PERIODICO UFFICIALE DELL’A.N.T.I. – ASSOCIAZIONE NAZIONALE TRIBUTARISTI ITALIANI Direttore Responsabile Dott. MARIO NOLA Comitato di Redazione Avv. CLAUDIO BERLIRI Prof. Avv. IVO CARACCIOLI Prof. ANDREA CARINCI Prof. Avv. VALERIO FICARI Dott. PAOLO GAETA Dott. ROBERTO LUNELLI Prof. STELIO MANGIAMELI Prof. Avv. GIANNI MARONGIU Prof. Avv. FRANCESCO MOSCHETTI Avv. ALESSANDRO PALASCIANO Prof. Avv. FRANCO PAPARELLA Prof. Avv. GAETANO RAGUCCI Prof. Avv. SALVATORE SAMMARTINO Prof. Avv. FRANCESCO TESAURO Prof. Avv. MARCO VERSIGLIONI Redazione Piazza del Liberty, 8 - 20121 Milano e-mail: [email protected] sito internet: www.associazionetributaristi.it Anno IX • n. 1/2016 Periodico Quadrimestrale Registrato presso il Tribunale di Milano il 24/4/2008 con il n. 266 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1, Comma 2 - DCB Roma Service Provider: Register.it - Viale Giovine Italia, 17 - Firenze sito internet: www.associazionetributaristi.it Autorizz. Ministero delle Telecomunicazioni n. 243 del 28/01/1997 Impaginazione e Stampa Mengarelli Grafica Multiservice Via Cicerone, 28 - 00193 Roma CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO DOTTRINA • LEGISLAZIONE • GIURISPRUDENZA • CONVEGNI ED ATTIVITÀ ANTI ANTI - CONSIGLIO NAZIONALE PRESIDENTE EMERITO Prof. Dott. Mario Boidi, Torino PRESIDENTE Prof. Avv. Gianni MARONGIU, Genova VICE PRESIDENTI Dott. Roberto LUNELLI (con funzioni di Presidente Vicario), Udine Dott. Riccardo ALBO, Ancona Avv. Pasquale IMPROTA, Napoli SEGRETARIO GENERALE E TESORIERE NAZIONALE Dott. Pietro MASTRAPASQUA, Roma CONSIGLIERI NAZIONALI Avv. Andrea BODRITO Prof. Dott. Giovanni COSSU Prof. Dott. Enrico FAZZINI Avv. Edoardo FERRAGINA Prof. Avv. Gianfranco GAFFURI Dott. Carlo DEIDDA GAGLIARDO Prof. Salvatore SAMMARTINO Dott. Michele IORI Dott. Roberto LUNELLI Avv. Mario MARTELLI Prof. Avv. Francesco MOSCHETTI Prof. Avv. Salvatore MUSCARÀ Dott. Marco PREVERIN Prof. Avv. Gaetano RAGUCCI Dott. Ernesto RAMOJNO Prof. Dott. Francesco ROSSI RAGAZZI Prof. Avv. Marco VERSIGLIONI Dott. Massimiliano TASINI Presidente Sezione Liguria Presidente Sezione Campania Presidente Sezione Toscana Presidente Sezione Calabria Presidente Sezione Lombardia Presidente Sezione Sardegna Presidente Sezione Sicilia Occidentale Presidente Sezione Trentino Alto Adige Presidente Sezione Friuli Venezia Giulia Presidente Sezione Emilia Romagna Presidente Sezione Veneto Presidente Sezione Sicilia Orientale Presidente Sezione Puglia Presidente Sezione Provinciale Como Presidente Sezione Piemonte-Valle D’Aosta Presidente Sezione Lazio Presidente Sezione Umbria Presidente Sezione Marche-Abruzzo FONDATA NEL 1949 Sede Legale: Viale delle Milizie, 14 • 00192 Roma Segreteria Nazionale: Viale delle Milizie, 14 • 00192 Roma • Tel. 06.3215084 • Fax 06.32507485 Sito Internet: www.associazionetributaristi.it • E-mail: [email protected] Sommario CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO RECENTI MODIFICHE E ULTERIORI PROPOSTE “Perché questa scelta e perché questo tema” di Claudio Berliri 3 DOTTRINA • Reclamo e mediazione: la definizione preventiva delle controversie tributarie dopo le modifiche introdotte dal decreto legislativo 156 del 2015 di Pietro Selicato • Istituti del reclamo e della conciliazione: le nuove regole 5 17 di Santa Pierro • Il contraddittorio nel processo tributario 26 di Nicola Durante • Ampliamento delle difese personali 31 di Giovanni Moschetti • La “nuova” tutela cautelare di Pasquale Amodio 34 • La esecutività delle sentenze delle commissioni tributarie di Saverio Belviso con “postilla” a cura di Roberto Lunelli 41 • La necessaria ed urgente riforma della giustizia tributaria di Maurizio Villani 44 • Utilizzo di documenti falsi e sanzioni penali 47 di Lorenzo Imperato • Omessa dichiarazione, “esterovestizione”, nuovo concetto di “inesistenza”: riflessi internazionali della riforma di Ivo Caraccioli 59 • Principio di specialità in tema di sanzioni e crisi del doppio binario 63 di Manlio Ingrosso • Oltre il sistema del “doppio binario” di Arturo Toppan 73 LEGISLAZIONE • Decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156 84 • Decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 94 • Decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 108 GIURISPRUDENZA • Rassegna di Giurisprudenza a cura di Roberto Lunelli 119 CONVEGNI ED ATTIVITÀ ANTI 125 PERCHÉ QUESTA SCELTA E PERCHÉ QUESTO TEMA “L inadeguatezza del contenzioso tributario ed i rapporti tra sanzioni amministrative e sanzioni penali, oggetto del cosiddetto doppio binario, sono da anni all’attenzione della dottrina tributaria e del legislatore. Quest’ultimo, come ben noto, ha promulgato dapprima la legge delega 11 marzo 2014 n. 23 e successivamente i decreti legislativi 24 settembre 2015 nn. 156 e 158, che hanno modificato, rispettivamente, il D.L.vo n. 546 del 31.12.1992 – che disciplina il contenzioso tributario e gli strumenti deflattivi – ed il D.Lgs. n. 74 del 2000, relativo alle sanzioni penali ed al doppio binario. L’ANTI ha ritenuto opportuno costituire due Sottocommissioni di studio per esaminare la nuova normativa e formulare critiche e proposte. Questo numero di è il frutto del lavoro svolto dai componenti dei due gruppi di studio. Per quanto concerne le modifiche relative al Contenzioso Tributario, valga quanto esposto nei primi otto articoli di questa Rivista. In particolare le nuove regole relative all’istituto del reclamo/mediazione e della conciliazione giudiziale formano oggetto delle relazioni del prof. Pietro Selicato, dell’Università La Sapienza di Roma e della dott.ssa Santa Pierro, funzionario dell’Agenzia delle Entrate, che ha anche partecipato al Convegno dell’ANTI del 14 dicembre 2015. E le loro ampie e argomentate considerazioni assumono particolare rilievo, in quanto rappresentano il punto di vista rispettivamente dell’ANTI e dell’Amministrazione finanziaria. Il Consigliere Nicola Durante, magistrato amministrativo e giudice tributario, ha affrontato il tema – di grande attualità anche a livello europeo – del contraddittorio sia in sede di accertamento sia, ed ancor più, nel corso del processo, nonché gli effetti del processo stesso nei confronti di chi non vi abbia potuto partecipare. L’avv. Giovanni Moschetti ha preso in esame il nuovo art. 12 del D.L.vo n. 546 del 1992, come modificato dal D.L.vo n. 156 del 2015, relativamente alla assistenza tecnica del contribuente di fronte alle Commissioni Tributarie. L’avv. Moschetti ha rilevato che con il nuovo art. 12 è stata estesa la categoria dei soggetti che possono rappresentare i contribuenti dinanzi alle Commissioni Tributarie, consentendo tale facoltà anche ai dipendenti dei CAF e delle relative società di servizi, in possesso di diploma in giurisprudenza o in economia ed equipollenti o diploma in ragioneria e della relativa abilitazione professionale. Tale ampliamento, peraltro, non appare giustificato e comunque certamente non necessario, e l’avv. Moschetti giustamente si chiede se l’ampliamento della categoria dei difensori costituisce una maggior tutela dei contribuenti, ovvero un semplice riguardo nei confronti di professionisti meno qualificati di quelli già legittimati. L’avv. Pasquale Amodio ha affrontato il tema della nuova tutela cautelare nel corso del processo tributario, ed in particolare l’estensione della tutela stessa anche al giudizio di secondo grado e a quello di cassazione. Tale estensione appare senz’altro opportuna, ma i costi ed i rischi di tale estensione sono certamente notevoli e in taluni casi non giustificati. L’avv. Saverio Belviso – docente presso la LUM Jean Monnet – ha preso in esame le modifiche apportate alla esecutività delle sentenze delle Commissioni Tributarie. Il legislatore ha infatti esteso anche nei confronti del contribuente l’esecutività delle sentenze ancorché non ancora passate in giudicato, peraltro prevedendo che il rimborso di somme dovute a seguito di sentenze favorevoli al contribuente non ancora passate in giudicato possa essere subordinato dal giudice alla prestazione di idonea garanzia (per effetto di una “disposizione transitoria” che, secondo il Dott. Roberto Lunelli è stata interpretata dall’Agenzia delle Entrate senza considerare la legge delega). Infine l’avv. Maurizio Villani ha ribadito la necessità di una riforma complessiva della giustizia tributaria, ed ha brevemente illustrato la proposta di legge n. 3734 dell’8 aprile 2016 che prevede la soppressione delle Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali e l’istituzione di sezioni specializzate tributarie presso i Tribunali e le Corti d’Appello ordinarie. Ha inoltre evidenziato le ulteriori opportune modifiche legislative che dovrebbero essere apportate, ed in particolare l’affidamento della gestione ed organizzazione della giustizia tributaria non più al Ministero dell’Economia e delle Finanze, ma alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, la necessità di giudici tributari a tempo pieno e professionalmente competenti, con un trattamento economico adeguato. E tali considerazioni sono state formalizzate dall’avv. Villani in un disegno di legge già presentato in Parlamento. I successivi quattro articoli di questo fascicolo prendono in esame le modifiche apportate dal D.Lgs. n. 158/2015 alla normativa penale tributaria di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, ed al problema del doppio binario tra processo tributario e processo penale. L’avv. Lorenzo Imperato ha analizzato il problema dell’utilizzo di documenti falsi e delle relative sanzioni penali. Il prof. Ivo Caraccioli ha affrontato le problematiche relative alla omessa dichiarazione, alla esterovestizione ed ai concetti di fittizietà ed inesistenza di operazioni fiscalmente rilevanti. Infine il principio del doppio binario tra giurisdizione tributaria e giurisdizione penale ha formato oggetto degli studi degli avv.ti Manlio Ingrosso e Arturo Toppan, che concludono gli interventi dottrinari contenuti nel presente fascicolo. Mi auguro fermamente che le argomentazioni esposte da tutti gli autori, e le proposte formulate possano trovare accoglimento non soltanto da parte dell’ANTI, ma anche della migliore dottrina, della magistratura ed essenzialmente del Parlamento. Nella Sezione relativa alla legislazione abbiamo riportato, per comodità del lettore, i testi delle norme di legge oggetto del presente fascicolo, ed in particolare la nuova normativa – relativa al giudizio tributario, alle sanzioni penali/tributarie ed al doppio binario – di cui ai decreti legislativi nn. 156 e 158/2015, nonché il D.L. 10/3/2000 n. 74, come modificato del D.L.158 del 2015. Infine nel settore relativo all’attività dell’ANTI, abbiamo indicato tutti i convegni organizzati dalle varie Sezioni dell’ANTI nel primo semestre del 2016, nonché quelli previsti e programmati per i prossimi mesi del corrente anno. Claudio Berliri CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO DOTTRINA Reclamo e mediazione: la definizione preventiva delle controversie tributarie dopo le modifiche introdotte dal decreto legislativo 156 del 2015 di Pietro Selicato 1. Premessa L’art. 17-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (aggiunto dall’art. 39 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 convertito nella legge 15 luglio 2011, n. 111) ha introdotto nel processo tributario la disciplina del “reclamo e mediazione”, allo scopo di favorire la definizione stragiudiziale delle liti di valore inferiore a ventimila euro. L’Agenzia delle entrate ha subito considerato il nuovo istituito uno strumento prioritario ai fini del contenimento del numero delle liti tributarie, il cui valore si colloca in gran parte al disotto del limite dei ventimila euro1. In questa ottica, l’Agenzia ritiene che la procedura de quo sia “sostanzialmente finalizzata a evitare il rinvio ai giudici tributari delle contestazioni che possono essere risolte in sede amministrativa, attraverso un esame volto ad anticipare l’esito ragionevolmente atteso del giudizio, tenuto conto della situazione di fatto e di diritto sottesa alla singola fattispecie”2 . Tuttavia, il procedimento di reclamo-mediazione ha alimentato immediatamente un ampio dibattito in dottrina3 dal quale emersi all’interno della stesura originaria dell’art. 17-bis profili di illegittimità costituzionale che 1 Del resto, la stessa relazione al disegno di legge di conversione del D.L. n. 98/2011 individuava lo scopo dell’istituto nell’introdurre “un efficace rimedio amministrativo per deflazionare il contenzioso relativo ad atti di valore non elevato emessi dall’Agenzia delle entrate”. 2 Circ. n. 9/E del 19 marzo 2012, in cui sono forniti chiarimenti sulla nuova procedura. 3 Senza alcuna pretesa di completezza, si segnalano Basilavecchia M., Reclamo, mediazione fiscale e definizione delle liti pendenti, in Corr. Trib. n. 31/2011, pag. 2494; Glendi C., Nuova chiusura delle liti pendenti tra ‘specificazione’ della ‘vecchia’ disciplina e futura ‘mediazione’ fiscale, in Corr. Trib. n. 43/2011, pag. 3575; Cantillo G., Manovra correttiva (D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito) – Il reclamo e la mediazione tributaria: prime riflessioni sul nuovo art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992, in Il Fisco, 31 / 2011 - parte 1, p. 4997; Pistolesi F., Il reclamo e la mediazione nel processo tributario, in Rass. trib., 2012, pag. 65; Glendi C., Tutela cautelare e mediazione tributaria, in Corr. Trib. n. 12/2012, pag. 845; Basilavecchia M., Instaurazione del giudizio con il ricorso/reclamo, ivi n. 19-2012, pag. 1454; Marini G., hanno formato oggetto di rinvio alla Corte Costituzionale da parte di numerose Commissioni Tributarie4. Allo scopo di superare le criticità sottoposte all’esame della Corte Costituzionale e prima ancora che questa si pronunciasse sulla questione, l’art. 17-bis è stato modificato con l’art. 1, comma 611, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per l’anno 2014). Il decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156, emanato in attuazione della legge delega 11 marzo 2014, n. 23, è tornato nuovamente a modificare l’art. 17-bis nel quadro di una più ampia revisione della complessiva disciplina del contenzioso tributario. Il D.Lgs. n. 156/2015 è intervenuto sull’art. 17-bis estendendo l’applicabilità dell’istituto a tutte le liti aventi ad oggetto tributi, inclusi quelli locali e quelli gestiti dalle Agenzie delle Dogane e dei Monopoli, nonché alle controversie in cui sono chiamati in causa agenti della riscossione e concessionari locali. È stata inoltre prevista l’estensione della conciliazione giudiziale di cui all’art. 48 del D.Lgs. n. 546/92 al giudizio di appello ed ai casi soggetti al procedimento di “reclamo-mediazione”, dai Profili costituzionali del reclamo e della mediazione, ivi n. 12/2012, pag. 853; Carinci A., La riscossione provvisoria e l'acquiescenza dopo l'introduzione del reclamo, ivi n. 11/2012, pag. 775; Corasaniti G., Trattazione dell'istanza, accordo e perfezionamento della mediazione, ivi, pag. 1441; Guidara A., Stevanato D., Lupi. R., Mediazione fiscale: un provvedimento improvvisato su una strada giusta, in Dialoghi Tributari, n. 1-2012, p. 92; Sbroiavacca A., Stevanato D., Lupi R. Reclamo-mediazione: gli scoordinamenti sistematici di un istituto apprezzabile in Dialoghi Tributari, n. 3-2012, p. 284; Carinci A., Perduranti profili di criticità della presentazione del reclamo, in Corr. Trib., n. 37-2012, p. 2877; Giovannini A., Giurisdizione tributaria condizionata e reclamo amministrativo, in Riv. trim. dir. trib., 2012, pag. 914; Id., Reclamo e mediazione tributaria: per una riflessione sistematica, in Rass. trib., 2013, 52 ss.; Ficari V., Possibili scenari futuri per la mediazione tributaria, in Corr. Trib., n. 40-2013, p. 3187; D'Ayala Valva, F., La Corte costituzionale preannuncia le ragioni di illegittimità costituzionale della mediazione tributaria, in Riv. dir. trib., 2013, II, pag. 94. 4 Comm. Trib. Prov. Perugia, Ord. 7 febbraio 2013, n. 18; Comm. Trib. Prov. Campobasso, Ord. 17 aprile 2013, n. 75 e Comm. Trib. Prov. Perugia, Ord. 1° febbraio 2013, n. 18. 5 6 DOTTRINA quali in precedenza era esclusa. Infine, le sanzioni applicabili ai casi definiti con la mediazione tributaria sono passate dal 40% al 35%. Sono rimasti immutati, invece, due aspetti che avevano suscitato forti critiche subito dopo l’introduzione dell’istituto. Da un lato, non è stato elevato il limite massimo di 20 mila euro del valore delle liti alle quali lo stesso trova applicazione. Inoltre, non è stata apportata alcuna modifica alla figura del “mediatore”, che resta attribuita ad un ufficio dello stesso ente impositore, benché diverso da quello che ha emesso l’atto impugnato, lasciando aperte tutte le problematiche riguardanti l’indipendenza dell’organo di mediazione sollevate all’indomani dell’entrata in vigore dell’articolo 17-bis. 2. Il testo originario dell’art. 17-bis del D.LGS. n. 546 del 1992 Il reclamo disciplinato dall’art. 17-bis si è distinto subito dagli altri istituti deflativi del contenzioso tributario per il suo carattere obbligatorio e per il fatto che ad esso si accompagna la possibilità di affiancare all’atto di opposizione una proposta di mediazione. Nella sua prima versione, per altro, l’art. 17-bis prevedeva la presentazione del reclamo come “condizione di ammissibilità del ricorso, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio”. L’applicazione dell’istituto era inoltre circoscritta agli “atti emessi dall’Agenzia delle Entrate” e non prevedeva alcun meccanismo di sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato prima del termine entro il quale doveva essere conclusa la procedura di reclamo-mediazione né l’applicazione delle norme sulla sospensione feriale dei termini processuali. Questi aspetti hanno giustificato il rinvio della sua norma istitutiva alla Corte Costituzionale per una serie di motivazioni: a) violazione dell'art. 24 della Costituzione (diritto di agire in giudizio e inviolabilità del diritto di difesa), a causa della previsione della sanzione di inammissibilità del ricorso per la omessa presentazione del reclamo, nonché degli artt. 3 (principi di uguaglianza e ragionevolezza) e 113 (divieto di limitare la tutela giurisdizionale contro gli atti della P.A. per determinate categorie di atti); b) violazione degli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione a causa dell’impossibilità di richiedere la sospensione giudiziale dell’esecuzione dell’atto impugnato prima del termine della procedura di reclamo/mediazione; CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO c) violazione dell’articolo 3 della Costituzione in quanto, essendo l’istituto del reclamo applicabile solo ai tributi imposti dall’Agenzia delle Entrate e non anche ai tributi provenienti da altri Enti impositori, comprimerebbe il livello di tutela dei contribuenti destinatari di avvisi di accertamento aventi ad oggetto tributi imposti dal primo ente; d) violazione dell’articolo 111 della Costituzione, in relazione all’eccessiva dilatazione dei tempi di introduzione del giudizio e, quindi, di definizione della controversia in tempi ragionevoli; e) violazione dell'articolo 4 della direttiva n. 2008/52/CE, che prevede il requisito dell’imparzialità dell’organo della mediazione. Le censure attinenti al pregiudizio del diritto di difesa subito dal contribuente per effetto della mancata proposizione del reclamo apparivano fondate, in quanto la mancata osservanza delle articolate procedure di reclamo avrebbe comportato l’inammissibilità insanabile del ricorso e, contestualmente, stante la natura impugnatoria del processo tributario, la definitività dell’atto impositivo. Va rammentato, del resto, che già nel passato meno recente la Corte Costituzionale, pronunciandosi in casi analoghi5, ha sancito l’illegittimità delle norme che attuano un differimento o una compressione della facoltà di azionare i diritti soggettivi non giustificati da precise esigenze di carattere generale e in particolar modo dove siano previste altre figure e/o procedure che possano conseguire il medesimo risultato. Nel caso del reclamo-mediazione questa situazione si verifica in pieno poiché il nuovo istituito si è aggiunto ai numerosi strumenti già esistenti nell’ordinamento (invito al contraddittorio, autotutela, procedimento di adesione, conciliazione giudiziale). Ma anche in epoca meno remota e nel contesto delle riformate commissioni tributarie la giurisprudenza di legittimità ha censurato forme di differimento della tutela giurisdizionale dei diritti del contribuente che, pur essendo ispirate a fini deflativi, finivano per ritardare l’avvio del processo e con esso l’accesso alla tutela cautelare6. 5 Sentenze n. 641 del 1972 in materia di imposta sulle società e n. 360 del 1994 relativa all'imposta sugli spettacoli. 6 La Suprema Corte, sentenze nn. 9113/2001 e 13506/2003), stabilì, con riferimento ai ricorsi contro i ruoli formati dai soppressi Centri di servizio delle imposte dirette (soggetti al complicato meccanismo di riesame preventivo previsto dal D.P.R. n. 787/1980), che il contribuente potesse avere accesso al giudice tributario anche prima dello spirare del termine dilatorio (allora semestrale) previsto per il riesame da parte del Centro di servizio. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO 3. Le modifiche apportate dalla legge di stabilità per il 2014 e il successivo intervento della Corte Costituzionale Allo scopo di superare le numerose obiezioni mosse alla sua versione originaria, l’articolo 17-bis è stato modificato con l’art. 1, comma 611, della L. 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per l’anno 2014). Invero, già prima della modifica del testo originario dell’art. 17-bis, comma 2 – che sanciva l’inammissibilità del ricorso non preceduto dal reclamo – una certa giurisprudenza tributaria di merito7, unitamente a parte della dottrina8 tendeva ad interpretare la norma in senso restrittivo proprio al fine di evitarne una lettura potenzialmente lesiva del diritto di difesa (art. 24 Costituzione). Secondo questo orientamento, poiché la norma stabiliva quale condizione di ammissibilità soltanto la previa presentazione del reclamo, veniva considerato ammissibile il ricorso prodotto al giudice tributario anche prima che fosse trascorso il termine di 90 giorni entro cui deve perfezionarsi la procedura di reclamo e mediazione. In pratica, la “presentazione” del reclamo veniva considerata, in base ad una interpretazione letterale del secondo comma del citato art. 17-bis, quale unica condizione di ammissibilità prevista dalla norma, non dovendosi considerare tale anche il previo decorso del termine di 90 giorni. Tale interpretazione era inoltre in linea con il principio - affermato anche dalla Cassazione9 - che impone un prudente apprezzamento delle norme sull'inammissibilità degli atti giudiziali, al fine di giungere ad una pronuncia sul merito del rapporto oggetto di causa. Per effetto delle modifiche apportate dalla L. n. 147/2013, la presentazione del reclamo (o istanza di mediazione) è divenuta mera condizione di procedibilità del ricorso e non più di ammissibilità del ricorso e il comma 2 dell’articolo 17-bis del d.lgs. n. 546/1992 ha stabilito che “l’Agenzia delle entrate, in sede di rituale costituzione in giudizio può eccepire l’improcedibilità del ricorso e il Presidente della Commissione, se rileva l’improcedibilità, rinvia la trattazione per consentire la mediazione”. Comm. Trib. Prov. Reggio Emilia, Sez. III, 30 maggio 2013, n. 125. questi termini Turchi A., Reclamo e mediazione nel processo tributario, in Rass. Trib. n. 4-2012, p. 898. 9 SS.UU., 24 luglio 2013, n. 17931. 7 8 In DOTTRINA Con lo stesso provvedimento di legge (art. 1, comma 611, lett. a), n. 4), che ha inserito il comma 9bis all’interno dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546/92) è stata prevista, inoltre, la sospensione ex lege della riscossione e del pagamento delle somme dovute in base all’atto impugnato in pendenza del procedimento di mediazione10 e sono state rese espressamente applicabili anche al termine di 90 giorni entro il quale deve concludersi il procedimento di mediazione le disposizioni per il computo dei termini e la sospensione nel periodo feriale di cui alla legge 7 ottobre 1969, n. 742. Non trascurabile, inoltre, è anche la modifica (contenuta nella stessa norma) che attribuisce effetto alla mediazione anche sui contributi previdenziali e assistenziali la cui base imponibile è riconducibile a quella delle imposte sui redditi e che esclude l’aggravio di sanzioni e interessi per i contributi previdenziali e assistenziali determinati in sede di mediazione. Alle modifiche apportate dalla legge di stabilità si è sovrapposta la sentenza 9-16 aprile 2014, n. 98, della Corte costituzionale che ha consentito di attenuare, almeno in parte, i residui profili di incostituzionalità della disciplina reclamo-mediazione ante riforma11. Nella citata sentenza i Giudici costituzionali hanno esaminato le questioni esposte in sei ordinanze di rimessione dalle Commissioni Tributarie Provinciali di Perugia, Campobasso, Benevento e Ravenna12. Grazie all’intervento della Corte, è stata dichiarata illegittima la stesura dell’art. 17-bis in vigore fino al 1° marzo 2014 (data di effetto delle modifiche introdotte dalla L. 147/2013) nella parte in cui stabiliva che la presentazione del reclamo costituisse “condizione di ammissibilità del ricorso rilevabile in ogni stato e grado del giudizio”. È da rilevare, peraltro, che la Corte ha ritenuto conformi alla Costituzione anche le forme di “giurisdizione condizionata” qualora il differimento della tutela 10 Peraltro, come chiarito dalla circolare 1/E del 2014, paragrafo 2.1, nel caso in cui il contribuente si costituisca in giudizio prima dello scadere del termine di 90 giorni dall’instaurazione del procedimento di reclamo/mediazione, la sospensione ex lege prevista dal comma 9-bis dell’articolo 17-bis del D. Lgs. vo n. 546/1992 cessa i suoi effetti. 11 Carta D., Reclamo e mediazione tributaria: gli interventi del Legislatore e della Consulta non eliminano tutti i dubbi di costituzionalità sollevati in relazione all’art. 17 bis D.Lgs. n. 546/1992, cit. 12 Si tratta delle ordinanze 7 febbraio 2013, Comm. Trib. Prov. Perugia; 16-17 aprile 2013, Comm. Trib. Prov. Campobasso; 18 aprile 2013, Comm. Trib. Prov. Benevento; 12 luglio 2013, Comm. Trib. Prov. Ravenna. 7 8 DOTTRINA giurisdizionale trovi giustificazione in “esigenze di ordine generale e superiori finalità di giustizia”. Sotto questo profilo, sempre secondo la Consulta, gli altri strumenti deflativi previsti dalla legge (autotutela, contraddittorio preventivo, accertamento con adesione), non potrebbero essere considerati equivalenti al procedimento di reclamo-mediazione perché non avrebbero carattere obbligatorio13. Va osservato che con la pronuncia del 2014 la Corte costituzionale, che ha già visibilmente circoscritto e fortemente indebolito la portata dell’istituto, anche sul piano della sua effettiva funzione deflativa14, non ha esaurito la disamina delle numerose censure mosse dai giudici di merito all’articolo 17-bis. È stata recentemente pubblicata, infatti, un’ordinanza della Commissione Tributaria Provinciale di Milano che ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale della Norma, avanzata dal ricorrente in relazione agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione15. L’ordinanza è stata pronunciata poco dopo la pubblicazione della sentenza n. 98/2014 ma si riferisce ancora al testo dell’art. 17-bis in vigore prima delle modifiche apportate dalla L. 147/2013. Tuttavia, l’ampiezza delle eccezioni formulate (riferibili almeno in parte alle parti non modificate della norma) sembra poter lasciare alla Corte la possibilità di rimettere in discussione la legittimità complessiva dell’istituto. 13 Glendi C., La Consulta chiude i conti con la c.d. mediazione tributaria ancien régime, in GT - Riv. Giur. Trib., n. 6/2014, pag. 477; Rasi R., Reclamo e mediazione tributaria: tutto risolto dal Legislatore e dalla Corte Costituzionale?, in Dir. Prat. Trib., n. 3-2014, p. 10550; Corasaniti G., Il reclamo e la mediazione tributaria tra la recente giurisprudenza costituzionale e i controversi profili evolutivi della Corte Costituzionale, in Dir. Prat. Trib., 2014, I, p. 10467. 14 Come rilevato da C. Glendi, La Consulta chiude i conti …, cit., pag. 481, la Corte, ai fini della declaratoria d’infondatezza del denunziato contrasto dell’art. 17-bis, D.Lgs. n. 546/1992 con gli artt. 3 e 113 Cost., ha espresso un mirato giudizio di ragionevolezza in ordine ai limiti oggettivi e soggettivi della disciplina attinente alla mediazione, compatibile con il corretto esercizio della discrezionalità legislativa, tenuto conto che proprio le liti inferiori ai ventimila euro direttamente gestite dall’Agenzia delle Entrate rappresentano “la maggioranza, sul piano numerico, mentre corrispondono, sul piano del valore, ad una percentuale assai ridotta del valore complessivo delle controversie instaurate nei confronti di detta Agenzia”, così da giustificare il perseguimento da parte del legislatore ordinario dell’“indicato interesse generale a deflazionare il contenzioso tributario in modo ragionevole, prevedendo il rinvio dell’accesso al giudice con riguardo alle liti (quelle nei confronti dell’Agenzia delle entrate) che rappresenta il numero più consistente delle controversie tributarie e, al contempo, a quelle di esse che comportano le minori conseguenze finanziarie, sia per la parte privata, sia per quella pubblica”. 15 Comm. Trib. Prov. Milano, ord. 29 luglio 2014, in G.U., 1^ serie speciale, n. 24 del 15 giugno 2016. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO 4. Le ulteriori modifiche introdotte a seguito della legge delega n. 23/2014 L’articolo 10, comma 1, lettera a) della legge n. 23/2014 ha conferito al Governo la delega ad introdurre “norme per il rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente, assicurando la terzietà dell'organo giudicante, nonché per l'accrescimento dell'efficienza nell'esercizio dei poteri di riscossione delle entrate”. In particolare, l’intento espresso dal legislatore delegante è stato quello del “rafforzamento e razionalizzazione dell’istituto della conciliazione nel processo tributario, anche ai fini di deflazione del contenzioso e di coordinamento con la disciplina del contraddittorio fra il contribuente e l’amministrazione nelle fasi amministrative di accertamento del tributo, con particolare riguardo ai contribuenti nei confronti dei quali sono configurate violazioni di minore entità”. Allo scopo di dare attuazione a questa disposizione, l’art. 9 del D.Lgs. n. 156/2015 ha introdotto, tra l’altro, rilevanti modifiche alle norme in materia di reclamo e mediazione tributaria portate dall’art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/92. In sintesi, le modifiche riguardano: a) l’estensione dell’ambito di applicazione dell’istituto a tutti gli enti impositori, agli agenti della riscossione ed ai soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 D.Lgs. n. 446/1997, nonché alle controversie in materia catastale; b) la semplificazione delle modalità di instaurazione del procedimento; c) la quantificazione del beneficio della riduzione delle sanzioni; d) la uniformazione delle regole che presiedono alle modalità di pagamento delle somme dovute a seguito di accertamento con adesione, reclamo/mediazione e conciliazione; e) l’estensione anche alle cause reclamabili della possibilità di esperire la conciliazione giudiziale. In buona sostanza, l’istituto è stato reso applicabile alla gran parte delle controversie tributarie, a prescindere dall’ente impositore coinvolto16. L’unico elemento che ancora rileva al fine di stabilire se una controversia è soggetta o meno a reclamo rimane quindi il valore massimo delle liti determinato ai sensi dell’articolo 12, comma 2, D.Lgs. 546/92 che, non ostanti le ripetute 16 Nella Circolare n. 38/E del 29 dicembre 2015 l’Agenzia ha evidenziato che, con l’estensione dell’ambito applicativo della procedura, il Legislatore ne ha indirettamente sancito il successo, abbracciando il 70% delle controversie pendenti davanti alle Commissioni Tributarie. DOTTRINA CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO richieste di aumento, è stato confermato in 20.000 euro come stabilito fin dall’introduzione dell’istituto. È rimasta immutata anche la previsione di una maggiorazione pari al 50% delle spese di giudizio prevista dal previgente comma 10 a carico della parte soccombente in caso di mancato accordo, ora riportata nel nuovo comma 2-septies dell’art. 15 del D.Lgs. n. 546/92. Così come sono rimaste invariate le previsioni concernenti la devoluzione della decisione sul reclamo e sulla proposta di mediazione ad “apposite strutture diverse ed autonome” da quelle che hanno emesso gli atti reclamabili ma pur sempre appartenenti alla stessa amministrazione che ha emesso l’atto sottoposto a reclamo. In questo modo è rimasta immutata la differenza rispetto alla mediazione civile, ove invece viene assicurata l’indipendenza del soggetto chiamato a giudicare sul caso. Per di più, per gli altri enti ai quali il D.Lgs. n. 156/2015 ha esteso l’applicazione dell’istituto del reclamo-mediazione (principalmente gli enti locali) si prevede che l’individuazione della struttura deputata alla trattazione dei reclami sia rimessa alla compatibilità con l’organizzazione interna di ciascuno di essi (e, dunque, la decisione potrebbe rimanere nella competenza dello stesso ufficio che ha emesso l’atto impositivo). Ne consegue che, anche dopo le recenti modifiche, il reclamo resta uno strumento di sollecitazione del potere-dovere di autotutela più che un rimedio pre-contenzioso. Vi è poi da osservare che, a seguito delle modifiche del 2013, il procedimento di reclamo-mediazione è introdotto automaticamente con la notifica del ricorso all’Ufficio dell’Ente impositore. Viene meno, pertanto, la necessità di presentare un’apposita istanza, poiché l’istituto è integrato nel processo17. Ad oggi la procedura in vigore prevede che a seguito della proposizione del ricorso si apra una fase amministrativa di durata pari a 90 giorni entro la quale deve svolgersi il procedimento di reclamo-mediazione. Tale termine va computato dalla data di notifica del ricorso all’Ente impositore ed è soggetto alla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale. 17 L’Agenzia delle Entrate ha ribadito tale circostanza nella Circolare n. 38/E del 2015 precisando che il venir meno della necessità di presentare un’apposita istanza giustifica la mancata riproduzione della previgente disposizione che dichiarava espressamente applicabili al procedimento di reclamo, in quanto compatibili, le norme sulla proposizione del ricorso. Durante questa fase: - il ricorso non è procedibile nel senso che il giudizio può proseguire solo una volta scaduto il termine per lo svolgimento dell’istruttoria; - sono sospesi ex lege la riscossione e il pagamento delle somme dovute. Benchè nella attuale formulazione dell’art. 17-bis la mediazione sia prevista quale mera facoltà esercitabile dal contribuente, la (confermata) improcedibilità si risolve in un sostanziale rinvio dell’accesso al giudizio che non trova più adeguata giustificazione agli effetti pratici, complicando inutilmente anche il lavoro dei funzionari degli enti impositori18. 5. La natura giuridica del “reclamo” Nella versione precedente alle ultime modifiche legislative l’art. 17-bis sembrava attribuire al reclamo una duplice veste giuridica: una di tipo amministrativo ed una seconda (e successiva) di tipo processuale. La difficoltà di attribuire al reclamo una univoca qualificazione giuridica19 risiedeva dunque nella doppia funzione che l’istituto è chiamato a svolgere, che aveva spinto alcuni20 a paragonarlo all’ “ircocervo” della mitologia greca, collocandolo a metà strada tra la contestazione amministrativa e il gravame giurisdizionale. Si è pure sostenuto che le due fasi, quella amministrativa e quella processuale, fossero tra loro nettamente distinte, avendo ad oggetto l’esercizio di due funzioni pubbliche, quella amministrativa giustiziale e quella giurisdizionale. La sola relazione esistente tra le due fasi del procedimento di reclamo era rinvenuta nel fatto che, per esplicita previsione normativa, l’attivazione della fase amministrativa costituiva nel previgente art. 17-bis condizione di ammissibilità del ricorso; detto diversamente, la fase processuale poteva ritenersi ritualmente attivata soltanto a seguito della rituale attivazione della fase amministrativa21. 18 In questi termini C. Glendi, Fermenti legislativi processualtributaristici: lo schema di decreto delegato sul contenzioso, in Corr. Trib., 3233/2015, p. 2467. 19 Questa è l’opinione di Gioè C., Il reclamo e la mediazione nel diritto tributario (Giappichelli, Torino, 2015), pag. 10. 20 Giovannini A., Reclamo e mediazione tributaria: per una riflessione sistematica, in Rass. Trib., 2013, p. 52. 21 In dottrina cfr. Giovannini A., La disciplina «riveduta e corretta» del reclamo e della mediazione, in Fisco, 2014, 814; A. Carinci, Corretta la disciplina del reclamo e mediazione tributaria: risolti i «vecchi» dubbi, se ne profilano altri, in Corr. trib., 2014, 270 ss.; Glendi C., Tutela cautelare e «nuova» mediazione tributaria, ivi, 275; Rasi F., Reclamo e mediazione tributaria: tutto risolto dal legislatore e dalla Corte Costituzionale?, infra, 2014, I, 550. 9 10 DOTTRINA Pare, invero, incontestabile (anche dopo le modifiche disposte dal D.Lgs. n. 156/2015) che le due fasi del procedimento di reclamo-mediazione debbano essere considerate logicamente e strutturalmente distinte22. La proposizione (obbligatoria) del reclamo, avendo la funzione di introdurre il giudizio dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, ha senza alcun dubbio natura giurisdizionale ab origine, tanto che la sua proposizione è soggetta a tutte le norme che disciplinano il ricorso introduttivo (a partire dall’obbligo di indicare i motivi e di dotarsi, ove richiesto, dell’assistenza tecnica)23 e produce i medesimi effetti giuridici di questo24. D’altro canto, la richiesta di riesame rivolta all’Amministrazione consente di rinvenire all’interno del reclamo aspetti tipici dei veri e propri rimedi giustiziali25, in tutto analoghi a quelli del ricorso amministrativo in opposizione in quanto volto all’annullamento totale o parziale dell’atto26. 22 Tesauro F., Manuale del processo tributario, Torino, 2013, 149, ha così sostenuto che “il reclamo non è atto diverso dal ricorso; è il ricorso che, prima di valere come domanda al giudice (editio actionis), opera come atto rivolto all’Agenzia delle Entrate, avviando un procedimento amministrativo”. 23 Corasaniti G., Il reclamo e la mediazione tributaria tra la recente giurisprudenza costituzionale e i controversi profili evolutivi della Corte Costituzionale, cit., p. 10470. 24 Così Corasaniti G., Il reclamo e la mediazione nel sistema tributario, (Cedam, Padova, 2013), p. 4. 25 Cfr. La Rosa S., Principi di diritto tributario, Torino, 2012, 413 26 In tal senso ancora Corasaniti G., Il reclamo e la mediazione tributaria tra la recente giurisprudenza costituzionale e i controversi profili evolutivi della Corte Costituzionale, cit., p. 10467. Sul punto cfr. altresì Giovannini A., Reclamo e mediazione tributaria, cit., p. 54-55; Id., Giurisdizione tributaria condizionata e reclamo amministrativo, cit., p. 915 ss., il quale ha anzitutto sottolineato come la disciplina del reclamo ricordi quella a suo tempo prevista dall’art. 188 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 e dall’art. 10, d.p.r. 28 novembre 1980, n. 787, che disciplinavano due istituti aventi una comune caratteristica: “entrambi assolvevano alla funzione di garantire, in prima battuta, un riesame dell’atto da parte dello stesso organo amministrativo emanante, il quale poteva intervenire con provvedimento di accoglimento qualora avesse riconosciuto fondate le doglianze del ricorrente”. Difatti, sebbene i due “vecchi” istituti appena richiamati prevedessero “meccanismi diversi di radicamento del rapporto processuale”, tuttavia, per entrambi “il ricorso poteva costituire oggetto di una doppia qualificazione: come ricorso in opposizione amministrativa, secondo lo schema e i modelli propri dei procedimenti giustiziali amministrativi non giurisdizionali, e come atto introduttivo del processo”. Ebbene, secondo la citata dottrina anche il reclamo disciplinato dall’art. 17-bis “non si distingue, nella sostanza strutturale, dai modelli, storicamente accreditati, or ora sommariamente ricordati. Esso, contestuale e simbiotico al ricorso giurisdizionale, è presentato allo stesso soggetto che ha emanato l’atto contestato, il quale, nei novanta giorni successivi, può disporne l’annullamento totale o parziale. Per l’8° comma, il reclamo, CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Ciò ha trovato conferma nella nuova formulazione del primo comma del citato art. 17-bis, secondo cui “il ricorso produce anche gli effetti di un reclamo”. L’adozione dell’avverbio “anche” chiarisce in modo evidente la duplicità e il carattere parallelo degli effetti prodotti dal reclamo, mettendo in risalto il fatto che quest’ultimo, già dal momento della sua proposizione all’Amministrazione finanziaria, produce innanzi tutto gli effetti propri del ricorso giurisdizionale e, in primis, quello di impedire la definitività dell’atto impugnato, provocando la pendenza della lite ancorché in stato di quiescenza27. A tale effetto giuridico si aggiunge soltanto (“anche …”) la valenza di istanza amministrativa (rivolta all’Amministrazione finanziaria) di riesame dell’atto impositivo, che pure il reclamo riveste ma che è ben lungi dall’esaurirne le caratteristiche28. In definitiva, la peculiarità del reclamo (che ormai viene considerato quale atto “secondario” rispetto al ricorso giurisdizionale) è da individuarsi nella circostanza che il termine per il completamento dell’iter di instaurazione del giudizio è sospeso dalla parentesi amministrativa che si chiude “alla scadenza del termine di novanta giorni dalla data di notifica”29 del ricorso-reclamo. infatti, è «volto all’annullamento totale o parziale dell’atto», e ciò costituisce palmare dimostrazione della sua reale natura: esso, da questo punto di vista, altro non è che un ricorso in opposizione amministrativa. (...) Scopo immediato della legge, pertanto, è quello (...) di concedere all’agenzia uno spazio preprocessuale di natura ‘contenzioso – giustiziale’, assai simile, quanto agli effetti, all’autotutela in annullamento o revoca su impulso di parte”. 27 In questi termini Basilavecchia M., Dal reclamo al processo, in Corr. trib., 2012, p. 842. 28 Secondo Corasaniti G., Il reclamo e la mediazione nel sistema tributario, cit., 6, si tratta “di un dato giuridico incontestabile, poiché il sistema normativo attribuisce la produzione di tale effetto giuridico soltanto alla rituale proposizione del ricorso giurisdizionale (ex artt. 18 ss., d.lgs. n. 546 del 1992) ed alcuna deroga a tale regola è stata introdotta (neppure in modo implicito) dal citato art. 17-bis, nel senso che in tale ultima disposizione non è rinvenibile alcun appiglio normativo che permetta di imputare tale effetto giuridico direttamente alla proposizione del reclamo nella sua veste amministrativa”. In piena condivisione di tale impostazione, Giovannini A., Questioni costituzionali sul reclamo tributario, in Riv. dir. trib., 2013, 324 ss. ha testualmente affermato (in specie pp. 326-327) che “gli effetti processuali e quelli procedimentali, compreso il potere di depositare il ricorso, si devono considerare sicuramente prodotti (...) nel momento della notificazione del ricorso stesso”. 29 Così si esprime l’ultima versione del secondo comma dell’art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/92. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO 6. Il rapporto tra reclamo, mediazione tributaria e conciliazione giudiziale Questa essendo la natura giuridica dell’istituto in esame, si deve concordare sull’idea che il reclamo e la mediazione costituiscono due istituti giuridici profondamente diversi, seppure tra loro connessi per volontà legislativa30. Ed è per questo motivo, l’inserimento della disciplina del reclamo e della mediazione all’interno della stessa disposizione di legge, ha suscitato e continua a suscitare non pochi dubbi interpretativi31. Difatti, malgrado le differenze strutturali, in dottrina32 si è osservato che il reclamo e la mediazione sono comunque legati da un nesso “procedimentale” posto che la mediazione si configura quale iter amministrativo “eventuale” (perché facoltativo), attivabile solamente nell’ambito della procedura del reclamo33. Nel contempo, la mediazione tributaria conserva la sua natura di istituto (facoltativo) diretto a favorire, già nella fase di reclamo, una definizione bonaria della pretesa impositiva che è tipica dell’istituto (per molti versi analogo) della conciliazione34. Tra mediazione e conciliazione si riscontra infatti una certa coincidenza di disciplina sia perché i parametri applicati dall’Amministrazione per valutare la “mediabilità” della controversia corrispondono a quelli ordinariamente 30 Corasaniti G., Il reclamo e la mediazione nel sistema tributario, cit., p. 1. Negli stessi termini anche Carta D., Reclamo e mediazione tributaria: gli interventi del Legislatore e della Consulta non eliminano tutti i dubbi di costituzionalità sollevati in relazione all’art. 17 bis D.Lgs. n. 546/1992, Riv. Dir. Trib., 2014, n. 12, parte I, 1263. 31 Gioè C., Il reclamo e la mediazione nel diritto tributario, cit., pag. 2. 32 Corasaniti G., Il reclamo e la mediazione nel sistema tributario, cit., p. 3. 33 Sulla natura giuridica della mediazione tributaria e sul tentativo di ricostruzione sistematica dell’istituto tra (in)disponibilità del tributo e ricostruzioni transattive si veda Corasaniti G., Il reclamo e la mediazione nel sistema tributario, cit., 51 ss.. il quale ravvisa nel reclamo il procedimento amministrativo “principale”, “la cui rituale attivazione non solo costituisce condizione di procedibilità del ricorso giurisdizionale, ma anche (e prima ancora) costituisce la condicio iuris per la successiva ed eventuale attivazione del (sub)procedimento amministrativo della mediazione”. Va dato atto, peraltro, che altra dottrina ravvisa nei due istituti una diversità radicale escludendo, sul piano della sostanza del rapporto tributario, la subordinazione della seconda al primo. In questi termini, Giovannini A., Reclamo e mediazione tributaria: per una riflessione sistematica, in Rass. Trib. n. 1-2013, p. 52 ss.; Id., Giurisdizione tributaria condizionata e reclamo amministrativo, in Riv. Trim. Dir. Trib., 2012, p. 915. 