band: faun fables

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BAND: THE WALKMEN
TITLE: YOU & ME
LABEL: TALITRES
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ONDAROCK
http://ondarock.it/recensioni/2008_walkmen.htm
A due anni da “Hundred Miles Off”, tornano a farsi vivi i Walkmen, talentuoso quintetto newyorkese che
proprio in queste settimane licenzia il nuovo e atteso “You & Me”. Potrebbe essere questo l’album della
definitiva consacrazione e alla luce dei suoi brillantissimi contenuti si può quantomeno azzardare che non
passerà di certo inosservato, soprattutto al cospetto delle orecchie più attente e allenate.
Fieramente in bilico tra il Dylan elettricamente blasfemo di “Bring It All Back home” e vaghe nostalgie, in
odore di Modern Lovers, per un'America rurale e incorrotta, “You & Me” è un disco da leggere prima ancora
che da ascoltare, per il sincero godimento estetico che la scrittura musicale del gruppo riesce quasi sempre a
regalare, nella grazia dei suoi movimenti e nell’elegantissima grafia dei suoi fraseggi strumentali, in cui riluce
a tratti la migliore tradizione compositiva statunitense.
La voce ruvida e vissuta del cantante Hamilton Leithauser ha una timbrica personale e riconoscibile e la
sontuosa cornice sonora che la strumentazione le mette a disposizione (in particolare nell’impasto calibrato
tra chitarre lievemente sgranate, basso e tastiere) disegna nella mente assorta dell’ascoltatore un’atmosfera
trasecolata e senza tempo, pervasa da un alone quasi spettrale, come una sedia a dondolo abbandonata al
vento di qualche veranda scricchiolante, dentro il ventre dimenticato dell’America più profonda. Le
composizioni risultano così abitate da un senso strisciante di solitudine ombrosa, rigata da accensioni
melodiche che deflagrano in ritornelli di notevolissima intensità (l’iniziale “Dónde está la Playa” o “In the New
Year”).
Per capire con chi abbiamo che a fare, giova forse ricordare che il gruppo predilige da sempre (sin dal primo,
fulminante “Everyone Who Pretended To Like Me Is Gone” del 2002) l’impiego di strumenti vintage e che è
arrivato a costruirsi, a Harlem, un vero e proprio studio di registrazione (il cosiddetto Marcata Recording),
dismesso un paio di anni fa, non prima di avervi però registrato, come cerimonia d’addio, una riesecuzione
integrale, “track by track”, di un album di Henry Nilsson e John Lennon, “Pussy Cats” (del 1974), omaggio
poi pubblicato nell’autunno 2006.
Un gruppo, i Walkmen, che ha sempre saputo dunque coltivare un forte senso del mito (implicito in tante
pagine importanti del rock americano) e che ha lasciato scorrere nelle proprie vene il fiume inarrestabile
della tradizione, sempre capace di farlo divampare e straripare in direzioni cromatiche differenti: Buddy Holly
e Roy Orbison, Lee Hazlewood e Randy Newman, Ry Cooder e Jackson Browne, come pezzi illuminanti del
calibro di “Seven Years of Holidays (for Stretch)”, “Canadian Girl” o “Postcards from Tiny Islands” lasciano
ben trasparire.
“You & Me” è un disco di gran classe, visitato da una bellezza antica, mai davvero sfiorata dall’onta
corruttrice del tempo, un disco da ascoltare e riascoltare, da esplorare con la mente e con lo sguardo. Il suo
unico limite può forse essere rintracciato nell’eccessiva prolissità della seconda parte (parzialmente riscattata
dalla tripletta finale), dove la grazia compositiva delle prime sei-sette canzoni si opacizza e perde un po’ della
sua luminosità. A parte queste minuzie, i Walkmen regalano senz’altro uno dei dischi più emozionanti di
questo scorcio di stagione. (7.5/10)
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ROCKSHOCK
http://www.rockshock.it/news.asp?id=3584
Suoni vintage per una band controcorrente e che risale il fiume mainstream della musica contemporanea.
