Cenni di geologia e idrogeologia finalizzati alla comprensione della relazione idrogeologica INTRODUZIONE L’idrogeologia è lo studio delle leggi che regolano il moto dell’acqua sotterranea, delle interazioni meccaniche, chimiche, termiche dell’acqua con il mezzo poroso. La relazione idrogeologica è un documento che analizza i rapporti tra i litotipi presenti in un’area, la presenza di acqua e le possibili conseguenze derivanti dalla realizzazione di un’opera. Nel caso specifico di realizzazione di un’opera di captazione, le caratteristiche di una relazione idrogeologica sono stabile dal D.M. 11/3/1988 che, nel caso di emungimenti da falde idriche, prevede si debba accertare che le opere siano compatibili con le caratteristiche dell’acquifero e che eventuali cedimenti della superficie del suolo siano compatibili con la stabilità e la funzionalità dei manufatti presenti nella zona interessata dall’emungimento. La “relazione idrogeologica” è un documento costituito da una parte descrittiva e da alcune carte tematiche che descrivono la situazione idrogeologica e geologica dell’area di intervento. La parte descrittiva, solitamente, è costituita da un inquadramento geografico, da una ricostruzione della geologia dell’area ( fatta sia attraverso fonti bibliografiche che da indagini geognostiche), da una breve descrizione dell’idrologia e dell’idrogeologia ed infine dalle caratteristiche della falda che si intende sfruttare. Nel casi della realizzazione di un pozzo, la relazione sarà corredata della stratigrafia del pozzo stesso (o di altri limitrofi), dai risultati delle prove di portata, dall’analisi dell’eventuale interazione con altri punti di emungimento e dalla possibilità di cedimenti nel terreno. Molto importante per il geologo è la parte costituita da carte tematiche perché attraverso esse il professionista descrive in modo immediato e chiaro la situazione geologica ed idrogeologica. Nell’incontro, si prevede l’illustrazione dei concetti base dell’idrogeologia ( ad. Es. concetto di porosità, di permeabilità, di acquifero ) e una disamina di alcune situazioni particolarmente importanti quali il sistema carsico e il modello del sistema idrogeologico della Pianura Padana. LE ROCCE ED I TERRENI Prima di addentrarci nell’idrogeologia è necessario fare alcune premesse di carattere geologico. I litotipi si suddividono in base alla loro origine in: rocce metamorfiche, rocce magmatiche e rocce sedimentarie. Esiste una quarta tipologia di terreni i cosiddetti terreni sciolti che sono costituiti da granuli tra loro slegati o poco cementati. Le rocce metamorfiche sono rocce che subiscono il “metamorfismo” che per definizione significa “trasformazione”. Quando una roccia si forma, i minerali che la compongono sono “stabili” ossia, la situazione rappresenta un minimo da un punto di vista dell’Energia Libera. In altre parole, la tendenza dei minerali nel sistema a trasformarsi è minima. Nel momento in cui interviene una variazione del sistema ( ad esempio: variazione di pressione e temperatura) il livello di Energia Libera si innalza e, superata una “soglia di attivazione”, si ha la “ blastesi” o “ricristallizzazione”. Quando ciò avviene la vecchia struttura della roccia viene gradatamente modificata e si ha la comparsa di nuove associazioni mineralogiche e/o nuovi caratteri strutturali. I processi metamorfici si possono classificare a seconda della distribuzione spaziale: Metamorfismo regionale ( se il fenomeno è molto esteso); Metamorfismo di contatto ( se è generato in prossimità di fonti di calore es. plutoni); Metamorfismo delle zone di taglio ( se in aree in cui vi sono stress deformativi molto importanti). Nella Regione Veneto le rocce metamorfiche non sono rappresentate, se si eccettuano le filladi nell’altopiano di Recoaro ( basamento metamorfico di filladi) e alcuni fenomeni di metamorfismo da contatto. Nell’Arco Alpino vero e proprio le rocce metamorfiche sono invece ben rappresentate, con modalità e tipologie diverse. Le rocce magmatiche ( siano esse ignee o eruttive ) si generano ad alta temperatura per la solidificazione di un sistema