34 Sulla natura sostanzialmente procedimentale della conciliazione giudiziale si veda Selicato P., La conciliazione giudiziale tributaria: un istituto processuale dalle radici procedimentali, in Civitarese Matteucci S. – Del Federico L. (a cura di), Azione amministrativa ed azione impositiva. Strumenti e tecniche di tutela dell’amministrato e del contribuente (FrancoAngeli, 2010), p. 225. DOTTRINA applicati per le procedure di conciliazione, sia perché l’ultima versione del primo comma dell’art. 17-bis, nel prevedere che il ricorso “può contenere una proposta di mediazione con rideterminazione dell’ammontare della pretesa” non esclude più la conciliazione giudiziale di cui all’art. 48 del d.lgs. n. 546 del 1992. Tuttavia, la mediazione tributaria presenta due rilevanti differenze rispetto alla conciliazione giudiziale. La prima è che la mediazione si pone, rispetto alla conciliazione giudiziale in un ambito temporale antecedente (in quanto precede la formale instaurazione del processo, che avviene soltanto nel momento successivo ed eventuale dell’iscrizione a ruolo della causa) e in un ambiente giuridico distinto (quello del rapporto diretto con l’Ufficio impositore)35. La seconda differenza è che, in assenza della costituzione in giudizio delle parti, viene del tutto escluso il coinvolgimento del giudice (in veste di possibile “mediatore”), il quale, nella conciliazione giudiziale, una volta raggiunte le intese tra le parti, viene comunque interpellato pur se ai soli fini di convalidare un accordo già raggiunto e disporre l’estinzione del giudizio36. In definitiva, esaminando i diversi profili di connessione tra reclamo e mediazione, emerge, anzitutto, come i due istituti condividano l’obiettivo di deflazionare il contenzioso con riferimento alle controversie tributarie di minor valore37 prima che venga incardinato il processo. Negli stessi termini, l’Agenzia delle entrate ritiene che la procedura de quo sia “sostanzialmente finalizzata a evitare il rinvio ai giudici tributari delle contestazioni che 35 Sulla segmentazione in più fasi tra loro distinte ma collegate quanto agli effetti sulla parte successiva della sequenza del procedimento amministrativo tributario sia consentito rinviare a Selicato P., L’attuazione del tributo nel procedimento amministrativo (Giuffrè, Milano, 2001), spec. ai Capitoli VI (pagg. 405 e ss.) e VII (pagg. 501 e ss.). 36 Il mancato coinvolgimento del giudice non dipenderebbe dal difetto di litispendenza, che, secondo unanime dottrina, conseguirebbe pur sempre alla notifica del ricorso-reclamo alla controparte (Giovannini A., Questioni costituzionali sul reclamo tributario, cit., 325). Va tuttavia ricordato che la conciliazione tributaria, oltre alla contestazione formale della pretesa, richiede l’instaurazione del rapporto processuale mediante deposito presso la commissione tributaria dell’atto introduttivo del giudizio (cfr. Cass., 6 ottobre 2001, n. 12314, in Corr. trib., 2002, 982, con nota di Basilavecchia M., La conciliazione giudiziale può essere fuori udienza ma deve restare interna al processo). Sul punto v. anche Menchini S., Conciliazione giudiziale, in Baglione T. – Menchini S. – Miccinesi M., Il nuovo processo tributario (Giuffrè, Milano, 2004), p. 47. 37 In tal senso, nella relazione al disegno di legge di conversione del d.l. n. 98 del 2011, si afferma che la nuova disciplina normativa della «mediazione tributaria» – utilizzando un’espressione atecnicamente riferibile ad entrambi gli istituti giuridici (reclamo e mediazione) – «introduce un efficace rimedio amministrativo per deflazionare il contenzioso relativo ad atti di valore non elevato emessi dall’Agenzia delle entrate». 11 12 DOTTRINA possono essere risolte in sede amministrativa, attraverso un esame volto ad anticipare l’esito ragionevolmente atteso del giudizio, tenuto conto della situazione di fatto e di diritto sottesa alla singola fattispecie”38. Da ultimo, si segnala che, oltre alla modifica del citato art. 17-bis in tema di reclamo e mediazione, l’intervento legislativo di cui al d.lgs. n. 156/2015 è intervenuto anche sulla conciliazione giudiziale nell’ottica di un generale rafforzamento ed ampliamento del citato istituto deflativo. La conciliazione giudiziale è stata difatti estesa a tutte le liti reclamabili ed al secondo grado di giudizio. Con la nuova disciplina, incardinata nei novellati artt. 48 (conciliazione fuori udienza), 48bis (conciliazione in udienza) e 48-ter (definizione e pagamento delle somme dovute) del d.lgs. n. 546 del 1992, è quindi possibile definire le controversie tributarie nel corso dell’intero giudizio di merito39. La misura delle sanzioni applicabili alle imposte definite in sede di conciliazione giudiziale è rimasta pari al quaranta percento in primo grado, mentre è stata aumentata al cinquanta percento in secondo grado, cosicché, considerando che la nuova misura delle sanzioni nella mediazione tributaria è del trentacinque percento, ben si comprende come il legislatore abbia voluto confermare la politica di attenuare gradualmente il beneficio della riduzione delle sanzioni man mano che si procede nel giudizio. Il nuovo art. 48-ter prevede infine che il versamento delle somme dovute in virtù dell’intesa raggiunta tra le parti debba avvenire entro venti giorni dalla sottoscrizione dell’accordo conciliativo di cui all’art. 48 (per la conciliazione raggiunta fuori dall’udienza) o di redazione del processo verbale di cui all’art. 48-bis (per la conciliazione in udienza), in ciò allineandosi a quanto previsto in materia di accertamento con adesione. Con riferimento agli istituti del reclamo e della conciliazione, occorre ribadire che con la riforma del sistema delle sanzioni amministrative di cui al d.lgs. n. 158/2015 i predetti strumenti deflativi del contenzioso saranno di fatto equiparati all’accertamento con adesione anche sul piano sanzionatorio, con la conseguenza che, anche per essi, il cumulo giuridico opererà limitatamente alla singola imposta e alla singola annualità, con la conseguente perdita di convenienza rispetto a prima in caso di violazioni concernenti diversi tributi. In deroga a quanto previsto dai commi 3 e 5, l’art. 12, comma 8, d.lgs. n. 472/1997 sancisce, infatti, che nel- 38 Circ. n. 9/E del 19 marzo 2012. 39 La relazione governativa al decreto ha spiegato che “Non si è ritenuto opportuno prevedere la conciliazione nella fase di cassazione, stante la peculiare natura di tale giudizio, in cui si controverte solo di violazioni di legge con l’esclusione di accertamenti in fatto”. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO l’accertamento con adesione “le disposizioni sulla determinazione di una sanzione unica in caso di progressione si applicano separatamente per ciascun tributo e per ciascun periodo d’imposta”. 7. Osservazioni conclusive In linea di massima, le novità introdotte con la riforma del contenzioso tributario devono essere accolte con favore perché perseguono lo scopo di deflazionare il contenzioso. In particolare, le modifiche apportate all’art. 17-bis dal d.lgs. n. 156/2015 appaiono rivolte allo scopo di migliorare l’impianto normativo esistente, in modo da consentirne un più efficace e razionale funzionamento. Purtuttavia, l’art 10, lettera a), della delega pareva preludere ad un intervento di maggiore respiro, che avrebbe dovuto fare perno sulla conciliazione giudiziale (di cui la stessa delega prevedeva il “rafforzamento e la razionalizzazione”) e sul coordinamento con il contraddittorio “nella fase amministrativa di accertamento del tributo”. Nella delega, pertanto, non veniva formulato alcun riferimento esplicito al destino del procedimento di reclamo-mediazione. Per questa ragione, la dottrina ha parlato di mediazione tributaria “extra moenia”40, proprio al fine di far risaltare la condotta “incredibile” del legislatore delegato il quale, cadendo in un palese eccesso di delega, non è parso nemmeno darsi carico in modo adeguato delle precedenti pronunce del Giudice delle leggi41. In effetti, mentre la conciliazione giudiziale è stata interessata da interventi di rafforzamento e razionalizzazione (che, peraltro, non si spingono fino al punto, invero auspicabile, di attribuire al Giudice il governo dell’accordo tra le parti), non altrettanto è stato fatto per il procedimento di reclamo e mediazione, che non pare coordinarsi con le nuove norme in materia di interpello, di autotutela e di accertamento con adesione. A ben vedere, anche dopo le recenti modifiche, il reclamo rappresenta una (ulteriore) particolare espressione delle forme di definizione consensuale delle controversie tributarie già da tempo presenti nel sistema 40 Glendi C., Fermenti legislativi processualtributaristici: lo schema di decreto delegato sul contenzioso, Corr. Trib., 32-33/2015, 2467. 41 Cfr. le chiare indicazioni della Corte Costituzionale nelle due recenti pronunce: la n. 272 del 2012 dove la Consulta dichiarò costituzionalmente illegittimo l’art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 28/2010; la n. 98 del 2014 (esaminata in precedenza), proprio riguardo alla mediazione tributaria disciplinata dall’art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO fiscale ma rimasti a tutt’oggi privi di una diffusa utilizzazione (si fa riferimento all’autotutela, alla definizione del processo verbale e dell’avviso bonario, all’accertamento con adesione ed alla stessa conciliazione giudiziale). In questa ottica va vista con favore – a maggior ragione dopo l’estensione della conciliazione ai gradi successivi di giudizio – l’eliminazione dell’alternatività tra reclamo e conciliazione, anche se ciò non fa altro che confermare la circostanza che l’istituto in esame sia stato sovrapposto (per di più senza un perfetto coordinamento) a rimedi già esistenti42. Invece, non possono dirsi rimosse le perplessità riguardanti l’eccessiva formalizzazione della procedura, che costituirebbe comunque un onere aggiuntivo proprio per le controversie di minor valore (riguardanti di norma i piccoli contribuenti). Va riconosciuto che la legge n. 147/2013 aveva notevolmente ridimensionato gli adempimenti specifici richiesti ai contribuenti. Tuttavia, a carico dei predetti soggetti permane comunque l’onere di osservare un notevole tecnicismo, tanto nella formulazione del reclamo (che costituisce innanzi tutto l’atto introduttivo del processo) quanto nella gestione della procedura nella fase preprocessuale (poiché viene imposto ai contribuenti di munirsi già da questa fase dell’assistenza tecnica di un difensore avente i requisiti indicati nell’art. 12 del d.lgs. n. 546/92). Inoltre, la sentenza della Corte Costituzionale n. 98/2014 va riesaminata alla luce della recente evoluzione della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale, che ha riconosciuto l’esistenza di un obbligo generalizzato dell’Amministrazione di assicurare al contribuente il contraddittorio preventivo anche nei casi in cui esso non sia espressamente codificato43. In questa nuova prospettiva, l’Amministrazione sarebbe comunque tenuta, prima dell’emissione di ogni atto impositivo, ad acquisire le prove, le opinioni e le richieste del contribuente e, se del caso, ad annullare o ridurre l’ammontare della pretesa prima che sia iniziato 42 Invero, dalla lettura del nuovo testo della norma si deduce che tale modifica ha comportato uno stravolgimento della natura giuridica dell’istituto. Se nella prima versione il reclamo rappresentava un primo passaggio di questo complesso iter procedurale, l’attuale formulazione dell’articolo configura il riesame amministrativo come un possibile risvolto del ricorso. La situazione – dunque – risulta del tutto speculare a quella prospettata nella precedente versione dell’articolo in esame. Per intenderci, con l’approvazione del nuovo art. 17bis, scompare anche l’ircocervo del Giovannini, e insieme ad esso, vengono sconfessate le teorie sulla natura ibrida e/o “trasformista” dell’istituto. 43 Si veda in proposito la sentenza n. 19967 pronunciata dalle Sezioni Unite il 17 giugno – 18 settembre 2014, recepita dalla Sezione V Tributaria con la successiva sentenza n. 406 del 14 gennaio DOTTRINA il processo e proprio allo scopo di eliminare i presupposti della lite. Pertanto, sulla base del predetto orientamento, l’effetto che si voleva, nel 2011, attribuire al reclamo-mediazione (quello di pervenire ad una spontanea definizione del carico fiscale) potrebbe (rectius: dovrebbe) prodursi già nel momento di avvio della fase amministrativa e tradursi nella mancata emissione dell’atto impositivo, nella sua emissione a condizioni più favorevoli al contribuente ovvero nella revisione “spontanea” del medesimo da parte dell’Ufficio prima dell’inizio del processo. Permangono, dipoi, le riserve in ordine alla effettiva autonomia delle strutture demandate alla mediazione che, dalla lettura del testo, sembrerebbero doversi realizzare all’interno dello stesso ufficio da cui promana l’atto contestato, affidando ad uffici distinti l’istruttoria degli atti reclamati. Pertanto, la mediazione tributaria si discosta notevolmente dal sistema di mediazione in materia civile, laddove la scelta del mediatore è rimessa al proponente la conciliazione a cui si affida, poi, la formulazione di una proposta44. Nell’ambito della procedura in esame, la proposta può pervenire invece dal richiedente stesso divenendo così una sorta di “automediazione”. Tuttavia, non può trascurarsi la circostanza che – pur ammettendo che l’Agenzia delle Entrate non assuma un ruolo “terzo” in sede di mediazione – il diritto di difesa del contribuente è tutelato dal consenso che quest’ultimo è chiamato a manifestare nell’eventualità di definizione in fase pre-contenziosa45. 2015 e richiamata dalla stessa Sezione Tributaria nell’ordinanza n. 527 del 6 novembre 2014 – 14 gennaio 2015, con la quale ha rimesso alle Sezioni Unite analoga questione al solo fine di ottenere un chiarimento della distinzione tra “ragioni meramente pretestuose e ragioni infondate ma non pretestuose” formulata ai fini della rilevanza del vizio in questione nella Sentenza della Corte di Giustizia UE 3 luglio 214, C129/13, Kamino International Logistics. È ben vero che nei suoi sviluppi più recenti la giurisprudenza ne ha attenuato lievemente la portata ma non ha scalfito il principio generale, al quale anche il legislatore avrebbe dovuto adeguarsi nel disciplinare il reclamo, prevedendo a favore del contribuente garanzie più rigorose in ordine alla parità di condizioni delle parti e alla imparzialità dell’organo decidente. 44 Sulla mediazione civile si vedano ad es.: AA.VV., La mediazione civile e commerciale, a cura di Besso, (Giappichelli, Torino, 2010); Proto Pisani, Appunti su mediazione e conciliazione, in Foro it., 2010, V, col.142 ss.; Scarselli, La nuova mediazione e conciliazione: le cose che non vanno, ivi, 2010, V, col. 144 ss.; Ulloa, La mediazione nel processo civile riformato, Bologna, 2011; AA.VV., Mediazione e conciliazione. Diritto interno e, comparato e internazionale, a cura di Pera e Riccio, Padova, 2011; Tiscini, La mediazione civile e commerciale, Torino, 2011. In particolare, circa la distinzione tra mediazione civile e tributaria si rimanda a Pistolesi F., Il reclamo e la mediazione nel processo tributario, in Rass. Trib. cit., pag. 65 45 In Gioè C., Il reclamo e la mediazione nel diritto tributario, cit., pag. 22. 13 14 DOTTRINA Inoltre, l’ampliamento dell’oggetto del reclamo a tributi non gestiti dalle Agenzie fiscali porta inevitabilmente a disparità di trattamento in ordine alle garanzie di “terzietà” del mediatore. Infatti, mentre le agenzie fiscali devono quantomeno istituire le “apposite strutture diverse e autonome” davanti alle quali deve svolgersi la mediazione, gli altri enti (in specie gli enti locali) sono legittimati dalla norma ad affidare tale funzione allo stesso ufficio che ha emesso l’atto oggetto di reclamo. Nella specie, oltre al vulnus evidente costituito dall’assenza di terzietà, rimane una forte incognita sulla capacità degli enti locali di gestire in modo corretto il procedimento di reclamo46. Pur avendo la Corte Costituzionale respinto le eccezioni mosse in tal senso, la questione appare comunque rilevante sul piano della speditezza ed efficacia della procedura, nonché della parità di condizioni tra tutti i soggetti tenuti ad applicare le norme sul reclamo. La Corte, infatti, non ha respinto le eccezioni sollevate in tal senso perché convinta che l’affidamento al soggetto “terzo” desse adeguate garanzie di indipendenza ma perché ha escluso la natura giurisdizionale del procedimento di reclamo. Questa affermazione ha portato a ritenere che il reclamo costituisse una mera duplicazione dell’istanza di annullamento totale o parziale dell’atto in via di autotutela47 e concorresse con l’istituto deflativo preesistente dell’accertamento con adesione48. In tale prospettiva, la dottrina ha osservato che il reclamo può essere assimilato ad un riesame obbligatorio in autotutela, per prevedere il quale sarebbe stato Conigliaro M., Restyling di reclamo-mediazione e conciliazione giudiziale per puntare sugli strumenti deflativi, cit. 47 Anche per Basilavecchia M., Reclamo, mediazione fiscale e definizione delle liti pendenti, in Corr. Trib. n. 31/2011, pag. 2493, “la natura del reclamo è assimilabile a quella di un’istanza obbligatoria di autotutela; nello stesso senso Id., Metodi di accertamento e capacità contributive, in Rass. trib. n. 5/2012, 1107 ss, specie 1116, laddove afferma che il reclamo è riconducibile allo schema “del riesame dell’atto… al fine dell’esercizio del potere di autotutela”; ed in Id., Funzione impositiva e forme di tutela (Giappichelli, Torino, 2013), p. 370. In senso sostanzialmente analogo Tesauro F., Manuale del processo tributario (Utet, Torino, 2013), 149-150, secondo il quale si tratterebbe di una richiesta di riesame rivolta all’Agenzia delle entrate, con cui si avvia un procedimento amministrativo; dello stesso parere Stevanato D., Mediazione fiscale: un provvedimento improvvisato su una strada giusta in Dialoghi Tributari, n. 1-2012, p. 95, per il quale si tratterebbe “dunque, nella sostanza, un’istanza di autotutela volta all’annullamento d’ufficio dell’atto impositivo” e Cantillo G., Manovra correttiva (D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito) – Il reclamo e la mediazione tributaria: prime riflessioni sul nuovo art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992, in Il fisco, n. 31-2011 - parte 1, p. 4997, per il quale i reclami “limitandosi a contestare in toto la legittimità dell’atto si atteggino in buona sostanza alla stregua di richieste di annullamento totale o parziale in au46 CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO sufficiente una circolare interna di carattere organizzativo49, senza creare alcuna interferenza con il processo50. In questa prospettiva, il reclamo inteso come rimedio giustiziale che apre una valutazione che potrebbe totutela”. Si veda anche Sbroiavacca A., Stevanato D., Lupi R., Reclamo-mediazione: gli scoordinamenti sistematici di un istituto apprezzabile, in Dialoghi tributari, 2012, p. 284. Dello stesso avviso Turchi A., Reclamo e mediazione, cit., p. 3, il quale afferma che il reclamo “ha natura di istanza amministrativa, suscettibile di convertirsi in ricorso giurisdizionale all’esito (negativo) del contraddittorio svolto presso la Direzione provinciale o regionale dell’Agenzia delle entrate”. Negli stessi termini Marcheselli A., La nuova mediazione fiscale: tra istanze deflazionistiche e mutamenti strutturali del rapporto fisco-contribuente, in Dir. Prat. Trib., 2012, 1184-1185. Sull’autotutela tributaria, si vedano, tra gli altri, Buscema A., L’autotutela tributaria, Roma, 2009; D’Agostino D., Autotutela tributaria, excursus normativo, giurisprudenziale ed effettiva applicazione dell’istituto, in “Il fisco” n. 32-2006, fascicolo n. 1, pagg. 4993 e segg.; Stevanato D., L’autotutela dell’amministrazione finanziaria (Cedam,Padova, 1996); Ficari V., Autotutela e riesame nell’accertamento del tributo (Giuffrè, Milano, 1999). 48 In merito all’(in)opportunità di mantenere la duplicazione tra accertamento con adesione e reclamo/mediazione cfr Sepio G., Bianchi F., Covino S., Reclamo e Mediazione: a piccoli passi verso la deprocessualizzazione, in Dialoghi Tributari, n. 2-2012, p. 199, laddove si afferma che “il nuovo istituto, dunque, trascinerà con sé inutili duplicazioni, rallentando anche i tempi procedimentali, mediante il cumulo dei termini di sospensione assegnati dal legislatore in caso di accertamento con adesione e reclamo. Tutto questo, peraltro, in controtendenza rispetto alla esigenza di speditezza che ha accompagnato l’introduzione del nuovo avviso di accertamento dotato di efficacia immediatamente esecutiva”. 49 Lo stesso risultato della mediazione si sarebbe potuto raggiungere se la Direzione Centrale delle Entrate avesse chiesto agli uffici di proporre a tappeto la conciliazione fuori udienza, in tutti i casi minori in cui sussistono le condizioni ora previste dalla legge per “mediare”; così Basilavecchia M., Reclamo, mediazione fiscale e definizione delle liti pendenti, in Corr. trib., 2011, 2494-2495; in senso sostanzialmente analogo F. Tesauro, Manuale del processo tributario, cit., 149-150, secondo cui si tratterebbe di una richiesta di riesame rivolta all’Agenzia delle entrate, con cui si avvia un procedimento amministrativo. Si veda anche Turchi A., Reclamo e mediazione nel processo tributario, cit., 898. Anche Marcheselli A., La nuova mediazione fiscale: tra istanza deflazionistiche e mutamenti strutturali del rapporto Fisco-Contribuente, retro, 2012, 1184-1185 riconosce che il reclamo “sembra rimandare o a un ricorso gerarchico o, forse meglio, ad un’istanza di autotutela”. Per altro verso, autorevole dottrina ha sostenuto che “in sostanza il reclamo in questione si risolve in un preliminare esame amministrativo dei ricorsi relativi alle controversie di minore rilievo economico, volto a facilitare l’esercizio di poteri di autotutela da parte dell’Amministrazione e ad offrire (al contribuente) la possibilità di conseguire, in sede stragiudiziale, effetti premiali identici a quelli della conciliazione giudiziale (della quale la mediazione rappresenta un sostanziale surrogato”. Tuttavia non manca di sottolineare come nei tratti fondamentali della sua disciplina siano presenti aspetti dei veri e propri rimedi giustiziali amministrativi, in tal senso La Rosa S., Principi di diritto tributario, cit., 413-414. 50 Sulla scorta di tali considerazioni, è stato addirittura affermato che il reclamo non abbia alcuna ragion d’essere ma, al contrario, si inserisca nella struttura del processo come elemento di disturbo compromettendo le effettive garanzie del contribuente; così Bellè B., Mediazione e reclamo: due istituti inutili, in Riv. dir. trib., 2012, 867. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO portare all’annullamento o alla revoca totale o parziale dell’atto (evitando così il contenzioso) è da considerarsi ridondante, posto che già nel sistema tributario esistono rimedi efficaci senza incidere sull’esercizio del diritto alla difesa51. L’esistenza di tali rimedi conforta la tesi dell’aggravio posto dal legislatore con l’introduzione dell’obbligo del reclamo il quale, pertanto, non solo non sarebbe giustificato da esigenze di ordine generale e da superiori finalità di giustizia ma non necessiterebbe nemmeno degli accertamenti tecnici che, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale52, potrebbero giustificare un esame preliminare con contestuale ritardo dell’azione giudiziaria. D’altra parte, se per tali preliminari accertamenti tecnici si intende la necessità di un supplemento di attività istruttoria, la possibilità che essa sia esercitata risulta ampiamente garantita dai diversi istituti deflativi prima citati, i quali implicano sempre un’ulteriore e più attenta verifica del proprio operato da parte dell’Amministrazione finanziaria, senza che possa in alcun modo rilevare il fatto che il reclamo investa strutture diverse ed autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili53. Per tali ragioni, la previsio- 51 Da una parte vi è il rimedio dell’autotutela e, più in generale, un obbligo diffuso dell’Amministrazione finanziaria di attivare un contatto preventivo con il contribuente prima dell’emissione dell’avviso di accertamento o dell’iscrizione a ruolo. Dall’altra, la possibilità di evitare il contenzioso definendo in adesione l’obbligazione tributaria a seguito del contraddittorio in sede amministrativa; in tal senso Bellè B., Mediazione e reclamo: due istituti inutili, cit., p. 867. In senso adesivo D. Stevanato, Reclamo e mediazione fiscale: lettera a un bambino mai nato, in Dialoghi trib., 2012, p. 98 e ss. secondo cui “la sostanziale sovrapposizione dell’istituto previsto dall’art. 17-bis rispetto alla possibilità di presentare istanze di annullamento d’ufficio degli atti impositivi e istanze di accertamento con adesione emerge anche dai parametri che l’Ufficio finanziario deve ponderare comparativamente nella sua decisione amministrativa”. Per tali ragioni, l’art. 17 – bis “delinea un istituto farraginoso, bifronte, seriamente sospetto di incostituzionalità, che si sovrappone a istituti già esistenti, in termini del tutto confusi”. 52 Così Corte cost., 4 luglio 1996, n. 233 la quale ha statuito l’illegittimità dell’art. 3, ultimo comma, della l. 24 gennaio 1978, n. 27 nella parte in cui, avverso l’ingiunzione di pagamento dell’Ufficio del Registro, impediva l’esperibilità dell’azione giudiziaria in mancanza del preventivo ricorso amministrativo, ribadendo che un eventuale ricorso gerarchico deve considerarsi illegittimo quando la pretesa erariale non implica accertamenti tecnici in funzione dei quali sia necessario o, quanto meno, opportuno che la fase giurisdizionale sia preceduta da un esame in sede amministrativa. 53 Marini G., Profili costituzionali del reclamo e della mediazione, cit., 855, il quale replica anche a quella parte della dottrina che ritiene l’art. 17-bis non un rimedio di carattere amministrativo perché lo stesso reclamo si traduce ope legis in ricorso qualora non venga accolto ovvero non si perfezioni l’eventuale mediazione (in tal senso Pistolesi F., Il reclamo e la mediazione nel processo tributario, in Rass. Trib., cit. pag. 25). «[...] anche qualificando tale atto come una modalità speciale di proposizione del ricorso si tratta pur sempre di una DOTTRINA ne di una “parentesi amministrativa” prima della fase giurisdizionale non comporta vantaggi significativi nel funzionamento della giustizia tributaria, per cui la compressione del diritto difesa determina un rinvio dell’instaurazione del giudizio non adeguatamente bilanciata54. Come più volte evidenziato nel presente scritto, la procedura di reclamo si muove ormai all’interno del processo (o, quanto meno, ai suoi margini), con l’unico vantaggio di non richiedere il versamento del contributo unificato, dovuto soltanto nel momento successivo dell’iscrizione a ruolo della causa. Peraltro, a tale fattore positivo, fanno da contrappeso ben più pesanti aggravi a carico del contribuente quali: - quello di incaricare (e retribuire) il difensore visto il permanere dell’obbligo dell’assistenza tecnica (quantomeno per le controversie di valore superiore a tremila euro); - quello di predisporre un ricorso vero e proprio, adeguatamente sostenuto da motivazione e documenti (che denunci, cioè, tutti i vizi dell’atto impugnato con il rigore formale richiesto in sede di legittimità). In definitiva, benché l’obiettivo dichiarato dell’intervento legislativo sia quello di “assicurare una maggiore efficienza del sistema della giustizia tributaria”, non pare che lo strumento in esame sia idoneo ad offrire una valida ed efficace soluzione al problema dell’aumento dei ricorsi pendenti dinanzi le Commissioni tributarie. Invero, se da un lato è indubbio che55 con l’estensione della procedura anche agli altri comparti impositivi, l’istituto ha potenzialmente garantito una copertura del 70% delle controversie pendenti dinanzi alle Commissioni Tributarie, per altri versi sembra che le modifiche apportate dal Legislatore non siano state risolutive sul piano della deflazione. In effetti, la (doverosa) censura di incostituzionalità sulla originaria previsione di inammissibilità del ricorso e la sua successiva conversione in mera improcedibilità, unita all’eliminazione della necessità di presentare un’apposita istanza, appare un mero palliativo rispetto all’appesantimento che l’instaurazione dell’iter inevitabilmente comporta. modalità più gravosa per il contribuente, sicché la sua costituzionalità merita comunque di essere vagliata alla luce dei medesimi principi sopra esposti». 54 Secondo Marini G., Diversi ostacoli si frappongono al successo applicativo della procedura di reclamo e mediazione, cit., 2049, una maggiore efficienza si sarebbe realizzata con l’eliminazione per mano della Corte costituzionale o del Parlamento, dell’istituto della mediazione tributaria, inutile, iniquo, incomprensibile. Aderisce a questa impostazione Parlato M.C., Profili di costituzionalità del reclamo e della mediazione tributaria, in Boll. trib., 2012, 1286. 55 Come rilevato nella Circ. 38/E cit. 15 16 DOTTRINA Inoltre, ad una più attenta analisi del quadro normativo esistente, l’appesantimento procedurale generato dal reclamo si rivela ingiustificato, poiché la sua funzione potrebbe (e dovrebbe) essere assolta dalla vasta gamma degli istituti deflativi preesistenti: principalmente l’accertamento con adesione e l’annullamento in via di autotutela, codificati da oltre quindici anni ma che fino ad oggi (probabilmente per le rigidità derivanti da una prassi non allineata allo spirito ed alla lettera delle norme istitutive) non hanno svolto in modo adeguato quelle funzioni di “filtro amministrativo” che dovrebbe assolvere in futuro la nuova procedura di reclamo. Così strutturato, l’istituto del reclamo finalizzato alla mediazione mantiene a carico del contribuente l’aggravio degli oneri difensivi nella fase pre-processuale, per di più proprio per le liti di ridotto valore che, di norma, sono anche le più semplici. Se, invece, si fosse voluto rendere più efficiente il sistema dei “filtri” al contenzioso, sarebbe stato sufficiente (ed anche più opportuno) stabilire, con semplice disposizione organizzativa del Direttore dell’Agenzia, regole trasparenti di valutazione delle istanze di autotutela presentate dai contribuenti, prevedendo l’obbligo del loro esame, non subordinando l’annullamento a limiti massimi, assoluti o percentuali o ad altre condizioni simili, e prevedendo quella maggiore separatezza di funzioni (impositiva e di riesame) che il nuovo art. 17-bis ha imoposto per le controversie oggetto di “reclamo”. Se poi, fallito il tentativo di raggiungere l’accordo direttamente tra le parti, si volesse affidare la funzione di “filtro” ad un organo decidente davvero estraneo all’ufficio impositore si potrebbe, di certo con maggiori garanzie di imparzialità, potenziare il ruolo del giudice tributario nella conciliazione giudiziale che oggi è di fatto limitato alla verbalizzazione degli accordi raggiunti dalle parti e non prevede alcun potere del giudice di sollecitare la conciliazione e, soprattutto, di valutare nel merito i casi trattati. A tal proposito, si potrebbe prendere spunto dal procedimento conciliativo tipico del rito speciale del lavoro (artt. 409 e ss. c.p.c.) in cui l’organo di conciliazione partecipa attivamente al tentativo di composizione delle posizioni contrastanti e prevedere la possibilità di affidare il tentativo ad un giudice monocratico in modo da rendere più spedite le relative procedure. In conclusione, per risolvere i problemi di sovraccarico delle Commissioni Tributarie si dovrebbe intervenire innanzi tutto all’origine del rapporto tributario, in modo da ridurre quanto più possibile il numero di atti suscettibili di ingenerare controversie destinate agli organi della giustizia tributaria. Per raggiungere questo obiettivo sarebbe sufficiente rafforzare i filtri amministrativi già esistenti (autotutela, accertamento con adesione, interpelli preventivi, conciliazione giudiziale) evi- CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO tando, però, di creare nuovi meccanismi che, oltre ad essere farraginosi, inutili ed onerosi, appaiono, come detto, anche di dubbia legittimità costituzionale. Alla luce di tutto quanto sopra, sarebbe auspicabile: - introdurre nello Statuto del Contribuente una norma che, adeguandosi all’orientamento ormai consolidato della Suprema Corte, riconosca esplicitamente l’obbligo generalizzato del contraddittorio nel procedimento di accertamento; - stabilire l’obbligo dell’Ufficio di procedere – solo quando il contribuente ne faccia richiesta – al riesame in via amministrativa dell’atto impositivo impugnato, da compiersi in un termine sufficientemente breve e, comunque, prima di aprire il processo davanti alla Commissione tributaria. A tal fine si potrebbe utilizzare anche per le cartelle di pagamento il già collaudato schema dell’accertamento con adesione, nel quale l’istanza è una facoltà e non un obbligo per il contribuente; - articolare una compiuta disciplina degli effetti sul processo degli esiti del procedimento amministrativo di autotutela prevedendo: a) che il diniego espresso o tacito di autotutela costituisca elemento di valutazione per il giudice; b) che dell’esito del procedimento di autotutela si tenga conto ai fini della quantificazione delle sanzioni e della condanna al pagamento delle spese di giudizio; - sostituire la procedura (amministrativa) del reclamo con quella (giurisdizionale) della conciliazione fuori udienza, in cui sia previsto di sottoporre l’esame della richiesta di conciliazione al Presidente o ad altro Giudice monocratico della Commissione competente in un’udienza da fissare entro i novanta giorni (già previsti per il reclamo), con termini di difesa dimezzati; - svincolare l’accesso alla nuova procedura conciliativa da qualsiasi limite quantitativo. Così facendo: - si intensificherebbe l’impiego dell’istituto della conciliazione (che oggi, come riferisce la Relazione tecnica allo schema di decreto legislativo approvato il 26 giugno, risulta adottato soltanto nell’1% dei casi, - si manterrebbe all’interno della fase giurisdizionale l’attività conciliativa successiva all’emissione dell’atto impositivo, - si semplificherebbe la struttura del processo, specialmente nella sua fase iniziale, - si aumenterebbe il ricorso all’autotutela, imponendo agli uffici l’obbligo di evadere le richieste avanzate dei contribuenti e prevedendo una maggiore rapidità nelle loro decisioni. DOTTRINA CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Istituti del reclamo e della conciliazione: le nuove regole di Santa Pierro Introduzione Con la legge dell’11 marzo 2014, n. 231, il Parlamento ha delegato il Governo ad elaborare una normativa volta a creare “un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita”. I sedici articoli della legge delega individuano distinti ambiti di intervento e, tra questi, l’articolo 10 pone al Governo l’obiettivo della revisione del contenzioso tributario mediante l’introduzione di norme finalizzate al rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente. Per il raggiungimento di tale obiettivo, il citato articolo 10 indica anche i princìpi e i criteri direttivi che devono guidare l’opera del legislatore delegato. Primo tra questi è “il rafforzamento e la razionalizzazione dell’istituto della conciliazione nel processo tributario, anche ai fini di deflazione del contenzioso e di coordinamento con la disciplina del contraddittorio fra il contribuente e l’amministrazione nelle fasi amministrative di accertamento del tributo”2. L’indicazione parlamentare di razionalizzare, rafforzare e coordinare le norme relative agli istituti deflattivi del contenzioso ha trovato attuazione nelle modifiche apportate dal Titolo II del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 1563 agli istituti del reclamo/mediazione4 e della conciliazione tributaria, nonché nelle modifiche 1 La legge n. 23 del 2014 è rubricata: “Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita”. 2 Cfr. articolo 10, comma 1, lett. a) della legge n. 23 del 2014. 3 In data 29 dicembre 2015 è stata pubblicata la circolare n. 38/E dell’Agenzia delle Entrate, che illustra la riforma del processo tributario ad opera del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156. Nel presente lavoro si terranno presenti le indicazioni fornite con la suddetta circolare, anche se successiva ai lavori del Convegno. 4Si segnala che la Commissione sesta del senato, in sede di esame del disegno di legge n. 184, ha chiesto al Governo di verificare la sussistenza di eventuali profili di eccesso di delega nelle modifiche apportate all’articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992, posto che la legge di delega non menzionava espressamente la mediazione. Nella relazione governativa di accompagnamento del disegno di legge n. 184-bis, confluito nel D.Lgs. n. 156 del 2015, si esclude che si ponga tale problema, posto che la mediazione è un istituto deflattivo del contenzioso e per tali istituti la legge di delega disponeva tout court l’ampliamento. riguardanti la disciplina delle sanzioni e degli adempimenti successivi alla sottoscrizione degli accordi transattivi, ora improntata a criteri di uniformità e semplificazione5. Il legislatore delegato ha manifestato una netto favore verso gli istituti oggetto del presente contributo, dei quali ha notevolmente ampliato l’ambito di applicazione e semplificato la disciplina, allo scopo di favorirne l’utilizzo. L’istituto del reclamo/mediazione continua ad essere disciplinato dall’articolo 17-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 5466, mentre la disciplina della conciliazione giudiziale è stata ripartita in tre articoli, volti a disegnare una normativa più articolata e compiuta dell’istituto in esame: gli attuali articoli 48, 48-bis e 48-ter del D.Lgs. n. 546 del 1992. Il quadro normativo di riferimento va integrato, come meglio si vedrà nel prosieguo, da norme esterne al D.Lgs. n. 546 del 1992, riguardanti la determinazione della sanzione e gli adempimenti successivi al perfezionamento dell’accordo transattivo. La nuova disciplina, secondo quanto previsto dall’articolo 12 del D.Lgs. n. 156 del 2015, è entrata in vigore dal 1° gennaio 2016. La relazione illustrativa al decreto di riforma in esame chiarisce che le novelle legislative in esame si applicano ai giudizio pendenti alla data suddetta. Il reclamo/mediazione L’articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992, che disciplina l’istituto del reclamo/mediazione, è stato oggetto di una riscrittura complessiva ad opera della lettera l), del comma 1, dell’articolo 9 del D.Lgs.n. 156 del 2015. La riforma non ha mutato la natura dell’istituto, che resta uno strumento obbligatorio, finalizzato ad un esame preventivo della fondatezza dei motivi del ricorso e della possibilità di evitare, anche mediante un accordo 5 Il riferimento è al testo novellato dell’articolo 12 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e dell’articolo 8 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218. Sul punto si veda infra. 17 18 DOTTRINA di mediazione, l’instaurazione di una controversia davanti al giudice, ma ha inciso profondamente sui seguenti aspetti: - ambito di applicazione dell’istituto, esteso a tutti gli enti impositori, agli agenti della riscossione e ai soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446; - modalità di instaurazione del procedimento; - determinazione delle sanzioni dovute a seguito di mediazione; - regole per il pagamento delle somme dovute a seguito di mediazione. La principale novità apportata dal legislatore del 2015 è l’estensione dell’istituto a tutte le controversie di valore non superiore ad euro 20.0007, indipendentemente dall’ente impositore. Infatti, l’articolo 17-bis in esame, nel testo attualmente in vigore, così recita: “Per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, il ricorso produce anche gli effetti di un reclamo e può contenere una proposta di mediazione con rideterminazione dell’ammontare della pretesa”8. Viene meno il riferimento alle sole controversie relative agli atti dell’Agenzia delle Entrate, e diventano pertanto mediabili anche le liti doganali, le liti relative ai tributi locali e le liti avverso gli agenti e i concessionari della riscossione, per i vizi ascrivibili al loro operato. L’ampliamento dell’ambito di applicazione dell’istituto è stato senz’altro favorito dall’avallo che la Corte costituzionale ha dato all’istituto stesso. Infatti, nella sentenza del 16 aprile 2014, n. 98, i Giudici costituzionali hanno evidenziato come l’istituto del reclamo/mediazione risponda all’interesse generale di favorire la definizione delle controversie nella fase pregiurisdizionale, attraverso una definizione della lite più rapida e meno dispendiosa, con conseguente accelera- 7 Nella relazione governativa di accompagnamento del disegno di legge n. 184-bis si precisa che il Governo ha preferito non incrementare il valore delle controversie mediabili fino ad euro 50.000, in analogia con la previsione relativa all’importo per la negoziazione obbligatoria in materia civile, in quanto tale scelta avrebbe esteso l’ambito di applicazione dell’istituto del reclamo/mediazione alla quasi totalità delle controversie tributarie pendenti. Le difficoltà organizzative correlate alla gestione di una simile mole di procedimenti avrebbero potuto compromettere l’efficacia dell’istituto stesso. Tuttavia, nella relazione governativa non si esclude che tale estensione di valore possa essere introdotta gradualmente in seguito. 8 Nella precedente formulazione, l’articolo 17-bis del D.Lgs. n. 156 del 2015 così prevedeva: “Per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, relative ad atti emessi dall’Agenzia delle entrate, chi intende proporre ricorso è tenuto preliminarmente a presentare reclamo secondo le disposizioni seguenti ed è esclusa la conciliazione giudiziale di cui all’articolo 48”. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO zione dei processi e deflazione del carico di lavoro della giurisdizione tributaria9. È stata inoltre espunta dal nuovo testo la precedente previsione secondo cui, per le controversie interessate dall’istituto del reclamo/mediazione, era esclusa la conciliazione giudiziale di cui all’articolo 48 del D.Lgs. n. 546 del 1992. Restano non mediabili, per espressa previsione normativa, le sole liti relative agli aiuti di Stato e le liti di valore indeterminabile, ad eccezione delle liti catastali di cui al comma 2 dell’articolo 2 del D.Lgs.n. 546 del 199210. All’estensione dell’ambito di applicazione dell’istituto fanno pendant modalità semplificate di instaurazione del procedimento: infatti la nuova norma stabilisce che per le controversie di valore non superiore a 20.000 euro11 è lo stesso ricorso che produce gli effetti del recla- 9 Nella sentenza in esame la Corte costituzionale così statuisce: “va premesso che la consolidata giurisprudenza di questa Corte esclude che la garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale implichi necessariamente una relazione di immediatezza tra il sorgere del diritto (o dell’interesse legittimo) e tale tutela (sentenze n. 154 e n. 82 del 1992, n. 130 del 1970, n. 64 del 1964), essendo consentito al legislatore di imporre l’adempimento di oneri – in particolare, il previo esperimento di un rimedio amministrativo – che, condizionando la proponibilità dell’azione, ne comportino il differimento, purché gli stessi siano giustificati da esigenze di ordine generale o da superiori finalità di giustizia (sentenze n. 132, n. 81 e n. 62 del 1998, n. 233 del 1996, n. 56 del 1995, n. 255 del 1994, n. 406 del 1993, n. 154 del 1992; in termini simili, sentenze n. 403 del 2007, n. 251 del 2003, n. 276 del 2000, n. 113 del 1997, n. 82 del 1992, n. 130 del 1970). È questo il caso del reclamo e della mediazione tributari, i quali, col favorire la definizione delle controversie (che rientrino nel menzionato ambito di applicazione dei due istituti) nella fase pregiurisdizionale introdotta con il reclamo, tendono a soddisfare l’interesse generale sotto un duplice aspetto: da un lato, assicurando un più pronto e meno dispendioso (rispetto alla durata e ai costi della procedura giurisdizionale) soddisfacimento delle situazioni sostanziali oggetto di dette controversie, con vantaggio sia per il contribuente che per l’amministrazione finanziaria; dall’altro, riducendo il numero dei processi di cui sono investite le commissioni tributarie e, conseguentemente, assicurando il contenimento dei tempi e un più attento esame di quelli residui (che, nell’ambito di quelli promossi nei confronti dell’Agenzia delle entrate, comportano le più rilevanti conseguenze finanziarie per le parti)”. 10 Rientrano, pertanto, nell’istituto del reclamo mediazione le liti relative alle “controversie promosse dai singoli possessori concernenti l’intestazione, la delimitazione, la figura, l’estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale” (cfr. comma 2 dell’articolo 2 del D.Lgs. n. 546 del 1992). 11 Si rammenta che il valore della lite va valutato secondo le indicazioni fornite dall’articolo 12, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, il quale stabilisce che “Per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste”. DOTTRINA CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO mo e può contenere una proposta di mediazione con ride terminazione dell’ammontare della pretesa. Pertanto, a seguito della novella legislativa, i Contribuenti non sono più tenuti a precisare nell’atto di impugnazione che si tratta di un reclamo/mediazione ai sensi dell’articolo 17-bis in esame, ma gli effetti della presentazione dell’istanza di reclamo/mediazione si esplicano automaticamente per effetto del valore della lite stessa. Ne consegue che la semplice rituale presentazione di un ricorso, che introduca una controversia di valore non superiore a 20.000 euro, produrrà gli effetti del reclamo/mediazione: pertanto, a norma del comma 2 dell’articolo 17-bis, quale effetto immediato si avrà l’improcedibilità del ricorso per un periodo di novanta giorni12, durante i quali l’Amministrazione valuterà la fondatezza dei motivi di impugnazione. Nel corso di tale periodo, l’azione giudiziaria non può essere proseguita ed il termine per la costituzione in giudizio del ricorrente, di cui all’articolo 22 del D.Lgs. n. 546 del 1992, decorre dallo scadere del novantesimo giorno dalla notifica del ricorso13. Al termine dei novanta giorni si applica la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale. Ulteriore effetto, derivante dalla presentazione di un ricorso rientrante nell’ipotesi di cui al primo comma dell’articolo 17-bis, è la sospensione per novanta giorni di riscossione e pagamento delle somme indicate nell’atto impugnato14. Per quanto attiene alla fase amministrativa dell’istituto, la nuova disciplina non prevede particolari innovazioni rispetto alle regole dettate dalla previgente normativa, ma si limita a disciplinare alcuni aspetti legati all’ampliamento della sfera degli enti impositori ai cui atti si applica l’istituto in esame. Infatti, se per le Agenzie fiscali è stato confermato che “provvedono all’esame del reclamo e della proposta di 12 Il comma 2 dell’articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992 prevede che “Il ricorso non è procedibile fino alla scadenza del termine di novanta giorni dalla data di notifica, entro il quale deve essere conclusa la procedura di cui al presente articolo. Si applica la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale”. 