UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA CORSO DI LAUREA IN INFERMIERISTICA TESI DI LAUREA PDTA DI UN PAZIENTE AFFETTO DA CARCINOMA DEL CAVO ORALE SOTTOPOSTO A RADIOTERAPIA Relatore: Candidato: MANNA Gianluca PETRALIA Giuseppina Anno Accademico 2005/2006 1 RINGRAZIAMENTI Ringrazio il mio relatore MANNA Gianluca per la disponibilità e la comprensione, l’infermiera GARDES Paule Marie per il suo sostegno e per il suo grande aiuto nel lavoro di realizzazione della tesi. Ringrazio i miei zii, Marianna e Luigi, e mia cugina Rossella per il loro affetto, per la loro disponibilità e per il loro sostegno. DEDICA Dedico la mia tesi ai miei genitori, Alfio e Maria, a mia sorella Giulia e al mio fidanzato Enzo. INDICE 2 INTRODUZIONE pag. 4 EPIDEMIOLOGIA pag. 5 BIBLIOGRAFIA pag. 7 CAPITOLO 1 ANATOMIA E FISIOLOGIA DEL CAVO ORALE pag. 9 BIBLIOGRAFIA pag. 16 CAPITOLO 2 BIOLOGIA DEI TUMORI pag. 18 BIBLIOGRAFIA pag. 22 CAPITOLO 3 STADIAZIONE ED OPZIONI TERAPEUTICHE DEL CARCINOMA DEL CAVO ORALE pag. 24 BIBLIOGRAFIA pag. 27 CAPITOLO 4 4.1 PRINCIPI DI RADIOTERAPIA pag. 29 4.2 PREPARAZIONE AL TRATTAMENTO RADIANTE pag. 30 4.3 EFFETTI COLLATERALI DELLA RADIOTERAPIA pag. 32 4.4 BIBLIOGRAFIA pag. 34 CAPITOLO 5 PRESENTAZIONE DI UN CASO pag. 36 3 CAPITOLO 6 PERCORSO DEL PAZIENTE NEL CENTRO RADIOTERAPICO pag. 39 BIBLIOGRAFIA pag. 55 CAPITOLO 7 QUALITA’ DI VITA pag. 60 7.1 CHE COSA E’ LA QUALITA’ DI VITA pag. 61 7.2 COME E QUANDO MISURARE LA QUALITA’ DI VITA pag. 62 7.3 A CHE PUNTO SIAMO E QUALE SARA’ IL FUTURO pag. 63 BIBLIOGRAFIA pag. 64 CAPITOLO 8 LA FATIGUE pag. 66 8.1 CHE COSA E’ LA FATIGUE pag. 67 8.2 LE CAUSE DELLA FATIGUE pag. 68 8.3 GLI EFFETTI DELLA FATIGUE pag. 69 BIBLIOGRAFIA pag. 71 CAPITOLO 9 IL DOLORE ONCOLOGICO pag. 74 4 9.1 VALUTAZIONE DEL DOLORE pag. 75 9.2 TERAPIA ANTALGICA pag. 77 9.3 SOMMINISTRAZIONE DELLA TERAPIA ANTALGICA pag. 78 BIBLIOGRAFIA pag. 82 CONCLUSIONI pag. 84 ALLEGATO 1 IMMAGINI DEL CAVO ORALE pag. 87 ALLEGATO 2 GUIDA AL PAZIENTE pag. 90. 5 INTRODUZIONE Il titolo della presente tesi di laurea ha avuto origine dal desiderio di approfondire un argomento trattato a scuola durante il corso integrato di Oncologia, sia attraverso le lezioni frontali sia durante i lavori di gruppo. La mia ricerca ha ottenuto molti risultati attraverso informazioni mediche in merito alla radioterapia, in netta contrapposizione con la mancanza di notizie sull’assistenza infermieristica. La scelta è stata dovuta alla scarsità di informazioni presenti in questo specifico campo e, proprio per questo, le osservazioni si basano su evidenze scientifiche, riscontrate nella pratica professionale ed in letteratura, piuttosto che su concetti teorici. Convivere con una grave malattia non è facile. I pazienti neoplastici e i loro cari si troveranno di fronte a numerosi problemi e sfide, che sarà più semplice risolvere disponendo di informazioni utili e di servizi di sostegno: Il paziente deve sentirsi assistito e controllato in modo costante. Un anello della catena rappresentante l’équipe di professionisti che lavorano per assistere un paziente radiotrattato, è occupato dall’infermiere e pertanto cercheremo di delineare quale sia il suo ruolo attraverso la presentazione di un caso clinico e la descrizione del piano diagnostico, terapeutico ed assistenziale . . 6 EPIDEMIOLOGIA L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sottolinea che la salute del cavo orale è ancora un rischio che interessa tutte le fasi della vita di una persona e ha messo in atto un sistema di sorveglianza internazionale poiché il carcinoma del cavo orale rimane tra le malattie più diffuse. Il cancro della bocca colpisce particolarmente le persone sopra i 55 anni di età, soprattutto quando si tratta di fumatori e di alcolisti. Infatti, molti pensano che alcol e tabacco esercitino un effetto carcinogeno sinergico; tuttavia l’incidenza tende ad aumentare negli uomini di età inferiore ai 30 anni per l’uso di tabacco in forme diverse dal fumo ( tabacco da fiuto). In ogni caso negli Stati Uniti il cancro del cavo orale rappresenta il 2% di tutte le morti per cancro e gli uomini sono più colpiti delle donne, anche se l’incidenza sta aumentando per l’aumentato uso di alcol e tabacco nel sesso femminile. Per le 8100 morti annuali dovute al cancro del cavo orale, si stima la seguente distribuzione: Lingua 1800 Bocca 2300 Faringe 2100 Altro 1900 Se scoperto durante le fasi precoci può essere curato e la sopravvivenza a 5 anni è pari a 55% per i soggetti di razza bianca e al 33% per gli afro- americani. Un’ irritazione cronica provocata dal calore irradiato dal bocchino della pipa accesa o da un’esposizione prolungata ai raggi solari può predisporre al cancro delle labbra. Le algie boccali sono una delle forme di dolore più comune e più diffusa e interessano almeno il 25% di quelle che si manifestano in un arco di tempo di sei mesi. E’ un dolore che interferisce con una serie di funzioni vitali, come mangiare, deglutire, parlare. Ogni anno più di 400 mila malati di cancro, che si sottopongono a radioterapia, sviluppano una serie di problemi del cavo orale. Per capire il carico sociale ed economico dei problemi derivati da disturbi della bocca, basti pensare che ogni anno, negli Stati Uniti, vengono perdute 164 milioni di ore di lavoro per problemi relativi al cavo orale. 7 Esiste una correlazione tra la diffusione del cancro e le variabili riguardanti la salute e quelle socio-economiche. Questa associazione suggerisce che lo sviluppo della neoplasia segue quello dell’economia; infatti, più una società è ricca, maggiori saranno le aspettative di vita. Essendo in aumento gli anni di vita vissuta, avranno un incremento anche il numero di persone affette da neoplasia. Le campagne contro il cancro in Europa hanno proprio lo scopo di concentrare energie e risorse sia sulla prevenzione primaria sia sul trattamento per contribuire all’allungamento della sopravvivenza. BIBLIOGRAFIA RIVISTE 1. Centers for Disease Control and Prevention, Health Resources and Services Administration, Indian Health Service e National Institutes of Health. Healthy People 2010. Oral Health, 2003. 2. Petersen PE. The World Health Report 2003. Geneva: World health Organization, 2003. 8 3. Micheli A., Mugno E., Krogh V., Quinn MJ., Coleman M., Hakulinen T., Gatta G., Berrino F., Capocaccia R., Europreval Working Group. Annals of Oncology: Cancer prevalence in European registry areas. Oxford: European Society for Medical Oncology, 2002; 13:840-865. 4. Promoting Oral Health: Interventions for Preventing Dental Caries, Oral and Pharyngeal Cancers and Sports related Craniofacial Injuries. Task Force, 2001; 50:1-13. LINEE GUIDA 5. Satcher D. Oral Health in America: A Report of the Surgeon General. CDC maggio 2000. Capitolo 1 9 ANATOMIA E FISIOLOGIA DEL CAVO ORALE Anatomia La cavità orale è l’organo necessario all’introduzione e all’elaborazione del cibo; con la lingua e i denti costituisce l’apparato boccale nonché la prima porzione dell’apparato digerente ma è parte anche delle vie respiratorie e degli organi della fonazione. Il punto di passaggio tra la cavità orale e la cavità faringea è detto istmo delle fauci. La bocca, completamente rivestita da mucosa, è delimitata anteriormente dalle labbra, lateralmente dalle guance, posteriormente dall’istmo delle fauci, in alto dalla volta palatina, in basso dal pavimento, costituito da un piano muscolare (muscolo miloioideo) su cui appoggia la lingua. Le labbra rivestono esternamente le arcate dentali, sono fornite di muscoli, in cui predominano i fasci di fibre circolari ed intorno ad esse si trovano fascetti muscolari disposti a raggera: ognuno di essi determina una particolare funzione nel movimento della bocca. L’esterno delle labbra è rivestito dalla cute, che si continua nel viso, ed è rivestito da una mucosa sottile che lascia trasparire il colore rosso dei fasci muscolari sottostanti. Questa mucosa è ricca di terminazioni nervose deputate alla sensibilità termica (caldo e freddo). La parte interna delle labbra è costituita da una mucosa più spessa ricca di ghiandole a secrezione sierosa e mucosa. Le pareti laterali sono costituite dalle guance le quali contengono i muscoli destinati alla masticazione e una piccola raccolta di tessuto adiposo. La parete superiore è nota come palato o volta palatina. Lo scheletro osseo del palato duro è formato da due processi palatini dell’osso mascellare ed è coperto da una mucosa stratificata di colorito roseo pallida. La parete inferiore o pavimento buccale è occupato per quasi tutta la sua ampiezza dalla lingua. La parete posteriore è costituita dal palato molle. Il contorno inferiore del palato presenta una sporgenza centrale, l’ugola. Da qui si dipartono due arcate tra le quali si trovano due ghiandole linfatiche, tonsille o amigdale, una per lato. 10 Tra gli elementi di maggior importanza presenti nella cavità della bocca vanno ricordati i denti, la lingua e gli sbocchi dei canali escretori di molte ghiandole salivari: delle parotidi (dotti di Stenone), delle ghiandole sottomascellari (dotti di Wharton) e di quelle sottolinguali (dotti di Rivino). I denti sono costituiti da tre parti principali: la corona, il colletto e la radice. Essi sono rivestiti dallo smalto, una delle sostanze più dure del corpo umano, la dentina, sostanza anch’essa dura, e la polpa dentale che costituisce la parte morbida. La mucosa boccale è assai ricca di terminazioni nervose sensitive che, particolarmente abbondanti sulla lingua, rappresentano gli elementi fondamentali per il senso del gusto. La mucosa che riveste la parete interna delle labbra e delle guance è rosea o rossa, mentre quella che riveste le zone ossee e parte dei denti è più biancastra e viene denominata gengiva. La gengiva giunge fino alla base della corona dei denti, formando intorno a essa una struttura anulare, detta cercine gengivale, cui corrisponde il colletto di ciascun dente. FISIOLOGIA Nella cavità orale si verificano le prime modificazioni dei cibi ai fini della digestione e precisamente la loro masticazione e insalivazione, nonché la formazione del bolo alimentare. 11 La lingua è molto mobile, facilmente distendibile e contribuisce a deglutire il cibo masticato. Essa è molto vascolarizzata perciò sanguina profusamente in caso di ferite; è anche estremamente sensibile, in quanto è fornita di molte terminazioni nervose. Come succede per le labbra, la lingua è rappresentata nelle cortecce cerebrali motoria e somestesica da un’area molto più ampia delle dimensioni reali. Questa rappresentazione relativamente estesa nella corteccia motoria permette di compiere i numerosi e fini movimenti necessari per produrre la parola. Una lesione di qualsiasi tipo alla lingua, anche molto piccola, può provocare difetti di pronuncia. Un’importante funzione della lingua è quella di permetterci di gustare il cibo e quindi di trarne piacere. Infatti, sulla superficie dorsale della lingua si trovano numerose papille che possono essere chiamate papille filiformi, fungiformi, circumvallate o foliate a seconda della loro forma. Queste aree contengono circa 10.000 bottoni gustativi che ci permettono di distinguere le quattro modalità del gusto: dolce, amaro, salato e acido. In questi bottoni gustativi si trovano cellule recettoriali gustative che sono chemocettori. Queste sostanze chimiche in soluzione stimolano le suddette cellule e si genera un impulso che viaggia lungo le fibre nervose che innervano ogni cellula recettoriale, fino a raggiungere la corteccia cerebrale gustativa. Qui, la sensazione gustativa viene distinta e riconosciuta. Ogni giorno un individuo adulto produce approssimativamente 1-1,5 litri di saliva. La saliva è costituita principalmente da acqua (il 99% del totale) e di solito ha un pH di 6,8-7,0. Tuttavia, diventa più alcalina quando aumenta la velocità di secrezione durante la masticazione. La saliva ha diverse funzioni: * pulisce la bocca. All’interno di questa c’è una continua produzione di saliva che scorre poi all’indietro verso l’esofago. La saliva contiene lisozima che ha azione antisettica, e anche immunoglobuline (IgA) che hanno funzione di difesa. In generale, un suo normale flusso contribuisce a prevenire le carie dentali e l’alitosi; un suo improvviso flusso nel cavo orale spesso precede il vomito; 12 * mantiene il benessere del cavo orale e lubrifica riducendo la frizione provocata dal parlare e dal masticare. La sensazione di bocca secca (secchezze delle fauci) è molto spiacevole e rende difficile il parlare. Questa condizione può verificarsi normalmente quando il soggetto è nervoso, spaventato o ansioso, e quando l’attività del sistema nervoso simpatico o l’azione di farmaci inibiscono la secrezione salivare; * contribuisce alla formazione di un bolo, cioè di una pallottola di cibo parzialmente frammentato che è pronto per essere deglutito. La saliva contiene un enzima digestivo, l’amilasi salivare o amilasi alfa, chiamata anche ptialina. L’amilasi salivare agisce sull’amido cotto (per esempio nel pane e nelle torte), trasformandolo in disaccaridi (maltosio e destrine). Più a lungo l’amido rimane in bocca e più viene masticato, maggiore sarà l’effetto di questo enzima. L’amilasi salivare, di solito, nella digestione svolge un ruolo minore e non essenziale. La saliva è composta anche da ioni calcio, sodio, cloro, bicarbonato e potassio. Se a causa di qualche patologia, per esempio infiammazioni, infezioni o neoplasie, i dotti delle ghiandole salivari si ostruiscono, questi elettroliti possono concentrarsi nei dotti ghiandolari e ciò porta alla formazione di calcoli salivari. E’ necessario che le sostanze chimiche presenti nel cibo siano in soluzione (cioè disciolte nella saliva) perché possano stimolare i recettori nelle papille gustative. Un individuo con la bocca secca non può assaporare pienamente il cibo e perciò non riesce a gustare i pasti. La produzione di saliva avviene in risposta a fattori diversi tra loro. Il pensiero, la vista o l’odore del cibo, sono riflessi condizionati, cioè quando una sostanza viene riconosciuta come cibo e anticipata dal pensiero, dalla vista o dall’odore, ecco che gli impulsi nervosi si dipartono e provocano salivazione. La presenza di cibo nella bocca provoca la stimolazione meccanica delle ghiandole salivari, e questa risposta rappresenta una riflesso incondizionato, cioè non appreso. La secrezione di abbondante saliva acquosa si ha come risultato dell’eccitazione del sistema nervoso parasimpatico, che aumenta anche il flusso ematico alle ghiandole salivari. 