
popolare che ha visto sfilare gruppi
provenienti da nazioni e continenti diversi,
con costumi e canti che testimoniano la
varietà di popoli e di culture che il concorso
di Arezzo rappresenta. Il premio del pubblico
del festival è stato assegnato al Khp Coro
Techniuv di Dasmarinas Cavite (Filippine)
diretto da Steve Collado, caratterizzatosi per
una esibizione davvero folcloristica, nel vero
senso del termine, che ha catturato
l’interesse e la simpatia del pubblico stesso.
Nell’ambito di questo Festival è da segnalare
l’esibizione del quintetto Gruppo Vocale
Concentus di Boves (Cn) diretti da Flavio
Becchis che ha saputo rendere in maniera
originale e quanto mai accattivante i due
brani popolari piemontesi proposti, con
l’utilizzo di costumi e di graziose messe in
scena.
Il “riscatto” dei cori maschili
Un’ultima considerazione sul fatto che il
Polifonico sia stato vinto quest’anno da un
coro maschile (se non erro, nessun coro
maschile aveva mai vinto il Gran Premio sin
dalla sua istituzione): non si dice che i cori
maschili sono in crisi, che molti “chiudono” e
altri non trovano più coristi? Mi si obietterà
che il coro che ha vinto è a un livello non
paragonabile alla media dei nostri cori
maschili, che la maggior parte di questi ultimi
si dedica a un repertorio popolare e che,
quindi, non si possono fare dei paragoni.
Pur condividendo in parte tale obiezione,
credo che il coro di Lubiana possa
rappresentare un modello, anche se ad alti
livelli, per tutti i cori maschili,
73
indipendentemente dal repertorio affrontato:
non è l’organico del coro che ne determina la
qualità! Forse che quel coro è così bravo solo
perché si dedica a un repertorio “classico”?
Forse che non lo sarebbe altrettanto se si
dedicasse a un repertorio popolare? Non
credo la questione stia in questi termini.
Potrebbe però essere l’occasione per porsi
alcune domande: se nel nostro paese i cori
maschili incontrano maggiori difficoltà
rispetto ad altri organici, queste non sono
forse dovute alla preparazione stessa dello
strumento coro? Forse che il repertorio
popolare non esige apparentemente un alto
grado di preparazione per cui i cori che lo
frequentato non sono spronati a migliorarsi?
Forse che il repertorio popolare trova
maggiori difficoltà a inserirsi in un “moderno”
contesto culturale? Forse che una
frequentazione a metà strada fra repertorio
popolare e repertorio “colto” potrebbe
rappresentare una via d’uscita dalle attuali
difficoltà? La questione è aperta e le risposte
non sono così immediate.
Il Guidoneum Festival e i Guidoneum Awards
Non si può infine non parlare di tutte quelle
manifestazioni di alto livello che costituiscono
il “valore aggiunto” del Polifonico.
Il Guidoneum Festival, giunto quest’anno alla
sua terza edizione, ha offerto uno spaccato
della musica medievale con il gruppo
La Reverdie diretto da Claudia Caffagni,
in occasione del concerto di inaugurazione.
Il canto gregoriano ha ritrovato in questo
festival la sua giusta visibilità con il Mediae
Aetatis Sodalicium diretto da Nino Albarosa
74
nel concerto “Omaggio a Guido” (che il
maestro Albarosa ha voluto dedicare
alla memoria del compianto maestro
Tito Molisani).
A questi gruppi professionali si sono
aggiunti i cori invitati per il premio alla
carriera (Guidoneum Awards, seconda
edizione): il St. Jacobs Chamber Choir di
Stoccolma diretto da Gary Graden, il
Kamerinis Choras Brevis di Vilnius
diretto da Gintautas Venislovas, la
Wiener Choralschola di Vienna diretta
da Daniel Mair. Tutti questi cori hanno
conseguito più di dieci anni fa un primo
premio al Concorso polifonico
internazionale (in molti casi hanno poi
vinto il Gran Premio europeo di canto
corale) e sono stati ora richiamati per
testimoniare come tutti i gruppi che
hanno ottenuto in passato premi e
riconoscimenti al concorso aretino
abbiano mantenuto o raggiunto livelli di
eccellenza.
Quest’anno è stato inoltre assegnato
uno Special Award al Coro della Sat
diretto da Mauro Pedrotti, vincitore del
Polifonico nel 1953, anche a volere
affermare il valore assoluto della
coralità, a prescindere da qualsivoglia
repertorio.
Con questo riconoscimento questa 57ª
edizione del polifonico ha rappresentato
un ideale congiungimento fra due cori
maschili: il Coro della Sat vincitore del
Polifonico nel 1953 e il Vokal Akademija
Ljubljanana vincitore nel 2009 del
Polifonico e del Gran Premio Città di
Arezzo. L’augurio è che come allora la
Sat seppe diventare un modello per
quasi tutti i cori maschili italiani, così
oggi il coro di Lubiana rappresenti un
modello per il rinnovamento e il
successo dell’attuale coralità maschile.
57º CONCORSO POLIFONICO INTERNAZIONALE “GUIDO D’AREZZO”
Sezione 3 - Gruppi vocali (da 4 a 12)
Primo premio - Premio “Nino Antonellini” non assegnato
Secondo premio
Coro Città di Roma, direttore Mauro Marchetti (punteggio: 163,6)
Terzo premio
Coro Municipal de la Ciudad de Mendoza (Argentina), direttore Ricardo Alberto Portillo
(punteggio: 153,4)
Seguono in ordine di punteggio
4. Gruppo vocale Concentus - Boves, direttore Flavio Becchis (punteggio: 136,8)
5. Cantores Maruli - Split (Croazia), direttore Marijo Krnic (punteggio: 132,2)
Sezione 4 - Cori (da 12 a 32)
Primo premio - Premio“Agostino e Beatrice Negrotto Cambiaso”
Vokalna Akademija Ljubljana, direttore Stojan Kuret (punteggio: 182,4)
Secondo premio
Coro Città di Roma, direttore Mauro Marchetti (punteggio: 169,6)
Terzo premio
Bøler Vokalensemble - Oslo, direttore Vigdis Oftung (punteggio: 160,8)
Seguono in ordine di punteggio
4. Coro Municipal de la Ciudad de Mendoza (Argentina), direttore Ricardo Alberto Portillo
(punteggio: 154,6)
5. Khp Coro Techniuv - Dasmarinas Cavite (Filippine), direttore Steve Collado (punteggio: 148)
6. Ass. Corale “Sette torri” - Settimo Torinese, direttore Giovanni Cucci (punteggio: 147,6)
7. Female Choir of Tallin University (Estonia), direttore Linda Kardna (punteggio: 145)
8. Oslo Cathedral Youth (Norvegia), direttore Ketil Grøttin (punteggio: 144,8)
9. Monteverdi Kamerkoor Utrecht (Paesi Bassi), direttore Wilko Brouwers (punteggio: 130)
Premio speciale per la miglior esecuzione del brano obbligatorio
non assegnato
Sezione 5 - Voci bianche (da 12 a 32)
Primo premio - Premio “Fosco Corti” ex aequo (punteggio: 180,8)
Cantemus Children’s Choir - Nyiregyhaza (Ungheria), direttore Denes Slabo
Leioa Kantika Kprala - Leioa (Spagna), direttore Basilio Astulez
Sezione 7 - Rassegna di musica corale contemporanea
Premio speciale “Mario A. Bucciolotti”
Vokalna Akademija Ljubljana, direttore Stojan Kuret
Premio della Fondazione “Mariele Ventre”