13 Si veda in proposito il comma 3 dell’articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992, che così dispone: “Il termine per la costituzione in giudizio del ricorrente decorre dalla scadenza del termine di cui al comma 2. Se la Commissione rileva che la costituzione è avvenuta in data anteriore rinvia la trattazione della causa per consentire l’esame del reclamo”. 14 Tale effetto è previsto dal comma 8 dell’articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992, che recita: “La riscossione e il pagamento delle somme dovute in base all’atto oggetto di reclamo sono sospesi fino alla scadenza del termine di cui al comma 2, fermo restando che in caso di mancato perfezionamento della mediazione sono dovuti gli interessi previsti dalle singole leggi d’imposta”. mediazione mediante apposite strutture diverse ed autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili”15, gli altri enti impositori possono organizzare la gestione della procedura compatibilmente con la propria struttura. Restano invariate le modalità di perfezionamento dell’accordo di mediazione: il comma 6 dell’articolo 17bis prevede, in continuità con la precedente disciplina, che nelle controversie aventi ad oggetto un atto impositivo o di riscossione, la mediazione si perfeziona con il versamento, entro venti giorni dalla sottoscrizione dell’accordo, delle somme dovute o, in caso di pagamento rateale, con il pagamento della prima rata. Tra gli elementi di novità del testo attuale dell’articolo 17-bis vi è la precisazione che, in materia di liti relative ad istanze di rimborso, la mediazione si “perfeziona con la sottoscrizione di un accordo nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. L’accordo costituisce titolo per il pagamento delle somme dovute al contribuente”. Il legislatore ha inoltre innovato il beneficio della riduzione delle sanzioni e, in coerenza con la possibilità di conciliare, nelle successive fasi del procedimenti, le liti mediabili, ha previsto una graduazione del beneficio in esame in relazione al momento in cui si conclude l’accordo transattivo. Infatti, il comma 7 dell’articolo 17-bis ridetermina nella misura del trentacinque16 per cento del minimo previsto dalla legge il beneficio della riduzione delle sanzioni in sede di mediazione. Per la quantificazione della sanzione in concreto irrogabile, il testo in esame va coordinato con la previsione contenuta nel comma 8 dell’articolo 12 del D.Lgs. n. 472 del 1997, così come novellato dall’articolo 16 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158, che disciplina il concorso di violazioni e la continuazione. Tale ultima disposizione prevede che per la mediazione, così come per l’accertamento con adesione e la conciliazione, sia applicabile il cumulo giuridico separatamente per singoli tributi e per singoli periodi di imposta. La nuova norma recita infatti: “Nei casi di accertamento con adesione, di mediazione tributaria e di conciliazione giudiziale, in deroga ai commi 3 e 5, le 15 Cfr. il comma 4 dell’articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992. 16 Si ricorda che, in precedenza, il raggiungimento di un accordo di mediazione comportava che le sanzioni fossero dovute in misura pari al quaranta per cento delle somme irrogabili in rapporto all’ammontare del tributo risultante dalla mediazione medesima. È appena il caso di notare che il previgente articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992 non aveva una propria disciplina delle sanzioni, ma rinviava a quanto previsto dall’articolo 48 dello stesso decreto. 19 20 DOTTRINA disposizioni sulla determinazione di una sanzione unica in caso di progressione si applicano separatamente per ciascun tributo e per ciascun periodo d’imposta. La sanzione conseguente alla rinuncia, all’impugnazione dell’avviso di accertamento e alla definizione agevolata ai sensi degli articoli 16 e 17 del presente decreto non può stabilirsi in progressione con violazioni non indicate nell’atto di contestazione o di irrogazione delle sanzioni”. La disciplina attuale comporta, pertanto, che le sanzioni si determinino non prendendo a base la sanzione irrogata, che può essere maggiore del minimo edittale, ma la sanzione minima prevista dalla legge per le singole violazioni contestate con riferimentoalle diverse imposte. In caso di concorso di più violazioni, si applicherà il cumulo giuridico, se più favorevole, applicato distintamente per ciascuna imposta17, e per ciascun periodo di imposta oggetto di definizione18. Un’importante ulteriore novità riguarda la disciplina del pagamento delle somme dovute a seguito di accordo di mediazione, che si perfeziona con il pagamento delle somme dovute o della prima rata entro il termine di venti giorni dalla data di sottoscrizione19. Il legislatore del 2015 ha opportunamente uniformato le regole relative al pagamento delle somme dovute a seguito di accordi sottoscritti in sede di accertamento con adesione, reclamo/mediazione e conciliazione, 17 Si segnala che, al momento della pubblicazione delle nuove norme di cui ai decreti legislativi nn. 156 e 158 del 2015, vi era una discrasia tra la data di entrata in vigore dellanuova normativa sul reclamo/mediazione, fissataal 1° gennaio 2016, e la data di entrata in vigore delle modifiche all’articolo 12 del D.Lgs. n. 472 del 1997:infatti, l’articolo 32 dello stesso D.Lgs. n. 158 del 2015 rubricato “Decorrenza degli effetti e abrogazioni”, nel testo originario, prevedeva che la normativa in esame entrasse in vigore il 1° gennaio 2017. Con l’articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 228, è stata modificato il testo dell’articolo 32 citato e la data di entrata in vigore delle disposizioni di cui al Titolo II del decreto in esame è stata individuata nel 1° gennaio 2016. 18 Nel caso in cui le sanzioni irrogate siano meno favorevoli al Contribuente rispetto a quelle riformulate con il D.Lgs. n. 158 del 2015, le sanzioni dovranno altresì tener conto dello iussuperveniensin applicazione del principio del favor rei di cui al comma 3 dell’articolo 3 del D.Lge. n. 472 del 1997. 19 Cfr. comma 6 dell’articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992, che così dispone: “Nelle controversie aventi ad oggetto un atto impositivo o di riscossione, la mediazione si perfeziona con il versamento, entro il termine di venti giorni dalla data di sottoscrizione dell’accordo tra le parti, delle somme dovute ovvero della prima rata. Per il versamento delle somme dovute si applicano le disposizioni, anche sanzionatorie, previste per l’accertamento con adesione dall’articolo 8 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218. Nelle controversie aventi per oggetto la restituzione di somme la mediazione si perfeziona con la sottoscrizione di un accordo nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. L’accordo costituisce titolo per il pagamento delle somme dovute al contribuente”. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO inserendo nel comma 6 dell’articolo 17-bis20 e nel comma 4 dell’articolo 48-ter21 del D.Lgs. n. 546 del 1992 un rinvio alla disciplina di cui all’articolo 8 del D.Lgs. n. 218 del 199722, che detta le norme inerenti agli adempimenti successivi alla sottoscrizione dell’atto di accertamento con adesione23. È pertanto ammessa la possibilità di versare le somme dovute in un massimo di otto rate trimestrali di pari importo o in un massimo di sedici rate trimestrali24 se le somme dovute superano i cinquantamila euro. Le rate successive alla prima devono essere versate, per espressa previsione normativa, entro l’ultimo giorno di ciascun trimestre: tale disposizione innova la precedente disciplina, la quale prevedeva che il termine entro cui effettuare tali versamenti fosse da correlarsi alla data in cui era stato effettuato il primo versamento25 e non entro un termine unico per tutti i contribuenti. Uniformità di disciplina si ritrova altresì in materia di inadempimento nei pagamenti rateali. Infatti, l’attuale articolo 8 del D.Lgs. n. 218 del 1997 dispone che “In caso di inadempimento nei pagamenti rateali si applicano le disposizioni di cui all’articolo 15-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602”. 20 Cfr. supra, n. 19. 21 La norma citata prevede: “Per il versamento rateale delle somme dovute si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste per l’accertamento con adesione dall’articolo 8 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218”. 22 L’articolo 8 in esame così dispone: “1. Il versamento delle somme dovute per effetto dell’accertamento con adesione è eseguito entro venti giorni dalla redazione dell’atto di cui all’articolo 7. 2. Le somme dovute possono essere versate anche ratealmente in un massimo di otto rate trimestrali di pari importo o in un massimo di sedici rate trimestrali se le somme dovute superano i cinquantamila euro. L’importo della prima rata è versato entro il termine indicato nel comma 1. Le rate successive alla prima devono essere versate entro l’ultimo giorno di ciascun trimestre. Sull’importo delle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi calcolati dal giorno successivo al termine di versamento della prima rata. 3. Entro dieci giorni dal versamento dell’intero importo o di quello della prima rata il contribuente fa pervenire all’ufficio la quietanza dell’avvenuto pagamento. L’ufficio rilascia al contribuente copia dell’atto di accertamento con adesione. 4. Per le modalità di versamento delle somme dovute si applicano le disposizioni di cui all’articolo 15-bis. In caso di inadempimento nei pagamenti rateali si applicano le disposizioni di cui all’articolo 15-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602”. 23 Cfr. articolo 7 del D.Lgs. n. 218 del 1997. 24 La precedente normativa, dettata dal comma 3 dell’articolo 48 del D.Lgs. n. 546 del 1992, richiamato dal comma 8 del previgente articolo 17-bis, prevedeva che la rateizzazione fosse ammessa in un massimo di otto rate elevate a dodici, nel caso in cui le somme dovute superassero i cinquantamila euro 25 Cfr. circolare dell’8 agosto 1997, n. 235/E del Ministero delle Finanze. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO DOTTRINA Tale ultima norma, introdotta dall’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 24 settembre 2015 n. 159, prevede al comma 2 che “In caso di rateazione ai sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, il mancato pagamento di una delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva comporta la decadenza dal beneficio della rateazione e l’iscrizione a ruolo dei residui importi dovuti a titolo di imposta, interessi e sanzioni, nonché della sanzione di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, aumentata della metà e applicata sul residuo importo dovuto a titolo di imposta”. Ai sensi di tale disposizione, la decadenza dal beneficio della rateizzazione si verifica nel caso in cui il mancato pagamento di una rata successiva alla prima si protragga fino al termine di pagamento della rata successiva. In tale ipotesi, sono iscritti a ruolo i residui importi dovuti a titolo di imposte, interessi e sanzioni, ed è irrogata la sanzione per omesso versamento, prevista dall’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, aumentata della metà, e quindi pari al quarantacinque per cento, e rapportata all’importo dovuto a titolo di imposta. La nuova sanzione per gli omessi pagamenti rateali si mostra coerente con l’attuale tendenza del legislatore a mitigare il regime sanzionatorio tributario: si ricorda, infatti, che la previgente normativa, dettata dal comma 3-bis dell’articolo 48 del D.Lgs. n. 546 del 199226, prevedeva che la sanzione di cui all’articolo 13 del D.Lgs. n. 471 del 1997 fosse applicata in misura doppia, in ragione del sessanta per cento,sul residuo importo dovuto a titolo di tributo. Trova applicazione agli istituti dell’accertamento con adesione, del reclamo/mediazione e della conciliazione la previsione di cui al comma 3 dell’articolo 15-ter del DPR n. 602 del 1973, che esclude la decadenza nell’ipotesi del lieve inadempimento. Viene ora precisamente normato il concetto di lieve inadempimento che si avrà nelle ipotesi di “a) insufficiente versamento della rata, per una frazione non superiore al 3 per cento e, in ogni caso, a diecimila euro; b) tardivo versamento della prima rata, non superiore a sette giorni27”. È il caso di ricordare, tuttavia, che l’Agenzia delle entrate, con circolare del 19 marzo 2012, n. 9, aveva già riconosciuto, in tema di reclamo/mediazione, che pagamenti lievemente inferiori al dovuto o effettuati con lieve ritardo potessero essere ritenuti validi dagli Uffici “tenendo conto dell’intento deflativo dell’istituto e dei principi di economicità, nonché di conservazione dell’atto amministrativo”. Si aggiunga che il comma 6 dell’articolo 15-ter in esame consente al contribuente di avvalersi dell’istituto del ravvedimento operoso di cui all’articolo 13 del D.Lgs. n. 472 del 1997, purché il versamento sia eseguito entro il termine di versamento della rata successiva ovvero, in caso di versamento in unica soluzione o di ultima rata, entro novanta giorni dalla scadenza del termine previsto per il versamento. Tuttavia, si ritiene che nelle ipotesi in cui il termine di versamento è previsto a pena di decadenza, il pagamento tardivo non comporterà decadenza dai benefici connessi all’istituto a cui afferisce il pagamento, solo se integrante gli estremi del “lieve inadempimento”, ovvero se eseguito entro sette giorni dalla scadenza28. In caso contrario, il contribuente potrà effettuare il pagamento entro novanta giorni dalla scadenza del termine, in caso di pagamento in un’unica soluzione, o entro il termine della rata successiva, avvalendosi dell’istituto del ravvedimento operoso. Tale normativa troverà applicazione, per esempio, nell’istituto della conciliazione giudiziale, per il cui perfezionamento non è più necessario il pagamento delle somme dovute entro una certa data. Discuterne con Marcello. Rivedere meglio il testo per chiarirne il significato e semplificare. Va infine aggiunto che la circolare n. 38/E del 2015 dell’Agenzia delle Entrate ha chiarito che “in caso di accoglimento parziale del reclamo, si rendono applicabili le disposizioni recate dall’articolo 2-quater, comma 1-sexies, del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564, introdotte dall’articolo 11, comma 1, lettera a), del D.Lgs. n. 159 del 2015, ai sensi della quale ‘Nei casi di annullamento o revoca parziali dell’atto il contribuente può avvalersi degli istituti di definizione agevolata delle sanzioni previsti per l’atto oggetto di annullamento o revoca alle medesime condizioni esistenti alla data di notifica dell’atto purché rinunci al ricorso. In tale ultimo caso le spese del giudizio restano a carico delle parti che le hanno sostenute’. In applicazione della citata disposizione, si ritiene che il contribuente che abbia ottenuto l’accoglimento parziale del reclamo, previa rinuncia al deposito del ricorso con riguardo agli altri motivi di doglianza non accolti, è rimesso in termini per ottenere eventualmente la riduzione delle sanzioni ad un terzo prevista dall’articolo 15 del D.Lgs. n. 218 del 1997”. 26 Tale norma si applicava all’istituto del reclamo/mediazione per effetto del richiamo contenuto nel comma 8 del previgente articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992. 27 Cfr. comma 3 dell’articolo 15-ter del DPR n. 602 del 1973. 28 È questa l’ipotesi del pagamento delle somme dovute a seguito di sottoscrizione di atto accertamento con adesione e di atto di mediazione. 21 22 DOTTRINA Conciliazione Anche l’istituto della conciliazione giudiziale ha subito un profondo restyling, attraverso un intervento legislativo volto a dettare una disciplina compiuta delle diverse tipologie di conciliazione e ad ampliarne l’ambito di applicazione. Il legislatore della riforma mostra di aver recepito le elaborazioni giurisprudenziali intervenute in materia negli ultimi anni, volte ad integrare “con notevoli sforzi interpretativi”29 la scarna disciplina positiva dell’istituto. Di grande rilievo è stata, per esempio, la sentenza della Corte di cassazione del 13 febbraio 2009, n. 3560, con cui la Suprema Corte ha delineato la disciplina della conciliazione in udienza, definita ‘lunga’, e della conciliazione fuori udienza o ‘breve’, oppure le sentenze del 13 giugno 2006, n. 21325, e del 19 giugno 2009, n. 14300, che hanno approfondito la questione della natura dell’accordo conciliativo e ne hanno riconosciuto il carattere transattivo e negoziale. In particolare, in quest’ultima pronuncia è stato chiaramente sottolineato il carattere novativo dell’accordo conciliativo, in virtù del quale si ha “la sostituzione della pretesa fiscale originaria, ma unilaterale e contestata, con una certa e concordata”. La nuova disciplina della conciliazione giudiziale conferma implicitamente la natura di strumento facoltativo di deflazione del contenzioso, finalizzato al raggiungimento di un accordo tra l’Amministrazione finanziaria e il contribuente volto ad estinguere, in toto o in parte, una lite tributaria. La novella legislativa ha riguardato tuttavia importanti aspetti operativi dell’istituto, quali l’ambito di applicazione, la disciplina delle sanzioni, la procedura e il momento del perfezionamento e del pagamento rateale delle somme dovute. Le modifiche introdotte rispondono, al pari delle modifiche all’istituto del reclamo/mediazione, all’esigenza di incentivare l’utilizzo dello strumento conciliativo per addivenire ad una soluzione rapida delle controversie tributarie in funzione del rispetto del canone della ragionevole durata dei processi30. Pertanto, l’istituto, che nella disciplina previgente era esperibile solo dinanzi alla Commissione tributaria 29 Cfr. la sentenza della Suprema Corte 15 novembre 2013, n. 25683, in cui si legge che “la disciplina della conciliazione giudiziale dei rapporti tributari, contenuta nell’art. 48 Dlgs n. 546/1992, ha imposto, fin dalla prima applicazione, notevoli sforzi interpretativi, avendo omesso il Legislatore di prevedere il necessario raccordo tra l’attività conciliativa svolta avanti il Giudice tributario e la fase di adempimento di tale accordo, non essendo stato definito il coordinamento tra l’effetto estintivo del rapporto tributario controverso e la pronuncia di estinzione del giudizio pendente (per sopravvenuta cessazione della materia del contendere) nel caso di successivo inadempimento totale o parziale del contribuente al versamento dell’importo concordato”. 30 In tal senso, cfr. C. Cass., sentenze 18 aprile 2007, nn. 9222 e 9223, in cui si afferma che la conciliazione giudiziale ha lo scopo di CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO provinciale, ora trova applicazione per tutta la durata del giudizio di merito31 e ne è stata altresì prevista l’estensione alle liti reclamabili: non è infatti stato riproposto l’inciso del primo comma del previgente articolo 17-bis del D.Lgs. n. 156 del 2015, che per la controversie di valore non superiore a ventimila euro dichiarava “esclusa la conciliazione giudiziale di cui all’articolo 48”. Il legislatore ha dettato una disciplina compiuta dell’istituto e ne ha dato sistemazione in tre articoli aggiungendo, all’articolo 4832 del D.Lgs. n. 546 del 1992, gli articoli 48-bis33 e 48-ter34. “contribuire alla deflazione del contenzioso tributario, iscrivendo il meccanismo da esso disciplinato nell’ambito degli istituti di risoluzione alternativa delle controversie (c.d.movimento per le A.D.R.) che ha trovato in tal modo ingresso anche nelle ... liti fiscali”. E ciò in ossequio al “principio costituzionale di ragionevole durata del processo che trova applicazione anche nel processo tributario”. 31 Nella previgente formulazione, l’articolo 48, al comma 2, prevedeva che la conciliazione potesse aver luogo solo davanti alla commissione provinciale e non oltre la prima udienza. La norma attuale, invece, individua l’ambito di applicazione dell’istituto facendo riferimento alla “pendenza del giudizio”, estendendo l’esperibilità della conciliazione alla fase di appello. 32 L’articolo 48 del D.Lgs. n. 546 del 1992, rubricato “Conciliazione fuori udienza”, così dispone: “1. Se in pendenza del giudizio le parti raggiungono un accordo conciliativo, presentano istanza congiunta sottoscritta personalmente o dai difensori per la definizione totale o parziale della controversia. 2. Se la data di trattazione è già fissata e sussistono le condizioni di ammissibilità, la commissione pronuncia sentenza di cessazione della materia del contendere. Se l’accordo conciliativo è parziale, la commissione dichiara con ordinanza la cessazione parziale della materia del contendere e procede alla ulteriore trattazione della causa. 3. Se la data di trattazione non è fissata, provvede con decreto il presidente della sezione. 4. La conciliazione si perfeziona con la sottoscrizione dell’accordo di cui al comma 1, nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. L’accordo costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente”. 33 Il testo dell’articolo 48-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992, che disciplina la “Conciliazione in udienza”, prevede che. “1. Ciascuna parte entro il termine di cui all’articolo 32, comma 2, può presentare istanza per la conciliazione totale o parziale della controversia. 2. All’udienza la commissione, se sussistono le condizioni di ammissibilità, invita le parti alla conciliazione rinviando eventualmente la causa alla successiva udienza per il perfezionamento dell’accordo conciliativo. 3. La conciliazione si perfeziona con la redazione del processo verbale nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. Il processo verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente. 4. La commissione dichiara con sentenza l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere”. 34 L’articolo 48-ter del D.Lgs. n. 546 del 1992, intitolato “Definizione e pagamento delle somme dovute”, così recita: “1. Le sanzioni amministrative si applicano nella misura del quaranta per cento del minimo previsto dalla legge, in caso di perfezionamento della concilia- DOTTRINA CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Gli articoli 48 e 48-bis regolano, rispettivamente, la conciliazione fuori udienza e la conciliazione in udienza; l’articolo 48-ter detta le norme comuni alle due tipologie di conciliazione per quanto concerne il trattamento sanzionatorio e il pagamento delle somme dovute. Le due modalità di conciliazione erano già succintamente delineate dai commi 3 e 5 del previgente articolo 48. Le norme attualmente vigenti, oltre a dettare una disciplina più analitica delle due modalità di raggiungimento dell’accordo transattivo, presentano alcuni elementi di novità rispetto alla vecchia disciplina. In primo luogo, per quel che concerne la conciliazione fuori udienza, è ora previsto che, ove le parti abbiano raggiunto un accordo conciliativo, l’istanza congiunta di definizione totale o parziale della controversia può essere depositata da ciascuna parte del giudizio e non più dal solo Ufficio. L’Agenzia delle Entrate, nella circolare n. 38 del 2015, evidenzia come l’istanza35 debba contenere anche l’esposizione dei termini dell’accordo. zione nel corso del primo grado di giudizio e nella misura del cinquanta per cento del minimo previsto dalla legge, in caso di perfezionamento nel corso del secondo grado di giudizio. 2. Il versamento delle somme dovute ovvero, in caso di rateizzazione, della prima rata deve essere effettuato entro venti giorni dalla data di sottoscrizione dell’accordo conciliativo di cui all’articolo 48 o di redazione del processo verbale di cui all’articolo 48-bis. 3. In caso di mancato pagamento delle somme dovute o di una delle rate, compresa la prima, entro il termine di pagamento della rata successiva, il competente ufficio provvede all’iscrizione a ruolo delle residue somme dovute a titolo di imposta, interessi e sanzioni, nonché della sanzione di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, aumentata della metà e applicata sul residuo importo dovuto a titolo di imposta. 4. Per il versamento rateale delle somme dovute si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste per l’accertamento con adesione dall’articolo 8 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218”. 35 L’Agenzia delle Entrate, nella circolare n. 38/E del 2015, precisa che “L’istanza deve contenere: l’indicazione della commissione tributaria adita; i dati identificativi della causa, anche con riferimento all’Ufficio dell’Agenzia e al contribuente parti in giudizio; la manifestazione della volontà di conciliare, con indicazione degli elementi oggetto della proposta conciliativa ed i relativi termini economici; la liquidazione delle somme dovute in base alla conciliazione (ovvero, per le conciliazioni intervenute nell’ambito di controversie aventi ad oggetto operazioni catastali, gli elementi che individuano esattamente i termini dell’accordo conciliativo, quali l’indicazione del classamento o della rendita catastale rideterminati); la motivazione delle ragioni che sorreggono la conciliazione; l’accettazione incondizionata del ricorrente di tutti gli elementi della proposta nonché delle somme liquidate; la data, la sottoscrizione del titolare dell’Ufficio e la sottoscrizione del contribuente o, nei casi in cui vi sia obbligo di assistenza tecnica, anche del difensore. Si precisa che, in presenza di difensore, deve essere espressamente conferito nella procura il potere di conciliare e transigere la controversia”. Sulla proposta preconcordata, la Commissione adita svolge un sindacato di mera legittimità, secondo quanto previsto dal comma 2 dell’articolo 48. Viene pertanto sancito in via generale che la Commissione valuta la sussistenza delle condizioni di ammissibilità, laddove, nella precedente formulazione della norma36, il legislatore prevedeva espressamente il vaglio della sussistenza dei presupposti di ammissibilità unicamente per il caso in cui la proposta di conciliazione preconcordata fosse depositata in Commissione prima della fissazione dell’udienza. Va però evidenziato che la giurisprudenza di legittimità era comunque giunta ad ammettere che i giudici tributari potessero svolgere, in ogni caso, un mero controllo di legittimità. Ciò comportava che i giudici potessero e dovessero verificare l’ammissibilità del ricorso incoativo del procedimento, la sussistenza dei presupposti della giurisdizione e della competenza del giudice adito, il rispetto delle regole procedimentali nonché la sussistenza del potere di conciliare. Nella vigenza del precedente testo della norma, la Corte di cassazione ha in più occasioni precisato che ai giudici tributari, in caso di conciliazione tra le parti, è precluso esercitare una vaglio sulla meritevolezza dell’accordo37. Le nuove norme non contengono elementi di novità per quanto riguarda l’ammissibilità della conciliazione parziale38 mentre, in ordine ai provvedimenti conclusivi del processo tributario in caso di conciliazione, viene codificato che il procedimento può concludersi con i seguenti provvedimenti a seconda della fase del processo in cui l’accordo conciliativo si perfeziona: nel caso in cui la data di trattazione non sia fissata, è previsto che provveda il presidente della sezione con decreto; nell’ipotesi in cui l’istanza di conciliazione sia depositata dopo la fissazione dell’udienza di trattazione, il collegio pronuncia sentenza di cessazione della materia del contendere, se l’accordo riguarda l’intera controversia. 36 Cfr. comma 5 del previgente articolo 48 del D.Lgs. n. 546 del 1992. 37 In proposito si fa presente che la Corte costituzionale, con sentenza del 24 ottobre 2000, n. 433, ha sancito l’infondatezza della questione di legittimità dell’articolo 48 nella parte in cui non consentiva alla Commissione tributaria provinciale alcun giudizio di congruità delle somme da versare su cui l’Ufficio e il contribuente si fossero accordati. Anche la Corte di cassazione, con sentenza del 18 aprile 2007, n. 9222, ha confermato che il Giudice tributario può esercitare sull’accordo conciliativo un mero controllo di legalità estrinseco, senza poter esprimere alcuna valutazione sulla congruità dell’importo concordato. Nello stesso senso, si veda la circolare del 23 aprile 1996, n. 98/E del Ministero delle Finanze. 38 Il comma 2 dell’articolo 48 del D.Lgs. n. 546 del 1992 prevede che, se l’accordo conciliativo è parziale, la commissione dichiari con ordinanza la cessazione parziale della materia del contendere e proceda alla ulteriore trattazione della causa. 23 24 DOTTRINA Per converso, in caso di conciliazione parziale, dichiara con ordinanza la cessazione parziale della materia del contendere e procede alla ulteriore trattazione della causa. Si precisa che deve ritenersi che il termine ultimo per il deposito dell’istanza di conciliazione continui a coincidere con l’udienza di discussione o la data di trattazione in camera di consiglio: la norma attuale, a differenza della precedente, non disciplina tale aspetto, ma in via interpretativa, in considerazione della finalità dell’istituto, è da ritenere ammissibile che l’accordo conciliativo possa essere depositato in Commissione nel momento in cui la causa è trattenuta in decisione39. La conciliazione in udienza, come già anticipato, è disciplinata dall’articolo 48-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992. Analogamente a quanto previsto dal comma 3 del previgente articolo 48, ciascuna delle parti può presentare istanza di conciliazione totale o parziale fino al termine di cui al comma 2 dell’articolo 32, ovvero fino a dieci giorni prima dell’udienza. Tuttavia, attualmente non è più previsto che l’istanza di conciliazione vada inserita nell’istanza di pubblica udienza. La nuova norma non specifica il tipo di atto in cui debba essere inserita l’istanza di conciliazione né prevede il contenuto necessario dell’istanza di conciliazione. Deve comunque ritenersi che non si possa prescindere dalla trattazione del ricorso in pubblica udienza, necessaria per l’esperimento della conciliazione, e che l’istanza debba contenere quanto meno i termini generali dell’accordo. La Commissione, se ritiene che ci siano i presupposti di ammissibilità della proposta, invita le parti a tentare un accordo e può, ove necessario, rinviare la causa a successiva udienza. Nel caso in cui la procedura abbia esito positivo, il segretario della sezione redige un processo verbale40 “nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento”. Tale atto costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente. Conseguentemente la Commissione dichiara con sentenza l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere. Una importante novità di entrambe le tipologie di conciliazione attiene al momento del perfezionamento dell’accordo, per il quale non è più necessario il paga- CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO mento delle somme dovute o della prima rata di esse, ma è sufficiente la sottoscrizione dell’accordo o la redazione del processo verbale. Infatti, il comma 4 dell’articolo 48 prevede che la conciliazione ‘fuori udienza’ si perfezioni con la sottoscrizione dell’accordo in cui sono indicate le somme dovute, con i termini e le modalità di pagamento. Analoga disposizione contiene il comma 3 dell’articolo 48-bis, che fa coincidere il perfezionamento della conciliazione con la redazione del processo verbale. L’accordo, in entrambi i casi, costituisce titolo per la riscossione delle somme in esso indicate come dovute. A tale ultimo aspetto della procedura è dedicato l’articolo 48-ter del D.Lgs. n. 546 del 1992 che, per l’appunto, disciplina sia il profilo premiale dell’istituto, incentrato sulla riduzione delle sanzioni correlate alle imposte rideterminate in sede di conciliazione, sia le modalità e i termini di versamento delle somme dovute e di recupero delle somme non versate. A norma del comma 1 dell’articolo 48-ter, le sanzioni amministrative si riducono al quaranta per cento del minimo previsto dalla legge, se la conciliazione si perfeziona nel primo grado di giudizio, al cinquanta per cento del minimose l’accordo conciliativo è raggiunto dinanzi alla Commissione tributaria regionale. La determinazione concreta delle sanzioni applicabili a seguito dell’accordo conciliativo deve tener conto sia delle imposte rideterminate in sede di conciliazione, a cui va rapportata la nuova sanzione, sia del dettato dell’articolo 12 del D. Lgs. n. 472del 1997, oltre che della nuova disciplina sanzionatoria introdotta dal decreto legislativo n. 158 del 2015 se più favorevole41: in proposito si richiama quanto innanzi detto a proposito dell’istituto della mediazione tributaria42. Il versamento delle somme dovute ovvero, in caso di rateizzazione, della prima rata di esse va effettuato entro venti giorni dalla sottoscrizione dell’accordo conciliativo di cui all’articolo 48 o dalla redazione di processo verbale di cui all’articolo 48-bis. Pertanto, nel caso della conciliazione fuori udienza, la scadenza del termine di versamento delle somme dovute non decorre più dalla data di comunicazione del provvedimento giudiziale di cessazione della materia del contendere, bensì dalla data di sottoscrizione dell’accordo stesso. Nel calcolo delle somme dovute vanno ovviamente considerate le somme eventualmente versate in pendenza di giudizio, che andranno detratte dall’importo conciliato e, in caso di eccedenza, restituite al contribuente. 39 Cfr. circolare n. 38/E del 2015 dell’Agenzia delle Entrate. 40 Torna applicabile il disposto dell’articolo 34, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, che così prevede: “Dell’udienza è redatto processo verbale dal segretario”. 41 Cfr. supra, n. 18. 42 Vd. supra, pp. 7-8. DOTTRINA CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Per quanto riguarda il versamento rateale delle somme dovute a seguito di conciliazione, si è sopra precisato43 che il legislatore ha uniformato la disciplina dei pagamenti rateali correlati all’accertamento con adesione alla mediazione e alla conciliazione, e si è già illustrata la relativa disciplina. Si rinvia, pertanto, a quanto detto a proposito del versamento rateale delle somme dovute in sede di procedimento di reclamo/mediazione. La disciplina delle spese di giudizio relative alle controversie interessate da mediazione e conciliazione è stata inserita nei commi 2-septies e 2-octies nell’articolo 15 del D.Lgs. n. 546 del 1992, che recitano: “2-septies. Nelle controversie di cui all’articolo 17-bis le spese di giudizio di cui al comma 1 sono maggiorate del 50 per cento a titolo di rimborso delle maggiori spese del procedimento. 2-octies. Qualora una delle parti abbia formulato una proposta conciliativa, non accettata dall’altra parte senza giustificato motivo, restano a carico di quest’ultima le spese del processo ove il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della proposta ad essa effettuata. Se è intervenuta conciliazione le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione”. Pertanto, il legislatore ha espunto dal corpo dell’articolo 17-bis la disciplina delle spese relative ai procedimenti rientranti nell’istituto del reclamo/mediazione e l’ha inserita nell’articolo 15 che ora disciplina in modo unitario la materia delle spese del giudizio. La nuova norma conferma la precedente previsione secondo cui le spese di giudizio liquidate in relazione ad impugnazioni di atti reclamabili sono maggiorate del cinquanta per cento. Tale previsione risponde, secondo quanto si legge nella relazione illustrativa al D.Lgs. n. 156 del 2015, alla “duplice finalità di incentivare la mediazione, oggi estesa a tutti gli enti impositori, e di riconoscere alla parte vittoriosa i maggiori oneri sostenuti nella fase procedimentale obbligatoria ante causam”. La circolare n. 38/E del 2015 dell’Agenzia delle Entrate chiarisce che resta salva la possibilità di compensare le spese di lite e che, “fuori dai casi di soccombenza reciproca, la compensazione delle spese, comprese quelle della fase di reclamo/mediazione, può essere disposta solo qualora sussistano e siano espressamente dedotte in motivazione specifiche circostanze o aspetti della controversia, assistite dai requisiti della gravità e della eccezionalità, tra le quali potranno rilevare anche considerazioni in ordine ai motivi che abbiano indotto la parte soccombente a disattendere una eventuale proposta di mediazione”44. Il comma 2-octies dell’articolo 15 del D.Lgs.n. 546 del 1992 detta la disciplina delle spese di giudizio per l’ipotesi in cui l’accordo conciliativo proposto da una parte non sia accettato. In tal caso è previsto che le spese siano addebitate alla parte che non accetti la proposta conciliativa della controparte senza giustificato motivo, ove il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della proposta ad essa effettuata. Per converso, nel caso in cui la lite venga definitiva in sede conciliativa, le spese sono compensate, salva diversa determinazioni delle parti nell’accordo o nel processo verbale di conciliazione. L’illustrazione delle novità in tema di istituti deflattivi del contenzioso disciplinati dalla normativa regolante il processo tributario conferma quanto affermato in premessa in merito al netto favore mostrato dal legislatore verso le forme di definizione transattiva delle liti fiscali. Il successo dell’istituto del reclamo/mediazione, che ha portato quasi a dimezzare il numero dei ricorsi proposti nel 2014 rispetto al 201145, è sicuramente alla base delle novità legislative oggetto del presente lavoro, volte a favorire una soluzione rapida delle controversie tributarie e a rendere ancora più celeri i processi pendenti dinanzi alle Commissioni tributarie. 44 Cfr. circolare n. 38/E del 2015, § 1.4. 43 Cfr. supra, pp. 9-10 45 Cfr. circolare n. 38/E del 2015, p. 8. 25 26 DOTTRINA CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Il contraddittorio nel processo tributario di Nicola Durante Il rispetto del contraddittorio, coerentemente coi dettami dell’art. 111 Cost. e dell’art. 6 CEDU1, è uno dei capisaldi del “giusto processo”. Esso, nella sua accezione comune, mira ad impedire che un soggetto subisca le conseguenze negative (ma, in linea di principio, anche positive) di un processo, senza avervi potuto partecipare2. Come, tuttavia, detta partecipazione concretamente si realizzi, riguarda le regole interne di ciascun tipo di processo. A mio avviso, è possibile raffigurare il contraddittorio processuale come un sistema composto da due cerchi concentrici. Il primo cerchio attiene alle garanzie inviolabili, che ogni tipo di processo deve assicurare3. Tra queste garanzie, le prime si pongono sul versante soggettivo e si sostanziano nel diritto del soggetto di essere informato della proposizione di un processo che lo riguarda, secondo forme e tempi che gli consentano di prendervi utilmente parte. Nel processo civile, tale diritto è sancito dall’art. 101, comma 1, c.p.c. (quanto al processo con una sola parte) e dall’art. 102 c.p.c. (quanto al processo litisconsortile), dai quali discende la nullità la sentenza eventualmente pronunciata nei confronti di una o più parti non regolarmente citate e non comparse. 1 Quanto al processo tributario, si tenga presente che la Corte europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza del 12 luglio 2001, Ferrazzini c. Italia, si è espressa nel senso che «l’art. 6 § 1 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali, in tema di giusto processo, non può essere applicato al processo tributario, che conseguentemente resta sottratto ai vincoli di ragionevole durata che invece sono imposti agli altri tipi di processo. Tale conclusione può essere giustificata alla luce di due profili: innanzitutto, in via generale, in base al particolare rapporto di natura sostanziale fra contribuente e Stato, che non può essere ricondotto fra quelli indicati all’art. 6 della Convenzione. In subordine, per il fatto che le deroghe che il Primo Protocollo addizionale (art. 1) apporta alla Convenzione europea, in materia tributaria e sul piano sostanziale, non possono non incidere, seppur in via indiretta, anche sulla tutela processuale di quelle stesse situazioni soggettive». In generale, sul tema, cfr. DURANTE, Compatibilità dell’assetto ordinamentale della giustizia tributaria con l’art. 6 della CEDU, in Sentenze Italia.it (riv. telematica), dicembre 2014. 2 Cfr. PICARDI, Il principio del contraddittorio, in Riv. dir. proc., 1998, 673 e ss. 3 Cfr. CARTABIA, Principi inviolabili e integrazione europea, Milano, 2005. Trattandosi di regole indispensabili per assicurare il rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, esse operano pure nel processo tributario4. Di conseguenza, in presenza di accertamenti unitari a valenza plurisoggettiva5, tutte le parti coinvolte dalla pretesa fiscale devono poter partecipare al medesimo processo, a pena di nullità assoluta della sentenza pronunciata solo nei confronti di taluna, rilevabile d’ufficio, in ogni stato e grado e con regressione obbligatoria del giudizio al primo grado ex art. 59, comma 1, lett. b), del D.lgs. n. 546 del 19926. Sempre nel cerchio delle garanzie inviolabili, si collocano altre due norme del processo civile, che riguardano l’aspetto oggettivo del contraddittorio. Esse sono l’art. 112 c.p.c., secondo cui il giudice non può pronunciarsi oltre i limiti della domanda e l’art. 101, comma 2, c.p.c., secondo cui il giudice non può fondare la propria decisione su una questione rilevata d’ufficio, se su di essa non abbia preventivamente provocato il contraddittorio delle parti. Anche queste due norme sono pienamente applicabili al processo tributario. Circa l’operatività del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, la Suprema Corte si è infatti espressa sotto la vigenza sia del vecchio7, che del nuovo rito tributario8. Quanto, poi, all’omessa segnalazione di una questione decisiva rilevata d’ufficio, la parte che ne è stata pregiudicata può sempre impugnare la sentenza per violazione del diritto di difesa – consistente nell’essere stata privata della facoltà di modificare domande ed eccezioni, allegare fatti nuovi e formulare richieste istruttorie sulla questione decisiva –, facendo valere, nel grado di giudizio superiore, le ragioni che in concreto avrebbe potuto invocare, qualora il contraddittorio fosse stato ritualmente attivato9. 4 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 6 marzo 2000 n. 2509. 5 Come, ad esempio, nelle rettifiche di dichiarazioni dei redditi di società di persone o di associazioni di cui all’art. 5 del D.P.R. n. 917 del 1986, alle quali consegue l’automatica imputazione dei maggiori redditi pro quota in capo a ciascun socio. 6 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 28 novembre 2014 n. 25300. 7 Cfr. Cass. civ., Sez. I, 29 ottobre 1979 n. 5652. 8 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 24 luglio 2013 n. 17952. 9 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 23 maggio 2014 n.11453. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Dunque, dinanzi al giudice tributario, la diversità applicativa tra norme regolatrici dell’aspetto oggettivo del contraddittorio e norme regolatrici dell’aspetto soggettivo risiede nelle differenti conseguenze della loro trasgressione, in quanto solo la trasgressione delle seconde dà luogo alla restituzione degli atti al giudice di primo grado; riguardo alla prime, invece, opera il normale principio devolutivo in favore del giudice dell’appello10. Nondimeno, in entrambi i casi, l’effettività del principio del contraddittorio è completa: e ciò dipende dal fatto che sui soggetti e sulle domande del processo si dispiegheranno gli “effetti costitutivi della sentenza” di cui all’art. 2908 c.c., potendo questa «costituire, modificare ed estinguere rapporti giuridici, con effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa»11. Nel secondo cerchio concentrico, di dimensione inferiore quanto ad effettività di tutela, trova posto la tematica della valutazione della prova. Occorre premettere che, come il processo civile, anche quello tributario è “a cognizione piena”. Al giudice tributario spetta, infatti, non solo la cognizione sull’atto – come nei processi di “impugnazioneannullamento”, orientati unicamente all’eliminazione del provvedimento –, ma anche quella sul rapporto, trattandosi di “impugnazione-merito” diretta, attraverso la necessaria demolizione di un atto12, alla pronuncia di una decisione sostitutiva della valutazione eseguita dall’Amministrazione finanziaria13. Ne consegue che, se il giudice ritiene che l’atto impositivo sia invalido per motivi di carattere sostanziale, egli non può limitarsi ad annullarlo, ma deve esami10 Infatti, il giudizio dinanzi la Commissione tributaria regionale, aldilà delle ipotesi tassative ed eccezionali previste dal primo comma dell’art. 59 del D.lgs. n. 546 del 1992 – nelle quali è prevista la possibilità di una sentenza meramente rescissoria, in presenza di vizi formali dell’accertamento o di altri atti pregressi su cui esso si fonda –, assume le caratteristiche generali del mezzo di gravame, ossia del mezzo di impugnazione a carattere sostitutivo ed obbliga il giudice dell’appello a decidere nel merito le questioni proposte (cfr. Cass. civ., Sez. trib., 28 maggio 2010 n. 13132). 11 Cfr. FERRI, La decisione della causa, in Lezioni sul processo civile (a cura di CAMOGLIO, FERRI, TARUFFO), Bologna, 2011. 12 La proposizione di un’azione di accertamento è estranea al modulo del giudizio tributario, da introdursi necessariamente con l’impugnazione di specifici atti o del silenzio rifiuto su un’istanza di rimborso (cfr. Cass. civ., Sez. un., 23 dicembre 2009 n. 27209). In dottrina, cfr. MULEO, Lezioni di diritto tributario, Torino, 2016, 273 «solo successivamente [alla caducazione del provvedimento impositivo, n.d.e.], la cognizione del giudice può estendersi alla fondatezza della pretesa fiscale». 