INTRODUZIONE

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO
FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA
CORSO DI LAUREA IN INFERMIERISTICA
TESI DI LAUREA
PDTA
DI
UN
PAZIENTE
AFFETTO
DA
CARCINOMA DEL CAVO ORALE SOTTOPOSTO
A RADIOTERAPIA
Relatore:
Candidato:
MANNA Gianluca
PETRALIA Giuseppina
Anno Accademico 2005/2006
1
RINGRAZIAMENTI
Ringrazio il mio relatore MANNA Gianluca per la disponibilità e la
comprensione, l’infermiera GARDES Paule Marie per il suo sostegno e per
il suo grande aiuto nel lavoro di realizzazione della tesi.
Ringrazio i miei zii, Marianna e Luigi, e mia cugina Rossella per il loro
affetto, per la loro disponibilità e per il loro sostegno.
DEDICA
Dedico la mia tesi ai miei genitori, Alfio e Maria, a mia sorella Giulia e al
mio fidanzato Enzo.
INDICE
2
INTRODUZIONE
pag. 4
EPIDEMIOLOGIA
pag. 5
BIBLIOGRAFIA
pag. 7
CAPITOLO 1
ANATOMIA E FISIOLOGIA DEL CAVO ORALE
pag. 9
BIBLIOGRAFIA
pag. 16
CAPITOLO 2
BIOLOGIA DEI TUMORI
pag. 18
BIBLIOGRAFIA
pag. 22
CAPITOLO 3
STADIAZIONE ED OPZIONI TERAPEUTICHE DEL
CARCINOMA DEL CAVO ORALE
pag. 24
BIBLIOGRAFIA
pag. 27
CAPITOLO 4
4.1 PRINCIPI DI RADIOTERAPIA
pag. 29
4.2 PREPARAZIONE AL TRATTAMENTO RADIANTE
pag. 30
4.3 EFFETTI COLLATERALI DELLA RADIOTERAPIA
pag. 32
4.4 BIBLIOGRAFIA
pag. 34
CAPITOLO 5
PRESENTAZIONE DI UN CASO
pag. 36
3
CAPITOLO 6
PERCORSO DEL PAZIENTE NEL CENTRO
RADIOTERAPICO
pag. 39
BIBLIOGRAFIA
pag. 55
CAPITOLO 7
QUALITA’ DI VITA
pag. 60
7.1 CHE COSA E’ LA QUALITA’ DI VITA
pag. 61
7.2 COME E QUANDO MISURARE LA
QUALITA’ DI VITA
pag. 62
7.3 A CHE PUNTO SIAMO E QUALE
SARA’ IL FUTURO
pag. 63
BIBLIOGRAFIA
pag. 64
CAPITOLO 8
LA FATIGUE
pag. 66
8.1 CHE COSA E’ LA FATIGUE
pag. 67
8.2 LE CAUSE DELLA FATIGUE
pag. 68
8.3 GLI EFFETTI DELLA FATIGUE
pag. 69
BIBLIOGRAFIA
pag. 71
CAPITOLO 9
IL DOLORE ONCOLOGICO
pag. 74
4
9.1 VALUTAZIONE DEL DOLORE
pag. 75
9.2 TERAPIA ANTALGICA
pag. 77
9.3 SOMMINISTRAZIONE DELLA TERAPIA ANTALGICA
pag. 78
BIBLIOGRAFIA
pag. 82
CONCLUSIONI
pag. 84
ALLEGATO 1
IMMAGINI DEL CAVO ORALE
pag. 87
ALLEGATO 2
GUIDA AL PAZIENTE
pag. 90.
5
INTRODUZIONE
Il titolo della presente tesi di laurea ha avuto origine dal desiderio di approfondire un
argomento trattato a scuola durante il corso integrato di Oncologia, sia attraverso le lezioni
frontali sia durante i lavori di gruppo. La mia ricerca ha ottenuto molti risultati attraverso
informazioni mediche in merito alla radioterapia, in netta contrapposizione con la mancanza
di notizie sull’assistenza infermieristica. La scelta è stata dovuta alla scarsità di informazioni
presenti in questo specifico campo e, proprio per questo, le osservazioni si basano su
evidenze scientifiche, riscontrate nella pratica professionale ed in letteratura, piuttosto che su
concetti teorici.
Convivere con una grave malattia non è facile. I pazienti neoplastici e i loro cari si
troveranno di fronte a numerosi problemi e sfide, che sarà più semplice risolvere disponendo
di informazioni utili e di servizi di sostegno: Il paziente deve sentirsi assistito e controllato in
modo costante.
Un anello della catena rappresentante l’équipe di professionisti che lavorano per
assistere un paziente radiotrattato, è occupato dall’infermiere e pertanto cercheremo di
delineare quale sia il suo ruolo attraverso la presentazione di un caso clinico e la descrizione
del piano diagnostico, terapeutico ed assistenziale
.
.
6
EPIDEMIOLOGIA
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sottolinea che la salute del cavo orale
è ancora un rischio che interessa tutte le fasi della vita di una persona e ha messo in atto un
sistema di sorveglianza internazionale poiché
il carcinoma del cavo orale rimane tra le
malattie più diffuse. Il cancro della bocca colpisce particolarmente le persone sopra i 55 anni
di età, soprattutto quando si tratta di fumatori e di alcolisti. Infatti, molti pensano che alcol e
tabacco esercitino un effetto carcinogeno sinergico; tuttavia l’incidenza tende ad aumentare
negli uomini di età inferiore ai 30 anni per l’uso di tabacco in forme diverse dal fumo (
tabacco da fiuto). In ogni caso negli Stati Uniti il cancro del cavo orale rappresenta il 2% di
tutte le morti per cancro e gli uomini sono più colpiti delle donne, anche se l’incidenza sta
aumentando per l’aumentato uso di alcol e tabacco nel sesso femminile. Per le 8100 morti
annuali dovute al cancro del cavo orale, si stima la seguente distribuzione:
Lingua 1800
Bocca 2300
Faringe 2100
Altro 1900
Se scoperto durante le fasi precoci può essere curato e la sopravvivenza a 5 anni è
pari a 55% per i soggetti di razza bianca e al 33% per gli afro- americani.
Un’ irritazione cronica provocata dal calore irradiato dal bocchino della pipa accesa o
da un’esposizione prolungata ai raggi solari può predisporre al cancro delle labbra.
Le algie boccali sono una delle forme di dolore più comune e più diffusa e
interessano almeno il 25% di quelle che si manifestano in un arco di tempo di sei mesi. E’ un
dolore che interferisce con una serie di funzioni vitali, come mangiare, deglutire, parlare.
Ogni anno più di 400 mila malati di cancro, che si sottopongono a radioterapia, sviluppano
una serie di problemi del cavo orale. Per capire il carico sociale ed economico dei problemi
derivati da disturbi della bocca, basti pensare che ogni anno, negli Stati Uniti, vengono
perdute 164 milioni di ore di lavoro per problemi relativi al cavo orale.
7
Esiste una correlazione tra la diffusione del cancro e le variabili riguardanti la salute e
quelle socio-economiche. Questa associazione suggerisce che lo sviluppo della neoplasia
segue quello dell’economia; infatti, più una società è ricca, maggiori saranno le aspettative di
vita. Essendo in aumento gli anni di vita vissuta, avranno un incremento anche il numero di
persone affette da neoplasia. Le campagne contro il cancro in Europa hanno proprio lo
scopo di concentrare energie e risorse sia sulla prevenzione primaria sia sul trattamento per
contribuire all’allungamento della sopravvivenza.
BIBLIOGRAFIA
RIVISTE
1.
Centers for Disease Control and Prevention, Health Resources and Services
Administration, Indian Health Service e National Institutes of Health. Healthy People 2010.
Oral Health, 2003.
2. Petersen PE. The World Health Report 2003. Geneva: World health Organization, 2003.
8
3. Micheli A., Mugno E., Krogh V., Quinn MJ., Coleman M., Hakulinen T., Gatta G., Berrino
F., Capocaccia R., Europreval Working Group. Annals of Oncology: Cancer prevalence in
European registry areas. Oxford: European Society for Medical Oncology, 2002; 13:840-865.
4. Promoting Oral Health: Interventions for Preventing Dental Caries, Oral and Pharyngeal
Cancers and Sports related Craniofacial Injuries. Task Force, 2001; 50:1-13.
LINEE GUIDA
5. Satcher D. Oral Health in America: A Report of the Surgeon General. CDC maggio 2000.
Capitolo 1
9
ANATOMIA E FISIOLOGIA DEL CAVO ORALE
Anatomia
La cavità orale è l’organo necessario all’introduzione e all’elaborazione del cibo; con la
lingua e i denti costituisce l’apparato boccale nonché la prima porzione dell’apparato
digerente ma è parte anche delle vie respiratorie e degli organi della fonazione. Il punto di
passaggio tra la cavità orale e la cavità faringea è detto istmo delle fauci.
La bocca, completamente rivestita da mucosa, è delimitata anteriormente dalle
labbra, lateralmente dalle guance, posteriormente dall’istmo delle fauci, in alto dalla volta
palatina, in basso dal pavimento, costituito da un piano muscolare (muscolo miloioideo) su
cui appoggia la lingua.
Le labbra rivestono esternamente le arcate dentali, sono fornite di muscoli, in cui
predominano i fasci di fibre circolari ed intorno ad esse si trovano fascetti muscolari disposti
a raggera: ognuno di essi determina una particolare funzione nel movimento della bocca.
L’esterno delle labbra è rivestito dalla cute, che si continua nel viso, ed è rivestito da una
mucosa sottile che lascia trasparire il colore rosso dei fasci muscolari sottostanti. Questa
mucosa è ricca di terminazioni nervose deputate alla sensibilità termica (caldo e freddo). La
parte interna delle labbra è costituita da una mucosa più spessa ricca di ghiandole a
secrezione sierosa e mucosa.
Le pareti laterali sono costituite dalle guance le quali contengono i muscoli destinati
alla masticazione e una piccola raccolta di tessuto adiposo.
La parete superiore è nota come palato o volta palatina. Lo scheletro osseo del palato
duro è formato da due processi palatini dell’osso mascellare ed è coperto da una mucosa
stratificata di colorito roseo pallida.
La parete inferiore o pavimento buccale è occupato per quasi tutta la sua ampiezza
dalla lingua. La parete posteriore è costituita dal palato molle. Il contorno inferiore del palato
presenta una sporgenza centrale, l’ugola. Da qui si dipartono due arcate tra le quali si
trovano due ghiandole linfatiche, tonsille o amigdale, una per lato.
10
Tra gli elementi di maggior importanza presenti nella cavità della bocca vanno ricordati
i denti, la lingua e gli sbocchi dei canali escretori di molte ghiandole salivari: delle parotidi
(dotti di Stenone), delle ghiandole sottomascellari (dotti di Wharton) e di quelle sottolinguali
(dotti di Rivino). I denti sono costituiti da tre parti principali: la corona, il colletto e la radice.
Essi sono rivestiti dallo smalto, una delle sostanze più dure del corpo umano, la dentina,
sostanza anch’essa dura, e la polpa dentale che costituisce la parte morbida.
La mucosa boccale è assai ricca di terminazioni nervose sensitive che,
particolarmente abbondanti sulla lingua, rappresentano gli elementi fondamentali per il senso
del gusto. La mucosa che riveste la parete interna delle labbra e delle guance è rosea o
rossa, mentre quella che riveste le zone ossee e parte dei denti è più biancastra e viene
denominata gengiva. La gengiva giunge fino alla base della corona dei denti, formando
intorno a essa una struttura anulare, detta cercine gengivale, cui corrisponde il colletto di
ciascun dente.
FISIOLOGIA
Nella cavità orale si verificano le prime modificazioni dei cibi ai fini della digestione e
precisamente la loro masticazione e insalivazione, nonché la formazione del bolo alimentare.
11
La lingua è molto mobile, facilmente distendibile e contribuisce a deglutire il cibo
masticato. Essa è molto vascolarizzata perciò sanguina profusamente in caso di ferite; è
anche estremamente sensibile, in quanto è fornita di molte terminazioni nervose. Come
succede per le labbra, la lingua è rappresentata nelle cortecce cerebrali motoria e
somestesica da un’area molto più ampia delle dimensioni reali. Questa rappresentazione
relativamente estesa nella corteccia motoria permette di compiere i numerosi e fini
movimenti necessari per produrre la parola. Una lesione di qualsiasi tipo alla lingua, anche
molto piccola, può provocare difetti di pronuncia.
Un’importante funzione della lingua è quella di permetterci di gustare il cibo e quindi di
trarne piacere. Infatti, sulla superficie dorsale della lingua si trovano numerose papille che
possono essere chiamate papille filiformi, fungiformi, circumvallate o foliate a seconda della
loro forma. Queste aree contengono circa 10.000 bottoni gustativi che ci permettono di
distinguere le quattro modalità del gusto: dolce, amaro, salato e acido. In questi bottoni
gustativi si trovano cellule recettoriali gustative che sono chemocettori. Queste sostanze
chimiche in soluzione stimolano le suddette cellule e si genera un impulso che viaggia lungo
le fibre nervose che innervano ogni cellula recettoriale, fino a raggiungere la corteccia
cerebrale gustativa. Qui, la sensazione gustativa viene distinta e riconosciuta.
Ogni giorno un individuo adulto produce approssimativamente 1-1,5 litri di saliva. La
saliva è costituita principalmente da acqua (il 99% del totale) e di solito ha un pH di 6,8-7,0.
Tuttavia, diventa più alcalina quando aumenta la velocità di secrezione durante la
masticazione.
La saliva ha diverse funzioni:
* pulisce la bocca. All’interno di questa c’è una continua produzione di saliva che
scorre poi all’indietro verso l’esofago. La saliva contiene lisozima che ha azione antisettica, e
anche immunoglobuline (IgA) che hanno funzione di difesa. In generale, un suo normale
flusso contribuisce a prevenire le carie dentali e l’alitosi; un suo improvviso flusso nel cavo
orale spesso precede il vomito;
12
* mantiene il benessere del cavo orale e lubrifica riducendo la frizione provocata dal
parlare e dal masticare. La sensazione di bocca secca (secchezze delle fauci) è molto
spiacevole e rende difficile il parlare. Questa condizione può verificarsi normalmente quando
il soggetto è nervoso, spaventato o ansioso, e quando l’attività del sistema nervoso
simpatico o l’azione di farmaci inibiscono la secrezione salivare;
* contribuisce alla formazione di un bolo, cioè di una pallottola di cibo parzialmente
frammentato che è pronto per essere deglutito.
La saliva contiene un enzima digestivo, l’amilasi salivare o amilasi alfa, chiamata
anche ptialina. L’amilasi salivare agisce sull’amido cotto (per esempio nel pane e nelle torte),
trasformandolo in disaccaridi (maltosio e destrine). Più a lungo l’amido rimane in bocca e più
viene masticato, maggiore sarà l’effetto di questo enzima. L’amilasi salivare, di solito, nella
digestione svolge un ruolo minore e non essenziale.
La saliva è composta anche da ioni calcio, sodio, cloro, bicarbonato e potassio. Se a
causa di qualche patologia, per esempio infiammazioni, infezioni o neoplasie, i dotti delle
ghiandole salivari si ostruiscono, questi elettroliti possono concentrarsi nei dotti ghiandolari e
ciò porta alla formazione di calcoli salivari.
E’ necessario che le sostanze chimiche presenti nel cibo siano in soluzione (cioè
disciolte nella saliva) perché possano stimolare i recettori nelle papille gustative. Un individuo
con la bocca secca non può assaporare pienamente il cibo e perciò non riesce a gustare i
pasti.
La produzione di saliva avviene in risposta a fattori diversi tra loro.
Il pensiero, la vista o l’odore del cibo, sono riflessi condizionati, cioè quando una
sostanza viene riconosciuta come cibo e anticipata dal pensiero, dalla vista o dall’odore,
ecco che gli impulsi nervosi si dipartono e provocano salivazione.
La presenza di cibo nella bocca provoca la stimolazione meccanica delle ghiandole
salivari, e questa risposta rappresenta una riflesso incondizionato, cioè non appreso.
La secrezione di abbondante saliva acquosa si ha come risultato dell’eccitazione del
sistema nervoso parasimpatico, che aumenta anche il flusso ematico alle ghiandole salivari.
13
La stimolazione del sistema nervoso simpatico, che si ha per esempio in condizioni di
stress e di forte ansia, provoca vasocostrizione nella ghiandole, perciò viene prodotta solo
una piccola quantità di saliva concentrata.
Ci sono tre paia di ghiandole salivari principali: ghiandole parotidi, sottomandibolari e
sottolinguali. Altre ghiandole più piccole, dette ghiandole minori,
sono presenti sulla
superficie del palato, della lingua e all’interno delle labbra. Queste ultime producono saliva in
risposta a stimoli meccanici locali. Le ghiandole parotidi sono ghiandole a secrezione in
prevalenza sierosa, producono un secreto molto fluido e ricco di componenti proteici; le
ghiandole sottolinguali presentano una maggior componente mucosa; le ghiandole
sottomandibolari risultano prevalentemente sierose.
Il controllo delle secrezioni salivari è essenzialmente determinato da una serie di
attività esercitate dal sistema nervoso centrale e periferico e dalla irrorazione sanguigna.
Questi meccanismi di secrezione mantengono un flusso salivare basale in assenza di stimoli
per evitare l’essiccamento e la disidratazione della mucosa orale e dei primi tratti della
faringe. La secrezione salivare è totalmente riflessa ed involontaria.
Si possono considerare tre fasi nella secrezione salivare:

la fase cefalica, nella quale esiste, in assoluta mancanza di stimolazioni orali,
un controllo corticale della funzione salivatoria, che tenderà ad estinguersi se
non sostenuta da una successiva assunzione di cibo;

la fase orale che si manifesta con l’assunzione di cibo ed è dovuta alla
stimolazione meccanica dei recettori tattili presenti nella mucosa della cavità
orale che incrementa la secrezione salivare;

la fase gastrica che agisce per via nervosa riflessa mantenendo la secrezione
salivare in modo da contribuire alla ulteriore diluizione del contenuto di cibo
presente nello stomaco.
Nell’arco delle 24 ore la quantità media di saliva secreta, in condizioni basali e di
stimolazione fisiologicamente normale, può variare da valori di 700-800 ml ed in particolari
condizioni il volume salivare può arrivare fino a 1500 ml. La formazione di saliva subisce un
picco, definito acrofase, durante le prime ore pomeridiane e, successivamente, tende a
14
diminuire progressivamente sino ad arrivare ad una fase di secrezione minima durante la
notte e nelle ore del sonno.
La saliva è composta principalmente da acqua a cui si aggiungono elettroliti inorganici
che più precisamente sono il sodio, il potassio, il calcio, il cloro, il fluoro. La componente
organica della saliva è invece costituita prevalentemente da molecole proteiche, lipidi e
glucidi. Il glucosio presente nella saliva primaria e secondaria rispecchia proporzionalmente
le concentrazioni ematiche. L’assunzione di cibi e di bevande zuccherate determina aumenti
delle concentrazioni zuccherine nel cavo orale, ma questi valori sono riferibili ai liquidi orali a
non alle secrezioni salivari propriamente dette. La saliva si può considerare leggermente
acida ed il suo pH può variare fra 5,75 e 7,05.
15
BIBLIOGRAFIA
TESTI
1. Spadai F. La salivazione. Riflessioni funzionali e salute del cavo orale. Ambulatorio di
medicina e patologia orale della clinica odontoiatrica e stomatologia dell’università degli studi
di Milano: 2001.
2. Hinchliff S.M., Montague S.E., Watson R. Fisiologia per la Pratica Infermieristica. Milano:
Casa Editrice Ambrosiana, 2004.
SITI INTERNET
3.
Consiglio Nazionale delle Ricerche, Ministero dell’Istruzione dell’Università e della
Ricerca. Disponibile su: http://www.progettoocologia.cnr.it.htm. [Creazione: 2003] [ Ultimo
aggiornamento: 16 settembre 2005].
4.
Servizio Nazionale di Supporto ed Informazione in Oncologia. Disponibile su:
http//www.sostumori.org.htm. [Ultimo aggiornamento: 2 febbraio 2006].
16
Capitolo 2
17
BIOLOGIA DEI TUMORI
Dopo la nascita le cellule possono comportarsi in maniera differente a seconda del
tessuto di appartenenza. Vi sono cellule che perdono definitivamente la capacità di
proliferare e cellule che possono continuare a riprodursi e differenziarsi durante tutto l’arco
della vita. I processi proliferativi che permettono i processi rigenerativi in caso di lesioni sono
rigidamente controllati. E’ importante; infatti, che non si producano cellule in numero
maggiore o minore rispetto al fabbisogno. E’ anche importante che, una volta intrapreso, il
processo differenziativo che conduce le cellule proliferanti a cellule mature e funzionanti, sia
completato in tutti i suoi stadi. Talvolta questi meccanismi di controllo non funzionano e di
conseguenza si verifica una proliferazione eccessiva delle cellule dando origine ad una
neoplasia. Si distinguono due tipi di tumore: i tumori benigni e quelli maligni. I primi sono dati
da una proliferazione cellulare ancora relativamente controllata, limitata nel tempo, nello
spazio e nel numero delle cellule. I secondi derivano da una proliferazione incontrollata che
invade i tessuti vicini e può anche colonizzare tessuti distanti e diversi da quelli di origine
dando luogo al fenomeno della metastasi. Più le cellule sono svincolate dai sistemi di
regolazione della proliferazione più la forma neoplastica è maligna.
Il processo proliferativo può fermarsi a vari livelli dando luogo a differenti forme di
neoplasia:

Lesione pre-neoplastica: accumulo di cellule che rimane molto ben limitata
nella sede di origine e l’assetto morfologico del tessuto risulta poco modificato;

Neoplasia benigna: la proliferazione e l’accumulo cellulare è più evidente, ma è
sempre circoscritto al tessuto d’origine e le cellule neoplastiche non superano
la membrana basale dell’epitelio;

Neoplasia maligna: le cellule neoplastiche superano la membrana basale ed
invadono i tessuti circostanti.
Nelle forme più maligne le cellule neoplastiche sviluppano la capacità di produrre
sostanze, dette fattori angiogenetici, che stimolano la formazione di nuovi vasi sanguigni e
del relativo supporto connettivale. Avviene una neovascolarizzazione del tessuto neoplastico
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che permette l’arrivo delle sostanze nutritive a tutte le cellule che compongono la massa
tumorale.
Le cellule normali se sono a stretto contatto tra di loro smettono di proliferare. Questo
fenomeno viene definito inibizione da contatto. Le cellule neoplastiche perdono questa
importante proprietà inibente la crescita.
Il tumore è causato dalla trasformazione di una singola cellula. Questa cellula prolifera
e origina un clone di cellule neoplastiche, tutte ugualmente trasformate. La cellula
neoplastica è una cellula che ha subito delle alterazioni (mutazioni) a carico di geni
(oncogeni) che normalmente codificano per proteine legate alla regolazione della
proliferazione. Un oncogeno alterato codificherà per una proteina alterata, capace di
innescare la proliferazione, ma insensibile ai meccanismi di inibizione che la controllano.
Esistono in condizioni normali geni che frenano la proliferazione cellulare. Essi sono definiti
anti-oncogeni o geni onco-soppressori. La perdita o l’inattivazione di uno di questi può
essere il responsabile della generazione di un fenotipo neoplastico.
I tumori maligni possono invadere i tessuti vicini per contiguità o possono
metastatizzare in tessuti distanti da quello d’origine. Il processo di metastatizzazione o
metastasi è determinato dal fatto che alcune cellule neoplastiche trovano accesso al torrente
circolatorio e raggiungono tessuti distanti dove ricominciano a proliferare. Le vie che
utilizzano per produrre metastasi sono due: le vie linfatiche dove le cellule si staccano dalla
massa neoplastica e vanno a raggiungere mediante i capillari e i collettori linfatici i linfonodi
satelliti; e le vie ematiche.
La cellula neoplastica mantiene una certa somiglianza morfologica con le cellule del
tessuto normale da cui origina. I tumori vengono classificati generalmente in base all’istotipo.
I tumori maligni di origine epiteliale sono chiamati carcinomi, quelli di origine connettivale
sarcomi. Il tessuto di origine viene ricordato con un prefisso: per esempio vi sono
adenocarcinomi che indicano carcinomi originati da epiteli ghiandolari, epatocarcinomi che
sono carcinomi originati dalle cellule del fegato ed osteosarcomi, cioè sarcomi dell’osso. Le
neoplasie delle cellule del sangue vengono definite leucemie, mentre la neoplasia del
tessuto linfoide prende nome di linfoma.
19
Le neoplasie maligne del cavo orale sono solitamente neoplasie a cellule squamose
.Possono colpire tutte le regioni dell’orofaringe, ma interessano soprattutto le labbra, gli
aspetti laterali della lingua ed il pavimento buccale.
MANIFESTAZIONI CLINICHE
Molte forme neoplastiche sono inizialmente asintomatiche o associate a scarsi
sintomi. Successivamente si forma un’ulcera non dolorosa ed indurita con i margini rilevati o
una massa che non guarisce. Per cui ogni lesione del cavo orale che non guarisce in due
settimane dovrebbe essere valuta con biopsia. Col progredire della neoplasia il paziente
avverte dolore, difficoltà alla masticazione, ad inghiottire e all’articolazione della parola. I
linfonodi cervicali possono essere ingrossati.
Le valutazioni diagnostiche consistono:

nell’esame del cavo orale e nella valutazione dei linfonodi latero cervicali per
accertare la presenza di eventuali metastasi;

nell’esecuzione di una biopsia sulle lesioni sospette
Per i fumatori di sigarette o di pipa sono particolarmente a rischio la mucosa e le
gengive.
Per i consumatori di alcol e tabacco sono a rischio: il pavimento della bocca, la
porzione ventrolaterale della lingua e il complesso del palato molle ( cioè il palato molle,
regione tonsillare anteriore e posteriore, l’ugola e la regione compresa tra i molari e la
giunzione della lingua ).
20
BIBLIOGRAFIA
TESTI
1.
Carpanelli I., Canepa M., Bettini P., Viale M. Oncologia e cure palliative. AIIO
Associazione Italiana Infermieri di Oncologia. Milano: McGraw-Hill, 2002.
2. Bonadonna G., Robustelli della Cuna G., Valagussa P. Medicina Oncologica. Settima
edizione. Masson, 2003.
3. Brunner Suddarth nursing medico chirurgico CEI 2001
21
22
Capitolo 3
23
STADIAZIONE ED OPZIONI TERAPEUTICHE DEL CARCINOMA
DEL CAVO ORALE
Una volta diagnosticata la presenza del tumore, sono necessari ulteriori accertamenti
per verificare se le cellule tumorali si sono diffuse ad altre parti dell'organismo (stadiazione).
Questa è importante per la scelta del trattamento più indicato. Il carcinoma del cavo orale si
suddivide nei seguenti stadi:

stadio I: il tumore ha un diametro massimo di 2 cm e non si è esteso ai linfonodi
regionali (i linfonodi sono piccole strutture del sistema linfatico, a forma di fagiolo,
presenti in tutto il corpo, che producono e conservano le cellule che combattono le
infezioni);

stadio II: il tumore ha un diametro che misura più di 2 cm, ma meno di 4 cm, e non si
è diffuso ai linfonodi regionali;

stadio III:
- il tumore ha un diametro maggiore di 4 cm (è più lungo di 4 cm); oppure
- il tumore, indipendentemente dalle sue dimensioni, ha invaso un solo linfonodo
omolaterale, ossia localizzato nella stessa parte del collo in cui si trova il tumore; il
linfonodo interessato non misura più di 3 cm;

stadio IV:
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- il tumore si è diffuso ai tessuti circostanti le labbra e il cavo orale; i linfonodi
possono essere indenni o compromessi;
oppure
- il tumore, indipendentemente dalle sue dimensioni, ha invaso più di un linfonodo
omolaterale, i linfonodi di uno o di tutti e due i lati del collo, oppure un linfonodo, che
misura oltre 6 cm di diametro;
oppure
- il tumore si è esteso ad altri organi;

recidiva: quando il tumore si ripresenta dopo il trattamento. La recidiva può
svilupparsi nella stessa sede del tumore primitivo oppure in un altro organo.
OPZIONI TERAPEUTICHE
Tutti i pazienti portatori di cancro del cavo orale possono essere sottoposti a
trattamento. Esistono tre opzioni terapeutiche:

chirurgia, che consiste nell'asportazione del tumore;

radioterapia, che utilizza dosi elevate di raggi X per distruggere le cellule tumorali.

chemioterapia: che consiste nella somministrazione di farmaci che distruggono le
cellule tumorali.
La chirurgia è un trattamento comune per il tumore del labbro e del cavo orale. Il
chirurgo potrà asportare il tumore con un margine di tessuto sano circostante. In alcuni casi
eseguirà anche una dissezione linfonodale, vale a dire asporterà anche i linfonodi del collo.
La radioterapia consiste nell'applicazione di radiazioni ad alta frequenza per
distruggere le cellule neoplastiche e ridurre le dimensioni del tumore. Le radiazioni possono
essere erogate da una macchina esterna all'organismo (radioterapia esterna) oppure può
essere immessa direttamente nella lesione (radioterapia interna o intracavitaria).
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La chemioterapia è la modalità terapeutica che distrugge le cellule tumorali
attraverso la somministrazione di farmaci, che possono essere assunti per bocca in forma di
compresse, oppure iniettati per via endovenosa o intramuscolare. La chemioterapia si
definisce trattamento sistemico, perché il farmaco entra nella circolazione sanguigna, si
diffonde nell'organismo e in questo modo può raggiungere e distruggere le cellule tumorali
che si sono diffuse a distanza.
Se il chirurgo rimuove tutto il tumore visibile, il paziente potrà essere sottoposto a
chemioterapia o radioterapia postoperatoria allo scopo di distruggere eventuali cellule
tumorali residue. Questa terapia attuata dopo l'intervento quando non ci sono
apparentemente più cellule tumorali si definisce adiuvante. La chemioterapia o la
radioterapia eseguita prima dell'intervento allo scopo di ridurre le dimensioni del tumore, per
poterlo poi asportare più agevolmente, si definisce neoadiuvante.
BIBLIOGRAFIA
TESTI
1. Bonadonna G., Robustelli della Cuna G., Valagussa P. Medicina Oncologica. Settima
edizione. Masson, 2003.
26
SITI INTERNET
2.
AimaC-Profili
DST-Cancro
del
labbro
e
del
cavo
http://www.aimac.it.htm. [Ultimo aggiornamento: dicembre 2001]
3. http://www.tumori.net.htm.
27
orale.
Disponibile
su:
Capitolo 4
28
4.1 PRINCIPI DI RADIOTERAPIA
L’effetto della radioterapia si basa su un’azione selettiva, lenta e graduale che, poco
per volta, determina danni incompatibili con la sopravvivenza delle cellule tumorali lasciando
ai tessuti sani la possibilità di riparare più o meno completamente gli effetti dell’irradiazione.
L’indirizzamento alla radioterapia può essere ad utilizzo esclusivo o in associazione
alla chirurgia e alla chemioterapia.
La radioterapia esclusiva viene utilizzata con i seguenti scopi:

trattamento curativo, con lo scopo di ottenere la guarigione dal tumore;

sintomatico, con l’obiettivo di migliorare la qualità di vita ed eventualmente
prolungare la sopravvivenza;

precauzionale o profilattica, con il fine di irradiare territori microscopicamente non
interessati dalla neoplasia, ma che si considerano sedi di localizzazioni occulte.
La radioterapia può essere
associata alla chirurgia: direttamente sullo stesso
bersaglio (tumore primitivo o linfonodi regionali) oppure su obiettivi diversi.
Si ricorre alla radioterapia preoperatoria in presenza di tumori localmente avanzati con
lo
scopo
di
rendere
operabile
la
neoplasia,
riducendone
le
dimensioni,
e
contemporaneamente, di eliminare eventuali focolai occulti periferici, clinicamente non
evidenti; per tumori radicalmente operabili, l’intento è quello di ridurre il numero delle recidive
locali.
La radioterapia postoperatoria viene utilizzata in caso di asportazione non radicale
della neoplasia, quindi come prevenzione in interventi chirurgici demolitivi sia di ordine
estetico che funzionale; oppure per ridurre il numero di recidive locali, dopo interventi
apparentemente radicali.
La radioterapia associata alla chemioterapia ha lo scopo di migliorare i risultati con un
più efficace controllo del tumore primitivo e delle eventuali metastasi; a parità di risultati,
riduce le dosi e quindi la tossicità dei singoli trattamenti ed eventualmente evita interventi
chirurgici demolitivi e mutilanti.
29
4.2 PREPARAZIONE AL TRATTAMENTO RADIANTE
L’identificazione del volume bersaglio rappresenta il primo passo nella pianificazione
del trattamento radiante. L’accurata localizzazione ed identificazione del volume bersaglio
tumorale nonché degli organi critici, richiedono un’approfondita conoscenza della malattia
neoplastica e si basano sulle informazioni fornite dall’esame clinico, dagli esami diagnostici
radiologici e di medicina nucleare, così come da eventuali interventi chirurgici e relativi esami
istologici.
La scelta della posizione del paziente durante il trattamento e l’utilizzo di sistemi di
immobilizzazione del distretto corporeo d’interesse sono procedure fondamentali per
realizzare una simulazione corretta e garantire la riproducibilità quotidiana dell’irradiazione, I
sistemi di immobilizzazione garantiscono la riproducibilità del trattamento e includono
speciali poggiatesta, sistemi di bloccaggio per il mento, maschere per il capo e collo in
materiale termoconformabile, impronte di vari distretti corporei ottenute con appositi materiali
schiumosi o materassini nei quali è possibile creare il vuoto e riprodurre in modo permanente
l’anatomia del paziente.
Il simulatore convenzionale è una particolare apparecchiatura radiologica che
riproduce l’isocentro, ovvero il punto nello spazio dove si intersecano tutti gli assi di rotazione
delle macchine per la radioterapia. Il paziente viene sistemato sul lettino del simulatore nella
posizione prescelta in modo da allineare, utilizzando un sistema di laser ottici, la regione
d’interesse o altri punti di repere anatomici con l’isocentro del simulatore. Il simulatore
produce radiazioni di bassa energia che danno luogo a radiografie definendo la geometria di
ogni singolo campo di trattamento prescelto. Al termine della simulazione, i punti
corrispondenti agli assi di riferimento dell’isocentro o dei campi di trattamento, vengono
marcati sulla cute del paziente e/o sul sistema di immobilizzazione. Le procedure di
simulazione dono facilitate dalla disponibilità dei cosiddetti TAC simulatori.
La simulazione computerizzata o simulazione virtuale utilizza immagini TAC per
determinare la distribuzione della dose di irradiazione sia a livello del bersaglio tumorale che
degli organi critici.
Si definiscono cinque volumi di interesse in relazione al trattamento radiante:
30

volume tumorale macroscopico (Gross Tumor Volume, GTV): volume che contiene
la sede e l’estensione della neoplasia microscopicamente documentata;

volume bersaglio clinico (Clinical Target Volume, CTV): volume che include il GTV
più le aree circostanti possibili sedi di infiltrazione microscopica. Il CTV
rappresenta il volume che deve ricevere la dose terapeutica per garantire
l’efficacia sia curativa che palliativa del trattamento radiante;

volume bersaglio pianificato (Planning Target Volume, PTV): volume che contiene
il GTV e il CTV con dei margini correlati alla geometria dell’irradiazione e a
possibili incertezze del trattamento dovute ai movimenti involontari degli organi e
del paziente o a errori nel posizionamento;

volume di trattamento (Treated Volume, TV): può essere maggiore del PTV, anche
se il rapporto ottimale TV/PTV dovrebbe essere uguale a 1, indicando, in questo
caso, una perfetta conformazione della dose intorno al PTV;

volume irradiato (Irradiated Volume, IV): volume di tessuto che riceve una dose
considerata significativa in relazione alla tolleranza all’irradiazione dei tessuti sani.
I sistemi di verifica durante il trattamento sono indispensabili per verificare e garantire
la riproducibilità del trattamento radiante nel tempo. In particolare, si controllano gli aspetti
del trattamento riguardanti i rapporti di posizione tra paziente e fascio radiante e i
modificatori del fascio quali le schermature. Questi sistemi devono essere usati durante la
seduta iniziale del trattamento per verificare la corretta irradiazione del volume bersaglio e
l’appropriata schermatura degli organi critici e, nel corso della terapia, per la riproducibilità
del trattamento e per ridurre l’incidenza degli errori di posizionamento dei campi di
trattamento.
4.3 EFFETTI COLLATERALI DELLA RADIOTERAPIA
La reazione dell’organismo alle radiazioni dipende da diversi fattori, tra cui la zona del
corpo trattata e il dosaggio delle radiazioni somministrate.
Gli effetti collaterali delle radiazioni includono:

irritazione o ustione della cute;
31

caduta dei capelli (alopecia) e dei peli;

irritazione oculare;

nausea e vomito;

mucosite;

bocca e gola secca;

faringite;

afonia;

disfagia;

perdita dell’appetito;

modificazione dell’olfatto;

disgeusia;

esofagite, gastrite con dispepsia;

stipsi o diarrea;

infiammazione dei muscoli del torace o delle spalle;

fatigue;

cistite;

proctite;

