Estratto

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Premessa
Solista al tempo della civiltà rinascimentale, la voce dell’Italia era poi
rimasta, se non muta, certamente alquanto affievolita nel coro delle
letterature europee per quasi due secoli. Non vi furono da noi, in
quei secoli, personalità della statura di Cervantes, di Shakespeare, di
Racine, di Molière; nessun lirico italiano eguagliò la fioritura barocca
di altre nazioni; nessun narratore raccolse, al momento, l’eco del romanzo anglo-francese. Nel Seicento e nella prima metà del Settecento
l’Italia è, sì, presente nel quadro della cultura europea, ma in tutt’altri
campi: in quello filosofico-scientifico, in quello delle arti figurative, in
quello musicale (con il grande sviluppo dello strumentismo e della
musica da camera), in quello di particolari forme di spettacolo che
proprio la nostra nazione aveva “inventato” nel Rinascimento ed
esportato successivamente in tutta Europa (melodramma e commedia
dell’arte).
La letteratura italiana dell’Ottocento, invece, è segnata anzitutto
dal desiderio di immettersi un’altra volta autorevolmente nel circuito
europeo: desiderio che si realizzerà con modalità e risultati originali.
La lezione dell’Illuminismo, recepita da noi in ritardo, aveva bensì
fatto registrare episodi notevoli (la poesia satirica e civile del Parini, il
pensiero degli intellettuali milanesi del “Caffè” e degli intellettuali
che operarono a Napoli), e talvolta notevolissimi (la grande riforma
teatrale del Goldoni, ricca di poesia pur nello studio minuzioso della
realtà); ma già alla cultura della ragione se ne stava sovrapponendo
un’altra, quella che nell’ultimo quarto del Settecento si segnala in tutta Europa per quell’insieme di sintomi confuso ma fervido al quale
modernamente è stato dato il nome di Preromanticismo.
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Verso il Romanticismo
Il discorso può muovere richiamando alla memoria la raffigurazione
tradizionale, per non dire quasi popolare, di Illuminismo e di Romanticismo come di due dimensioni culturali opposte, che si sarebbero
susseguite in Europa proponendo rispettivamente (sia sul piano del
pensiero e dell’arte, sia sul piano del vivere quotidiano) l’ideale dell’uomo-ragione e l’ideale dell’uomo-passione; distinguendosi, l’Illuminismo per l’amore della chiarezza, della logica, della misura, per l’elegante scetticismo filosofico, per l’ottimismo nella considerazione delle
cose umane e del progresso, per un certo cosmopolitismo che portava
gli uomini a sentirsi “cittadini del mondo” (appunto un nuovo mondo rischiarato dai lumi della ragione e della scienza); il Romanticismo
invece per la spiccata propensione al sentimento, alla fantasia, al sogno (grazie al quale era consentito evadere da una realtà terrena considerata pessimisticamente), per lo spazio concesso al mistero e al misticismo, per lo slancio eroico e individualistico, per l’amore della patria e quindi per un prevalente nazionalismo.
Ora, se tali contrapposizioni possono senz’altro venir verificate
agli estremi (per cui il Dizionario filosofico di Voltaire, poniamo, ha
ben poco in comune con il Sistema dell’idealismo trascendentale di
Schelling; o il tranquillo e assennato protagonista del Robinson Crusoe non offre molti punti di contatto con l’eroe inquieto e ribelle del
Faust), la non lunghissima sequela di anni che separa questi estremi
induce a scartare il concetto di una svolta che in un breve lasso di
tempo abbia radicalmente modificato il quadro della cultura e addirittura della mentalità comune di tutta l’Europa; quindi induce a cercare una serie di mediazioni tra quelle drastiche contrapposizioni.
La nozione di “Preromanticismo” risponde appunto a questa esigenza, e come tale è stata introdotta in epoca relativamente recente
nella storiografia letteraria italiana, sulla scia di terminologie e di studi francesi, inglesi e tedeschi. A evitare equivoci va tuttavia precisato
preliminarmente che, mentre per quanto riguarda l’Illuminismo erano
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LA LETTERATURA ITALIANA DELL ’ OTTOCENTO
ben vivi, fra gli intellettuali europei della prima metà del Settecento,
la consapevolezza di appartenere alla civiltà dei “lumi” e il conseguente orgoglio dell’instaurare quella che si riteneva una società finalmente giusta e razionale; per quanto riguarda il Romanticismo si
ebbe, a partire dagli ultimi anni del Settecento fino a tutto il primo
quarto dell’Ottocento, un incalzare di riflessioni a livello filosofico,
morale, psicologico ed estetico-critico, concretatesi addirittura (se
pensiamo agli esiti letterari) in veri e propri “manifesti” di una nuova
poetica; in conclusione, mentre sia gli illuministi che i romantici ebbero chiara coscienza dei valori che caratterizzavano le rispettive culture, non altrettanto si può dire di quella generazione di mezzo per la
quale si fa ricorso parziale o totale alla nozione di “Preromanticismo”.