13 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 9 giugno 2010 n. 13868; id., 13 marzo 2009 n. 6134; id., 12 luglio 2006 n. 15825; id., 23 dicembre 2005 n. 28770; id., 19 febbraio 2004 n. 3309. DOTTRINA nare la pretesa tributaria nel merito, per ricondurla alla sua corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte14. Entrambi i processi (civile e tributario) sono poi tendenzialmente governati dal principio dispositivo di cui all’art. 115 c.p.c., in forza del quale, salvi i casi previsti dalla legge, la causa deve essere decisa sulla scorta delle prove offerte o proposte dalle parti. La sentenza va dunque motivata iuxta alligata et probata, senza che sia permesso al giudice di procurarsi da sé il materiale su cui fondare la decisione. Nel processo tributario, detta regola deve fare però i conti con l’antitetico principio dell’indisponibilità dell’obbligazione, in quanto credito di diritto pubblico scaturente da un’attività di accertamento vincolata, che non determina l’insorgere dell’obbligazione tributaria, ma ne dichiara semplicemente l’esistenza15. La traslazione processuale di tale principio è rappresentata dall’art. 7 del D.lgs. n. 546 del 1992 che, nella formulazione vigente, affida alle commissioni tributarie il potere: - di esercitare, ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati di informazioni e di chiarimenti conferite agli Uffici tributari (comma 1); - di chiedere, quando occorre acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità, relazioni agli organi tecnici della Pubblica Amministrazione, ivi compresa la Guardia di Finanza, ovvero di disporre consulenza tecnica d’ufficio (comma 2). Nel testo originario, l’art. 7 conteneva anche un comma terzo, che assegnava al giudice la facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia. Ora, come messo in luce dalla stessa Corte costituzionale, il combinato di questi tre commi, attribuiva al processo tributario un «potere officioso, dal quale soprattutto, pressoché unanimemente, la giurisprudenza e la dottrina desumevano, quanto all’istruzione, la sua natura di processo inquisitorio (o, secondo altra terminologia, acquisitivo): si diceva, in sintesi, che il giudice tributario era tenuto a giudicare iuxta alligata, ma non anche iuxta probata partium»16. 14 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 8 gennaio 2015 n. 106. 15 Cfr. LA ROSA, Principi di diritto tributario, Torino, 2006, 79, «in assenza di norme espresse, né il contribuente può chiedere, né l’Amministrazione finanziaria può consentire, che gli adempimenti tributari vengano assolti in modi e termini diversi da quel che le norme stabiliscono». Sul punto, altresì, cfr. REDI, Appunti sul principio di indisponibilità del credito tributario, in Dir. e pratica tributaria, 1995, I, 425 ss. 16 Cfr. C. cost. 29 marzo 2007 n. 109. 27 28 DOTTRINA Pertanto, con l’abrogazione del terzo comma17, il legislatore ha «voluto rafforzare il carattere dispositivo del processo tributario». La ritenuta volontà legislativa di rafforzamento del principio dispositivo non può non refluire sulla lettura dei due commi precedenti, rimasti intatti. Un’interpretazione ispirata alla supposta natura “inquisitoria” del processo potrebbe, invero, far pensare che compito del giudice tributario sia quello di “ricercare la verità sostanziale”, attraverso l’uso di un potere di supplenza rispetto alle carenze istruttorie delle parti, che gli permetta di acquisire d’ufficio tutti i mezzi di prova necessari, sovvertendo gli usuali oneri probatori. Ma, alla luce di quanto detto, il senso da attribuire alle citate disposizioni non può essere certamente questo. Infatti, la giurisprudenza di legittimità si è oramai stabilmente orientata sulla più prudente linea che consente al giudice di intervenire in funzione integrativa nel campo della prova, soltanto laddove ricorra una situazione di obiettiva incertezza che la singola parte non è in grado di fugare, per non trovarsi il relativo mezzo nella sua disponibilità18. Il presupposto indefettibile affinché il giudice eserciti ex officio i poteri istruttori di cui all’art. 7 del D.Lgs. n. 546 del 1992, derogando al canone ordinario di distribuzione dell’onere della prova, è, dunque, l’impossibilità per la parte di procurarsi la prova altrimenti19. Dal 4 luglio 2009, l’art. 115 c.p.c. si è arricchito di una nuova regola in materia di valutazione della prova, che obbliga il giudice a ritenere dimostrati i fatti non specificatamente confutati20. E’ il principio di non contestazione che, in aggiunta all’onere di provare i fatti a sé favorevoli, impone (alle sole parti costituite) l’ulteriore onere di prendere posizione sulle allegazioni di controparte, in quanto la carenza di una specifica opposizione si traduce in un consolidamento della prova contraria. Tale canone di giudizio è una naturale conseguenza del carattere dispositivo del processo: pertanto, i margini della sua applicabilità nel rito tributario vanno verificati alla luce del contrapposto principio di indisponibilità dell’obbligazione sottostante. 17 Avvenuta con l’art. 3-bis, comma 5, del d.l. n. 203 del 2005. 18 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 20 gennaio 2016 n. 955. 19 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 8 luglio 2015 n. 14244 e 30 dicembre 2010 n. 26392. 20 Questo in forza di una modifica introdotta dall’art. 45, comma 14, della legge 18 giugno 2009 n. 69. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO A tal proposito, va infatti chiarito che, dopo una generalizzata apertura iniziale21, la più recente giurisprudenza di legittimità ha precisato come, nel processo tributario, il regime probatorio in parola debba subire un correttivo, dovendo operare «al netto della specificità dettata dalla non disponibilità dei diritti controversi»22. Affinché, dunque, un fatto possa ritenersi provato per mancata contestazione, è necessario che «il giudice non sia in grado di escluderne l’esistenza, in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo». In ciò si ravvisa una sensibile attenuazione del principio di non contestazione, quasi al limite della materiale disapplicazione del testo della norma, che impone di dare per provati i fatti «non specificatamente contestati dalla parte costituita». Se, in altre parole, una specifica contestazione manca, non può essere il giudice a dedurla dal coacervo processuale. Tanto, del resto, avviene nel processo civile, dove il comportamento omissivo della parte ha effetti vincolanti per il giudice, il quale deve ritenere sussistente il fatto, astenendosi da qualsivoglia controllo probatorio23. Dall’applicazione del correttivo, discendono importanti effetti sul meccanismo di regolazione della prova in capo alle parti del processo tributario. Quanto alla parte pubblica, infatti, la Suprema Corte ha puntualizzato che «l’onere di completezza della linea di difesa […] non può essere considerato come base per affermare esistente, in capo all’Amministrazione, un onere aggiuntivo di allegazione rispetto a quanto già dedotto nell’atto impositivo». Donde, la “specifica contestazione” dei fatti avversi può ben essere reperita dal giudice anche negli atti amministrativi versati nella causa, quali appunto l’avviso di accertamento ed il processo verbale di contestazione, i quali integrano a tal fine le allegazioni difensive dell’Ufficio finanziario. 21 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 31 marzo 2010 n. 7827 e 24 gennaio 2007 n. 1540, quest’ultima favorevolmente commentata da DE ROMA, Il principio di non contestazione assume valenza generale, in Il corr. trib. 2009, 2683 ss., COLLI VIGNARELLI, Il principio di non contestazione si applica anche nel processo tributario, in Rass. trib. 2007, 1503 ss. e GENOVESE, Il principio di non contestazione e la sua trasponibilità nel processo tributario, in Il Fisco, 2007, 1470 ss. Anche l’Agenzia delle entrate, con circolare 31 marzo 2010 n. 17/E, ha invitato gli Uffici a «contestare punto per punto, nei propri atti difensivi, i fatti enunciati nel ricorso del contribuente, evitando formule generiche». 22 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 6 febbraio 2015 n. 2196. 23 Cfr. Cass. civ., Sez. III, 9 marzo 2012 n. 3727. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Sull’altro versante, invece, l’applicazione del correttivo fa sì che la mancata contestazione, concernendo esclusivamente il piano dell’acquisizione del fatto non contestato, non consente di dare per provato «anche il fatto che si sostenga da quello direttamente desumibile (il c.d. significato)». In questo caso, l’affermazione lascia al contribuente uno spazio di manovra per il caso di prova presuntiva, in quanto, pur in mancanza di una sua specifica contestazione del fatto noto, non è precluso al giudice di esaminare le «risultanze ritualmente assunte nel processo», allo scopo di escludere l’esistenza della prova del fatto ignoto, impedendo che si verifichi una praesumptio de praesumpto24. Anche alla luce del predetto correttivo, l’operatività del principio di non contestazione appare poi molto limitata nei procedimenti di silenzio rifiuto avverso istanze di rimborso, dovendo il giudice tributario verificare sia l’esistenza del diritto al rimborso, sia l’avvenuto versamento della somma di cui si chiede la restituzione25. Un punto dolente in materia di contradditorio attiene alla possibilità, dianzi accennata, che la parte pubblica si giovi nel processo di meccanismi presuntivi legali, di modo che la raggiunta prova di un determinato fatto diventa automaticamente prova di un altro fatto, che diversamente rimarrebbe ignoto e tutto da dimostrare26. La presunzione serve ad invertire l’onere della prova, spostandolo dal Fisco al contribuente e permette di qualificare come indice di capacità contributiva un certo fatto, i cui caratteri di gravità, precisione e concordanza non sono stabiliti dall’organo giudicante, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ma direttamente dalla legge27. 24 Quanto alla distinzione tra significante e significato, fa notare CHINDEMI, Il principio di non contestazione nel giudizio tributario, in www.giustizia-tributaria.it, 8, che «la non contestazione deve, fondamentalmente, riguardare i fatti da accertare nel processo e non la determinazione della loro dimensione giuridica». 25 Cfr. SORRENTINO, Il principio di non contestazione nel processo tributario, in Il Fisco, 2010, 32, 5163 ss. 26 Secondo LUPI, Diritto tributario, Parte generale, Milano, 1996, 151, le presunzioni servono «a controbilanciare in qualche modo la posizione di inferiorità degli Uffici rispetto alle circostanze da dimostrare». In dottrina, diffusamente, cfr. GENTILI, Le presunzioni nel diritto tributario, Padova, 1984. 27 Un esempio di presunzione è costituito, in materia di società di comodo, dai parametri previsti dall’art. 30 della legge n. 724 del 1994, che sono fondati sulla correlazione tra il valore di determinati beni patrimoniali ed un livello minimo di ricavi e proventi ed il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa di una società, spettando, poi, al contribuente fornire la prova contraria e dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive e straordinarie, specifiche ed indipendenti dalla sua volontà, che DOTTRINA Il giudice, pertanto, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi rilevatori di capacità contributiva, non può privare gli stessi della forza presuntiva che la legge ha inteso annettere loro, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma28. In queste ipotesi, la legittimità della presunzione discende necessariamente dalla sua ragionevolezza, da valutare in base al parametro-guida della capacità contributiva, di cui all’art. 53 Cost. Non a caso, applicando tale metro di giudizio a situazioni tra loro disomogenee, la Corte costituzionale, pronunciandosi sulla norma che equipara i prelievi ingiustificati su conto corrente a redditi non dichiarati, ne ha dichiarato: - la legittimità, quanto alla figura dell’imprenditore, essendo la presunzione congruente col fisiologico andamento dell’attività d’impresa, caratterizzata dalla necessità di continui investimenti in beni e servizi, in vista di futuri ricavi29; - l’illegittimità, quanto alla figura del lavoratore autonomo, stante l’arbitrarietà della presunzione secondo cui i prelievi siano destinati ad un investimento nell’ambito dell’attività professionale e che questo sia, a sua volta, produttivo di un reddito30. Un vulnus al principio del contraddittorio parrebbe insito, infine, nel divieto di acquisizione di determinate prove, quali il giuramento e la testimonianza, viceversa ammesse nel processo civile31. La preclusione, contenuta nell’art. 7, comma 4, del D.lgs. n. 546 del 1992, è stata ritenuta legittima dalla Corte costituzionale, in quanto rientrante nei margini di discrezionalità riservati al legislatore ordinario. abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto (sul punto, cfr. Cass. civ., Sez. trib., 21 ottobre 2015 n. 21358). Altro esempio riguarda la determinazione sintetica del reddito annuale complessivo ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. n. 600 del 1973, che consente all’Ufficio finanziario di accertare in danno al contribuente la sussistenza di redditi da lui non dichiarati, incombendo su quest’ultimo l’onere di provare che la circostanza su cui si fonda la presunzione semplice non corrisponde alla realtà (sul punto, cfr. Cass. civ., Sez. trib., 14 febbraio 2014 n. 3445). 28 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 29 aprile 2011 n. 9549, in tema di rettifica delle dichiarazioni delle persone fisiche ex art. 38 del D.P.R. n. 600 del 1973. 29 Cfr. C. cost. 8 giugno 2005 n. 225. 30 Cfr. C. cost. 6 ottobre 2014 n. 228. 31 Il divieto posto dall’art. 7, comma 4, del D.lgs. n. 546 del 1992 riproduce l’art. 35, comma 4, del D.P.R. n. 636 del 1972 (vecchio rito tributario). Sul tema, cfr. TESAURO, Sulla esclusione della testimonianza nel processo tributario, in Il fisco, 2002, n. 40, 23 ss. 29 30 DOTTRINA Essa, invero, trova giustificazione nelle peculiari caratteristiche del processo tributario ed in particolare «sia nella spiccata specificità dello stesso rispetto a quello civile ed amministrativo, correlata alla configurazione dell’organo decidente e al rapporto sostanziale oggetto del giudizio; sia nella circostanza che esso è ancora, specie sul piano istruttorio, in massima parte scritto e documentale; sia, infine, nella stessa natura della pretesa fatta valere dall’Amministrazione finanziaria attraverso il procedimento di accertamento dell’obbligo del contribuente, che mal si concilia con la prova testimoniale»32. Nondimeno, pur a fronte dell’accertata legittimità del divieto, un giusto contemperamento tra ragioni del processo ed esigenze della difesa è stato delineato dalla Suprema Corte, la quale, dopo avere premesso che la preclusione vale solamente per le ipotesi di diretta assunzione della narrazione dei fatti da parte di un terzo, ha ammesso nel rito tributario le dichiarazioni scritte di terzi, raccolte e depositate dalle parti, qualificandole alla stregua di informazioni, utilizzabili come elementi di prova col supporto di riscontri oggettivi. Tale forma di allegazione processuale, inizialmente riconosciuta solo in favore dell’Amministrazione finanziaria, con riferimento alle dichiarazioni dei terzi raccolte dagli organi verificatori, è stata più di recente estesa al contribuente, con il medesimo valore probatorio33, proprio per garantire il principio della “parità delle armi processuali” e l’effettività del diritto di difesa, che sono architravi dell’art. 111 Cost.34. Sempre sul principio della “parità delle armi” tra Fisco e contribuente, va segnalata una recentissima presa di posizione della giurisprudenza di merito, in tema di obbligo del versamento di una somma di denaro pari al contributo unificato, posto a carico della parte impugnante soccombente dall’art. 13, comma 1quater, del D.P.R. n. 115 del 200235. 32 Cfr. C. cost. 21 gennaio 2000 n. 18. In dottrina, cfr. FAZZALARI, Prova testimoniale o dichiarazioni di terzi addotte dall’amministrazione?, in Giur. cost., 2000, 1 ss., nonché MULEO, Diritto alla prova, principio del contraddittorio e divieto di prova testimoniale in un contesto di verificazione: analisi critica e possibili rimedi processuali, in Rass. trib., 2002, 1994 ss. 33 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 25 marzo 2002 n. 4269 e 14 maggio 2010 n. 11785. 34 Cfr. CECCHETTI, Il principio del giusto processo nel nuovo art. 111 della Costituzione. Origini e contenuto normativi generali, in Giusto processo. Nuove norme sulla formazione e valutazione della prova, a cura di TONINI, Padova, 2001. 35 Il comma è stato inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228 e vale per le impugnazioni proposte dopo il 30 gennaio 2013. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Trattasi, secondo la Suprema Corte, di una misura lato sensu sanzionatoria, la cui ratio va individuata nella finalità di scoraggiare le impugnazioni dilatorie o pretestuose36. Ne consegue che «il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che la definisce, a dare atto – senza ulteriori valutazioni decisionali – della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta». L’unico limite che il giudice incontra è che l’obbligo non può essere dichiarato in danno della parte istituzionalmente esonerata dal materiale versamento del contributo unificato mediante il meccanismo della prenotazione a debito, come il soggetto ammesso al gratuito patrocinio e lo Stato37. Si verifica, così, il paradosso per cui, in caso di reiezione dell’appello principale e di quello incidentale proposti nello stesso processo dal contribuente e dall’Agenzia delle entrate, ad essere sanzionata è solamente la parte privata, sebbene entrambi gli impugnanti siano rimasti ugualmente soccombenti. La norma è parsa, quindi, in contrasto col “principio di parità delle parti”, di cui all’art. 111, comma 2, Cost., in quanto, se «occorre sanzionare, mediante il versamento di una somma di denaro, tutte le impugnazioni infondate od irrituali, perché potenzialmente dilatorie o pretestuose, la detta sanzione deve poter colpire indifferentemente tutte le parti del processo, e non solamente una. E questo vale, particolarmente, nei processi, come quello tributario, dove una delle parti è necessariamente pubblica e quasi sempre costituita da un’Amministrazione dello Stato»38. Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 12 novembre 2015 n. 23175; id., 2 luglio 2015 n. 13636; id., Sez. III, 14 marzo 2014 n. 5955. 37 Cfr. Cass. civ., Sez. III, 14 marzo 2014 n.5955. 38 Cfr. CTR Calabria, Catanzaro, Sez. I, ord. 4 aprile 2016 n. 193. 36 DOTTRINA CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Ampliamento delle difese personali di Giovanni Moschetti L’ASSISTENZA TECNICA NEL “NUOVO” ART. 12, D.LGS 546/1992: VERSO UNA MAGGIOR TUTELA DEL CONTRIBUENTE, O VERSO UNA MAGGIOR TUTELA DI ULTERIORI CATEGORIE DI PROFESSIONISTI? 1. L’art. 10, punto 3 della legge delega 11 marzo 2014, n. 23 stabiliva, tra i principi e criteri direttivi, “l’eventuale ampliamento dei soggetti abilitati a rappresentare i contribuenti dinnanzi alle commissioni tributarie”, così radicalizzando una scelta già molto discussa1. Il principio è stato attuato prevedendo, tra l’altro, che anche i dipendenti dei CAF e relative società di servizi, in possesso di diploma in giurisprudenza o in economia ed equipollenti, o diploma in ragioneria e della relativa abilitazione professionale, possano stare in giudizio limitatamente alle controversie dei propri assistiti originate da adempimenti per i quali il CAF ha prestato loro assistenza (cfr. la novellata lett. h) dell’art. 12)2. Permane dunque la scelta del legislatore per una legittimazione assai ampia, che pone, come semplice requisito, l’esistenza di un diploma di riconoscimento di capacità tecnica sul piano sostanziale3. Ci si chiede quale sia il fine che intende perseguire il legislatore legittimando una così vasta platea. 1 Vedi per tutti C. Glendi, Compete al Legislatore la razionalizzazione della difesa tecnica, in Corr. Trib, 1997, p. 1521; P. Russo, Manuale di diritto tributario, Il processo tributario, Milano, 2005, p. 84; M. Nussi, in Consolo – Glendi, Commentario breve alle leggi del Processo Tributario (sub. art. 12), Padova, 2008, pp. 130-131; R. Lunelli, Convegno A.N.T.I. – Il giusto processo tributario, Siracusa, 8 ottobre 2010, in NEΩTEPA , n. 1/2011, pp. 7 ss., p. 8. 2 L’aspetto peggiorativo è stato puntualmente attuato, mentre l’aspetto migliorativo del “rafforzamento della qualificazione professionale dei componenti delle commissioni tributarie, al fine di assicurare l’adeguata preparazione specialistica” (art. 10, punto 8 della legge delega 11 marzo 2014, n. 23) è rimasto inattuato. 3 Vedi il commento di M. Stella, in Abuso del diritto e novità in tema di processo tributario, a cura di C. Glendi, C. Consolo, A. Contrino, 2016, ed. Wolters Kluver, pp. 142 ss. L’autore ritiene che la “insensata liberalizzazione dell’attività defensionale, è il peggior aspetto della novella dell’art. 12”. È quello di assicurare la miglior giustizia nel processo tributario oppure di trasferire nel processo le competenze “a monte” esercitate in particolari materie? Riteniamo che, nel momento in cui la giustizia è affidata alla fase processuale, dovrebbe essere assicurata al contribuente la miglior difesa possibile, il che richiede profili professionali qualificati, che garantiscano conoscenze non solo degli aspetti tecnico-sostanziali, ma anche, e non meno, di quelli processuali. Si deve considerare, infatti, che: a) da tempo il processo tributario non è informale, ma intessuto di tecnicismi con numerose cause di inammissibilità e preclusioni; b) i motivi non esposti in ricorso non possono essere presentati successivamente; c) l’intera disciplina del processo tributario, per quanto non diversamente disposto, richiama “le norme del codice di procedura civile” (art, 1, secondo comma, D.lgs 546/1992). Queste ultime integrano la disciplina del processo tributario: non si comprende dunque che logica esista se, per la difesa tecnica in un processo disciplinato dal c.p.c., si richieda il titolo di avvocato, mentre per un processo disciplinato sia da norme speciali, sia dal c.p.c., venga consentita una difesa tecnica che (in certi casi) garantisca nulla sul piano della conoscenza processuale. I principi costituzionali di effettività della tutela giudiziale a fronte del provvedimento amministrativo imperativo (artt. 24, 111, 113 Cost.) possono essere vanificati da condotte processuali inadeguate. Il che significa che, per una forma di arrendevole “buonismo”, si mette in gioco uno dei fondamentali principi della democrazia (l’effettività della tutela giudiziale a fronte dei provvedimenti amministrativi). Ci sembra che affidare la difesa nel processo4, anche a soggetti privi di un percorso culturale che garantisca la conoscenza adeguata delle regole processuali, ponga a rischio la garanzia di adeguata difesa in giudizio. 4 Altro è il giudizio se l’assistenza riguardi la sola fase del procedimento amministrativo. 31 32 DOTTRINA Cioè un pilastro della Costituzione repubblicana. Stabilito dunque che l’attuazione costituzionale è il quadro di riferimento sempre, ed anche fino all’ultima propaggine dell’assistenza tecnica nel processo tributario, in sede di riforma la scelta doveva essere nel senso di ridurre i professionisti abilitati (non già quella di continuare ad ampliare) avvicinandoci a quella disciplina del processo civile che è richiamata sul piano delle regole applicabili. Qual è dunque la logica (se esiste una logica) di questa scelta? Perché condizionare la difesa in giudizio (a pena di inammissibilità) alla assistenza tecnica (art. 12 e art. 18, terzo e quarto co., D.Lgs 546/1992) e poi allargare a dismisura (e continuare ad allargare) lo spettro dei soggetti abilitati? Si può pensare ad una scelta di economicità (che appare anche nell’escludere la difesa tecnica per le cause fino a 3.000 euro); si può pensare ad una forma (assai semplicistica) di logica, per cui se si è intervenuti professionalmente nella fase preprocessuale (è il caso dei CAF), si avrebbe automaticamente la competenza per difendere ex post le scelte ex ante. Tutto bene se il processo tributario fosse informale; tutto bene se fosse la mera continuazione della fase accertativo-amministrativa. Ma meno bene se si legittima all’uso di uno strumento tecnico gettando allo sbaraglio chi non ne ha la relativa conoscenza. Illudendo il professionista ammesso e mettendo in pericolo il suo assistito. Esiste peraltro una certa coerenza. Quella di mantenere incompiuto il traghettamento del processo tributario dall’originaria matrice di stampo amministrativo all’attuale matrice di stampo giurisdizionale. Ne è monumentale prova la perdurante manus del MEF sulle commissioni tributarie. Ma ne è conferma anche la perdurante peculiarità dell’organo giudicante. Non solo non si è voluto ancora parificare il giudice tributario ai giudici civili, penali e amministrativi in tema di selezione all’ingresso e di professionalità, ma nemmeno si è avuto l’ “ardire” di attuare l’art. 10, punto 8, della legge delega (“il rafforzamento della qualificazione professionale dei componenti delle commissioni tributarie, al fine di assicurarne l’adeguata preparazione specialistica”). E allora l’insufficiente preparazione tecnica (sul piano processuale) dei soggetti ammessi all’assistenza processuale, corrisponde all’incompiuto disegno di CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO piena parificazione dell’organo giudicante tributario agli altri organi giurisdizionali5. A fronte di “giudici non togati”, il contribuente può stare in giudizio con “difensori non tecnici” sul piano processuale. Come ci si accontenta di “basso profilo” nella scelta e nella disciplina del giudice tributario, così ci si accontenta di “basso profilo” nella scelta di chi viene abilitato all’assistenza tecnica in tale processo6. E come nulla è stato migliorato sul primo aspetto, così nulla è stato migliorato sul secondo. La filosofia è coerente nel suo “basso profilo”. Ma in tal modo si persegue l’attuazione dei principi costituzionali in tema di giustizia processuale o si persegue una giustizia di tipo sommario, magari anche cedendo a spinte corporative7? Probabilmente il legislatore della novella se non voleva ostacolare la possibilità di difesa a categorie individuate per delimitate conoscenze sostanziali, poteva almeno rendere obbligatoria la presenza di un avvocato nel collegio difensivo. 5 Critici “sull’attitudine” delle figure comprese nelle elencazioni dei possibili giudici tributari “ad assicurare adeguata professionalità”, sono F. Batistoni Ferrara e B. Bellè, Diritto tributario processuale, Padova, 2007, p. 17. In senso critico anche P. Russo, L’ampliamento della giurisdizione tributaria e del novero degli atti impugnabili: riflessi sugli organi e sull’oggetto del processo, in NEΩTEPA, n. 3bis/2009, pp. 51 ss., p. 70; M. Basilavecchia, Criticità dell’attuale processo tributario e nella composizione delle commissioni tributarie, in NEΩTEPA, n. 3bis/2009, pp. 71 ss., p. 76; G. Marongiu, Le Commissioni tributarie da giudice specializzato a giudice togato: una proposta, in NEΩTEPA, n. 3bis/2009, pp. 90 ss., p. 100, il quale richiama anche il disegno di legge costituzionale presentato da Ezio Vanoni il 24 febbraio 1953, per riconoscere la possibilità di affidare la risoluzione delle controversie tributarie anche ad organi speciali di giurisdizione, convinto che questo giudice avrebbe dovuto dare “le massime garanzie di preparazione tecnica, unitamente a quelle di indipendenza e imparzialità”. F. Tesauro (Idee per un codice del processo tributario, in NEΩTEPA, n. 1/2001, pp. 16 ss., p. 17) osserva che “un processo giurisdizionale è veramente tale se i suoi protagonisti (il giudice e le parti) sono professionalmente idonei”. 6 Collega la disciplina dell’assistenza tecnica all’origine amministrativa delle commissioni tributarie anche P. Boria, Diritto tributario, Torino, 2016, p. 604. 7 In tal senso C. Balbi, Assistenza tecnica obbligatoria ed effettività del contraddittorio nel processo tributario, in Studi in onore di V. Uckmar, Padova 1997, p. 131, richiamato da F. Tesauro, op. cit., p. 18. Mentre i vari tipi di “tributaristi” hanno le loro rappresentanze sindacali, il mondo diffuso dei contribuenti (portatori del diritto costituzionale all’effettività della tutela giudiziale) non ha pari voce, pari rappresentanza, pari capacità di pressione politica. Come spesso si constata, la disciplina del servizio pubblico tiene conto delle esigenze degli addetti al servizio, non dell’utente. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO 2. L’attuale disciplina dell’assistenza tecnica e del giudice tributario non è conforme al principio di proporzionalità inteso come “divieto di difetto di misura” (Üntermaβ verbot). È noto che il principio di proporzionalità, così come elaborato da giurisprudenza e dottrina tedesche, conosce non solo il divieto di adottare misure che eccedono rispetto al fine, ma altresì, e coerentemente, anche il divieto di misure che eccedono per difetto. Insieme al “divieto di eccesso” (Übermaβ verbot), infatti, è stato elaborato il concetto di “divieto di difetto” (Üntermaβ verbot)8. In relazione al fine che l’attuale processo tributario intende perseguire, ovvero la tutela dei diritti soggettivi del contribuente9, ma in genere dell’“interesse fiscale” nei limiti della legge e del principio di capacità contributiva (artt. 23 e 53 Cost.), la previsione di giudici non togati, con impegno a tempo parziale, non radicati in un ruolo specifico10, e di difensori con conoscenze processuali parimenti inadeguate, non è certo sufficiente al raggiungimento di tal fine. L’ “interesse fiscale” è principio costituzionale, ma la Repubblica mette in campo una disciplina di sottodimensionamento di tale giudice (e nemmeno attua una, sia pur timida e non certo rivoluzionaria, legge delega). L’assistenza tecnica adeguata alle conoscenze anche processuali è connessa agli artt. 24, 111 e 113 Cost. (e altresì a far emergere l’imposta “dovuta per legge” ex art. 23 e 53 Cost.), ma anche qui la Repubblica mette in campo una disciplina “sottodimensionata”, sproporzionata per difetto. I principi costituzionali esistono, ma è certamente inadeguata, per difetto, la disciplina che li deve tradurre in norme concrete. Se si giudica l’attuale disciplina del processo tributario, in particolare per quanto concerne la professionalità dei giudici e l’assistenza tecnica, alla luce del principio 8 Mi permetto rinviare sul punto al mio Il principio di proporzionalità come “giusta misura” del potere nell’evoluzione del diritto tributario, Padova, 2015, ed. provv., p. 134, in nota. 9 Cfr. P. Boria, op. cit., pp. 589 ss. 10 Così, in senso critico, P. Boria, op. cit., pp. 591-592. Vedi in senso critico anche G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, parte generale, Padova, 2025, p. 607; S. Muleo, Lezioni di diritto tributario, Torino, 2016, p. 267; S. La Rosa, Principi di diritto tributario, Torino, 2012, p. 434; G. Gaffuri, Lezioni di diritto tributario, parte generale, Padova, 1999, p. 180. Tra gli argomenti spendibili per tutelare il diritto ad un giudice “indipendente ed imparziale”, si può richiamare l’art. 6, primo comma, CEDU e l’art. 111 Cost. Rammentiamo anche la sentenza Jussilia v. Finland, del 23.11.2006, che ha affermato l’applicabilità anche ai processi ad oggetto tributario (riguardanti sanzioni di “stampo penalistico”) dell’art. 6, CEDU. DOTTRINA di proporzionalità, entra “in gioco” il concetto di “necessarietà” per il raggiungimento del fine. Oggi, dopo l’ennesima “miniriforma”, la disciplina “necessaria” (vorremmo dire, minimamente necessaria) per un giudice con “adeguate” conoscenze tributarie, per un difensore con “adeguate” conoscenze processuali, “eccede per difetto” il raggiungimento del fine. 3. Cenno all’assistenza tecnica nel sistema del processo tributario tedesco. Credo possa essere interessante un cenno alla disciplina dell’assistenza tecnica nel processo tributario tedesco. Il par. 62 comma 2, FGO (Finanzgerichtsordnung) consente la difesa non solo ad avvocati, ma anche a “Steuerberater” e “Wirtschaftsprüfer” (dottori commercialisti e revisori contabili). Ci sono ancora altre “figure” professionali autorizzate (vd. par. 62 comma 2, seconda frase, FGO), che, nella prassi, però, difendono solo raramente. Tuttavia, di fronte ai giudici tributari tedeschi non c‘è l obbligo dell’assistenza tecnica (il comma 2 del par. 62 utilizza il termine “possono”); tale obbligo esiste solo di fronte alla Suprema Corte (Bundesfinanzhof) (il comma 4 del par. 62 utilizza infatti il termine “devono”). È però da considerare che nel processo tedesco vale il principio inquisitorio (Amtsermittlungsgrundsatz), per cui il giudice deve controllare e indagare il caso completamente a prescindere da quello che le parti deducono. Le carenze nella condotta processuale della parte, possono essere dunque, per così dire, compensate dall’iniziativa pro veritate del giudice. Forse anche su tale aspetto sarebbe da rimeditare il nostro processo tributario ed in particolare la disciplina dell’art. 7, decreto 546, che enfatizza la capacità difensiva (cfr. il limite dei “fatti dedotti dalla parti”, nel primo comma), anche eventualmente a scapito della ricerca della verità reale. Se si ritenga che il supremo valore, anche nel processo, debba essere quello di assicurare che sia accertata l’imposta “dovuta per legge” (ex artt. 23 e 53 Cost.), l’iniziativa del giudice può essere indispensabile a tal fine, così anche attenuando eventuali inadeguate difese (che sono ben prevedibili alla stregua dell’art. 12). In definitiva, la comparazione con il sistema inquisitorio del processo tedesco pone in luce la non coerenza (nel processo italiano) tra un “modello di processo fondamentalmente di stampo dispositivo”11 e la disciplina della assistenza tecnica, ulteriormente allargata a soggetti privi di idoneità processuale. 11 Magnone Cavatorta, in Consolo – Glendi, Commentario breve, cit. sub. Art 7, pag. 63. 33 34 DOTTRINA CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO La “nuova” tutela cautelare di Pasquale Amodio Premessa In attuazione della Legge 11 marzo 2014, n. 23 “Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita” – lo scorso 24 settembre è stato emanato il D. lgs. n. 156 recante misure per la revisione della disciplina degli interpelli1 e del contenzioso tributario2. Con specifico riferimento alla tutela cautelare, l’art. 10, comma 1, lett. b), punto 9) della legge delega, in un’ottica generale di …rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente… ha individuato l’esigenza di realizzare …l’uniformazione e generalizzazione degli strumenti di tutela cautelare nel processo tributario…; in ragione di ciò, il legislatore delegato ha apportato alcune modifiche all’attuale disciplina della inibitoria cautelare così come prevista dall’art. 47, del d. lgs. n. 546/92), ha – inoltre – sostituito integralmente l’art. 52 così da prevedere e disciplinare la tutela cautelare anche 1 Ciò in esecuzione di quanto previsto dall’art. 6, rubricato “Gestione del rischio fiscale, governance aziendale, tutoraggio, rateizzazione dei debiti tributari e revisione della disciplina degli interpelli”, il cui comma 6 prevede espressamente che: “Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui all’articolo 1, disposizioni per la revisione generale della disciplina degli interpelli, allo scopo di garantirne una maggiore omogeneità, anche ai fi ni della tutela giurisdizionale e di una maggiore tempestività nella redazione dei pareri, procedendo in tale contesto all’eliminazione delle forme di interpello obbligatorio nei casi in cui non producano benefìci ma solo aggravi per i contribuenti e per l’amministrazione.” 2 Ciò in attuazione dell’art. 10, rubricato “Revisione del contenzioso tributario e della riscossione degli enti locali“, il cui comma 1, lett. a) e b) prevede testualmente che: “1. Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui all’articolo 1, norme per il rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente, assicurando la terzietà dell’organo giudicante, nonché per l’accrescimento dell’efficienza nell’esercizio dei poteri di riscossione delle entrate, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi: a) rafforzamento e razionalizzazione dell’istituto della conciliazione nel processo tributario, anche a fini di deflazione del contenzioso e di coordinamento con la disciplina del contraddittorio fra il contribuente e l’amministrazione nelle fasi amministrative di accertamento del tributo, con particolare riguardo ai contribuenti nei confronti dei quali sono configurate violazioni di minore entità; b) incremento della funzionalità della giurisdizione tributaria, in particolare attraverso interventi riguardanti: 9) l’uniformazione e generalizzazione degli strumenti di tutela cautelare nel processo tributario;” nel giudizio di secondo grado ed ha, infine, introdotto l’art. 62 bis per consentire la richiesta di tutela cautelare nel corso dell’eventuale e successivo giudizio di cassazione. Va, innanzitutto, rilevato che l’operazione normativa posta in essere dal legislatore è sicuramente apprezzabile dal punto di vista dell’intento, meno sicuramente sotto l’aspetto realizzativo atteso che, come avremo modo di verificare, la nuova disciplina non risulta esente da criticità. Prima di procedere ad analizzare le modifiche da ultimo attuate dal legislatore, è necessario effettuare una precisazione, ovvero che: la tutela cautelare costituisce una componente essenziale ed insopprimibile della tutela giurisdizionale in genere3; dunque, non può esistere una tutela cautelare prettamente civile, amministrativa o tributaria atteso che la sua funzione è unica ovvero il “proteggere” qualsivoglia soggetto che si rivolga alla giurisdizione per la tutela di una posizione giuridica dalla durata del giudizio. In altre parole, in una visione puramente pubblicistica, la tutela cautelare serve a garantire l’efficace funzionamento della giustizia4. Dette ultime osservazioni, con particolare riferimento al processo tributario, trovano conferma nella sentenza n. 165 del 31 maggio 2000 della Corte costituzionale, dove – per la prima volta – la Consulta ha testualmente affermato che le misure cautelari costituiscono componente essenziale della tutela giurisdizionale5. Il “nuovo” art. 47 del D. lgs. n. 546/92 L’art. 9, comma 1, lett. r, del D. lgs. 24 settembre 2015, n. 156, ha apportato delle modifiche all’art. 47 3 v. F. CIPRIANI, Il procedimento cautelare tra efficienza e garanzie, in Giust. Proc. Civ., 2006, in cui l’Autore afferma testualmente che: …la tutela cautelare trova la sua ragion d’essere nell’impossibilità che la tutela ordinaria sia istantanea e nella conseguente inevitabilità che sussista una spatium temporis durante il quale, in attesa del provvedimento ordinario, il diritto della parte rischia di subire un pregiudizio irreparabile…”. 4 v. P. CALAMANDREI, Introduzione allo studio sistematico dei procedimenti cautelari, Padova, 1936, secondo il quale la tutela cautelare misura la “serietà” del sistema giustizia. 5 v. Corte costituzionale, 31 maggio 2000, n. 165, in www.giurcost.org CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO del D. lgs. n. 546/926, le quali, prima facie, risultano essere del tutto irrilevanti e, per qualche verso, forse non in linea con quanto previsto dalla richiamata legge delega; ci si riferisce, in particolare, alla disposizione contenuta nel nuovo comma 8 bis il quale prevede che … Durante il periodo di sospensione cautelare si applicano gli interessi al tasso previsto per la sospensione amministrativa…; trova, pertanto, applicazione la disposizione prevista dall’art. 39, comma 2, d.p.r. n. 602/73, la quale testualmente prevede che: “Sulle somme il cui pagamento è stato sospeso ai sensi del comma 1 e che risultano dovute dal debitore a seguito della sentenza della commissione tributaria provinciale si applicano gli interessi al tasso del 4,5 per cento annuo…”. Ebbene, è di tutta evidenza come la norma da ultimo citata, ovvero l’art. 39, comma 2, del d.p.r. n. 602/73 non ha nessuna rilevanza dal punto di vista processuale e nulla ha a che vedere con …l’uniformazione e generalizzazione della tutela cautelare nel processo tributario… che risulta essere tra i principali obiettivi indicati nella legge delega; invero, trattasi di norma di carattere sostanziale e, dunque, la sua collocazione non è certo corretta. Tralasciando la modifica di cui al comma 3 dell’articolo 47 – il quale oggi risulta essere del seguente tenore 6 In virtù delle modifiche apportate l’articolo 47 ha il seguente tenore letterale: Art. 47 Sospensione dell’ atto impugnato 1. Il ricorrente, se dall’atto impugnato può derivargli un danno grave ed irreparabile, può chiedere alla commissione provinciale competente la sospensione dell’ esecuzione dell’ atto stesso con istanza motivata proposta nel ricorso o con atto separato notificata alle altre parti e depositato in segreteria sempre che siano osservate le disposizioni di cui all’art. 22. 2. Il presidente fissa con decreto la trattazione della istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima. 3. In caso di eccezionale urgenza il presidente, previa delibazione può disporre con decreto motivato la provvisoria sospensione dell’esecuzione fino alla pronuncia del collegio. 4. Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito, provvede con ordinanza motivata non impugnabile. Il dispositivo dell’ordinanza deve essere immediatamente comunicato alle parti in udienza. 5. La sospensione può anche essere parziale e subordinata alla prestazione della garanzia di cui all’art. 69, comma 2. 5 bis. L’istanza di sospensione è decisa entro centottanta giorni dalla data di presentazione della stessa. 6. Nei casi di sospensione dell’atto impugnato la trattazione della controversia deve essere fissata non oltre novanta giorni dalla pronuncia. 7. Gli effetti della sospensione cessano dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado. 8. In caso di mutamento delle circostanze la commissione su istanza motivata di parte può revocare o modificare il provvedimento cautelare prima della sentenza, osservate per quanto possibile le forme di cui ai commi 1, 2 e 4. 8 bis. Durante il periodo di sospensione cautelare si applicano gli interessi al tasso di cui all’art. 6 del decreto ministeriale 21 maggio 2009. DOTTRINA letterale, …In caso di eccezionale urgenza il presidente, previa delibazione del merito, disporre può disporre con decreto motivato la provvisoria sospensione dell’esecuzione fino alla pronuncia del collegio… – dove l’unico rilievo di natura giuridica ipotizzabile è da ricercarsi nel far sì che il provvedimento cautelare non sia una misura “accessoria” del decreto che fissa l’udienza collegiale, bensì il contrario ovverosia è il provvedimento cautelare che assurge ad atto principale mentre la fissazione dell’udienza collegiale non è altro che una logica conseguenza della provvisorietà del provvedimento emesso dal Presidente ai sensi del comma 3, dell’art. 47 in commento, l’obbligo del giudice di comunicare il dispositivo dell’ordinanza in udienza, previsto dal nuovo inciso aggiunto al comma 4, dell’articolo da ultimo citato risulta pertanto poco comprensibile. In proposito, va innanzitutto osservato che non vi è traccia di una tale disposizione (rectius: obbligo) sia nel processo civile che in quello amministrativo; inoltre, i tempi di comunicazione del dispositivo dell’ordinanza cautelare a mezzo pec non risultano essere lunghi (spesso la comunicazione a mezzo pec è inviata dalla segreteria addirittura in giornata), ed, oltre a ciò, va precisato che il contenuto ossia la motivazione dell’ordinanza, al più, si sostanzia in poche righe ove il giudice accoglie o rigetta l’istanza cautelare e fissa la successiva udienza, senza poi considerare che l’ordinanza non è impugnabile né reclamabile. In altri termini, comunicare il dispositivo, nel caso in esame, equivale a comunicare l’ordinanza; dunque, non si comprende il perché di questa netta distinzione tra dispositivo e contenuto dell’ordinanza e di conseguenza della necessità circa l’immediata comunicazione del dispositivo, addirittura al termine della stessa udienza di trattazione dell’istanza di sospensione. A ciò si aggiunga, poi, come il termine per l’immediata comunicazione del dispositivo alle parti, così come normativamente previsto, è da ritenersi non perentorio, bensì meramente ordinatorio; dunque, il non rispetto del suddetto termine non determinerà nessun vizio dell’ordinanza che ha deciso l’istanza cautelare. Dalla modifica del comma 5, dell’art. 47, d. lgs. n. 546/92 il quale prevede che …La sospensione può anche essere parziale e subordinata alla prestazione di idonea garanzia mediante cauzione o fideiussione bancaria o assicurativa, nei modi e termini indicati nel provvedimento della garanzia di cui all’art. 69, comma 2…, consegue esclusivamente l’eliminazione dell’ampia discrezionalità di cui godeva il giudice nel sospendere l’efficacia dell’atto impugnato subordinando la sospensione stessa alla prestazione di una garanzia. Il nuovo comma 5, infatti, prevede che la sospensione può essere subordinata alla 35 36 DOTTRINA prestazione della garanzia prevista dal nuovo art. 69, comma 2, relativo all’esecuzione delle sentenze di condanna in favore del contribuente, il quale, a seguito della modifica apportata dall’art. 9, comma 1, lett. gg), del D. lgs. n. 156/15, prevede che …Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emesso ai sensi dell’articolo 17 comma 3 della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono disciplinati il contenuto della garanzia sulla base di quanto previsto dall’ articolo 38-bis comma 5 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, la sua durata nonché il termine entro il quale può essere escussa, a seguito dell’inerzia del contribuente in ordine alla restituzione delle somme garantite protrattasi per un periodo di tre mesi. Nel complesso, il “nuovo” art. 47, così come delineato dal legislatore delegato, non sembra, dunque, apportare nessuna rilevante novità alla disciplina previgente; non vi è, alcuna traccia di quel rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente che è espresso obiettivo della legge delega n. 23 del 2014. Il “nuovo” art. 52 del D. lgs. n. 546/92 L’art. 9, comma 1, lett. v) dell’emanato decreto legislativo n. 156/2015 ha sostituito integralmente l’art. 52 del D. lgs. n. 546/927, dando attuazione a quanto previsto dalla Legge delega in tema di …generalizzazione degli strumenti di tutela cautelare nel processo tributario… ovvero ha disciplinato la fase cautelare nel corso del successivo giudizio di appello. 7 Il nuovo articolo 52 così come previsto dall’art. l’art. 9, comma 1, lett. v) del decreto legislativo n. 156/2015 quale risulta essere il seguente: Art. 52 Giudice competente e provvedimenti sull’esecuzione provvisoria in appello 1. La sentenza della commissione provinciale può essere appellata alla commissione regionale competente a norma dell’art. 4, comma 2. 2. L’appellante può chiedere alla commissione regionale di sospendere in tutto o in parte l’esecutività della sentenza impugnata, se sussistono gravi e fondati motivi. Il contribuente può comunque chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto se da questa può derivargli un danno grave e irreparabile. 