L`«Aida» di De Bosio all`Arena

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all’opera — 27
L’«Aida» di De Bosio
all’Arena
Q
di Chiara Squarcina
uando si pensa all’Arena di Verona il pensiero sci-
vola immancabilmente all’Aida di Giuseppe Verdi e
il conseguente nonché naturale collegamento richiama alla mente un maestro come Gianfranco De Bosio. Il binomio Aida-De Bosio è ormai qualcosa di assodato, di
inscindibile, e questo per molteplici ragioni. L’unico che poteva
svelarcele è proprio De Bosio stesso, che, seppur impegnatissimo nell’allestimento (ovviamente di Aida) in programma dal
20 giugno all’Arena, ha trovato il tempo di incontrarci e spiegare questo assioma che nel tempo si consolida sempre più.
Sedici stagioni fa – racconta il regista –quando proposi all’allora Soprintendente areniano, Carlo Alberto Cappelli di ricostruire l’edizione del 1913 non pensavo certo a un successo così clamoroso. In realtà la questione è molto semplice: l’Aida firmata dall’architetto Ettore Fagioli era geniale da un punto di
che ha animato la creatività di Fagioli e di percepire quale fosse il suo chiaro intento scenografico. Gli stessi eredi della sua
famiglia me lo hanno riconosciuto. Non ho mai, in alcun momento, voluto che venisse meno quel profondo rispetto nei riguardi della vena originale dell’architetto perché sebbene fossero pochi i bozzetti a disposizione erano assolutamente esaustivi sul tipo di lettura dell’opera. Ovviamente in questi anni
ci sono state delle naturali se non addirittura ovvie modifiche
mirate alla ricerca di una perfezione ideale. Quest’anno il corpo di ballo aprirà con una breve azione il trionfo, mai successo
prima d’ora. Inoltre i due cori contrapposti dei popoli si esprimeranno con movimenti più accentuati, più drammatici. Il tutto perché negli anni si sfrutta anche l’esperienza pervenuta dagli studi scenografici di Vittorio Rossi nel 1982 e quella del 1992
di Rinaldo Olivieri. Ora sto lavorando con Giuseppe De Filippi Venezia. Sempre quest’anno poi l’ultimo quadro sarà realizzato diversamente dal penultimo perché abbiamo trovato una
soluzione di rotazione della scena che permette di accelerare il
cambiamento.
Quali sono i punti di forza e quelli più deboli del testo verdiano che secondo
Lei un regista deve affrontare nel mettere in scena l’Aida.
Qui la discussione è apertissima. Molta critica considera il
all’opera
Aida All’Arena
vista scenografico perché riusciva a essere grandiosa e rispettrionfo musicalmente una musica qualunque. Lo stesso Vertare al contempo il monumento Arena. L’opera non sovrasta
di lo chiamava il «rata-plan», con una certa autoironia. In realil contenitore condividendo il ruolo di protagonista con l’Aretà il trionfo è il momento più esaltante in assoluto per il pubblina nel massimo rispetto dello spazio, inteso nel senso completo
co che strappa sempre da tre a cinque applausi a scena aperta.
dalla parola. La rappresentazione coinvolge tutto lo spazio diPertanto dal punto di vista musicale lo si può definire «banale»
sponibile perché così dev’essere. È un dialogo in perfetta sintoma da quello drammaturgico è eccellente. L’ultimo quadro, senia d’intenti fra la partitura e il luogo in cui viene rappresentacondo Mila, manca di ispirazione però è una scena che funziota. Non c’è conflittualità: il pubblico si sente parte di quanto acna sempre e tanto più in Arena. Spesso i punti più fragili musicade in maniera molto più forte di quanto potrebbe succedecalmente sono i punti forti dal punto di vista scenico e viceverre in un altro teatro perché non esiste una vera separazione tra
sa. In realtà le «parti colossali» dello spettacolo incidono di più
l’ascoltatore e l’esecutore. In realtà l’Aida, grazie all’Arena, somsull’aspetto scenografico mentre le parti più legate al belcanto
merge visivamente e fonicamente il pubblico.
come il dialogo fra Amneris e Aida sono meno coinvolgenti viCome è cambiata la lettura dell’opera verdiana che sta preparando per la
sivamente: in quei momenti scatta l’introspezione emotiva e la
stagione estiva dell’Arena rispetto alla precedente versione?
musica si apre alla sensibilità del singolo ascoltatore.