per il miglior direttore nelle sezioni della categoria B
Mauro Marchetti
Sezione 6 - Rassegna per periodi storici
Premio speciale periodo storico B: non assegnato
Premio speciale periodo storico C: non assegnato
Premio speciale periodo storico D:
Vokalna Akademija Ljubljana, direttore Stojan Kuret
Premio speciale periodo storico E:
Vokalna Akademija Ljubljana, direttore Stojan Kuret
Sezione 8 - Festival Corale Internazionale di Canto Popolare
Premio di assegnato da una commissione d’ascolto ex-aequo:
Bøler Vokalensemble - Oslo, direttore Vigdis Oftung
Cantores Maruli - Split (Croazia), direttore Marijo Krnic
Piatto d’argento offerto dall’Atp di Arezzo, premio assegnato dal pubblico
Khp Coro Techniuv - Dasmarinas Cavite (Filippine)
26º CONCORSO POLIFONICO NAZIONALE
Vincitore
Coro Città di Roma (Roma), diretto da Mauro Marchetti (punteggio: 179,6)
Secondo classificato
JanuaVox (Genova), diretto da Roberta Paraninfo (punteggio: 160,9)
Terzo classificato
Coro Polifonico Madonna della Consolazione (Reggio Calabria), diretto da Luigi Miriello
(punteggio: 159,6)
Seguono in ordine di punteggio:
4. Piccola Harmonia - Venezia (punteggio: 153,6)
5. Ass. Corale “Sette Torri” - Settimo Torinese (punteggio: 151,6)
6. Coro “Ad dei Laudem” - Lentini (punteggio: 144,6)
7. Coro Giovanile Iride - Roma (punteggio: 140,9)
8. Coro Marc’Antonio Ingegneri - Cremona (punteggio: 135,9)
9. Coro “La Corolla” - Ascoli Piceno (punteggio: 133,6)
Premio Feniarco
Coro Piccola Harmonia di Venezia, diretto da Nicola Ardolino
Interattiva, Spilimbergo
in collaborazione con
FENIARCO
Via Altan, 39
S.Vito al Tagliamento (Pn) - Italy
Tel +39 0434 876724
Fax +39 0434 877554
www.feniarco.it
[email protected]
REGIONE AUTONOMA
DELLA VALLE D’AOSTA
Assessorato all’Istruzione e Cultura
COMUNE DI AOSTA
FONDAZIONE ISTITUTO MUSICALE
DELLA VALLE D’AOSTA
SEMINARIO
COMPORRE
EUROPEO
P
E
R
C
ORO
PER GIOVANI
O
COMPOSITORI GGI
DOCENTI
Mia Makaroff •
Pierangelo Valtinoni •
Thierry Lalo •
Carlo Pavese •
Bottega di Composizione per cori di bambini
LABORATORIO DI
COMPOSIZIONE CORALE ORIGINALE
Bottega di Elaborazione
LABORATORIO DI ELABORAZIONE
E ARRANGIAMENTO SU MATERIALI DATI
AOSTA
18-24
luglio 2010
Bottega di Arrangiamento e composizione vocal jazz-pop
LABORATORIO DI ARRANGIAMENTO
E COMPOSIZIONE VOCAL JAZZ-POP
Bottega di Sperimentazione
LABORATORIO COLLETTIVO
DI SPERIMENTAZIONE-ESECUZIONE
76
Notizie dalle regioni
A.R.C.C.
Associazione Regionale Cori Campani
Via Trento, 170 - 84131 Salerno
Presidente: Vicente Pepe
Incontrarsi, conoscersi, confrontarsi
L’Arcc il 17 novembre 2009 ha organizzato presso il Teatro Augusteo di Salerno la XIV
Rassegna regionale Arcc 2009; una serata tutta “nostra” – cioè dedicata interamente alla
proprio associazione – dove l’intera coralità amatoriale regionale ha potuto far sentire il
proprio “importante” valore culturale. Incontrarsi, conoscersi, confrontarsi, è stato stimolante
per i quattordici cori intervenuti e per il pubblico presente, ed emozionante è stato esibirsi
davanti a una folta platea piena di amici e appassionati con cui condividere l’amore per la
musica.
Nelle giornate di sabato 21 e domenica 22 novembre si è poi tenuto nella Chiesa della
Consolazione di Posillipo (Na) il corso per coristi, direttori e professionisti della voce associati
all’Arcc su “Tecnica vocale e prassi esecutiva”, con la presenza di circa 50 partecipanti. Il
corso, tenuto dalla docente Antonella Tatulli, era incentrato sul trinomio parola-ritmo-suono
nell’uso dell’organo vocale e nella sua applicazione artistica. In particolare, sono stati
approfonditi i temi della respirazione, risonanza, articolazione, intonazione, emissione,
espressione.
Infine segnaliamo due manifestazioni che si sono recentemente svolte con il patrocinio
dell’Arcc: il 6º Festival della musica polifonica “Cori in coro” organizzato dall’associazione
Estro Armonico a Salerno dal 17 ottobre al 29 novembre, e il 5º Raduno regionale per cori
polifonici “Natal cantando”, organizzato il 29 novembre a Lancusi (Sa) dal Coro polifonico
San Martino, felice occasione d’incontro tra i coro per prepararsi all’arrivo del Natale.
U.S.C.I. Friuli Venezia Giulia
Unione Società Corali del Friuli Venezia Giulia
Via Altan, 39 - 33078 San Vito al Tagliamento (Pn)
Presidente: Sante Fornasier
Canti e tradizioni natalizie in Alpe Adria
Novanta concerti sono il regalo di Natale che la coralità del Friuli Venezia Giulia offre alla
propria regione: tanti sono gli appuntamenti di questa nuova, straordinaria edizione di
Nativitas, il festival con cui l’Usci Friuli Venezia Giulia chiude il vecchio anno e apre quello
nuovo. Un ampio cartellone che dal 28 novembre al 10 gennaio percorre l’Avvento e le
festività del Natale fino all’Epifania, espressione della ricchezza culturale della regione e
offerta musicale radicata nella storia e nelle tradizioni del suo popolo.
Ma denso di iniziative è stato tutto il periodo autunnale. A fine settembre, la conclusione
dei seminari Voce e consapevolezza corporea, tenuti a Lignano Sabbiadoro dai docenti Paolo
Loss e Bettina von Hacke, con sempre ricca presenza di corsisti. E poi ottobre, mese nel
quale gli appuntamenti con la musica corale si sono infittiti: su tutti, Corovivo - Confronti
corali itineranti del Friuli Venezia Giulia, la rassegna di carattere competitivo che domenica
25 ottobre ha portato a Pasiano di Pordenone 17 cori, che si sono esibiti nei rispettivi
progetti, classificandosi secondo le tre fasce di eccellenza, merito e distinzione e competendo
inoltre per il primo Gran Premio Corovivo, grande novità di quest’anno, assegnato dalla
REGIONI
giuria al coro femminile Clara Schumann di Trieste. E poi c’era l’altra
novità, il Festival Corovivo, che ha preparato il terreno alla kermesse
finale con tre importanti appuntamenti musicali nei teatri di Pasiano,
San Vito al Tagliamento e Azzano Decimo, protagonisti l’insieme corale
Ecclesia Nova di Bosco Chiesanuova, il coro di voci bianche Artemìa di
Torviscosa e il Polifonico di Ruda.
E poi ancora l’assemblea di Feniarco a San Vito il 17 e 18 ottobre, la
presentazione del volume Cjantutis pai fruts n. 2, raccolta di nuove
composizioni per l’infanzia su testi in lingua friulana, realizzato in
collaborazione con la Società Filologica Friulana e – a chiusura del mese
– l’incontro/intervista con il compositore Orlando Dipiazza, a Gorizia il
30 ottobre, per presentare il nuovo volume Florilegium Sacrum antologia corale di musica sacra e per festeggiare con tutto il mondo
corale gli ottant’anni di questo grande autore.