3. Il presidente fissa con decreto la trattazione della istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima. 4. In caso di eccezionale urgenza il presidente, previa delibazione del merito, può disporre con decreto motivato la sospensione dell’esecutività della sentenza fino alla pronuncia del collegio. 5. Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito, provvede con ordinanza motivata non impugnabile. 6. La sospensione può essere subordinata alla prestazione della garanzia di cui all’articolo 69 comma 2. Si applica la disposizione dell’articolo 47, comma 8-bis. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Dalla lettura del nuovo art. 52, è facile arguire come il legislatore si sia, di fatto, limitato a “ricopiare” le norme procedimentali che disciplinano la sospensione dell’atto impugnato nel giudizio di primo grado innanzi alla CTP. Si noti, in proposito, come i commi da 2 a 5 dell’art. 47 siano identici ai commi da 3 a 6 del nuovo art. 52; ciò implica che è applicabile alla fase cautelare in grado di appello la norma relativa agli interessi previsti dal nuovo comma 8 bis dell’art. 47, espressamente richiamato dall’ultimo inciso del comma 6 del nuovo art. 52. Non trovano invece applicazione, nella fase cautelare innanzi alla CTR, sia quanto prescritto dal comma 6 dell’art. 47 in merito ai termini di 90 giorni per la fissazione dell’udienza di trattazione del merito, sia la possibilità di proporre istanza tendente alla revoca o modifica dell’ordinanza cautelare in caso di un mutamento delle circostanze, previsto dal comma 8, dell’art. 47. Ebbene, soprattutto tale ultima limitazione sembra alquanto incomprensibile sia perché la dottrina è concorde nel consentire la possibilità di una riproposizione dell’istanza cautelare in caso di rigetto della stessa vista la natura interinale dell’ordinanza cautelare, sia perché l’…uniformazione e generalizzazione degli strumenti di tutela cautelare nel processo tributario…, prevista dall’art. 10, comma 1 lett. b), n. 9) della legge delega, avrebbe imposto una “naturale” applicazione della possibilità di riproporre l’istanza cautelare in caso di mutamento delle circostanze, anche in secondo grado, nonché successivamente, atteso che medesima possibilità è prevista sia nel processo civile ordinario8 che nel processo amministrativo9. Non sembra, inoltre, che l’applicazione del comma 8 dell’art. 47 possa realizzarsi in ragione di quanto previsto dall’art. 61 del D. lg.s n. 546/92 il quale prevede che … nel procedimento d’appello si osservano in quanto compatibili le norme dettate per il procedimento di primo grado, se non sono incompatibili con le disposizioni della presente sezione…; ciò in quanto potrebbe eccepirsi la chiara volontà del legislatore di non voler applicare alla fase cautelare innanzi alla CTR la disposizione in questione in ragione della sua non riproposizione nel nuovo art. 52. Ad ogni modo, va osservato che l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto possibile la revoca o la modifica dell’ordinanza cautelare, nel corso del giudizio di appello, in caso di mutamento delle circostanze10. 8 v. art. 669 decies, c.p.c.. 9 v. art. 58, d. lgs. n. 104/2010. 10 v. Agenzia delle Entrate – Direzione Centrale Affari Legali, Contenzioso e Riscossione – Circolare n. 38 del 29.12.2015, pag. 68, nota 68. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO La norma principale del nuovo art. 52, ovvero quella a mezzo della quale il legislatore ha inteso estendere la tutela cautelare al giudizio di secondo grado è contenuta nel secondo comma dove appunto è previsto che … L’appellante può chiedere alla commissione regionale di sospendere in tutto o in parte l’esecutività della sentenza impugnata, se sussistono gravi e fondati motivi. Il contribuente può comunque chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto se da questa può derivargli un danno grave e irreparabile. La nuova norma, prima facie, sembrerebbe alquanto confusionaria in quanto, nella prima parte, prevede – per entrambe e/o tutte le parti del giudizio – la possibilità di chiedere la sospensione dell’esecutività della sentenza emessa dalla CTP in presenza di gravi e fondati motivi; successivamente, prevede la possibilità – per il solo contribuente – di chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto sulla base dei presupposti previsti dall’art. 47 (danno grave e irreparabile). Invero, la norma pone subito un interrogativo circa la doppia forma di tutela nei riguardi della sentenza e dell’atto, e precisamente: se la sentenza emessa dalla CTP ha natura sostitutiva dell’atto impugnato – volendo aderire a quanto affermato da gran parte della dottrina11 e statuito pacificamente in giurisprudenza12 in virtù della natura di impugnazione-merito del processo tributario – perché e come il contribuente dovrebbe chiedere la sospensione dell’atto impugnato nel precedente grado di giudizio, atteso che lo stesso sarebbe stato sostituito dalla emanata sentenza oggetto del giudizio di secondo grado? Ebbene, se qualche dubbio resta nel caso di integrale rigetto del ricorso (sia per motivi di rito che di merito) con conseguente possibilità dell’Amministrazione finanziaria di richiedere la riscossione in base all’atto impugnato; di converso, è indubbio la sostituzione della sentenza all’atto sia, nel caso di accoglimento parziale del ricorso che nell’ipotesi di integrale accoglimento dell’impugnazione avverso l’atto emesso dall’ufficio. Va osservato, come in dette ultime ipotesi, resta comunque qualche dubbio con riferimento alle disposizioni relative alla riscossione frazionata in pendenza di giudizio; ci si riferisce all’art. 15 del d.p.r. n. 602/73, il 11 v. in senso contrario, nel senso che la sentenza abbia natura co- stitutiva limitandosi ad annullare o confermare, in tutto o in parte, l’atto impugnato, v. P. RUSSO, Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, Milano, 2013; F. TESAURO, Manuale del processo tributario, Torino, 2013; A. FANTOZZI, Il contenzioso, in Diritto tributario, Torino, 2003; C. GLENDI, L’oggetto del processo tributario, Padova, 1984. 12 v. Cass. 9 giugno 2010, n. 13868; Cass. 24 luglio 2012, n. 13034; Cass. 28 novembre 2014, n. 25317. DOTTRINA quale prescrive che …Le imposte, i contributi ed i premi corrispondenti agli importi accertati dall’ufficio ma non ancora definitivi, nonché i relativi interessi, sono iscritti a titolo provvisorio nei ruoli, dopo la notifica dell’atto di accertamento, per un terzo degli ammontari corrispondenti agli imponibili o ai maggiori imponibili accertati. Ebbene, ci si chiede: quali sono gli effetti sull’intervenuta iscrizione a ruolo eseguita ai sensi dell’art. 15 del d.p.r. n. 602/73 dell’ordinanza di sospensione dell’esecutività della sentenza richiesta ed ottenuta dall’Ufficio nel corso del giudizio di secondo grado, nell’ipotesi in cui venga integralmente o parzialmente annullato un avviso di accertamento? Vi è il concreto rischio di una ripresa della riscossione di quanto appunto iscritto a ruolo ai sensi del citato art. 15 del d.p.r. n. 602/73? In ragione di ciò, sembra corretto ritenere che la prevista possibilità di sospendere gli effetti dell’atto in secondo grado sia da correlare con la necessità, per il contribuente, di ottenere una tutela cautelare “piena” ossia non limitata alla sospensione dell’esecutività della sentenza che produrrebbe la sola impossibilità, per l’Ufficio, di iscrivere a ruolo quanto previsto dall’art. 68 del D. lgs. 546/9213. Sul tema, l’Amministrazione finanziaria sembrerebbe orientata nel sospendere ogni attività esecutiva relativa all’atto impugnato, sino alla conclusione del giudizio, in caso di sospensione della sentenza sfavorevole al contribuente; nell’ipotesi, invece, di sospensione della sentenza sfavorevole all’ufficio, dunque, su richiesta di quest’ultimo, l’Amministrazione finanziaria, si limita a rilevare la non operatività delle nuove norme che disciplinano l’immediata esecutività delle sentenze, precisando che l’ufficio è legittimato a non effettuare lo sgravio o il rimborso delle somme riconosciute non dovute in forza della stessa sentenza; nulla riferisce circa l’eventuale possibilità per l’Amministrazione di riscuotere le somme iscritte ex art. 1514. Attesa la poco chiara formulazione del comma in esame, al contribuente non resta che richiedere, nel corso del giudizio di appello, la sospensione dell’esecutività della sentenza (in caso di soccombenza parziale o totale nel giudizio di primo grado) ed in ogni caso la 13 si noti, in proposito, che la norma contenuta nell’art. 68 fa espresso riferimento alla “sentenza”, ragion per cui se la CTR, su istanza del contribuente, sospende l’esecutività della sentenza impugnata, l’Amministrazione finanziaria non potrà richiedere il pagamento così come previsto appunto dall’art. 68; diversamente, si verificherebbe per l’ammontare iscritto a ruolo ai sensi dell’art. 15 del d.p.r. 602/73 atteso che la norma fa espresso riferimento all’atto. 14 v. Agenzia delle Entrate – Direzione Centrale Affari Legali, Contenzioso e Riscossione – Circolare n. 38 del 29.12.2015, pagg. 68 – 69. 37 38 DOTTRINA sospensione degli effetti dell’atto connessi alla riscossione frazionata contemplata dal citato art. 15 del d.p.r. n. 602/73. Nessun rafforzamento, quindi, della posizione del contribuente, anzi un’evidente difficoltà della stessa. Tale difficoltà risulta in modo ancor più palese se si tiene conto della difformità circa i presupposti posti a fondamento della sospensione degli effetti della sentenza e dell’atto; è palese la rigorosità del presupposto richiesto dal legislatore per la sospensione dell’atto, ovvero il danno grave e irreparabile rispetto ai gravi e fondati motivi chiesti per la sospensione dell’esecutività della sentenza. Ragionevole, sarebbe pertanto equiparare i presupposti per la sospensione sia della sentenza che dell’atto in grado di appello, modificando il requisito della “irreparabilità” del danno con la “fondatezza” dello stesso. Ciò comporterebbe, senza ombra di dubbio, anche un modifica di quanto previsto dall’art. 47 in tema di inibitoria cautelare nel giudizio di primo grado , ove, in modo più appropriato, ai fini sistematici della tutela cautelare nel processo tributario, sarebbe opportuno richiedere, per la sospensione dell’esecutività dell’atto, la sussistenza di un “danno grave e fondato”. Le auspicate modifiche, inoltre, risultano rilevanti anche ai fini sistematici della disciplina della tutela cautelare nel processo tributario rendendola uniforme, ma soprattutto graduale, nel corso dell’intero giudizio; in altre parole, i presupposti cautelari saranno più rigorosi in prossimità della definitività della decisione, come previsto dal nuovo art. 62 bis15, che prevede la sussistenza di un danno grave e irreparabile sia per la sospensione della sentenza che dell’atto in ipotesi di ricorso in cassazione. 15 L’art. 9, comma 1, lett. aa) del decreto legislativo n. 156/2015, ha inserito, dopo l’art. 62 del d. lgs. n. 546/92, l’art. 62 bis il quale prevede: Art. 62-bis Provvedimenti sull’esecuzione provvisoria della sentenza impugnata per cassazione 1. La parte che ha proposto ricorso per cassazione può chiedere alla commissione che ha pronunciato la sentenza impugnata di sospendere in tutto o in parte l’esecutività allo scopo di evitare un danno grave e irreparabile. Il contribuente può comunque chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto se da questa può derivargli un danno grave e irreparabile. 2. Il presidente fissa con decreto la trattazione della istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima. 3. In caso di eccezionale urgenza il presidente può disporre con decreto motivato la sospensione dell’esecutività della sentenza fino alla pronuncia del collegio. 4. Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio, provvede con ordinanza motivata non impugnabile. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Il “nuovo” regime delle spese della fase cautelare Un’importante novità, ma al contempo rilevante punto di criticità del “nuovo” sistema della tutela cautelare è connessa alla previsione contenuta nell’art. 9, comma 1, lett. f ) del decreto legislativo n. 156/2015, in tema di spese di giudizio16. Il predetto articolo integra l’articolo 15 del D. lgs. 546 del 1992 con il nuovo comma 2 quater prevedendo che …Con l’ordinanza che 5. La sospensione può essere subordinata alla prestazione della garanzia di cui all’articolo 69, comma 2. Si applica la disposizione dell’articolo 47, comma 8-bis. 6. La commissione non può pronunciarsi sulle richieste di cui al comma 1 se la parte istante non dimostra di avere depositato il ricorso per cassazione contro la sentenza. 7. La sospensione della esecutività della sentenza favorevole al contribuente consente la riscossione delle somme esigibili nella pendenza del giudizio di primo grado. 16 Il predetto articolo prevede le seguenti modifiche ed integrazione all’articolo 15 del d. lgs. 546 del 1992: 1) al comma 1, il secondo periodo è soppresso; 2) i commi 2 e 2-bis sono sostituiti dai seguenti: «2. Le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte dalla commissione tributaria soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate. 2-bis. Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 96, commi primo e terzo, del codice di procedura civile. 2-ter. Le spese di giudizio comprendono, oltre al contributo unificato, gli onorari e i diritti del difensore, le spese generali e gli esborsi sostenuti, oltre il contributo previdenziale e l’imposta sul valore aggiunto, se dovuti. 2-quater. Con l’ordinanza che decide sulle istanze cautelari la commissione provvede sulle spese della relativa fase. La pronuncia sulle spese conserva efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza di merito. 2-quinquies. I compensi agli incaricati dell’assistenza tecnica sono liquidati sulla base dei parametri previsti per le singole categorie professionali. Agli iscritti negli elenchi di cui all’articolo 12, comma 4, si applicano i parametri previsti per i dottori commercialisti e gli esperti contabili. 2-sexies. Nella liquidazione delle spese a favore dell’ente impositore, dell’agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, se assistiti da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto. La riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza. 2-septies. Nelle controversie di cui all’articolo 17-bis le spese di giudizio di cui al comma 1 sono maggiorate del 50 per cento a titolo di rimborso delle maggiori spese del procedimento. 2-octies. Qualora una delle parti abbia formulato una proposta conciliativa, non accettata dall’altra parte senza giustificato motivo, restano a carico di quest’ultima le spese del processo ove il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della proposta ad essa effettuata. Se è intervenuta conciliazione le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione.»; CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO decide sulle istanze cautelari la commissione provvede sulle spese della relativa fase. La pronuncia sulle spese conserva efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza di merito. Va da subito rilevato come l’art. 10, comma 1, lett. b), n. 11) della legge delega n. 23 del 2014 prevede … l’individuazione di criteri di maggior rigore nell’applicazione del principio della soccombenza ai fini del carico delle spese del giudizio, con conseguente limitazione del potere discrezionale del giudice di disporre la compensazione delle spese in casi diversi dalla soccombenza reciproca…; dunque, non si comprende l’introduzione del nuovo comma 2 quarter all’art. 15 del D. lgs. n. 546/92 che, afferendo a fattispecie totalmente diversa da quella indicata nella legge delega, ben potrebbe dar luogo ad una violazione per eccesso di delega. Al di là dell’esplicito intento del legislatore espresso chiaramente nella relazione illustrativa dove si legge: “Trattasi di una disposizione che… …mira ad evitare un abuso delle richieste di tutela cautelare.”, la norma in questione è tesa patentemente solo a scoraggiare istanze cautelari temerarie, sia in primo grado che nel successivo grado di giudizio; infatti, la collocazione sistematica della norma non induce ad avere nessun dubbio circa l’applicazione del nuovo regime delle spese alla fase cautelare svolta, sia innanzi alla CTP, ai sensi del’art. 47, che innanzi alla CTR, ai sensi degli artt. 52, 62bis e 6517. L’inciso conclusivo del nuovo comma 2 quarter, ovvero …salvo diversa statuizione espressa nella sentenza di merito…18 oltre a rendere possibile una duplice condanna alle spese, in caso di rigetto dell’istanza cautelare prima, e del ricorso, poi fa ritenere probabile la non esecutività della condanna alle spese contenuta appunto nell’ordinanza cautelare; il tutto, in assenza di una esplicita previsione di legge19. Si potrebbe, pertanto, assistere alla condanna al pagamento a titolo di spese contenute nell’ordinanza (di rigetto) cautelare, anche in caso di accoglimento del ricorso proposto ad esempio dal contribuente che si è 17 v. in17 Si noti che la norma in questione (art. 15) è posta sotto il Titolo I dedicato appunto alle disposizioni generali. 18 Si noti, innanzitutto, come il legislatore nella relazione illustrativa (pag. 29) inequivocabilmente afferma …la possibilità per il giudice di disporre nella sentenza di merito diversamente in ordine alle spese di lite della fase cautelare… 19 In proposito, si osservi come sia la Commissioni Giustizia e Finanze della Camera dei deputati che la Commissione Finanze e Tesoro del Senato hanno espressamente invitato il Governo a prevedere l’immediata esecutività dell’ordinanza cautelare: v. pag. 4 parere Commissioni Giustizia e Finanze della Camera dei deputati dove si legge testualmente che: …quanto alle spese di lite della fase cautelare, disciplinate dal capoverso 2 quater del novellato art. 15, andrebbe DOTTRINA visto appunto rigettare l’istanza cautelare. Il comma 2 quater in esame dispone, infatti, che …La pronuncia sulle spese conserva efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio… e sempreché il giudice nulla abbia riferito in tal senso nella sentenza che definisce il giudizio di merito, ovvero non abbia statuito diversamente circa le spese liquidate a conclusione della fase cautelare. Tale ultima circostanza è confermata, altresì, dall’Amministrazione finanziaria che a pag. 21 della circolare sopra richiamata afferma testualmente che: … Ove il giudice non provveda in sentenza sulle spese di lite della fase cautelare, l’ordinanza adottata in detta fase sarà assorbita dalla sentenza solo nella parte che ha deciso sull’istanza di sospensione, mentre conserverà la propria efficacia nel capo che dispone sulle spese del giudizio cautelare. La parte che intenda dolersi della condanna alla rifusione delle spese del giudizio cautelare – contenuta nella relativa ordinanza – potrà dunque, in tal caso, impugnare la sentenza in quanto ha omesso di disporre diversamente in merito alle spese della fase cautelare. Ebbene, in proposito, ci si chiede: la parte condannata alle spese della fase cautelare deve, dunque, sollecitare il giudice affinché lo stesso modifichi la predetta statuizione contenuta nell’ordinanza cautelare? Ed in caso di risposta affermativa, come la parte condannata con l’ordinanza cautelare può “tecnicamente” porre in essere la sopra citata sollecitazione? Non si tratta, ictu oculi, di un motivo aggiunto di cui all’art. 24 del D. lgs. n. 546/92 (si precisa che la proposizione di motivi aggiunti, ai sensi dell’art. 24, D. lgs. n. 546/92 è rigorosamente circoscritta dal comma 2 del citato articolo che fa riferimento al deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti ovvero iussu iudicis; dunque, non certo è possibile proporre motivi aggiunti avverso l’ordinanza cautelare, pur se limitatamente alla statuizione delle spese in essa contenuta); analogamente, è complicato far rientrare una deduzione tesa alla rimodulazione dell’ordinanza cautelare che, per di più, ha definito un’autonoma fase, seppur limitatamente alla condanna alle spese, nelle memorie illustrative di cui all’art. 32 del medesimo chiarito se l’ordinanza cautelare costituisce immediatamente titolo esecutivo per il recupero delle somme liquidate… …sarebbe in ogni caso opportuna una maggiore chiarezza e precisione della norma che dovrebbe prevedere l’immediata esecutività dell’ordinanza… e pag. 3 parere Commissione Finanze e Tesoro del Senato dove si legge testualmente che: …alla lettera f ), numero 2), precisare (comma 2 quarter) che l’ordinanza cautelare sulle spese è immediatamente esecutiva…; inoltre si veda sia quanto disposto dall’art. 669 septies, comma 3, c.p.c. e dall’art. 57 del d. lgs n. 104 del 2010. 39 40 DOTTRINA decreto legislativo da ultimo citato (si noti, che le memorie illustrative di cui all’art. 32 del D. lgs n. 546/92 non possono contenere motivi nuovi, ma solo illustrazioni di quelli già dedotti dal ricorrente o dall’ufficio o ente resistente negli atti introduttivi, come d’altronde si evince dalla disciplina dettata dall’art. 24; dunque, non è possibile sollecitare il giudice a mutare la statuizione relative alle spese contenuta nell’ordinanza cautelare, per il tramite delle memorie illustrative). La strada più corretta, almeno processualmente, sarebbe consistita nel prevedere la reclamabilità/impugnabilità dell’ordinanza cautelare, pena il verificarsi di situazioni paradossali la cui soluzione non può che essere rimessa al prudente (nonché sensibile) apprezzamento del giudice magari a seguito di un “irrituale” invito rivolto nel corso dell’udienza di discissione in pubblica udienza (ove richiesta) tendente appunto ad una diversa statuizione sulle spese contenuta nell’ordinanza cautelare, all’atto dell’emissione della sentenza. La disposizione circa la condanna alle spese, infatti, oltre a costituire una netta distinzione tra la fase cautelare e quella di merito, fa sì che il procedimento cautelare perda la sua natura incidentale, circostanza quest’ultima che, ad oggi, ha fatto ritenere non possibile per il giudice la statuizione sulle spese, con conseguente rinvio della stessa all’atto della pronuncia della sentenza. Altra ipotesi, potrebbe essere quella di far sì che obbligatoriamente la sentenza di merito disponga sia in riferimento alle spese della fase cautelare che di quella di merito, in base al principio della soccombenza; dunque, a tal fine si renderebbe necessario modificare profondamente il nuovo comma 2 quater, affievolendo, seppur temporaneamente, l’intento del legislatore di limitare la proposizione di istanze cautelari temerarie, ma preservando così la natura incidentale della fase cautelare, invitando nel contempo il contribuente ad un’oculata valutazione circa l’opportunità di proporre l’istanza cautelare. Conclusioni La “nuova” disciplina della tutela cautelare, così come delineata dal legislatore delegato a mezzo del decreto legislativo del 24 settembre 2015, n. 156, non sembra realizzare compiutamente quanto previsto dalla Legge delega n. 23 dell’11 marzo 2014. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Come evidenziato le modifiche apportate all’art. 47 del D. lgs. n. 546/92 unitamente alla nuova disciplina in tema di spese relativamente alla fase cautelare, non implicano di certo un rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente, che risulta essere tra gli obiettivi primari della sopra citata legge delega. Invero, si assiste ad una sorta di generalizzata “intimidazione”, nei confronti del contribuente il quale nel caso di proposizione di una istanza cautelare, si vedrebbe: a) potenzialmente esposto ad una condanna alle spese in caso di rigetto dell’istanza cautelare; b) impossibilitato processualmente a ribaltare tale condanna alle spese, con conseguente rimessione alla “clemenza della corte”; c) gravato degli interessi da applicarsi nelle more del giudizio di merito, in caso di rigetto del ricorso, pur avendo ottenuto la sospensione dell’efficacia dell’atto in via cautelare. Per quanto concerne, poi, …l’uniformazione e generalizzazione degli strumenti di tutela cautelare nel processo tributario…, l’intervento del legislatore delegato, apprezzabile dal punto di vista delle intenzioni, è incompleto sotto l’aspetto applicativo atteso che, come innanzi ampiamente analizzato, la nuova disciplina non risulta esente da criticità. Non vi è chi non veda nel “nuovo” art. 52, comma 2, del D. lgs. n. 546/92, la necessità, per il contribuente, di richiedere – in ogni caso – la sospensione dell’esecuzione dell’atto sulla base del presupposto, quale appunto il …danno grave e irreparabile… il quale risulta essere di gran lunga più incisivo rispetto …ai gravi e fondati motivi… richiesti per la sospensione dell’esecutività della sentenza. Vi è il serio rischio di assistere ad una tutela cautelare differenziata per il contribuente e per il fisco, con evidente privilegio per quest’ultimo; dunque, ancora una volta, il legislatore delegato non ha realizzato quel rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente, che – si ripete – è tra gli obiettivi principali della legge delega. Non resta che auspicarsi un rapido e concreto intervento del legislatore teso a rimuovere le sopra rilevate criticità, magari tenendo presente, esclusivamente, che la tutela cautelare, come già detto, costituisce una componente essenziale ed insopprimibile della tutela giurisdizionale, atteso che la sua funzione è unica ovvero il “proteggere” qualsivoglia soggetto che si rivolga alla giurisdizione per la tutela di una posizione giuridica dalla durata del giudizio. DOTTRINA CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO La esecutività delle sentenze delle commissioni tributarie di Saverio Belviso1 Ante riforma 2016 Il vulnus insito nelle norme delegate introdotte dal decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 546, riguardava l’illegittimità delle disposizioni che prevedevano una disparità degli effetti delle sentenze tributarie foriera di lesione del principio di uguaglianza. La disciplina prevedeva che le sentenze tributarie in favore dell’Amministrazione finanziaria fossero immediatamente esecutive a mente dell’art. 68/546/92. Prevedeva altresì il frazionamento di quanto dovuto parametrato a quanto statuito nella sentenza, comprensivo della provvisoria iscrizione prevista dall’art. 15/602/73 in pendenza di giudizio. Mentre, ove la sentenza fosse stata emessa in favore del contribuente, la previsione legislativa impediva di porre in esecuzione nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria il relativo provvedimento di condanna al pagamento di somme emesse dalla Commissione Tributaria Provinciale, salvo che per l’ipotesi di avvenuto passaggio in giudicato della sentenza. La Circ. n. 98/E-II-3-1011 del 23 aprile 1996 Dir. AA.GG. e cont. trib. ribadita con Circ. n. 224/E-II-3158421 del 30 novembre 1999 affermava che l’art. 69 nel disporre che la sentenza di condanna dell’ufficio del Ministero delle finanze o dell’ente locale impositore o del concessionario del servizio di riscossione al pagamento di somme dovute, sia essa emessa dalla Commissione tributaria provinciale o in grado di appello dalla Commissione tributaria regionale, non è immediatamente esecutiva, essa può essere eseguita solo con il passaggio in giudicato, cioè quando si siano esauriti tutti i gradi del giudizio, o quando, per scadenza dei termini, non è impugnabile determinava di fatto la non esecutività immediata delle sentenze in favore del contribuente, salvo appunto che per le sentenze passate in giudicato. A carico dell’imprecisione del testo normativo va imputata anche l’ipotesi di mancanza di tutela giudiziale delle sentenze che dispongono l’annullamento, parziale o totale, delle somme versate ai sensi dell’art. 15 del dpr 602/73, che dispone dell’iscrizione provvisoria frazionata a ruolo per le imposte dovute in pendenza di giudizio, nonché per le somme analogamente dovute a seguito di sentenza emesse in sede di appello. 1 dottore commercialista, avvocato, docente a contratto presso la LUM Jean Monnet. In entrambi i casi, pur con il presidio dell’art. 68 2^ comma che disponeva della restituzione delle somme pagate in eccesso rispetto al dictum della sentenza, il contribuente restava privo di effettiva tutela, atteso che sia l’art. 69 che l’art. 70/546/92 disponevano della necessità del titolo esecutivo rilasciato dalla segreteria della Commissione, la quale era tenuta a rilasciare la sentenza spedita in forma esecutiva solo con il passaggio in giudicato della sentenza. Vero è che la circ. 49/e del 2010 invitava gli Uffici a provvedere al rimborso delle somme pagate in pendenza di giudizio, nel termine di 90 giorni ed anche in assenza di istanza del contribuente, ma avverso l’inerzia degli Uffici non v’era effettiva tutela giuridica. Ma anche su questa posizione la dottrina ha espresso riserve in relazione alla natura ontologicamente esecutiva delle sentenze, mentre la Corte delle Leggi con l’ordinanza 316 del 2008 disconosce tale carattere di connaturata esecutività delle sentenze, riconoscendo la coerenza costituzionale della esecutività delle sentenze a favore del contribuente solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza. Tale evidente disparità di posizione processuale e sostanziale tra le parti del processo dunque non ha mai trovato la fondatezza da parte della Consulta, poiché, evidentemente, legata alla stessa struttura della processo tributaria che disponeva la restituzione delle somme versate in eccedenza se la sentenza delle Corti di merito riformava, in tutto o in parte, il provvedimento amministrativo portante il debito tributario, ma lasciava nel limbo, solo per queste, la presenza del giudicato. Per ciò operatori di sovente ottenevano il rimborso delle somme pagate in pendenza di giudizio pur in presenza di determinazione dell’Ufficio a perseguire la riforma della sentenza. In ogni caso, tuttavia, restava il vulnus della disparità per i ricorsi incardinati sui rimborsi, le cui sentenze di accoglimento restavano assolutamente prive di tutela mediata fino al passaggio in giudicato. Analoga negata tutela in medio tempore era apprestata alle spese di giudizio ex art. 15/546/92 contenute nella sentenza di annullamento ovvero di rimborso, poiché le stesse potevano essere rimborsate solo con il passaggio in giudicato della sentenza. L’art. 69/546/1992 affermava che con il passaggio in giudicato, la segreteria della Commissione rilascia copia della sentenza di condanna spedita in forma esecutiva a norma dell’art. 475 del codice di procedura civile, che rappresenta titolo per l’esecuzione della sentenza. 41 42 DOTTRINA Non era di soccorso alla lesione di legittimità neanche il disposto dell’art. 282 cpc che prevede l’immediata esecutività delle sentenze di primo grado, in quanto l’art. 1 del 546/92 disponeva dell’applicabilità delle norme processuali civili, ma solo se compatibili con la lex specialis richiamata dall’art. 68/546/92. La Corte di Cassazione, con sentenza 15388 dei 26 giugno affermava che “Invero gli artt. 68 e 69 del d.lgs. 546/1992 sono espliciti nell’affermare che le sentenze delle Commissioni tributarie sono provvisoriamente esecutive a favore del contribuente (sia pure dopo notifica delle stesse da parte del contribuente) per quanto attiene agli esborsi che il contribuente abbia compiuto a favore del fisco in esecuzione del provvedimento impositivo”. Con la riforma del 2016 La legge 23 dell’11 marzo 2014 ha conferito al Governo la delega per l’emanazione di disposizioni per un fisco più equo, trasparente e orientato alla crescita. L’art 10 n. 10 dispone la previsione dell’immediata esecutorietà, estesa a tutte le parti in causa, delle sentenze delle commissioni tributarie. Il dlgs 156 del 24 settembre 2015 ha introdotto nel corpus iuris del dlgs 546/92 l’art. 67 bis ed ha modificato gli art. 68 e 69 prevedendo l’esecutività immediata delle sentenze emesse anche in favore del contribuente. A suturare il vulnus è intervenuto il nuovo art. 67 bis che con lapidaria chiarezza afferma: “Le sentenze emesse dalle commissioni tributarie sono esecutive secondo quanto previsto dal presente capo”. Nell’art. 69 viene pleonasticamente ripetuto, al primo comma, il principio dell’esecutività delle sentenze sia pur riferito a quelle di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente. Nella seconda parte del primo comma la nuova legge prevede che il rimborso delle somme dovute a seguito di sentenza favorevole al contribuente, può essere subordinato dal Giudice alla prestazione di una garanzia idonea. Per lo più i Giudici tributari optano per la garanzia fidejussoria bancaria o assicurativa. Appare evidente la surrettizia introduzione del principio solve et repete cui è sottoposto il contribuente il quale deve altresì anticipare il costo della garanzia rilasciata in favore dello Stato per le somme da questi dovute. Si pensi alla situazione paradossale di un contribuente che in sede di appello, dopo aver pagato imposte a titolo provvisorio fino alla concorrenza dei due terzi di quanto indicato dal provvedimento impositivo, pur ottenendo sentenza di riforma del giudicato di prime cure, per ripetere quanto anticipato, deve produrre una garanzia a copertura dei propri crediti per importi di rilevante ammontare. In periodi di crisi delle imprese e di restrizione dell’operatività degli istituti di credito, tale norma potrebbe comportare l’impossibilità, CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO de facto, ad incassare i crediti tributari, con conseguenze dannose per il sistema economico e per il singolo imprenditore che, con tutta probabilità, versa in difficoltà economiche proprio per aver pagato il debito tributario provvisorio. La garanzia, recita l’art. 69, è richiesta solo per crediti superiori ad € 10.000 e, conseguentemente, entro tale limite l’esecutività immediata non trova ostacoli poiché la segreteria della commissione rilascia copia esecutiva della sentenza. Si è mancata l’occasione di prevedere una maggiore soglia di esecutività delle sentenze scevra da garanzia, tesa a favorire il contribuente nell’affrontare le contingenti difficoltà, dando la possibilità di disporre in misura più cospicua dei propri danari. Ma si sarebbe ben potuto prevedere una soluzione mista per gli importi rilevanti, facendo si che una parte del rimborso dovuto in virtù della sentenza fosse svincolato da garanzia ed altra parte assoggettata ad essa. Questa soluzione avrebbe consentito al contribuente vittorioso di incassare crediti sine conditio e produrre la garanzia per la restante parte del credito sub conditione. Non meno efficace sarebbe stata la soluzione di porre l’anticipo del costo della garanzia a carico dell’Amministrazione, in grado di convenzionare ad hoc con enti creditizi e/o assicurativi idonei, circostanza che avrebbe consentito al contribuente di restare indenne da ulteriori incombenze potendo agevolmente incassare i propri crediti. Mentre non vi sono ostacoli all’immediata e non condizionata esecuzione per le spese di giudizio liquidate con la sentenza, in favore del contribuente, ovvero, se antistatario, in favore del difensore. Sorge un dubbio di natura procedurale nel caso in cui una sentenza tributaria di condanna preveda rimborso di tributi superiori ad € 10.000 e coeva condanna alle spese di lite. In mancanza di tempestivo rilascio della garanzia prevista dall’art. 68 2^ comma, la segreteria della commissione non potrà rilasciare il titolo esecutivo. Il contribuente, ovvero il difensore antistatario, in mancanza di titolo esecutivo non può notificare a controparte la sentenza ai fini della decorrenza dei termini per l’adempimento del pagamento e, dunque, non sarà possibile procedere con l’ottemperanza ex art. 70. In realtà le segreterie delle commissioni dovrebbero, in ogni caso ed anche in mancanza della garanzia, procedere al rilascio della sentenza spedita in forma esecutiva, ma la sentenza potrà efficacemente essere eseguita solo con la garanzia. Nel caso prospettato, pertanto, la notifica della sentenza priva della garanzia sarebbe utile unicamente all’invito ad adempiere rivolto all’Ufficio, ovvero, nel caso di inadempimento, alla procedura di ottemperanza, che con la riforma trova la definitiva giurisdizione nelle Commissioni Tributarie. Purtuttavia si afferma l’ineseguibilità delle sentenze con condanna al pagamento di importi superiori CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO DOTTRINA ad € 10.000 in mancanza del decreto ministeriale richiamato al 2^ comma dell’art. 68/546/92. La decorrenza della nuova norma disposta dell’art. 69 è fissata al 1 giugno 2016 e pertanto per tutte le sentenze depositate in cancelleria successivamente al termine disposto dall’art. 12 comma 1 del dlgs 156/2015 si applicheranno le nuove regole. Non dimeno il 2^ comma dell’art. 12 afferma che fino all’approvazione dei decreti previsti dall’art. 69, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, come modificati dall’articolo 10 del decreto 156/2015, restano applicabili le disposizioni previgenti di cui ai predetti articoli 69. Anche in questo caso sorge il dubbio se le sentenze, che non necessitano di garanzia, restano escluse dalla proroga sine die disposta dalla norma, con la conseguenza che per tutte le altre diverse sentenze si applica lo ius novum. Una lettura orientata alla proroga di ogni tipo di sentenza prevista nel dettato di cui all’art. 12 comma 2 porterebbe alla sospensione anche dell’art. 67bis, non prevista dalle disposizioni transitorie del dlgs 156/2015, e contrasterebbe con l’intenzione del legislatore di emanare il decreto ministeriale per “disciplinare il contenuto della garanzia …… la sua durata nonché il termine entro il quale può essere escussa….”. Sarebbe opportuno un chiarimento sul punto per consentire ai contribuenti di notificare le sentenze con condanna ad importi inferiori ad € 10.000 ed ai difensori di procedere per le spese anche nei casi di distrazione. Un ulteriore criticità della norma riferita alla moratoria della decorrenza, afferisce alla esecutività delle sentenze depositate tra il 1 giugno 2016 e il decreto ministeriale. Stante il disposto dell’art. 12 comma 2 si potrebbe ipotizzare che esse non siano immediatamente esecutive, atteso che in medio tempore vige l’abrogato art. 69 e che quindi per esse è necessario attendere il passaggio in giudicato. Anche su questo aspetto si auspica un intervento chiarificatore. Postilla sulla FASE TRANSITORIA a cura di Roberto Lunelli rebbe esecutiva solo dopo essere “passata in giudicato”, mentre la medesima Sentenza depositata il giorno successivo sarebbe “immediatamente” esecutiva); b) le Sentenze depositate a partire dal 1° giugno 2016 dovrebbero godere della nuova disciplina anche prima della emanazione del Decreto MEF in tutti i casi in cui le somme da rimborsare siano inferiori a 10 mila euro; e anche nei casi di rimborso di importo maggiore se non è stata/non viene imposta al contribuente la prestazione di una garanzia. In queste due ipotesi (una ex lege, l’altra ex judice), deve valere la regola per cui la Sentenza favorevole al contribuente è immediatamente esecutiva (e potrà essere notificata all’Amministrazione finanziaria per ottenerne l’esecuzione; procedendo, decorsi inutilmente 90 giorni dalla notifica, a un nuovo ricorso, in questo caso di “ottemperanza”): quel Decreto MEF, in questi casi, è irrilevante … 3. In questo senso, si è espressa la Commissione Tributaria Provinciale di Venezia – con la Sentenza 20.6.2016, n. 316 – che ha accolto “il ricorso [del contribuente] ordinando all’Ufficio la immediata restituzione di quanto richiesto (…) non ritenendo di condizionare parte ricorrente ad alcun vincolo fidejussorio stante la patrimonializzazione del gruppo”: in applicazione, per l’appunto, della “voluntas legis” espressa dalla Legge delega e confermata nei lavori preparatori cui il Legislatore delegato deve attenersi nella redazione di Decreti legislativi. Attendere la emanazione di un Decreto che regolerà solo la “idonea garanzia” – da prestare solo nei casi di rimborsi superiori a 10 mila euro in cui il giudice dubitasse della solvibilità del contribuente nel caso di sua futura soccombenza – significherebbe subordinare l’applicazione di una norma (primaria) vigente che esprime una “regola” (nuovo art. 69/546) alla emanazione di una disposizione (secondaria) che riguarda un caso specifico e che dovrebbe integrare una ”eccezione”. Roberto Lunelli 1. L’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 38/2015, ha affermato che “per le sentenze già depositate a partire dal 1° giugno 2016” (cioè quelle “vecchie”) e, “in mancanza del (predetto) D.M., anche per quelle depositate successivamente a (rectius a partire da) tale data, rimane in vigore il precedente testo dell’art. 69, ai sensi del quale (…) la sentenza di condanna dell’Ufficio al pagamento di somme, comprese le spese di giudizio, non è immediatamente esecutiva e deve essere eseguita solo dopo il passaggio in giudicato”. Secondo l’Agenzia delle Entrate, pertanto, le nuove norme sulla esecutività delle Sentenze favorevoli al contribuente sono ancora “in sospeso” e il nuovo istituto sarà operativo solo dopo l’emanazione del Decreto MEF; il quale, però, va detto, si limiterà a regolamentare (solo) le caratteristiche e le modalità della (eventuale) garanzia che il giudice ritenesse di pretendere dal contribuente a tutela dell’Erario. 2. Al di là del disposto legislativo – che subordina il rimborso immediato (dell’importo spettante al contribuente sulla base di una Sentenza) a un Provvedimento assunto dallo stesso soggetto (l’Amministrazione finanziaria) che risulta debitore – a me pare che la norma debba essere interpretata alla luce della Legge delega 23/2014 (che tendeva a rafforzare la tutela giurisdizionale del contribuente), per cui: a) le Sentenze “già depositate” ante 1° giugno u.s. non dovrebbero restare “per sempre” assoggettate al vecchio regime, ma – una volta entrata in vigore la nuova disciplina – al contribuente dovrebbe essere concesso di notificare la Sentenza favorevole per pretenderne l’esecuzione secondo il “nuovo” art. 69 (diversamente, si perverrebbe alla – irragionevole – conclusione per cui una Sentenza depositata il 31 maggio 2016 sa- 43 44 DOTTRINA CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO La necessaria ed urgente riforma della Giustizia Tributaria di Maurizio Villani Il Governo è ormai deciso, giustamente, a riformare totalmente le Commissioni Tributarie e promuovere una riforma complessiva per garantire ai cittadini una giurisdizione più efficiente e tempi del giudicato più celeri, mediante misure che rafforzino la professionalità dei giudici tributari. In tal senso, si è espressa favorevolmente la Sesta Commissione Finanze del Senato nel dare parere positivo al documento di Economia e Finanze 2016. A tal proposito, il Partito Democratico ha presentato alla Camera dei Deputati la proposta di legge n. 3734 dell’08 aprile 2016 di delega al Governo per la soppressione delle Commissioni Tributarie Regionali e Provinciali e per l’Istituzione di Sezioni specializzate tributarie presso i Tribunali Ordinari. In sintesi, le principali novità della suddetta proposta di legge sono le seguenti: Sezioni specializzate presso i tribunali ordinari La delega prevede la soppressione delle attuali commissioni tributarie provinciali e regionali e l’attribuzione dei relativi procedimenti a una o più sezioni specializzate tributarie istituite presso ogni tribunale ordinario situato nel comune capoluogo di provincia che è oggi sede di commissione provinciale. Sarà soppresso anche il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria e le sue funzioni saranno svolte dal Consiglio superiore della magistratura. Rafforzamento organico magistratura La delega prevede che le risorse rese disponibili in seguito alla soppressione delle commissioni tributarie e del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria siano utilizzate per l’assunzione di 750 nuovi magistrati con due concorsi da bandire nell’arco di 12 mesi. Passaggio personale al Ministero della Giustizia La delega prevede che il personale amministrativo delle commissioni tributarie passi nei ruoli dell’amministrazione giudiziaria con qualifica funzionale corrispondente a quella del personale adibito alle medesime funzioni. Il transito avrà luogo in due fasi: una prima metà dell’organico all’entrata in vigore del primo decreto legislativo, l’altra metà decorsi due anni dall’entrata in vigore della riforma. Formazione e aggiornamento magistrati La delega prevede che l’assegnazione dei giudici alle sezioni specializzate tributarie da parte del Csm avrà luogo in base alla disciplina prevista per le sezioni lavoro. I magistrati assegnati alle sezioni tributarie dovranno già avere un minimo di esperienza professionale (almeno la seconda valutazione di professionalità), avranno l’obbligo di seguire corsi di formazione e aggiornamento professionale stabiliti dalla Scuola superiore della magistratura e l’incarico sarà a tempo (tra i 5 e i 10 anni). Giudizio efficiente e tempestivo La delega prevede che in primo grado le sezioni specializzate tributarie giudichino in composizione monocratica e invece in composizione collegiale sul reclamo avverso la sentenza del giudice unico. Il collegio che giudicherà il reclamo sarà composto esclusivamente da magistrati ordinari della sezione specializzata e la sua sentenza potrà essere ricorribile per cassazione. Sia per la fase di cognizione che per quella di esecuzione si applicheranno, in quanto compatibili, le regole del rito tributario attuale. Patrocinio e assistenza tecnica La delega prevede che il patrocinio possa essere affidato agli stessi soggetti oggi legittimati all’assistenza tecnica quando la sezione giudica in composizione monocratica e solo ad avvocati o commercialisti quando giudica sulle cause di reclamo. Sarà comunque possibile la difesa personale per le cause tributarie il cui valore non supera i 3.000 euro. Abbattimento arretrato tributario in Cassazione La delega prevede che i magistrati in pensione da meno di 2 anni e che abbiano esercitato per almeno 5 anni funzioni di legittimità possano essere nominati dal Csm giudici ausiliari presso la Corte di Cassazione per smaltire il contenzioso in materia tributaria ancora pendente. Come rilevato in più occasioni dal primo presidente Giovanni Canzio circa il 30% dell’enorme arretrato civile riguarda la materia tributaria. DOTTRINA CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Regime transitorio La delega prevede che le commissioni tributarie cessino definitivamente le funzioni decorsi due anni dall’entrata in vigore della riforma trattando fino a quella data i procedimenti già iscritti. Dopo i due anni i procedimenti eventualmente ancora pendenti saranno riassegnati alle sezioni specializzate ordinarie. Tale proposta di legge appare sostanzialmente condivisibile. A mio avviso, tuttavia, dovrebbero essere apportati dei correttivi sulla base dei seguenti principi già evidenziati in un disegno da me redatto e proposto al Parlamento. 