Non è mai esistito, in altre parole, un movimento, e meno ancora
un manifesto che a suo tempo abbia riassunto in modo completo e
coerente quella serie di idee, di predilezioni, di atteggiamenti che ora
chiamiamo preromantici. Esistettero invece allora, a vari livelli, molte
manifestazioni sparse di un certo disagio e di una certa insofferenza
nei confronti della mentalità dominante, quella illuminista appunto;
manifestazioni che nelle varie letterature europee vennero evidenziandosi anzitutto sul piano delle scelte tematiche, creando certe correnti
di gusto e persino, in alcuni casi, una vera e propria moda. Ma si
trattava di manifestazioni che coesistevano con altre ancora prettamente illuministiche: una coesistenza abbastanza sconcertante, a volte
verificabile in una medesima persona, e responsabile di laceranti contraddizioni vissute anzitutto sul piano biografico e conciliate, se mai,
solo sul piano artistico.
In ogni parte d’Europa si infittiscono dunque, nella seconda metà
del Settecento, i segni di un rifiuto di tutto ciò che faceva capo al
sereno e un po’ scettico equilibrio illuminista: al posto del quale vediamo emergere la predilezione per temi cupi e sconfortati (la morte,
il suicidio, il dolore universale, la transitorietà delle cose umane, la
“poesia delle rovine”), o per atteggiamenti sentimentali e irrazionali
(l’amore impossibile, la nostalgia della felicità perduta, la malinconia,
il sogno). Le semplici e chiare conclusioni della raison non convincono più a fondo; ci si accorge che esse ignorano intere zone dell’animo
umano alle quali invece si viene attribuendo un interesse crescente; si
avvertono come dolorosi e insopportabili quei limiti che l’Illuminismo
aveva indicato come indispensabili e saggi; si cerca di colmare, sia
pure confusamente e istintivamente, certe lacune attingendo alla sfera
della sensibilità, e sottolineando valori nuovi come la passione, lo
slancio, persino l’illusione. Talvolta queste medesime tendenze si met18
1.
VERSO IL ROMANTICISMO
tono in luce con atteggiamenti di aperta ribellione, di furore, di individualismo esasperato e anarchico (sarà così per il nostro Alfieri e per
i suoi coetanei tedeschi dello Sturm und Drang). Il nascente gusto per
gli aspetti più misteriosi e anche paurosi della realtà si rivela anche in
una nuova considerazione della natura: poeti, pittori, musicisti non la
concepiscono più come un semplice sfondo idillico o come una stilizzata cornice delle azioni umane, ma come possente e sublime regno
che vive una propria e magari tempestosa vita, nella quale del resto
ben si inseriscono le tempeste e i tumulti del cuore: preludio di quello che sarà un aspetto tipico del Romanticismo, la propensione a
umanizzare la natura e ad attirarla nella cerchia dei propri affetti (si
pensi al Leopardi).
Anche il concetto della poesia e dell’arte in genere, pur senza ancora organizzarsi in una nuova estetica, comincia a mostrare i segni
di un’evoluzione ricca di implicazioni; sempre per via della nuova attenzione alla sensibilità innata si tende, infatti, a pensare che la poesia più autentica sia quella che scaturisce direttamente dal cuore e
parla al cuore di tutti gli uomini evitando intermediazioni e diaframmi culturali; una poesia spontanea che talvolta viene definita “popolare” senza che l’aggettivo assuma alcuna delle odierne sfumature politico-sociali. L’incipiente gusto della poesia popolare portava con sé,
fra l’altro, il germe di un certo anticlassicismo, nel senso che la poesia classica greca e romana, insieme a quella delle età che sui classici
si erano modellate (come l’Umanesimo e il Rinascimento), si presentava come dotta e destinata a un’élite; perché per intenderla e gustarla appieno occorrevano una specifica preparazione culturale e
anni di studio.