I The Walkmen sono senza dubbio una perla rara nel panorama musicale internazionale di questo inizio di
millennio. Mentre tutti gli altri gruppi in circolazione si affannano alla disperata ricerca di un suono nuovo da
consacrare al dio del digitale, questo quintetto di New York ripesca a piene mani nei suoni che hanno fatto la
storia della musica americana dagli anni ’50 in poi, e ce li ripropongono esattamente così come sono, senza
troppi rimaneggiamenti o arrangiamenti.
E’ proprio questo lo spirito che pervade You & Me, quarto album in studio dei The Walkmen, registrato tra
New York e Oxford, nel Mississippi, nel corso di due anni che hanno visto il gruppo avvicinarsi a uno stile più
intimista e profondo. 14 brani in cui aleggiano i fantasmi di Elvis e Buddy Holly, senza però risultare fuori
moda o eccessivamente retrò.
Cominciamo con Canadian Girl, che sembra uscita dai juke box delle tavole calde degli anni ’50, e
percorriamo la strada che ha portato in America alla nascita del genere cantautoriale (che ha raggiunto
picchi di eccellenza a partire dalla seconda metà degli anni ’60), perfettamente incarnato da brani come
Seven Years of Holiday (for Stretch) e Four Provinces. Incappiamo in sprazzi di psichedelia in brani come
Dónde está la Playa, e in qualche barlume di modernità, come in Postcards from Tiny Islands, ma non
approdiamo mai più in là dei primi anni ’80.
Una componente essenziale della musica di questo quintetto è la voce di Hamilton Leithauser, soave e lieve
sulle note degli strumenti a fiato, e potente ed armonica sui giri di chitarra. Registrata poi live nella stessa
sala in cui si trovava l’intera band, compresa la sezione di fiati utilizzata in alcuni pezzi, si presenta al nostro
orecchio come se provenisse davvero da un’altra epoca, o quantomeno da una registrazione su vecchie
bobine.
Al di là dei suoni folk quasi dimenticati e dell’utilizzo di strumenti da mercatino dell’antiquariato, la forza di
questo gruppo sta nell’attualità della sua musica. Anche se apparentemente può sembrare un controsenso,
basta pensare a quanti pezzi dei precedenti album dei The Walkmen sono stati utilizzati per fini alquanto
contemporanei, ad esempio come colonna sonora di spot pubblicitari o come sottofondo di scene clou in
alcuni telefilm.
Originali? Innovativi? Indubbiamente sì, e per un semplice motivo: riprodurre un suono vintage così alla
perfezione, senza l’ausilio di strumenti digitali e senza renderlo troppo datato per suonare interessante, non
è cosa da tutti. Ecco perchè album dopo album, i The Walkmen raccolgono tra le loro fila nuovi proseliti.