1. La gestione ed organizzazione non deve essere più del Ministero dell’Economia ma della Presidenza del Consiglio dei Ministri Per attuare l’effettiva terzietà dei giudici tributari ai sensi dell’art. 111 della Costituzione, comma 2, “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata” è urgente sottrarre al Ministero dell’Economia e delle Finanze la gestione e l’organizzazione delle commissioni tributarie, in quanto parte interessata nel contenzioso, ed affidarla ad un organismo terzo, come per esempio la Presidenza del Consiglio dei Ministri (la cui alta vigilanza è prevista dall’art. 29 decreto legislativo n. 545 del 31 dicembre 1992), perché la giustizia tributaria oltre che “essere” deve necessariamente “apparire” neutrale. Si deve istituire un ruolo autonomo della magistratura tributaria, distinto dalla magistratura ordinaria, amministrativa e contabile (c.d. quarta magistratura), la quale peraltro deve avere in futuro anche un riconoscimento costituzionale. Non si può assistere, come invece accade oggi, che il Ministro delle Finanze gestisca l’organizzazione dei giudici tributari per le nomine, i trasferimenti e l’avanzamento di carriera. 2. Nuova denominazione delle Commissioni Tributarie Le Commissioni Tributarie proprio alla luce di quanto detto al punto n. 1) dovranno avere una diversa denominazione: Tribunale Tributario; Corte D’Appello Tributaria; Corte di Cassazione Sezione Speciale Tributaria. 3. I Giudici Tributari devono essere a tempo pieno e professionalmente competenti Oggi i giudici tributari sono a tempo parziale e questo non garantisce una perfetta competenza e professionalità nel delicato settore fiscale. L’assunzione del giudice tributario deve avvenire per concorso pubblico, per titoli ed esami a base regionale con specifico riferimento alle norme tributarie e processuali. I professionisti per far parte delle commissioni tributarie devono cancellarsi dai rispettivi albi professionali. 4. Giudice monocratico Si può prevedere l’istituzione del Giudice Monocratico per tutte le controversie di importo non superiore a € 20.000,00 d’imposta che vanno oggi a mediazione, per le cause catastali e per i giudizi di ottemperanza senza limiti di importo. 5. Dignitoso trattamento economico dei Giudici Tributari Oggi i giudici tributari non percepiscono alcun compenso per la sospensiva, e soltanto la misera somma di euro 25 nette a sentenza depositata peraltro pagata con ritardo. Questi miseri compensi non fanno altro che offendere la dignità del giudice tributario ed ecco perché è necessario prevedere con urgenza un compenso dignitoso sia per le udienze di sospensiva e di merito, sia per il deposito delle sentenze oltre che un congruo e dignitoso compenso mensile e rimborso spese. 6. Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria Nel mio disegno di legge rimane il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria tenuto conto dell’autonomia della magistratura tributaria come sopra esposto. 7. Difensori Tributari Nel mio disegno di legge rimangono tutti gli attuali difensori tributari senza alcuna esclusione ma senza ampliamenti. 45 46 DOTTRINA Conclusione La Riforma delle Commissioni Tributarie è sentita da molti anni dai contribuenti e dalle categorie professionali, tenuto conto della delicatezza del ruolo svolto e delle particolari questioni che vengono trattate. Non si deve pensare che l’esigenza della suddetta riforma è giustificata dai recenti scandali e arresti dei giudici tributari (si vedano i casi di Roma, Napoli, Milano e Bari), ma la riforma è necessaria perché i giudici tributari devono essere giudici professionali, ben pagati ed indipendenti (anche all’apparenza) dal MEF, e competenti a decidere le delicate e difficili questioni tributarie, che in caso di errori, anche involontari, possono portare al fallimento delle aziende, o peggio ancora al suicidio dei contribuenti. Ormai è arrivato il momento indifferibile di smantellare totalmente le attuali commissioni tributarie e creare giudici tributari a tempo pieno non più CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO dipendenti dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, ma dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’esigenza di un’ampia riconsiderazione della giurisdizione in materia tributaria è largamente avvertita dai contribuenti e dai professionisti del settore. Infatti, occorre garantire tempestività, trasparenza ed efficienza nel rendere giustizia su temi che incidono così in profondità sui diritti dei cittadini e sui rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione. In definitiva, l’attuale strutturazione della giustizia tributaria non appare più adeguata e, di conseguenza, è necessaria ed urgente una totale e radicale riforma. A tal proposito, è necessario un sereno ed equilibrato dibattito tra tutti i soggetti istituzionali e professionali per arrivare ad avere una giustizia tributaria con giudici professionali, specializzati, a tempo pieno, ben retribuiti e, soprattutto, terzi ed imparziali nel rispetto dell’art. 111, comma 2, della Costituzione. DOTTRINA CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Utilizzo di documenti falsi e sanzioni penali Commento agli artt. 1 e 2 d. lgs n. 74 del 2000 di Lorenzo Imperato 1. La definizione di cui alla lett. a) dell’art. 1 La definizione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, e la stessa definizione della ‘inesistenza’ delle operazioni, contenute nella lettera a) dell’art. 1, non sono state direttamente oggetto di modifica ad opera del d. lgs. n. 158 del 2015. Peraltro, mette conto di osservare che la riformulazione dell’art. 3 del decreto n. 74, con l’introduzione di una specifica modalità di condotta consistente nell’«utilizzo di documenti falsi», impone una rimeditazione della portata – in taluni casi, in passato, ritenuta in misura eccessiva – da attribuire alla nozione di «altri documenti», penalmente equiparabili alla fattura. L’utilizzo di documenti falsi, infatti, potrebbe astrattamente comportare, successivamente alla modifica del decreto n. 74, responsabilità penale ai sensi dell’art. 2 o dell’art. 3. L’opera di delimitazione dei rapporti fra le due fattispecie, dunque, dovrà essere realizzata, a nostro avviso, esaltando il coefficiente di specializzazione contenuto nella lettera a) dell’art. 1, consistente nella predeterminazione normativa di una funzione probatoria analoga alla fattura. Elemento, questo, che, consentendo di parificare il documento innominato alla fattura (ai sensi dell’art. 21 d.p.r. n. 633 del 1972), orienta l’interprete verso l’applicazione dell’art. 2. In tutti i casi, invece, nei quali non sia dato riscontrare, in modo diretto, l’esistenza di una norma tributaria che attribuisca ad un certo documento innominato la stessa valenza probatoria della fattura, ci si deve orientare verso l’applicazione dell’art. 3, che fa riferimento al più ampio genus del ‘documento falso’, ossia al documento inficiato da falsità ideologica o materiale, diverso dalla fattura o dal documento innominato ad esso equiparabile. 2. La definizione degli «elementi attivi o passivi» (lett. b) dell’art. 1) La nozione degli «elementi attivi e passivi» – oggetto della definizione contenuta nella lettera b) dell’art. 1 - è stata certamente ampliata dalla riforma del 2015, attraverso l’aggiunta dell’inciso: «e le componenti che incidono sulla determinazione dell’imposta». Con questa definizione il legislatore delegato del 2000 intendeva evitare un’elencazione casistica, ricomprendendo in un’unica espressione – quella degli «elementi attivi e passivi» - tutte le componenti capaci di influire sulla determinazione del reddito e delle basi imponibili ai fini delle imposte sui redditi e dell’iva1. Dal testo della norma, quindi, già emergeva come gli elementi penalmente rilevanti fossero soltanto quelli capaci di concorrere a determinare l’imponibile, con esclusione delle componenti incidenti in via diretta sull’imposta2. Per esemplificare, nel campo delle imposte sui redditi, sino alla riforma del 2015 potevano assumere rilevanza penale soltanto condotte ricadenti sulle componenti del reddito – quindi, sulla base imponibile - e sugli oneri deducibili, ma non anche condotte ricadenti sulle detrazioni di imposta ovvero sui crediti di imposta (che incidono, ai sensi dell’art. 11 Tuir, sull’imposta lorda, consentendo di pervenire alla determinazione dell’imposta netta). Quanto all’imposta sul valore aggiunto, le condotte penalmente rilevanti potevano incidere soltanto sulla determinazione della base imponibile e, quindi, sugli elementi contemplati dall’art. 13 d.p.r. n. 633 del 1972 e dalle altre disposizioni che a quella rinviino e che la integrino o la deroghino. La nozione degli elementi attivi e passivi assume rilevanza in funzione della descrizione delle condotte dei delitti dichiarativi previsti dagli artt. 2, 3 e 4. Nel quadro originario del decreto n. 74 del 2000, l’ambito delle condotte penalmente rilevanti era limitato ai comportamenti che avrebbero potuto incidere sulla determinazione dell’imponibile: il tema principale era quello della tutela della fedeltà della dichiarazione, 1In argomento, cfr. G. MOSCHETTI, in Commentario breve alle leggi tributarie, tomo II, Accertamento e sanzioni, a cura di F. MOSCHETTI, Padova, 2011, p. 530; E. AMBROSETTI, Diritto penale dell’impresa, Bologna, 2008, p. 400. 2 Ci permettiamo di rinviare a L. IMPERATO, in Diritto e procedura penale tributaria, a cura di I. CARACCIOLI – A. GIARDA – A. LANZI, Padova, 2001, p. 48; cfr. anche B. GULLO, Gli elementi attivi e gli elementi passivi nel diritto penale tributario. Casi pratici di applicazione della norma definitoria, in il fisco, 2010, p. 7147 ss. 47 48 DOTTRINA intesa come fedele rappresentazione dei redditi posseduti dal contribuente in un certo periodo di imposta ovvero delle operazioni imponibili realizzate in quello stesso periodo di imposta. L’imposta evasa, nel disegno originario del Legislatore, doveva essere determinata operando un confronto (più o meno semplice) fra l’imposta indicata nella dichiarazione e l’imposta effettivamente dovuta, ossia l’imposta che si sarebbe dovuta dichiarare, qualora si fosse fedelmente rappresentato nella dichiarazione il complesso dei redditi posseduti o delle operazioni rilevanti ai fini iva. L’imposta evasa, nelle intenzioni del Legislatore del 2000, rappresentava, insomma, una mera conseguenza delle infedeltà o degli artifici commessi in corso d’anno e riportati, nei loro risultati numerici, nella dichiarazione annuale. Infatti, la sentenza Di Mauro delle sezioni unite, pubblicata nel 20003, ha osservato che «la violazione dell’obbligo di veritiera prospettazione della situazione reddituale e delle basi imponibili è al fondamento, segnatamente, della tipologia criminosa costituente l’asse portante del nuovo sistema punitivo: la dichiarazione annuale fraudolenta». La riforma del 2015 ha modificato radicalmente questa impostazione, facendo assurgere la determinazione dell’imposta a possibile oggetto diretto delle condotte materiali fraudolente (art. 2), artificiose (art. 3) od infedeli (art. 4). Ne consegue necessariamente un ampliamento della responsabilità penale dei contribuenti, che potranno d’ora in avanti realizzare i fatti puniti sia intervenendo sull’imponibile rilevante ai fini delle imposte sui redditi o dell’imposta sul valore aggiunto, sia, semplicemente, intervenendo sulla misura dell’imposta, lasciando intatta la determinazione dell’imponibile. Con l’entrata in vigore della riforma, potranno essere considerati elementi attivi e passivi, rilevanti ai fini dell’applicazione delle fattispecie di cui agli articoli 2, 3 e 4, sia le componenti che incidono sulle basi imponibili o sul reddito, sia le componenti che incidono sulla determinazione dell’imposta: non a caso, la relazione illustrativa ricorda, correttamente, i crediti d’imposta e le ritenute. Ne consegue che, entrata in vigore la riforma, potrà assumere rilevanza penale anche il mendacio (anche qualificato dalle note di fraudolenza tipiche degli artt. 2 e 3) che attinga le detrazioni d’imposta4 e, comunque, tutte le componenti che, senza intaccare l’imponibile, incidano direttamente sull’imposta. 3 Cass., sez. un., 25.10.2000, n. 27, Di Mauro. 4 Cfr., quanto alle imposte sui redditi, gli artt. 12, 13, 15, 16, 16-bis tuir. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO 3. La definizione di «dichiarazioni» (lett. c) dell’art. 1) La definizione in commento è stata modificata dall’art. 1, lett. b) del decreto n. 158 del 2015, attraverso l’inserimento di questo inciso: «o di sostituto di imposta, nei casi previsti dalla legge»5. La norma era destinata a chiarire, nell’impianto originario del 2000, che potevano assumere rilevanza penale non soltanto le dichiarazioni fiscali presentate da un soggetto nell’interesse proprio, ma anche le dichiarazioni presentate in qualità di amministratore, liquidatore o rappresentante di società, enti o persone fisiche6. Pertanto, assumevano rilevanza penale le dichiarazioni presentate nell’interesse di altri, diverso dal loro sottoscrittore. Questo processo è stato proseguito con la riforma del 2015, posto che rilevano penalmente, ora, anche le dichiarazioni presentate dal sostituto di imposta. Il sostituto di imposta è stato incluso nella definizione di cui alla lett. c) assimilandolo agli altri soggetti ivi elencati per assonanza, esaltando la natura di soggetto che opera per conto di altri. Altro e diverso problema attiene alla configurabilità dei reati dichiarativi (artt. 2 – 3- 4) se posti in essere dal sostituto di imposta (fatto salvo il delitto di cui all’art. 5, comma 1-bis, di cui abbiamo detto). I maggiori ostacoli interpretativi all’ampliamento della sfera di punibilità, sino a ricomprendervi anche l’ipotesi dei delitti dichiarativi realizzati dal sostituto di imposta, consistono, anzitutto, nella natura della dichiarazione di sostituto di imposta. Essa, in quanto tale, è volta soprattutto a consentire all’Amministrazione finanziaria di conoscere i percipienti le somme corrisposte dal sostituto, il loro ammontare, l’ammontare delle ritenute operate. Si tratta, insomma, conformemente alla natura ed alla funzione della responsabilità tributaria accollata al sostituto di imposta, di una dichiarazione volta a rappresentare all’Amministrazione finanziaria dati concernenti la posizione reddituale di soggetti terzi rispetto al sostituto. In secondo luogo, per sua natura, non pare immediatamente ravvisabile – conformemente a siffatta, peculiare, struttura della dichiarazione del sostituto di imposta – la possibilità di individuare elementi attivi e/o passivi, suscettibili di essere oggetto delle condotte punite dai reati dichiarativi. 5 V., sul punto, G. GAMBOGI, La riforma dei reati tributari, Milano, 2016, p. 8. 6 Sottolinea questo profilo A. MARTINI, Reati in materia di finanze e tributi, in Trattato di diritto penale, diretto da C.F. GROSSO – T. PADOVANI – A. PAGLIARO, Milano, 2010, p. 194. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO In taluni casi concreti – si pensi all’ipotesi in cui il datore di lavoro corrisponda “in nero” una parte delle retribuzioni ai propri dipendenti; ovvero attesti in modo infedele nella dichiarazione di sostituto di imposta detrazioni inesistenti – si potrebbe configurare, astrattamente, responsabilità penale per dichiarazione infedele del sostituto di imposta. Allo stesso tempo, peraltro, il sostituito potrebbe essere sanzionato penalmente, sussistendone le condizioni, per l’evasione che abbia realizzato (ad esempio, percependo in modo non ufficiale una parte della retribuzione). Quindi, si correrebbe il rischio, che la legge delega di riforma del 2014 ha voluto scongiurare, quanto meno in linea di principio, di un eccessivo ampliamento della responsabilità penale e, soprattutto, di una sovrapposizione di titoli di responsabilità per lo stesso fatto, con violazione del principio del ne bis in idem. La questione, insomma, non può dirsi definita, alla luce della riforma. L’ampliamento della definizione di cui ci stiamo occupando pare legittimare il conseguente ampliamento della sfera applicativa dei delitti dichiarativi, pur con le perplessità teoriche ed applicative che, prima, abbiamo sommariamente delineato. 4. La definizione di «imposta evasa» (lett. f) dell’art. 1 A differenza delle lettere d) ed e), che non sono interessate dalla riforma, è stata invece modificata la lettera f) dell’art. 1 d. lgs. n. 74 del 2000 (dall’art. 1, comma 1, lett. c), d. lgs. n. 158 del 2015). Purtroppo, non è stato fornito – salvo che dall’art. 4, comma 1-bis, per la sola dichiarazione infedele – un definitivo chiarimento nel senso dell’irrilevanza ai fini penali, nell’operazione di determinazione dell’imposta evasa, delle regole fiscali “pure”, che contengano limitazioni probatorie, forfetizzazioni, preclusioni eccetera, ancorché la giurisprudenza della Suprema Corte sia fortunatamente pervenuta ad un assestamento opportuno, in un senso “sostanzialistico” della relativa nozione7. 7 Ci permettiamo nuovamente di rinviare a L. IMPERATO, op. cit., p. 56 ss. La giurisprudenza, a far data dal 2008, è pervenuta ad un’interpretazione ‘sostanzialistica’ dell’imposta evasa, nel senso auspicato nel testo, come è dimostrato dalle seguenti sentenze: «la soglia di punibilità agli effetti della violazione delle disposizioni penali tributarie di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 74/2000 deve riferirsi all’intera imposta dovuta giusta l’omissione della presentazione delle dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto. Il debito tributario evaso deve essere pertanto determinato secondo il risultato economico effettivamente conseguito quale risulta dagli ac- DOTTRINA La riforma ha aggiunto un inciso, che suona in questi termini: «non si considera imposta evasa quella teorica e non effettivamente dovuta collegata a una rettifica in diminuzione di perdite dell’esercizio o di perdite pregresse spettanti e utilizzabili»8. La norma definitoria riformata ha quindi sentito il bisogno di precisare che la rettifica delle perdite dichiarate non costituisce imposta evasa, con ciò lasciando intendere che, in precedenza, anche la mera rettifica in diminuzione della perdita avrebbe potuto costituire imposta evasa. Ebbene, questa clausola di esclusione si applica soltanto per la rettifica in diminuzione delle perdite, vale a dire per i casi in cui il contribuente abbia dichiarato una perdita e non un reddito, e la perdita, a seguito dell’accertamento, venga diminuita9. Si tratta di una norma applicabile, stante il tenore letterale della norma, soltanto al comparto delle imposte sui redditi, atteso il riferimento alle «perdite», nozione che non è nota in ambito iva, così come non lo è il meccanismo delle perdite pregresse utilizzabili in esercizi successivi. certamenti processuali in merito ai proventi percepiti ed i costi deducibili sostenuti» (Cass., sez. III pen., 28.5.2008, n. 21213); «differentemente dall’ordinamento tributario, il cui metodo induttivo di determinazione del reddito contempla ipotesi di ricostruzione formale e di inversione dell’onere della prova a carico del contribuente - quale l’ipotesi prevista all’art. 32, D.P.R. n. 600/1973 in merito alle indagini sui rapporti e conti correnti intrattenuti con istituti di credito - la disciplina della repressione dei reati comporta l’obbligo del giudice di valutare autonomamente le circostanze ed i fatti costitutivi della fattispecie incriminatrice - all’uopo anche discostandosi dalle risultanze e conclusioni dell’accertamento prettamente tributario, per dare prevalenza alla realità del reddito imponibile e della corrispondente imposta sottratta all’Erario, ovvero procedendo ad autonoma indagine nel contesto del divieto di adozione delle presunzioni legali previste dalla normativa sull’accertamento» (Cass., sez. III pen., 6.2.2009, n. 5490). Cfr. anche Cass., sez. III pen., 8.5.2013, n. 19709. 8 Cfr., sul punto, I. CARACCIOLI, Linee generali della revisione del sistema penale tributario, in il fisco, 2015, n. 30, p. 2935 ss. 9 Ci pare che la Relazione dell’Ufficio del Massimario proponga un’interpretazione più estensiva sul punto, affermando che «non viene fatta rientrare quella teorica collegata sia ad una rettifica in diminuzione di perdite dell’esercizio che all’utilizzo di perdite pregresse spettanti e utilizzabili: il riferimento è all’ipotesi che l’imposta evasa sia solo teorica perché “assorbita” (o “ridotta” sotto soglia) dalla perdita di esercizio verificata in quel periodo o negli anni precedenti, utilizzabile ai fini del calcolo degli elementi detraibili per l’esercizio in contestazione». Apprezziamo lo spirito dell’interpretazione, volto a dare ampia estensione alla modifica della definizione, ma ci pare, al tempo stesso, che la seconda parte delle affermazioni contenute nella Relazione non siano del tutto condivisibili. Invero, la riduzione della maggior imposta accertata per effetto dell’utilizzo di perdite pregresse non necessita della modifica apportata alla lett. f) dell’art. 1, essendo già prevista, in linea generale, dall’art. 9, commi 2 e 3, tuir per l’irpef e dall’art. 84 per l’ires. 49 50 DOTTRINA Inoltre, la norma precisa che questa diminuzione della perdita dichiarata può intervenire nell’esercizio oggetto di accertamento, ovvero in esercizi precedenti, nei quali siano state dichiarate perdite «utilizzabili», ossia riportabili in avanti, in diminuzione dell’eventuale reddito degli anni successivi10. Il significato della nuova definizione si coglie, a nostro avviso, proprio attraverso la precisazione introdotta, secondo la quale la minor perdita configura un’imposta «teorica» e «non effettivamente dovuta». Si tratta di una precisazione attraverso la quale si intende specificare che l’imposta dovuta deve essere identificata con l’imposta da versare. In effetti, l’art. 1 lett. f) non allude testualmente all’imposta da versare, ma all’imposta dovuta; e, d’altro canto, le norme che si occupano di imposte da versare si esprimono proprio in questi termini, alludendo alle ritenute non versate (art. 10-bis), all’iva non versata (art. 10-ter) ovvero al mancato versamento delle somme dovute (art. 10-quater). In questo modo, la definizione di imposta evasa si completa, nel senso che l’imposta effettivamente dovuta, per effetto della riforma, è l’imposta che deve essere versata: infatti, nei casi di mera diminuzione della perdita a seguito dell’accertamento, alla quale non consegua un obbligo di versamento, la norma specifica che non si considera la minor perdita come imposta evasa. Si impone una precisazione con riguardo all’eventualità del riporto in avanti della perdita11. Si pensi al caso in cui il contribuente dichiari una perdita in un certo anno di imposta, che venga fatta oggetto di riporto in avanti, a diminuzione del reddito conseguito in un anno successivo, ovvero in anni successivi. Sottoposto ad accertamento l’anno di imposta nel quale è stata dichiarata la perdita, questa viene ridotta, per sopravvenuto incremento degli elementi attivi, o per decremento degli elementi passivi. Ci si chiede quale sia l’effetto per gli anni successivi, nei quali la perdita sia stata riportata a diminuzione del reddito conseguito. Nessun problema, nel caso in cui derivi negli anni successivi comunque una perdita, come stabilito espressamente dalla seconda parte della lettera f) dell’art. 1. Differente il caso in cui, fatta venir meno la perdita oggetto di riporto, emerga un reddito positivo, ed un’imposta da versare: si tratta del caso in cui, eliminata 10 Cenni sul tema della rilevanza delle perdite rispetto al previgente testo della lett. f) dell’art. 1 in L. IMPERATO, Diritto e procedura penale tributaria, cit., p. 74 s. 11 Cfr. G. GAMBOGI, La riforma dei reati tributari, cit., p. 9. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO la perdita riportata per effetto dell’accertamento, derivi una maggior imposta da versare superiore alle soglie di punibilità. Il problema deriva dal fatto che, negli esercizi successivi, non si realizza la condotta tipica del reato dichiarativo (di cui agli artt. 3 o 4), ma ci si limita a riportare la perdita derivante da un anno di imposta precedente, fatto oggetto di rettifica ad opera dell’Amministrazione finanziaria12. Con la riforma dell’art. 1, lett. b), anche l’elemento che incida sulla determinazione dell’imposta costituisce elemento passivo, nella specie, suscettibile di dar luogo a responsabilità penale. La clausola di esclusione contenuta nella seconda parte della lett. f) dell’art. 1 non può operare in questo caso, in quanto non ci si trova nella fattispecie dell’imposta teorica e non effettivamente dovuta, quanto nella fattispecie in cui il contribuente sarebbe chiamato a corrispondere l’imposta, a seguito del venire meno – totale o parziale – della perdita dell’esercizio precedente. In questi casi, pertanto, diviene dirimente il profilo soggettivo, per quel che concerne il delitto di dichiarazione infedele, atteso che il delitto di dichiarazione fraudolenta non può venire ad esistenza per difetto degli elementi di fraudolenza richiesti. Diviene dirimente, dunque, accertare se il contribuente sia consapevole, negli anni di imposta successivi, di riportare in avanti una perdita che si sa essere, in realtà, insussistente. Si verifica, in sostanza, una situazione simile a quella già esaminata, in giurisprudenza, con riguardo al testo precedente, nella quale il contribuente riporti in più anni di imposta un componente del reddito che si sappia essere inficiato, nella sua genesi, da fraudolenza od infedeltà (tipico il caso delle quote di ammortamento)13. 12 Nello stesso senso cfr. Cass., sez. III pen., 19.12.2014, n. 52752 – in ipotesi di riporto in dichiarazioni successive di elementi passivi fittizi – secondo la quale «questa tesi non comporta che le successive dichiarazioni annuali che espongano elementi passivi fittizi siano esenti da possibile responsabilità penale, ma solo che esse dovrebbero essere qualificate non ai sensi del D. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 2 e 3 (perché nelle successive annualità non si ha la progressione nello stesso periodo di imposta dall’utilizzazione alla dichiarazione), bensì ai sensi dell’art. 4 (perché si ha una dichiarazione di elementi passivi fittizi senza contemporaneo utilizzo della falsa rappresentazione nelle scritture contabili e dei mezzi fraudolenti, avvenuta in anni precedenti). Ciò perché, esauritasi la condotta “bifasica” dell’utilizzo completato dalla dichiarazione, sussiste solo la condotta “monofasica” della dichiarazione di elementi passivi fittizi». 13 Cfr., negli stessi termini, A. PERINI, in La nuova giustizia penale tributaria, I reati – il processo, a cura di A. GIARDA – A. PERINI – G. VARRASO, Padova, 2016, p. 187 s. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Occorre dedicare un cenno, da ultimo, ad un istituto che è stato introdotto dal titolo II del d. lgs. n. 158 del 2015, all’art. 25, rubricato: «procedimento di computo in diminuzione delle perdite in accertamento». La disposizione – che diverrà efficace a partire dal 1° gennaio 2016, per gli anni di imposta per i quali, a questa data, non sia già intervenuta decadenza dal potere di accertamento – prevede che l’Amministrazione, eseguito accertamento su un anno di imposta, debba scomputare dai maggiori imponibili accertati le perdite relative al periodo di imposta oggetto di accertamento, fino a concorrenza del loro importo. Pertanto, lo scomputo delle perdite riportate in un anno di imposta dai maggiori imponibili accertati dall’Agenzia delle Entrate in quello stesso anno diviene automatico, fino a concorrenza del loro importo. Qualora invece il contribuente abbia riportato perdite pregresse, il contribuente ha facoltà di richiedere che vengano computate in diminuzione dei maggiori imponibili accertati, sino a concorrenza del loro importo. Conviene ricordare che, in questi casi, le sanzioni sono irrogate in rapporto all’imposta che eventualmente il contribuente debba versare, a seguito della rideterminazione dei maggiori imponibili per effetto dello scomputo delle perdite (dell’esercizio o pregresse). Si è affermato14 che la norma in esame contribuirebbe a definire una questione interpretativa riguardante l’applicazione delle sanzioni amministrative in questo caso. In particolare, era dubbio, sino all’introduzione dell’art. 25 citato, se la sanzione per infedele dichiarazione dovesse essere commisurata alla maggior imposta risultante dallo scomputo delle perdite ovvero se dovesse essere comunque commisurata alla maggior imposta oggetto di accertamento, al lordo delle perdite, come certa giurisprudenza della Suprema Corte lascerebbe intendere. Sotto questo profilo si riconosce una certa assonanza fra l’art. 25 d. lgs. n. 158 del 2015 e la lett. f) dell’art. 1 oggetto di riforma da parte dello stesso decreto. Entrambe le disposizioni prevedono, invero, che in caso di perdite non debbano derivare conseguenze sanzionatorie, ovvero, se le sanzioni debbano essere irrogate, che esse siano proporzionate all’imposta effettivamente dovuta, dopo aver considerato le perdite dell’esercizio ovvero le perdite pregresse spettanti ed utilizzabili. 14 Cfr. S.M. GALARDO, Utilizzo delle perdite in accertamento: dal consolidato allo “stand alone”, in Corr. Trib., 2015, n. 32, p. 2481 ss. DOTTRINA Se questo parallelo ha un senso – nonostante la diversità di campo di materia ed il principio del “doppio binario” previsto dall’art. 20 d. lgs. n. 74 del 2000 – si deve allora considerare che la soluzione prima prospettata riceve un’ulteriore convalida. Invero, l’art. 25 d. lgs. n. 158 del 2015, dal canto suo, stabilisce che le sanzioni amministrative siano commisurate all’imposta che il contribuente debba effettivamente versare, dopo lo scomputo delle perdite; allo stesso modo, l’art. 1 lett. f) riformato si limita a stabilire, innovando, che non si considera imposta evasa quella teorica e non effettivamente dovuta, a seguito di scomputo delle perdite, vale a dire l’imposta che non debba essere, concretamente, versata. Diversamente, nell’un caso e nell’altro, qualora, scomputate le perdite, residui imposta da versare, di essa si dovrà tenere conto, sia ai fini dell’applicazione delle sanzioni amministrative, sia ai fini dell’irrogazione delle sanzioni penali (qualora l’imposta da versare superi la soglia di punibilità). 5. La nuova definizione delle «operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente» (lett. g-bis dell’art. 1) Il punto di maggior novità, denso di implicazioni teoriche e pratiche, è rappresentato dall’introduzione nell’art. 1 d. lgs. n. 74 del 2000 della lettera g-bis). La lettera g-bis) contiene la definizione delle «operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente»: due requisiti concorrono a definire la fattispecie, uno negativo ed uno positivo, e quest’ultimo, a sua volta, viene diversamente configurato per la simulazione oggettiva e per la simulazione soggettiva15. Il requisito negativo consiste nella circostanza che le dette operazioni non devono integrare quelle disciplinate dall’art. 10-bis dello Statuto del contribuente: testualmente, la norma prevede che si deve trattare di operazioni «diverse da quelle disciplinate dall’articolo 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212». Soffermiamoci un momento su questo inciso, particolarmente rilevante. Il Legislatore della riforma ha inteso in tal modo rafforzare il disposto dell’art. 10-bis, comma 13, dello Statuto del Contribuente, secondo il quale le operazioni elusive od abusive non possono dar luogo alla commissione di reati tributari. 15 Per un primo esame della riforma, con riguardo alla bozza del decreto legislativo delegato, cfr. I. CARACCIOLI, Prospettive del sistema sanzionatorio penale e raddoppio dei termini di accertamento, in il fisco, 2015, n. 13, p. 1254 ss. 51 52 DOTTRINA Norma importante, questa, in quanto dovrà por fine alla lunga querelle interpretativa sulla rilevanza penale dell’elusione fiscale, nel senso della irrilevanza penale dell’elusione fiscale. Il requisito positivo si differenzia nella definizione della simulazione oggettiva e della simulazione soggettiva. La simulazione oggettiva – o, meglio, l’operazione oggettivamente simulata – è quella «apparente», «posta in essere con la volontà di non realizzarla in tutto o in parte». L’operazione soggettivamente simulata, invece, viene riferita «a soggetti fittiziamente interposti». Sul piano contenutistico, in prima battuta, le definizioni in esame possono essere riportate alle nozioni che la dottrina civilistica ha tracciato in materia. La simulazione, in generale, viene così definita dalla dottrina civilistica: «c’è simulazione quando i contraenti creano, con la propria dichiarazione, solo le parvenze esteriori di un contratto, del quale non vogliono gli effetti (art. 1414, comma 1°), oppure creano le parvenze esteriori di un contratto diverso da quello da essi voluto (art. 1414, comma 2°)»16. Quanto alla simulazione soggettiva, o meglio alla interposizione fittizia di persona, si ricorda che «è una particolare specie di simulazione relativa, che investa la identità di una delle parti»17. Il contenuto della definizione pone il problema del rapporto fra la definizione di operazioni simulate e le definizioni di operazioni inesistenti dettate dalla lettera a) dell’art. 1, che non sono state oggetto dell’intervento riformatore. Si pensi al rapporto fra l’operazione soggettivamente simulata e l’operazione soggettivamente inesistente, in termini, almeno, di parziale sovrapponibilità. Allo stesso modo, l’operazione oggettivamente simulata ai sensi della lett. g-bis dell’art. 1, quale operazione «apparente» posta in essere con la volontà di non realizzarla, si sovrappone all’operazione oggettivamente inesistente. 16 In questi termini F. GALGANO, Diritto civile e commerciale, vol. 2, Le obbligazioni e i contratti, tomo I, Obbligazioni in generale. Contratti in generale, 2° ed., Padova, 1993, p. 341. In termini parzialmente difformi R. SACCO (in Trattato di diritto civile, diretto da R. SACCO, Il contratto, tomo I, 3° ed., Torino, 2004), ad avviso del quale la costruzione del negozio giuridico come volontà ha condizionato, per lungo tempo, la visione della simulazione come contrasto fra volontà e dichiarazione. Si dovrebbe, invece, puntare l’attenzione sulla «concezione del negozio simulato come negozio contraddetto da una controdichiarazione. Il negozio simulato è inoperante non già per una generica assenza della volontà e degli effetti, ma perché l’esclusione degli effetti è prevista e regolata nella controdichiarazione», 17 Così F. GALGANO, Diritto civile e commerciale, cit., p. 342. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Sul versante dell’applicazione concreta, il problema si sposta sul terreno del rapporto fra fattispecie. Considerando che le definizioni di operazioni simulate contribuiscono a delineare l’ambito di applicazione dell’art. 3 d. lgs. n. 74 del 2000, ci si deve in altri termini chiedere quale sia la sorte dei rapporti fra l’art. 3 e l’art. 2, atteso che in taluni casi, particolarmente per le operazioni soggettivamente inesistenti sub specie di interposizione fittizia, si riscontra una perfetta sovrapposizione fra l’area applicativa delle due norme incriminatrici. In presenza, insomma, di un’interposizione di persona – che dà luogo, pacificamente, ad un’operazione soggettivamente inesistente – si deve stabilire se, con l’entrata in vigore della riforma, si configuri il delitto di cui all’art. 3 ovvero quello di cui all’art. 2. Il problema risulta, poi, complicato dal fatto che il Legislatore non ha modificato le disposizioni di cui agli artt. 1, lett. a) e 2 decreto n. 74, a voler ribadire che i delitti di cui agli artt. 2 e 3 decreto n. 74 devono, pur dopo l’entrata in vigore della riforma, coesistere: ed anzi, presente il primo, il secondo non può realizzarsi, stante la clausola di riserva che compare in apertura dell’art. 318. Se, infatti, il Legislatore avesse voluto di fatto abrogare, anche parzialmente, la fattispecie di cui all’art. 2, lo avrebbe dovuto fare espressamente, senza riservare un’opzione di così rilevante impatto alla sola, pur significativa, opera degli interpreti. Ci si deve chiedere se ogni operazione inesistente – come definita dalla lettera a) dell’art. 1, sia essa oggettiva o soggettiva – costituisca, allo stesso tempo, un’operazione simulata, ai sensi dell’art. 1, lett. g-bis). A noi pare, per anticipare le conclusioni cui perverremo, che così non sia19, e che si possa pervenire ad un’interpretazione che consente di far coesistere la fattispecie di cui all’art. 2 e quella, novellata, di cui all’art. 3. Occorre infatti considerare che in materia di fatture per operazioni inesistenti si assiste ad un diverso, e per certi versi opposto, approccio all’interpretazione. 18 Si veda sul punto la Relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, 28.10.2015, p. 5: «l’introduzione della categoria della simulazione pone evidenti problemi di coordinamento, nella misura in cui non è semplice stabilire se vi sia o meno coincidenza fra le operazioni “inesistenti” documentate in fatture e di cui alla lettera a) dell’art. 1 del d. lgs. 74/2000 (rimasta invariata) (…) e le operazioni “simulate”, ossia “quelle poste in essere con la volontà di non realizzarle in tutto o in parte ovvero le operazioni riferite a soggetti fittiziamente interposti” di cui alla nuova lettera g-ter) dell’articolo medesimo». 19 Concorda A. PERINI, La nuova giustizia penale tributaria, cit., p. 237; G. GAMBOGI, La riforma dei reati tributari, cit., p. 52 s. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO La giurisprudenza insiste sul principio in forza del quale l’operazione è inesistente in tutti i casi in cui si riscontri divergenza fra l’operazione commerciale e la sua rappresentazione documentale in fattura20; in dottrina esistono posizioni più sfumate21, secondo le quali, essendo pacifico che in ipotesi di difformità fra la ‘realtà’ dell’operazione e la sua rappresentazione l’operazione debba essere qualificata come inesistente, in ipotesi, invece, di cosiddetta inesistenza giuridica, l’operazione non può essere considerata inesistente, in quanto, a prescindere dalla qualificazione giuridica che le venga attribuita in fattura, esiste comunque un sostrato effettuale, che non può essere definito inesistente22. La materia delle operazioni simulate, invece, è stata modellata sulle nozioni civilistiche della simulazione: con un approccio puramente normativo, dunque. Si può allora cercare di arrivare ad un punto di sintesi. Nelle ipotesi di inesistenza materiale dell’operazione, non può parlarsi di simulazione. Nell’inesistenza materiale non v’è nulla, nemmeno divergenza fra volontà e dichiarazione: semplicemente, non esiste l’operazione sottostante. Queste ipotesi debbono essere ricondotte alla tipologia delle operazioni inesistenti, definite dall’art. 1, lett. a), e ricondotte nell’alveo dell’art. 2, in ipotesi di utilizzo in dichiarazione degli elementi passivi fittizi oggetto delle fatture che li documentino. Nelle ipotesi di inesistenza giuridica, invece, si assiste ad un tipico caso di simulazione, anche in senso civilistico, sicché si dovrà applicare la definizione di cui alla lettera g-bis) dell’art. 1: le parti realizzano un’operazione, ma ne documentano un’altra. 20 Giurisprudenza pacifica: cfr., da ultimo, Cass., sez. III pen., 1.7.2013, n. 28352: «il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000) sussiste sia nell’ipotesi di inesistenza oggettiva dell’operazione (ovvero quando la stessa non sia mai stata posta in essere nella realtà), sia in quella di inesistenza relativa (ovvero quando l’operazione vi è stata, ma per quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura) sia, infine, nel caso di sovrafatturazione “qualitativa” (ovvero quando la fattura attesti la cessione di beni e/o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli forniti), in quanto oggetto della repressione penale è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale. (Fattispecie relativa ad utilizzazione di fatture relative al trasporto di rifiuti per un quantitativo superiore a quello effettivo)». 21 In materia cfr., anche per un’esauriente panoramica dello stato dell’interpretazione dottrinale, A. PERINI, Reati tributari, cit., p. 516 ss. Cfr. anche, per l’opinione dottrinaria limitativa della categoria dell’inesistenza rilevante ai sensi della lett. a) dell’art. 1, E. MUSCO – F. ARDITO, Diritto penale tributario, cit., p. 116. 22 In termini analoghi G.L. SOANA, I reati tributari, 3ª ed., Milano, 2013, p. 102 s., il quale sottolinea come non tutte le operazioni inesistenti – ai sensi della lettera a) dell’art. 1 – sottendano una simulazione in senso civilistico. DOTTRINA Sul piano applicativo, si può configurare, nella presenza degli ulteriori requisiti della fattispecie, il delitto di cui all’art. 3 decreto n. 7423. Anche nelle ipotesi di sovrafatturazione si assiste ad un tipico caso di simulazione relativa concernente il prezzo e, pertanto, dovrebbe applicarsi la definizione di cui alla lettera g-bis) dell’art. 1, e, conseguentemente, l’art. 324. Si comprende, allora, per quale (ulteriore) motivo la lett. g-bis) dell’art. 1 abbia posto una condizione negativa, rispetto alle operazioni che configurino abuso del diritto. Mentre l’operazione totalmente o parzialmente inesistente sul piano naturalistico non pone problemi di rapporto con l’abuso del diritto, in quanto appare evidente in tal caso la violazione di una specifica norma tributaria, quale l’art. 21 d.p.r. n. 633 del 197225, nel caso di inesistenza giuridica, ossia di operazione esistente, ma qualificata in modo diverso da quello che appare giuridicamente appropriato, la linea di confine diviene molto più labile. Infatti, l’art. 10-bis, comma 2, della legge n. 212 del 2000, nel definire le operazioni – costituenti abuso del diritto – prive di sostanza economica, menziona quali «indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato». Per converso, nei casi di inesistenza giuridica, se nella pratica non si assiste di regola alla formazione di una controdichiarazione (che invece, per definizione, è certamente assente nelle ipotesi di inesistenza materiale delle operazioni punita dall’art. 2, ai sensi dell’art. 1, lett. a), certamente si assiste, invece, ad una problematica giuridica di tipo qualificatorio, che attiene all’esatta 23 Pensiamo al noto caso deciso da Cass., sez. III pen., 3.4.2008, n. 13975, in Riv. dir. trib., 2008, III, p. 109: fatture attestanti acconti su forniture, che dissimulavano finanziamenti infragruppo, ritenute emesse a fronte di operazioni insistenti. Nello stesso senso Cass., sez. III, 26.9.2012, n. 38754. 24 Per la riconducibilità delle ipotesi di simulazione relativa al delitto di cui all’art. 2 d. lgs. n. 74 del 2000 cfr. R. PISANO, in A. DI AMATO – R. PISANO, I reati tributari, in Trattato di diritto penale dell’impresa, cit., p. 408 s. 25 L’art. 21 d.p.r. n. 633 del 1972 non vieta espressamente di emettere fattura per operazioni inesistenti. Ma è evidente, a nostro avviso, che, nel momento in cui impone di indicare in essa quantità e qualità del servizio prestato o del bene ceduto, presuppone che il servizio od il bene esistano. Rapporto di presupposizione che diviene palese nel settimo comma dell’art. 21 che, non a caso, menziona le fatture per operazioni inesistenti. 53 54 DOTTRINA descrizione dell’operazione, nella fattura o nel documento equiparato, dal punto di vista normativo26. Quanto all’inesistenza soggettiva, poi, occorrerà ulteriormente distinguere: nei casi di interposizione fittizia (si pensi alle note frodi iva, nella quali si riscontra effettivamente l’istituzione di un interposto ad opera di un interponente, spesso reale beneficiario economico della frode), stando alla definizione fornita dalla lettera g-bis) dell’art. 1, pare non esservi dubbio che l’operazione debba essere definita come «simulata», anche in senso civilistico, con conseguente applicazione dell’art. 327. Nei casi, invece, nei quali si riscontri semplicemente la falsa indicazione del cessionario o del committente, non si ravvisa un fenomeno di interposizione, trattandosi di rapporto bilaterale, sicché l’operazione potrà essere ricondotta alla lettera a) dell’art. 1, con conseguente applicazione dell’art. 228. È stato autorevolmente sostenuto, nei primi commenti alla riforma29, che «non pare così scontata l’ipotesi – prospettata nelle prime osservazioni allo schema di decreto – secondo cui, per effetto del formale riferimento al compimento di “operazioni simulate (anche) soggettivamente”, il legislatore abbia inteso riattrarre nell’orbita applicativa dell’art. 3 anche le situazioni testé evidenziate». Per concludere, risolvendo la questione interpretativa, che «non pare irragionevole – secondo una valutazione suscettibile di essere estesa anche alla simulazione oggettiva – la diversificazione delle situazioni in dipendenza della esistenza, nell’art. 2, della copertura cartolare offerta dalla fattura (art. 2) rispetto al compimento di operazioni simulate prive di tale riscontro (art. 3)»30. 26 Condividiamo, quindi, l’argomentata opinione di S. CAVALLIOsservazioni “di prima lettura” allo schema di decreto legislativo in materia penaltributaria, in Diritto penale contemporaneo, 2015, p. 6. Per le prime riflessioni sul punto cfr. altresì L. IMPERATO, Modifiche alle definizioni generali nel diritto penale tributario, in il fisco, 2015, n. 31, p. 3035 ss. 27 Si tratterebbe, allora, di un ulteriore passo avanti nella linea interpretativa inaugurata dalla sentenza Cavalli (Cass., sez. III pen., 23.1.2009, n. 3203), sul filo della distinzione del trattamento penalistico da riservare ai fini iva ed ai fini delle imposte sui redditi alle operazioni soggettivamente inesistenti, con definitivo allontanamento dall’orbita applicativa dell’art. 2 d. lgs. n. 74 del 2000. Nello stesso senso, Cass., sez. III pen., 16.3.2010, n. 10394. 28 Tizio intende acquistare un bene od un servizio; lo fa acquistare dalla Tizio s.p.a., che deduce il costo e detrae l’iva. Non v’è interposizione della società fra Tizio ed il cedente od il prestatore (sul presupposto che sia la società a corrispondere il prezzo). 29 Cfr. la Relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, 28.10.2015, p. 17. 