Quando la ideò, Fagioli era giovanissimo. Io, impegnato a riL’Aida era stata scritta per inaugurare lo stretto di Suez. Oggi la messinprenderla, non ho mai pensato a una riproduzione ma a una riescena di quest’opera potrebbe essere intesa come una lettura sociologica di convocazione che ogni anno si arricchiva, anche perché non è mai
vivenza fra due popoli?
stata possibile una consultazione comSicuramente. Abbiamo l’idea di sviplessiva del materiale creativo in quanto
luppare questa tematica durante la
i documenti disponibili che si erano salprossima rappresentazione dell’A iVerona – Arena
vati erano pochi bozzetti. Questo però
da al Filarmonico perché all’Are4, 12, 16, 22, 26, 28, 31 luglio, ore 21.15
non mi ha impedito di intuire lo spirito
na questo aspetto si perderebbe. ◼
5, 8, 16, 18, 21, 27, 30 agosto, ore 21.00
28 — all’opera
Brevestoriadella«Carmen»
veronesediZeffirelli
all’opera
Z
di Marco Gandini
effirelli ha avuto un rapporto speciale con Verona. In
seguito al ben celebre film su Giulietta e Romeo del 1968,
la città e le sue varie amministrazioni tentarono più volte di impegnare il Maestro in una produzione operistica all’anfiteatro romano.
Per motivi di varia natura non si riuscì mai a creare una situazione favorevole. In aggiunta, Zeffirelli, per un certo periodo,
riteneva di non trovare un titolo appropriato che potesse prestarsi a una messinscena particolare, tenuto anche conto delle
specificità dello spettacolo en plein air.
Nel 1995, l’amministrazione dell’epoca a guida dell’Arena riuscì a convincere il Maestro, che proprio la particolarità dello spazio areniano avrebbe offerto un contesto ideale a una rappresentazione «grandiosa» dello stile operistico zeffirelliano.
Il titolo scelto fu Carmen, assente dai cartelloni da parecchio
tempo, seppur considerata opera di grande attrattiva per il vasto ed eterogeneo pubblico dell’Arena. Carmen non solo contiene momenti musicali celeberrimi ai più, ma da un punto di
vista formale può essere considerata «spettacolare» per la consistente presenza del coro, per l’alternanza dei pezzi musicali di
ensamble ad arie e duetti di natura più intima, per la possibilità di inserire momenti di ballo, e infine per l’attrattiva esercitata
da un certo «esotismo» di carattere spagnolo. Il Maestro avvertì soprattutto la necessità di dare evidenza proprio allo speciale folklorismo della partitura, sentì che la presenza di una parte spagnola fosse fondamentale alla buona resa dello spettacolo. Io stesso andai in Spagna e intrapresi una lunga serie di audizioni di gruppi di danza spagnoli che potessero essere impiegati
nello spettacolo. Quello che Zeffirelli desiderava non era tanto
un organico di ballo, ma un gruppo di persone che arricchissero con la loro presenza il carattere «gitano» che avrebbe fatto da
leit motiv anche nella realizzazione scenografica. Ricordo che
visionammo moltissimi video di gruppi andalusi incontrati a Siviglia e nelle cittadine limitrofe di Carmona Utrera Huelva Jerez de la Frontera. Alla fine si decise di scritturare un gruppo che faceva capo a El Camborio, coreografo che già aveva lavorato in una Carmen all’Arena
nell’allestimento di Berrocal, e che quindi conosceva le specificità del luogo. El Camborio potè garantire la presenza di un gruppo di ballerini spagnoli e soprattutto gestire (per il lungo
periodo di permanenza a Verona – mediamente di tre mesi, tra prove e recite) una parte di veri gitani che avrebbero dato quel particolare «colore» che Zeffirelli voleva. L’aspetto gitano era preponderante, e Zeffirelli inserì il gruppo di questi gitani spagnoli in quasi tutte le scene di Carmen. Carmen stessa era considerata una gitana e da questo derivano
le scene di ballo in cui lei è protagonista all’inizio
del secondo atto.