13 La stimolazione del sistema nervoso simpatico, che si ha per esempio in condizioni di stress e di forte ansia, provoca vasocostrizione nella ghiandole, perciò viene prodotta solo una piccola quantità di saliva concentrata. Ci sono tre paia di ghiandole salivari principali: ghiandole parotidi, sottomandibolari e sottolinguali. Altre ghiandole più piccole, dette ghiandole minori, sono presenti sulla superficie del palato, della lingua e all’interno delle labbra. Queste ultime producono saliva in risposta a stimoli meccanici locali. Le ghiandole parotidi sono ghiandole a secrezione in prevalenza sierosa, producono un secreto molto fluido e ricco di componenti proteici; le ghiandole sottolinguali presentano una maggior componente mucosa; le ghiandole sottomandibolari risultano prevalentemente sierose. Il controllo delle secrezioni salivari è essenzialmente determinato da una serie di attività esercitate dal sistema nervoso centrale e periferico e dalla irrorazione sanguigna. Questi meccanismi di secrezione mantengono un flusso salivare basale in assenza di stimoli per evitare l’essiccamento e la disidratazione della mucosa orale e dei primi tratti della faringe. La secrezione salivare è totalmente riflessa ed involontaria. Si possono considerare tre fasi nella secrezione salivare: la fase cefalica, nella quale esiste, in assoluta mancanza di stimolazioni orali, un controllo corticale della funzione salivatoria, che tenderà ad estinguersi se non sostenuta da una successiva assunzione di cibo; la fase orale che si manifesta con l’assunzione di cibo ed è dovuta alla stimolazione meccanica dei recettori tattili presenti nella mucosa della cavità orale che incrementa la secrezione salivare; la fase gastrica che agisce per via nervosa riflessa mantenendo la secrezione salivare in modo da contribuire alla ulteriore diluizione del contenuto di cibo presente nello stomaco. Nell’arco delle 24 ore la quantità media di saliva secreta, in condizioni basali e di stimolazione fisiologicamente normale, può variare da valori di 700-800 ml ed in particolari condizioni il volume salivare può arrivare fino a 1500 ml. La formazione di saliva subisce un picco, definito acrofase, durante le prime ore pomeridiane e, successivamente, tende a 14 diminuire progressivamente sino ad arrivare ad una fase di secrezione minima durante la notte e nelle ore del sonno. La saliva è composta principalmente da acqua a cui si aggiungono elettroliti inorganici che più precisamente sono il sodio, il potassio, il calcio, il cloro, il fluoro. La componente organica della saliva è invece costituita prevalentemente da molecole proteiche, lipidi e glucidi. Il glucosio presente nella saliva primaria e secondaria rispecchia proporzionalmente le concentrazioni ematiche. L’assunzione di cibi e di bevande zuccherate determina aumenti delle concentrazioni zuccherine nel cavo orale, ma questi valori sono riferibili ai liquidi orali a non alle secrezioni salivari propriamente dette. La saliva si può considerare leggermente acida ed il suo pH può variare fra 5,75 e 7,05. 15 BIBLIOGRAFIA TESTI 1. Spadai F. La salivazione. Riflessioni funzionali e salute del cavo orale. Ambulatorio di medicina e patologia orale della clinica odontoiatrica e stomatologia dell’università degli studi di Milano: 2001. 2. Hinchliff S.M., Montague S.E., Watson R. Fisiologia per la Pratica Infermieristica. Milano: Casa Editrice Ambrosiana, 2004. SITI INTERNET 3. Consiglio Nazionale delle Ricerche, Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca. Disponibile su: http://www.progettoocologia.cnr.it.htm. [Creazione: 2003] [ Ultimo aggiornamento: 16 settembre 2005]. 4. Servizio Nazionale di Supporto ed Informazione in Oncologia. Disponibile su: http//www.sostumori.org.htm. [Ultimo aggiornamento: 2 febbraio 2006]. 16 Capitolo 2 17 BIOLOGIA DEI TUMORI Dopo la nascita le cellule possono comportarsi in maniera differente a seconda del tessuto di appartenenza. Vi sono cellule che perdono definitivamente la capacità di proliferare e cellule che possono continuare a riprodursi e differenziarsi durante tutto l’arco della vita. I processi proliferativi che permettono i processi rigenerativi in caso di lesioni sono rigidamente controllati. E’ importante; infatti, che non si producano cellule in numero maggiore o minore rispetto al fabbisogno. E’ anche importante che, una volta intrapreso, il processo differenziativo che conduce le cellule proliferanti a cellule mature e funzionanti, sia completato in tutti i suoi stadi. Talvolta questi meccanismi di controllo non funzionano e di conseguenza si verifica una proliferazione eccessiva delle cellule dando origine ad una neoplasia. Si distinguono due tipi di tumore: i tumori benigni e quelli maligni. I primi sono dati da una proliferazione cellulare ancora relativamente controllata, limitata nel tempo, nello spazio e nel numero delle cellule. I secondi derivano da una proliferazione incontrollata che invade i tessuti vicini e può anche colonizzare tessuti distanti e diversi da quelli di origine dando luogo al fenomeno della metastasi. Più le cellule sono svincolate dai sistemi di regolazione della proliferazione più la forma neoplastica è maligna. Il processo proliferativo può fermarsi a vari livelli dando luogo a differenti forme di neoplasia: Lesione pre-neoplastica: accumulo di cellule che rimane molto ben limitata nella sede di origine e l’assetto morfologico del tessuto risulta poco modificato; Neoplasia benigna: la proliferazione e l’accumulo cellulare è più evidente, ma è sempre circoscritto al tessuto d’origine e le cellule neoplastiche non superano la membrana basale dell’epitelio; Neoplasia maligna: le cellule neoplastiche superano la membrana basale ed invadono i tessuti circostanti. Nelle forme più maligne le cellule neoplastiche sviluppano la capacità di produrre sostanze, dette fattori angiogenetici, che stimolano la formazione di nuovi vasi sanguigni e del relativo supporto connettivale. Avviene una neovascolarizzazione del tessuto neoplastico 18 che permette l’arrivo delle sostanze nutritive a tutte le cellule che compongono la massa tumorale. Le cellule normali se sono a stretto contatto tra di loro smettono di proliferare. Questo fenomeno viene definito inibizione da contatto. Le cellule neoplastiche perdono questa importante proprietà inibente la crescita. Il tumore è causato dalla trasformazione di una singola cellula. Questa cellula prolifera e origina un clone di cellule neoplastiche, tutte ugualmente trasformate. La cellula neoplastica è una cellula che ha subito delle alterazioni (mutazioni) a carico di geni (oncogeni) che normalmente codificano per proteine legate alla regolazione della proliferazione. Un oncogeno alterato codificherà per una proteina alterata, capace di innescare la proliferazione, ma insensibile ai meccanismi di inibizione che la controllano. Esistono in condizioni normali geni che frenano la proliferazione cellulare. Essi sono definiti anti-oncogeni o geni onco-soppressori. La perdita o l’inattivazione di uno di questi può essere il responsabile della generazione di un fenotipo neoplastico. I tumori maligni possono invadere i tessuti vicini per contiguità o possono metastatizzare in tessuti distanti da quello d’origine. Il processo di metastatizzazione o metastasi è determinato dal fatto che alcune cellule neoplastiche trovano accesso al torrente circolatorio e raggiungono tessuti distanti dove ricominciano a proliferare. Le vie che utilizzano per produrre metastasi sono due: le vie linfatiche dove le cellule si staccano dalla massa neoplastica e vanno a raggiungere mediante i capillari e i collettori linfatici i linfonodi satelliti; e le vie ematiche. La cellula neoplastica mantiene una certa somiglianza morfologica con le cellule del tessuto normale da cui origina. I tumori vengono classificati generalmente in base all’istotipo. I tumori maligni di origine epiteliale sono chiamati carcinomi, quelli di origine connettivale sarcomi. Il tessuto di origine viene ricordato con un prefisso: per esempio vi sono adenocarcinomi che indicano carcinomi originati da epiteli ghiandolari, epatocarcinomi che sono carcinomi originati dalle cellule del fegato ed osteosarcomi, cioè sarcomi dell’osso. Le neoplasie delle cellule del sangue vengono definite leucemie, mentre la neoplasia del tessuto linfoide prende nome di linfoma. 19 Le neoplasie maligne del cavo orale sono solitamente neoplasie a cellule squamose .Possono colpire tutte le regioni dell’orofaringe, ma interessano soprattutto le labbra, gli aspetti laterali della lingua ed il pavimento buccale. MANIFESTAZIONI CLINICHE Molte forme neoplastiche sono inizialmente asintomatiche o associate a scarsi sintomi. Successivamente si forma un’ulcera non dolorosa ed indurita con i margini rilevati o una massa che non guarisce. Per cui ogni lesione del cavo orale che non guarisce in due settimane dovrebbe essere valuta con biopsia. Col progredire della neoplasia il paziente avverte dolore, difficoltà alla masticazione, ad inghiottire e all’articolazione della parola. I linfonodi cervicali possono essere ingrossati. Le valutazioni diagnostiche consistono: nell’esame del cavo orale e nella valutazione dei linfonodi latero cervicali per accertare la presenza di eventuali metastasi; nell’esecuzione di una biopsia sulle lesioni sospette Per i fumatori di sigarette o di pipa sono particolarmente a rischio la mucosa e le gengive. Per i consumatori di alcol e tabacco sono a rischio: il pavimento della bocca, la porzione ventrolaterale della lingua e il complesso del palato molle ( cioè il palato molle, regione tonsillare anteriore e posteriore, l’ugola e la regione compresa tra i molari e la giunzione della lingua ). 20 BIBLIOGRAFIA TESTI 1. Carpanelli I., Canepa M., Bettini P., Viale M. Oncologia e cure palliative. AIIO Associazione Italiana Infermieri di Oncologia. Milano: McGraw-Hill, 2002. 2. Bonadonna G., Robustelli della Cuna G., Valagussa P. Medicina Oncologica. Settima edizione. Masson, 2003. 3. Brunner Suddarth nursing medico chirurgico CEI 2001 21 22 Capitolo 3 23 STADIAZIONE ED OPZIONI TERAPEUTICHE DEL CARCINOMA DEL CAVO ORALE Una volta diagnosticata la presenza del tumore, sono necessari ulteriori accertamenti per verificare se le cellule tumorali si sono diffuse ad altre parti dell'organismo (stadiazione). Questa è importante per la scelta del trattamento più indicato. Il carcinoma del cavo orale si suddivide nei seguenti stadi: stadio I: il tumore ha un diametro massimo di 2 cm e non si è esteso ai linfonodi regionali (i linfonodi sono piccole strutture del sistema linfatico, a forma di fagiolo, presenti in tutto il corpo, che producono e conservano le cellule che combattono le infezioni); stadio II: il tumore ha un diametro che misura più di 2 cm, ma meno di 4 cm, e non si è diffuso ai linfonodi regionali; stadio III: - il tumore ha un diametro maggiore di 4 cm (è più lungo di 4 cm); oppure - il tumore, indipendentemente dalle sue dimensioni, ha invaso un solo linfonodo omolaterale, ossia localizzato nella stessa parte del collo in cui si trova il tumore; il linfonodo interessato non misura più di 3 cm; stadio IV: 24 - il tumore si è diffuso ai tessuti circostanti le labbra e il cavo orale; i linfonodi possono essere indenni o compromessi; oppure - il tumore, indipendentemente dalle sue dimensioni, ha invaso più di un linfonodo omolaterale, i linfonodi di uno o di tutti e due i lati del collo, oppure un linfonodo, che misura oltre 6 cm di diametro; oppure - il tumore si è esteso ad altri organi; recidiva: quando il tumore si ripresenta dopo il trattamento. La recidiva può svilupparsi nella stessa sede del tumore primitivo oppure in un altro organo. OPZIONI TERAPEUTICHE Tutti i pazienti portatori di cancro del cavo orale possono essere sottoposti a trattamento. Esistono tre opzioni terapeutiche: chirurgia, che consiste nell'asportazione del tumore; radioterapia, che utilizza dosi elevate di raggi X per distruggere le cellule tumorali. chemioterapia: che consiste nella somministrazione di farmaci che distruggono le cellule tumorali. La chirurgia è un trattamento comune per il tumore del labbro e del cavo orale. Il chirurgo potrà asportare il tumore con un margine di tessuto sano circostante. In alcuni casi eseguirà anche una dissezione linfonodale, vale a dire asporterà anche i linfonodi del collo. La radioterapia consiste nell'applicazione di radiazioni ad alta frequenza per distruggere le cellule neoplastiche e ridurre le dimensioni del tumore. Le radiazioni possono essere erogate da una macchina esterna all'organismo (radioterapia esterna) oppure può essere immessa direttamente nella lesione (radioterapia interna o intracavitaria). 