U.S.C.I. Lombardia
Unione Società Corali della Lombardia
Via Santa Marta, 5 - 23807 Merate (Lc)
Presidente: Franco Monego
Delegazione di Bergamo
Un mese di ottobre ricco di iniziative nella provincia di Bergamo,
apertosi sabato 3 e domenica 4 con il 3º Corso per insegnanti e direttori
di coro, tenuto dal docente Mauro Zuccante con la presenza di circa 40
partecipanti. Nell’intero arco del mese si è poi svolta a Sotto il Monte
la decima edizione della rassegna corale e strumentale “In Memoriam”,
mentre il 5º Concorso regionale “Daniele Maffeis” per le corali
parrocchiali lombarde si è tenuto a Gazzaniga sabato 24 e domenica
25, coinvolgendo 13 cori partecipanti.
Delegazione di Varese
In provincia di Varese, a Porto Valtravaglia, il “Concerto d’autunno” di
domenica 4 ottobre, organizzato con il contributo della Pro Loco di
Porto Valtravaglia e il patrocinio del Comune, ha visto eseguire canti
di Bepi De Marzi e brani della tradizione negro-spiritual.
A.E.R.CO.
Associazione Emiliano-Romagnola Cori
Via San Carlo, 25/F - 40121 Bologna
Presidente: Fedele Fantuzzi
Quando la musica fa storia
La tradizionale rassegna musicale dell’Aerco Itinerari di musica corale,
giunta quest’anno alla ventesima edizione e svoltasi a Bologna il 24
ottobre, ha trovato collocazione anche nel 2009 nelle iniziative culturali
organizzate dall’ateneo bolognese per la Festa della Storia. Il tema
proposto dagli organizzatori – “Quando la musica fa storia” – ha avuto
un immediato riscontro nella presenza di tre gruppi che affondano le
radici del loro repertorio in quel patrimonio di storie popolari
rappresentato dai canti delle loro regioni. Le armonizzazioni dei maestri
Giorgio Vacchi e Giacomo Monica per i canti dell’Emilia Romagna e di
Teo Usuelli per quelli abruzzesi, hanno dato forza e vita a uno spettacolo
che ha voluto anche manifestare al Coro della Portella di Paganica (Aq)
77
la convinta solidarietà dei cori emiliano-romagnoli, dopo il tremendo
evento dello scorso aprile.
Si sono inoltre svolti i primi due incontri del corso che l’Aerco ha
organizzato per gli aspiranti direttori di coro della regione Emilia
Romagna. Hanno aderito alla iniziativa 37 iscritti, 10 dei quali uditori.
Il primo incontro tenuto a Bologna in ottobre dalla professoressa
Giovanna Giovannini ha coinvolto gli allievi in una serie di problematiche
legate al tema della fisiologia e della vocalità con numerosi esercizi
preparatori che sono stati molto apprezzati. Il 6 novembre invece tutto
il gruppo si è trasferito a Piacenza per assistere a una lezione del
maestro Mario Pigazzini che, con sperimentazioni eseguite dal suo
coro, ha illustrato ampiamente il grande lavoro che un direttore deve
affrontare nella direzione di un coro di voci bianche.
A.R.C.L.
Associazione Regionale Cori del Lazio
Via Valle della Storta, 5 - 00123 Roma
Presidente: Alvaro Vatri
Didattica, formazione, divulgazione
Si è svolta il 21 novembre, presso il Teatro del Pontificio Oratorio di
San Paolo a Roma, l’assemblea ordinaria dell’Arcl. Il presidente Alvaro
Vatri ha presentato il resoconto sull’attività svolta da settembre e i
progetti per il primo semestre 2010. Nell’occasione sono inoltre stati
consegnati i riconoscimenti “I cori dell’anno” relativi alla stagione
2008-09.
Il 27 settembre, nell’ambito della seconda Giornata Corale organizzata
a Roma presso la Scuola San Paolo, l’Arcl ha offerto ai suoi associati
l’opportunità di trascorrere una giornata coinvolgente e intellettualmente
stimolante attraverso lo svolgimento, durante la mattinata e nel primo
pomeriggio, di sette atelier, sul modello ormai sperimentato da anni
nelle settimane cantanti di Europa Cantat, condotti da Remo Guerrini,
Ermanno Testi, Lucio Ivaldi, Piero Caraba, Walter Marzilli, Giorgio
Monari e Tullio Visioli. Il lavoro svolto è stato poi presentato in una
manifestazione conclusiva a teatro.
È giunta quest’anno alla settima edizione la Giornata di studi in onore
di Domenico Cieri, che il 12 dicembre presso l’aula di musica
dell’Università La Sapienza di Roma ha affrontato il tema “La didattica
della vocalità nella storia”, con interventi dei relatori Antonio Juvarra,
Mauro Uberti, Antonio Rostagno, Francesca La Rosa. La manifestazione
rientra in un progetto triennale, che intende esaminare le premesse
dell’attuale tradizione didattica del canto nella storia dei secoli
moderni affrontando in tre fasi distinte le problematiche legate al
suono (estetica, anno 2009), alle metodologie (storia della didattica
musicale, anno 2010), alle istituzioni (organizzazione della didattica,
anno 2011).
Prosegue inoltre la pubblicazione di Lazio in Coro, l’informatore mensile
dell’Arcl che fornisce informazioni sulla vita dell’associazione, offre
spazi per dibattiti, riflessioni e per resoconti di attività svolte sia
dall’associazione che dai singoli cori, svolge attività di informazione
circa corsi, seminari, concorsi, rassegne e manifestazioni riguardanti la
coralità nella regione Lazio, in Italia e all’estero. Nel mese di novembre
si è provveduto a un restyling grafico del bollettino, avviando un
processo volto alla redazione di un magazine dell’associazione.
78
DISCOGRAFIA&Scaffale
Canti alpini in cornice
di Mauro Zuccante
Chissà come Renato Dionisi avrebbe giudicato l’operazione di calare in un contesto
sinfonico la sua canzone Siam prigionieri. Dionisi era uno che insegnava a togliere,
piuttosto che ad aggiungere. Cavare fino a lasciare l’essenziale.
Una volta, mi fece notare un particolare. Un discreto bicordo sincopato e nulla più
accompagna il secondo tema nel primo movimento della Sinfonia Incompiuta di
Schubert; quel tanto che basta per disegnare il contesto armonico di tonica e
dominante. Due note solamente, per evitare di appesantire e frenare lo slancio
espressivo dell’incantevole melodia dei violoncelli.
Premetto questa osservazione perché la canzone Siam prigionieri di Dionisi è
inserita nel cd Non ti ricordi quel Mese d’Aprile…, che documenta il concerto straordinario che il Coro A.N.A. - Sez. di Milano e l’Orchestra Sinfonica di Milano
Giuseppe Verdi, hanno tenuto il 15 novembre 2008, per celebrare il 90º anniversario
della fine della Grande Guerra. Un progetto che presenta un restyling sinfonicocorale di una collana di tradizionali canti alpini di guerra. Tutte le strumentazioni
orchestrali sono di Giovanni Veneri.
Un’idea non nuova. Risale infatti al 2002 una simile proposta realizzata dal Coro
della Sat in collaborazione con l’Orchestra Haydn di Trento e Bolzano. Nella fattispecie, il programma si può ascoltare nel cd Canti della montagna, contenente
canti popolari della montagna, di guerra, di dolore e d’amore. Il rivestimento orchestrale opera del compositore Armando Franceschini.