Da un punto di vista scenografico la gitaneria
era accentuata dalla presenza di «accampamenti gitani» posti sui gradoni laterali dell’Arena a
incorniciare costantemente la parte centrale
che, nell’alternanza dei quadri, rappresentava
la piazza di Siviglia, la taverna, la montagna,
e l’esterno alla Plaza de Toros a cui Zeffirelli
diede un aspetto particolare ponendovi una
grande croce a somiglianza del Cristo de Los Faroles di Cordoba.
Carmen rappresentò il debutto di Zeffirelli in Arena, debutto
fortunato, perché ottenne grandissimo successo e fu uno dei titoli areniani successivamente più rappresentati. L’allestimento
venne riproposto negli anni seguenti al 1995 con cadenza quasi
annuale. Il successo di Carmen determinò un legame e un affetto speciale di Zeffirelli per l’Arena di Verona e per la città in generale. Il Maestro scoprì le grandi possibilità che l’anfiteatro poteva offrire alla rappresentazione, e volle ritornare con altri allestimenti, Trovatore, Aida, Butterfly. Carmen era il debutto per Zeffirelli all’Arena, ma non il debutto nell’opera. Il Maestro aveva fatto una produzione, che oggi possiamo definire storica, all’opera
di Vienna negli anni settanta e che Vienna ancora oggi ripropone. Quel famoso allestimento vedeva la partecipazione di uno
staordinario Domingo e la direzione d’orchestra inarrivabile del
Maestro Kleiber. L’edizione di Vienna è in un certo senso la madre di quella che poi Zeffirelli fece all’Arena, in cui egli riconobbe la paternità di alcuni momenti proprio alla lettura che con
Kleiber venne fatta dell’opera. Un momento particolare è dato
dalla posposizione del preludio IV come secondo numero musicale dell’ultimo atto. Questo preludio è quello connotato fortemente dal carattere spagnolo, e diventa un’occasione importante di ballo, a Vienna come anche a Verona. Nella prima edizione del 1995 il ballo del IV atto sulla musica del preludio veniva addirittura esteso con l’inserzione di altre musiche di Bizet.
La Carmen del 1995 aveva per protagonisti principali Sergei Larin e la straordinaria Denis Graves considerata la Carmen «del
momento», la direzione d’orchestra affidata a Daniel Oren. Il
percorso attraverso Carmen, da Vienna a Verona continuò con
un’altra importantissima tappa, l’anno seguente il debutto in
Arena. Nel 1996 venne infatti chiesto a Zeffirelli un nuovo allestimento e fu deciso sulla scia del successo areniano di proporre una nuova Carmen per il pubblico americano. Il contesto
era di assoluto prestigio: Waltraud Meier al suo debutto nel ruolo di Carmen, Placido Domingo e Angela Gheoghiu come Micaela, direttore d’orchestra James Levine. Se Carmen dell’Arena deve riconoscere un’origine nell’edizione di Vienna, quella del Met ha una evidente somiglianza con quella veronese. Il
Metropolitan Opera di New York fece dell’allestimento uno
dei titoli di repertorio più frequentati e venne riproposto l’anno successivo (1997) come inaugurazione di stagione (alla
presenza dell’allora Presidente Clinton) con la stessa Denis Graves dell’edizione ‘95 di Verona. Dopo numerose
rappresentazioni, l’allestimento è stato quest’anno venduto all’Opera di Tel Aviv che, a un mese dall’apertura
di stagione in Arena di quest’anno con Carmen, ne ha
programmate ben 16 recite. L’edizione odierna all’Arena rappresenta un ulteriore avanzamento nello sviluppo e «vita» di questo spettacolo. Zeffirelli ha
concepito una variante alla scenografia originaria della prima edizione del ‘95. L’immagine è sostanzialmente affine, ma presenta soprattutto nel secondo e nel quarto atto degli elementi (dei grandissimi pannelli dipinti) che aumentano l’impatto visivo di questi
due quadri. Queste modifiche sono state concepite per dare allo spettacolo un nuovo punto di interesse in vista delle future riprese e principalmente della ripresa dell’allestimento il prossimo anno nel contesto di celebrazione che l’Arena farà a Zeffirelli dedicando l’intera stagione alla programmazione dei suoi spettacoli areniani (Carmen,
Trovatore, Aida, Butterfly) con l’aggiunta del
nuovo allestimento di Turandot in apertura. ◼
Carmen, manifesto Usa 1896 (wikipedia).