25 La chemioterapia è la modalità terapeutica che distrugge le cellule tumorali attraverso la somministrazione di farmaci, che possono essere assunti per bocca in forma di compresse, oppure iniettati per via endovenosa o intramuscolare. La chemioterapia si definisce trattamento sistemico, perché il farmaco entra nella circolazione sanguigna, si diffonde nell'organismo e in questo modo può raggiungere e distruggere le cellule tumorali che si sono diffuse a distanza. Se il chirurgo rimuove tutto il tumore visibile, il paziente potrà essere sottoposto a chemioterapia o radioterapia postoperatoria allo scopo di distruggere eventuali cellule tumorali residue. Questa terapia attuata dopo l'intervento quando non ci sono apparentemente più cellule tumorali si definisce adiuvante. La chemioterapia o la radioterapia eseguita prima dell'intervento allo scopo di ridurre le dimensioni del tumore, per poterlo poi asportare più agevolmente, si definisce neoadiuvante. BIBLIOGRAFIA TESTI 1. Bonadonna G., Robustelli della Cuna G., Valagussa P. Medicina Oncologica. Settima edizione. Masson, 2003. 26 SITI INTERNET 2. AimaC-Profili DST-Cancro del labbro e del cavo http://www.aimac.it.htm. [Ultimo aggiornamento: dicembre 2001] 3. http://www.tumori.net.htm. 27 orale. Disponibile su: Capitolo 4 28 4.1 PRINCIPI DI RADIOTERAPIA L’effetto della radioterapia si basa su un’azione selettiva, lenta e graduale che, poco per volta, determina danni incompatibili con la sopravvivenza delle cellule tumorali lasciando ai tessuti sani la possibilità di riparare più o meno completamente gli effetti dell’irradiazione. L’indirizzamento alla radioterapia può essere ad utilizzo esclusivo o in associazione alla chirurgia e alla chemioterapia. La radioterapia esclusiva viene utilizzata con i seguenti scopi: trattamento curativo, con lo scopo di ottenere la guarigione dal tumore; sintomatico, con l’obiettivo di migliorare la qualità di vita ed eventualmente prolungare la sopravvivenza; precauzionale o profilattica, con il fine di irradiare territori microscopicamente non interessati dalla neoplasia, ma che si considerano sedi di localizzazioni occulte. La radioterapia può essere associata alla chirurgia: direttamente sullo stesso bersaglio (tumore primitivo o linfonodi regionali) oppure su obiettivi diversi. Si ricorre alla radioterapia preoperatoria in presenza di tumori localmente avanzati con lo scopo di rendere operabile la neoplasia, riducendone le dimensioni, e contemporaneamente, di eliminare eventuali focolai occulti periferici, clinicamente non evidenti; per tumori radicalmente operabili, l’intento è quello di ridurre il numero delle recidive locali. La radioterapia postoperatoria viene utilizzata in caso di asportazione non radicale della neoplasia, quindi come prevenzione in interventi chirurgici demolitivi sia di ordine estetico che funzionale; oppure per ridurre il numero di recidive locali, dopo interventi apparentemente radicali. La radioterapia associata alla chemioterapia ha lo scopo di migliorare i risultati con un più efficace controllo del tumore primitivo e delle eventuali metastasi; a parità di risultati, riduce le dosi e quindi la tossicità dei singoli trattamenti ed eventualmente evita interventi chirurgici demolitivi e mutilanti. 29 4.2 PREPARAZIONE AL TRATTAMENTO RADIANTE L’identificazione del volume bersaglio rappresenta il primo passo nella pianificazione del trattamento radiante. L’accurata localizzazione ed identificazione del volume bersaglio tumorale nonché degli organi critici, richiedono un’approfondita conoscenza della malattia neoplastica e si basano sulle informazioni fornite dall’esame clinico, dagli esami diagnostici radiologici e di medicina nucleare, così come da eventuali interventi chirurgici e relativi esami istologici. La scelta della posizione del paziente durante il trattamento e l’utilizzo di sistemi di immobilizzazione del distretto corporeo d’interesse sono procedure fondamentali per realizzare una simulazione corretta e garantire la riproducibilità quotidiana dell’irradiazione, I sistemi di immobilizzazione garantiscono la riproducibilità del trattamento e includono speciali poggiatesta, sistemi di bloccaggio per il mento, maschere per il capo e collo in materiale termoconformabile, impronte di vari distretti corporei ottenute con appositi materiali schiumosi o materassini nei quali è possibile creare il vuoto e riprodurre in modo permanente l’anatomia del paziente. Il simulatore convenzionale è una particolare apparecchiatura radiologica che riproduce l’isocentro, ovvero il punto nello spazio dove si intersecano tutti gli assi di rotazione delle macchine per la radioterapia. Il paziente viene sistemato sul lettino del simulatore nella posizione prescelta in modo da allineare, utilizzando un sistema di laser ottici, la regione d’interesse o altri punti di repere anatomici con l’isocentro del simulatore. Il simulatore produce radiazioni di bassa energia che danno luogo a radiografie definendo la geometria di ogni singolo campo di trattamento prescelto. Al termine della simulazione, i punti corrispondenti agli assi di riferimento dell’isocentro o dei campi di trattamento, vengono marcati sulla cute del paziente e/o sul sistema di immobilizzazione. Le procedure di simulazione dono facilitate dalla disponibilità dei cosiddetti TAC simulatori. La simulazione computerizzata o simulazione virtuale utilizza immagini TAC per determinare la distribuzione della dose di irradiazione sia a livello del bersaglio tumorale che degli organi critici. Si definiscono cinque volumi di interesse in relazione al trattamento radiante: 30 volume tumorale macroscopico (Gross Tumor Volume, GTV): volume che contiene la sede e l’estensione della neoplasia microscopicamente documentata; volume bersaglio clinico (Clinical Target Volume, CTV): volume che include il GTV più le aree circostanti possibili sedi di infiltrazione microscopica. Il CTV rappresenta il volume che deve ricevere la dose terapeutica per garantire l’efficacia sia curativa che palliativa del trattamento radiante; volume bersaglio pianificato (Planning Target Volume, PTV): volume che contiene il GTV e il CTV con dei margini correlati alla geometria dell’irradiazione e a possibili incertezze del trattamento dovute ai movimenti involontari degli organi e del paziente o a errori nel posizionamento; volume di trattamento (Treated Volume, TV): può essere maggiore del PTV, anche se il rapporto ottimale TV/PTV dovrebbe essere uguale a 1, indicando, in questo caso, una perfetta conformazione della dose intorno al PTV; volume irradiato (Irradiated Volume, IV): volume di tessuto che riceve una dose considerata significativa in relazione alla tolleranza all’irradiazione dei tessuti sani. I sistemi di verifica durante il trattamento sono indispensabili per verificare e garantire la riproducibilità del trattamento radiante nel tempo. In particolare, si controllano gli aspetti del trattamento riguardanti i rapporti di posizione tra paziente e fascio radiante e i modificatori del fascio quali le schermature. Questi sistemi devono essere usati durante la seduta iniziale del trattamento per verificare la corretta irradiazione del volume bersaglio e l’appropriata schermatura degli organi critici e, nel corso della terapia, per la riproducibilità del trattamento e per ridurre l’incidenza degli errori di posizionamento dei campi di trattamento. 4.3 EFFETTI COLLATERALI DELLA RADIOTERAPIA La reazione dell’organismo alle radiazioni dipende da diversi fattori, tra cui la zona del corpo trattata e il dosaggio delle radiazioni somministrate. Gli effetti collaterali delle radiazioni includono: irritazione o ustione della cute; 31 caduta dei capelli (alopecia) e dei peli; irritazione oculare; nausea e vomito; mucosite; bocca e gola secca; faringite; afonia; disfagia; perdita dell’appetito; modificazione dell’olfatto; disgeusia; esofagite, gastrite con dispepsia; stipsi o diarrea; infiammazione dei muscoli del torace o delle spalle; fatigue; cistite; proctite; anemia, leucopenia, piastrinopenia. Gli effetti locali della radioterapia si mostrano in correlazione al distretto corporeo sottoposto all’irradiazione: la cute della regione irradiata appare irritata, secca e di colorazione più scura; nel trattamento delle stazioni linfonodali, laterocervicali si può verificare mucosite del cavo orale, dell’esofago e della trachea, con disfagia, secchezza delle fauci, alterazione del gusto e tosse; l’irradiazione del capo-collo provoca sempre alopecia. I disturbi generali più frequentemente riscontrati sono invece affaticabilità, nausea, inappetenza e una diminuzione dei valori della crasi ematica. 32 BIBLIOGRAFIA TESTI 1. Bonadonna G., Robustelli della Cuna G., Valagussa P. Medicina Oncologica. Settima edizione. Masson, 2003. 2. Perez CMD. Principles and practise of radiation oncology. St. Louis: JB Lippincott Company, 1999. SITI INTERNET 3. Associazione Italiana Radioterapia Oncologica. Disponibile su: http://www.radioterapiaitalia.it.htm. [Creazione: 2001] [Ultimo aggiornamento: 2003]. 4. Associazione Italiana contro le Leucemie- linfomi e mielosa ONLUS. Disponibile su: http://www.ail.it.htm. [Creazione: 2003]. 33 5. Malecare. Disponibile su: http://www.malecare.com.htm. [Creazione: 1998] [Ultimo aggiornamento: 2005]. 6. [Alliance for Lung Cancer Advacacy, Support and Education-ALCASE Italia Onlus. Disponibile su: http://www.alcase.it.htm. [Creazione: 1998] [Ultimo aggiornamento: 2005]. Capitolo 5 34 35 PRESENTAZIONE DI UN CASO Il signor C. M. di anni 79, affetto da diabete mellito tipo 2 ed ipertensione arteriosa, si è presentato alla visita radioterapica con gli esami ed i relativi esiti sottoelencati, a causa della comparsa nel novembre 2004 di adenopatia LTC dx e di una neoformazione del cavo orale positiva per carcinoma squamoso. Panendoscopia: lesione infiltrante sottomucosa del cavo orale dx che interessa il palato molle della regione sovratonsillare dx, ad evoluzione sottomucosa, con area ulcerata della mucosa orale (T2 N2 a cavo orale). Il cavo rinofaringeo appare indenne da lesioni, con ipertrofia simmetrica del torus tubaricus bilateralmente. La laringe, l’ipofaringe e l’esofago cervicale, fino a 30 centimetri dall’arcata dentaria superiore, appaiono indenni da lesioni. Biopsie multiple ed esame istologico. Referto istologico: aree di carcinoma squamoso scarsamente differenziato infiltrante in lembi di mucosa orale. Biopsia eseguita su lesione infiltrante dello spessore dell’ emipalato molle di dx. Rx torace: non lesioni pleuro-polmonari con carattere di attività. Ombra cardiaca regolare. Deviazione a dx della trachea con marcata riduzione del lume, per compressione estrinseca. Tac collo + tac massiccio facciale: esame eseguito sia in condizioni basali, sia durante infusione endovenosa di mezzo di contrasto iodato non ionico. A dx si rileva un ispessimento della parete laterale dx del passaggio oro-ipofaringeo cui si associa un assottigliamento dell’ostio tubarico. Omolateralmente in sede retro-sotto-angolo mandibolare, dal muscolo sternocleidomastoideo, dalle ghiandole parotidi e sottomandibolari, dalla vena giugulare interna che appare inglobata ed infiltrata e dalla biforcazione carotidea. Anteriormente a tale lesione si rileva un linfonodo ovaliforme del diametro di 10 mm. La tiroide ha volume notevolmente aumentato e struttura disomogenea in rapporto con struma plurinodulare: in particolare prevale notevolmente il lobo sx che determina compressione e dislocazione a dx del lume tracheale con discreta riduzione del diametro latero-laterale. Lo struma si affonda in sede retrosternale circa 25 mm caudalmente al piano passante per il profilo superiore del manubrio sternale, determinando impronta sui vasi mediastinici. 36 RM collo senza e con mdc + RM massiccio facciale senza e con mdc: l’indagine è stata eseguita mediante scansioni T1 e T2 dipendenti orientate nei tre piani dello spazio e completata con la somministrazione di mdc paramagnetico. In corrispondenza del cavo orale, a livello del trigono retromolare di dx, si rileva un lieve ispessimento della mucosa, esteso per un tratto di circa 1 cm, caratterizzato da ipointensità di segnale nelle scansioni T1 dipendenti, sfumata iperintensità di segnale nelle scansioni T2 dipendenti e disomogeneo enhancement dopo somministrazione di mdc. A dx si conferma la presenza di un pacchetto linfonodale già noto (25 x 26 mm). Tale lesione, a margini irregolari, appare indissociabile dalla porzione anteriore del fascio vascolo-nervoso del collo e in particolare circonda a manicotto la vena giugulare omolaterale che tuttavia appare pervia. Posteriormente è adeso al muscolo sternocleidomastoideo. Visita otorinolaringoiatria: in considerazione dell’estensione della malattia e dei rapporti con l’asse vascolo-nervoso del collo, non si pongono indicazioni chirurgiche. Diagnosi: carcinoma squamoso del trigono retromolare dx cT2cN2a, IV stadio, scarsamente differenziato, non operabile. Visita radioterapica: a livello obiettivo si apprezza la lesione descritta nell’imaging ed è palpabile un pacchetto adenopatico duro del diametro di circa 3 cm con iniziale fissità ai piani sottostanti. Vi è indicazione a radioterapia con intento esclusivo. Dose: 70.2 Gy, frazionamento della dose 1.8. Tecnica: CC + Barrage. 