In entrambe le circostanze, riedizioni di canti alpini, in cui vengono mantenute le
parti corali degli impianti originali a cappella (per intenderci, quelli delle trascrizioni
dei vari Pedrotti, Pigarelli, Dionisi, Benedetti Michelangeli), ma ulteriormente farcite
con le sontuose sonorità dell’orchestra sinfonica. Insomma, non siamo in presenza
di vere e proprie re-invenzioni musicali sui tradizionali temi melodici alpini. Piuttosto
giustapposizioni e sovrapposizioni. Prodotti diversi da originali rifacimenti sinfonici
dei canti alpini. Si riascolti, a proposito, il magistrale lavoro di Nino Rota per la
colonna sonora del film La Grande Guerra di Mario Monicelli.
Prima di passare all’ascolto del cd Non ti ricordi quel Mese d’Aprile…, provo a ricordare come Dionisi – il quale, a dispetto del nome, era un apollineo – ha elaborato
la melodia Siam prigionieri. Memore della lezione di Schubert, egli stende rare e
diafane pennellate a contorno dell’angosciosa melodia intonata dalle voci gravi, la
quale si spande, sola, nel gelo de «l’ingrato suolo siberian»; un po’ più di colore
usa per sottolineare lo strazio del grido esasperato «Ma quando, ma quando…»;
inserisce uno scarto armonico sul finire e nulla più.
Incuriosito, ascolto la nuova edizione con l’orchestra. Non c’è dubbio, si è perso
il carattere di lontano e scarno lamento che echeggia nella versione di Dionisi. C’è
del tumulto, buriana. Un’altra cosa, insomma. Ascolto l’intero cd e l’impressione
iniziale è confermata.
Pertanto, mi chiedo quali siano le motivazioni che giustificano tutto questo schieramento di mezzi, l’accostamento di coro alpino e orchestra sinfonica. Leggo tra
le righe della presentazione del cd prodotto dalle compagini milanesi, curata da
Angelo Foletto: «Nulla di strano che nella solenne occasione celebrativa del no-
RUBRICHE
vantesimo, e proprio tramite l’iniziativa del glorioso Coro dell’Associazione Nazionale Alpini, il patrimonio popolare tenti la via
della ‘nobilitazione’ (formale, ché la nobiltà di sostanza la interpretano da allora): non per complesso di inferiorità né per
rinunciare a se stessa ma per fare partecipi più persone dei
valori unici, morali e artistici, della sua tradizione e del suo
universo poetico. Non è la prima volta che la coralità popolare
moderna va a nozze con la musica colta, quasi sempre trasferendo gli originali per voci maschili all’orchestra sinfonica, con
o senza coro professionale».
Ora il senso mi è più chiaro. Si tratta di un evento celebrativo
e si tratta di seminare il canto alpino su nuovi terreni. Fare
breccia nei templi del mondo musicale accademico. Legittimo.
In sostanza, si incorniciano le tradizionali cante della montagna,
per farne degli allestimenti più consoni ai luoghi della Haute
Culture. Giuseppe Calliari, chiosando l’altro cd, quello del 2002
del Coro Sat, ha scritto: «La montagna è celebrata con questo
evento da due realtà musicali delle quali essere ha ragione orgogliosi, un’orchestra sinfonica e un coro alpino che rappresenta
dalla sua nascita l’intreccio di popolare e di colto, mai fin qui
incontratesi. Al di là dell’importanza oggettiva del fatto, non
possiamo non leggere il segno che i generi sempre più si intrecciano, si contamino, si intendono. Questa è la prospettiva
estetica nella quale l’oggi si muove».
Quindi, c’è dell’altro. La contaminazione. Quel processo culturale, per cui oggi si mescola di tutto. Ricordo quando (credo
fosse il 1989) ascoltai attraverso la radio un remix techno, il cui
sottofondo era costituito da un canto corale tratto dal folklore
bulgaro. Cercai il cd, e fu così che mi imbattei ne Les mystère
des voix bulgares. Un’antologia di canti popolari bulgari arrangiati per coro di sole voci femminili, nell’esecuzione di uno dei
tanti cori che, a partire da allora, diffusero in Occidente quel
sound dal sapore così arcano e primitivo. Insomma, fu grazie
a un’operazione che aveva evidenti scopi di mercato, che ebbi
l’occasione di conoscere un interessante repertorio.
Sarà così anche per il canto alpino? Forse. Alcuni segni già non
mancano. Oltre ai due cd di cui ho parlato, cito l’incursione di
un paio di cori alpini trentini (il Coro Sant’Ilario e il Coro Valle
dei Laghi) in una recente edizione del Festival di Sanremo, in
cui hanno duettato con la cantante Antonella Ruggiero. In questo caso, però, credo trattasi di una canzone originale. Ma potrei
fare anche altri esempi.
In conclusione, tutto si giustifica, soprattutto in considerazione
degli incroci (più o meno pericolosi) stilistici ed estetici, ai quali
ci ha abituato la realtà musicale attuale. Ma rimane aperta la
domanda iniziale, la cui risposta, ahimé, «soffia nel vento». Renato Dionisi avrebbe condiviso?
79
Musica francescana
di Sandro Bergamo
Una certa agiografia da ebdomadario parrocchiale può far pensare che la cifra musicale del francescano sia quella chitarristica
del presunto frate Cionfoli ed epigoni.
Per nostra fortuna la realtà è molto più seria e lusinghiera.
Oscar Mischiati annotava anzi in un convegno che l’ordine religioso più prolifico dal punto di vista dell’editoria musicale tra
’500 e ’700 è proprio quello del frati minori conventuali. Le loro
grandi e frequentate chiese richiedevano predicazione e liturgia
in consonanza. Mischiati, in quell’occasione, ne annotava oltre
cento: dai più importanti come padre Martini e Costanzo Porta,
alle schiere di loro allievi che popolarono le cappelle musicali
d’Italia. Tanti sono che ne è nata una collana, il Corpus Musicum
Franciscanum, che da decenni il Centro Studi Antoniani di Padova pubblica, raggiungendo, fra testi pubblicati e in preparazione, la bellezza di 141 titoli.
Tra gli ultimi pubblicati, nel corso del 2009, il Magnificat in fa
maggiore a 4 voci con strumenti di Luigi Antonio Sabbatini
(1732-1809), con in­troduzione di Piero Caraba che è anche autore della trascrizione.
Allievo di padre Martini, Sabbatini dopo essere stato a Bologna,
Marino e Roma, giunse a Padova nel 1786, dove rimase fino
alla morte direttore della cappella musicale della Basilica di S.
Antonio. È proprio a Padova, nell’archivio musicale della
Cappella Antoniana, che si conservano gli originali di questa
sua opera, per la quale mancano elementi per una precisa datazione, al di là dei limiti cronologici posti dal servizio prestato
dal compositore nella città veneta.
L’opera di Sabbatini si presenta come un tipico prodotto degli
anni a cavallo tra Sette e Ottocento. Una serie di episodi che
alternano l’omoritmia all’indipendenza delle parti, ciascuno dei
quali corrisponde a un versetto del testo, separato da una o
due battute orchestrali. Un struttura frammentata, dove «un
chiaro intento madrigalistico», spiega il curatore, «fa sì che ogni
singolo versetto abbia caratteristiche ritmico melodiche ed
espressive sue proprie controbilanciate dalle semplici e regolari
figurazioni dell’orchestra, [che] costituiscono l’elemento di coesione, stabilizzano in qualche modo la forma e rendono naturale
il fluire da un episodio all’altro». Il coro a quattro voci, l’orchestra
d’archi e continuo arricchita dalle classiche coppie di oboi e
corni, testimoniano anche della sontuosità del rito che si svolgeva nella Basilica del Santo. Annota Caraba che l’archivio conserva tutte le parti staccate, dalle quali si può ricavare la presenza di 28 orchestrali, due organi e coro di 16 elementi: il rito,
insomma, anche quand’è francescano, non è sciatto.