30 Cfr. la Relazione, cit., loco cit. NI, CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO La motivazione di questa interessante presa di posizione viene riferita alla necessità di non turbare la repressione dell’inesistenza soggettiva in ambito iva che, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, non dipende dall’addebito in rivalsa dell’imposta, ma, soprattutto, dalla ricorrenza delle condizioni normative che riguardano l’elemento oggettivo e soggettivo di applicazione dell’imposta. Pertanto, l’inesistenza soggettiva, se pur consente l’addebito in via di rivalsa dall’emittente la fattura, non deve costituire strumento per creare le premesse per un rimborso dell’imposta al quale non si ha invece diritto. Una preoccupazione, quindi, di tenuta del sistema. A noi non pare che questo rischio si ponga. Anzitutto, sul piano generale, per l’esigenza che la recentissima sentenza sul caso Dolce e Gabbana31 ha sottolineato con vigore e sapienza, osservando che «il diritto penale tributario si caratterizza per la sua specialità che gli deriva dalla particolare materia che ne costituisce l’oggetto, ma resta pur sempre diritto penale, diritto cioè dei comportamenti ritenuti lesivi di beni giuridici o di valori ad essi preesistenti, non diritto degli atti o degli interessi regolati dalle norme tributarie e certamente non dell’obbligazione tributaria» (par. 14.1.). Ed ancora: «al legislatore penale tributario non sta a cuore il recupero del gettito fiscale evaso, né il corretto adempimento dell’obbligazione tributaria, ma esclusivamente la rieducazione dell’autore della lesione del bene giuridico protetto, che costituisce lo scopo essenziale della sanzione penale» (par. 14.4.). Per sottolineare un punto essenziale nella discussione circa la rilevanza penale dell’elusione fiscale: «il disvalore espresso dalla condotta penalmente sanzionata, dunque, deve essere individuato esclusivamente all’interno della norma che la descrive che deve essere a sua volta applicata in conformità ai principi di stretta legalità, tassatività e determinatezza che governano l’interpretazione della legge penale, rifuggendo pertanto dalle sempre possibili suggestioni che il comune oggetto della materia trattata può comportare e che possono determinare il rischio sia di non ammesse interpretazioni analogiche che di scorciatoie probatorie volte ad attrarre nella fattispecie penale la pura e semplice constatazione dell’inadempimento dell’obbligo tributario che la norma stessa non ritiene sufficiente ai fini della punibilità dell’autore» (par. 14.6.). 31 Cass., sez. III pen., 24.10.2014 – 30.10.2015, n. 43809 (con nota di L. IMPERATO, La sentenza “Dolce e Gabbana” (ri)afferma il primato del diritto penale sul diritto tributario, in il fisco, 2016, n. 2, p. 139 ss.). CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO La norma penale tributaria deve essere interpretata in sé e per sé considerata, senza avere riguardo alle esigenze erariali. In secondo luogo, l’incrinatura che si potrebbe arrecare al sistema punitivo in ambito iva, seguendo la tesi da noi patrocinata, si potrebbe porre, in astratto, soltanto per l’interposizione fittizia, e non anche per le falsità soggettive in fattura, che resterebbero disciplinate dall’art. 2 d. lgs. n. 74 del 2000. Infine, riteniamo che la disciplina iva non consenta la detrazione al cessionario od al committente in caso di interposizione fittizia, in quanto non si troverebbero, come richiede l’art. 19 d.p.r. n. 633 del 1972, assoggettati alla rivalsa addebitata in relazione ai servizi importati od acquistati dall’emittente la fattura, mero interposto fittizio, il quale, in questa costruzione, non avrebbe venduto alcun bene o prestato alcun servizio. La giurisprudenza tributaria è consolidata nel senso di escludere la detrazione dell’iva, qualora un soggetto passivo iva abbia saputo, od avrebbe dovuto sapere, esercitando la diligenza media della sua condizione, di essere coinvolto in una frode iva, ovvero in un’interposizione fittizia di soggetti, od in una serie di interposizioni fittizie di soggetti32. 32 Cfr., limitandoci alle sentenze più recenti del Supremo Consesso italiano, che muove comunque da premesse argomentative della Corte di Giustizia, Cass., sez. V civ., sent. 30.9.2015, n. 19419 «in materia di I.V.A., nell’ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti, il contribuente non può richiedere la detrazione dell’imposta versata a soggetto diverso dal cedente/prestatore, che abbia comunque emesso fattura, in presenza di elementi oggettivi che inducano ad escludere la buona fede del committente/cessionario, intesa come consapevolezza di partecipare con il proprio acquisto ad un illecito fiscale»; Cass., sez. V civ., sent. 27.5.2015, n. 10939 «In tema d’IVA, il destinatario della fattura emessa per un’operazione inesistente, non è legittimato a detrarre l’imposta a meno che non sia ripristinata, con la procedura di variazione, la corrispondenza tra rappresentazione cartolare e reale operazione economica, restando salva, in ogni caso, la sua buona fede ove dimostri di avere adempiuto a tutti gli obblighi formali e di diligenza richiesti ad un operatore del settore e di essere stato nell’oggettiva impossibilità di conoscere l’eventuale frode»; Cass., sez. VI civ., ord. 12.5.2015, n. 9546 «In tema di fatturazione per operazione soggettivamente inesistente, risolventesi nella diretta acquisizione della prestazione da soggetto diverso da quello che ha emesso fattura e percepito l’IVA in rivalsa, la prova che la prestazione medesima non è stata effettivamente resa dal fatturante (in quanto sfornito di dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione) costituisce, di per sé, idoneo elemento sintomatico dell’assenza di “buona fede” del contribuente, poiché l’immediatezza dei rapporti (cedente o prestatore - fatturante - cessionario o committente) induce ragionevolmente ad escluderne l’ignoranza incolpevole circa l’avvenuto versamento dell’IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta. Ne consegue che, in tal caso, sarà il contribuente a dover provare di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri, dovendosi altrimenti negare il diritto alla detrazio- DOTTRINA Riteniamo che anche in tal caso l’iva addebitata in fattura in caso di interposizione sia indetraibile: sempre che questa debba essere una ragione necessaria per affermare una certa interpretazione della norma penale tributaria. Anche in dottrina33 si è osservato che il meccanismo della detrazione dell’iva addebitata in rivalsa – necessario ad assicurare neutralità all’imposta – è impedito qualora ricorrano «situazioni fraudolente o abusive», come insegnato dalla Corte di Giustizia dalla fine degli anni novanta del secolo scorso34. ne dell’IVA versata»; Cass., sez. V civ., sent. 24.9.2014, n. 20059 «In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni (solo) soggettivamente inesistenti e neghi il diritto del contribuente a portare in detrazione la relativa imposta, deve provare, anche in via indiziaria, che la prestazione non è stata resa dal fatturante, spettando, poi, al contribuente l’onere di dimostrare, anche in via alternativa, di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta, di non essere stato in grado di superare l’ignoranza del carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti coinvolti. Né, a tal fine, è sufficiente dedurre che la merce sia stata consegnata e rivenduta e la fattura, IVA compresa, effettivamente pagata, poiché trattasi di circostanze pienamente compatibili con la frode fiscale perpetrata mediante un’operazione soggettivamente inesistente». 33 A. PACE, in L’imposta sul valore aggiunto, a cura di F. TESAURO, Torino, 2001, p. 312. 34 In tempi più recenti si deve ricordare la sentenza CCGE, 6 luglio 2006, cause C-439/04 e C-440/04, Axel Kittel e Recolta Recycling SPRL, in www.eurlex.eu. In questa scia, si veda Cass., sez. V civ., 25.10.2006, n. 22882: «posto che, per quanto rilevato in precedenza, la mancata rispondenza di effettive operazioni alle fatture emesse da Silver Moon e Azeta nei confronti di Comep risulta accertata dal giudice del merito con valutazione non sindacabile in questa sede, in proposito, va rilevato che l’indetraibilità dell’I.V.A. figurante sulle predette fatture costituisce conseguenza all’accertata fattuale inesistenza degli scambi, che i menzionati documenti fiscali attestano (solo) cartaceamente. In ipotesi di operazioni inesistenti, non si realizza, infatti, l’ordinario presupposto impositivo né la configurabilità stessa di un “pagamento a titolo di rivalsa” né i presupposti del diritto alla detrazione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 12, comma 1. E, d’altro canto (cfr. Cass., 12353/05, 13605/03, 7289/02, 6341/02), la previsione del menzionato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7 - se, per un verso, viene, direttamente, ad incidere sul soggetto emittente la fattura, costituendolo debitore d’imposta (pur in assenza del suo ordinario presupposto) sulla base dell’applicazione del solo principio di cartolarità - per l’altro, viene, indirettamente, ad incidere anche sul destinatario della fattura, confermandone, in combinato disposto con il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, e art. 26, comma 3, la preclusione ad esercitare il diritto alla detrazione o alla variazione dell’imposta, in assenza del relativo presupposto (acquisto o importazione di beni e servizi nell’esercizio dell’impresa, arte o professione)». Cfr. in materia G. Moschetti, Diritto tributario europeo, Padova, 2015, p. 400 ss. 55 56 DOTTRINA Quindi, riassumendo, l’operazione simulata oggettivamente o soggettivamente ricomprende queste ipotesi: - il fenomeno della sovrafatturazione, invece, rappresenta tipica ipotesi di simulazione relativa concernente il prezzo, che deve essere ricondotta alla lett. g-bis) dell’art. 1, provocando responsabilità ai sensi dell’art. 3 - l’inesistenza giuridica – ossia il fenomeno dell’operazione naturalisticamente esistente, ma qualificata in modo difforme da quello corretto – deve essere ricondotta alla lettera g-bis) dell’art. 1, in quanto in questa ipotesi si assiste ad un’operazione apparente, posta in essere con la volontà di non realizzarla, in tutto o in parte (come recita il tenore della disposizione della lett. g-bis), mentre il soggetto ne ha voluto realizzare una diversa, così richiamando l’istituto della simulazione oggettiva (così realizzandosi il delitto di cui all’art. 3, nel concorso di tutti gli elementi della fattispecie) - l’interposizione fittizia di persona, quale tipica ipotesi di simulazione soggettiva, fra l’altro espressamente richiamata dalla lett. g-bis) dell’art. 1, deve essere ricondotta alla definizione di operazione soggettivamente simulata (e, quindi, all’area applicativa dell’art. 3)35. Questa ricostruzione non esclude che possa darsi il caso di operazioni oggettivamente simulate che prescindano dal rapporto di interferenza rispetto alle operazioni inesistenti. Pensiamo al caso36 dell’apposita costituzione di una accomandita semplice, alla quale era stato conferito, per un prezzo vile, il ramo di azienda avente ad oggetto lavori relativi ad un contratto di appalto per il quale era stato pattuito un prezzo milionario. Società in accomandita che, dopo soli otto mesi, era stata sciolta, senza distribuzione di attivo. 35 Riguardato nell’ottica della nuova disposizione, potrebbe rientrare in un caso di interposizione fittizia riportabile all’art. 3 la fattispecie scrutinata da Cass., sez. I pen., 25.10.2013, n. 43899, nella quale i ‘mezzi fraudolenti’ erano stati ravvisati nell’«essersi avvalsi di società e trust istituiti all’estero, emittenti titoli non negoziabili al di fuori del rapporto specifico; nella conforme esposizione non veritiera di tali elementi, dapprima nelle dichiarazioni dei redditi presentate individualmente dalle singole società del gruppo, quindi in quella consolidata, presentata dalla capogruppo Unicredit s.p.a., con la conseguente fraudolenta determinazione dell’imponibile, sottrazione di elementi attivi e liquidazione dell’imposta in misura inferiore al dovuto per gli importi complessivi e parziali, analiticamente individuati dall’ufficio requirente». 36 Trattato da Cass., sez. III pen., 16.1.2012, n. 1200. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Può sostenersi che la costituzione della società in accomandita, per la nuova norma, costituisca un’operazione apparente, posta in essere con la volontà di non realizzarla, essendo stata utilizzata, la nuova società, quale mero recettore del ricavo milionario, peraltro occultato al Fisco, grazie allo scioglimento della società senza distribuzione di attivo ai soci. Come abbiamo avvisato, ci pare molto meno appagante l’alternativa interpretativa che pure abbiamo prospettato, che si limita a considerare che, in un’operazione, un soggetto abbia fatto uso di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti, per predicare, per questo solo motivo, il delitto di cui all’art. 2. Questa alternativa, che pur consentirebbe di tracciare una linea chiara e definita fra le fattispecie che possono venire in considerazione, è così netta da cancellare, allo stesso tempo, l’innovazione evidente, rappresentata dall’introduzione del disposto della lett. g-bis) nell’art. 1 del decreto n. 74. Con tutte le perplessità del caso, dunque, ribadiamo che la prima interpretazione, frastagliata e difficoltosa, che propone un’integrazione fra le fattispecie di cui agli artt. 2 e 3, deve essere privilegiata. Non ne nascondiamo le conseguenze, tali da porre in crisi una tradizione orami consolidata, anzitutto sul piano dei titoli di responsabilità ascrivibili ai partecipanti alle operazioni che abbiamo descritto. Infatti, qualora si ritenga di differenziare i titoli di responsabilità, distinguendo, a seconda dei casi, fra l’intervento dell’art. 2 o dell’art. 3, non potrebbe operare, nel caso in cui si intenda applicare l’art. 3, la norma derogatoria prevista dall’art. 9, che esclude il concorso fra il responsabile del delitto di cui all’art. 2 ed il responsabile del delitto di cui all’art. 837. Peraltro, non ci pare conclusivo – quanto al problema della differenziazione fra i due titoli di responsabilità - il riferimento operato da attenta dottrina38, secondo la quale i problemi derivanti dalla possibile sovrapposizione delle due norme incriminatrici sarebbero sempre e comunque risolti dalla clausola di riserva contenuta in apertura dell’art. 3, in forza della quale l’art. 2, ove sussistente, prevarrebbe. Infatti, ci sembra che si debba prima stabilire – alla luce della riforma – quali condotte possano essere tuttora punite dall’art. 2 e quali dall’art. 3 e, solo in un secondo momento, far operare la clausola di riserva in favore dell’art. 2. 37 Per ulteriori approfondimenti sul punto, ci permettiamo rinviare a L. IMPERATO, I nuovi reati tributari, a cura di I. CARACCIOLI, Milano, 2016, p. 78 ss. 38 A. PERINI, La nuova giustizia penale tributaria, cit., p. 237. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO 6. La definizione dei «mezzi fraudolenti» (lett. g-ter) dell’art. 1) Resta da esaminare la lettera g-ter) dell’art. 1, che definisce i «mezzi fraudolenti», ulteriore innovazione della riforma: da salutare con favore39. Tali sono definite le condotte artificiose attive, nonché le condotte omissive, in violazione di uno specifico obbligo giuridico, a condizione che determinino una falsa rappresentazione della realtà. Anche questa definizione, al momento, è volta a descrivere, come la precedente, un segmento della condotta alternativa del delitto di cui all’art. 3 decreto n. 74. La riforma è opportuna, come si accennava, in quanto, a differenza che nel passato, viene espressamente definito il minimum necessario per aversi mezzo fraudolento e, in questo contesto, si richiedono condotte «artificiose» attive, ovvero condotte omissive rilevanti, in quanto violatrici di un obbligo giuridico. Si è voluto contrassegnare puntualmente la portata decettiva di siffatti mezzi, richiedendosi espressamente non soltanto – come in passato, nell’art. 3 – l’idoneità ad ostacolare l’accertamento, quanto piuttosto il conseguimento di un concreto effetto dissimulatorio, come è dimostrato dall’utilizzo del verbo all’indicativo: «determinano una falsa rappresentazione della realtà». Opportunamente, nell’art. 3 si è stabilito che la violazione degli obblighi di fatturazione o di annotazione nelle scritture contabili o la sola sottofatturazione non costituiscono mezzi fraudolenti. Si nota, insomma, una cura particolare nel circoscrivere la portata di questa definizione, attraverso una delimitazione attenta del significato fraudolento che questa condotta dovrà possedere, in aderenza ad una delle linee guida della riforma del 2015. Il contribuente, per adottare mezzi fraudolenti, dovrà dunque porre in essere un’attività significativamente fraudolenta, adottando comportamenti inequivoci, con inevitabili riflessi anche sul piano del dolo: si deve trattare di accorgimenti, di inganni, di condotte elaborate, intrinsecamente fraudolente. 7. La modifica dell’art. 2: l’abrogazione della limitazione della responsabilità alle sole dichiarazioni «annuali» L’art. 2, comma 1, d. lgs. n. 158 del 2015 è intervenuto sull’art. 2, eliminando l’aggettivo prima in esso presente, che limitava la responsabilità penale alla condotta realizzata sulle sole dichiarazioni «annuali». 39 Come correttamente osservato da I. CARACCIOLI, Linee generali della revisione del sistema penale tributario, cit. DOTTRINA Non si tratta di una norma definitoria ma, per assonanza con rispetto alle modifiche che hanno inciso sull’art. 1, si ritiene opportuno trattarne in questa sede. La modifica normativa ha comportato che il fatto punito dall’art. 2 possa essere commesso anche rispetto a dichiarazioni presentate in corso d’anno, prime fra tutte le dichiarazioni straordinarie. Occorre, peraltro, approfondire meglio quali dichiarazioni possano essere, oggi, interessate dalla riforma del 2015. Possiamo anticipare che le dichiarazioni infrannuali che possono costituire oggetto materiale del reato appartengono all’ambito delle imposte sui redditi e sono previste per le operazioni straordinarie. Ricordiamo, sotto questo profilo: - la dichiarazione che si deve presentare in occasione della fusione, per il periodo che va dall’inizio del periodo di imposta alla data in cui ha effetto la fusione (art. 5-bis, comma 2, d.p.r. n. 322 del 1998) - la dichiarazione che la società designata deve presentare nel caso di scissione (art. 5-bis, comma 3, d.p.r. n. 322 del 1998) - la dichiarazione che deve presentare la società oggetto di trasformazione, per il periodo che va dall’inizio del periodo di imposta alla data in cui ha effetto la trasformazione (art. 5-bis, comma 1, d.p.r. n. 322 del 1998) - la dichiarazione che deve essere presentata per il periodo antecedente alla liquidazione per i soggetti ires (art. 5, comma 1, d.p.r. n. 322 del 1998) - la dichiarazione da presentare per il periodo che va dall’inizio del periodo di imposta alla dichiarazione di insolvenza (art. 5, comma 4, d.p.r. n. 322 del 1998). Per quanto attiene, invece, agli adempimenti previsti in materia di imposta sul valore aggiunto, riteniamo di non poter intravedere dichiarazioni non annuali suscettibili di essere prese in considerazione a seguito della riforma dell’art. 2. Occorre, ora, occuparsi di una serie di adempimenti lato sensu dichiarativi imposti, a seconda delle evenienze, al contribuente, onde determinare se possano assumere rilevanza penale ai sensi dell’art. 2 novellato. La norma definitoria in tema di dichiarazioni non fornisce alcun contributo specifico sul punto, in quanto assume la relativa definizione come già preformata dall’ordinamento tributario. Ed allora, ci pare che, per individuare una linea distintiva, si possa fare riferimento all’interpretazione giurisprudenziale della sezione tributaria della Suprema Corte, secondo la quale la dichiarazione «non 57 58 DOTTRINA si configura quale atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza o di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti, e costituisce un momento dell’iter procedimentale volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria»40. L’accento, per quanto interessi la nostra questione penalistica, riteniamo debba essere posto sul tratto caratterizzante costituito, dalla diretta e necessaria partecipazione della dichiarazione al procedimento volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria. Ne consegue, a nostro avviso, che non possano rilevare penalmente, sotto questo aspetto: - lo “spesometro”, trattandosi anzitutto di una comunicazione di dati all’Amministrazione e non di una dichiarazione utile alla liquidazione dell’imposta; e, soprattutto, non dovendosi in esso riportare tutte le operazioni poste in essere dal contribuente (ad esempio, non devono essere riportate le operazioni per le quali il pagamento sia stato effettuato con carte bancarie, già oggetto di tracciabilità) - la comunicazione iva: trattandosi, anche in questo caso di una comunicazione, attraverso la quale non si determina l’imposta dovuta; risulta prevalente il profilo statistico e si tratta, comunque, di adempimento annuale 40 Cass., sez. trib., sent. 25.5.2016, n. 10790, con ulteriore citazione di riferimenti giurisprudenziali. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO - - - gli elenchi intrastat: pur avendo periodicità mensile o trimestrale, non rilevano penalmente, trattandosi di meri strumenti di comunicazione. Infatti, eventuali irregolarità vengono sanzionate, sul piano amministrativo, con una sola sanzione, a prescindere da quantità e qualità delle irregolarità realizzate la dichiarazione di volontà di operare intra UE: si tratta, in questo caso, di una dichiarazione preventiva, di una dichiarazione di volontà, che non è suscettibile di recepire gli elementi passivi oggetto dell’art. 2 la comunicazione delle dichiarazioni di intento: attiene, nuovamente, ad un fatto comunicativo, ed è stata introdotta al fine di scongiurare le frodi all’iva la comunicazione di operazioni con i paradisi fiscali: si possono riproporre le considerazioni testé formulate le dichiarazioni di inizio, variazione e cessazione di attività: anche in tal caso, si tratta di adempimenti utili a comunicare all’Agenzia delle Entrate atti di volontà del contribuente, ovvero la variazione di dati in precedenza comunicati41. 41 Concorde G.L. SOANA, I reati tributari, cit., p. 21. DOTTRINA CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Omessa dichiarazione, “esterovestizione”, nuovo concetto di “inesistenza”: riflessi internazionali della riforma di Ivo Caraccioli 1. L’incidenza della riforma dei reati tributari di cui al D.Lgs. 158/2015 in materia di “esterovestizione”. Com’è noto, la riforma dei reati tributari di cui al D.Lgs. 74/2000, apportata dal D.Lgs. 158/2015, ha, da un lato, inciso in maniera profonda sulla fattispecie di “dichiarazione infedele” punita dall’art. 4 – che si è voluta mantenere,malgrado dal testo dell’art. 8 della Legge Delega 23/2014 si potesse desumere la volontà del Parlamento di limitare il rischio penale alle sole condotte di vera e propria frode – mentre, per quanto riguarda l’”omessa dichiarazione” di cui all’art. 5, si è limitata ai seguenti due aspetti: aumento della soglia quantitativa di punibilità e previsione del reato anche per la dichiarazione di sostituto di imposta1. E’ parimenti noto che la fattispecie da ultimo citata,storicamente nata per combattere gli “evasori totali”, è divenuta negli ultimi anni di primaria rilevanza a causa della sua frequente applicazione in relazione ad importanti operazioni di fiscalità internazionale, quali la “esterovestizione”, le “stabili organizzazioni occulte o plurime” e simili. In conseguenza di ciò accade frequentemente che i verificatori, in ipotesi di imprese (ritenute fittiziamente) allocate all’estero, presentino alla Procura della Repubblica la denunzia per il reato di cui all’art. 5 cit. per omessa presentazione in Italia delle dichiarazioni redditi ed IVA, a nulla rilevando che tali atti siano stati compiuti 1 Sulle principali innovazioni apportate all’art.4 D.Lgs.74/2000 dal D.Lgs.158/2015 v., tra gli altri, l’opera collettanea I nuovi reati tributari. Commento al d.lgs.24 settembre 2015 n.158,2016, e specialmente gli scritti di CARACCIOLI, ivi, p.111 s.; CARTONI, ivi,p.13 ss.; COMUZZI, ivi, p.152 ss.; PERINI, ivi, p.124 ss.; PICCIOLI, ivi,p.185 ss.; RAVA, ivi, p.27.V.anche CORUCCI, Il delitto di dichiarazione infedele,in GIARDA-PERINI-VARRASO, La nuova giustizia penale tributaria. I reati.Il processo,2016,p.281 ss.; GAMBOGI, La riforma dei reati tributari. Commento al d.lgs.24 settembre 2015 n.158, 2016, p.82 ss. ; IORIO, I nuovi reati tributari, 2^ed., 2015,p. 24 ss.; LOCONTE, I reati in materia di dichiarazione, in La riforma delle sanzioni tributarie, 2015, p.47 ss.; NOCERINO, in NOCERINO-PUTINATI,La riforma dei reati tributari. Le novità del d.lgs.n.158/2015,2015, p.77 ss. all’estero nel Paese di residenza della società. Denunzia – va notato – teoricamente coinvolgente anche gli amministratori della società (fittiziamente) straniera che si sono “prestati” a tale operazione,anche se le inevitabili complicazioni dovute alle necessarie rogatorie internazionali hanno in pochissimi casi portato all’effettiva incriminazione di tali soggetti. Ciò premesso in linea generale, appare interessante chiedersi in questo scritto (dedicato al novantennio di una prestigiosa rivista,a cui ho avuto l’onore di collaborare sin dall’inizio degli anni ’70 del secolo scorso, sotto la guida del Maestro prof. Victor Uckmar e con l’amichevole aiuto del Collega prof. Gianni Marongiu) se ed in che limiti l’intervenuta, profonda modifica dell’art. 4 cit. possa in qualche modo influire sull’applicazione dell’art. 5 cit., essendovi dei punti di contatto tra le due fattispecie criminose di indubbio rilievo scientifico e professionale. Il punto da approfondire è, in particolare, il seguente. Partendo dal punto di vista che la riforma dell’art. 4 ha inserito una serie di criteri nuovi per la determinazione del contenuto,penalmente rilevante, della sottrazione di materia imponibile al Fisco in condotte prive di connotati frodatori (in ciò ravvisandosi la differenza dalle figure delittuose di cui agli artt. 2 e 3 stesso D.Lgs.), occorre chiedersi se dei (nuovi) criteri stessi debba,oppure no,tenersi conto nella ricostruzione dell’entità di evasione rilevante in base all’art. 5. La risposta a tale quesito non può che essere negativa per quanto concerne i nuovi c. 1-bis e 1-ter dell’art. 4, dato che il primo ha un’applicazione ristretta alla sola “dichiarazione infedele”,come si desume dall’inciso “ai fini dell’applicazione della disposizione del c. 1”; e, quanto al secondo, l’espresso riferimento al c. 1-bis, rende interpretabile il c. 1-ter come anch’esso applicabile alla sola fattispecie di cui all’art. 4. Diversa, a mio sommesso parere, sembra poter essere l’estensibilità (ancorchè problematica) anche all’art. 5 dell’inciso – inserito all’ultimo momento dal Legislatore per ribadire concetti peraltro già espressi – di cui alla lett.d) dell’art. 4, secondo il quale “la parola fittizi, ovunque presente, è sostituita dalla seguente: inesistenti”. 59 60 DOTTRINA E’ vero, infatti, che siamo all’interno della disciplina della dichiarazione infedele, ed è anche vero che nell’art. 5 la parola”inesistenti” non figura, ma a noi pare che a tale estensione possa comunque pervenirsi attraverso un’interpretazione, appunto, ”estensiva” (od, al massimo, analogica) della citata lett.d). Prima di indicare le ragioni che possono (o dovrebbero) condurre a tale conclusione merita, peraltro, richiamare le conseguenze – indiscutibilmente negative – che discenderebbero se la citata lett.d) fosse ritenuta non applicabile alla fattispecie dell’art. 5 cit. Ne deriverebbe, appunto, che per la ricostruzione del superamento della soglia quantitativa di punibilità della dichiarazione omessa si potrebbe fare questione della necessità di computare anche quei dati quantitativi di cui ora non si deve più tener conto per la dichiarazione infedele, ossia gli elementi passivi dei quali sia discussa la competenza, l’inerenza,la deducibilità (come appunto per la dichiarazione infedele avveniva prima della riforma), nonchè le valutazioni superiori al dieci per cento. Occorrerebbe, cioè, computare nella soglia quantitativa della dichiarazione omessa anche questi elementi di cui espressamente l’art. 4 afferma che non si deve tener conto, ma solo, invece, degli elementi passivi oggettivi, reali, non in quanto fiscalmente valutabili. Il risultato sarebbe quindi che per le imprese (valutate fittiziamente) collocate in altri Paesi e come tali considerate “esterovestite” il giudice penale potrebbe ancora ritenere superata la soglia di punibilità sulla base, ad es., di costi effettivamente sostenuti,ma ritenuti dai verificatori non di competenza, non inerenti, non sufficientemente documentati, oppure per altre consimili ragioni di natura strettamente valutativa in base a problematiche di puro diritto tributario, per le quali – ripetesi – la riforma dell’art. 4 esclude la rilevanza penalistica, demandandone l’esame ai soli organi del contenzioso fiscale. Ciò premesso, e procedendo ad una lettura puramente “letterale” della nuova lettera d), se ne dovrebbe desumere che essa si può solo applicare a quelle fattispecie criminose nelle quali si rinviene la parola “fittizi”. Tale parola la si ritrova nell’art. 2 (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) – che è fattispecie estesa dalla riforma a tutte le dichiarazioni,non solo a quelle annuali – e nell’art. 3 (Dichiarazione mediante altri artifici), che è invece fattispecie profondamente ristrutturata dalla riforma. L’efficacia della lett.d) non trova, invece, modo di dover essere utilizzata per l’art. 8 (Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), dato che CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO appunto, sia nella rubrica che nel testo, già in ordine a tale reato viene usato l’aggettivo “inesistenti”. Ulteriore fattispecie nella quale viene usato l’aggettivo “fittizi” – da intendersi quindi come “inesistenti” – è quella di cui al c. 2 dell’art. 11 (Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte),relativa alla procedura di “transazione fiscale”, introdotta con L. 122/2010). 2. Le ragioni dell’interpretazione estensiva Alla stregua di tutte le considerazioni che precedono occorre allora chiedersi sulla base di quali ragioni interpretative possa (e/o debba) estendersi all’art. 5 la disposizione di cui alla citata lett.d) dell’art. 4. Pur non figurando, ripetesi, nell’art. 5 la parola “fittizi”, a noi pare che tale estensione debba compiersi in forza del canone dell’”interpretazione estensiva”, in tal caso da ritenersi applicabile in quanto la condotta di “omessa dichiarazione”, per quanto concerne i suoi elementi costitutivi, è stata dal Legislatore delineata con riferimento agli stessi elementi costitutivi della fattispecie di “dichiarazione infedele”, e precisamente: nell’art. 4 si parla di “una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte”; nell’art. 5 parimenti di “una delle dichiarazioni relative a dette imposte”; in entrambe le fattispecie figura lo stesso dolo specifico: “al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto”; soglia quantitativa di punibilità in entrambe le fattispecie descritta con la formula “al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto”. E’ chiaro, cioè, che il Legislatore sta parlando della stessa situazione fattuale e giuridica, in un caso esaminata sotto il profilo del contenuto delle dichiarazioni presentate,nell’altro delle dichiarazioni omesse; e questo è, appunto, un argomento sistematico per potersi ritenere legittima l’operazione di interpretazione estensiva. Operazione estensiva, peraltro, che risulta essere “in bonam partem”, e quindi come tale non suscettibile di creare ostacoli per quanto attiene alla sua ammissibilità dal punto di vista dei principi costituzionali. Sotto il profilo dei principi generali di interpretazione2 si potrebbe discutere se in un caso del genere siamo in presenza di interpretazione estensiva o di vera e propria estensione analogica,ma tratterebbesi di questione di pura rilevanza teorico-sistematica,come tale da lasciare agli specialisti dell’interpretazione delle norme giuridi2 V., per tutti, anche per ampie citazioni dottrinarie, VASSALLI, Analogia nel diritto penale , in Digesto Discipline penalistiche, vol. I, 4^ Ed., 1987, p. 158 CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO che in generale,e comunque,per quanto qui specificamente interessa, le conclusioni – sia che si acceda all’una od all’altra tesi – non muterebbero,trattandosi appunto di applicazione della norma (in questo caso dell’art. 4) “in bonam partem” nei confronti dell’esegesi di altra norma (in questo caso dell’art. 5). Se quanto precede è esatto sotto il profilo generale delle regole interpretative chiediamoci allora, arrivati a questa conclusione, quali sarebbero le conseguenze pratiche ove si ritenesse, in ipotesi, che per l’interpretazione degli elementi costitutivi della fattispecie dell’art. 5 non si dovesse tener conto della regola “fittizietà equivale ad inesistenza”. Le conseguenze di siffatta impostazione sarebbero, invero, quanto mai curiose ed inaccettabili da un punto di vista di equità sostanziale, dato che l’art. 5 potrebbe applicarsi anche se la soglia di punibilità sia raggiunta tenendo conto di elementi passivi fittizi di reddito con il vecchio criterio “fittizietà equivale ad indeducibilità” (con riferimento alle varie operazioni di natura strettamente tributaria che prima della riforma dovevano essere prese in considerazione dal giudice penale e che ora invece sono escluse dalla sfera di rilevanza penalistica). Ne deriverebbe, infatti, che il giudice penale italiano, per valutare i costi sostenuti dall’impresa ritenuta esterovestita dovrebbe dare rilievo anche a quelli appunto non inerenti, non di competenza,non documentati, ovviamente interpretati e ricostruiti sotto l’angolo visuale della normativa tributaria italiana, trattandosi di valutare la realizzazione del reato di omessa dichiarazione; e questo con l’ulteriore complicazione derivante dal fatto che le dichiarazioni, presentate alle Autorità fiscali di Paesi esteri, sono state parametrate ai canoni della normativa tributaria degli stessi Paesi esteri, non potendosi immaginare che in futuro il Fisco italiano avrebbe ritenuto trattarsi di imprese italiane. Si avrebbero, cioè, due metodi di valutazione di situazioni sostanzialmente coincidenti, in quanto la ritenuta esterovestizione delle società straniere (poi divenute successivamente italiane per il nostro Fisco) finirebbe con il mettere su piani diversi di valutazione giuridica due situazioni identiche dal punto di vista fattuale. Ipotizziamo, ad es., che le regole tributarie del Paese straniero in cui vennero presentate le dichiarazioni siano profondamente diverse da quelle italiane e che quindi certi costi siano stati dedotti dal reddito quando in base alla nostra normativa ciò non sarebbe stato possibile. Si arriverebbe al risultato secondo cui in Italia il fatto non sarebbe più punibile a causa dell’irrilevanza in DOTTRINA campo penale delle regole sulla deducibilità di costi effettivamente sostenuti, mentre invece dovrebbero continuare a sussistere gli estremi dell’omessa presentazione ove appunto non si potesse estendere alla fattispecie dell’art. 5 il complesso di regole dell’art. 4. Tenuto conto di tutte queste considerazioni vi è, perciò, quanto basta per ritenere estensibile (in sede di interpretazione estensiva “in bonam partem”) la citata lett. d) dell’art. 4 anche alla fattispecie dell’art. 5, malgrado la collocazione di tale precisazione nella prima norma citata e la sua (letterale) riferibilità solo a quelle fattispecie in cui figura l’aggettivo “fittizi” (che appunto, ripetesi ancora una volta, non figura nell’art. 5). 3. Segue: sulla “stabile organizzazione” (occulta o plurima) Sempre alla luce della problematica di fiscalità internazionale nell’ambito della quale si inquadra il particolare problema esegetico-interpretativo fin qui esaminato, spostiamo ora l’attenzione su un altro istituto importante – e di grande attualità operativa – quale quello della “stabile organizzazione” nel caso in cui essa sia “occulta” o “plurima”3. Com’è noto tale istituto,specificamente disciplinato dalla normativa tributaria italiana con riferimento alle stabili organizzazioni italiane – non prendendosi qui in considerazione le stabili organizzazione occulte estere di società italiane - è venuto all’attenzione degli operatori e studiosi italiani,per quanto riguarda i profili penal-tributari, con riferimento al noto caso “Philip Morris”, in relazione al quale a suo tempo venne ritenuta l’irrilevanza penalistica della contestazione effettuata in sede fiscale,peraltro sulla base della normativa penale anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs 74/2000, e quindi in un’epoca nella quale il fatto non possedeva ancora rilevanza penalistica. Nel periodo successivo all’entrata in vigore della riforma dei reati tributari del 2000,infatti,se anche il fenomeno è stato varie volte preso in considerazione a seguito di accertamenti tributari e quindi per le implicazioni strettamente fiscali, non si rinviene adeguata giurisprudenza penale in riferimento alle nuove fattispecie di cui agli artt. 3, 4 e 5 D.Lgs 74 cit, che sono quelle potenzialmente suscettibili di rilevanza penalistica in ipotesi del genere. 3 Cp., tra i tanti VALENTE, Elusione fiscale internazionale, 2014, p. 971 ss.con molte citazioni e vasta casistica. 61 62 DOTTRINA Orbene,in presenza di una stabile organizzazione italiana, ritenuta “occulta”, di una società straniera – che non ha di conseguenza presentato dichiarazioni in Italia - è evidente che le conclusioni prima raggiunte circa l’estensione del canone di cui alla lett.d) dell’art. 4 cit. alle ipotesi di art.5 devono portare alla medesima conclusione sistematica, sotto il profilo che il giudice penale, per valutare l’eventuale evasione fiscale della società italiana – la quale, proprio perchè occulta, non aveva presentato alcuna dichiarazione dei redditi ed IVA – CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO deve pervenire alla stessa conclusione dell’applicabilità della lett.d) citata anche per la ricostruzione del reddito della stabile organizzazione occulta italiana. Non sarebbe, infatti, corretto – sulla base del ragionamento sopra esposto – ritenere la avvenuta verificazione del reato di cui all’art. 5 cit. a carico degli amministratori (valutati tali a seguito di indagini penali) della società stabile organizzazione occulta senza tener conto del medesimo criterio interpretativo. DOTTRINA CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Principio di specialità in tema di sanzioni e crisi del doppio binario di Manlio Ingrosso 1. I rapporti tra processo penale e tributario Nell’attuale sistema processuale italiano non sussiste più alcun rapporto di dipendenza tra il processo penale e quello tributario, anzi è stabilito in maniera espressa che il giudizio tributario non possa essere sospeso per la contemporanea pendenza di un contenzioso penale, seppur abbiano a oggetto gli stessi fatti dall’accertamento dei quali dipenda la definizione del giudizio tributario medesimo. Vige il principio della specialità delle sanzioni a carico del contribuente, sia penali che tributarie, per lo stesso fatto. In precedenza, la legge n. 4 del 1929 prevedeva per i due procedimenti , quello penale e quello tributario, il contrario principio della pregiudiziale tributaria, in base al quale l’azione penale per i reati previsti in materia di imposte dirette non poteva avere corso finché non fosse definito il giudizio tributario. Il giudice penale era dunque vincolato non solo all’accertamento definitivo contenuto nel giudicato tributario, ma potenzialmente anche da un accertamento operato dagli uffici finanziari e divenuto definitivo a seguito della mancata impugnazione del contribuente. Agli inizi degli anni ’80, la politica decise di abolire l’istituto della pregiudiziale tributaria perché, di fatto, paralizzava l’applicazione delle norme penali di settore e optò per l’intervento penale a tappeto1. Furono scritti allora l’art. 12 co. 1, del D.L. n. 429/1982 e, con riforma del codice di procedura penale, fu introdotto l’art. 654. Ferme restando le conseguenze sanzionatorie, in particolare, l’art. 12 stabilì l’automatica applicazione del giudicato penale nel processo penale, invece l’art. 654 mitigò l’efficacia automatica del giudicato penale, ponendo delle condizioni e richiedendo una valutazione da parte del giudice. La conseguenza fu che gli uffici giudiziari furono inondati da una valanga di notitiae criminis e i pubblici ministeri, per occuparsi di cose serie, misero a dormire negli armadi i fascicoli tributari aventi ad oggetto vicende bagatellari, in attesa dell’inevitabile maturazione della prescrizione. 1 Sull’evoluzione dell’impianto sanzionatorio tributario, amplius R.Miceli, Sanzioni amministrative tributarie, in www.treccani.it. Con il d.lgs. n. 74/2000 si cercò di porre rimedio ai guasti delle “manette agli evasori” e s’inaugurò un sostanziale cambiamento di rotta: l’ art. 25 del d.lgs. n. 74/2000 abrogò l’art. 12 del D.L. n. 429/1982, mentre il disposto dell’art. 654 del c.p.p. è rimasto immutato. La situazione attuale è la seguente Il sistema penale tributario, introdotto nel 2000, essenzialmente si poggia sui tre articoli 19, 20 e 21 del D. lgs. n. 74; le prime due norme contengono rispettivamente il principio di specialità delle sanzioni e il principio del cd. “doppio binario”, l’ultima detta una disciplina procedurale volta ad impedire la duplicazione delle sanzioni in fase di esecuzione. Vediamo i particolari. a) Abbattuta la pregiudiziale, per i rapporti che intercorrono tra i procedimenti finalizzati all’accertamento delle violazioni, ossia tra il procedimento amministrativo di accertamento tributario ed il processo tributario, da una parte e il procedimento penale dall’altro, vige il principio del doppio binario, definitivamente ed espressamente codificato dall’art. 20 del d.lgs. n. 74 del 2000 e, pertanto, il procedimento di accertamento tributario ed il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale inerente ai medesimi fatti e viceversa. L’abolizione della sospensione ha fatto affermare che in materia tributaria vi è “autonomia” tra il procedimento di accertamento tributario e l’eventuale processo innanzi alle Commissioni tributarie rispetto al processo penale. b) Fino a che l’accertamento tributario ha a oggetto solo il debito d’imposta, non si pone alcun problema di autonomia; questi invece sorgono quando l’amministrazione tributaria non si limita ad accertare il tributo, ma con il procedimento amministrativo di accertamento provvede anche a quantificare ed irrogare le sanzioni tributarieamministrative in relazione ai fatti per i quali sia iniziato o debba iniziare il procedimento penale, in quanto le violazioni tributarie accertate hanno rilevanza penale e sono oggetto di notizia di reato (art.21, co.1) . Quando vi sia coincidenza tra il destinatario della sanzione amministrativa e il soggetto tratto a giudizio in sede penale, onde scon- 63 64 DOTTRINA giurare le possibili frizioni fra le norme penali che puniscono un fatto con sanzione penale e le norme tributarie che comminano sanzioni amministrative rispetto al medesimo fatto, e si verifichi perciò il cumulo tra i due tipi di sanzioni in relazione al medesimo fatto-reato, l’art. 19, co 1, cit. introduce il principio di specialità. In via di principio, la disposizione stabilisce che lex specialis derogat generale e perciò , nell’ipotesi di concorso apparente della norma penale tributaria con quella tributaria, impone che si applichi esclusivamente la disposizione che, oltre a contenere tutti gli elementi costitutivi della disposizione generale, presenta pure elementi di specialità, dunque un quid pluris rispetto alla norma generale. L’introduzione nel sistema del principio di specialità segna una novità rispetto al cumulo, espressamente sancito invece dall’art. 10 del d.l. n. 429 del 19822. c) L’attuale sistema delle sanzioni e dei procedimenti penale e tributario è completato dall’art.21, co.2: se l’amministrazione tributaria è autorizzata ad irrogare le sanzioni amministrative a carico del contribuente, pur se sono relative a violazioni tributarie fatte oggetto di notizia di reato e quindi ritenute penalmente rilevanti, le dette sanzioni però non possono essere eseguite (riscosse) fin tanto che il processo penale non si sia definito con formula di archiviazione o di proscioglimento con formula che “esclude la rilevanza penale del fatto”3. In tal caso, il termine per la riscossione decorre dalla data di comunicazione all’amministrazione tributaria del provvedimento assolutorio. Questo tracciato è il quadro complessivo. Cosa aggiungere? L’art. 21 introduce, senza dubbio, un congegno anomalo che deroga al principio del doppio binario e dell’autonomia dei procedimenti penali e tributari giacché attribuisce efficacia vincolante al giudicato penale di assoluzione sul procedimento amministrativo dì esecuzione delle sanzioni. In tal modo, la disposizione scongiura in astratto, ma non in concreto, il rischio che le cumulo e la specialità, cfr. D. Coppa e S. Sammartino, voce “Sanzioni tributarie”, in Enc. Dir., XLI, Milano, 1989, p. 415 ss.; L.Del Federico, Le sanzioni amministrative nel diritto tributario, , Milano, 1993, p. 117 ss.; R.Cordeiro Guerra , Illecito tributario e sanzioni amministrative, Milano, 1996, p. 78 ss. 3 Fa notare B. Santamaria, Diritto tributario, Parte generale, Milano, 2011, p. 337, come l’espressione si presta a equivoci perché si può sostenere che le sanzioni amministrative sono eseguibili ove il giudice penale dichiara, ad es., che non è stata superata la soglia di punibilità, che manca il dolo specifico, che la condotta non è riferibile all’imputato. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO sanzioni penali e quelle tributarie si cumulino in capo al responsabile perché stabilisce che gli uffici tributari possono mettere in esecuzione la sanzione tributaria accertata unicamente nell’ipotesi in cui il procedimento penale si concluda con un nulla di fatto, ma quali sono i riflessi della avvenuta esecuzione della sanzione tributaria in sede penale? Neanche appare ben chiara la ratio della norma stessa, potendo la sua funzione essere tanto sussidiaria (cioè di riservare alle sanzioni amministrative la repressione delle violazioni di maggiore offensività per gli interessi dell’erario) o cautelare (ossia l’ufficio tributario si precostituisce il titolo che gli consente di riscuotere la sanzione amministrativa quando il processo penale si sia concluso) quanto l’efficienza dell’azione amministrativa (in tal modo, l’ufficio evita che la fase amministrativa diretta all’esecuzione delle sanzioni amministrative sia oggetto di un ulteriore contenzioso tributario).4 Va aggiunto pure che, dal punto di vista sostanziale, le sanzioni amministrative tributarie e quelle penali spesso presentano entrambe un carattere deterrente e punitivo, ovverosia sono accomunate dalla medesima finalità afflittiva poiché quelle tributarie non si limitano ad esplicare una finalità risarcitoria . E’ dunque l’omogeneità funzionale esistente tra i due tipi di sanzioni a comportare che ad esse si applichino alcune regole comuni. Ad es., il principio di personalità; il principio di legalità e dunque di tassatività e di divieto di analogia, il principio d’ irretroattività, il principio del favor rei, il principio di imputabilità, il principio della personalità, il principio della riferibilità esclusiva alla persona giuridica in caso di violazione commessa dall’amministratore, etc. In definitiva, la norma sancita dall’art. 21, co.2 evita il cumulo tra sanzioni, ed è quindi un’ applicazione del principio di specialità - che, per l’appunto, è espressione dell’omogeneità funzionale delle due sanzioni-, ma non risolve il problema processuale di quel soggetto che si trova sottoposto a procedimento penale in materia tributaria dopo che, per il medesimo illecito fiscale, gli è già stata inflitta in via definitiva una sanzione tributariaamministrativa. 