Non si assisteva ancora a quella deliberata e metodica polemica
contro l’imitazione dei classici che avrebbe poi caratterizzato il Romanticismo; ma ai poeti classici o classicheggianti venivano nettamente e istintivamente preferiti quelli che allora si chiamarono “barbari”
o “primitivi” i quali in parte o del tutto, per i più vari motivi, si potevano collocare al di fuori della più raffinata tradizione classica:
come Omero in quanto capostipite, come Dante con la sua folgorante
fantasia corposa e mistica insieme, come Shakespeare con la sua felice
ignoranza delle regole del teatro antico. Altra conseguenza di questo
gusto per la poesia spontanea (o presunta tale) fu la crescente valorizzazione del patrimonio folcloristico di ogni nazione (poemi, saghe,
canti, leggende, fiabe), considerato frutto della fantasia di popoli ancora fanciulli, capaci di esprimersi con ingenua freschezza, non guastati da schemi letterari pedanteschi e cerebrali. Precursore di molte
di tali idee, particolarmente di quelle intorno all’autonomia della fan19
LA LETTERATURA ITALIANA DELL ’ OTTOCENTO
tasia (nettamente contrapposta al raziocinio, e considerata l’unica matrice della poesia), nonché al primato dei poeti “barbari” su quelli
più dotti era stato, com’è noto, il filosofo Giambattista Vico (16681744): ma la sua lezione non aveva avuto risonanze immediate in
un’epoca di prevalente razionalismo, e solo il Romanticismo sarebbe
stato in grado di ricuperare le sue intuizioni.
Il Preromanticismo recava dunque in sé una potenziale carica di
anticlassicismo, non sempre espresso a livello cosciente; ma già il fatto che si privilegiassero gli aspetti più inquietanti e irrazionali dell’uomo, e si sottolineasse come valore ciò che di oscuro e scomposto la
passione comporta, costituiva un fortissimo elemento di distacco dalla
tradizione classica (oltre che dall’Illuminismo), in quanto tale tradizione era legata anch’essa, complessivamente, a ideali umani ed estetici ispirati alla misura, all’equilibrio, alla chiarezza, alla razionalità.
Quello del Preromanticismo è pertanto un fenomeno singolare e multiforme: le due tendenze emergenti, il complessivo irrazionalismo
(un’inconscia rivolta contro i limiti della ragione) e l’anticlassicismo
(rifiuto di un modello di poesia colta) sottintendevano non solo la
scelta di temi nuovi ma anche la ricerca di un nuovo linguaggio per
esprimerli: anche qui però il Preromanticismo non fu sempre e subito
coerente; sicché di linguaggio veramente nuovo e rivoluzionario si potrà parlare solo con il Romanticismo, che seppe sviluppare quelle due
tendenze fino ad operarne la totale fusione. Negli anni del Preromanticismo, invece, non è detto che le due tendenze si trovino sempre
affiancate: si possono citare autori – quello dell’Alfieri è il nome più
significativo da noi – che vivono e scrivono quasi completamente al
di fuori della cultura illuministica, ma calano il proprio ribollente
“io” in strutture formali del più rigoroso classicismo. Addirittura – ed
è il caso limite – negli stessi anni nei quali si colloca il Preromanticismo assistiamo in Italia al diffondersi dalle arti figurative alla letteratura di quell’atteggiamento che si suole indicare con il nome di Neoclassicismo: torneremo su questo aspetto, ma va subito sottolineato
come in fondo quel ritorno al classicismo fosse mosso da impulsi assai differenti da quelli dell’Umanesimo, e consistesse in sostanza nel
vagheggiamento nostalgico di una bellezza ideale e perduta, un vagheggiamento ancora in linea perciò con la sensibilità preromantica.
Così si spiega anche il caso di Ugo Foscolo: di un autore cioè il
quale, presentando sia nella vita che nelle opere caratteri decisamente
ricollegabili al Preromanticismo europeo, pure è il più alto rappresentante del Neoclassicismo, al punto da non riuscire a cogliere l’effettiva portata del Romanticismo nemmeno quando si trova (in Inghilterra) nella miglior posizione per osservarlo e giudicarlo. Contrad20
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VERSO IL ROMANTICISMO
dizione sul piano logico che, del resto, non gli impedisce di realizzarsi poeticamente a modo suo (anche il Leopardi giovane passerà attraverso un’esperienza analoga).