80
All’altro polo della musica francescana, quello rinascimentale dominato dalla figura
di Costanzo Porta si colloca invece un allievo di quest’ultimo: Ludovico Balbi (15451604). Anche qui siamo in terra veneta, svolgendosi la vicenda di frate Ludovico
tra Venezia, Padova e Feltre. Per la cappella della cattedrale di quest’ultima città,
Balbi scrive nel 1594 i Psalmi ad Vesperas canendi per annum, conservati manoscritti nell’Archivio Capitolare del Duomo. Siamo lontani dal fasto della liturgia
policorale veneta: una scrittura molto essenziale, un sobrio stile alternatim tra le
quattro voci e la schola gregoriana sono la dimensione di quest’opera di Balbi.
Vogliamo qui segnalare il lavoro di valorizzazione di questo compositore che da
anni sta compiendo la Schola cantorum di Santa Giustina (Bl), diretta dapprima da
Alberto Da Ros e ora da Fabrizio Da Ros. Lo facciamo in occasione dell’uscita del
secondo cd (Tactus, 2009) dove la schola, assieme agli strumenti del Daphne Ensemble e all’organista Stefano Lorenzetti, presenta sei salmi del francescano. Dell’interpretazione offerta dall’ensemble bellunese va sottolineata, oltre alla complessiva
buona qualità dell’esecuzione, la cura di variare per ogni salmo l’organico, offrendo
le molte possibili alternative, tutte storicamente documentate (raddoppio
strumentale o a cappella, versetti organistici al posto della schola gregoriana, versetti gregoriani accompagnati all’organo, ecc.) e sfuggendo così al rischio della
ripetitività. La registrazione fa seguito a un’altra, del 2006, cui si accompagnava
la stampa dell’opera per i tipi della Nuova Pro Musica Studium, a cura di Piervito
Malusà. Un progetto complessivo che attende di essere completato da un terzo cd.
Tenendo conto delle proprie radici
di Pier Filippo Rendina
Due nuove pubblicazioni giungono alla re­da­
zio­ne di Choraliter da parte dell’Usci Friuli
Venezia Giulia. Due volumi musicali es­tre­ma­
men­te diversi per repertorio, genere e de­sti­
na­tario, eppure accomunati dalla medesima
volontà di coltivare e valorizzare le proprie
radici culturali.
Aprendo le prime pagine di Cjantutis pai fruts
(“Canzoncine per bambini”), quindicesimo
volume della collana Choraliamusica, sco­
priamo che esso «raccoglie i lavori vincitori e
segnalati alla II edizione dell’omonimo premio
tenutosi nel 2007. Una pubblicazione che dà
continuità ad un concorso storico, finalizzato
soprattutto a fornire nuovi strumenti didattici,
in campo musicale, al mondo della scuola
friulana, con particolare attenzione alla scuola dell’infanzia e alle scuole primarie. Gli insegnanti avranno ora a disposizione
proposte nuove, adatte ai bimbi di età scolare, uno strumento didattico in grado
di conciliare armonicamente educazione musicale e insegnamento dalla lingua
friulana». Citando le parole di Lucio Peressi, referente della Commissione scuola
RUBRICHE
della Società Filologica Friulana – in collaborazione con la quale
l’Usci Friuli Venezia Giulia ha realizzato e presentato questo
volume – le sette composizioni raccolte, peraltro incise da parte
del coro Artemìa di Torviscosa e contenute in un pregevole cd
allegato al volume, sono «il segnale di un nuovo interesse da
parte dei compositori in questo settore artistico». Un segnale,
dunque, che lascia ben sperare per il futuro, nell’ottica della
riscoperta e quindi maggiore diffusione – specialmente tra le
nuove generazioni, così spesso troppo impermeabili al costruttivo confronto con il proprio passato – del patrimonio culturale
insito nella lingua friulana, affinché dal solco della tradizione
possa scaturire un rinnovamento fecondo e consapevole.
Se Cjantutis pai fruts prende le mosse dall’omonimo concorso
di composizione, il secondo volume che qui presentiamo nasce
come “regalo di compleanno” dell’Usci Friuli Venezia Giulia per
gli ottant’anni del maestro Orlando Dipiazza. Con il titolo Florilegium sacrum, questa antologia corale curata da Franco Colussi
– e inserita anch’essa nella collana Choraliamusica di cui costituisce il sedicesimo volume – raccoglie brani inediti scelti tra le
sue composizioni sacre dell’ultimo decennio. Forte è il legame
con le radici profonde della musica occidentale, passato e presente si incontrano e si fondono nelle pagine del maestro aiellese. «Si tratta di musiche», osserva il curatore, «che intonano
testi liturgici o devozionali antichi, in parte “costruite sulla tematica gregoriana non intesa come cantus firmus, ma come
linfa vitale che arriva in tutte le voci infondendo alla pagina vita
e vigore”, in parte tra quelle di sua invenzione, “legate ad una
modalità largamente intesa” (G. Radole)». Ampia la gamma di
scelta per i cori che vorranno accostarsi a questa pubblicazione,
dal momento che «questa antologia […] è costruita all’insegna
di una certa varietas: diverse sono infatti le tipologie di organici
corali cui si rivolge proprio per offrire un’ampia fruibilità […],
diverse le lingue […], diverse infine le possibili destinazioni liturgiche». Una pubblicazione che vuole essere innanzitutto un
omaggio al compositore in occasione dell’importante traguardo
degli ottant’anni e nel contempo il riconoscimento per una vita
spesa al servizio della musica corale.
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MONDOCORO
a cura di Giorgio Morandi
Preghiera alla Musa
Lascia che mi immerga nella musica quando il cuore dentro di me cade.
Fammi sentire le vibrazioni che rimbalzano contro le pareti.
Lascia che la grande musica mi porti i brividi mentre vivo giorno per giorno.
Quando uno strumento suona, fammi sperimentare la bellezza.
Ascolta la mia preghiera o amorevole musa che dà pace alla mia anima in pena.
Aiutami a condividere le tue voci radiose.
Questo sia il mio obiettivo.
Sempre di più, io dico Amen.
Prayer to the muse è il titolo originale di un brano corale.
Sembra, ma non è una preghiera religiosa; ne ha il
carattere.
La parte pianistica emette un sapore antico che attira
l’ascoltatore. Il messaggio è facilmente comprensibile
per un pubblico internazionale.
Il brano può servire come congedo beneaugurate alla
fine di un concerto, ma a me piace metterlo all’inizio di
questa rubrica come augurio ai lettori di Mondocoro per
un nuovo anno ricco di serenità, salute e… musica!
Libri per una corretta pronuncia delle lingue straniere
Il libro di Richard Sheil, A Singer’s Manual of Foreign Language Dictions (Manuale di dizione delle lingue straniere) può
essere acquisito presso Amazon per $ 30. Esso copre le lingue
francese, tedesco, ebraico, italiano, russo, spagnolo e latino,
in un modo conciso e molto utile. Qui e là può presentare
alcune incoerenze, da attribuire probabilmente al fatto di essere una edizione economica, ma per il prezzo e la vasta copertura linguistica è un’opera difficilmente superabile. Probabilmente si avrà la necessità di qualche integrazione, ma nello
studio sarebbe così comunque. Per gli studenti è un ottimo
strumento di lavoro.