37 Capitolo 6 38 PERCORSO DEL PAZIENTE NEL CENTRO RADIOTERAPICO Il primo contatto tra il paziente ed il centro radioterapico avviene con la prima visita, chiamata consulto radioterapico, che si effettua presso il reparto di Radioterapia. Nel corso di essa il radioterapista stabilisce la natura e l’estensione della malattia per definire la possibilità e l’utilità di effettuare o meno un trattamento radiante, tracciandone indicativamente anche le possibili modalità di esecuzione. Per questo motivo il radioterapista raccoglie l’anamnesi prossima e remota ed effettua una visita sia generale che mirata alla sede della malattia. Già qui si inserisce il ruolo dell’infermiere in quanto prepara il dossier clinico del paziente e seleziona i referti degli esami utili per la visita. Il radioterapista, poi, analizza i referti degli esami di laboratorio e degli accertamenti diagnostici e, se lo ritiene necessario, ne richiede di nuovi allo scopo di completare le informazioni, tra cui la necessità di eseguire una panoramica dentaria. Le modalità con cui il trattamento radioterapico viene effettuato variano in funzione di tipo, dimensione e sede del bersaglio, delle condizioni generali del paziente e della finalità curativa o palliativa del trattamento stesso. In questo modo ogni persona può avere un piano di trattamento personalizzato. Allo scopo di ridurre gli effetti collaterali della terapia radiante, la dose totale di radiazioni viene divisa in parti frazionate che costituiscono nell’insieme il ciclo completo di trattamento. L’elaborazione del piano di trattamento comprende il centraggio, ossia la demarcazione della dose da irradiare. Viene eseguito per mezzo di una macchina detta “simulatore” proprio perché simula i movimenti della macchina con cui verrà attuata la radioterapia, consentendo di calcolare la posizione esatta del campo di irradiazione. Per garantire la giusta posizione durante ogni sessione di trattamento viene utilizzato un sistema di immobilizzazione comprendente una maschera termosensibile aderente al viso e al collo. Questa maschera è costituita da materiale termoplastico che immerso in acqua calda permette, una volta appoggiata sulla parte da irradiare, di prenderne la forma. In questo modo è possibile la riproduzione del trattamento radioterapico. I segni di demarcazione potranno essere eseguiti su questa impronta anziché sulla cute. La simulazione e la successiva terapia verranno eseguite insieme al Fisico sanitario, il quale verifica il regolare funzionamento di tutte le apparecchiature, e al Tecnico di radioterapia, responsabile dell’esecuzione del trattamento e della realizzazione di dispositivi personalizzati per l’ottimizzazione del trattamento ( presidio di immobilizzazione come la “maschera”). 39 Il radioterapista informa la segreteria del reparto, dove lavora il personale amministrativo con il compito di gestire l’accettazione del paziente, di segnalare gli appuntamenti per le visite di consulenza dietologica, odontostomatologica ed infermieristica, di prenotare le sedute di trattamento, di consegnare le prenotazioni al paziente, ricordando la necessità di portare con se l’ RX panoramica arcate dentarie, per la visita odontostomatologica. Prima di iniziare il trattamento radiante il paziente, come prevenzione, effettua una visita dall’odontostomatologo e dall’igienista dentale. Il primo valuta lo stato del cavo orale, esegue interventi di bonifica dentaria e collabora con l’igienista in caso di complicanze. L’igienista dentale invece, valuta l’igiene del cavo orale, utilizza scale di valutazione, documenta i dati raccolti e attua una prevenzione mirata educando il paziente ad eseguire una corretta igiene orale. Il paziente segue i protocolli di prevenzione e si presenta alle visite di controllo, durante le quali verrà verificata l’aderenza della persona al progetto educativo e l’insorgenza di complicanze, ad esempio mucosite. Il paziente continua il suo percorso con una consulenza dietologica. Il dietista prende informazioni sulla quantità e qualità di cibo che il paziente è solito mangiare, e pesa la persona assistita in modo da valutare oggettivamente una perdita futura di peso corporeo. Inoltre spiega gli effetti collaterali della radioterapia sulla capacità di mangiare e di bere, sull’alterazione dei gusti e sull’importanza di mantenere uno stato nutrizionale adeguato ad affrontare la terapia. Al centro di questo percorso organizzativo è situata la figura dell’infermiere. Egli è il legame tra i diversi operatori sanitari: comunica i nuovi pazienti all’igienista dentale, all’odontostomatologo e al dietista, collabora con il medico, verifica l’adesione ai protocolli, gestisce gli effetti collaterali in autonomia o in collaborazione con la figura specializzata, se non possiede le competenze adeguate. Infine agisce anche nella sfera psicologica della persona assistita. [14] [15] Il medico radioterapista dopo aver visitato il signor C.M. e consultato tutta la documentazione, decide di eseguire una radioterapia ad intento esclusivo. Spiega al paziente e ai familiari lo scopo del trattamento, il numero delle sedute, gli effetti secondari che potrebbe riportare; chiede di firmare il consenso informato all’esecuzione della 40 radioterapia ed inoltre mostra l’importanza di eseguire visite di prevenzione e di controllo da parte di altri specialisti. Il radioterapista si mette in comunicazione con la segreteria del reparto che prenoterà le consulenze necessarie e deciderà anche la data per la TC e la simulazione. Stabilito il tipo di acceleratore da utilizzare (il 600) e la dose (70.2 GY), confezionato il presidio di immobilizzazione (maschera) e individuati i punti di repere, non resta che prendere appuntamento per l’inizio del trattamento. Effettuata la presa in carico il paziente esegue una consulenza da parte dell’odontostomatologo e dell’igienista dentale; in quanto, risulta necessaria e urgente un’attività di prevenzione e di controllo dei denti, delle lesioni della mucosa orale, delle cellule preneoplastiche e neoplastiche, del dolore e della qualità di vita correlati alla salute del cavo orale. L’esperienza del dolore, la difficoltà a mangiare e la perdita dei denti hanno una rilevanza sempre maggiore sulla qualità di vita, con implicazioni economiche, sociali, psicologiche e funzionali. [ 7 ] È epidemiologicamente evidente la positiva associazione tra le visite irregolari dal dentista e la diagnosi di stato avanzato di carcinoma del cavo orale. A pazienti fumatori viene diagnosticato il tumore ad uno stadio più avanzato rispetto ai non fumatori ed esiste anche una correlazione tra il numero di sigarette fumate negli anni e l’incremento di uno sviluppo della malattia. Una stima superiore al 90% ha riscontrato come fattori di rischio più comuni del carcinoma del cavo orale, l’uso di tabacco associato a scarsa pulizia orale e prematura perdita dei denti. [12] Lo smalto dentario, lo strato più esterno del dente, è formato per il 96% da minerali e per il 4% da sostanze organiche ed acqua. La dissoluzione della parte minerale è chiamata demineralizzazione, la sua formazione remineralizzazione. In una bocca sana questi due processi si bilanciano. I termini “bocca sana” sono le parole chiave che guidano tutto il trattamento radioterapico. Data l’impossibilità di sottoporsi a cure odontoiatriche a causa dell’osteonecrosi provocata dalla radioterapia, al paziente viene eseguita come prevenzione una bonifica dentale e un’accurata igiene del cavo orale. Inoltre viene educato ad eseguire autonomamente ed in modo corretto una buona igiene orale. Al paziente si effettua anche uno schema di fluoroprofilassi, che consiste nella prevenzione della carie dentaria attraverso l’utilizzo del fluoro, un minerale che favorisce la formazione di uno smalto più resistente all’attacco acido della placca batterica. L’uso del fluoro nelle pratiche igieniche del cavo orale 41 quotidiane riduce l’insorgenza della carie. Dentifricio al fluoro, acqua fluoridata, gel e placche al fluoro prevengono la carie dentale. [ 7 ], [ 13 ]. Un nuovo dentifricio al fluoro e al sodio permette di ridurre anche l’ipersensibilità, attraverso un effetto desensibilizzante già alla quarta settimana di utilizzo, con una diminuzione del 71% della sensibilità dentale all’ottava settimana. [ 1 ]. Nella saliva, sulla lingua e negli spazi sopragengivari e sottogengivari si sviluppano batteri, un esempio è lo Streptococcus mutans, la cui crescita può essere prevenuta con l’utilizzo di antisettici, come la clorexidina, insieme all’usuale uso di dentifricio [ 5]. Dopo aver documentato gli interventi eseguiti si stabiliscono con il paziente le visite periodiche di controllo durante le quali verrà valutata l’adesione al protocollo di igiene orale e l’insorgenza di complicanze da radioterapia, ad esempio mucosite e xerostomia. La sensazione soggettiva e oggettiva di “bocca secca” è significativamente associata al binomio salute orale e qualità di vita, dando valore alla sua monitorizzazione. Ogni valutazione viene eseguita con scale e con documentazione appropriata [ 4]. Il paziente durante il trattamento radioterapico ha presentato mucosite oro-faringea G2-G3 (scala WHO) a chiazze confluenti e ulcerazioni, e xerostomia G1-G2 (scala Common Criteria For Adverse Events CTCAE). SCALA WHO GRADO 1 Focali cambiamenti tessutali, eritema a chiazze, alimentazione normale. Focali cambiamenti tessutali, eritema GRADO 2 e piccole ulcere <2mm, dolore lieve, alimentazione normale. Moderati cambiamenti tessutali, eritema e ulcere per circa la metà GRADO 3 della mucosa, 42 dolore moderato, alimentazione difficoltosa. Marcati cambiamenti tessutali, eritema e ulcere per quasi la totalità GRADO 4 della mucosa, dolore marcato, alimentazione impossibile. CTCAE XEROSTOMIA Sintomatico GRADO 1 senza significativa alterazione nell’alimentazione, flusso saliva >0.2 ml/min. Sintomatico alterazione GRADO 2 e della significativa capacità di assorbimento orale, flusso saliva tra 0.1 a 0.2 ml/min. Incapacità di alimentarsi oralmente GRADO 3 in modo adeguato, si consiglia NPT, flusso saliva <0.1 ml/min. La difficoltà per i professionisti dentali a controllare le lesioni neoplastiche, consiste nel differente sviluppo di esse in base all’età e al sesso della persona, ed inoltre non si può sottovalutare la possibilità di insorgenza di lesioni rare. [ 6]. 43 Hanno importanza sia il comportamento del professionista sia le aspettative e le credenze del paziente; quindi, fornire informazioni cliniche concentrandosi sullo stato d’ansia del paziente più che sulla usuale pratica clinica, comporta un beneficio psicologico per la persona assistita. [ 11]. Gli effetti collaterali della radioterapia compaiono dopo due settimane di trattamento e possono essere temporanei o permanenti. Alcuni effetti secondari come xerostomia, disgeusia, mucosite, disturbo della deglutizione, fatigue e dolore possono modificare l’introito alimentare e, per questo, la perdita di peso è un evento che assume l’importanza di essere affrontato attraverso una visita dietologica specifica. Il dietista spiega al paziente come un accettabile stato nutrizionale consente di ricevere le terapie pianificate senza o con poche complicanze, di stimolare la funzione immunitaria, di migliorare le sue condizioni fisiche e, quindi, qualità di vita. A tal fine elenca le principali conseguenze legate a questo stato di malnutrizione che il paziente oncologico si trova a dover affrontare: calo di peso corporeo involontario e progressivo; disgregazione muscolare con deplezione della massa magra; alterazione della qualità di vita in termini fisici e psichici; anemia; ridotta tolleranza e risposta ai trattamenti oncologici; aumento delle complicanze infettive; alterazione della immunocompetenza; aumento generale della morbilità; necessità di ricovero; prolungamento delle visite specialistiche; prognosi sfavorevole a distanza. 