La stessa mescolanza apparentemente stridente, la stessa contraddittoria coesistenza si rileva presso altre letterature europee. Va dunque ribadito il concetto che il Preromanticismo non costituì una dimensione a sé, nettamente definita e circoscrivibile; e che pertanto lo
si deve considerare come un insieme di sintomi significativi ma slegati, di presagi non ben coordinati, di intuizioni non coerentemente organizzate. La fusione di tutti quegli sparsi elementi avvenne solo con
il Romanticismo, e trovò anche una sistemazione teorica grazie a un
imponente movimento filosofico, che mise per così dire a fuoco gli
atteggiamenti per lo più istintivi adottati dai preromantici: ma ciò
non toglie che anche questi ultimi si propongano come personaggi
nuovi, sia pure su una scena che almeno in parte è ancora quella tradizionale. Un altro punto va tenuto presente: la fondamentale unità
della cultura europea rende impossibile, specialmente a proposito di
letteratura moderna, una trattazione che si limiti a isolare quella italiana ignorando le straniere. È pertanto necessario un breve cenno a
qualcuna di queste, sia pure limitatamente a quegli episodi che ebbero maggior risonanza tra i nostri letterati.
Alcuni temi tipici del Preromanticismo sono venuti al resto d’Europa dalla letteratura inglese, nella quale si erano annunciati con una
certa insistenza fino a creare una linea a suo modo continua, e più
tardi una vera e propria voga. Linea, si badi, non sempre e non del
tutto valida quanto a esiti poetici: ma resta oltremodo indicativo il
fatto che testi talora mediocri avessero un’eco sproporzionata ai loro
meriti. Il loro successo apparirebbe, infatti, quasi inspiegabile se non
si pensasse che anche la sensibilità del lettore medio era assetata di
qualcosa che egli stesso non avrebbe saputo definire, ma che in ogni
caso non coincideva con le celebrazioni della raison. Così vediamo
l’Europa intera, si può dire, intenerirsi e piangere sulle retoriche Notti di Edward Young (1683-1765): una meditazione nella quale i temi
del sonno, della morte, dell’oscurità si intrecciano abbastanza stucchevolmente. Eppure il successo fu immenso, e dalla pubblicazione
di questo libro (1742) data la voga di quella poesia “sepolcrale” che
qualche volta diede frutti ben più validi poeticamente (per esempio
con i Sepolcri del Foscolo). Stilisticamente è assai più notevole l’altrettanto celebre Elegia scritta in un cimitero di campagna (1751) di
Thomas Gray (1716-1771): una mesta riflessione sul tema della morte
degli umili, oscura come la loro piccola vita eppure inserita nel gran21
LA LETTERATURA ITALIANA DELL ’ OTTOCENTO
de ritmo della natura e della creazione (la tendenza di Gray alla malinconia non esclude accenti di sommessa religiosità).
L’interesse per la poesia “popolare”, o presunta tale, sta alla radice di un altro clamoroso episodio della letteratura inglese: il caso
Macpherson. Nel 1760 uscirono i Frammenti di antiche poesie dello
scozzese James Macpherson (1736-1796), che sosteneva di averli tradotti dal gaelico, cioè dalla lingua delle popolazioni celtiche di Scozia
e d’Irlanda. Si trattava, in realtà, di ampi rifacimenti sopra spunti forse davvero ancora esistenti nella tradizione orale; e il Macpherson fu
presto smascherato. Ma se l’intera operazione era stata filologicamente discutibile, d’altro lato dimostrava un certo fiuto: il successo fu
enorme, e il pastiche fu letto e tradotto dappertutto con il titolo di
Canti di Ossian (dal nome di uno dei “bardi”, o mitici cantori primitivi, ai quali quei frammenti sarebbero risaliti nel III secolo dopo Cristo). Poeti come Goethe e il Foscolo, musicisti come Mendelssohn
saranno affascinati dal tono cupo di questa poesia, dalle sue descrizioni di una natura selvaggia e procellosa, spesso avvolta nella nebbia.
Le mistificazioni del Macpherson aiutarono l’Europa a scoprirsi un
gusto latente, quello appunto per il paesaggio in tempesta, privo delle
tinte aggraziate e talvolta manierate con le quali era stato rappresentato fino al primo Settecento; un paesaggio nuovo con il quale tanto
bene si accordava l’animo in tempesta. E questo gusto nuovo recava
in sé le premesse per un discorso nuovo anche nel campo dell’estetica. L’idea convenzionale del “bello” stava per far posto ad altre idee,
quella del “sublime” anzitutto, e spesso anche quella dell’“orrido”;
stava per allargarsi il campo delle emozioni che l’uomo voleva sperimentare e degli spettacoli davanti ai quali egli poteva sentir vibrare in
sé corde fino allora ignorate: il punto d’arrivo di queste riflessioni filosofiche si avrà nella kantiana Critica del giudizio, 1790. I Canti di
Ossian misero in voga anche l’idea della poesia “popolare” o “primitiva”: un quid concettualmente discutibile ma accettato con entusiasmo da una generazione la quale, dopo secoli di disciplina classica,
sentiva l’esigenza di qualcosa di diverso, meno raffinato magari ma
più potente, più sentimentalmente genuino
Tra i molti influssi immediati o lontani della poesia ossianica non
si può non ricordare quello che si rileva nel poeta, pittore, incisore
William Blake (1757-1827), personalità tormentata e mistica che ebbe
tra i suoi idoli appunto Ossian, in geniale e tumultuosa vicinanza con
la Bibbia, Dante, Michelangelo, Shakespeare. Il suo credo estetico è
del tutto anticlassico, ed egli stesso lo riassume con le parole «esuberanza è bellezza». L’anno della sua morte scomparvero anche il Fo22
1.