(7/10)
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PAG. 10
INDIE-EYE
http://www.indie-eye.it/recensore/2008/09/the-walkmen-you-me-gigantic-2008/
Si sa che da New York arrivano spesso le novità più entusiasmanti. Meno consueto è invece che una band
che si è espressa sempre a buoni livelli sia capace, al quinto album, di un tale scatto in avanti. “You & Me” è
una sorpresa. Dove ciò che sorprende non è tanto la qualità della proposta musicale dei Walkmen – già
dimostrata ampiamente nelle precedenti prove, quanto piuttosto la continuità di un album che non ha un
momento di cedimento dalla prima all’ultima canzone (e ce ne sono ben quattordici). Rispetto al passato The
Walkmen si rivolgono oggi con più fiducia alla tradizione di un suono folk-rock che qui si fa epidermico e
urgente, sognante e inquieto, senza però rinunciare alla consueta propensione ad arrangiamenti spigolosi e
stratificati anche quando si presentano sotto le rassicuranti (e mentite) spoglie della ballata classica. La
chitarra di Paul Maroon è nervosa anche quando si lascia andare ad arpeggi dal morbido suono vintage, il
basso di Peter Bauer tondo e incalzante costruisce trame sul drumming solido di Matt Barrick, mentre spesso
è all’organo di Walter Martin che spetta il compito di ricondurre il tutto a un’unità su cui la voce di Hamilton
Leithauser (incontenibile dal vivo) ha buon gioco nell’inserirsi finalmente con padronanza assoluta. “In The
New Year” in questo senso è forse l’esempio migliore e riuscito (oltre che una delle canzoni più belle
ascoltate quest’anno); l’espressività e la potenza vocale di Hamilton, mai sopra le righe, è molto bene messa
in evidenza in un brano come “New Country” dove le linee melodiche del cantato si intrecciano alla
perfezione sul solo incalzare dell’arpeggio di chitarra; brani come “On The Water” e “I Lost You” mettono in
evidenza la suggestione per paesaggi sonori desertici e morriconiani affini a quelli dei Calla (band con cui
hanno condiviso uno split oltre che, qui, la produzione di Chris Zane), mentre ad arricchire il già composito
spettro sonoro dei Walkmen brani come “Red Moon” e “Canadian Girl” segnalano una componente soul che
impone Leithauser come un improbabile quanto felice ibrido tra Otis Redding e Thom Yorke. Oltre al
missaggio del già citato Chris Zane, si nota anche la produzione di John Agnello, ‘mostro sacro’ degli anni ’90
già al mixer per band come Dinosaur Jr., Jawbox e Sonic Youth (tra le altre). Pubblica Gigantic.
INDIE FOR BUNNIES
http://www.indieforbunnies.com/2008/12/01/the-walkmen-you-me/
Spesso scomodati dalla critica internazionale come rappresentati di quel “New York Sound” che poi vuol dire
tutto e niente, i The Walkmen ritornano con una nuova uscita discografica, la quarta per la precisione.
Personalmente l’interesse nei confronti della formazione nordamericana era sorto col debutto “Everyone Who
Pretended to Like Me Is Gone”, una carrellatta per certi versi magica di raffinate melodie ribollenti diversi
stati d’animo. Dopo l’uscita dai circuiti indie con “Bows + Arrows” le cose iniziarono ad andare in discesa fino
a raggiungere il minimo qualitativo con il mediocre “A Hundred Miles Off”. Immaginerete la diffidenza con cui
mi sono avvicinato al nuovo lavoro del quintetto newyorchese e la successiva sorpresa nel constatare la
rinascita artistica di una band considerata sul viale del tramonto.
Diciamolo subito senza troppi giri di parole: “You & Me” spacca di brutto, detronizzando anche l’eccellente
debutto. Disseminato di tanti piccoli dettagli sonori che si concedono all’ascoltatore solamente dopo
molteplici ascolti, il disco in questione è un continuo gorgogliare di emozioni pur mantenendo un forte taglio
malinconico. Il cantato di Hamilton Leithauser s’incastra alla perfezione con il contesto musicale circostante,
impreziosendo ulteriormente le tracce in scaletta con un’interpretazione ed un trasporto da brividi: la vetta
emotiva è toccata con la splendida “In The New Year”, un crocevia di stati d’animo e frutto di un elegante
artigianato sonoro. Certo il quintetto americano zigzaga tra i paletti dell’alternative con mestiere, piazzando
ballate sognanti e romanticismi diffusi, senza tuttavia perdere quel tocco magicamente struggente che
pervade le quattordici istantanee presenti.
Un piccolo grande capolavoro dal forte retrogusto evocativo, la resurrezione di un gruppo dato spacciato dai
più, uno dei dieci dischi da acquistare per questo 2008: essere smentiti mai fu così piacevole. (4,5/5)
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PAG. 11
INDIE-ROCK
http://www.indie-rock.it/recensioni_look.php?id=545
GENERE: NYC rock.
PROTAGONISTI: Hamilton Leithauser (voce, chitarra), Paul Maroon (chitarra, piano), Walter Martin (organo,
basso), Peter Bauer (basso, organo), Matt Barrick (batteria).