44 Poi approfondisce i fattori legati al “mangiar meno” spiegando la loro interdipendenza con la malattia e con il trattamento oncologico specifico: - effetti locali provocati dal tumore: odinofagia, disfagia, ostruzione gastrointestinale, sazietà precoce; - effetti collaterali legati alla malattia e al trattamento oncologico: anoressia, alterazione del gusto e dell’olfatto, nausea, vomito, dolore; - effetti psicologici quali paura, depressione e ansia. Il fabbisogno nutrizionale necessario ad un paziente oncologico è differente da quello di una persona sana. L’ipermetabolismo, le alterazioni delle funzioni organiche e l’assunzione dei farmaci sono tra i fattori che influiscono sul metabolismo dei pazienti o inducono malnutrizione. [ 16 ] La responsabilità della perdita di peso è attribuita oggi all’attivazione di processi infiammatori e alla produzione di una sostanza da parte delle cellule neoplastiche, chiamata Proteolysis Inducing Factor (PIF). Tale fattore toglie aminoacidi al muscolo per fornirli al tumore. Quest’azione può essere contrastata mediante trattamento con un integratore proteico-calorico arricchito con l’acido eicosapentaenoico (EPA), una sostanza estratta dall’olio di pesce. A questo acido grasso omega-3 è riconosciuta un’ampia azione antinfiammatoria e una funzione immunomodulatrice. L’assunzione di cibo arricchito da acidi grassi non altera la risposta infiammatoria e immunitaria dell’organismo, ma aiuta a mantenere una buona difesa immunitaria. [ 8 ] [9] [17]. Tenendo conto del principio fondamentale della medicina “primum non nocere”, ci sono ragioni per credere che il consumo di antiossidanti durante il trattamento radioterapico del capo-collo, può essere dannoso [2]. Un incremento statisticamente significativo nell’assunzione di antiossidanti aumenta il rischio di tumore secondario durante i primi 3- 5 anni. Il rischio diminuisce se non vengono più assunti e, dopo 8 anni, non hanno più influenza come fattore di rischio. [ 3 ] Anche il dietista prenota con la persona assistita visite di controllo periodiche, durante le quali il paziente si peserà, per avere una curva oggettiva del peso corporeo, elencherà gli introiti alimentari, quantità e qualità, assunti in una giornata tipo, specificando la comparsa di effetti collaterali e l’impatto che questi hanno sulla capacità nutrizionale. Il dietista fornisce 45 consigli sulla preparazione dei pasti o consiglia alimenti sostitutivi o prescrive diete personalizzate. Il paziente ha sviluppato disfagia, mucosite e xerostomia, valutate e trattate durante le visite di controllo settimanali. Il dietista ha prescritto dieta semiliquida ed integratori alimentari. ASPETTO PSICO-SOCIALE Il calo di peso in conseguenza del tumore e/o del trattamento radioterapico, ricorda alla persona affetta la gravità della sua malattia; in quanto, l’immagine di se stesso elaborata nella mente non coincide con quella riflessa nello specchio. Problema legato al cambiamento fisico è il rapporto con il partner, con i familiari e con gli amici. La situazione di disagio nella difficoltà a consumare un pasto completo, porterà anche alla perdita del piacere di mangiare in compagnia e dello stare insieme. Uno studio sugli acidi grassi omega-3, in particolare sull’estere etilico dell’acido eicosapentaenoico (E-EPA), ha cercato un legame con il disordine depressivo unipolare. È stato dimostrato un effetto dell’ E-EPA già dalle prime due settimane di trattamento, tempo analogo a quello trascorso per l’efficacia della terapia antidepressiva. Questa analisi mostra che l’E-EPA ha un effetto su alcuni sintomi della depressione, tra cui umore basso, sensi di colpa, inutilità ed insonnia. Nel gruppo che ha assunto placebo è significativo il basso tasso di miglioramento e l’elevato rischio al raggiungimento del livello di resistenza alla terapia antidepressiva standard. Questo studio è un grande inizio e uno stimolo alla replicazione dello stesso ad un gruppo di persone sempre più ampio, riuscendo a tener anche conto dei sottotipi che caratterizzano la depressione. [ 10 ] L’aspetto psicologico del paziente neoplastico è senz’altro un lato arduo da affrontare. Lo stato funzionale deteriorato e gli effetti collaterali della terapia colpiscono violentemente lo stato psicologico della persona affetta da carcinoma del cavo orale. Per questo motivo interagisce anche un’altra figura, l’infermiere, il quale fornisce assistenza empatica in relazione alla patologia e alla persona assistita. Quando l’infermiere si accorge dei suoi limiti o quando il disagio del paziente supera le sue potenzialità, segnala la persona assistita ad uno specialista per una consulenza. [7]. 46 IL CONSENSO INFORMATO Nel nostro ordinamento giuridico vige il principio della volontarietà del trattamento sanitario. In primo luogo, l’art. 32 della Costituzione della Repubblica stabilisce che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge e, anche in quel caso, comunque la legge non può in alcun modo violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Il “consenso”, per essere validamente prestato, deve essere “informato”. Il medico e l’infermiere hanno il dovere di informare e il paziente ha il diritto di scegliere se essere informato o meno. I caratteri essenziali dell’informazione sono: onestà, cioè deve essere effettuata con chiarezza di linguaggio ed essenzialità di contenuti; verità, cioè non deve nascondere né complicanze né speranze; completezza, il contenuto deve avere per oggetto i dati essenziali. Il consenso informato deve essere “attuale” e “reale”. Di fronte ad un “rifiuto autentico” nessun potere può imporre tale trattamento. L’infermiere si deve misurare con il principio del consenso informato in una duplice veste: da professionista che agisce autonomamente, in uno spazio di competenza e di attribuzioni a lui riconosciute; da professionista che agisce come collaboratore con il medico sul progetto diagnostico-terapeutico. [28]. RAPPORTO INFERMIERE-PAZIENTE Esso è caratterizzato da: presa in carico del paziente; controllo delle informazioni recepite; compilazione della cartella infermieristica; creazione di percorsi assistenziali fornendo i protocolli necessari; educazione sulla prevenzione degli effetti collaterali della radioterapia. 47 Al momento della presa in carico l’infermiere spiega al paziente l’importanza di mantenere la zona da irradiare sempre ben pulita. Educa il paziente ad eseguire degli impacchi con un asciugamano di spugna bagnato in acqua fredda, mantenuto per 5’, ripetendo l’operazione per altre due volte, una sola volta al giorno. In seguito applicare, senza massaggiare per non danneggiare la cute, uno strato di crema due volte al giorno, facendo attenzione a rimuoverla prima della seduta di trattamento. Inoltre l’infermiere informa il paziente che appena vede la cute cambiare colore o aspetto di contattare per una consulenza, anche al di fuori della visita settimanale di controllo. [27]. Per quanto riguarda gli interventi specifici l’infermiere fornisce supporto tecnico professionale al medico durante esami, visite, emergenza e interventi, supporto in continuità di cure seguendo i problemi clinici ed emotivi nel tempo, somministra terapie, con prescrizione medica, effettua medicazioni ed educa il paziente a gestire gli effetti secondari del trattamento. L’infermiere controlla periodicamente i pazienti con lo scopo di promuovere l’utilizzo dei protocolli forniti e, di conseguenza, ridurre la gravità di complicazioni del cavo orale [19]. La mucosite orofaringea da radioterapia per carcinoma orale, produce effetti sia localizzati sia generali in relazione alla gravità della mucosa danneggiata. La mucosite è valutata dall’infermiere sia da un punto di vista anatomico-clinico, cioè segnala frequenza, sede, grado (scala di valutazione WHO); sia rispetto all’impatto che essa ha sulla vita quotidiana. In particolare viene controllato lo stato funzionale (qualità di vita correlata ai sintomi) e lo stato nutrizionale (perdita di peso e compromissione della capacità di mangiare e bere). Il trattamento delle lesioni orali è multidisciplinare, in quanto lavorano insieme infermieri, medici e specialisti dentali. Oggetti non monouso sono fonte di trasmissione di patogeni tra un paziente e l’altro. Prevenire le infezioni nosocomiali è un altro aspetto di cui si occupa l’infermiere. L’utilizzo di un singolo prodotto specifico per la pulizia e/o disinfezione può non essere sufficiente. L’uso di un prodotto rispetto ad un altro prende in considerazione diversi fattori: la capacità di uccidere i patogeni, la superficie trattata, il costo, la sicurezza, la concentrazione e la facilità 48 di utilizzo. Selezionare un prodotto che abbia un grande potere disinfettante da poter utilizzare in tutte le situazioni, potrebbe essere più vantaggioso [22]. La cute trattata con radioterapia è soggetta ad ustioni. Queste lesioni possono partire da uno stadio iniziale come l’eritema caratterizzato da cute arrossata, calda e irritabile ed evolversi in edema, desquamazione e infine ulcerazione. L’infermiere medica la lesione ed educa il paziente a gestirla correttamente. Insegna a lavare la parte ustionata con movimenti delicati utilizzando un sapone a pH neutro, ad asciugare la cute tamponando con un asciugamano morbido e ad utilizzare per la rasatura della barba un rasoio elettrico [8]. La medicazione viene eseguita dall’infermiere in modo da valutarne il decorso. Applica a scopo terapeutico medicamenti a base di calendula, una pianta erbacea, utilizzabile su cute secca, arrossata, ustionata, contusa, eritematosa, infiammata, poiché esercita un effetto addolcente, decongestionante e idratante. Tende ad equilibrare l’idratazione della cute, e ad agire come cicatrizzante, lenitivo e rinfrescante. Sempre per la cura della cute ustionata l’infermiere utilizza anche solfadiazina argentica (“sofargen”) crema o frumento estratto fenossetolo (“fitostimoline”) garze o crema. [10]. DECORSO DEL PAZIENTE PRESO IN ESAME Il paziente ha sviluppato eritema cutaneo durante il trattamento radioterapico, medicato con crema a base di calendula e solfadiazina argentica (“sofargen”), previa detersione. Altro effetto secondario che ha sviluppato il paziente e che richiede un approccio multidisciplinare, è la xerostomia che viene controllata dal dietista per la difficoltà che provoca alla nutrizione e dall’infermiere insieme al medico, per una sua valutazione e per la terapia associata. Uno studio ha confermato una grande efficacia della pilocarpina cloridrato come possibile trattamento, con un utilizzo di tre volte al giorno, per dieci settimane, ad una dose di 15 mg al giorno. 49 Gli effetti prodotti sono un incremento nella produzione di saliva, un miglioramento del gusto, una minore difficoltà a deglutire e a parlare e, di conseguenza, una riduzione di idratazione artificiale della mucosa orale. Inoltre la dose giornaliera è ben tollerata con pochi effetti collaterali, i quali non sono causa d’interruzione del trattamento [11]. Gli effetti collaterali da radioterapia sono comparsi dopo due settimane dall’inizio del trattamento, con un miglioramento dopo circa dieci giorni di valutazione e di cura con controlli giornalieri e poi settimanali. Il paziente ha terminato la radioterapia con un’ustione cutanea sul collo, mucosite G1 (scala WHO) e xerostomia G1 (scala CTCAE). Perché non suggerire una comunicazione elettronica tramite e-mail? Questo non comporterebbe una diminuzione delle visite di controllo con ricadute sull’assistenza al paziente, ma implementerebbe la cura per la presenza di una comunicazione continua. La persona assistita potrebbe avere documentazioni, protocolli, schede o potrebbe chiedere informazioni senza doversi recare al reparto di Radioterapia, che spesso è lontano da casa. La possibilità di offrire “aiuto” in forma elettronica non deve essere visto come una disuguaglianza per coloro che non sono capaci ad usare le tecnologie moderne, ma semplicemente come stimolo all’adattamento alla società moderna che diventa sempre più tecnologica [9] [16]. L’INFERMIERE: ANELLO DI CONGIUNZIONE TRA I VARI PROFESSIONISTI L’infermiere risulta essere l’anello di congiunzione tra i vari specialisti. Questa definizione significa avere la capacità di saper lavorare con tutti i professionisti utilizzando la “formazione di base” – acquisita con l’università - come inizio sulla quale costruire il futuro della professione. Ogni decisione scaturisce dalla formazione di una domanda clinica focalizzata in risposta ad un bisogno riconosciuto. Cercare l’evidenza più adatta, incorporare l’evidenza in una strategia d’azione, valutare gli effetti dell’azione; queste sono le componenti importanti nel prendere una decisione basata sulle evidenze scientifiche o meglio sulla letteratura. Le 50 fonti utili non sono più solo quelle “umane” dei colleghi, ma soprattutto la ricerca sarà un prezioso modello da utilizzare per il passaggio di conoscenze [12]. Il comportamento etico-professionale dell’infermiere è soggetto a norme che hanno lo scopo di guidare e di controllare come egli vive la specificità del prendersi cura della persona in situazione di bisogno sanitario. Per lo svolgimento delle sue funzioni gli viene richiesta una responsabilità competente, autonoma e decisionale, che necessita di un alto grado di maturità professionale e personale. È una responsabilità complessa e degna di una professione che gestisce il bene “salute” delle persone in tutti i campi del vivere umano. PROFILO PROFESSIONALE DELL’INFERMIERE D.M. 739/1994 1. l’infermiere è responsabile dell’assistenza generale infermieristica. 2. l’infermiere: a) partecipa all’identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività; c) pianifica, gestisce e valuta l’intervento assistenziale infermieristico. CODICE DEONTOLOGICO 1999 3.1 L’infermiere aggiorna le proprie conoscenze attraverso la formazione permanente, la riflessione critica sull’esperienza e la ricerca, al fine di migliorare la sua competenza. L’infermiere fonda il proprio operato su conoscenze validate ed aggiornate …. cura la diffusione dei risultati al fine di migliorare l’assistenza infermieristica. 51 4.2 L’infermiere ascolta, informa, coinvolge la persona e valuta con la stessa i bisogni assistenziali, anche al fine di …. consentire all’assistito di esprimere le proprie scelte. 4.4 L’infermiere ha il dovere di essere informato sul progetto diagnostico terapeutico, per le influenze che questo ha sul piano di assistenza e la relazione con la persona. 4.5 L’infermiere …. garantisce le informazioni relative al piano di assistenza ed adegua il livello di comunicazione alla capacità del paziente di comprendere….. riconosce alla persona il diritto alla scelta di non essere informato. FORMAZIONE UNIVERSITARIA D.M. 509/1999 I laureati in infermieristica partecipano all’identificazione dei bisogni di salute della persona e collettività e formulano i relativi obiettivi; pianificano, gestiscono e valutano l’intervento assistenziale infermieristico; garantiscono la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche; agiscono sia individualmente che in collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali…… concorrono direttamente all’aggiornamento relativo al loro profilo professionale e alla ricerca. 