fuso, o prevalentemente fuso, quasi sempre a composizione silicatica. Il magma è composto da una fase fluida (o fuso) , alcuni elementi già cristallizzati e da una fase gassosa. Il raffreddamento di un magma può avvenire in due distinte modalità: Condizioni plutoniche ossia all’interno della crosta; In condizioni effusive ossia giungendo in superficie e con un rapido raffreddamento. Nella Regione Veneto è presente prevalentemente la tipologia effusiva: sono presenti rioliti al confine con Trento; basalti nella zona dell’Agno e del Vicentino, trachiti nel Padovano. Tra i possibili esempi merita parlare, in questa sede, seppur brevemente ed in modo non esaustivo, delle rocce vulcaniche del Terziario veneto. Nel comune di San Giovanni Ilarione, si rinvengono un bel esempio di basalti colonnari; la formazione di queste rocce deriva da attività magmatica durante il Paleogene. In questo periodo, le prime manifestazioni vulcaniche sono costituite da depositi di materiale vulcanico all’interno del Graben Alpone – Chiampo, una struttura che evidenzia una situazione distensiva. L’attività vulcanica prosegue durante l’Eocene inferiore con la produzione di ialoclastiti e successivamente con vere e proprie colate. Nell’Eocene superiore invece, l’attività vulcanica ha una fase di stallo in tutto il Veneto ad eccezione del Colli Euganei dove è presente un vulcanesimo basaltico. Nell’oligocene riprende l’attività vulcanica, di tipo esplosivo nei colli Berici e Lessini mentre nei Colli Euganei vi è la messa in posto di laccoliti di tipo riolitico, andesitico e trachitico. Fig. n. 1 Cava di porfidi Fig. n. 2 Trachite in affioramento Le rocce sedimentarie sono rocce che si formano a seguito del consolidamento (diagenesi) di materiali sciolti (provenienti a loro volta dall’erosione di rocce magmatiche, metamorfiche, sedimentarie, o da organismi viventi) oppure a seguito di precipitazione chimica. In modo più preciso con il termine “sedimentario” si fa riferimento ad una roccia che: 1. proviene dall’azione dello weathering su un’altra roccia; 2. subisce un trasporto ossia si allontana dalla zona di origine della “roccia madre” a seguito dell’azione di agenti quali aria, acqua, ghiacciaio, ecc.; 3. si rideposita in un certo ambiente perché la forza dell’agente (energia) subisce delle variazioni e non è più sufficiente per trasportalo oltre; 4. subisce una diagenesi ossia quel processo chimico/fisico per cui il terreno sciolto si trasforma in roccia. Le rocce sedimentarie possono essere così suddivise: rocce terrigene, rocce carbonatiche, rocce evaporitiche, rocce piroclastiche. Le rocce terrigene sono rocce composte da minerali quali quarzo, feldspato, minerali argillosi, nel caso di una roccia composta per il 50 % di materiale terrigeno e il rimanente 50 % da carbonati si chiama marna. La classificazione per le rocce terrigene può essere fatta in base alla granulometria delle particelle che la compongono : conglomerati, arenarie e argilliti corrispondono a ghiaie, sabbie e argille. Per quanto concerne le rocce carbonatiche (calcari e/o dolomie) queste si possono distinguere in detritici e non –detriciti: i primi sono costituiti da clasti cementati in matrice calcarea, i secondi sono invece costruiti in situ (biocostruiti) da organismi viventi oppure si formano per precipitazione chimica. In Veneto la maggior parte delle rocce presenti è costituito da rocce sedimentarie, per lo più calcari e dolomie. Appartengono alla famiglia delle rocce carbonatiche il Biancone nel Veronese, il Rosso Ammonitico Veronese, molte formazioni dell’altopiano di Asiago e anche nel Pian del Cansilio, la dolomia in Valdadige e nel Bellunese. Fig. n. 3 Cava di Rosso Ammonitico Fig. n. 4 Arenaria fine dopo lucidatura Fig. n.5 Rosso Ammonitico in sezione Le rocce di qualsiasi origine, nel momento stesso in cui si formano sono oggetto di fenomeni di erosione e smantellamento da parte di agenti atmosferici e biologici. Il prodotto dell’erosione, oggetto di trasporto da parte di aria, acqua e ghiacciai, sono materiali sciolti che prendono il nome di “terra”. Una terra è classificata