VERSO IL ROMANTICISMO
scolo (proprio in Inghilterra) e Beethoven: anch’essi espressione, sia
pure in modi assai diversi, di tempi nuovi.
L’Illuminismo tedesco si era svolto con caratteri particolari rispetto a quello francese e inglese. Era emersa, per esempio, l’esigenza di
affrancarsi dalla dittatura letteraria della Francia, e si erano cercati
modelli diversi. Lo svizzero di lingua tedesca Johann Jakob Bodmer
(1698-1783), dalla sua “scuola di Zurigo” aveva insistito sulla poesia
del Medioevo germanico e scoperto Dante. Ma la personalità più interessante si può considerare senz’altro quella del critico e drammaturgo Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781), che sotto vari aspetti
appare addirittura un precursore del Preromanticismo: basti qui ricordare la sua predilezione per Shakespeare nel campo del teatro, e
gli sforzi consacrati a una definizione della poesia come arte superiore a tutte le altre nella rappresentazione dei sentimenti, delle passioni,
del dolore (idea discutibile sul piano estetico, ma quanto mai adatta a
sottolineare la dimensione non razionale della poesia stessa). A questo
tema è dedicato il celebre scritto Il Laocoonte (1766), sui confini tra
arte figurativa e poesia, nato dall’interpretazione di un celebre gruppo statuario ellenistico che raffigura l’episodio narrato da Virgilio nel
II libro dell’Eneide. Il particolare svolgimento dell’Illuminismo tedesco lasciava perciò prevedere interessanti sviluppi nel Preromanticismo, ed era accompagnato da una notevole attività in campo filosofico specie per quanto riguardava la definizione dell’arte (punto d’arrivo è, come si è detto, l’ultimo Kant, prima del trapasso all’estetica
dell’Idealismo romantico).
Limitandoci ora a considerare solo gli esiti più propriamente letterari di questa attività di pensiero, dobbiamo ricordare anzitutto la
figura di Johann Georg Hamann (1730-1788), che riversò in uno stile
difficile e oscuro geniali intuizioni sulla Storia, sul mito, sulla poesia.
Era amico di Kant, ed ebbe uno straordinario influsso su Herder. Johann Gottfried Herder (1744-1803) può essere considerato il divulgatore in forma accessibile e piana del pensiero di Hamann, il “mago
del Nord”, e soprattutto della sua convinzione che «la poesia è la
lingua materna della razza umana». Discepolo di Kant, ammiratore di
Rousseau, maestro di Goethe, Herder è uno di quegli uomini che
tengono nelle loro mani, per anni, le fila culturali del proprio paese, e
non solo di quello. A Goethe egli rivelò Hamann e trasmise l’idea
che, per dirla con Goethe stesso, «la poesia in generale è una dote di
mondi e di popoli, non un’eredità privata di alcuni raffinati uomini
colti». Anche Herder sosteneva la necessità di tornare alla poesia
“primitiva”, esaltando la Bibbia, Omero, Shakespeare, Ossian e i poemi medievali germanici. Il Medioevo, ritenuto nei secoli dall’Umane23
LA LETTERATURA ITALIANA DELL ’ OTTOCENTO
simo all’Illuminismo un’epoca oscura e barbarica, cominciava dunque
a esercitare un fascino crescente: e ciò, se interessa per le conseguenze letterarie, interessa non meno ai fini della formulazione di un nuovo e più fecondo concetto di Storia, che costituirà uno degli apporti
più notevoli del Romanticismo, come si vedrà a suo tempo. Se le idee
esposte precedentemente rappresentano la base anche filosofica sulla
quale si impianterà in un secondo tempo il Romanticismo tedesco,
nell’area germanica bisogna registrare anche un ben diverso, confuso
e clamoroso allarme contro la mentalità razionalistica di molta cultura
del Settecento: il movimento dello Sturm und Drang. Gli diedero vita,
intorno al 1770, alcuni giovani che avevano fatto di Strasburgo il centro di divulgazione delle proprie convinzioni filosofiche e poetiche, da
loro stessi riassunte in quei due vocaboli destinati a larghissima fortuna e tratti dal titolo di una commedia scritta da uno del gruppo,
Friedrich Maximilian Klinger: titolo traducibile più o meno esattamente con “tempesta e slancio”.