all’opera — 29
Al via il XL Festival
dell’Operetta di Trieste
stette alla prima italiana, diretta dall’autore, dell’operetta
più rappresentata al mondo. Simbolo della belle-époque –
coprodotta dal Verdi in collaborazione con il Teatro Carlo
Felice di Genova, il San Carlo di Napoli e l’Arena di Verona – La vedova allegra viene messa in scena fino al 25 luglio
in un nuovo e raffinato allestimento creato nei laboratori
di Arianna Silvestrini
della Fondazione lirica e ideato da Federico Tiezzi, regista
toscano che per la prima volta si cimenterà in un campo terieste si conferma una delle capitali europee
atrale del tutto inedito.
dell’operetta. Nel capoluogo friulano si tiene
Il festival proseguirà venerdì 10 luglio con la rappresenquest’anno, dall’11 giugno al 31 luglio, la quarantetazione del Conte di Lussemburgo,
sima edizione del Festival interoperetta in due parti firmanazionale dell’operetta preceta sempre da Lehár, in cui si
duta dalla rassegna «Aspetesibiranno i soprani Loredatando il festival», manifestana Pellizzari e Miriam Spazioni organizzate dalla Fonro e i tenori Massimo Mardazione Teatro Lirico «Giusi e Francesco Paccorini
seppe Verdi» con la collabodel Coro stabile del Tearazione dell’Associazione intro Verdi.
ternazionale dell’operetta
Pellizzari, Marsi e PacFriuli Venezia Giulia.
corini saranno protagonisti
L’apertura del pre-festival è
anche dell’esecuzione in forstata affidata ai Solisti delma di concerto, con la partela Compagnia Corrado Abcipazione straordinaria di Elio
biati di Reggio Emilia impePandolfi, di Sogno di un valzer,
gnati nel programma intitolaoperetta in tre atti di Dörmann
to «Ballo al Savoy», una see Jacobson su musica di Oscar
lezione di ritmi e meStraus.
lodie degli anni trenIl 12 luglio nella Sala Tripcota con musiche di
vich del Verdi e il giorno seAbraham, Benatguente nel Piazzale del Cazky e Stolz. Giostello di Udine gli appassiovedì 18 alle 18,
nati potranno ascoltare i più
nella Sala del Rifamosi valzer e le più belle
dotto del Tearie da operetta scritte da Leatro Verdi,
hár, Paul Abráhám e Emmerich Kálmán e interpretate
Dalla locandina del Festival al Teatro Verdi
dai solisti e dal Corpo di ballo del Teatro dell’Operetta
Ungherese, con la direzione
del maestro Spennai Kálmán.
A conclusione del festival, venerdì 31 luglio il Teatro Verdi ospiterà in una seil tenore Andrea Binetti si esibirà
rata di Gran Galà un programma che riin un omaggio a Sandro Massimini,
percorre le più suggestive musiche di
triestino d’adozione, a partire dai braStraus, von Suppé, Gilbert, Loewe,
ni del suo esordio nel 1970 nel Paese
Costa, Pietri, Ranzato, Rodgers e
dei Campanelli. Il terzo appuntamento
Zeller. Il maestro Romolo Gessi
di «Aspettando il festival» si annundirigerà, tra gli altri, Elena Bocia come una Festa della piccola liririn e Andrea Binetti. L’orcheca, ovvero una fantasia di brani fastra e il Coro del Verdi saranmosi interpretati da alcuni tra i solino diretti da Lorenzo Fratini,
sti che negli anni hanno collaborato
mentre il Coro delle voci Biancon l’Associazione friulana.
che da Maria Susovsky.