SEGNI PARTICOLARI: band nata nel 2000, incrocio tra membri dei Jonathan Fire Eater e dei Recoys. I primi
in particolare riscossero una certa attenzione giungendo nel 1997 a pubblicare un album misconosciuto ma
di discreto successo, 'Wolf Songs For Lambs'. Pare che siano stati d'ispirazione anche agli Strokes. I
Walkmen sono al quarto album, in una carriera iniziata nel 2000. Il primo di questi, 'Everyone Who
Pretended To Like Me Is Gone', rimane la loro miglior prova, per varietà e spessore, ma tutta la loro
discografia può essere definita sicuramente solida.
INGREDIENTI: questa definizione di rock 'niuiorchese' che abbiamo voluto affibbiare ai Walkmen non è
dettata da chissà quali riferimenti. E' vero, essi ripropongono in qualche modo il sound un po' sporco e
graffiante degli Strokes, il modo di fare di ragazzi che suonano nel seminterrato, un'attitudine garage che
viene però trascesa nei loro dischi. La loro musica possiede un afflato cantautorale (che prende a piene mani
da Dylan), in particolare negli ultimi lavori, 'You & Me' e 'A Hundred Miles Off', che lascia intendere ben altra
maturità rispetto alle loro controparti più famose. Da cosa proviene, allora, la nostra definizione? E' in fondo
una sensazione di pancia molto netta, quella che ci trascina negli anfratti fumosi dei sobborghi della Grande
Mela. Senza dubbio, quello che abbiamo in mano non è un disco privo di un suo calore ben preciso, di una
sua identità che risalta fin da subito. Perché non c’è solo il graffio, la distorsione della chitarra di Maroon,
non c’è solo il 'raglio' dylaniano e stupendo di Leithauser: saper creare le atmosfere brumose e ovattate di
questo disco con l'uso degli strumenti (vantano anche un certo recupero vintage) che i Walkmen mettono in
atto non è da molti. Testi non ricercati, essenziali ma d’impatto, come nella miglior tradizione americana.
DENSITÀ DI QUALITÀ: provate a immaginare l’asfalto ribollente di sbuffi di vapore, i vicoli stretti con i gatti
che litigano nella spazzatura, qualcosa che cade con fracasso sulle scale di metallo che s’abbarbicano sui
condomini del Bronx. Infilatevi dentro il guscio metallico del Greyhound che sferraglia imperterrito sulla
sopraelevata arrugginita, prima di Grand Terminal, mentre al di sotto si accendono le prime luci e i barboni
preparano i loro giacigli di cartone per un'altra notte di ghiaccio. Sedetevi sul prato di Ellis Island, ad
ammirare il sole che tramonta infiammare lo skyline di Manhattan. Sono tutte cose imprescindibili, a nostro
parere, per apprezzare appieno 'You & Me'. A scanso di equivoci, quest'ultimo non è solo un disco di
atmosfera: contiene diversi grandi pezzi, di quelli che si ricordano. Primo fra tutti 'In The New Year', una
delle canzoni da portarsi dietro da questo 2008 e da appendere all'albero di Natale. Leithauser canta come
se fosse l'ultima cosa che fa sulla Terra, tirando fuori una potenza e un'estensione che lasciano a bocca
aperta. Una corsa in un Central Park innevato e deserto, la mezzanotte di Capodanno. La batteria imposta
una marcetta militaresca in 'Seven Years For Holidays (for Stretch)': malinconica e sognante ballata, che
sembra cantata con le gambe a penzoloni da un pennone del Chrysler Building. E così in tutto l'album si
alternano romanticismi soffusi ed enfatici refràin: il tutto all'insegna di un vitalismo tipicamente yankee. Qual
è l'unico limite di questo disco, che rimane comunque consigliatissimo? In generale, pare che i Walkmen
abbiano un po' rinunciato sia alla sperimentazione strumentistica che a quella compositiva. Paiono indulgere
eccessivamente nella forma della ballata in tre quarti, cosa, fra l'altro, che li avvicina ancora di più al loro
padre putativo Dylan. Alcuni episodi di un disco corposo, di 14 tracce, sembravano perlomeno evitabili ('Long
Time Ahead Of Us', 'If Only It Were True').