in base alla granulometria in blocchi, ghiaia, sabbia, limo e argilla. La determinazione della granulometria di un sedimento viene fatta in due modi: attraverso setacci calibrati fino alla granulometria delle sabbie; per limi e argille si utilizza un sistema umido chiamato densimetro che sfrutta la “Legge di Stokes”. La tabella che segue definisce i termini “ghiaia”, “sabbia” “limo” e “argilla” in base alla granulometria. Denominazione blocchi Ghiaia Sabbia Limo Argilla limiti D > 60 mm 2 mm < D < 60 mm 0,06 mm < D < 2 mm 0,002 mm < D < 0,06 mm D < 0,002 mm In natura non esistono, o se esistono si tratta di casi estremamente particolari, materiali costituiti da una sola granulometria e pertanto è stata codificata una nomenclatura che contempla le diverse situazioni: ad esempio un terra composta al 50 % da ghiaia e sabbia si chiama “ ghiaia e sabbia”, se composta da 65 % di sabbia , 30 % limo e 5 % argilla Si tratterà di sabbia con limo debolmente argillosa. Fig. n.6 Deposito morenico: ghiaia e sabbia con matrice limoso – argillosa e trovanti La Pianura Padana è costituita da terre sciolte dovute all’azione di weathering e trasporto della catena alpina. Nel momento in cui una catena montuosa inizia a sollevarsi hanno inizio i processi di erosione e smantellamento. Un esempio emblematico di questa realtà sono le vicende dell’Isola Ferdinandea in Sicilia. Nel 1831, iniziò ad emergere dal mare di Sicilia, tra Sciacca e l’Isola di Pantelleria una nuova isola vulcanica che venne chiamata Isola Ferdinandea. Questa isola crebbe fino all’altezza di 65 m dal livello del mare e con una superficie di 4 km2 . Purtroppo l’attività vulcanica fu di breve durata e l’isola scomparve l’anno successivo. I prodotti dell’erosione dell’isola furono trasportati dalle onde. Oggi rimane a circa 8 metri dalla superficie marina un banco roccioso che resiste all’azione erosiva del mare. Analogamente con l’emersione della catena alpina ha inizio la contestuale erosione della stessa. Il rapporto tra la produzione di materiale di smantellamento e una catena è tanto forte che i sedimenti che ne hanno origine prendono il nome di “molassa”. L’erosione di una catena montuosa avviene innanzitutto attraverso l’opera della vegetazione, dell’acqua di ruscellamento, di torrenti, ghiacciai, vento , ecc.. Il prodotto dello weathering subisce quindi un trasporto da parte di ghiacciai, torrenti, fiumi, aria. Gli agenti di trasporto non hanno nello spazio e nel tempo la medesima forza. E’ esperienza comune che un torrente in prossimità della sorgente trasporta e mobilizza clasti di dimensioni maggiori mentre in prossimità della foce si depositeranno materiali più fini. Analogamente un torrente, nei momenti di piena potrà trasportare per percorsi maggiori i clasti più grossi. L’alternanza di periodi di maggiore vigore da parte dei fiumi con periodi di stasi ha fatto sì che la pianura Padana sia costituita nella parte più vicina ai monti da materiali grossolani ( ghiaie e sabbie), mentre nella parte bassa dall’alternanza di sabbie medio- fini e argille -limi. CARATTERISTICHE DEI MATERIALI Da un punto di vista idrogeologico, i litotipi (intendendo sia rocce che terreni) possiedono una caratteristica che si chiama porosità ossia una certa percentuale di vuoti rispetto al volume totale di materiale preso in considerazione. POROSITA’ = (V dei Vuoti / Volume totale) 100 La porosità totale dipende dalla granulometria ed in particolare aumenta con il diminuire della granulometria. In altri termini,la porosità totale è massima nelle argille e minima nelle ghiaie. Tuttavia non tutti i pori presenti nel mezzo possono contenere acqua utile ad essere captata Infatti, all’interno di un mezzo l’acqua presente può essere diversamente classificata in : Acqua igroscopica ( che aderisce strettamente alla superficie del granulo e può essere estratta solo per centrifugazione); Acqua capillare ( che si trova tra granulo e granulo); Acqua gravifica ( che si muove sotto la spinta della forza di gravità). Si definisce quindi un parametro di maggiore interesse che è la porosità efficace cioè la percentuali