Anarchia è forse la parola più adatta a definire l’atteggiamento ribelle di questi giovani, proprio come anarchico fu in molti atteggiamenti anche il nostro Vittorio Alfieri (1749-1803), un solitario che
pur senza contatti diretti rivela – e lo si vede bene nella sua autobiografia – molte coincidenze con lo Sturm und Drang: coincidenze assai
significative perché indicano il rifiuto di tutta una generazione di
fronte agli ideali dell’Illuminismo.
Gli appartenenti al gruppo di Strasburgo (nel quale entrano pure
Schiller e Goethe giovani, anche se poi la loro maturità poetica ha
percorso strade molto diverse), contestavano con irruenza gli idoli
della società settecentesca (la ragione, lo Stato, le convenzioni del vivere comune), senza per altro sostituirvi nulla, all’insegna appunto
dell’anarchia. La loro sconfinata sete di libertà si configurava soprattutto come ribellione all’autorità sotto qualsiasi forma, politica, morale o letteraria: da qui un concetto nuovo, addirittura rivoluzionario,
dell’artista come essere non vincolato ad alcuna legge, diverso dalla
massa, eccezionale, genialmente libero da modelli e precetti anche in
campo poetico. Si trattava, in conclusione, di un’esplosione di individualismo, di una contestazione giovanile che in sé passò abbastanza
rapidamente, ma lasciò dei germi destinati a interessanti sviluppi futuri (in qualche aspetto del Romanticismo, ma soprattutto più avanti,
nel cosiddetto Decadentismo).
Quanto a Schiller e a Goethe, senza pretendere di passare in rassegna tutta la loro multiforme opera, è tuttavia doveroso accennare
alla parte che ambedue rappresentarono nell’ambito del Preromanticismo europeo. Il grande drammaturgo Johann Christoph Friedrich
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1.
VERSO IL ROMANTICISMO
von Schiller (1759-1805), il cui teatro attirerà anche i romantici italiani, in gioventù aveva condiviso gli ideali anarchici dello Sturm und
Drang, rielaborandoli più tardi alla luce di un più maturo e democratico concetto di libertà. Ma non tanto dei suoi drammi più noti (I
masnadieri, Maria Stuarda, Don Carlos, Guglielmo Tell: gli ultimi due
musicati rispettivamente da Verdi e da Rossini), né delle Ballate scritte a gara con Goethe è il caso di parlare qui, quanto dello scritto
teorico Poesia ingenua e sentimentale (1795), nel quale si definisce appunto “sentimentale” la poesia moderna, caratterizzata secondo Schiller da qualcosa di inquieto e di nostalgico, tipico di chi ha la sensazione di una perdita irrimediabile e da un’angosciosa ricerca, magari
a livello inconscio; mentre la poesia antica, o “ingenua”, ci rivela un
uomo più integro, più armonicamente inserito nella realtà, meno lacerato, meno legato al sogno e all’illusione. Queste definizioni, con altre
analoghe, entreranno di lì a poco nel dibattito romantico vero e proprio.