anemia, leucopenia, piastrinopenia.
Gli effetti locali della radioterapia si mostrano in correlazione al distretto corporeo
sottoposto all’irradiazione: la cute della regione irradiata appare irritata, secca e di
colorazione più scura; nel trattamento delle stazioni linfonodali, laterocervicali si può
verificare mucosite del cavo orale, dell’esofago e della trachea, con disfagia, secchezza delle
fauci, alterazione del gusto e tosse; l’irradiazione del capo-collo provoca sempre alopecia.
I disturbi generali più frequentemente riscontrati sono invece affaticabilità, nausea,
inappetenza e una diminuzione dei valori della crasi ematica.
32
BIBLIOGRAFIA
TESTI
1. Bonadonna G., Robustelli della Cuna G., Valagussa P. Medicina Oncologica. Settima
edizione. Masson, 2003.
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Perez CMD. Principles and practise of radiation oncology. St. Louis: JB Lippincott
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Italiana
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Disponibile
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http://www.radioterapiaitalia.it.htm. [Creazione: 2001] [Ultimo aggiornamento: 2003].
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Associazione Italiana contro le Leucemie- linfomi e mielosa ONLUS. Disponibile su:
http://www.ail.it.htm. [Creazione: 2003].
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6.
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Disponibile su: http://www.alcase.it.htm. [Creazione: 1998] [Ultimo aggiornamento: 2005].
Capitolo 5
34
35
PRESENTAZIONE DI UN CASO
Il signor C. M. di anni 79, affetto da diabete mellito tipo 2 ed ipertensione arteriosa, si
è presentato alla visita radioterapica con gli esami ed i relativi esiti sottoelencati, a causa
della comparsa nel novembre 2004 di adenopatia LTC dx e di una neoformazione del cavo
orale positiva per carcinoma squamoso.
Panendoscopia: lesione infiltrante sottomucosa del cavo orale dx che interessa il
palato molle della regione sovratonsillare dx, ad evoluzione sottomucosa, con area ulcerata
della mucosa orale (T2 N2 a cavo orale). Il cavo rinofaringeo appare indenne da lesioni, con
ipertrofia simmetrica del torus tubaricus bilateralmente. La laringe, l’ipofaringe e l’esofago
cervicale, fino a 30 centimetri dall’arcata dentaria superiore, appaiono indenni da lesioni.
Biopsie multiple ed esame istologico.
Referto istologico: aree di carcinoma squamoso scarsamente differenziato infiltrante
in lembi di mucosa orale. Biopsia eseguita su lesione infiltrante dello spessore dell’
emipalato molle di dx.
Rx torace: non lesioni pleuro-polmonari con carattere di attività. Ombra cardiaca
regolare. Deviazione a dx della trachea con marcata riduzione del lume, per compressione
estrinseca.
Tac collo + tac massiccio facciale: esame eseguito sia in condizioni basali, sia durante
infusione endovenosa di mezzo di contrasto iodato non ionico. A dx si rileva un ispessimento
della parete laterale dx del passaggio oro-ipofaringeo cui si associa un assottigliamento
dell’ostio tubarico. Omolateralmente in sede retro-sotto-angolo mandibolare, dal muscolo
sternocleidomastoideo, dalle ghiandole parotidi e sottomandibolari, dalla vena giugulare
interna che appare inglobata ed infiltrata e dalla biforcazione carotidea. Anteriormente a tale
lesione si rileva un linfonodo ovaliforme del diametro di 10 mm. La tiroide ha volume
notevolmente aumentato e struttura disomogenea in rapporto con struma plurinodulare: in
particolare prevale notevolmente il lobo sx che determina compressione e dislocazione a dx
del lume tracheale con discreta riduzione del diametro latero-laterale. Lo struma si affonda in
sede retrosternale circa 25 mm caudalmente al piano passante per il profilo superiore del
manubrio sternale, determinando impronta sui vasi mediastinici.
36
RM collo senza e con mdc + RM massiccio facciale senza e con mdc: l’indagine è
stata eseguita mediante scansioni T1 e T2 dipendenti orientate nei tre piani dello spazio e
completata con la somministrazione di mdc paramagnetico. In corrispondenza del cavo
orale, a livello del trigono retromolare di dx, si rileva un lieve ispessimento della mucosa,
esteso per un tratto di circa 1 cm, caratterizzato da ipointensità di segnale nelle scansioni T1
dipendenti, sfumata iperintensità di segnale nelle scansioni T2 dipendenti e disomogeneo
enhancement dopo somministrazione di mdc. A dx si conferma la presenza di un pacchetto
linfonodale già noto (25 x 26 mm). Tale lesione, a margini irregolari, appare indissociabile
dalla porzione anteriore del fascio vascolo-nervoso del collo e in particolare circonda a
manicotto la vena giugulare omolaterale che tuttavia appare pervia. Posteriormente è adeso
al muscolo sternocleidomastoideo.
Visita otorinolaringoiatria: in considerazione dell’estensione della malattia e dei
rapporti con l’asse vascolo-nervoso del collo, non si pongono indicazioni chirurgiche.
Diagnosi: carcinoma squamoso del
trigono retromolare dx cT2cN2a, IV stadio,
scarsamente differenziato, non operabile.
Visita radioterapica: a livello obiettivo si apprezza la lesione descritta nell’imaging ed è
palpabile un pacchetto adenopatico duro del diametro di circa 3 cm con iniziale fissità ai
piani sottostanti. Vi è indicazione a radioterapia con intento esclusivo. Dose: 70.2 Gy,
frazionamento della dose 1.8. Tecnica: CC + Barrage.
37
Capitolo 6
38
PERCORSO DEL PAZIENTE NEL CENTRO RADIOTERAPICO
Il primo contatto tra il paziente ed il centro radioterapico avviene con la prima visita,
chiamata consulto radioterapico, che si effettua presso il reparto di Radioterapia. Nel corso
di essa il radioterapista stabilisce la natura e l’estensione della malattia per definire la
possibilità e l’utilità di effettuare o meno un trattamento radiante, tracciandone
indicativamente anche le possibili modalità di esecuzione. Per questo motivo il radioterapista
raccoglie l’anamnesi prossima e remota ed effettua una visita sia generale che mirata alla
sede della malattia. Già qui si inserisce il ruolo dell’infermiere in quanto prepara il dossier
clinico del paziente e seleziona i referti degli esami utili per la visita. Il radioterapista, poi,
analizza i referti degli esami di laboratorio e degli accertamenti diagnostici e, se lo ritiene
necessario, ne richiede di nuovi allo scopo di completare le informazioni, tra cui la necessità
di eseguire una panoramica dentaria. Le modalità con cui il trattamento radioterapico viene
effettuato variano in funzione di tipo, dimensione e sede del bersaglio, delle condizioni
generali del paziente e della finalità curativa o palliativa del trattamento stesso. In questo
modo ogni persona può avere un piano di trattamento personalizzato. Allo scopo di ridurre gli
effetti collaterali della terapia radiante, la dose totale di radiazioni viene divisa in parti
frazionate che costituiscono nell’insieme il ciclo completo di trattamento. L’elaborazione del
piano di trattamento comprende il centraggio, ossia la demarcazione della dose da irradiare.
Viene eseguito per mezzo di una macchina detta “simulatore” proprio perché simula i
movimenti della macchina con cui verrà attuata la radioterapia, consentendo di calcolare la
posizione esatta del campo di irradiazione. Per garantire la giusta posizione durante ogni
sessione di trattamento viene utilizzato un sistema di immobilizzazione comprendente una
maschera termosensibile aderente al viso e al collo. Questa maschera è costituita da
materiale termoplastico che immerso in acqua calda permette, una volta appoggiata sulla
parte da irradiare, di prenderne la forma. In questo modo è possibile la riproduzione del
trattamento radioterapico. I segni di demarcazione potranno essere eseguiti su questa
impronta anziché sulla cute. La simulazione e la successiva terapia verranno eseguite
insieme al Fisico sanitario, il quale verifica il regolare funzionamento di tutte le
apparecchiature, e al Tecnico di radioterapia, responsabile dell’esecuzione del trattamento e
della realizzazione di dispositivi personalizzati per l’ottimizzazione del trattamento ( presidio
di immobilizzazione come la “maschera”).
39
Il radioterapista informa la segreteria del reparto, dove lavora il personale
amministrativo con il compito di gestire l’accettazione del paziente, di segnalare gli
appuntamenti per le visite di consulenza dietologica, odontostomatologica ed infermieristica,
di prenotare le sedute di trattamento, di consegnare le prenotazioni al paziente, ricordando la
necessità
di
portare
con
se
l’
RX
panoramica
arcate
dentarie,
per
la
visita
odontostomatologica.
Prima di iniziare il trattamento radiante il paziente, come prevenzione, effettua una
visita dall’odontostomatologo e dall’igienista dentale. Il primo valuta lo stato del cavo orale,
esegue interventi di bonifica dentaria e collabora con l’igienista in caso di complicanze.
L’igienista dentale invece, valuta l’igiene del cavo orale, utilizza scale di valutazione,
documenta i dati raccolti e attua una prevenzione mirata educando il paziente ad eseguire
una corretta igiene orale. Il paziente segue i protocolli di prevenzione e si presenta alle visite
di controllo, durante le quali verrà verificata l’aderenza della persona al progetto educativo e
l’insorgenza di complicanze, ad esempio mucosite.
Il paziente continua il suo percorso con una consulenza dietologica. Il dietista prende
informazioni sulla quantità e qualità di cibo che il paziente è solito mangiare, e pesa la
persona assistita in modo da valutare oggettivamente una perdita futura di peso corporeo.
Inoltre spiega gli effetti collaterali della radioterapia sulla capacità di mangiare e di bere,
sull’alterazione dei gusti e sull’importanza di mantenere uno stato nutrizionale adeguato ad
affrontare la terapia.
Al centro di questo percorso organizzativo è situata la figura dell’infermiere. Egli è il
legame tra i diversi operatori sanitari: comunica i nuovi pazienti all’igienista dentale,
all’odontostomatologo e al dietista, collabora con il medico, verifica l’adesione ai protocolli,
gestisce gli effetti collaterali in autonomia o in collaborazione con la figura specializzata, se
non possiede le competenze adeguate. Infine agisce anche nella sfera psicologica della
persona assistita. [14] [15]
Il medico radioterapista dopo aver visitato il signor C.M. e consultato tutta la
documentazione, decide di eseguire una radioterapia ad intento esclusivo. Spiega al
paziente e ai familiari lo scopo del trattamento, il numero delle sedute, gli effetti secondari
che potrebbe riportare; chiede di firmare il consenso informato all’esecuzione della
40
radioterapia ed inoltre mostra l’importanza di eseguire visite di prevenzione e di controllo da
parte di altri specialisti. Il radioterapista si mette in comunicazione con la segreteria del
reparto che prenoterà le consulenze necessarie e deciderà anche la data per la TC e la
simulazione. Stabilito il tipo di acceleratore da utilizzare (il 600) e la dose (70.2 GY),
confezionato il presidio di immobilizzazione (maschera) e individuati i punti di repere, non
resta che prendere appuntamento per l’inizio del trattamento.
Effettuata la presa in carico il paziente esegue una consulenza da parte
dell’odontostomatologo e dell’igienista dentale; in quanto, risulta necessaria e urgente
un’attività di prevenzione e di controllo dei denti, delle lesioni della mucosa orale, delle
cellule preneoplastiche e neoplastiche, del dolore e della qualità di vita correlati alla salute
del cavo orale. L’esperienza del dolore, la difficoltà a mangiare e la perdita dei denti hanno
una rilevanza sempre maggiore sulla qualità di vita, con implicazioni economiche, sociali,
psicologiche e funzionali. [ 7 ]
È epidemiologicamente evidente la positiva associazione tra le visite irregolari dal
dentista e la diagnosi di stato avanzato di carcinoma del cavo orale. A pazienti fumatori viene
diagnosticato il tumore ad uno stadio più avanzato rispetto ai non fumatori ed esiste anche
una correlazione tra il numero di sigarette fumate negli anni e l’incremento di uno sviluppo
della malattia. Una stima superiore al 90% ha riscontrato come fattori di rischio più comuni
del carcinoma del cavo orale, l’uso di tabacco associato a scarsa pulizia orale e prematura
perdita dei denti. [12]
Lo smalto dentario, lo strato più esterno del dente, è formato per il 96% da minerali e
per il 4% da sostanze organiche ed acqua. La dissoluzione della parte minerale è chiamata
demineralizzazione, la sua formazione remineralizzazione. In una bocca sana questi due
processi si bilanciano. I termini “bocca sana” sono le parole chiave che guidano tutto il
trattamento radioterapico. Data l’impossibilità di sottoporsi a cure odontoiatriche a causa
dell’osteonecrosi provocata dalla radioterapia, al paziente viene eseguita come prevenzione
una bonifica dentale e un’accurata igiene del cavo orale. Inoltre viene educato ad eseguire
autonomamente ed in modo corretto una buona igiene orale. Al paziente si effettua anche
uno schema di fluoroprofilassi, che consiste nella prevenzione della carie dentaria attraverso
l’utilizzo del fluoro, un minerale che favorisce la formazione di uno smalto più resistente
all’attacco acido della placca batterica. L’uso del fluoro nelle pratiche igieniche del cavo orale
41
quotidiane riduce l’insorgenza della carie. Dentifricio al fluoro, acqua fluoridata, gel e placche
al fluoro prevengono la carie dentale. [ 7 ], [ 13 ]. Un nuovo dentifricio al fluoro e al sodio
permette di ridurre anche l’ipersensibilità, attraverso un effetto desensibilizzante già alla
quarta settimana di utilizzo, con una diminuzione del 71% della sensibilità dentale all’ottava
settimana. [ 1 ]. Nella saliva, sulla lingua e negli spazi sopragengivari e sottogengivari si
sviluppano batteri, un esempio è lo Streptococcus mutans, la cui crescita può essere
prevenuta con l’utilizzo di antisettici, come la clorexidina, insieme all’usuale uso di dentifricio
[ 5].
Dopo aver documentato gli interventi eseguiti si stabiliscono con il paziente le visite
periodiche di controllo durante le quali verrà valutata l’adesione al protocollo di igiene orale e
l’insorgenza di complicanze da radioterapia, ad esempio mucosite e xerostomia. La
sensazione soggettiva e oggettiva di “bocca secca” è significativamente associata al binomio
salute orale e qualità di vita, dando valore alla sua monitorizzazione. Ogni valutazione viene
eseguita con scale e con documentazione appropriata [ 4].
Il paziente durante il trattamento radioterapico ha presentato mucosite oro-faringea
G2-G3 (scala WHO) a chiazze confluenti e ulcerazioni, e xerostomia G1-G2 (scala Common
Criteria For Adverse Events CTCAE).
SCALA WHO
GRADO 1
Focali cambiamenti tessutali, eritema
a chiazze, alimentazione normale.
Focali cambiamenti tessutali, eritema
GRADO 2
e piccole ulcere <2mm, dolore lieve,
alimentazione normale.
Moderati
cambiamenti
tessutali,
eritema e ulcere per circa la metà
GRADO 3
della
mucosa,
42
dolore
moderato,
alimentazione difficoltosa.
Marcati
cambiamenti
tessutali,
eritema e ulcere per quasi la totalità
GRADO 4
della
mucosa,
dolore
marcato,
alimentazione impossibile.
CTCAE XEROSTOMIA
Sintomatico
GRADO 1
senza
significativa
alterazione nell’alimentazione, flusso
saliva >0.2 ml/min.
Sintomatico
alterazione
GRADO 2
e
della
significativa
capacità
di
assorbimento orale, flusso saliva tra
0.1 a 0.2 ml/min.
Incapacità di alimentarsi oralmente
GRADO 3
in modo adeguato, si consiglia NPT,
flusso saliva <0.1 ml/min.
La difficoltà per i professionisti dentali a controllare le lesioni neoplastiche, consiste
nel differente sviluppo di esse in base all’età e al sesso della persona, ed inoltre non si può
sottovalutare la possibilità di insorgenza di lesioni rare. [ 6].
43
Hanno importanza sia il comportamento del professionista sia le aspettative e le
credenze del paziente; quindi, fornire informazioni cliniche concentrandosi sullo stato d’ansia
del paziente più che sulla usuale pratica clinica, comporta un beneficio psicologico per la
persona assistita. [ 11].
Gli effetti collaterali della radioterapia compaiono dopo due settimane di trattamento e
possono essere temporanei o permanenti. Alcuni effetti secondari come xerostomia,
disgeusia, mucosite, disturbo della deglutizione, fatigue e dolore possono modificare l’introito
alimentare e, per questo, la perdita di peso è un evento che assume l’importanza di essere
affrontato attraverso una visita dietologica specifica.
Il dietista spiega al paziente come un accettabile stato nutrizionale consente di
ricevere le terapie pianificate senza o con poche complicanze, di stimolare la funzione
immunitaria, di migliorare le sue condizioni fisiche e, quindi, qualità di vita. A tal fine elenca
le principali conseguenze legate a questo stato di malnutrizione che il paziente oncologico si
trova a dover affrontare:

calo di peso corporeo involontario e progressivo;

disgregazione muscolare con deplezione della massa magra;

alterazione della qualità di vita in termini fisici e psichici;

anemia;

ridotta tolleranza e risposta ai trattamenti oncologici;

aumento delle complicanze infettive;

alterazione della immunocompetenza;

aumento generale della morbilità;

necessità di ricovero;

prolungamento delle visite specialistiche;

prognosi sfavorevole a distanza.
44
Poi approfondisce i fattori legati al “mangiar meno” spiegando la loro interdipendenza
con la malattia e con il trattamento oncologico specifico:
- effetti locali provocati dal tumore: odinofagia, disfagia, ostruzione gastrointestinale,
sazietà precoce;
- effetti collaterali legati alla malattia e al trattamento oncologico: anoressia,
alterazione del gusto e dell’olfatto, nausea, vomito, dolore;
- effetti psicologici quali paura, depressione e ansia.
Il fabbisogno nutrizionale necessario ad un paziente oncologico è differente da quello
di una persona sana. L’ipermetabolismo, le alterazioni delle funzioni organiche e
l’assunzione dei farmaci sono tra i fattori che influiscono sul metabolismo dei pazienti o
inducono malnutrizione. [ 16 ]
La responsabilità della perdita di peso è attribuita oggi all’attivazione di processi
infiammatori e alla produzione di una sostanza da parte delle cellule neoplastiche, chiamata
Proteolysis Inducing Factor (PIF). Tale fattore toglie aminoacidi al muscolo per fornirli al
tumore. Quest’azione può essere contrastata mediante trattamento con un integratore
proteico-calorico arricchito con l’acido eicosapentaenoico (EPA), una sostanza estratta
dall’olio di pesce. A questo acido grasso omega-3 è riconosciuta un’ampia azione
antinfiammatoria e una funzione immunomodulatrice. L’assunzione di cibo arricchito da acidi
grassi non altera la risposta infiammatoria e immunitaria dell’organismo, ma
aiuta a
mantenere una buona difesa immunitaria. [ 8 ] [9] [17].
Tenendo conto del principio fondamentale della medicina “primum non nocere”, ci
sono ragioni per credere che il consumo di antiossidanti durante il trattamento radioterapico
del capo-collo, può essere dannoso [2]. Un incremento statisticamente significativo
nell’assunzione di antiossidanti aumenta il rischio di tumore secondario durante i primi 3- 5
anni. Il rischio diminuisce se non vengono più assunti e, dopo 8 anni, non hanno più
influenza come fattore di rischio. [ 3 ]
Anche il dietista prenota con la persona assistita visite di controllo periodiche, durante
le quali il paziente si peserà, per avere una curva oggettiva del peso corporeo, elencherà gli
introiti alimentari, quantità e qualità, assunti in una giornata tipo, specificando la comparsa di
effetti collaterali e l’impatto che questi hanno sulla capacità nutrizionale. Il dietista fornisce
45
consigli sulla preparazione dei pasti o consiglia alimenti sostitutivi o prescrive diete
personalizzate.
Il paziente ha sviluppato disfagia, mucosite e xerostomia, valutate e trattate durante le
visite di controllo settimanali. Il dietista ha prescritto dieta semiliquida ed integratori
alimentari.
ASPETTO PSICO-SOCIALE
Il calo di peso in conseguenza del tumore e/o del trattamento radioterapico, ricorda
alla persona affetta la gravità della sua malattia; in quanto, l’immagine di se stesso
elaborata nella mente non coincide con quella riflessa nello specchio. Problema legato al
cambiamento fisico è il rapporto con il partner, con i familiari e con gli amici. La situazione di
disagio nella difficoltà a consumare un pasto completo, porterà anche alla perdita del piacere
di mangiare in compagnia e dello stare insieme. Uno studio sugli acidi grassi omega-3, in
particolare sull’estere etilico dell’acido eicosapentaenoico (E-EPA), ha cercato un legame
con il disordine depressivo unipolare. È stato dimostrato un effetto dell’ E-EPA già dalle
prime due settimane di trattamento, tempo analogo a quello trascorso per l’efficacia della
terapia antidepressiva. Questa analisi mostra che l’E-EPA ha un effetto su alcuni sintomi
della depressione, tra cui umore basso, sensi di colpa, inutilità ed insonnia. Nel gruppo che
ha assunto placebo è significativo il
basso tasso di miglioramento e l’elevato rischio al
raggiungimento del livello di resistenza alla terapia antidepressiva standard. Questo studio è
un grande inizio e uno stimolo alla replicazione dello stesso ad un gruppo di persone sempre
più ampio, riuscendo a tener anche conto dei sottotipi che caratterizzano la depressione. [ 10
]
L’aspetto psicologico del paziente neoplastico è senz’altro un lato arduo da affrontare.
Lo stato funzionale deteriorato e gli effetti collaterali della terapia colpiscono violentemente lo
stato psicologico della persona affetta da carcinoma del cavo orale. Per questo motivo
interagisce anche un’altra figura, l’infermiere, il quale fornisce assistenza empatica in
relazione alla patologia e alla persona assistita. Quando l’infermiere si accorge dei suoi limiti
o quando il disagio del paziente supera le sue potenzialità, segnala la persona assistita ad
uno specialista per una consulenza. [7].
46
IL CONSENSO INFORMATO
Nel nostro ordinamento giuridico vige il principio della volontarietà del trattamento
sanitario. In primo luogo, l’art. 32 della Costituzione della Repubblica stabilisce che nessuno
può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di
legge e, anche in quel caso, comunque la legge non può in alcun modo violare i limiti imposti
dal rispetto della persona umana. Il “consenso”, per essere validamente prestato, deve
essere “informato”. Il medico e l’infermiere hanno il dovere di informare e il paziente ha il
diritto di scegliere se essere informato o meno. I caratteri essenziali dell’informazione sono:
onestà, cioè deve essere effettuata con chiarezza di linguaggio ed essenzialità di contenuti;
verità, cioè non deve nascondere né complicanze né speranze; completezza, il contenuto
deve avere per oggetto i dati essenziali. Il consenso informato deve essere “attuale” e
“reale”. Di fronte ad un “rifiuto autentico” nessun potere può imporre tale trattamento.
L’infermiere si deve misurare con il principio del consenso informato in una duplice veste:

da professionista che agisce autonomamente, in uno spazio di competenza e
di attribuzioni a lui riconosciute;

da professionista che agisce come collaboratore con il medico sul progetto
diagnostico-terapeutico. [28].
RAPPORTO INFERMIERE-PAZIENTE
Esso è caratterizzato da:

presa in carico del paziente;

controllo delle informazioni recepite;

compilazione della cartella infermieristica;

creazione di percorsi assistenziali fornendo i protocolli necessari;