Nello stesso campo alcuni direttori di coro raccomandano vivamente la The Singer’s Guide to Languages (Guida alle lingue
straniere per il cantore) di Marcie Stapp, pubblicato da Teddy’s
Music Press. Questo libro è altamente quotato in fatto di praticità. Esso fornisce molti utili suggerimenti a quelle “piccole/
brevi” parole delle altre lingue che mettono in difficoltà quando si deve procedere a una traduzione: pronomi vari, pronomi
e aggettivi possessivi, contrazioni e varie altre parole come
– per es. in inglese – at, to, also, before, which, ecc. L’approccio
alle parole di Marcie Stapp è fresco e onesto. I suoni non sono
gli stessi in ogni lingua. Uno schwa non è sempre solo uno
schwa.
Se, dopo avervi dato un’occhiata veloce, questa Guida… di
RUBRICHE
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Marcie Stapp sembra che sia troppo dettagliata per un principiante, si provi il libro di
Joan Wall, Diction for singers. Esso è molto
più diretto e di facile uso di quello di John
Moriarty, Diction, in quanto ogni lettera in
ogni lingua ha la propria pagina con norme,
ecc. Moriarty tende a fornire abbondanti
informazioni, forse anche troppe. Tuttavia,
Moriarty ha alcuni esercizi eccezionali, soprattutto nella edizione riveduta del 2008. È consigliabile utilizzare il libro di
Joan Wall come libro di testo per lo studente, integrandolo
con gli esercizi di Moriarty là dove è ritenuto opportuno.
ogni aspetto della gestione del coro, dal consiglio direttivo
alla gestione artistica e fino alla gestione complessiva del
gruppo.
Questa nuova e arricchita edizione della guida offre anche
profili reali di direttori di coro e l’accesso esclusivo a una varietà vastissima di strumenti on-line che si possono costruire
a misura del proprio coro, per cui non si dovrà più “re-inventare
la ruota” con articoli di statuto, descrizioni di lavoro, moduli
per la valutazione del Board, ordinanze, contratti di commissionamento, manuali per cantori, budgets, piani di finanziamento e molto altro (eVoice, ottobre 2009, n. 3).
E restiamo perfettamente in tema parlando di…
Guidare un’organizzazione artistica
Tempi duri per finanziare
le nostre attività
Guidare un’organizzazione creativa significa dare agli altri uno
spazio per il loro contributo. Significa, come punto di partenza,
la volontà di accettare molti punti di vista diversi e riconoscere
che chiunque nell’organizzazione, non importa dove si trovi
nella scala gerarchica istituzionale, ha qualcosa di valido da
dire.
…Mentre cerca spazio per il contributo degli altri, un leader creativo deve anche essere cosciente e accettare il fatto di non
avere tutte le risposte. Per molti
questa è la sfida più difficile di
tutte. Dopo essere cresciuti in un
ambiente in cui il progredire è
legato al fatto di avere sempre
le risposte giuste, sembra controintuitivo credere che si possa
andare avanti con strategie alternative. (Robert Sirman, direttore del Canada Council for the
Arts - Consiglio canadese per le arti).
Se scendiamo nel particolare, per quanto ci riguarda direttamente troviamo una…
Guida alla gestione del coro
Dov’è che si possono trovare le risposte alle frequenti domande su una soddisfacente gestione di un coro?
La nuova pubblicazione di Chorus America The Chorus Leadership Guide dà tutto ciò che è necessario per conoscere
Un argomento sul quale praticamente tutti i cori in questo
periodo si trovano a lottare duramente è quello di come affrontare nel migliore dei modi i donatori nel difficile clima
economico che stiamo vivendo. Pertanto qualsiasi suggerimento può essere di aiuto.
Navigando nell’oceano informatico dei cori e del cosiddetto
fundrasing si può trovare il seguente suggerimento: «Chiedi,
ma tenendo presenti quattro cose:
1. l’empatia è opportuna. Riconosci che – in questo momento
– i tempi sono difficili per tutti;
2. fai vedere che anche tu stai tirando la cinghia. Spiega che
cosa sta facendo il tuo coro per ridurre i costi e operare
nel modo più efficiente possibile;
3. sottolinea l’importanza di ogni donazione; poiché stai risparmiando ogni euro possibile, fai capire che quest’anno
una donazione, qualunque sia la sua entità, è importante
più che nel passato;
4. esprimi convinta gratitudine per i contributi passati offerti dal donatore e dimostra concretamente come essi
hanno fatto la differenza! E poi fallo ancora, e ancora di
nuovo. I donatori solitamente non smettono di donare
soltanto perché non hanno danaro. Di solito essi smettono di donare a causa di richieste troppo insistenti e di
scarsità di ringraziamenti. Fai capire al donatore che è lui
che sta permettendo che si realizzino cose molto buone,
e attribuisci a lui il merito di qualsiasi aspetto positivo
tu abbia rilevato nei tuoi programmi» (eVoice, novembre
2009, n. 1).
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Ai giovani (di ieri e di oggi)
Dieci motivi per entrare in un coro
1.Puoi farti sentire. Sei convinto che insegnanti e adulti in genere ti zittiscano
sempre? Nel coro sei vivamente incoraggiato a far sentire la tua voce!
2.Amicizia. Milioni di persone cantano in un coro, quindi sei sicuro di poter
stringere qualche amicizia importante.
3.Puoi vedere il mondo. Molti cori fanno viaggi in luoghi interessanti e
lontani.
4.Puoi iniziare il percorso verso la celebrità. Grandi personaggi hanno iniziato
la loro carriera cantando nei cori scolastici o parrocchiali. Anche il presidente
Usa Obama una volta era un corista.
5.Porterai a casa il massimo dei voti. Un’attenta ricerca dimostra che gli studenti che cantano in un coro sono studenti migliori di quelli che non
cantano.
6.Metterai in luce la tua richiesta di iscrizione alla scuola che ti piace, al lavoro
che preferisci. Gli addetti alla valutazione per l’ammissione amano vedere
che sei impegnato in attività extra-didattiche, specialmente in attività come
quelle corali che sviluppano abilità nel lavoro d’equipe e autodisciplina.
7.Amore. Molti cantori danno appuntamenti alle persone che incontrano nel
coro, poiché la musica, dopo tutto, è il cibo dell’amore.
8.Grattarsi la schiena. Sì, proprio così: grattarsi la schiena! Molti lo fanno come
esercizio di riscaldamento e scioglimento muscoli all’inizio delle prove di
coro.
9.Non c’è nulla da tirarsi dietro. Per cantare non è necessario portarsi appresso
pesanti strumenti o borsoni da palestra. Tutto quello che ti serve è la tua
bellissima voce.
10.Vantarsi a ragione. Non tutti possono vantarsi di essere stati sotto le luci
della ribalta, ma tu potrai farlo perché, ragazzo!, cantare in un coro ti dà la
possibilità di stare al centro e in prima fila.
Conferenza internazionale sul canto
e l’educazione musicale
Raccomandazione ai ministeri dell’educazione, della cultura, della salute e degli
affari sociali e alle organizzazioni musicali internazionali.