È in area germanica, del resto, che si assiste da varie parti al maggiore sforzo per cercare di porre in chiaro l’essenza del classicismo
rispetto alle tendenze nuove, segno evidente che il primo si considera
concluso; di tali definizioni a noi non interessa ora di verificare l’esattezza, bensì di constatare il ruolo di netta opposizione che il Preromanticismo insistentemente assegnava alla cultura classica quando
la metteva a confronto con la moderna. Anche Johann Wolfgang von
Goethe (1749-1832) ci riserva un’analoga, celebre definizione: “classico” è colui che ha la sensazione di vivere sotto lo stesso sole che ha
illuminato e riscaldato Omero, ossia colui che ha il senso della continuità della vita e che non avverte lacerazioni con il passato (romantico sarà poi, invece, chi concepisce la vita come un continuo cangiare
e divenire, il futuro come inquietante mistero, il presente come inafferrabile e insoddisfacente). A proposito di Goethe, come già per
Schiller, va tenuto presente che non è questa la sede per esaminarne
a fondo l’opera completa; tanto più che Goethe, grandissimo fra i
grandi, ha riassunto in sé classicismo e Romanticismo, ponendosi,
nella sua lunga e feconda vita, come vero e proprio faro di tutta la
cultura europea fra Sette e Ottocento (sarà il caso di ricordare l’amicizia e la stima tributate ad Alessandro Manzoni). Non ci si può esimere, tuttavia, dall’accennare alla sua partecipazione ai fermenti dello
Sturm und Drang nel periodo di Strasburgo, al quale risalgono la prima redazione del Faust e il romanzo epistolare I dolori del giovane
Werther (1774). Un’intera generazione si riconobbe, in tutta Europa,
nel giovane inquieto, solitario, lettore dell’Ossian e di Omero, che
alla fine si toglie la vita a causa di un amore infelice; si riconobbe
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LA LETTERATURA ITALIANA DELL ’ OTTOCENTO
non tanto per le circostanze biografiche quanto per l’amara coscienza
di un comune angoscioso retaggio che andava al di là di esse, il dolore universale (Weltschmerz) che risuonerà più tardi anche nella poesia
del Leopardi. Con quel breve, intenso romanzo Goethe dava un vivo
ritratto della giovinezza impaziente, ribelle, che si brucia in una passione e rinnega l’autorità della ragione: «L’uomo è l’uomo, e il po’
d’intelligenza ch’egli può avere serve poco o niente quando arde la
passione, e l’essere umano è spinto oltre i confini dalla sua forza».
Non tutti gli imitatori del Werther, che furono molti, seppero
come Goethe schivare l’enfasi e la retorica; non ci riuscì del tutto
nemmeno il Foscolo delle Ultime lettere di Jacopo Ortis, che restano
in ogni modo un documento molto interessante sia della straordinaria
fortuna del romanzo tedesco sia della fase preromantica del Foscolo
stesso, poi superata o perlomeno completata nel corso della sua formazione poetica. Anche Goethe, del resto, passò oltre le posizioni
dello Sturm und Drang, avviandosi a una più larga comprensione della realtà e a una più matura meditazione poetica; ma il Werther rimane il testo più indicativo della sensibilità preromantica, e insieme segna il punto del maggior distacco dalla mentalità dell’Illuminismo.
Con i Canti di Ossian, con le teorie di Herder, con la rivalutazione
del teatro di Shakespeare (largamente condivisa da Goethe) esso costituirà infatti il substrato preromantico di molte altre letterature europee.
In area francofona, una delle personalità più ragguardevoli e influenti dell’età che precede il Romanticismo è senza dubbio quella
del ginevrino Jean-Jacques Rousseau (1712-1778). La Svizzera lo segnò con il suo paesaggio, la Francia con la sua cultura; e l’Europa
intera ha ricevuto da lui un’impronta difficilmente calcolabile ma in
ogni modo vastissima. Pur vivendo nella patria dell’Illuminismo, e
cioè nella Parigi dell’Encyclopédie (alla quale collaborò per la parte
musicale, essendo anche compositore), sviluppò ben presto delle teorie che se ne distaccavano. Nel 1750 vinceva un concorso bandito
dall’Accademia di Digione sostenendo, su un tema prefissato, che la
cultura, scientifica e artistica, corrompe l’uomo; tesi prediletta da
Rousseau, che la pone alla base del suo celebre Emilio (1762). L’opera, a metà fra il romanzo e il trattato pedagogico, è troppo nota perché si debba illustrarla nei particolari. Basti ricordare, ai fini del discorso sul Preromanticismo, che Rousseau insiste sul sentimento e sul
ritorno alla natura come unici valori capaci di ridare all’uomo la sua
piena libertà e dignità, contro le artificiose strutture e i falsi bisogni
della cosiddetta civiltà. Teoria che, pur partendo da quella critica alla
Storia che è caratteristica dell’Illuminismo, poi però se ne allontana
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1.