educazione sulla prevenzione degli effetti collaterali della radioterapia.
47
Al momento della presa in carico l’infermiere spiega al paziente l’importanza di
mantenere la zona da irradiare sempre ben pulita. Educa il paziente ad eseguire degli
impacchi con un asciugamano di spugna bagnato in acqua fredda, mantenuto per 5’,
ripetendo l’operazione per altre due volte, una sola volta al giorno.
In seguito applicare, senza massaggiare per non danneggiare la cute, uno strato di
crema due volte al giorno, facendo attenzione a rimuoverla prima della seduta di trattamento.
Inoltre l’infermiere informa il paziente che appena vede la cute cambiare colore o
aspetto di contattare per una consulenza, anche al di fuori della visita settimanale di
controllo. [27].
Per quanto riguarda gli interventi specifici l’infermiere fornisce supporto tecnico
professionale al medico durante esami, visite, emergenza e interventi,
supporto in continuità di cure seguendo i problemi clinici ed emotivi nel tempo, somministra
terapie, con prescrizione medica, effettua medicazioni ed educa il paziente a gestire gli effetti
secondari del trattamento. L’infermiere controlla periodicamente i pazienti con lo scopo di
promuovere l’utilizzo dei protocolli forniti e, di conseguenza, ridurre la gravità di complicazioni
del cavo orale [19].
La mucosite orofaringea da radioterapia per carcinoma orale, produce effetti sia
localizzati sia generali in relazione alla gravità della mucosa danneggiata. La mucosite è
valutata dall’infermiere sia da un punto di vista anatomico-clinico, cioè segnala frequenza,
sede, grado (scala di valutazione WHO); sia rispetto all’impatto che essa ha sulla vita
quotidiana. In particolare viene controllato lo stato funzionale (qualità di vita correlata ai
sintomi) e lo stato nutrizionale (perdita di peso e compromissione della capacità di mangiare
e bere). Il trattamento delle lesioni orali è multidisciplinare, in quanto lavorano insieme
infermieri, medici e specialisti dentali.
Oggetti non monouso sono fonte di trasmissione di patogeni tra un paziente e l’altro.
Prevenire le infezioni nosocomiali è un altro aspetto di cui si occupa l’infermiere. L’utilizzo di
un singolo prodotto specifico per la pulizia e/o disinfezione può non essere sufficiente. L’uso
di un prodotto rispetto ad un altro prende in considerazione diversi fattori: la capacità di
uccidere i patogeni, la superficie trattata, il costo, la sicurezza, la concentrazione e la facilità
48
di utilizzo. Selezionare un prodotto che abbia un grande potere disinfettante da poter
utilizzare in tutte le situazioni, potrebbe essere più vantaggioso [22].
La cute trattata con radioterapia è soggetta ad ustioni. Queste lesioni possono partire
da uno stadio iniziale come l’eritema caratterizzato da cute arrossata, calda e irritabile ed
evolversi in edema, desquamazione e infine ulcerazione. L’infermiere medica la lesione ed
educa il paziente a gestirla correttamente. Insegna a lavare la parte ustionata con movimenti
delicati utilizzando un sapone a pH neutro, ad asciugare la cute tamponando con un
asciugamano morbido e ad utilizzare per la rasatura della barba un rasoio elettrico [8].
La medicazione viene eseguita dall’infermiere in modo da valutarne il decorso. Applica
a scopo terapeutico medicamenti a base di calendula, una pianta erbacea, utilizzabile su
cute secca, arrossata, ustionata, contusa, eritematosa, infiammata, poiché esercita un
effetto addolcente, decongestionante e idratante. Tende ad equilibrare l’idratazione della
cute, e ad agire come cicatrizzante, lenitivo e rinfrescante. Sempre per la cura della cute
ustionata l’infermiere utilizza anche solfadiazina argentica (“sofargen”) crema o frumento
estratto fenossetolo (“fitostimoline”) garze o crema. [10].
DECORSO DEL PAZIENTE PRESO IN ESAME
Il paziente ha sviluppato eritema cutaneo durante il trattamento radioterapico,
medicato con crema a base di calendula e solfadiazina argentica (“sofargen”), previa
detersione.
Altro effetto secondario che ha sviluppato il paziente e che richiede un approccio
multidisciplinare, è la xerostomia che viene controllata dal dietista per la difficoltà che
provoca alla nutrizione e dall’infermiere insieme al medico, per una sua valutazione e per la
terapia associata.
Uno studio ha confermato una grande efficacia della pilocarpina cloridrato come
possibile trattamento, con un utilizzo di tre volte al giorno, per dieci settimane, ad una dose di
15 mg al giorno.
49
Gli effetti prodotti sono un incremento nella produzione di saliva, un miglioramento del
gusto, una minore difficoltà a deglutire e a parlare e, di conseguenza, una riduzione di
idratazione artificiale della mucosa orale. Inoltre la dose giornaliera è ben tollerata con pochi
effetti collaterali, i quali non sono causa d’interruzione del trattamento [11].
Gli effetti collaterali da radioterapia sono comparsi dopo due settimane dall’inizio del
trattamento, con un miglioramento dopo circa dieci giorni di valutazione e di cura con
controlli giornalieri e poi settimanali. Il paziente ha terminato la radioterapia con un’ustione
cutanea sul collo, mucosite G1 (scala WHO) e xerostomia G1 (scala CTCAE).
Perché non suggerire una comunicazione elettronica tramite
e-mail? Questo non
comporterebbe una diminuzione delle visite di controllo con ricadute sull’assistenza al
paziente, ma implementerebbe la cura per la presenza di una comunicazione continua. La
persona assistita potrebbe avere documentazioni, protocolli, schede o potrebbe chiedere
informazioni senza doversi recare al reparto di Radioterapia, che spesso è lontano da casa.
La possibilità di offrire “aiuto” in forma elettronica non deve essere visto come una
disuguaglianza per coloro che non sono capaci ad usare le tecnologie moderne, ma
semplicemente come stimolo all’adattamento alla società moderna che diventa sempre più
tecnologica [9] [16].
L’INFERMIERE: ANELLO DI CONGIUNZIONE TRA I VARI PROFESSIONISTI
L’infermiere risulta essere l’anello di congiunzione tra i vari specialisti. Questa
definizione significa avere la capacità di saper lavorare con tutti i professionisti utilizzando la
“formazione di base” – acquisita con l’università - come inizio sulla quale costruire il futuro
della professione.
Ogni decisione scaturisce dalla formazione di una domanda clinica focalizzata in
risposta ad un bisogno riconosciuto. Cercare l’evidenza più adatta, incorporare l’evidenza in
una strategia d’azione, valutare gli effetti dell’azione; queste sono le componenti importanti
nel prendere una decisione basata sulle evidenze scientifiche o meglio sulla letteratura. Le
50
fonti utili non sono più solo quelle “umane” dei colleghi, ma soprattutto la ricerca sarà un
prezioso modello da utilizzare per il passaggio di conoscenze [12].
Il comportamento etico-professionale dell’infermiere è soggetto a norme che hanno lo
scopo di guidare e di controllare come egli vive la specificità del prendersi cura della persona
in situazione di bisogno sanitario. Per lo svolgimento delle sue funzioni gli viene richiesta una
responsabilità competente, autonoma e decisionale, che necessita di un alto grado di
maturità professionale e personale. È una responsabilità complessa e degna di una
professione che gestisce il bene “salute” delle persone in tutti i campi del vivere umano.
PROFILO PROFESSIONALE DELL’INFERMIERE
D.M.
739/1994
1. l’infermiere è responsabile dell’assistenza generale infermieristica.
2. l’infermiere: a) partecipa all’identificazione dei bisogni di salute della persona e
della collettività; c) pianifica, gestisce e valuta l’intervento assistenziale
infermieristico.
CODICE DEONTOLOGICO
1999
3.1 L’infermiere aggiorna le proprie conoscenze attraverso la formazione permanente,
la riflessione critica sull’esperienza e la ricerca, al fine di migliorare la sua
competenza. L’infermiere fonda il proprio operato su conoscenze validate ed
aggiornate …. cura la diffusione dei risultati al fine di migliorare l’assistenza
infermieristica.
51
4.2 L’infermiere ascolta, informa, coinvolge la persona e valuta con la stessa i bisogni
assistenziali, anche al fine di …. consentire all’assistito di esprimere le proprie scelte.
4.4 L’infermiere ha il dovere di essere informato sul progetto diagnostico terapeutico,
per le influenze che questo ha sul piano di assistenza e la relazione con la persona.
4.5 L’infermiere …. garantisce le informazioni relative al piano di assistenza ed
adegua il livello di comunicazione alla capacità del paziente di comprendere…..
riconosce alla persona il diritto alla scelta di non essere informato.
FORMAZIONE UNIVERSITARIA
D.M. 509/1999
I laureati in infermieristica partecipano all’identificazione dei bisogni di salute della
persona e collettività e formulano i relativi obiettivi; pianificano, gestiscono e valutano
l’intervento assistenziale infermieristico; garantiscono la corretta applicazione delle
prescrizioni
diagnostico-terapeutiche;
agiscono
sia
individualmente
che
in
collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali…… concorrono direttamente
all’aggiornamento relativo al loro profilo professionale e alla ricerca.
52
BIBLIOGRAFIA
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SITI INTERNET
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24. www.geocities.com
25. www.nutrizioneoncologia.it [Ultimo aggiornamento 2006].
26. www.gut.it. [Ultimo aggiornamento 2006].
ATTI DI CONVEGNO
27. VII Congresso Nazionale AIOM. Napoli; 18-21/10/2005.
NORMATIVA
28. Art. 4.4 e 4.5 Codice Deontologico degli Infermieri.
56
Capitolo 7
57
QUALITA’ DI VITA
Fino a non molti anni fa, il rapporto tra medico e paziente è stato caratterizzato da una
situazione di totale dipendenza del paziente, che si affidava passivamente al medico il quale
decideva e “imponeva” le cure. Questo tipo di rapporto aveva le sue radici agli albori della
civiltà, quando il processo di cura era rivestito da un’aura di magia e di mistero. L’antenato
del medico era infatti lo stregone o sciamano, che utilizzava nel curare il paziente, oltre ai
rimedi derivanti dall’osservazione della natura, come le pianti medicinali, anche le forze
derivanti da un suo “rapporto privilegiato” con il mondo soprannaturale.
Tutto questo ha subito una profonda rivoluzione. Si è andato affermando il concetto di
un paziente non più oggetto passivo delle cure, ma protagonista del processo di cura. Si è
riconosciuto al paziente non solo il diritto di sapere i vantaggi e svantaggi delle possibili
opzioni diagnostiche e terapeutiche, ma anche di partecipare al processo di decisione sul
tipo di indagini da eseguire e di cura da adottare, e anche il diritto di rifiutare di sottoporvisi.
Questo principio di non obbligatorietà della cura è stato anche sancito in legge.
Per poter partecipare al processo di decisione il paziente deve conoscere vantaggi e
svantaggi dei diversi metodi di diagnosi e di cura. Di qui la necessità di informare il paziente,
ad ogni tappa del processo diagnostico-terapeutico, circa i benefici attesi da un esame o da
una terapia, ma anche circa i rischi a questi connessi, in modo che il paziente possa, in
piena libertà, decidere se accettare o rifiutare la procedura diagnostica o la terapia che il
medico gli propone. Questo orientamento trova espressione sintetica nel cosiddetto
“consenso informato”: prima di intraprendere un accertamento diagnostico invasivo o una
terapia, il medico è tenuto a spiegare al paziente di che cosa si tratta. Al termine del
processo di spiegazione, medico e paziente firmano congiuntamente un modulo che attesta
che il medico ha dato le spiegazioni richieste e che il paziente ha capito e ha dato il proprio
consenso all’esecuzione dell’atto.
Il considerare il paziente non più come oggetto delle terapie ma come soggetto attivo
nel processo di cura, ha come conseguenza che il risultato non va più valutato solo sulla
base della normalizzazione degli esami e dei sintomi o del prolungamento della
sopravvivenza, ma anche “dal punto di vista del paziente”, cioè tenendo presente l’effetto
che la malattia e le cure hanno sul paziente inteso come individuo inserito in un contesto
58
sociale e culturale, con bisogni, aspirazioni, relazioni umane ed affettive. Emerge la
necessità di valutare l’impatto che la malattia e le cure hanno sulla qualità di vita del
paziente.
7.1 CHE COSA E’ LA QUALITA’ DI VITA
Il concetto di qualità di vita è molto antico. Epicuro nel IV secolo a.C. scrisse: ”una
salda conoscenza dei bisogni inclina a ricondurre ogni assenso o diniego al benessere del
corpo ed alla piena serenità dell’animo, poiché questo è il fine della vita felice. A questo fine
noi rivolgiamo ogni nostra azione, per allontanarci dalla sofferenza e dall’apprensione”.
Nonostante questo, il concetto di qualità di vita come entità misurabile è relativamente
recente. Una definizione dell’OMS del 1948 dice: ”qualità di vita è la percezione soggettiva
che un individuo ha della propria posizione nella vita, nel contesto di una cultura e di un
insieme di valori nei quali egli vive, anche in relazione ai propri obiettivi, aspettative e
preoccupazioni”. La qualità di vita può essere descritta da una serie di aree o dimensioni
della esperienza umana che riguardano non solo le condizioni fisiche e i sintomi, ma anche
la capacità di un individuo di funzionare, dal punto di vista fisico, sociale, psicologico e di
trarre soddisfazione da quanto fa, in rapporto sia alle proprie aspettative che alla propria
capacità di realizzare ciò che desidera.
Per gli usi medici è stato introdotto il concetto di “qualità di vita correlata alla salute”,
definita come “l’insieme degli aspetti qualitativi della vita dell’individuo correlabili ai domini
della malattia e della salute, e pertanto modificabili dalla medicina”. A sua volta la definizione
di Salute data dall’OMS è: ”completo benessere fisico, psicologico e sociale e non solamente
di assenza di malattia”.
Qualità di vita è un concetto multidimensionale che descrive la soddisfazione
complessiva rispetto alla propria vita e che può essere a sua volta declinato in varie
componenti quali lo stato di salute e le capacità funzionali, la situazione psicologica e il
benessere, le interazioni sociali, la situazione economica, la realizzazione professionale, la
dimensione spirituale e religiosa.
La misurazione della qualità della vita può avere importanti applicazioni. Innanzitutto,
indipendentemente dalle terapie, essa può aiutare a valutare l’impatto della malattia nella
59
sensazione soggettiva di benessere dei pazienti. Inoltre essa può aiutare a valutare
l’efficacia di una strategia terapeutica nei Trials Randomizzati e Controllati. In questi studi la
misurazione della qualità di vita inserisce una nuova dimensione nella valutazione
dell’efficacia dei trattamenti, e può essere molto utile del decidere quale tra due terapie di
pari efficacia risulti meno sgradevole per il paziente. Lo stesso discorso può essere fatto per
la valutazione dell’efficienza di una terapia nell’applicazione quotidiana. Ancora, essa può
fornire informazioni utili a medici e pazienti circa la prognosi di una malattia e soprattutto
sull’esito atteso di una terapia. Infine, essa può entrare in maniera decisiva nella valutazione
del rapporto costo/efficacia di una terapia.
7.2 COME E QUANDO MISURARE LA QUALITA’ DI VITA
La qualità di vita è un insieme di immagini e di percezioni mentali che, in quanto tali,
non può essere rilevato direttamente. Inoltre, per definizione, essa è soggettiva e quindi la
sua valutazione richiede domande dirette al paziente e una scala di valutazione oggettiva, la
più usata è il fact an. Vengono analizzate le diverse dimensioni o aree dell’esperienza
umana connesse allo stato funzionale del soggetto, esaminato sotto diversi profili (fisico, di
ruolo, cognitivo, emozionale, sociale e sessuale). Lo scopo è valutare sia lo stato generale
del paziente, sia più specificamente i disturbi o le limitazioni che il paziente può subire a
causa di una particolare malattia.
La qualità di vita è un parametro da valutare in modo continuo: primo incontro con il
paziente, prima di eseguire accertamenti diagnostici o terapie, dopo gli interventi e ogni volta
che si verificano modificazioni delle condizioni cliniche del paziente.
7.3 A CHE PUNTO SIAMO E QUALE SARA’ IL FUTURO
La misurazione della qualità di vita in medicina è una disciplina relativamente giovane.
In tutti i Paesi gli sforzi si sono finora concentrati nel definire la metodologia per lo sviluppo
degli strumenti di misura adatti alle più varie condizioni patologiche.
60
La prossima tappa sarà l’applicazione sistematica della misurazione della qualità di
vita come complemento della valutazione dell’impatto delle malattie sull’individuo, e
dell’effetto delle diverse terapie.
Il passo successivo sarà l’utilizzo della misurazione della qualità di vita come elemento
essenziale nella valutazione della utilità clinica delle terapie. In quest’ottica la qualità di vita
rappresenterà probabilmente un ruolo importante nella valutazione del rapporto costobeneficio delle terapie, e verrà utilizzata alla scopo di definire la rimborsabilità o meno di una
terapia da parte dello Stato o degli Enti assicurativi.
61
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aggiornamento: 2006].
5. http://www.aimac.it.htm. [Ultimo aggiornamento:2006].
62
Capitolo 8
63
LA FATIGUE
La fatigue è l’insieme di sintomi fisici e psichici tra i più debilitanti e meno trattati nei
malati di cancro. Se si pensa che ne soffre fino al 90% dei malati oncologici, si può parlare di
una vera e propria “malattia nella malattia”, che spesso può persistere anche dopo la fine del
trattamento. La fatigue influisce pesantemente sulla vita di ogni giorno. E’ il sintomo che
condiziona maggiormente la vita, che costringe a modificare le abitudini lavorative, e può
persino creare difficoltà ad accudire la famiglia. La fatigue interferisce quindi sulle attività
fisiche, mentali, emotive e anche lavorative. Eppure, nonostante la fatigue sia una delle
manifestazioni più invalidante e con il maggior impatto sulla qualità della vita, sono pochi i
pazienti che riferiscono i sintomi di astenia, debolezza, dolori muscolari, inappetenza, ansia,
stress, anemia e depressione, che sono le manifestazioni più caratterizzanti di questa
sindrome. Le persone, non essendo tali sintomi ben definiti e costanti, come, invece, ad
esempio il dolore o la nausea e il vomito, tendono a non esporli, ritenendo che siano parte
ineluttabile e incurabile della malattia.
La fatigue può invece essere curata, ma è indispensabile che il malato collabori
raccontando come l’insorgenza dell’affaticamento abbia modificato le proprie abitudini di vita
e quali attività non riesca più a svolgere come prima.
In considerazione dell’importanza che ha lo stato emotivo nella molteplicità di
manifestazioni della fatigue, anche un sostegno psicologico può risultare di particolare aiuto.
Il miglior approccio per la cura della fatigue è sicuramente quello “olistico”, basato
sulla persona nella sua globalità.
8.1 CHE COSA E’ LA FATIGUE
64
La fatigue (termine inglese che significa astenia, stanchezza) può essere considerata
come parte integrante della sintomatologia causata dal tumore, come effetto collaterale delle
terapie oncologiche, oppure come espressione di uno stato depressivo.
La fatigue può essere acuta e cronica:

fatigue acuta: i meccanismi di recupero conservano tutta la loro efficacia,
permettendo quindi all’organismo di riacquistare le forze, per mezzo di un
adeguato periodo di riposo e/o reintegrando i supporti energetici consumati;

fatigue cronica: il paziente non riesce a recuperare un adeguato livello
energetico neppure dopo un prolungato periodo di riposo e/o una terapia di
supporto.
Le persone che provano fatigue non hanno energia e trovano difficoltoso compiere
quelle semplici attività quotidiane che di norma svolgono senza difficoltà, impedimento o
preoccupazione.
Gli aggettivi più comunemente usati dai pazienti per descrivere come si sentono sono:
svogliato, prostrato, debole, lento, confuso, scoraggiato, apatico, stanco, trascurato, pigro,
fiacco, indifferente, abbattuto, sfinito, esausto, esaurito, a terra. La fatigue è, dunque, una
sensazione soggettiva e per tale motivo è ancor difficile inquadrare il fenomeno. Tali
descrizioni ben evidenziano la variabilità dei disturbi lamentati e la soggettività della
sindrome: la fatigue è, infatti, fondamentalmente un fenomeno multidimensionale che si
sviluppa nel tempo, riduce i livelli di energia, le capacità mentali e lo stato psicologico dei
pazienti.
8.2
LE CAUSE DELLA FATIGUE
Molte sono le cause che provocano la fatigue nei malati di cancro. Alla base possono
essersi disordini del metabolismo, infezioni e anemia, cui si sovrappongo fattori psicologici
quali le inevitabili paure che la diagnosi di cancro porta con sé. Altre cause che provocano
65
fatigue sono i trattamenti oncologici, i dolori di varia natura, i problemi alimentari e i disturbi
del sonno.
L’anemia è una delle principali cause di fatigue ed è un problema molto comune nel
paziente oncologico. La sua correzione, anche di lieve entità, può determinare un
miglioramento della qualità di vita. L’anemia può verificarsi o a seguito di emorragie,
ulcerazioni con perdita di sangue e/o ridotta sintesi di emoglobina. Se il livello
dell’emoglobina scende al di sotto del valore 11-12 g/dl, il senso di stanchezza aumenta e
incide molto sulla qualità della vita.
L’anemia si può curare con:

l’eritropoietina: un ormone naturale che stimola la produzione di globuli rossi
nel midollo osseo;

la trasfusione di sangue: riversa i globuli rossi direttamente nella corrente
sanguigna per via venosa e in tal modo ne innalza rapidamente il numero. Si
ricorre alle emotrasfusioni quando l’anemia è molto grave.
La fatigue è un sintomo comune in tutte le principali modalità di trattamento
antineoplastico: interventi chirurgici, chemioterapia, radioterapia, terapia ormonale, terapia
immunologica. Chemioterapia e radioterapia possono causare fatigue fin dal primo giorno di
terapia. In generale, nella chemioterapia la fatigue è correlata al tipo e alla combinazione di
farmaci utilizzati ed alla modalità di somministrazione, mentre nella radioterapia
all’estensione della area irradiata. Il normale livello di energia si ripristina da sei mesi ad un
anno dopo la fine dei trattamenti, benché alcuni pazienti continuino ad avvertire stanchezza
anche uno o due anni dopo i trattamenti.
8.3
GLI EFFETTI DELLA FATIGUE
Un’adeguata considerazione della fatigue non può limitarsi alla semplice stima della
sua presenza e severità, ma deve evidenziare gli effetti che ha sulla qualità della vita. La
fatigue può influire sul modo di pensare e di sentire: ci si accorge di non riuscire a
66
concentrarsi non soltanto sul lavoro, ma anche nelle normali attività della vita quotidiana (es.
anche leggere o guardare la televisione possono risultare troppo faticose).
La fatigue può ripercuotersi anche sulle relazioni interpersonali, con familiari ed amici,
perché la vita di relazione sembra richiedere troppo sforzo.
La percezione della fatigue è soggettiva: alcuni pazienti avvertono un senso di
stanchezza molto lieve che non interferisce con le attività della vita quotidiana, per altri,
invece, le conseguenze sono molto pesanti.
Alcuni degli effetti della fatigue più comunemente riferiti dai pazienti sono:

difficoltà a compiere le normali attività quali cucinare, rifare il letto, fare la
doccia, pettinarsi, ecc.;

non avere la forza di fare nulla, sentirsi completamente svuotato di ogni
energia;

difficoltà a concentrarsi e prestare attenzione, a parlare e a prendere decisioni;

difficoltà a ricordare le cose;

sensazione di vertigini o di avere la testa vuota;

disturbi del sonno;

perdita del desiderio sessuale;

tendenza alla facile commozione.
La percezione della fatigue è soggettiva e varia da paziente a paziente. Per descrivere
la fatigue nel modo più preciso possibile vengono utilizzate scale di valutazione: le più usate
sono la Scala Analogica Visiva (VAS), la Class, il Fact an e la Scala Numerica di cui segue la
rappresentazione.
1
2
3
4
Nessuna fatigue
5
Il massimo di fatigue
67
Ove 1 = nessuna fatigue; 2 = fatigue lieve (essere in grado di svolgere le normali attività); 3 =
fatigue moderata (essere in grado di svolgere qualche attività, ma dovendo riposare); 4 =
fatigue severa (difficoltà a camminare o a svolgere attività come cucinare o fare la spesa); 5
= massimo livello di fatigue (bisogno di dormire o riposare per tutto il giorno).
68
BIBLIOGRAFIA
TESTI
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70
www
Capitolo 9
71
IL DOLORE ONCOLOGICO
Il dolore nelle malattie oncologiche assume caratteristiche di dolore globale, ossia di
sofferenza personale che trova la propria eziopatogenesi, oltre che nella sofferenza fisica,
anche in quella inerente alla sfera psichica e sociale.
Nel 70% dei casi il dolore dei pazienti è determinato dalla neoplasia, nel 20% dalle
terapie antitumorali, mentre nel 10% da cause diverse. Il paziente può presentare due o più
dolori importanti, in sedi diverse, indipendenti l’uno dall’altro, spesso anche con varia
eziopatogenesi. Inoltre possono comparire episodi di riacutizzazione del dolore dalla
copertura antalgica di base, con puntate dolorose spesso di difficile controllo, in
concomitanza con movimenti volontari e con posture particolari o con puntate di dolore
senza chiari rapporti causali. Il dolore da cancro e il suo trattamento influenzano e sono
influenzati da molti sintomi oncologici. Il dolore può impedire il sonno ed avere impatto
negativo sul movimento e sulle attività di vita quotidiana. Il dolore da cancro è definito “dolore
totale” ed è caratterizzato dalla presenza contemporanea di componenti organiche,
psicologiche, sociali ed esistenziali.
I principi fondamentali per una corretta gestione del dolore oncologico comprendono:

valutazione del paziente, dando credito a quanto riferisce;

definizione piano di cura diagnostico-terapeutico;

attuazione del piano stesso;

rivalutazione periodica del paziente e del piano di cura.
9.1
VALUTAZIONE DEL DOLORE
72
La valutazione clinica del dolore deve comprendere l’identificazione delle cause e
della tipologia del dolore con rilevazione delle caratteristiche temporali della sede e
dell’intensità del dolore.
I tentativi di misurare il dolore utilizzando specifici strumenti, prima nella ricerca e poi
nella pratica clinica, hanno confermato la validità dell’utilizzo delle scale di intensità che
comprendono:

Scale analogiche visive (VAS);

Scale numeriche (NRS);