Tenendo conto dei lavori compiuti durante la conferenza internazionale Glee of
Centuries – Music Education and Singing (Canto ed educazione musicale) tenutasi a Vilnius in Lituania dal 3 al 6 giugno 2009, noi, i partecipanti provenienti
da 11 paesi, vale a dire Belgio, Canada, Finlandia, Francia, Germania, Lettonia,
Lituania, Norvegia, Svezia, Svizzera, Stati Uniti d’America e Venezuela, basandoci
sulle presentazioni delle conferenze e sui risultati della ricerca scientifica dichiariamo che:
Cantare insieme è un fenomeno educativo, sociale e artistico che assicura la
comprensione interculturale, l’integrazione sociale e il rispetto per gli altri, contribuendo alla salute fisica e mentale dei cittadini e pertanto della società in cui
vivono e lavorano; esortiamo quindi i governi e le organizzazioni musicali a
considerare attentamente e applicare con buona volontà le seguenti raccoman-
RUBRICHE
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spetto per gli altri, la solidarietà sociale, la tolleranza, l’empatia e la lealtà, qualità essenziali per il processo di costruzione della società. Da sottolineare è l’accento sulla diminuzione
della violenza e della criminalità . Pertanto, il canto deve essere incoraggiato e integrato nel servizio alla comunità e nei
progetti di intervento sociale per le famiglie (in fase prenatale
e di prima infanzia) e per gli anziani, nonché per i detenuti e
le altre persone socialmente svantaggiate. A questi progetti
devono essere assegnati finanziamenti in alta priorità e una
leadership professionale qualificata.
Ai ministeri della cultura
Il canto corale è essenziale per la conservazione del patrimonio immateriale e lo sviluppo delle diversità culturali, come
sostenuto dalla convenzione dell’Unesco sulla protezione e la
promozione della diversità delle espressioni culturali. Quindi
ai programmi nazionali e internazionali che sostengono le tradizioni del canto o che utilizzano il canto come strumento per
l’integrazione interculturale deve essere assegnata massima
priorità e attenzione per il sostegno e il finanziamento.
dazioni che suggeriscono modalità per un’azione concreta e
immediata.
Ai ministeri della pubblica istruzione
La ricerca dimostra che cantare insieme contribuisce in modo
significativo al miglioramento della personalità dello studente,
delle prestazioni sociali e delle competenze culturali. Quindi
un programma obbligatorio di canto corale deve essere accessibile a tutti i bambini e ragazzi in ogni ordine e grado di
scuola; lo stesso programma deve essere oggetto di massima
priorità di finanziamento e deve essere dotato di insegnanti
musicalmente e pedagogicamente qualificati.
Ai ministeri della salute
La ricerca dimostra che cantare insieme ha un notevole impatto sullo stato generale della salute fisica, mentale ed emotiva degli individui partecipanti. Pertanto il canto corale deve
essere fortemente incoraggiato nelle scuole, nelle comunità,
negli ospedali, nei luoghi di lavoro e nei centri sociali. Ai programmi di canto deve essere data la massima priorità di finanziamento e allo stesso devono essere preposti insegnanti,
direttori, personale altamente qualificato.
Ai ministeri degli affari sociali
Cantare insieme aumenta il capitale sociale di una cultura
rafforzandone le qualità umane, comprese l’autostima, il ri-
Per le organizzazioni musicali nazionali e internazionali
La ricerca sui benefici del canto corale è stata effettuata a
livello internazionale. Pertanto le organizzazioni musicali, nazionali e internazionali, devono raccogliere, tradurre, diffondere e commissionare ricerche, rinnovando le strategie e sviluppando progetti basati sui risultati. Esse devono utilizzare
i risultati della ricerca per il lavoro di sostegno.
Vilnius, 6 luglio 2009.
Il progetto Unire i giovani nel canto
Uniting Youth in Song è un progetto coordinato da organizzazioni musicali internazionali come la Lansmusiken di Örebro
(Svezia) in collaborazione con Feniarco (Italia), Scic (Catalogna/Spagna), Kota (Ungheria), il Festival Europa Cantat e la
federazione Europa Cantat; è sostenuto dal programma Cultura 2007-2013 dell’Unione Europea ed è stato lanciato a luglio
2009.
La Conferenza sul canto e l’educazione musicale che ha avuto
luogo all’inizio di luglio 2009 (e di cui si è riferito più sopra
in questa rubrica) è stato l’evento iniziale del progetto.
Esso è stato poi seguito da una serie di attività per cori di
bambini e di giovani nella cornice del XVII Festival Europa
Cantat realizzato a Utrecht la scorsa estate. Tra l’altro è proprio
qui a Utrecht che si è riunito anche il Consiglio Direttivo con
i rappresentanti dei partners del progetto.
www.ectorino2012.it
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readyTOsing
Great and joyful
vocal festival
torino
Singers and choirs
from all over the world
Ateliers of
all vocal genres
Open
Singing
Famous
international
conductors
ready
sing
More than
100 concerts
Italian music,
art, culture
and… food!
Meetings
& friendships
RUBRICHE
Altre attività organizzate nel 2009 sono state l’Accademia europea per direttori di coro a Fano (Italia) e un Seminario per
direttori di cori per ragazzi tenutosi a Örebro (Svezia) e conclusosi a Stoccolma nello scorso mese di ottobre.
Ulteriori progetti, fra cui due Hearts-in-Harmony (a marzo in
Ungheria e a maggio in Catalogna/Spagna) seguiranno nel
2010 e 2011.
Per informazioni più dettagliate su questo progetto si digiti
www.swicco.se per entrare nel sito di Lansmusiken, principale
coordinatore del progetto.
87
suggerimenti innovativi».
Novità, anche per chi da qualche anno segue personalmente
questo tipo di eventi, è stata la parte di assemblea svoltasi
con la suddivisione dei partecipanti in gruppi di studio che
hanno affrontato i seguenti temi specifici: sviluppo dei progetti in corso e di progetti nuovi; associati, finanza e raccolta
fondi; relazioni internazionali; coinvolgimento dei giovani; centri regionali di Ifcm.
Un capogruppo ha dato relazione in sede di assemblea generale delle idee, commenti e suggerimenti scaturiti nei singoli
gruppi di studio rivelatisi davvero interessanti e ben svolti.
Cuori in armonia
Gli organizzatori delle edizioni passate e future di Hearts-inHarmony (in Francia, Norvegia, Ungheria, Catalogna, Spagna
e Svezia) si sono incontrati in occasione del Festival Europa
Cantat di Utrecht con Thierry Thiébaut, uno dei fondatori
dell’originale iniziativa Choeurs-en-choeurs per conto dell’associazione corale A Coeur Joie. Essi hanno scambiato informazioni in merito ai rispettivi eventi e hanno deciso di mettere
in comune vicendevolmente informazioni circa gli sviluppi futuri del progetto, compresi gli inviti alle rispettive iniziative
nell’ambito del progetto.
Il prossimo evento sarà un fine settimana Heart-in Harmony
per menomati visivi e videolesi in Budapest (Ungheria), evento
che per cause di forza maggiore è stato posticipato da ottobre
2009 al 4-7 marzo 2010.
Assemblee annuali
delle associazioni corali maggiori
Assemblea Ifcm
Örebro (Svezia), 23 e 24 ottobre 2009,
sala congressi dello Scandic Örebro Väst Hotel.
Evento importante come dovrebbe essere ogni assemblea
annuale di qualsiasi associazione, è passato, invece, abbastanza in sordina, anche se per la coralità italiana è stata
occasione di un notevole “salto internazionale”. Per dichiarazione stessa del presidente di Ifcm Lupwishi Mbuyamba non
vi erano all’ordine del giorno argomenti particolarmente importanti o decisivi, inoltre la grande evidenza data a o assunta
da altre iniziative promosse contemporaneamente (anche dalla stessa Ifcm) ha in qualche modo tolto un po’ di luce all’evento assembleare che così era stato presentato: «“Ifcm in crescita: vogliamo sentire voi”: Esaminate attentamente i
programmi in corso di Ifcm e portateci le vostre idee e i vostri
Assemblea annuale di Europa Cantat
Ha avuto luogo a Sofia (Bulgaria) nei giorni 13 e 14 novembre.
L’importanza di questo evento merita la doppia sottolineatura
che viene data in altra parte della rivista.
Ottobre corale in Svezia
Le città coinvolte: Örebro e Stoccolma.