VELOCITÀ: un valzer sporco e ruggente, in un basement di Brooklyn.
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ROCKSHOCK
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Suoni vintage per una band controcorrente e che risale il fiume mainstream della musica contemporanea.
I The Walkmen sono senza dubbio una perla rara nel panorama musicale internazionale di questo inizio di
millennio. Mentre tutti gli altri gruppi in circolazione si affannano alla disperata ricerca di un suono nuovo da
consacrare al dio del digitale, questo quintetto di New York ripesca a piene mani nei suoni che hanno fatto la
storia della musica americana dagli anni ’50 in poi, e ce li ripropongono esattamente così come sono, senza
troppi rimaneggiamenti o arrangiamenti.
E’ proprio questo lo spirito che pervade You & Me, quarto album in studio dei The Walkmen, registrato tra
New York e Oxford, nel Mississippi, nel corso di due anni che hanno visto il gruppo avvicinarsi a uno stile più
intimista e profondo. 14 brani in cui aleggiano i fantasmi di Elvis e Buddy Holly, senza però risultare fuori
moda o eccessivamente retrò.
Cominciamo con Canadian Girl, che sembra uscita dai juke box delle tavole calde degli anni ’50, e
percorriamo la strada che ha portato in America alla nascita del genere cantautoriale (che ha raggiunto
picchi di eccellenza a partire dalla seconda metà degli anni ’60), perfettamente incarnato da brani come
Seven Years of Holiday (for Stretch) e Four Provinces. Incappiamo in sprazzi di psichedelia in brani come
Dónde está la Playa, e in qualche barlume di modernità, come in Postcards from Tiny Islands, ma non
approdiamo mai più in là dei primi anni ’80.
Una componente essenziale della musica di questo quintetto è la voce di Hamilton Leithauser, soave e lieve
sulle note degli strumenti a fiato, e potente ed armonica sui giri di chitarra. Registrata poi live nella stessa
sala in cui si trovava l’intera band, compresa la sezione di fiati utilizzata in alcuni pezzi, si presenta al nostro
orecchio come se provenisse davvero da un’altra epoca, o quantomeno da una registrazione su vecchie
bobine.
Al di là dei suoni folk quasi dimenticati e dell’utilizzo di strumenti da mercatino dell’antiquariato, la forza di
questo gruppo sta nell’attualità della sua musica. Anche se apparentemente può sembrare un controsenso,
basta pensare a quanti pezzi dei precedenti album dei The Walkmen sono stati utilizzati per fini alquanto
contemporanei, ad esempio come colonna sonora di spot pubblicitari o come sottofondo di scene clou in
alcuni telefilm.
Originali? Innovativi? Indubbiamente sì, e per un semplice motivo: riprodurre un suono vintage così alla
perfezione, senza l’ausilio di strumenti digitali e senza renderlo troppo datato per suonare interessante, non
è cosa da tutti. Ecco perchè album dopo album, i The Walkmen raccolgono tra le loro fila nuovi proseliti.
(7/10)
KRONIC
http://www.kronic.it/artGet.aspx?cID=35392
Quella classe un pò ruffiana...
La nuova uscita del combo newyorchese non è che cambi di molto le carte in tavola. I Walkmen sanno
scrivere canzoni, conoscono le regole del folk-pop e riescono a sviluppare con abilità l'impatto emozionale.
Ad essere puntigliosi in "You & Me" cresce l'attitudine rock e viene interprata con maggiore urgenza una
nevrosi chitarristica prima meno ricercata. Ma sono particolarità, nulla di clamoroso nella massa stratificata di
suoni spesso in bilico per sfruttare pathos e sentimenti.