Scale verbali (VRS).
Le scale numeriche, di solito da 0 a 10, sono le più utilizzate nella pratica clinica. Un
dolore di intensità da 1 a 4 è lieve, da 5 a 6 moderato e da 7 a 10 severo. Una soddisfacente
terapia antalgica dovrebbe mantenere il dolore a livelli = < 4. Quando il dolore supera il
valore 5, soglia oltre la quale si ritiene che il dolore inizi ad interferire in modo importante con
le attività di vita quotidiana con un impatto sfavorevole sulla qualità di vita, deve essere
considerata una modifica della strategia terapeutica in atto.
Il numero di episodi di riacutizzazione del dolore e il numero di volte in cui è stato
necessario somministrare farmaci al bisogno, costituiscono due ulteriori e importanti
parametri di cui tenere conto nella valutazione complessiva del dolore.
La valutazione del dolore assume significato se è assicurata la massima visibilità di
rivelazione, con la presenza degli strumenti di valutazione del dolore nella cartella clinica del
paziente.
La rilevazione dell’intensità del dolore va effettuata regolarmente, nei pazienti
ricoverati almeno due volte al giorno, nei pazienti seguiti in assistenza domiciliare ad ogni
accesso, senza dimenticare la misurazione del dolore nei pazienti che accedono a visite
programmate.
ESEMPIO DI SCALA NUMERICA
73
0
1
2
3
4
5
6
nessun dolore
Lieve 0-4
7
8
9
10
il più forte dolore immaginabile
Moderato 5-6
Severo 7-10
ESEMPIO DI VAS
Nessun ___________________________________ il più forte dolore
dolore
immaginabile
ESEMPIO DI SCALA VERBALE (VRS)
□ Nessun dolore
□ Molto lieve
□ Lieve
□ Moderato
□ Forte
□ Molto forte
9.2
TERAPIA ANTALGICA
La strategia terapeutica suggerita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità è
rappresentata dalla Scala Analgesica a tre gradini.
74
Questa terapia per il trattamento del dolore da cancro deve porsi alcuni obiettivi
sequenziali che possono essere schematizzati come segue:

Aumento delle ore di sonno libere da dolore;

Riduzione del dolore a riposo;

Riduzione del dolore in posizione eretta o al movimento.
Dal punto di vita strettamente sintomatico, il cardine fondamentale della strategia
terapeutica è rappresentato proprio dalla scala analgesica a tre gradini. Prevede l’utilizzo di
tre categorie di farmaci: non oppioidi, oppioidi per il dolore lieve-moderato ed oppioidi per il
dolore moderato-severo con l’integrazione o meno di farmaci adiuvanti. Ciascuno dei tre
gradini può essere integrato, se indicato, ad altre procedure di tipo invasivo (trattamenti non
farmacologici, infiltrazioni, radioterapia, interventi psico-sociali).
Mentre in passato nell’utilizzo dei farmaci dei tre gradini si era sottolineato l’approccio
progressivo e sequenziale, oggi si è evidenziato come debbano essere l’intensità del dolore
e le caratteristiche del paziente, e non la sequenzialità dei gradini (né tanto meno la prognosi
del paziente) a dettare la scelta farmacologica con la quale iniziare un trattamento del dolore.
Il suggerimento dell’OMS è di inserire la strategia terapeutica in un appropriato
programma di assistenza continuativa in terapia antalgica.
75
9.3 SOMMINISTRAZIONE DELLA TERAPIA ANTALGICA
Le principali regole per la somministrazione della terapia antalgica sono:

Personalizzazione del dosaggio analgesico;

Utilizzo preferenziale della via orale, la più fisiologica e la meno invasiva per
trattamenti di lunga durata;

Adeguato
trattamento
dell’insonnia,
che
può
contribuire
a
debilitare
ulteriormente il paziente e a renderlo sofferente e irritabile;

Trattamento sistematico e preventivo degli effetti collaterali più comuni. E’ nota
la gastrolesività
dei Farmaci Antinfiammatori Non
Steroidei (FANS),
soprattutto in caso di trattamento per lunghi periodi. Da tener presente, inoltre,
le alterazioni renali farmaco-indotte e l’interferenza con altre terapie;
76

Per quanto riguarda gli oppioidi, per alcuni effetti collaterali (nausea e vomito) si
può sviluppare tolleranza e può esser utile il trattamento degli stessi. Altri effetti
secondari rimangono costanti nel tempo (stipsi).
I farmaci non oppioidi, da utilizzare per la terapia del dolore lieve, comprendono
l’Acido acetilsalicilico, i FANS e il Paracetamolo. Proseguire l’uso di FANS anche in caso di
trattamento con farmaci del 2° e del 3° gradino, con l’obiettivo di poter utilizzare dosaggi
ridotti di oppioidi ed avere quindi meno effetti collaterali. Oltre a tale effetto favorevole, il
prolungamento del trattamento con FANS consentirebbe un’azione sinergica sul dolore.
Fra gli oppioidi per il dolore lieve-moderato, i farmaci di base sono la codeina e il
tramadolo.
La morfina per via orale è il farmaco di riferimento del 3° gradino della scala
analgesica dell’OMS; alternative sono rappresentate da metadone, fentanyl, buprenorfina,
ossicodone.
Il trattamento con oppioidi deve essere iniziato in tutti i pazienti con dolori di intensità
da moderata a severa, qualunque sia il meccanismo fisiopatologico ipotizzato.
Il farmaco di partenza va scelto in base a:

Caratteristiche del paziente;

Intensità del dolore;

Tipo di formulazioni disponibili;

Considerazioni di farmacocinetica (nelle prime fasi, nelle quali il dosaggio va
titolato, sarebbero preferibili formulazioni di farmaci ad emivita breve, che
consentano tempestivi aggiustamenti);

Risposta a precedenti trattamenti con oppioidi;

Patologie concomitanti.
Gli oppioidi vanno somministrati per la via meno invasiva che consenta analgesia
adeguata in assenza di effetti collaterali. La via orale rimane la via da privilegiare nella
77
pratica clinica. Vie alternative sono la sottocutanea (a boli o in infusione continua), la
transdermica, la sublinguale, l’endovenosa continua e la spinale. Il cambiamento della via di
somministrazione è, insieme alla rotazione degli oppioidi, una delle strategie per affrontare
situazioni cliniche nelle quali l’indice terapeutico non sia ottimale o per insufficiente analgesia
o per soddisfacente analgesia ma con eccesso di effetti collaterali.
Gli effetti collaterali più comuni dei farmaci oppioidi sono: stipsi, nausea-vomito e
sedazione; altri possono comparire meno frequentemente e sono: xerostomia, confusione,
disforia, vertigini, allucinazioni, incubi, ritenzione urinaria, prurito, sudorazione. I diversi
oppioidi presentano profili di tossicità differenti.
Le strategie riportate per il controllo degli effetti collaterali sono: riduzione del
dosaggio, quando possibile, cambio d’oppioide e/o della via di somministrazione, controllo
farmacologico sintomatico dell’effetto collaterale, idratazione per favorire la “diluizione” dei
metaboliti e l’escrezione urinaria.
L’applicazione corretta della scala sequenziale dell’OMS consente di controllare il
dolore oncologico nella gran maggioranza dei casi, tuttavia in una minoranza di pazienti
l’approccio farmacologico non è sempre risolutivo ed è pertanto indispensabile ricorrere ad
un approccio specialistico che prevede l’applicazione di procedure invasive per il controllo
del dolore. Una cura particolare va riservata nel chiarire alla persona sofferente il significato
di tali procedimenti e che essi non hanno alcun collegamento con prognosi infauste.
Le procedure invasive si distinguono in procedure di tipo neuromodulativo e di tipo
neurolesivo. Le prime sono tecniche di somministrazione spinale (epidurale, subaracnoidea
o intraventricolare) che possono essere eseguite attraverso un catetere che permette
l’infusione continua o intermittente del farmaco; questa somministrazione è controindicata
nelle persone non collaboranti o incapaci di esprimere un consenso informato. La terapia
neurolesiva si propone, agendo a diversi livelli del sistema nervoso, di abolire la trasmissione
dell’impulso nocicettivo attraverso la distruzione irreversibile delle vie nervose centrali o
periferiche tramite l’utilizzo dei mezzi meccanici, chimici o fisici; tali procedure richiedono una
selezione accurata del paziente e vanno riservate ai casi in cui non vi sia una risposta
antalgica efficace alle terapie tradizionali.
78
BIBLIOGRAFIA
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13. Legge 8 febbraio 2001, n°12. Norme per agevolare l’impiego dei farmaci analgesici
oppiacei nella terapia del dolore. Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n°41 del 19 febbraio
2001.
CONCLUSIONI
La figura dell’infermiere in radioterapia assume un ruolo molto importante in quanto
collabora con altri professionisti a soddisfare i bisogni della persona assistita, migliorando, in
80
questo modo, la qualità dell’assistenza. Questa azione si svolge a livello teorico, pratico,
relazionale, educativo, riabilitativo, palliativo e sociale.
Spesso i pazienti sottoposti a radioterapia del cavo orale presentano paure e ansie
per il trattamento, ma anche molta rabbia per non aver ricevuto informazioni soddisfacenti e
dettagliate relative agli effetti collaterali legati a questo tipo di cura. Gli effetti secondari
influiscono sull’equilibrio fisico-psichico della persona trattata e per questo motivo assume un
ruolo importante, se non fondamentale, la valutazione, la comunicazione, l’educazione
terapeutica che effettua l’infermiere, supportato da continuo aggiornamento.
L’assistenza ad un paziente radiotrattato si intreccia come una “rete” tra diversi
professionisti: l’infermiere, lo psicologo, il dietologo, l’odontostomatologo, l’igienista dentale, il
radioterapista; tutti collaborano strettamente con lo scopo di erogare un’assistenza “globale”
al soggetto. E’ importante non minimizzare gli effetti collaterali reali e potenziali trattando
solo il problema fisico, allargandoli alla vita lavorativa, relazionale, sociale e familiare, poiché
queste sfaccettature vengono sicuramente colpite e modificate, se non eliminate, dalla
patologia o dalla radioterapia.
E’ proprio da questi bisogni e disagi che l’infermiere deve partire cercando di svolgere
un lavoro di prevenzione, cura, palliazione, educazione nel modo in cui è possibile farlo.
Le persone che convivono con il carcinoma possono nutrire preoccupazioni riguardo
alla possibilità di continuare a lavorare, di occuparsi della famiglia o di svolgere una normale
vita sociale. E’ inoltre diffusa la paura di esami, terapie, ricoveri in ospedali. I medici, il
personale infermieristico ed altri membri dell’équipe di assistenza potranno rassicurare il
paziente risolvendo tutti i suoi dubbi sul trattamento, sulla ripresa del lavoro e sulla possibilità
di svolgere le normali attività quotidiane. Per coloro che desiderano parlare dei propri
sentimenti e confidare le proprie ansie, un colloquio con un infermiere, uno psicologo, un
assistente sociale o un religioso, potrà essere d’aiuto.
Tuttavia è importante ricordare che ogni persona è un caso a sé. I trattamenti e
metodi terapeutici che funzionano per un paziente possono rivelarsi non efficaci per un altro,
persino se entrambi sono affetti dalla stessa forma di carcinoma.
I malati e i loro familiari desiderano inoltre conoscere cosa riserverà loro il futuro,
talvolta basandosi su statistiche che riportano le aspettative di vita di pazienti affetti da
81
carcinoma del cavo orale, ma non ci si può basare su di esse per sapere che cosa accadrà
ad un paziente in particolare, perché ogni persona è diversa da un’altra.
Dare sempre più importanza ai termini “prevenzione” e “trattamento”, nasce dal
desiderio di rendere i pazienti protagonisti della loro salute, considerata non più come un
bene da consegnare a medici e infermieri, ma come uno stato fisico e mentale da perseguire
e mantenere nel tempo.
L’infermiere in radioterapia svolge un ruolo particolarmente arduo. L’assistenza
infermieristica erogata richiede conoscenza, competenza e abilità per la sua specifica
articolazione.
ALLEGATO 1
82
Anatomia del cavo orale.
83
Aree di carcinoma squamoso della mucosa orale.
84
ALLEGATO 2
85
Informa il paziente
Effettua una visita generale e mirata
RADIOTERAPISTA
Analizza i referti degli esami e
gli accertamenti diagnostici
Elabora il piano di cura
Informa la segreteria di reparto
Prenota le visite di consulenza dietologica,
odontostomatologica ed infermieristica
SEGRETERIA
DI REPARTO
Prenota la TC di simulazione, la simulazione
di verifica e l'inizio delle sedute
Ricorda al paziente quanto richiesto
dal radioterapista riguardo la necessità
di effettuare una panoramica dentaria
90
Valuta lo stato
tatodel
basale
cavodel
orale
cavo orale
Esegue interventi di bonifica dentaria
Collabora con l'igienista dentale in caso
di complicanze
ODONTOSTOMATOLOGO
Esegue impronte per placchette dentarie
Somministra il protocollo di prevenzione della
mucosite
Esegue controlli settimanali durante
il trattamento
Esegue il follow-up
Valuta l'igiene del cavo orale
Utilizza scale di valutazione
IGIENISTA
DENTALE
Educa il paziente ed i carers
Documenta i dati raccolti
Verifica l'aderenza del paziente
al progetto educativo
Collabora col medico durante le visite
Controlla la quantità e la qualità
del cibo assunto e lo stato nutritivo basale
DIETOLOGO
Controlla settimanalmente il peso corporeo
e la dieta assunta e, se necessario,
introduce integratori
86
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