Örebro, come si è detto sopra, è stata sede della assemblea
generale di Ifcm, ma è stata anche sede per le celebrazioni
ufficiali per i 20 anni di attività svolta dal World Youth Choir
(Coro Mondiale Giovanile).
Convocati dai funzionari Ifcm Christina Kühlewein, coordinatrice del programma, e da Vladimir Opacic, responsabile operativo, poco meno di duecento cantori provenienti da 44 diversi paesi di tutti i continenti e già passati attraverso
l’esperienza gratificante e altamente formativa del Coro Mondiale Giovanile in questi 20 anni si sono ritrovati e sotto la
guida di direttori di coro di fama mondiale [Fred Sjoberg in
primis in quanto padrone di casa, ma poi anche Maria Guinand
(Venezuela), Sidumo Jacobs (South Africa), Nobuaki Tanaka
(Japan) e Steve Zegree (Usa)] hanno realizzato diverse esecuzioni ufficiali tra le quali si ricorda The World Sings for You (Il
mondo canta per voi) e il WYC Anniversary Ensemble Great
Gala Concert. Inoltre il World Chamber Choir Anniversary Ensemble è stato invitato a Stoccolma dalla tv nazionale (esecuzione
disponibile
in
http://tv4play.se/aktualitet/
nyhetsmorgon?videoId=1.1279790 ).
A Örebro ha avuto luogo anche l’inaugurazione del Swicco
(Swedish International Choral Centre Örebro), il quinto centro
corale internazionale della Svezia.
A Stoccolma, invece, si è concluso il concorso per giovani direttori di coro denominato Eric Ericson Award (vincitore Kjetil
Almenning, nato in Norvegia nel 1979). Il tutto in un concerto
in cui hanno gareggiato i tre finalisti, hanno avuto luogo le
premiazioni e ha avuto spazio anche il Coro Mondiale Giova-
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nile. Lo stesso maestro Ericson ha diretto la platea a cui all’entrata era stata
distribuita una partitura corale. Naturalmente l’anziano ma vivace maestro Eric
Ericson è stato protagonista del rinfresco successivo al concerto durante il quale
ha simpaticamente incontrato anche i rappresentanti della Feniarco Pierfranco
Semeraro, Lorenzo Benedet, Giorgio Morandi e il maestro Andrea Venturini.
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amplifica
La Feniarco
e la redazione di Choraliter
augurano a tutti un felice anno nuovo
+ notizie>
+ approfondimenti>
Editoriale
Anno X n. 30 - settembre-dicembre 2009
Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co.
Federazione Nazionale Italiana
Associazioni Regionali Corali
Presidente: Sante Fornasier
Direttore responsabile: Sandro Bergamo
Comitato di redazione: Efisio Blanc,
Walter Marzilli, Giorgio Morandi,
Puccio Pucci, Mauro Zuccante
Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina
Hanno collaborato: Giovanni La Porta,
Dario De Cicco, Luca Ricci, Andrea Basevi,
Luca Marcossi, Alessandro Kirschner,
Piero Caraba, Domenico Innominato,
Gianni Vecchiati, Alessandro Vatri,
Paola De Maio, Annarita Rigo
Redazione: via Altan 39,
33078 San Vito al Tagliamento Pn
tel. 0434 876724 - fax 0434 877554
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In copertina: cupola della basilica di San Marco
in Venezia (foto DreamsTime)
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Interattiva, Spilimbergo Pn
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legge 662/96 dci Pordenone
Autorizzazione Tribunale di Pordenone
del 25.01.2000 n° 460 Reg. periodici
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5 abbonamenti: 100 €
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33078 San Vito al Tagliamento Pn
Tempo di bilanci preventivi, più che consuntivi:
e non tanto perché il numero 30 di Choraliter
giungerà ai lettori dopo Capodanno, quanto perché
gli eventi maturati nel corso del 2009 delineano gli
impegni dei prossimi anni.
Anzitutto l’assegnazione a Feniarco del prossimo
festival Europa Cantat: la decisione del Board di EC
è un riconoscimento alla nostra federazione
nazionale e a quanto essa ha prodotto in questi
anni; il naturale compiacimento per il
raggiungimento di questo obbiettivo, peraltro
fortemente voluto, lascia subito il posto alla
consapevolezza della responsabilità che attende la
struttura di Feniarco, le associazioni regionali e tutta la coralità italiana.
L’appuntamento torinese dovrà essere all’altezza delle aspettative, che sono
molte, nostre e di tutta la coralità europea. Dovremo dar prova non solo di
efficienza organizzativa, ma anche di qualità artistica; dovremo essere presenti
in massa non solo con struttura operativa, ma con i nostri cori: cento cori
italiani a Torino, per dimostrare che il coro non è più un elemento marginale
della cultura italiana e che la coralità italiana non è più periferica in Europa.
L’elezione di Sante Fornasier a presidente di Europa Cantat è l’evento che
certifica questa realtà. La presidenza italiana giunge in un momento importante,
che vede la fusione delle due principali associazioni corali europee.
È un movimento forte, in crescita, quello che Sante Fornasier va a guidare ed è
significativo che venga affidato proprio a un italiano. Hanno portato a questo
esito le personali capacità organizzative e la visione ampia dei problemi che
tutti conoscono nel nuovo presidente, ma soprattutto l’evoluzione che questa
visione ha impresso alla coralità italiana e che le altre associazioni europee
hanno potuto apprezzare.
Il nostro mondo ha sempre più bisogno di forti movimenti culturali: in momenti
di crisi, che non sono solo economici, ma vanno molto più in profondità e
investono un modo di essere e perfino di pensare, il rinnovamento culturale è
altrettanto importante e temporalmente preordinato alla riconversione
economica. Nuova cultura genera nuove idee e queste forniscono nuovi
strumenti alla risoluzione dei problemi. In un’Italia scarsamente innovativa e
incapace, su tante, troppe questioni, di trovare un denominatore comune, la
nostra Federazione è un raro esempio di innovazione e di crescita del senso di
appartenenza. Portiamo questo in Europa, la coralità europea, in un continente
che stenta a trovare unità politica, riuscirà a diventare almeno elemento di
unificazione culturale.
+ curiosità>
+
rubriche>
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musica>
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15/17 aprile 2010
scuole medie
Atelier:
Rivista quadrimestrale della FENIARCO
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
I LUOGHI
DEL CORO
Spedizione in A.P. - art. 2 comma 20/c - legge 662/96 - dci Pordenone - in caso di mancato recapito inviare al CPO di Pordenone per la restituzione al mittente previo pagamento resi
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n. 30 - settembre-dicembre 2009
n. 30 - settembre-dicembre 2009
Associazione
Cori della
Toscana
iscrizioni
entro il
31 gennaio
Musica rinascimentale con Mario Giorgi
Giro giro canto con Mario Mora
Canti etnici con Flora Anna Spreafico
Vocal pop con Denis Monte
IL PROBLEMA DELL’ACUSTICA
FABIO VACCHI
IL CORO SINFONICO
COMPORRE IN
PERFETTA LIBERTÀ
LA MUSICA DI DALLA VECCHIA
SANTE FORNASIER
ALLA GUIDA DELLA
CORALITÀ EUROPEA
22/25 aprile 2010
scuole superiori
Atelier:
Con il patrocinio del
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Regione Toscana
Provincia di Pistoia
Comune di Montecatini Terme
Feniarco
Musica medioevale con Stefano Albarello
Musica rinascimentale con Lorenzo Donati
Musica romantica con Franca Floris
World music con Silvana Noschese
Vocal pop con Rogier Ijmker (Paesi Bassi)
la gioia del suono
la scuola veneziana
dal cinquecento a oggi