52 BIBLIOGRAFIA RIVISTE 1. Schiff T., Sagel L., Baker R., He T., DMD, MA, MS, DDS, PhO. Efficacy and Safety of a Novel Stabilized Stannous Fluoride and Sodium Haxametaphosphate Dentrifice for Dental Hypersensitivity. The Journal of Contemporary Dental Practice, 2006; 7(2). 2. Gabriella M., D’Andrea M., MD. Use of Antioxidants During Chemotherapy and Radiotherapy Should Be Avoid. CA Cancer J Clin, 2005; 55:319-321. 3. Bairati I., Meyer F., Gelinas M., Fortin A., Nabid A., Brochet F., Mercier JP., Tetu B., Harel F., Masse B., Vigneault E., Vass S., Del Vecchio P., Roy J. A Randomized Trial of Antioxidant Vitamins to Prevent Second Primary Cancers in Head and Neck Cancer Patients. Journal of the National Cancer Institute, 2005; 97(7):481-488. 4. Gerdin EW., Einarson S., Jomsson M., Aronsson K., Johansson I. Impact of dry mouth conditions on oral health-related quality of life in older people. Gerodontology, 2005; 22:219-226. 5. De Soete M., Dekeyser C., Pauwels M., Teughels W., Van Steenberghe D., Quirynen M. Increase in Cariogenic Bacteria after Initial Periodontal Therapy. J Dent Res, 2005; 84(1):48-53. 53 6. Bataineh A., Al-Dwairi ZN., BDS, MDSc, CSOS, PhD. A Survey of Localized Lesions of Oral Tissues: A Clinopathological Study. The Journal of Comtemporary Dental Practice, 2005; 6(3). 7. Hassanein KA, Musgrove BT, Bradbury E. Psychological outcome of patients following treatment of oral cancer and ist relation with functional status and coping mechanisms. J Craniomazillofac Surg, 2005; 33(6):404-409. 8. D’haese S., Bate T., Claes S., Boone A., Vanvoorden V., Efficace F. Management of skin reactions during radiotherapy: a study of nursing practice. European Journal of Cancer Care, 2005; 14:28-42. 9. Castren J., Niemi M. Use of email for patient communication in student health care: a cross-sectional study. BMC Med Inform Decis Mak, 2005; 5. 10. Pommier P., Gomez F., Sunyach MP., D’Hombres A., Carrie C., Montbarbon X. Phase III Randomized Trial of Calendula Officinalis compared with Trolamine for the prevention of acute dermatitis during irradiation for breast cancer. Journal of Clinical Oncology, 2004; 22 (8):1447-1453. 11. Taylor AM., Ortiz KL., Camacho MEI., Franco MAD., Munoz AMC. Efecto del clorhidrato de pilocarpina como estimulante de la produccion salival en pacientes sometidos a radioterapia de cabeza y cuello. Med Oral, 2004; 9: 204-211. 12. Thompson CRN., PhD, Cullum N., RN, MSc, McCaughan D., Sheldon T., Raynor FP. Nurses, information use, and clinical decision making-the real world potential for evidence-based decisions in nursing. Evidence Based Nursing, 2004; 7: 68-72. 13. Petersen PE. Continuous improvement of oral health in the 21st century-the approach of the WHO Global Oral Health Programme. The World Oral Health report, 2003. 14. Rhodes LE., Shahbakhti H., Azurdia RM., Moison RMW., Steenwinkel MJST., Homburg MI., Dean MP., McArdle F., Hanagouwen GMJB., Epe B., Vink A. Effect of eicoesapentaenoic acid, an omega-3 polynsaturated fatty acid, on UVR-related cancer risk in humans. An assessment of early genotoxic markers. Carcinogenesis, 2003; 24(5):919-925. 54 15. Kew S., Banerjee T., Minihane AM., Finnegan YE., Muggli R., Albers R., Williams CM., Calder PC. Lack of effect of food enriched with plant-ormarine-derived n-3 fatty acids on human immune function. American Journal of Clinical Nutrition, 2003; 77(5):1287-1295. 16. Katz SJ., MD, MPH, Moyer CA., Cox DT, Stern DT. Effect of a Triage-based e-mail system on clinic resource use and patient and physician satisfaction: A randomized controlled trial. J Gen Intern Med, 2003; 18 (9): 736-744. 17. Nemets B., Stahl MDZ., Belmarker RH., MD. Addition of Omega-3 Fatty Acid to Maintenance Medication Treatment for Recurrent Unipolar Depressive Disorder. Am J Psychiatry, 2002; 159:477-479. 18. Dailey YM., Humphris GM, Lennon MA. Reducing patients’ state anxiety in general dental practice: a randomized controlled trial. J Dent Res, 2002; 81(5):319-322. 19. Rose-Ped AM., Bellm LA., BS, MIM, DMD, MSD, Epstein JB., Trotti A., Gwede C., PhD., MPH, RN, Fuchs HJ. Complications of radiation therapy for head and neck cancers. Cancer Nursing, 2002; 25 (6): 461-467. 20. Mucci LA, Brooks DR. Lower use of dental services among long term cigarette smokers. J Epidemiol Community Health, 2001; 55:389-393. LINEE GUIDA 21. CDC Centers for Disease Control and Prevention. Recommendation for Using Fluoride to Prevent and Control Caries in the United States. At A Glance, 2006. 22. Recommendations and Reports. Regulatory Framework for Disinfectants and Sterilants, 2003; 52 (RR17): 62-64. SITI INTERNET 55 23. www.centroaktis.it/radioterapia.html. 24. www.geocities.com 25. www.nutrizioneoncologia.it [Ultimo aggiornamento 2006]. 26. www.gut.it. [Ultimo aggiornamento 2006]. ATTI DI CONVEGNO 27. VII Congresso Nazionale AIOM. Napoli; 18-21/10/2005. NORMATIVA 28. Art. 4.4 e 4.5 Codice Deontologico degli Infermieri. 56 Capitolo 7 57 QUALITA’ DI VITA Fino a non molti anni fa, il rapporto tra medico e paziente è stato caratterizzato da una situazione di totale dipendenza del paziente, che si affidava passivamente al medico il quale decideva e “imponeva” le cure. Questo tipo di rapporto aveva le sue radici agli albori della civiltà, quando il processo di cura era rivestito da un’aura di magia e di mistero. L’antenato del medico era infatti lo stregone o sciamano, che utilizzava nel curare il paziente, oltre ai rimedi derivanti dall’osservazione della natura, come le pianti medicinali, anche le forze derivanti da un suo “rapporto privilegiato” con il mondo soprannaturale. Tutto questo ha subito una profonda rivoluzione. Si è andato affermando il concetto di un paziente non più oggetto passivo delle cure, ma protagonista del processo di cura. Si è riconosciuto al paziente non solo il diritto di sapere i vantaggi e svantaggi delle possibili opzioni diagnostiche e terapeutiche, ma anche di partecipare al processo di decisione sul tipo di indagini da eseguire e di cura da adottare, e anche il diritto di rifiutare di sottoporvisi. Questo principio di non obbligatorietà della cura è stato anche sancito in legge. Per poter partecipare al processo di decisione il paziente deve conoscere vantaggi e svantaggi dei diversi metodi di diagnosi e di cura. Di qui la necessità di informare il paziente, ad ogni tappa del processo diagnostico-terapeutico, circa i benefici attesi da un esame o da una terapia, ma anche circa i rischi a questi connessi, in modo che il paziente possa, in piena libertà, decidere se accettare o rifiutare la procedura diagnostica o la terapia che il medico gli propone. Questo orientamento trova espressione sintetica nel cosiddetto “consenso informato”: prima di intraprendere un accertamento diagnostico invasivo o una terapia, il medico è tenuto a spiegare al paziente di che cosa si tratta. Al termine del processo di spiegazione, medico e paziente firmano congiuntamente un modulo che attesta che il medico ha dato le spiegazioni richieste e che il paziente ha capito e ha dato il proprio consenso all’esecuzione dell’atto. Il considerare il paziente non più come oggetto delle terapie ma come soggetto attivo nel processo di cura, ha come conseguenza che il risultato non va più valutato solo sulla base della normalizzazione degli esami e dei sintomi o del prolungamento della sopravvivenza, ma anche “dal punto di vista del paziente”, cioè tenendo presente l’effetto che la malattia e le cure hanno sul paziente inteso come individuo inserito in un contesto 58 sociale e culturale, con bisogni, aspirazioni, relazioni umane ed affettive. Emerge la necessità di valutare l’impatto che la malattia e le cure hanno sulla qualità di vita del paziente. 7.1 CHE COSA E’ LA QUALITA’ DI VITA Il concetto di qualità di vita è molto antico. Epicuro nel IV secolo a.C. scrisse: ”una salda conoscenza dei bisogni inclina a ricondurre ogni assenso o diniego al benessere del corpo ed alla piena serenità dell’animo, poiché questo è il fine della vita felice. A questo fine noi rivolgiamo ogni nostra azione, per allontanarci dalla sofferenza e dall’apprensione”. Nonostante questo, il concetto di qualità di vita come entità misurabile è relativamente recente. Una definizione dell’OMS del 1948 dice: ”qualità di vita è la percezione soggettiva che un individuo ha della propria posizione nella vita, nel contesto di una cultura e di un insieme di valori nei quali egli vive, anche in relazione ai propri obiettivi, aspettative e preoccupazioni”. La qualità di vita può essere descritta da una serie di aree o dimensioni della esperienza umana che riguardano non solo le condizioni fisiche e i sintomi, ma anche la capacità di un individuo di funzionare, dal punto di vista fisico, sociale, psicologico e di trarre soddisfazione da quanto fa, in rapporto sia alle proprie aspettative che alla propria capacità di realizzare ciò che desidera. Per gli usi medici è stato introdotto il concetto di “qualità di vita correlata alla salute”, definita come “l’insieme degli aspetti qualitativi della vita dell’individuo correlabili ai domini della malattia e della salute, e pertanto modificabili dalla medicina”. A sua volta la definizione di Salute data dall’OMS è: ”completo benessere fisico, psicologico e sociale e non solamente di assenza di malattia”. Qualità di vita è un concetto multidimensionale che descrive la soddisfazione complessiva rispetto alla propria vita e che può essere a sua volta declinato in varie componenti quali lo stato di salute e le capacità funzionali, la situazione psicologica e il benessere, le interazioni sociali, la situazione economica, la realizzazione professionale, la dimensione spirituale e religiosa. La misurazione della qualità della vita può avere importanti applicazioni. Innanzitutto, indipendentemente dalle terapie, essa può aiutare a valutare l’impatto della malattia nella 59 sensazione soggettiva di benessere dei pazienti. Inoltre essa può aiutare a valutare l’efficacia di una strategia terapeutica nei Trials Randomizzati e Controllati. In questi studi la misurazione della qualità di vita inserisce una nuova dimensione nella valutazione dell’efficacia dei trattamenti, e può essere molto utile del decidere quale tra due terapie di pari efficacia risulti meno sgradevole per il paziente. Lo stesso discorso può essere fatto per la valutazione dell’efficienza di una terapia nell’applicazione quotidiana. Ancora, essa può fornire informazioni utili a medici e pazienti circa la prognosi di una malattia e soprattutto sull’esito atteso di una terapia. Infine, essa può entrare in maniera decisiva nella valutazione del rapporto costo/efficacia di una terapia. 7.2 COME E QUANDO MISURARE LA QUALITA’ DI VITA La qualità di vita è un insieme di immagini e di percezioni mentali che, in quanto tali, non può essere rilevato direttamente. Inoltre, per definizione, essa è soggettiva e quindi la sua valutazione richiede domande dirette al paziente e una scala di valutazione oggettiva, la più usata è il fact an. Vengono analizzate le diverse dimensioni o aree dell’esperienza umana connesse allo stato funzionale del soggetto, esaminato sotto diversi profili (fisico, di ruolo, cognitivo, emozionale, sociale e sessuale). Lo scopo è valutare sia lo stato generale del paziente, sia più specificamente i disturbi o le limitazioni che il paziente può subire a causa di una particolare malattia. La qualità di vita è un parametro da valutare in modo continuo: primo incontro con il paziente, prima di eseguire accertamenti diagnostici o terapie, dopo gli interventi e ogni volta che si verificano modificazioni delle condizioni cliniche del paziente. 7.3 A CHE PUNTO SIAMO E QUALE SARA’ IL FUTURO La misurazione della qualità di vita in medicina è una disciplina relativamente giovane. In tutti i Paesi gli sforzi si sono finora concentrati nel definire la metodologia per lo sviluppo degli strumenti di misura adatti alle più varie condizioni patologiche. 60 La prossima tappa sarà l’applicazione sistematica della misurazione della qualità di vita come complemento della valutazione dell’impatto delle malattie sull’individuo, e dell’effetto delle diverse terapie. Il passo successivo sarà l’utilizzo della misurazione della qualità di vita come elemento essenziale nella valutazione della utilità clinica delle terapie. In quest’ottica la qualità di vita rappresenterà probabilmente un ruolo importante nella valutazione del rapporto costobeneficio delle terapie, e verrà utilizzata alla scopo di definire la rimborsabilità o meno di una terapia da parte dello Stato o degli Enti assicurativi. 61 BIBLIOGRAFIA RIVISTE 1. Pandey M, Bejot CT, Kunnambath R, Eremenco S, Madhvan KN. Reliability and validity of the Malayalam Functional Assessment of Cancer Therapy for Head and Neck Cancer. Indian J Med Res, 2004; pagg 51-55. 2. Yamazaki H, Inoue T, Yoshida K, Inai A, Yoshioka Y, Tanaka E, Shimamoto S, Nakamura S, Yamada Y, Araki Y. Changes in Performance Status of Elderly Patients after Radiotherapy. Radiation medicine, 2001; 19(1): 9-18. 