di vuoti sfruttabili dall’acqua gravifica. Nel caso di terre, la porosità efficace è in stretta relazione con i seguenti fattori: Granulometria; Assortimento granulometrico; Forma dei clasti ( appiattiti, allungati, ecc..); Modalità di deposizione; Nel caso di rocce e terre, la porosità può essere primaria ( se presente sin dall’inizio in una roccia/terra) o secondaria ( se dovuta a fattori post- diagenetici). La porosità è solitamente secondaria nelle rocce ed è legata a fratture. Non sempre la presenza di fratture è indice di acqua facilmente estraibile così come nel caso di terre la sola presenza di acqua significa che la stessa possa essere facilmente estratta. Di maggiore importanza per comprendere l’idrogeologia è la conoscenza della “permeabilità” dei litotipi. La porosità, anche se efficace, è una caratteristica “statica” nel senso che non descrive la possibilità che ha l’acqua di potersi muovere in una roccia. Invece, la permeabilità è la proprietà di una roccia di lasciarsi attraversare dall’acqua quando vi sia un carico idraulico. In altri termini è la capacità di un materiale a far defluire l’acqua. Questa caratteristica può essere dovuta alla porosità del mezzo, alla fessurazione presente o ancora al fenomeno del carsismo. La permeabilità per porosità è anche detta permeabilità primaria ossia di una condizione che esiste già nel momento della formazione della roccia. Negli altri due casi invece la permeabilità è secondaria cioè è successiva alla messa in posto della roccia ed è dovuta o a stress tettonici o al fenomeno della dissoluzione chimica del carbonato di calcio (carsismo). Sulla base della permeabilità, le rocce si suddividono in permeabili e impermeabili anche se in realtà in natura non esistono termini assoluti. Le rocce impermeabili sono rocce che difficilmente sono in grado di far defluire l’acqua o, se questo avviene, i movimenti sono lenti e/o impercettibili. Le rocce permeabili sono quelle che, in condizioni naturali, contengono acqua che può essere captata. La permeabilità di un mezzo può essere misurata e indicata da un coefficiente K di permeabilità elaborato da Darcy nel 1858. Q = K S ∆h/l (Legge di Darcy) La legge di Darcy si riferisce a un sistema in cui l’acqua, almeno a grande scala defluisce con moto laminare, in un mezzo omogeneo e isotropo. Indicativamente i valori di k in relazione alla granulometria sono i seguenti : K > 10 –2 m/sec per le ghiaie 10 – 2 > K > 10 – 4 m/sec per le sabbie 10 – 4 > K > 10 – 9 m/sec per i limi K < 10 –9 m/sec per le argille GLI ACQUIFERI E LE FALDE Per poter valutare la presenza di acqua estraibile è necessario conoscere, oltre alla stratigrafica puntuale del sito, anche il modello litostratigrafico di un’area e quindi poter valutare la presenza di un “acquifero”. Il geologo ricava i dati necessari per una ricostruzione litostratigrafica del sottosuolo o attraverso indagini geognostiche, o attraverso dati bibliografici ( es. carte delle isofreatiche, stratigrafie di pozzi presenti nell’area, ecc…). L’acquifero è un livello litologico o più livelli litologici con caratteristiche di permeabilità tali da poter sostenere la circolazione idrica. L’acquifero è una struttura fisica definita e ben limitata dalla spazio. Falda Acquifero Soggiacenza Livello impermeabile Fig. n. 7 Esempio di acquifero. L’esempio tipico di un acquifero è quello di una terra impermeabile ( es. argilla indicata in blu) sovrastato da una sabbia o da una sabbia ghiaiosa ( indicata nei colori azzurro e marrone). L’acqua, nel momento in cui si infiltra nel terreno, si distribuirà nella sola sabbia (in azzurro) in quanto l’argilla è impermeabile. In questo modo si creano le condizioni morfologiche per la presenza di una falda e il mezzo solido che la contiene è l’acquifero. Gli acquiferi, a seconda del mezzo che li contengono possono essere: Acquiferi porosi: se il terreno è costituito da terreni sciolti o rocce sedimentarie poco cementate ( caso di un deposito alluvionale ). Acquiferi fessurati: se l’acquifero ha sede in rocce dove la fessurazione è tale che vi siano canali tra loro interconnessi ( caso di un massiccio carbonatico). Acquiferi a permeabilità mista: nel caso di rocce in cui accanto alla fessurazione vi è anche una permeabilità per porosità ( Es. arenarie o travertini). Utilizzando un’analogia estremamente immediata si può dire che, se l’acquifero è il contenitore, la falda è il contenuto e quest’ultimo ci può essere solo se viene alimentato. L’alimentazione di una falda è legata al “ciclo dell’acqua” ossia al percorso dell’acqua ( intesa sia come vapore che come fase liquida) negli ambienti terrestri. E’ noto infatti che l’acqua evapora dagli oceani e dai mari, forma le nuvole le quali rilasciano le piogge. A sua volta, la pioggia in parte ruscella e va ad alimentare i fiumi che arrivano al mare ed in parte si infiltra nel sottosuolo. Fig. n. 8 : Rappresentazione schematica del ciclo dell’Acqua. Il ciclo dell’acqua si può rappresentare con una equazione. P=E+R+I Dove P indica il quantitativo delle precipitazioni che deve essere uguale alla somma della quantità d’acqua che subisce il processo di evaporazione e traspirazione, dell’acqua che ruscella e di quella che si infiltra. I fattori E, R e I dipendono fortemente dalle condizioni ambientali quali ad esempio il tipo di vegetazione, la tipologia del suolo, la pendenza, l’intensità e durata delle piogge. Le falde contenute in acquiferi porosi solitamente sono caratterizzate da una superficie piezometrica e da una direzione di deflusso. La superficie piezometrica è la superficie che rappresenta il l’equilibro idrostatico tra la l’acqua contenuta nella falda e la pressione atmosferica. La direzione di deflusso è invece la direzione verso cui si muove la falda. Nel caso di una falda libera, la superficie piezometrica e il limite superiore della falda coincidono e sono libere di muoversi a seconda dell’alimentazione. Superficie piezometrica e limite superiore della falda Fig. n. 9 Esempio di falda libera. Nell’esempio di fig. 9 è rappresentata una falda libera. Attraverso una misurazione freatimetrica si rileva la “soggiacenza” ossia la distanza tra il piano campagna (situato a quota 125 m s.l.m.) e la falda che nel caso in esame è di 5 metri. Pertanto la quota a cui si trova la falda è di 120 m s.l.m. Questa quota può variare durante l’anno e da un anno all’altro a seconda dell’alimentazione della falda identificando un periodo di magra e un periodo di piena che per le falde della Pianura Padana sono rispettivamente in inverno ed in estate (magra) e in primavera e autunno. Una falda può essere delimitata oltre che al letto, anche al tetto da un livello impermeabile. In questo caso si parla di “falda in pressione” se la superficie piezometrica è più alta del livello di tetto; falda semiconfinata se invece è più bassa ( vedi fig. n. 10). Un pozzo che intercetti una falda in pressione con superficie piezometrica più alta del piano campagna è detto “pozzo artesiano” mentre se la superficie piezometrica è più bassa del piano campagna è chiamato semplicemente “pozzo risalente”. A B Fig. n. 10 Situazione in cui è descritta la presenza di due falde: la falda superiore è una falda libera ( la cui superficie piezometrica è indicata in viola); quella inferiore è una falda in pressione (o imprigionata). I pozzi “A” e B” intercettano la falda imprigionata e danno luogo rispettivamente ad un pozzo “risaliente” e ad un pozzo “artesiano” o “zampillante”. Tra gli acquiferi più importanti e più studiati, vi è certamente la Pianura Padana che è costituita da depositi alluvionali di grande vastità sulle cui origini geologiche abbiano già fatto cenno. La porzione di Pianura Padana, più prossima al Sudalpino, è costituita prevalentemente da ghiaie sabbiose e ghiaie e sabbie e costituisce un’unità idrogeologica nota con il nome di Acquifero Indifferenziato in quanto è sede di un’unica falda estremamente potente in termini di spessori e di portata d’acqua ma anche di elevata vulnerabilità. La superficie freatica presente nel materasso alluvionale ghiaioso ha una pendenza maggiore della superficie morfologica e necessariamente le due superfici vengono ad intersecarsi. Contemporaneamente