Nella sostanza, dunque, resta un gruppo di classe che sfrutta certa metodologia (Dylan, sprazzi desertici,
aggiunte strumentali modello colonna sonora) con molto mestiere e relativa personalità. Piacciono per gusto
e canzoni, lasciano perplessi per un'eleganza più da supermercato che da antica bottega artigianale. Utile
nell'oggi, trascurabile per il domani. Poi, in giro, c'è molto di peggio, sia chiaro. (3/5)
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BAND: THE WALKMEN
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PAG. 13
DISCOCLUB 65
http://www.discoclub65.it/index.php?option=com_content&task=view&id=2396
Tracce del suono australiano dei primi anni Ottanta, dai Triffids ai Died Pretty (gli echi di chitarra), e degli
Afghan Whigs degli esordi (la voce, qua e là), caratterizzano i newyorkesi Walkmen, poco conosciuti in Italia,
ma già autori di diversi LP, tra i quali Bows + Arrows nel 2004 aveva avuto una certa risonanza. Autori di
una musica coinvolgente e malinconica, suonata e registrata con una prevalenza di strumentazione vintage,
che aggiunge un tono caldo alle loro composizioni, con You & Me i Walkmen compongono un'opera di
grande compattezza, nella quale tuttavia alcuni brani spiccano immediatamente: l'atmosferica On The Water,
per esempio, o Red Moon, con i fiati e il lento andamento vagamente latino, o ancora The Blue Route, uno
dei pochi momenti in cui il suono si fa lievemente più aggressivo. Non un disco rivoluzionario, ma molto
gradevole, che con gli ascolti potrebbe crescere ulteriormente.
FREQUENZE INDIPENDENTI
http://frequenzeindipendenti.blogspot.com/2008/09/fast-reviews_30.html
La musica che ha ispirato i Walkmen nella composizione di You & Me si inserisce nella tradizione di un
songwriting che risale al primo rock'n'roll, all'intimità e all'energia di Elvis Presley, alle prime registrazioni di
Buddy Holly e l'orchestrazione massiccia di Roy Orbison. Una notevole fonte di ispirazione sono stati anche
artisti come Randy Newman e band come Pogues e Modern Lovers, tutti capaci di creare quel tipo di canzoni
che, se rappresentano indubbiamente un prodotto del proprio tempo, restano comunque saldamente
radicate nella tradizione. Nel disco le voci sono state registrate live nella sala in cui si trovava l'intera band,
talvolta accompagnata da una sezione di fiati. Tra dramma e sentimento, You & Me riesce ad applicare una
produzione live classica a canzoni rock costruite in modo meticoloso e dal suono unico, diverso rispetto a
quello delle tre uscite precedenti. E' un disco lungo, di poco sotto l'ora, in cui vengono presentate molte idee
e la cui scrittura e registrazione sono durate ben due anni, durante i quali i membri del gruppo si sono divisi
tra Philadelphia e New York, dove hanno preso autobus cinque giorni la settimana per lavorare in due
piccole sale prove (un vecchio nightclub a Chelsea, New York, e un magazzino di Fish Town, Philadelphia). Al
termine delle registrazioni, più di 400 nastri da 8-tracce erano ammassate sul pavimento. L'album è stato
registrato fra gli studi Sweet Tea di Okford, Mississippi (dove il gruppo aveva già lavorato per Bows and
Arrows), in cui hanno potuto contare su John Agnello (Dinosaur Jr., Hold Steady, Sonic Youth), e gli studi
Gigantic di New York (costruiti da Philip Glass), dove hanno collaborato con Cris Zane. Lo strano ritmo di I
Lost You e il modo in cui tanto la musica quanto i testi spingono verso un crescendo (à la Roy Orbison per
intenderci) in diversi episodi del disco, rappresenta la nuova /vecchia direzione a cui, da tempo, questi
signori miravano senza tregua. Scegliamo per l'ascolto la bellissima Dònde Està La Playa.
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