3. Chen AY, Frankowski R, Bishop-Leone J, Hebert T, Leyk S,Lewin J, Goepfert H. The development and validation of a dysphagia-specific quality-of-life questionnaire for patients with head and neck cancer: the M. D. Anderson dysphagia inventory. Arch Otolaryngol Head Neck Surg., 2001;127(7):870-6. SITI INTERNET 4. Federazione nazionale AMICI ITALIA. Disponibile su http://www.amici.it.htm. [Ultimo aggiornamento: 2006]. 5. http://www.aimac.it.htm. [Ultimo aggiornamento:2006]. 62 Capitolo 8 63 LA FATIGUE La fatigue è l’insieme di sintomi fisici e psichici tra i più debilitanti e meno trattati nei malati di cancro. Se si pensa che ne soffre fino al 90% dei malati oncologici, si può parlare di una vera e propria “malattia nella malattia”, che spesso può persistere anche dopo la fine del trattamento. La fatigue influisce pesantemente sulla vita di ogni giorno. E’ il sintomo che condiziona maggiormente la vita, che costringe a modificare le abitudini lavorative, e può persino creare difficoltà ad accudire la famiglia. La fatigue interferisce quindi sulle attività fisiche, mentali, emotive e anche lavorative. Eppure, nonostante la fatigue sia una delle manifestazioni più invalidante e con il maggior impatto sulla qualità della vita, sono pochi i pazienti che riferiscono i sintomi di astenia, debolezza, dolori muscolari, inappetenza, ansia, stress, anemia e depressione, che sono le manifestazioni più caratterizzanti di questa sindrome. Le persone, non essendo tali sintomi ben definiti e costanti, come, invece, ad esempio il dolore o la nausea e il vomito, tendono a non esporli, ritenendo che siano parte ineluttabile e incurabile della malattia. La fatigue può invece essere curata, ma è indispensabile che il malato collabori raccontando come l’insorgenza dell’affaticamento abbia modificato le proprie abitudini di vita e quali attività non riesca più a svolgere come prima. In considerazione dell’importanza che ha lo stato emotivo nella molteplicità di manifestazioni della fatigue, anche un sostegno psicologico può risultare di particolare aiuto. Il miglior approccio per la cura della fatigue è sicuramente quello “olistico”, basato sulla persona nella sua globalità. 8.1 CHE COSA E’ LA FATIGUE 64 La fatigue (termine inglese che significa astenia, stanchezza) può essere considerata come parte integrante della sintomatologia causata dal tumore, come effetto collaterale delle terapie oncologiche, oppure come espressione di uno stato depressivo. La fatigue può essere acuta e cronica: fatigue acuta: i meccanismi di recupero conservano tutta la loro efficacia, permettendo quindi all’organismo di riacquistare le forze, per mezzo di un adeguato periodo di riposo e/o reintegrando i supporti energetici consumati; fatigue cronica: il paziente non riesce a recuperare un adeguato livello energetico neppure dopo un prolungato periodo di riposo e/o una terapia di supporto. Le persone che provano fatigue non hanno energia e trovano difficoltoso compiere quelle semplici attività quotidiane che di norma svolgono senza difficoltà, impedimento o preoccupazione. Gli aggettivi più comunemente usati dai pazienti per descrivere come si sentono sono: svogliato, prostrato, debole, lento, confuso, scoraggiato, apatico, stanco, trascurato, pigro, fiacco, indifferente, abbattuto, sfinito, esausto, esaurito, a terra. La fatigue è, dunque, una sensazione soggettiva e per tale motivo è ancor difficile inquadrare il fenomeno. Tali descrizioni ben evidenziano la variabilità dei disturbi lamentati e la soggettività della sindrome: la fatigue è, infatti, fondamentalmente un fenomeno multidimensionale che si sviluppa nel tempo, riduce i livelli di energia, le capacità mentali e lo stato psicologico dei pazienti. 8.2 LE CAUSE DELLA FATIGUE Molte sono le cause che provocano la fatigue nei malati di cancro. Alla base possono essersi disordini del metabolismo, infezioni e anemia, cui si sovrappongo fattori psicologici quali le inevitabili paure che la diagnosi di cancro porta con sé. Altre cause che provocano 65 fatigue sono i trattamenti oncologici, i dolori di varia natura, i problemi alimentari e i disturbi del sonno. L’anemia è una delle principali cause di fatigue ed è un problema molto comune nel paziente oncologico. La sua correzione, anche di lieve entità, può determinare un miglioramento della qualità di vita. L’anemia può verificarsi o a seguito di emorragie, ulcerazioni con perdita di sangue e/o ridotta sintesi di emoglobina. Se il livello dell’emoglobina scende al di sotto del valore 11-12 g/dl, il senso di stanchezza aumenta e incide molto sulla qualità della vita. L’anemia si può curare con: l’eritropoietina: un ormone naturale che stimola la produzione di globuli rossi nel midollo osseo; la trasfusione di sangue: riversa i globuli rossi direttamente nella corrente sanguigna per via venosa e in tal modo ne innalza rapidamente il numero. Si ricorre alle emotrasfusioni quando l’anemia è molto grave. La fatigue è un sintomo comune in tutte le principali modalità di trattamento antineoplastico: interventi chirurgici, chemioterapia, radioterapia, terapia ormonale, terapia immunologica. Chemioterapia e radioterapia possono causare fatigue fin dal primo giorno di terapia. In generale, nella chemioterapia la fatigue è correlata al tipo e alla combinazione di farmaci utilizzati ed alla modalità di somministrazione, mentre nella radioterapia all’estensione della area irradiata. Il normale livello di energia si ripristina da sei mesi ad un anno dopo la fine dei trattamenti, benché alcuni pazienti continuino ad avvertire stanchezza anche uno o due anni dopo i trattamenti. 8.3 GLI EFFETTI DELLA FATIGUE Un’adeguata considerazione della fatigue non può limitarsi alla semplice stima della sua presenza e severità, ma deve evidenziare gli effetti che ha sulla qualità della vita. La fatigue può influire sul modo di pensare e di sentire: ci si accorge di non riuscire a 66 concentrarsi non soltanto sul lavoro, ma anche nelle normali attività della vita quotidiana (es. anche leggere o guardare la televisione possono risultare troppo faticose). La fatigue può ripercuotersi anche sulle relazioni interpersonali, con familiari ed amici, perché la vita di relazione sembra richiedere troppo sforzo. La percezione della fatigue è soggettiva: alcuni pazienti avvertono un senso di stanchezza molto lieve che non interferisce con le attività della vita quotidiana, per altri, invece, le conseguenze sono molto pesanti. Alcuni degli effetti della fatigue più comunemente riferiti dai pazienti sono: difficoltà a compiere le normali attività quali cucinare, rifare il letto, fare la doccia, pettinarsi, ecc.; non avere la forza di fare nulla, sentirsi completamente svuotato di ogni energia; difficoltà a concentrarsi e prestare attenzione, a parlare e a prendere decisioni; difficoltà a ricordare le cose; sensazione di vertigini o di avere la testa vuota; disturbi del sonno; perdita del desiderio sessuale; tendenza alla facile commozione. La percezione della fatigue è soggettiva e varia da paziente a paziente. Per descrivere la fatigue nel modo più preciso possibile vengono utilizzate scale di valutazione: le più usate sono la Scala Analogica Visiva (VAS), la Class, il Fact an e la Scala Numerica di cui segue la rappresentazione. 1 2 3 4 Nessuna fatigue 5 Il massimo di fatigue 67 Ove 1 = nessuna fatigue; 2 = fatigue lieve (essere in grado di svolgere le normali attività); 3 = fatigue moderata (essere in grado di svolgere qualche attività, ma dovendo riposare); 4 = fatigue severa (difficoltà a camminare o a svolgere attività come cucinare o fare la spesa); 5 = massimo livello di fatigue (bisogno di dormire o riposare per tutto il giorno). 68 BIBLIOGRAFIA TESTI 1. Tabloni S, Pugliese P, Spazzapan S, Tirelli U, Macellari U. La Fatigue. Roma: La Nuova MDM, 2006. RIVISTE 2. Uwe Reinhardt, Augustinos Tulusan, Ralf Angermund, Harald Lutz. For The German Epoetin Alfa Study Group Increased Hemoglobin Levels and Improved Quality-of-Life Assessments During Epoetin Alfa Treatment in Anemic Cancer Patients: Results of a Prospective, Multicenter German Trial The Oncologist, 2005; 10(3): 225-237. 3. D. Cella, J. Kallich, A. McDermott and Xu X. The longitudinal relationship of hemoglobin, fatigue and quality of life in anemic cancer patients: results from five randomized clinical trials . Annals of Oncology, 2004; 15:979-986. 4. Visovsky, C., Schneider S. Cancer-Related Fatigue. Online Journal of Issues in Nursing, 2003; 8(3). 5. B. Holzner, G. Kemmler, R. Greil, M. Kopp, A. Zeimet, M. Raderer, M. Hejna, S. Zöchbauer, G. Krajnik, H. Huber, W. W. Fleischhacker and B. Sperner-Unterweger. The impact of hemoglobin levels on fatigue and quality of life in cancer patients. Annals of Oncoloy, 2002; 13:965-973. 6. Sadler, I.J., Jacobsen, P.B., Booth-Jones, M., Belanger, H., Weitzner, M.A., Fields, K.K. Preliminary evaluation of a clinical syndrome approach to assessing cancer-related fatigue. Journal of Pain and Symptom Management, 2002; 23 (5): 401-416. 7. Barsevick, A.M., Whitmer, K., Sweeney, C., & Nail, L.M. A pilot study examining energy conservation for cancer treatment-related fatigue. Cancer Nursing, 2002; 25 (5): 333-341. 69 8. Mock, V., Pickett, M., Ropka, M.E., Lin, E.M., Stewart, K.J., Rhodes, V.A. et al. Fatigue and quality of life outcomes of exercise during cancer treatment. Cancer Practice, 2001;9 (3): 119-127. LINEE GUIDA 9. National Comprehensive Cancer Network. Clinical Practice Guidelines in Oncologyvolume 1, 2003. Disponibile su http:// www.nccn.org.htm. SITI INTERNET 10. http://www.aimac.it.htm. [Ultimo aggiornamento: 2006]. 11. http://www.wikipedia.org/Fatigue.htm. [Ultimo aggiornamento: 2006]. 12. http://nursingworld.org.htm. 13. American Cancer Society. Cancer: Basic facts. Disponibile su http:// cancer org.htm. 70 www Capitolo 9 71 IL DOLORE ONCOLOGICO Il dolore nelle malattie oncologiche assume caratteristiche di dolore globale, ossia di sofferenza personale che trova la propria eziopatogenesi, oltre che nella sofferenza fisica, anche in quella inerente alla sfera psichica e sociale. Nel 70% dei casi il dolore dei pazienti è determinato dalla neoplasia, nel 20% dalle terapie antitumorali, mentre nel 10% da cause diverse. Il paziente può presentare due o più dolori importanti, in sedi diverse, indipendenti l’uno dall’altro, spesso anche con varia eziopatogenesi. Inoltre possono comparire episodi di riacutizzazione del dolore dalla copertura antalgica di base, con puntate dolorose spesso di difficile controllo, in concomitanza con movimenti volontari e con posture particolari o con puntate di dolore senza chiari rapporti causali. Il dolore da cancro e il suo trattamento influenzano e sono influenzati da molti sintomi oncologici. Il dolore può impedire il sonno ed avere impatto negativo sul movimento e sulle attività di vita quotidiana. Il dolore da cancro è definito “dolore totale” ed è caratterizzato dalla presenza contemporanea di componenti organiche, psicologiche, sociali ed esistenziali. I principi fondamentali per una corretta gestione del dolore oncologico comprendono: valutazione del paziente, dando credito a quanto riferisce; definizione piano di cura diagnostico-terapeutico; attuazione del piano stesso; rivalutazione periodica del paziente e del piano di cura. 9.1 VALUTAZIONE DEL DOLORE 72 La valutazione clinica del dolore deve comprendere l’identificazione delle cause e della tipologia del dolore con rilevazione delle caratteristiche temporali della sede e dell’intensità del dolore. I tentativi di misurare il dolore utilizzando specifici strumenti, prima nella ricerca e poi nella pratica clinica, hanno confermato la validità dell’utilizzo delle scale di intensità che comprendono: Scale analogiche visive (VAS); Scale numeriche (NRS); Scale verbali (VRS). Le scale numeriche, di solito da 0 a 10, sono le più utilizzate nella pratica clinica. Un dolore di intensità da 1 a 4 è lieve, da 5 a 6 moderato e da 7 a 10 severo. Una soddisfacente terapia antalgica dovrebbe mantenere il dolore a livelli = < 4. Quando il dolore supera il valore 5, soglia oltre la quale si ritiene che il dolore inizi ad interferire in modo importante con le attività di vita quotidiana con un impatto sfavorevole sulla qualità di vita, deve essere considerata una modifica della strategia terapeutica in atto. Il numero di episodi di riacutizzazione del dolore e il numero di volte in cui è stato necessario somministrare farmaci al bisogno, costituiscono due ulteriori e importanti parametri di cui tenere conto nella valutazione complessiva del dolore. La valutazione del dolore assume significato se è assicurata la massima visibilità di rivelazione, con la presenza degli strumenti di valutazione del dolore nella cartella clinica del paziente. La rilevazione dell’intensità del dolore va effettuata regolarmente, nei pazienti ricoverati almeno due volte al giorno, nei pazienti seguiti in assistenza domiciliare ad ogni accesso, senza dimenticare la misurazione del dolore nei pazienti che accedono a visite programmate. ESEMPIO DI SCALA NUMERICA 73 0 1 2 3 4 5 6 nessun dolore Lieve 0-4 7 8 9 10 il più forte dolore immaginabile Moderato 5-6 Severo 7-10 ESEMPIO DI VAS Nessun ___________________________________ il più forte dolore dolore immaginabile ESEMPIO DI SCALA VERBALE (VRS) □ Nessun dolore □ Molto lieve □ Lieve □ Moderato □ Forte □ Molto forte 9.2 TERAPIA ANTALGICA La strategia terapeutica suggerita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità è rappresentata dalla Scala Analgesica a tre gradini. 