proseguendo da nord a sud aumentano in frequenza e spessore i termini granulometrici più fini costituiti da limi e argille. Nella porzione di territorio in cui la superficie freatica interseca la superficie di piano campagna si ha la venuta a giorno della falda con la creazione della di “Linea delle Risorgive” o più propriamente della “Fascia delle Risorgive”. Oltre la Linea delle Risorgive, laddove limi e argille diventano abbondanti, si ha invece un sistema di falde sovrapposte. Le risorgive, nella maggior parte dei casi, così come oggi le vediamo, sono sì il prodotto della situazione che abbiamo descritto ma anche il frutto dell’azione umana. Infatti l’uomo ha cercato di sfruttare le risorgive approfondendole e allungandone il percorso. La risorgiva nel punto dove nasce è solitamente una zona ribassata del terreno da cui sgorga acqua. Ampliando l’area e abbassandola si può ottenere una maggiore portata. Fig. n. 11 Sezione schematica della Pianura Padana. Fig. n. 12: Distribuzione della fascia delle Risorgive nella Pianura Padana Fig. n. 13 Tratto di risorgiva nel Fiume Tartaro nei pressi del Dosso Poli ( Povegliano V.se) Fig. n. 14: Esempio di risorgiva in Piemonte Gli acquiferi fessurati sono rappresentati in maniera predominante da acquiferi carbonatici costituiti da calcari e dolomie. Si tratta di acquiferi in cui l’acqua scorre attraverso microfratture e macrofratture. Nella maggior parte dei casi, la porosità primaria è scarsa mentre è più importante quella secondaria (es. fratture di origine tettonica). Le fratture, nel caso di massicci carbonatici sono allargate da fenomeni carsici, generando talora caverne e cunicoli in cui l’acqua scorre con regime turbolento. Nelle falde in acquiferi fessurati si riconosce solitamente una linea di base ossia il livello minino al quale sgorga l’acqua. La variabilità della portata di una falda in acquifero fessurato è molto più elevata rispetto ad una falda in acquifero fessurato. Fig. n. 15. Esempio di circolazione in roccia fratturata Nella figura n. 16 è rappresentata in modo schematico la circolazione dell’acqua in un massiccio calcareo. Si individua un epicarso, ossia un’area superficiale oggetto di carsismo in cui hanno sede di fenomeni di infiltrazione delle acque. Si ha quindi una zona di percolazione o di trasferimento verticale in cui il flusso d’acqua è legato esclusivamente ad eventi piovosi ed il flusso è verticale. Proseguendo in profondità si individua la zona freatica (che costituisce la falda) costantemente occupata dall’acqua e con flusso prevalentemente orizzontale. Fig. n. 16 Esempio di circolazione in massiccio calcareo interessato da carsismo L’acqua, all’interno di un massiccio carbonatico più muoversi anche in pressione e quindi vi possono essere movimenti anche verso l’alto. La zona di transizione o epifreatica è una zona intermedia in cui, in particolari occasioni di piena, l’acqua può essere presente. In un sistema carsico, vi sono solitamente uno o più punti di emergenza concentrati in una zona ed a quote simili. La quota della inferiore delle sorgenti prende il nome di livello idrologico di base. LETTURA DI UNA CARTA DELLE ISOFREATICHE La relazione idrogeologica è solitamente accompagnata da carte delle isofreatiche ed è importante conoscerne il significato. Su una base cartografica quotata vengono disegnate con una diversa grafia delle linee aventi a lato un valore di quota assoluta. Queste linee dette isofreatiche uniscono i punti in cui la falda ha la stessa quota espressa in metri s.l.m. La lettura delle isofreatiche è del tutto analoga alle isoipse di una carta geografica e permette di individuare la direzione di deflusso della falda, la presenza di spartiacque sotterranei, le zone di emungimento e di infiltrazione. Nell’esempio riportato (che non rappresenta la morfologia del terreno) si possono osservare diverse situazioni: • Sul margine sinistro con i numeri 105, 100, 95, ecc… sono indicate le quote della falda da intendersi s.l.m.; • E’ individuato a sinistra un fiume che drena la falda ossia la portata del torrente è alimentata dalla falda; • L’altro