VERSO IL ROMANTICISMO
in quanto coinvolge nella condanna non soltanto la cultura del passato ma anche quella del presente, essenzialmente scientifica e tecnologica, che invece formava l’orgoglio degli illuministi. Certamente
Rousseau si rendeva conto che lo stato di natura perfetto era un
mito, né intendeva che l’uomo moderno si rimettesse a «camminare a
quattro zampe», secondo un’espressione del sempre caustico Voltaire;
ma il suo sforzo consisteva nel far riscoprire all’uomo ciò che vi è in
lui di genuino, di spontaneo, di fresco; ciò che lungo i secoli si è
perduto a causa di una società corrotta e livellatrice; ciò che finisce
per cancellare in noi il meglio della nostra individualità. Conciliare le
esigenze dell’individuo con quelle della società, del resto, è il problema centrale anche del trattato di filosofia politica che Rousseau intitolò Il contratto sociale. Il sentimento in genere, e il sentimento della natura in particolare, assumono quindi in Rousseau una rilevanza
educativa eccezionale: li troviamo presenti in forma evidentissima nel
romanzo epistolare La nouvelle Héloïse (1761), altro best seller in tutta Europa. Scostante in privato (come ebbe a descriverlo anche il
Goldoni nei suoi Mémoires), verboso, talvolta ripetitivo ed enfatico,
non esente da clamorose contraddizioni, pure Rousseau esercitò
un’influenza enorme sulla cultura europea; quel binomio, insistentemente riproposto, di sentimento e natura toccava una corda, segreta
ancora nei più, che di lì a poco avrebbe vibrato con la massima intensità nel Romanticismo.
Sentimento e natura sono i due grandi educatori anche per François-René de Chateaubriand (1768-1848), un autore che ha descritto
con lucidità il disagio della propria generazione, da lui stesso riassunto in questi termini alla conclusione dei suoi Mémoires d’outre-tombe
(Memorie d’oltre tomba, in quanto volle che fossero pubblicate postume): «Mi sono trovato tra due secoli come alla confluenza di due
fiumi; mi sono tuffato nelle loro acque agitate, allontanandomi a malincuore dalla vecchia sponda dove sono nato, nuotando pieno di
speranza verso una riva sconosciuta». Dai ricordi di un’infanzia pensosa e spoglia di affetti, ai paesaggi marini, ventosi e selvaggi, dei dintorni di Saint-Malo (presenti appunto nelle memorie); dalla malinconia senza perché all’esigenza della solitudine che distinguono il protagonista del breve romanzo René (1802), in Chateaubriand vi sono
tutti gli elementi del Preromanticismo europeo, e concorrono a definire il malessere di quell’età, il mal du siècle. Il grande critico SainteBeuve ha scritto che Chateaubriand per primo ha saputo trovare
un’espressione netta e precisa a ciò che fino allora era ritenuto indefinibile. René è quindi un fratello più giovane di Werther e di Jacopo
Ortis, e rimane con loro a darci il ritratto febbrile di un’età di transi27
LA LETTERATURA ITALIANA DELL ’ OTTOCENTO
zione. Anche la celebre apologia della religione che Chateaubriand ha
tessuto nel suo Genio del cristianesimo si pone di per se stessa agli
antipodi del pensiero illuminista, tanto più che l’autore vi ha messo
alla base il sentimento (slittando addirittura ogni tanto verso un sentimentalismo un po’ dolciastro che spiacque a molti, Manzoni compreso).
Il disagio, o aperta rivolta, di fronte alla cultura dell’Illuminismo
aveva dunque raggiunto nel corso del secolo XVIII il livello di guardia
in tutta Europa. Le tendenze preromantiche furono tutte accolte e
sottolineate nel Romanticismo: ma quest’ultimo riuscì a farle entrare
in una filosofia globale, in una concezione nuova di tutta la realtà, in
una coscienza morale diversa, capace di dare una luce diversa a tutti i
problemi, da quelli metafisici a quelli etici, psicologici, politici, estetici. Il problema dell’arte, anzi, sarebbe balzato in primo piano nella
filosofia (un primato mai registrato prima); le oscure intuizioni dei
preromantici sarebbero state sistemate e organizzate nell’estetica dell’Idealismo tedesco; e l’influsso di questo pensiero sulla cultura europea sarebbe poi andato più in là dello stesso Romanticismo. In questo contesto videro la luce anche le prime poetiche romantiche, cioè
le prime riflessioni (talvolta in chiave di polemica più o meno rovente
con il classicismo) sul “come” realizzare la nuova poesia, rivolgendosi
a fonti di ispirazione diverse da quelle dei classici, e soprattutto forgiando un linguaggio diverso e più “popolare”: ciò che il gusto preromantico adombrava ma non era in grado di creare immediatamente. L’aggettivo “romantico” stesso, già in uso nel Seicento e nel Settecento in varie lingue europee (Goethe lo adopera nel Werther con il
senso di “appassionato, agitato, drammatico”), acquistò l’ultima e più
complessa sfumatura, e si fissò per così dire nel tempo finendo con
l’indicare una nuova, rivoluzionaria concezione dell’uomo, che è poi
il presupposto sì delle rivoluzioni poetiche, ma anche di quelle più
propriamente politiche e sociali dell’Ottocento.
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