Il 19 e il 20 giugno per le vie di
Per i quarant’anni del Festival
Trieste si festeggerà con la sfilaè stata, inoltre, organizzata una
ta bandistica «Parata di primavemostra storica dell’operetra», dalla famosa operetta di Rota intitolata Tu che m’hai
bert Stolz, più volte rappresentapreso il cuor aperta con successo nei quarant’anni
ta al pubblico fino
del Festival.
al 26 luglio nelMa è con La vedova allegra di
le sale di PalazFranz Lehár che il 4 luglio si
zo Gopcevich
giunge al clou della manifestadi Trieste. ◼
zione, in quella stessa citElena Borin
tà in cui nel 1907 si assi-
Andrea Binetti
all’opera
T
30 — all’opera
Il «Tristano» di
Squarzina e Manzù
Ricordo di uno spettacolo
memorabile alla Fenice
L
uigi Squarzina, uno dei principali maestri del teatro
italiano, nella sua lunga carriera ha allestito più di un centinaio di spettacoli di prosa, ma si è spesso e volentieri provato anche con l’opera, per la quale
firma poco meno di trenta regie. Uno
dei vertici della sua produzione lirica è certamente il Tristano e Isotta di Richard Wagner, messo in scena alla Fenice il 31 marzo 1971. Per
l’occasione si conferma un sodalizio
già sperimentato anni prima, quello
con Giacomo Manzù, grande scultore «imprestato» al teatro, che realizza le scene e i costumi. A distanza di
quasi quarant’anni, il regista ci racconta quell’emozionante esperienza.
all’opera
Era il 1971, e io avevo appena terminato due lavori importanti come Madre Courage
e i suoi figli di Brecht e 8 Settembre, un testo a sei mani di Enzo
De Bernart, Ruggero Zangrandi e mio, entrambi allestiti allo Stabile di Genova. Bisogna
sottolineare che i protagonisti di
quest’avventura wagne-
riana erano tre: Mario Labrocca, il bravissimo sovrintendente della Fenice, Giacomo Manzù e il sottoscritto. In realtà con
il grande scultore avevo già lavorato qualche anno prima, nel
1964. Quella volta avevamo affrontato l’Oedipus Rex di Stravinskij per il Teatro dell’Opera di Roma, e già allora Manzù aveva introdotto nella scenografia degli oggetti a forma
di uovo, elemento che tornerà
con forza nel Tristano. Lo spettacolo, nel quale erano inseriti
14 mimi, ebbe grande successo
e fu replicato in varie stagioni
successive. Credo che Labrocca
lo abbia visto a Firenze nel ‘70:
fatto sta che l’anno successivo
si concretizzò il progetto per
questo Wagner innovativo, che
Manzù – come era sua consuetudine – dal punto di vista scenografico aveva reso ironicamente, senza la seriosità di molte altre messinscene. Così, con
le scene quasi interamente realizzate, ci ritrovammo a pianificare un calendario per le prove. E qui entra in gioco il Convitato di pietra, cioè il quarto protagonista di quest’esperienza, vale a dire la Germania
dell’Est. Erano anni difficili, il
mondo era diviso in due blocchi, e a dirigere l’opera era stato chiamato Kurt Masur, ora
notissimo in tutto il mondo,
ma allora popolare prevalentemente nell’Europa dell’Est.
L’intero cast dei cantanti era tedesco, e tutti loro erano seguiti da un accompagnatore, che
fungeva anche da sorvegliante
all’opera — 31
Le preziose immagini dei
bozzetti di scena e dei costumi di Giacomo Manzù sono state gentilmente concesse
da Luigi Squarzina, che ha
negli ultimi tempi donato il
suo imponente archivio alla
Fondazione Gramsci.
all’opera
per evitare che qualcuno scegliesse in modo
permanente l’Occidente. Alla fine, dovemmo affrettare la preparazione, perché la delegazione tedesca aveva una certa fretta di
tornare a casa. Ma Labrocca era un eccellente organizzatore, e per
fortuna tutto l’impianto scenico era già predisposto, così riuscimmo a lavorare lo stesso con grande armonia.
E lo spettacolo veneziano, grazie anche alla straordinaria bravura
di Manzù, fu un grande successo. (l.m.) ◼
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