74 Questa terapia per il trattamento del dolore da cancro deve porsi alcuni obiettivi sequenziali che possono essere schematizzati come segue: Aumento delle ore di sonno libere da dolore; Riduzione del dolore a riposo; Riduzione del dolore in posizione eretta o al movimento. Dal punto di vita strettamente sintomatico, il cardine fondamentale della strategia terapeutica è rappresentato proprio dalla scala analgesica a tre gradini. Prevede l’utilizzo di tre categorie di farmaci: non oppioidi, oppioidi per il dolore lieve-moderato ed oppioidi per il dolore moderato-severo con l’integrazione o meno di farmaci adiuvanti. Ciascuno dei tre gradini può essere integrato, se indicato, ad altre procedure di tipo invasivo (trattamenti non farmacologici, infiltrazioni, radioterapia, interventi psico-sociali). Mentre in passato nell’utilizzo dei farmaci dei tre gradini si era sottolineato l’approccio progressivo e sequenziale, oggi si è evidenziato come debbano essere l’intensità del dolore e le caratteristiche del paziente, e non la sequenzialità dei gradini (né tanto meno la prognosi del paziente) a dettare la scelta farmacologica con la quale iniziare un trattamento del dolore. Il suggerimento dell’OMS è di inserire la strategia terapeutica in un appropriato programma di assistenza continuativa in terapia antalgica. 75 9.3 SOMMINISTRAZIONE DELLA TERAPIA ANTALGICA Le principali regole per la somministrazione della terapia antalgica sono: Personalizzazione del dosaggio analgesico; Utilizzo preferenziale della via orale, la più fisiologica e la meno invasiva per trattamenti di lunga durata; Adeguato trattamento dell’insonnia, che può contribuire a debilitare ulteriormente il paziente e a renderlo sofferente e irritabile; Trattamento sistematico e preventivo degli effetti collaterali più comuni. E’ nota la gastrolesività dei Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei (FANS), soprattutto in caso di trattamento per lunghi periodi. Da tener presente, inoltre, le alterazioni renali farmaco-indotte e l’interferenza con altre terapie; 76 Per quanto riguarda gli oppioidi, per alcuni effetti collaterali (nausea e vomito) si può sviluppare tolleranza e può esser utile il trattamento degli stessi. Altri effetti secondari rimangono costanti nel tempo (stipsi). I farmaci non oppioidi, da utilizzare per la terapia del dolore lieve, comprendono l’Acido acetilsalicilico, i FANS e il Paracetamolo. Proseguire l’uso di FANS anche in caso di trattamento con farmaci del 2° e del 3° gradino, con l’obiettivo di poter utilizzare dosaggi ridotti di oppioidi ed avere quindi meno effetti collaterali. Oltre a tale effetto favorevole, il prolungamento del trattamento con FANS consentirebbe un’azione sinergica sul dolore. Fra gli oppioidi per il dolore lieve-moderato, i farmaci di base sono la codeina e il tramadolo. La morfina per via orale è il farmaco di riferimento del 3° gradino della scala analgesica dell’OMS; alternative sono rappresentate da metadone, fentanyl, buprenorfina, ossicodone. Il trattamento con oppioidi deve essere iniziato in tutti i pazienti con dolori di intensità da moderata a severa, qualunque sia il meccanismo fisiopatologico ipotizzato. Il farmaco di partenza va scelto in base a: Caratteristiche del paziente; Intensità del dolore; Tipo di formulazioni disponibili; Considerazioni di farmacocinetica (nelle prime fasi, nelle quali il dosaggio va titolato, sarebbero preferibili formulazioni di farmaci ad emivita breve, che consentano tempestivi aggiustamenti); Risposta a precedenti trattamenti con oppioidi; Patologie concomitanti. Gli oppioidi vanno somministrati per la via meno invasiva che consenta analgesia adeguata in assenza di effetti collaterali. La via orale rimane la via da privilegiare nella 77 pratica clinica. Vie alternative sono la sottocutanea (a boli o in infusione continua), la transdermica, la sublinguale, l’endovenosa continua e la spinale. Il cambiamento della via di somministrazione è, insieme alla rotazione degli oppioidi, una delle strategie per affrontare situazioni cliniche nelle quali l’indice terapeutico non sia ottimale o per insufficiente analgesia o per soddisfacente analgesia ma con eccesso di effetti collaterali. Gli effetti collaterali più comuni dei farmaci oppioidi sono: stipsi, nausea-vomito e sedazione; altri possono comparire meno frequentemente e sono: xerostomia, confusione, disforia, vertigini, allucinazioni, incubi, ritenzione urinaria, prurito, sudorazione. I diversi oppioidi presentano profili di tossicità differenti. Le strategie riportate per il controllo degli effetti collaterali sono: riduzione del dosaggio, quando possibile, cambio d’oppioide e/o della via di somministrazione, controllo farmacologico sintomatico dell’effetto collaterale, idratazione per favorire la “diluizione” dei metaboliti e l’escrezione urinaria. L’applicazione corretta della scala sequenziale dell’OMS consente di controllare il dolore oncologico nella gran maggioranza dei casi, tuttavia in una minoranza di pazienti l’approccio farmacologico non è sempre risolutivo ed è pertanto indispensabile ricorrere ad un approccio specialistico che prevede l’applicazione di procedure invasive per il controllo del dolore. Una cura particolare va riservata nel chiarire alla persona sofferente il significato di tali procedimenti e che essi non hanno alcun collegamento con prognosi infauste. Le procedure invasive si distinguono in procedure di tipo neuromodulativo e di tipo neurolesivo. Le prime sono tecniche di somministrazione spinale (epidurale, subaracnoidea o intraventricolare) che possono essere eseguite attraverso un catetere che permette l’infusione continua o intermittente del farmaco; questa somministrazione è controindicata nelle persone non collaboranti o incapaci di esprimere un consenso informato. La terapia neurolesiva si propone, agendo a diversi livelli del sistema nervoso, di abolire la trasmissione dell’impulso nocicettivo attraverso la distruzione irreversibile delle vie nervose centrali o periferiche tramite l’utilizzo dei mezzi meccanici, chimici o fisici; tali procedure richiedono una selezione accurata del paziente e vanno riservate ai casi in cui non vi sia una risposta antalgica efficace alle terapie tradizionali. 78 BIBLIOGRAFIA RIVISTE 1. Elves de Andrade F, Pereira LV, Sousa FAEF. Mensuracao da dor noidoso : una revisao. Rev Latino-am Enfermagem, 2006; 14(2): 271-6. 2. Laxmaiah Manchikanti, MD, Kimberly A Cash, RT, Kim S Damron, RN, Rajeev Manchukonda, BDS, Vidyasagar Pampati, MSc, and Carla D McManus, RN, BSN. Controlled Substance Abuse and Illicit Drug Use in Chronic Pain Patients: An Evaluation of Multiple Variables. ISSN, 2006; 9: 215-226. 3. Sven-Olof Isacsson, Agneta H Isacsson, H Ingemar Andersson, John Ektor-Andersen, Per-Olof Östergren, Bertil Hanson, and , the Malmö Shoulder-Neck Study group, Christina Gummesson. The transition of reported pain in different body regions – a one-year follow-up study. BMC Musculoskelet Disord, 2006; 7: 17. 4. Norwegian Knowledge Centre for the Health Service, .Stein Rokkan Centre for Social Studies, Claire Glenton. Lay perceptions of evidence-based information – a qualitative evaluation of a website for back pain sufferers. BMC Health Serv Res, 2006; 6: 34. 5. Tim A. Ahles, PhD, John H. Wasson, MD, Janette L. Seville, PhD, Deborah J. Johnson, BA, Bernard F. Cole, PhD, Brett Hanscom, MS, Therese A. Stukel, PhD 4 and Elizabeth McKinstry, MA, RN. A Controlled Trial of Methods for Managing Pain in Primary Care Patients With or Without Co-Occurring Psychosocial Problems. Annals of Family Medicine, 2006; 4:341-350. 6. Cancan M, Lora Aprile P. Cure Palliative in Medicina Generale. Pisa: Pacini Editore, 2004. 7. Hearn J, Higginson IJ. Cancer pain epidemiology: a sistematic review. Cancer pain, assessment and management. Cambridge University Press, 2003: pp 19-37. 8. SIAARTI. Recommendations on the assessment and treatment of chronic cancer pain. Minerva Anestesiol, 2003; 69: 697-716, 717-729. 79 9. Caraceni A, Cherny N, Fainsinger R, et al. Pain measurement tools and methods in clinic research in Palliative Care: recommendations of an Expert Working group of the EAPC. J Pain Symptom Manage, 2002; 23: 239-255. 10. Hanks GW, De Conno F, Cherny N, et al. Morphine and alternative opioids in cancer pain : the EAPC recommendations. Br J Cancer, 2001; 84: 587-93. 11. Joranson DE, Ryan KM, Gilson AM, Dahl Jl. Trends in medical use and abuse of opioid analgesics. JAMA, 2000; 283: 1710-1714. SITI INTERNET 12. http://www.eerp.usp.br/rlae.it. [Ultimo aggiornamento: 2006]. NORMATIVA 13. Legge 8 febbraio 2001, n°12. Norme per agevolare l’impiego dei farmaci analgesici oppiacei nella terapia del dolore. Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n°41 del 19 febbraio 2001. CONCLUSIONI La figura dell’infermiere in radioterapia assume un ruolo molto importante in quanto collabora con altri professionisti a soddisfare i bisogni della persona assistita, migliorando, in 80 questo modo, la qualità dell’assistenza. Questa azione si svolge a livello teorico, pratico, relazionale, educativo, riabilitativo, palliativo e sociale. Spesso i pazienti sottoposti a radioterapia del cavo orale presentano paure e ansie per il trattamento, ma anche molta rabbia per non aver ricevuto informazioni soddisfacenti e dettagliate relative agli effetti collaterali legati a questo tipo di cura. Gli effetti secondari influiscono sull’equilibrio fisico-psichico della persona trattata e per questo motivo assume un ruolo importante, se non fondamentale, la valutazione, la comunicazione, l’educazione terapeutica che effettua l’infermiere, supportato da continuo aggiornamento. L’assistenza ad un paziente radiotrattato si intreccia come una “rete” tra diversi professionisti: l’infermiere, lo psicologo, il dietologo, l’odontostomatologo, l’igienista dentale, il radioterapista; tutti collaborano strettamente con lo scopo di erogare un’assistenza “globale” al soggetto. E’ importante non minimizzare gli effetti collaterali reali e potenziali trattando solo il problema fisico, allargandoli alla vita lavorativa, relazionale, sociale e familiare, poiché queste sfaccettature vengono sicuramente colpite e modificate, se non eliminate, dalla patologia o dalla radioterapia. E’ proprio da questi bisogni e disagi che l’infermiere deve partire cercando di svolgere un lavoro di prevenzione, cura, palliazione, educazione nel modo in cui è possibile farlo. Le persone che convivono con il carcinoma possono nutrire preoccupazioni riguardo alla possibilità di continuare a lavorare, di occuparsi della famiglia o di svolgere una normale vita sociale. E’ inoltre diffusa la paura di esami, terapie, ricoveri in ospedali. I medici, il personale infermieristico ed altri membri dell’équipe di assistenza potranno rassicurare il paziente risolvendo tutti i suoi dubbi sul trattamento, sulla ripresa del lavoro e sulla possibilità di svolgere le normali attività quotidiane. Per coloro che desiderano parlare dei propri sentimenti e confidare le proprie ansie, un colloquio con un infermiere, uno psicologo, un assistente sociale o un religioso, potrà essere d’aiuto. Tuttavia è importante ricordare che ogni persona è un caso a sé. I trattamenti e metodi terapeutici che funzionano per un paziente possono rivelarsi non efficaci per un altro, persino se entrambi sono affetti dalla stessa forma di carcinoma. I malati e i loro familiari desiderano inoltre conoscere cosa riserverà loro il futuro, talvolta basandosi su statistiche che riportano le aspettative di vita di pazienti affetti da 81 carcinoma del cavo orale, ma non ci si può basare su di esse per sapere che cosa accadrà ad un paziente in particolare, perché ogni persona è diversa da un’altra. Dare sempre più importanza ai termini “prevenzione” e “trattamento”, nasce dal desiderio di rendere i pazienti protagonisti della loro salute, considerata non più come un bene da consegnare a medici e infermieri, ma come uno stato fisico e mentale da perseguire e mantenere nel tempo. L’infermiere in radioterapia svolge un ruolo particolarmente arduo. L’assistenza infermieristica erogata richiede conoscenza, competenza e abilità per la sua specifica articolazione. ALLEGATO 1 82 Anatomia del cavo orale. 83 Aree di carcinoma squamoso della mucosa orale. 84 ALLEGATO 2 85 Informa il paziente Effettua una visita generale e mirata RADIOTERAPISTA Analizza i referti degli esami e gli accertamenti diagnostici Elabora il piano di cura Informa la segreteria di reparto Prenota le visite di consulenza dietologica, odontostomatologica ed infermieristica SEGRETERIA DI REPARTO Prenota la TC di simulazione, la simulazione di verifica e l'inizio delle sedute Ricorda al paziente quanto richiesto dal radioterapista riguardo la necessità di effettuare una panoramica dentaria 90 Valuta lo stato tatodel basale cavodel orale cavo orale Esegue interventi di bonifica dentaria Collabora con l'igienista dentale in caso di complicanze ODONTOSTOMATOLOGO Esegue impronte per placchette dentarie Somministra il protocollo di prevenzione della mucosite Esegue controlli settimanali durante il trattamento Esegue il follow-up Valuta l'igiene del cavo orale Utilizza scale di valutazione IGIENISTA DENTALE Educa il paziente ed i carers Documenta i dati raccolti Verifica l'aderenza del paziente al progetto educativo Collabora col medico durante le visite Controlla la quantità e la qualità del cibo assunto e lo stato nutritivo basale DIETOLOGO Controlla settimanalmente il peso corporeo e la dieta assunta e, se necessario, introduce integratori 86