fiume, per la maggior parte del suo percorso alimenta la falda; • Si individua uno spartiacque piezometrico ossia una situazione per la quale le acque che fluiscono a sinistra non hanno alcun rapporto con quelle a destra; • Si individuano zone di ricarica e zone di drenaggio. Fig. 17: Esempio di carta delle isofreatiche ( non è rappresentata la morfologia del terreno). La superficie piezometrica può essere modificata anche da cause non naturali quali emungimenti da pozzi o da immissioni di fluidi. Nel momento in cui si attiva un sistema di pompaggio, a seguito del richiamo d’acqua, la superficie piezometrica viene depressa per una certa distanza e in modo diverso a monte e a valle del pozzo. Si identifica pertanto una zona di influenza e una zona di richiamo. LA CURVA CARATTERISTICA DEL POZZO Quando si mette in funzione un pozzo e si pratica l’emungimento della falda, la superficie freatica si deprime con una forma pressochè conica. Le dimensioni della depressione dipendono da : Portata del prelievo; Valori di permeabilità dell’acquifero. Si individua inoltre il raggio di influenza ossia in raggio della depressione che, per approssimazione si assume circolare. Fig. n. 18: Cono di depressione. Nell’esempio l’emungimento dal pozzo centrale ha depresso la falda tanto che i pozzi limitrofi, molto meno profondi, si sono prosciugati. L’abbassamento della superficie inizia nel momento stesso in cui comincia l’attingimento e, se si mantiene costante Q, dopo un certo tempo il cono di depressione si stabilizza. La teoria di Dupuit (1863) prevede che con un emungimento prolungato con Q costante, dopo un certo lasso di tempo si stabilizza un cono di depressione e il sistema torna ad essere in equilibrio. La teoria di Dupuit è valida sia per le falde in pressione che per le falde libere. Per ogni pozzo è possibile costruire la “curva caratteristica”. Si inizia con l’emungere una certa portata Q1 fino alla situazione di equilibrio che corrisponde ad un abbassamento H1. Quindi si aumenta la portata a Q2 a cui corrisponderà un abbassamento H2. Si prosegue con queste modalità fino alla costruzione di una curva che, per una prima parte è assimilabile ad una retta mentre dopo in punto detto “critico” ha andamento parabolico. Se sotto il punto critico vi è una proporzionalità tra portata ed emungimento, al di sopra di questo limite piccoli aumenti in Q generano sproporzionati aumenti nell’abbassamento della falda. Per tale motivo è opportuno che le portate di esercizio di un pozzo siano ben al di sotto di quella identificata come “punto critico”. Un altro possibile effetto dell’emungimento di un pozzo è la subsidenza del terreno. Questa possibilità si verifica nel caso si vada ad intercettare una falda attraverso terreni fini quali argille o limi. Quando l’acqua viene pompata da un pozzo la superficie piezometrica si deprime. Ciò può essere causa di due fenomeni distinti. Da una parte si può avere un decremento nell’acqua contenuta nelle argille stesse e quindi una riduzione del volume del materiale. Dall’altra la riduzione della pressione idrostatica dei pori può essere causa di un aumento dello stress da sovraccarico negli strati superiori. Pertanto, nel caso dei terreni sopra descritti in corrispondenza della riduzione della superficie freatica, determinati tipi di argille possono consolidarsi, ridursi di volume e quindi abbassare il piano campagna generando problemi di carattere statico nelle strutture eventualmente esistenti. CONCLUSIONI Questo breve foglio, non ha certamente la pretesa di poter essere esaustivo circa l’idrogeologia e la situazione della Pianura Padana ma vuole essere solo il punto di partenza per la comprensione e la lettura della Relazione Idrogeologica allegata alle opere di emungimento. Per tale motivo si è scelto di commentare brevemente da un punto di vista geologico le tipologie di rocce e terre e quindi presentare con maggior attenzione gli acquiferi e le rocce. Si ritiene di fondamentale importanza la lettura delle carte delle isofreatiche in quanto le stesse forniscono con immediatezza le principali informazioni sulle falde.