2 Sul 4 Come osserva G. M. Flick, Reati fiscali, principio di legalità e ne bis in idem: variazioni italiane su un tema europeo, in Rass. trib. 2014, p. 954 l’amministrazione finanziaria si precostituisce un titolo che potrà mettere prontamente in esecuzione ove, all’esito del processo penale, emerga che il fatto non integra alcuna ipotesi di reato, allorché non sussistono i presupposti per l’applicazione del principio di specialità. Si evita in tal modo l’apertura, in coda al processo penale, di una nuova fase amministrativa diretta all’applicazione delle sanzioni tributarie-amministrative, che sia oggetto di contenzioso tributario. DOTTRINA CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Inoltre, come avremo modo di osservare, il sistema entra in contraddizione con se stesso quando stabilisce che, chi voglia usufruire di benefici in sede penale- tributaria (ad es., le attenuanti), deve pagare le sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme tributarie, benché non applicabili all’imputato in base al principio di specialità, e quindi abbia rinunciato (più o meno consapevolmente) alla tutela offertagli dall’art. 21 di divieto del ne bis in idem. La relazione si soffermerà su taluni aspetti di criticità presenti nell’ordinamento tributario italiano a causa della crisi in cui versa il principio del “doppio binario” e per la vigenza del principio di specialità tra disposizioni sanzionatorie penali e disposizioni sanzionatorie tributarie-amministrative, regola che, se serve a scongiurare il raddoppio delle sanzioni, non impedisce la duplicità dei procedimenti , tributario e penale, cui per avventura, il contribuente può essere sottoposto5. In effetti, già da qualche tempo non sono sfuggite all’attenzione della dottrina la dissoluzione del doppio binario e la progressiva perdita di significato del principio di specialità, a causa degli oscillanti rapporti procedimentali intercorrenti tra il sistema penale e quello tributario che, a volte, mostrano di essere improntati all’autonomia e, a volte, all’integrazione con il risultato di generare una complessiva notevole instabilità del sistema repressivo.6 2. Il doppio binario Vigente l’art. 20 del D.lgs. n. 74 del 2000, la regola generale dunque è che il procedimento penale e quello tributario marciano su strade parallele, con l’ autonomia tra il procedimento di accertamento tributario e l’eventuale processo innanzi alle Commissioni tributarie rispetto al procedimento penale7. Il principio in parola è definito del “doppio binario” in quanto parte dalla considerazione che i due sistemi 5 E. Marello, Evanescenza del principio di specialità e dissoluzione del doppio binario: le ragioni per una riforma del sistema punitivo penale tributario, in Riv. dir. trib., 2013, XXIII, p. 281 e ss. dubita della tenuta del principio di specialità e quindi della capacità di autentica differenziazione dei due sistemi punitivi e prospetta la problematicità di differenziarli da varie prospettive, ossia con riferimento all’individuazione del bene giuridico tutelato, alla possibilità di differenziare adeguatamente le condotte rilevanti e per ciò che riguarda la ponderazione e la differenziazione interna delle misure sanzionatorie. 6 Cfr. R.Schiavolin, L’utilizzazione fiscale delle risultanze penali, Milano, 1994, 169 ss., 7 Si rimanda a A.F. Uricchio, Il principio di specialità nella nuova disciplina dei reati tributari, in Boll. trib., 2001, p 565 e ss.. trovano origine in ratio diverse e hanno competenze ed esigenze processuali diverse. Esso però può porre gravi inconvenienti applicativi e delicati problemi sul piano della certezza del diritto, non essendo in grado di impedire, in definitiva, che, su un medesimo fatto giuridico, diversi giudici possano pronunciarsi in modo difforme o, addirittura, confliggente. L’affermato principio di autonomia, infatti, se implica che non sussiste più alcun rapporto di dipendenza tra il processo tributario e quello penale, comporta come conseguenza che, nel giudizio tributario, non ha autorità di cosa giudicata la sentenza penale irrevocabile (di condanna o di assoluzione) emessa in materia di reati tributari, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’amministrazione tributaria ha promosso l’accertamento nei confronti del soggetto8. Pertanto, il giudice tributario non si deve limitare a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari e non può estendere automaticamente gli effetti del giudicato penale con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, è obbligato invece verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui essa e destinata a operare e quindi deve motivare adeguatamente la propria pronuncia se vuole discostarsi dal dictum penale. E’ chiaro che questo giudice non potrà ignorare la sentenza del giudice penale e la prenderà in considerazione come possibile fonte di prova9. Il principio del doppio binario vale anche nell’altro senso e anche il processo penale è indipendente rispetto a quello tributario. Infatti, benché l’art. 20 del d.lgs. n. 74/2000 non disponga espressamente l’autonomia del processo penale rispetto a quello tributario, tale conseguenza tuttavia è da ritenersi immanente nel sistema processuale penale e si desume al contrario, dagli artt. 3 e 479 del cpc. Tali disposizioni prevedono, rispettivamente, che il giudice penale possa sospendere il processo per questioni pregiudiziali inerenti lo stato di famiglia o di cittadinanza ovvero, in pendenza di una controversia civile o amministrativa di particolare complessità, soltanto se la legge non pone limitazione alla prova 8 Al riguardo, la Cass.., sez. trib., con sent, n. 5720/2007 ha affermato che «la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula “perché il fatto-reato non sussiste”, non ha automaticamente efficacia di giudicato anche nel processo tributario, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente». 9 La recente sent. n. 21966 del 28 ottobre 2015 della Cassazione ha precisato che la decisione penale, pur non avendo, nel giudizio tributario, efficacia vincolante, può comunque costituire un elemento di prova critica, sulla base dei fatti accertati nel relativo giudizio. 65 66 DOTTRINA della posizione soggettiva controversa, limitazioni che invece sussistono nel processo tributario, si pensi al divieto di prova testimoniale o alle presunzioni semplici10. Pertanto il processo penale non può sospendersi in attesa della definizione di quello tributario a causa delle limitazioni probatorie presenti nel processo tributario. Lo scopo dell’esplicitazione contenuta nell’art. 20 è, quindi, di evitare ogni possibile dubbio circa la permanente autonomia del procedimento amministrativo tributario , ancorché al giudice penale sia ora demandato il compito di determinare l’ammontare dell’imposta evasa, in seguito all’introduzione di soglie di punibilità. Pertanto, è senz’altro da ritenere che il giudice penale debba avere piena cognizione in ordine alla determinazione delle imposte effettivamente evase, elemento che assume rilevanza dirimente proprio ai fini del superamento delle soglie minime di punibilità previste per la configurabilità della maggior parte dei reati tributari contemplati nel d.lgs. n. 74/2000, con l’unica esclusione di quelli di cui agli artt. 2, 8 e 10 del medesimo decreto. Con riferimento a tale compito, vien da chiedersi come il giudice penale possa accertare il quantum del tributo dovuto, presupponendo la sua determinazione la ricostruzione dell’intera posizione fiscale del contribuente e operazioni che sono comunque di pertinenza dell’amministrazione tributaria. A tal riguardo, va rilevato che questo giudice, oltre ad eventuali consulenti tecnici e periti, può avvalersi anche di prove testimoniali, disponendo, ad es., la citazione di funzionari dell’amministrazione affinché forniscano i necessari chiarimenti per la ricostruzione del reddito e/o del volume di affari del contribuente e la conseguente determinazione dell’imposta evasa. La giurisprudenza, sul punto, ha esaustivamente chiarito che incombe esclusivamente sul giudice penale 10 La Cassazione (sentenza n. 9109/2002) aveva evidenziato che l’art. 654 c.c.p., è una disposizione che stabilisce l’efficacia vincolante del giudicato penale nel giudicato civile ed amministrativo nei confronti di coloro che abbiano partecipato al processo penale, ma allo stesso tempo la sottopone alla duplice condizione che nel giudizio civile o amministrativo, e quindi anche in quello tributario, la soluzione dipenda dagli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudicato penale e che la legge civile non ponga limitazione alla prova. Si ricorda che nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dall’art. 7, co. 4, D.lgs. 546/1992, come il divieto della prova testimoniale, e trovano ingresso, con rilievo probatorio, in materia di determinazione del reddito d’impresa, anche presunzioni semplici prive dei requisiti prescritti ai fini della formazione di siffatta prova tanto nel processo civile che nel processo penale (v anche sent. n. 27919 del 30 dicembre 2009). CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO il compito di procedere all’accertamento, al fine di verificare l’avvenuto o meno superamento della soglia di punibilità, e quindi alla determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, attraverso una verifica che può venirsi a sovrapporre e anche ad entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario, non essendo configurabile alcuna pregiudiziale tributaria. In sintesi, esclusa la sussistenza di un rapporto di pregiudizialità, nell’uno o nell’altro senso, l’autonomia reciproca dei procedimenti penale e tributario, fa si che, qualora una condotta abbia rilevanza sia sul piano amministrativo, sia sul piano penale, il procedimento di accertamento e il processo tributario, da un lato, e il procedimento penale, dall’altro, procedano parallelamente, senza che l’uno interferisca sull’altro e viceversa. I rapporti tra processo tributario e quello penale sono concepiti sul modello delle rette parallele teorizzate da Euclide e quindi, in teoria, destinati all’infinito a non incontrarsi. Nondimeno, la conclamata autonomia non esclude, come vedremo fra poco, che taluni elementi dell’uno possano in qualche misura refluire nell’altro e dunque che i procedimenti si integrino tra di loro. 3. Il divieto di “ne bis in idem”. In particolare, il sistema orchestrato dal D.lgs. n.74 del 2000 va in affanno, e mostra di non essere in grado di risolvere il problema, difronte al ne bis in idem. Il divieto di un nuovo giudizio penale a carico del contribuente destinatario di una sanzione amministrativa definitivamente irrogata dagli uffici tributari, pensiamo, ad es., ad una sovrattassa, è sancito dall’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea11 e dall’art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU12. In questi ultimi tempi, la questione della possibilità di applicare o combinare, in relazione di un medesimo fatto, sanzioni di natura penale e amministrativo-tributaria, ha avuto non poco risalto nelle cronache giuridiche ed ha richiamato prepotentemente l’attenzione degli studiosi e della giurisprudenza. Il problema si è posto, ad esempio, nel caso in cui un contribuente ha versato la sanzione 11 Secondo cui «Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge». 12 Sulla norma , cfr. ALLEGREZZA, Art. 4 Prot. 7, in Bartole, Conforti, Zagrebelski, Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, 2012, p. 897 s. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO amministrativa per l’omesso versamento Iva nei termini e in relazione al periodo di imposta di competenza e per lo stesso fatto è stato tratto a giudizio in sede penale13. A più riprese la Corte EDU è intervenuta per dichiarare, sia pure in relazione al sistema sanzionatorio tributario di altri Stati europei, l’illegittimità convenzionale della duplicazione punitiva penale- amministrativa per contrasto con il divieto di doppia punizione per il medesimo fatto e per il medesimo soggetto14 ed ha stabilito, al di là delle etichette formali utilizzate dal legislatore nazionale per qualificare una sanzione come penale o amministrativa, quali requisiti debbano possedere le sanzioni amministrative per non incorrere nell’imperativo del ne bis in idem. La Corte, nelle sue ultime sentenze, fa riferimento alla ricorrenza di uno ( in via alternativa dunque e non cumulativa) dei tre criteri fondamentali elaborati a partire dalla celebre sentenza della Grande Camera nel caso Engel e altri c. Paesi Bassi15. I requisiti sono: 1 l’identità del fatto e la qualificazione giuridica della violazione nell’ordinamento nazionale; 2 la natura adeguatamente afflittiva della violazione e la funzione deterrente; 3 la natura ed il grado di severità della sanzione. Affinché si possa dar adito al divieto in questione, ad esito di una valutazione rimessa al giudice nazionale, è dunque sufficiente l’identità del fatto concreto, non l’astratta previsione legislativa, che il reato in causa sia di natura penale rispetto alla CEDU o abbia esposto l’interessato a una sanzione che, per natura e livello di gravità, rientri in linea generale nell’ambito della materia penale. 13 Su tale caso v. Tribunale di Bergamo, ord. 16 settembre 2015, in GT, 2016, p.78 e ss. Ricordiamo, che, secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale nazionale, sancito da Cass. SS.UU. n. 37424 del 28/3/2013 e fatto proprio dalla sentenza della Suprema Corte dell’8/4/2014, nei rapporti tra i reati di omesso versamento (di ritenute certificate o IVA) e gli illeciti amministrativi di omesso versamento periodico delle somme dovute a tali titoli, non si applicherebbe il principio di specialità in quanto tra reato e illecito amministrativo intercorrerebbe un rapporto (non di specialità ma) di “progressione”. Quindi l’illecito amministrativo si perfezionerebbe al momento dell’omesso versamento periodico delle singole scadenze mentre il reato si consuma alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione annuale. Come vedremo nel testo, ben diversi sono i criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo per stabilire l’identità del fatto. 14 Vedi P.Centore, “Ne bis in idem” e sanzioni fiscali: una rivoluzione culturale prima che giuridica. in GT. 2016, p. 80 e ss., R.Conti, Ne bis in idem ,in www.treccani.it. 15 Corte EDU, Grande Camera, 8 giugno 1976, Engel e altri c. Paesi Bassi. DOTTRINA Come si nota, la concezione autonomistica e sostanzialistica della “materia penale”, inaugurata dalla Corte europea di Strasburgo, con il ricorso concentrico ai tre Engel’s criteria, prescinde dalle tradizionali nozioni giuridiche e dalle classificazioni fornite dagli ordinamenti interni degli Stati europei, senza mettere però in discussione il potere discrezionale delle legislazioni nazionali di modulare le risposte sanzionatorie in relazione ai singoli casi. I requisiti appena ricordati sono stati ribaditi nella sentenza della Corte Europea diritti dell’uomo, V sez., del 4 marzo 2014 “Grande Stevens c. Italia”, in cui, a proposito di un caso relativo a condotta di abuso di mercato punita con sanzioni amministrative e successivamente perseguita in ambito penale, il giudice di Strasburgo ha ritenuto nulla la riserva apposta dall’Italia in sede di ratifica del Protocollo n. 7 annesso alla CEDU, con la quale si era inteso limitare l’efficacia del Protocollo alle sole condotte criminose considerate dalla legge penale interna16. Tali approdi interpretativi sono stati confermati nella sentenza CEDU, IV sez. del 20 maggio 2014, Nykänen c. Finlandia, nella quale la Corte ha accertato la violazione dell’art. 4 del Protocollo n. 7 per l’applicazione di una sanzione tributaria pecuniaria ad opera dell’autorità finlandese17. Una volta verificato che il contribuente era stato sottoposto a due procedimenti iniziati in via autonoma dall’autorità tributaria e da quella penale, entrambi conclusi con l’applicazione a carico del predetto di due distinte sanzioni, la Corte europea ha qualificato di natura “penale” la sovrattassa, nonostante la misura tenue della sanzione inflitta ed ha riconosciuto la violazione dell’art. 4 cit.. I Giudici hanno pure precisato che la celebrazione di due procedimenti paralleli è compatibile con la Convenzione, a condizione che il secondo venga interrotto nel momento in cui il primo sia divenuto definitivo. Va detto che pure la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è soffermata sul principio del ne bis in idem, muovendosi nella direzione di considerare fondamentale ai fini della legittimità della duplicità di sanzione la diversa natura delle sanzioni comminate e su questa base ha distinto le sanzioni penali da quelle tributarie. 16 Cfr. su questa sentenza A.Giovannini e L.P. Murciano, Il principio del “ne bis in idem” sostanziale impedisce la doppia sanzione per la medesima condotta, in Corr. trib. ,2014, p. 1548 e ss. 17 Questa, dopo avere irrogato in via definitiva ad un contribuente una sovrattassa di 1.700 euro per la percezione in nero di dividendi, aveva sottoposto il medesimo soggetto a procedimento penale per frode fiscale, conclusosi con la condanna ad una pena detentiva di dieci mesi di reclusione. 67 68 DOTTRINA Particolare rilievo chiarificatore a tal proposito, assume la vicenda definita dalla Grande Sezione della Corte di Giustizia con la sentenza del 23 febbraio 2013, resa nella causa Aklageren c. Hans Akelberg Fransson. I Giudici di Lussemburgo, chiamati da un tribunale penale di primo grado svedese a chiarire se e in che misura rispetto al diritto interno la duplice sottoposizione del contribuente a sanzioni amministrative e penali – in campo IVA – fosse compatibile con il principio del ne bis in idem sancito dall’art. 50 della Carta di Nizza-Strasburgo, hanno precisato che tale precetto non osta a che uno Stato membro imponga, per le medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia di imposta sul valore aggiunto, una sanzione tributaria e successivamente una sanzione penale, salvo che la sanzione amministrativa non debba essere in concreto ritenuta di natura penale, circostanza questa che deve essere verificata dal giudice nazionale18. Quale conclusione, sia pure in termini di sintesi, si può trarre sulla questione della compatibilità del sistema sanzionatorio tributario italiano con l’imperativo del ne bis in idem così come definito dalle due Corti Europee sovranazionali? Come sappiamo, il sistema previsto dal D.lgs. 74/2000 è incardinato su tre disposizioni che stabiliscono alcuni punti fermi, ossia che: il procedimento penale e quello amministrativo procedono separati, cioè nessuno dei due deve essere sospeso in attesa della definizione dell’altro; l’ufficio tributario competente irroga le sanzioni amministrative relative alle violazioni finanziarie oggetto della notizia di reato; tuttavia tali sanzioni non sono eseguibili, salvo che il procedimento penale sia definito con l’archiviazione o con la sentenza irrevocabile di assoluzione o proscioglimento che escluda la rilevanza penale del fatto. Come abbiamo notato, questa architettura normativa è in grado di scongiurare solo in astratto il pericolo che la sanzione penale e la sanzione amministrativa si cumulino in capo al responsabile, essendo in concreto possibile che un soggetto si trovi sottoposto a procedi- 18 Una parte della dottrina ha evidenziato che si sarebbe determinato uno iato fra la Corte di giustizia e la Corte europea dei diritti dell’uomo, laddove invece il giudice comunitario non esclude in astratto che si possa configurare una duplicità di sanzioni (tributaria e penale) per lo stesso fatto, a condizione però che si fatta dal singolo giudice una valutazione in termini di efficacia della sanzione penale precedentemente applicata.. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO mento penale dopo che gli sia stata inflitta in via definitiva una sanzione amministrativa. E’ da rilevare, inoltre, che a fronte di un indirizzo giurisprudenziale consolidato della Corte Europea dei diritti dell’uomo in relazione alla garanzia del ne bis in idem, il legislatore italiano, pure ponendo mano alla riforma del sistema punitivo tributario attraverso il recente D.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, si è astenuto dal regolamentare esplicitamente il principio del ne bis in idem per come esso è stato declinato dalle Corti europee. In attesa dunque delle pronunce della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, chiamate nel frattempo a risolvere dubbi di legittimità sul binomio reato – illecito amministrativo in materia tributaria, la questione della duplicità dei procedimenti a carico dei uno stesso soggetto è rimessa alla discrezionalità valutativa dei giudici nei singoli casi concreti loro sottoposti. Peraltro, la più recente giurisprudenza di legittimità sembra muoversi sulle coordinate fissate dalla Corte di giustizia nel caso ANkerberg Fransson, anche se è da dubitare sulla fondatezza di siffatto approccio, perché la giurisprudenza di Lussemburgo ha giustificato la duplicità di sanzioni, ma solo ove le stesse non abbiano entrambe natura penale e sottolineando un ulteriore elemento, quello della efficacia e proporzionalità della sanzione applicata per prima. Vi è però un aspetto della recente riforma delle sanzioni ad opera del D.lgs. 158/2015 che potrebbe aver attenuato, sia pure in modo a dir poco lacunoso, le conseguenze del doppio binario penale-amministrativo. Si tratta delle cause di non punibilità sopravvenuta, previste dal nuovo art. 13 d.lgs. n. 74/2000 per i reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, co. 1, le quali operano alla sola condizione del pagamento delle sanzioni amministrative. Ma questo è un discorso che va ora approfondito per le implicazioni che può avere sul principio di specialità. 4. La crisi del doppio binario In effetti, il principio della rigida separazione tra il procedimento/processo tributario e il processo penale vive un momento di crisi o, comunque, i rapporti tra i rispettivi ambiti versano in una fase di confusa evoluzione. Non si sta dicendo che il principio non resti formalmente intatto a livello ordinamentale e sistematico, anche dopo la recente riforma del sistema sanzionatorio penale, ma che una serie di micro-interventi di natura CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO giurisprudenziale e legislativa hanno contribuito di fatto, nel tempo, a rendere evanescente il suo contenuto e ad offuscarne la funzione19. Dall’autonomia dei procedimenti dovrebbe discendere la reciproca irrilevanza dei relativi esiti, come pure degli elementi fattuali e delle prove acquisite in ciascun contesto; nei fatti però non è così, l’ autonomia non è incondizionata e non impedisce che tra i procedimenti vi siano punti di contatto e reciproci condizionamenti. Ad es., il giudice penale può legittimamente avvalersi dell’accertamento dell’imponibile compiuto dagli uffici tributari quale elemento di prova al fine del raggiungimento di un esito in sede penale secondo il principio del libero convincimento. Lo stesso si può osservare per gli atti compiuti nel corso di accessi, ispezioni e verifiche eseguiti dalla Guardia di Finanza e dall’Agenzia delle entrate, i quali possono essere in qualche misura utilizzati nel processo penale. In particolare, per giurisprudenza consolidata si ritiene che il processo verbale di constatazione, dal quale quasi sempre trae origine il procedimento penale, costituisca “atto amministrativo extraprocessuale” acquisibile come prova documentale ex art. 234 del c.p.p., anche nei confronti di soggetti non destinatari della verifica fiscale. Un altro problema, in tema di rapporti non sempre di separatezza tra processo tributario e processo penale, attiene alla valenza probatoria delle presunzioni tributarie, degli accertamenti induttivi e sintetici e degli studi di settore per reati tributari. Molti processi per reati tributari traggono origine da accertamenti fiscali di carattere induttivo o comunque che si basano su presunzioni contemplate dalla normativa tributaria. Ad esempio, la presunzione che i versamenti ed i prelevamenti su conti correnti non risultanti dalle scritture contabili costituiscano ricavi, la presunzione di cessione dei beni che non si trovano nei luoghi in cui il contribuente esercita l’attività, salvo precipue dimostrazioni del contribuente. Ci si domanda, dunque, quale rilevanza possono avere tali presunzioni nell’ambito del procedimento penale, tenuto conto che nel processo penale l’unica presunzione esistente è quella di non colpevolezza dell’imputato fino alla condanna definitiva e considerato 19 Di evanescenza e destabilizzazione del sistema parla R. Marello, Evanescenza del principio di specialità e dissoluzione del doppio binario: le ragioni per una riforma del sistema punitivo penale tributario, cit. p. 296 e ss.. Sull’erosione della regola del “doppio binario” e sulla funzione “servente” della sanzione e del processo penale rispetto al corretto adempimento dei doveri impositivi, cfr. F. PISTOLESI, Crisi e prospettive prospettive del principio del “doppio binario” nei rapporti fra processo e procedimento tributario e giudizio penale, in Riv. dir. trib., 2014, I, p. 35 e ss. DOTTRINA pure che i principi fondamentali in materia di prove sono quelli del libero convincimento del giudice, della libertà di prova, dell’inesistenza di limiti legali alla prova, del diritto alla prova riconosciuto alle parti nonché della valenza probatoria degli indizi solo se “gravi, precisi e concordanti”. E’ allora evidente che le presunzioni tributarie, seppur idonee ad integrare la notizia di reato, non possono di per sé assumere valore di prova nel giudizio penale, anche se la loro non automatica trasferibilità in campo penale non significa, che esse non rivestano alcuna rilevanza. Sebbene non valgano come prova, esse possono costituire degli indizi, come tali valutabili dal giudice penale alla stregua dei criteri dettati dall’art. 192 c.p.p. La conclusione è che le prove acquisite in sede tributaria possono essere utilizzate in sede penale. Ora vediamo cosa accade se, al contrario, nel corso di un’indagine penale emergono, a carico dell’imputato o di soggetti terzi, elementi sintomatici di un’evasione. In linea di principio, ai fini dell’utilizzo delle risultanze penali, è necessario che il P.M. rilasci un’autorizzazione, cosicché gli elementi rinvenuti in sede di indagine penale valgono, sia nell’accertamento sia nel contenzioso tributario, come semplice elemento indiziario. In pratica, le prove acquisite in sede penale, anche se non possono essere recepite come tali nel processo tributario, possono essere valutate dal giudice tributario in base al principio della libera valutazione delle prove per la formazione del proprio libero convincimento quindi egli può fondare le proprie decisioni su elementi di prova acquisiti in sede penale, ma non ne può recepire in maniera pedissequa il contenuto. Questo principio è sancito in maniera espressa dalla norma di cui all’art. 116 c.p.c. che consente al giudice civile, e perciò al giudice tributario, di valutare liberamente le prove acquisite in altri procedimenti, integrate anche da ulteriori elementi, e ha trovato riscontro in una copiosa giurisprudenza della Suprema Corte, oltre che nell’ordinanza n. 119 del 2003 della Corte Costituzionale. In altri casi, la stessa Corte ha affermato che la confessione dell’imputato resa in sede penale è utilizzabile dal giudice tributario come prova della pretesa fiscale. Si pensi ancora alla possibilità di utilizzare le intercettazioni telefoniche in ambito tributario, quale elemento indiziario, stabilita dalla Cassazione con la sentenza n. 2916 del 7 febbraio 201320. Vi è da aggiungere che la rigida applicazione del principio del doppio binario può condurre ad alcuni eccessi. 20 La Suprema Corte con la sentenza n. 2916 del 07 febbraio 2013 ha stabilito che le intercettazioni telefoniche possono essere utilizzate in ambito tributario, quale elemento indiziario, posto che 69 70 DOTTRINA Infatti, quando vi è sostanziale identità dell’oggetto dell’accertamento giudiziale, esso rischia di ingenerare confusione e può porre seriamente in crisi il corretto funzionamento del sistema nel suo complesso, potendo legittimare soluzioni sensibilmente difformi, pur in presenza del medesimo fatto. Facciamo il caso in cui l’Amministrazione finanziaria, dopo la comunicazione della notizia di reato all’autorità giudiziaria, in sede di autotutela o, come più spesso accade, di perfezionamento della procedura di accertamento con adesione, abbia rideterminato la propria pretesa in misura tale che l’imposta evasa non superi le soglie di punibilità previste per la sussistenza del reato contestato. In una fattispecie del genere, visto che l’ufficio ha espressamente riconosciuto infondata la propria pretesa o comunque ritenuto congruo un abbattimento della stessa al di sotto dei limiti di rilevanza penale, sarebbe illogico che il giudice penale non ne prendesse atto, prosciogliendo il contribuente dal reato ipotizzato a suo carico. Su quest’ aspetto, la Cassazione ha sostenuto la legittimità dell’ interferenza del procedimento amministrativo. A tal riguardo, la sentenza della Corte di Cassazione n. 5640 del 14 febbraio 2012 ha stabilito che, se in pendenza di un procedimento penale (innescato da una informativa di polizia giudiziaria relativa ad un reato tributario commesso mediante il superamento delle soglie minime di punibilità fissate dal legislatore per quella specifica fattispecie) interviene un accertamento con adesione, a seguito del quale l’originaria pretesa per effetto del successivo accertamento dell’Ufficio finanziario viene ridimensionata in misura inferiore alla soglia di punibilità, il giudice penale dovrà prenderne atto e dichiarare il non doversi procedere per insussistenza del reato. In egual modo, si è espressa la Cassazione con la sentenza n. 19138 dell’8 maggio 2014, affermando che nell’accertamento con adesione, ovvero in ogni forma di concordato fiscale, c’è un’iniziale pretesa che poi viene ridimensionata non già dal giudice tributario, ma da un atto negoziale concordato tra le parti. Nondimeno il giudice penale non è vincolato all’imposta così “accertata”, tuttavia, per discostarsi dal dato quantitativo e tener conto dell’iniziale pretesa, occorre l’art. 270 c.p.p. opera solo nel processo penale. Tale disposizione, precisano i giudici, costituisce una garanzia dei diritti della difesa in ambito penalistico, e non può essere estesa a sistemi processuali differenti. Nel contenzioso tributario la norma applicabile è l’art. 63 del d.P.R. n. 633/72, ove viene sancito che, previa autorizzazione del PM, le risultanze penali possono essere trasmesse dalla Guardia di Finanza all’Ufficio finanziario. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO che risultino concreti elementi di fatto che rendano maggiormente attendibile l’iniziale quantificazione. La novità qui consiste nel fatto che, mentre in precedenti sentenze si era posto l’accento sull’autonomia del giudice penale anche nella determinazione dell’entità degli elementi sottratti all’imposizione e dell’imposta evasa, con questo dictum si tende ad affermare una sorta di primato dell’organo amministrativo tributario, ritenuto più qualificato ed attrezzato nell’esprimersi su questioni di valenza così tecnica. E’ palese come tali orientamenti giurisprudenziale, pur escludendo, almeno in via formale, un recupero di forme di pregiudizialità tributaria, inducono a riflettere su quali possano essere gli eccessi cui conduce il doppio binario. In buona sostanza, da quanto fin qua detto sia pure velocemente, emerge con chiarezza l’esistenza di una notevole mole di questioni che, in contrasto con quanto sancito in materia di autonomia dei due procedimenti, li rende sempre più collegati e interconnessi, tanto da far fondatamente dubitare in dottrina della concreta ed attuale utilità di conservare il principio del doppio binario e proporne un formale ridimensionamento 21. 5. Gli ultimi sviluppi legislativi: il D.lgs. n. 158 del 2015 Oltre ai vari interventi giurisprudenziali che forniscono palesi segnali dell’erosione del canone di separatezza tra ambito penale e quello tributario, lo stesso legislatore, con una serie di micro-interventi, si è adoperato ad intaccare il doppio binario. In particolare, già con il d.l. n. 138/2011, esso aveva introdotto due misure che avevano sfibrato l’asserito parallelismo procedimentale, ponendone in luce il sempre più stretto nesso relazionale tra i due. Si tratta della possibilità per l’imputato di fruire delle speciali circostanze attenuanti previste dagli artt. 13 e 14 del d.lgs. n. 74/2000, a condizione che i relativi debiti tributari scaturenti dai fatti costituenti delitto tributario fossero stati estinti, anche attraverso delle procedure definitorie previste dall’ordinamento tributario. La recente riforma del sistema sanzionatorio penale ad opera del D.lgs. n. 158 del 2015 ha apportato ancora modifiche alle circostanze attenuanti. L’art. 11, co. 1 prevede la non punibilità dei reati di omesso versamento delle ritenute certificate (art. 10-ter), di omesso versamento di IVA (art. 10-bis), di indebita compensazione, 21 Cfr. F. Pistolesi, Le risultanze del processo penale ed i loro effetti nel processo tributario, cit. p.14 DOTTRINA CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO limitatamente all’ipotesi di crediti non spettanti (art. 10-quater, comma 1) qualora i debiti tributari, comprensivi di sanzioni e interessi, siano stati integralmente pagati prima dell’apertura del dibattimento di I grado. Il pagamento degli importi può essere effettuato anche mediante le speciali procedure conciliative e di adesione dell’accertamento, nonché mediante il ravvedimento operoso22. Nell’art. 11, al co. 2, il legislatore ha introdotto pure l’ipotesi di non punibilità dei reati di dichiarazione infedele (art. 4) e omessa dichiarazione (art. 5), nel caso in cui i debiti tributari, comprensivi di sanzioni e interessi, siano stati integralmente pagati per effetto del ravvedimento operoso, ovvero la dichiarazione omessa sia presentata entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, purché l’interessato non sia a conoscenza di accessi, ispezioni e verifiche già avviati dall’amministrazione finanziaria, ovvero procedimenti penali23. Inoltre, ne co. 3, sempre dell’art.11, è stabilito che, nel caso in cui il contribuente, prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, stia provvedendo all’estinzione del debito tributario mediante rateizzazione, è data la possibilità allo stesso soggetto di pagare il debito residuo entro tre mesi. Il termine decorre dall’apertura del dibattimento di primo grado e può essere prorogato una sola volta dal giudice per altri tre mesi. Durante il maggior termine per adempiere, la prescrizione del reato è sospesa. Lo stesso decreto n. 158 sulle sanzioni, al di fuori dei casi di non punibilità per i reati espressamente indicati, prevede, come “circostanze del reato”, che l’integrale pagamento degli importi dovuti rileva ai fini della concessione di uno sconto di pena sino alla metà e l’inapplicabilità delle pene accessorie24. Non può sfuggire a nessuno come, con le dette modifiche normative, l’affermata autonomia dei procedimenti 22 Con questo nuovo comma, il legislatore ha inteso non penalizzare quei contribuenti che, anche per cause di insolvenza, e senza che vi sia un dolo specifico di evasione, non abbiano adempiuto al versamento di quanto correttamente esposto in dichiarazione. Nella Relazione illustrativa infatti si afferma che per i reati in esame la causa di non punibilità trova la sua giustificazione nella scelta di concedere al contribuente la possibilità di eliminare la rilevanza penale della propria condotta attraverso una piena soddisfazione dell’erario prima del processo penale: in tal caso infatti il contribuente ha correttamente indicato il proprio debito risultando in seguito inadempiente; il successivo adempimento, pur non spontaneo, rende sufficiente il ricorso alle sanzioni amministrative. 23 Anche in tal caso, si è deciso di premiare l’attività spontanea di pagamento, pure della sanzione amministrativa, da parte del contribuente che, nei casi di dichiarazione fraudolenta, ha provveduto al pagamento di quanto accertato dall’ufficio tributario. 24 Cfr. art. 13-bis del d.lgs. n. 74/2000 rubricato “circostanze di reato”. penali e tributari e la reciproca irrilevanza dei relativi esiti nonché degli elementi fattuali e delle prove acquisiti in ciascun contesto si stata non solo contraddetta in maniera esplicita, ma pure enormemente sminuita. Per effetto delle interferenze introdotte a livello legislativo, infatti, non v’è più solo una condivisione del materiale istruttorio fra i due procedimenti e sussistono veri e propri vincoli normativi in forza dei quali lo svolgimento del rapporto d’imposta e il relativo pagamento diviene dirimente ai fini delle sorti del processo penale e ne condiziona gli sviluppi. Quel che conta per il contribuente, anche a scapito delle garanzie poste dal principio di specialità, è dunque l’assolvimento del debito tributario, sia a titolo d’imposta che di sanzione, al fine di poter conseguire un beneficio in sede penale. Si è introdotta, a nostro parere, una formale dipendenza del processo penale dalle vicende amministrative di ordine tributario, il che può apparire extra ordinem o comunque estraneo al modello dell’indipendenza reciproca dei due procedimenti sancito nell’art. 20 del D.lgs. n. 74/2000. 6. Il raddoppio dei termini Un altro esempio d’interferenza legislativa tra l’ambito amministrativo e quello penale- tributario è dato dal differente termine di decadenza dell’azione di accertamento fissato ex lege a seconda della ravvisabilità o meno nella condotta del contribuente degli estremi per la presentazione della notizia di reato in ordine ad un delitto tributario disciplinato dal D.lgs. n. 74/200025. L’istituto del raddoppio dei termini, com’ è noto, è stato introdotto con l’art. 37, co. 24, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, il quale ha inserito il co. 3, all’art. 43 del D.P.R. n. 600/73 e all’art. 57 del D.P.R. n. 633/72. Il nuovo comma ha previsto che, in caso di violazioni, che comportano l’obbligo di denuncia ex art. 331 del c.p.p. per uno dei reati tributari di cui al D.lgs. n. 74/2000, i termini ordinari di decadenza per l’accertamento26 siano raddoppiati, relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione27. V E. Marello, Raddoppio dei termini per l’accertamento e crisi del “doppio binario”, in Riv. dir. trib., 2010, III, p. 95 e ss. 26 In base ai primi due commi dell’art. 43 del d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 57 del d.P.R. n. 633/1972,come è noto, gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza: • entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione; • in caso di omessa dichiarazione della dichiarazione o di presentazione di una dichiarazione nulla entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. 27 La proroga non opera per le fattispecie evasive che non hanno rilevanza per il d.lgs. n. 74/2000. Possono, quindi, ritenersi esclusi dall’ambito di applicazione del raddoppio dei termini di accerta25 71 72 DOTTRINA Nel caso l’accertamento riguardi, complessivamente, imposte sui redditi, IVA e IRAP, il raddoppio dei termini riguarda solamente il tributo cui si riferisce l’ipotesi di reato. Questo implica che si deve escludere dall’ambito di applicazione l’IRAP, in riferimento alla quale non esiste alcuna norma incriminatrice e che se l’ipotesi di reato riguarda le imposte dirette, o viceversa solo l’IVA, il raddoppio dei termini non è automaticamente esteso all’altra imposta. La ratio del raddoppio dei termini è di dare agli uffici tributari più tempo per le pratiche fiscali che ritiene più insidiose ed anche per consentire a questi ultimi di accogliere nell’accertamento tributario ed impiegare il materiale acquisito nell’ambito delle indagini penali. Tale regime è stato, fin da subito, oggetto di letture contrastanti e di critiche. In particolare, da più parti si è lamentato il pericolo che esso potesse dar luogo a una proliferazione indiscriminata di denunce penali da parte degli uffici tributari al solo scopo di beneficiare di un allungamento dei termini, mediante una qualsiasi comunicazione inoltrata alla Procura per un qualsiasi reato e, per giunta, una volta che erano scaduti i termini ordinari per l’accertamento.28 In questo contesto, è maturata l’esigenza di una riforma dell’istituto del raddoppio dei termini, realizzata di mento, gli illeciti concernenti violazioni valutarie e doganali, i comportamenti del contribuente in occasione delle verifiche fiscali e l’evasione delle imposte indirette diverse dall’IVA, come l’imposta di registro, di successione e donazione, e per effetto di quanto disposto dall’art. 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212 (statuto del contribuente), anche tutte le ipotesi di abuso del diritto. 28 Sulla questione è intervenuta la Corte Costituzionale, con la nota sentenza n. 247 del 25 luglio 2011, che ha riconosciuto la legittimità costituzionale della norma de qua, escludendo la violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione, invocati in quanto la norma avrebbe irragionevolmente prorogato o riaperto termini di decadenza ormai scaduti, così ledendo l’esigenza di certezza dei rapporti giuridici ed il diritto di difesa dei contribuenti. La Corte per giustificare il raddoppio anche quando i termini ordinari per l’accertamento erano scaduti ha addirittura ha ipotizzato la possibilità di intravedere, nel testo della norma, la coesistenza di due termini autonomi di accertamento: un termine breve in assenza dell’obbligo di denuncia penale ed uno lungo quando sussiste per legge l’obbligo di denuncia penale per uno dei reati previsti dal d.lgs. n.74 del 2000. Questi due termini sarebbero entrambi ordinari e, soprattutto, tra loro autonomi ed indipendenti, non rappresentando l’uno il mero prolungamento dell’altro. Secondo la Corte, in pratica, la norma non “riapre” o “proroga” termini già spirati, ma ne introduce differenti applicabili a fattispecie ab origine diverse. Non c’è reviviscenza di termini, bensì di termine diversi che l’Amministrazione dovrebbe applicare senza margine di discrezionalità. La sentenza della Corte è stata fortemente criticata soprattutto perché ha legittimato la prassi dell’Amministrazione finanziaria di inoltrare la denuncia ai fini del raddoppio, una volta già esauriti i termini brevi dell’azione accertativa ed al solo scopo di una loro reviviscenza a posteriori. Pertanto dopo la riferita sentenza si era venuta a determinare una situazione di grave incertezza (fomentata da sentenze delle Commissioni tributarie o unidirezionali o, a dir poco, stravaganti) circa la durata dei termini di accertamento e l’applicazione del raddoppio. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO recente mediante l’ art. 2 del D.lgs. n. 128/2015, che ha modificato il co. 3 dei citati artt. 43 e 57 con l’inserimento di un nuovo inciso il quale dispone che: “Il raddoppio non opera qualora la denuncia da parte dell’Amministrazione finanziaria, in cui è ricompresa la Guardia di finanza, sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui ai commi precedenti”29. La modifica è di sostanza: se l’amministrazione finanziaria (nel cui ambito va compresa anche la Guardia di finanza) intende avvalersi del raddoppio dei termini, lo deve palesare entro i tradizionali termini di accertamento ed il raddoppio è subordinato alla effettiva e concreta presentazione o alla trasmissione della denuncia ex art. 331 c.p.p. entro i termini di accertamento canonici30. Ci siamo voluti soffermare sulla disciplina sul “raddoppio dei termini” perché essa, a nostro avviso, rappresenta l’ulteriore conferma dell’assunto che la proliferazione, a vario livello, delle deroghe al “doppio binario” ha finito per sfaldare il principio, che quindi è decaduto. Nel raddoppio rimane evidente che l’esigenza di autonomia dei due procedimenti, espressamente enunciata dall’art. 20 del D.lgs. 74/2000, è stata sacrificata alle esigenze efficentiste degli uffici tributari di implementare l’azione di contrasto avverso le condotte fiscalmente illecite, ottenendosi il risultato del ridimensionamento del processo penale a ruolo di strumento rispetto alle finalità erariali di soddisfacimento del debito d’imposta31. 29 Il D.lgs. n. 128 del 5 agosto 2015, entrato in vigore il 2 settembre 2015, in attuazione di quanto previsto dall’art. 8, comma 2, della Legge n. 23/2014, aveva delegato il Governo a definire la portata applicativa del raddoppio dei termini, in particolare prevedendo che tale raddoppio si verificasse soltanto in presenza di effettivo invio della denuncia, ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale, effettuato entro un termine correlato allo scadere del termine ordinario di decadenza, fatti comunque salvi gli effetti degli atti di controllo già notificati alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi. 30 Ne consegue che risiede in capo all’amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare la tempestività ed effettività nella presentazione della denuncia. Occorre però ricordare che detto onere potrà sorgere solo se ed in quanto il contribuente provveda a eccepire, nei dovuti termini e modi, la tardività dell’accertamento. Trattandosi di decadenza dell’amministrazione, alla stregua della consolidata giurisprudenza di legittimità si ritiene che l’assenza o tardività della denuncia non saranno rilevabili d’ufficio dal giudice, ma dovranno essere opposti dal contribuente nel primo atto difensivo o con apposita memoria ex art. 24, co. 2 del D.lgs. 546/92, nel caso in cui la denuncia venga prodotta solo in giudizio dall’amministrazione. 31Per l’Agenzia delle entrate, circolare n. 54/e del 23 dicembre 2009, invece l’ampliamento dei termini opera a prescindere dalle successive vicende del giudizio penale che consegua alla denuncia, non sembrando ragionevole ipotizzare che il legislatore abbia voluto subordinare l’efficacia del procedimento tributario di accertamento - e delle risultanze istruttorie ivi raccolte - al verificarsi di una fattispecie successiva ed eventuale, quale la pronuncia di condanna penale del contribuente, il che farebbe salvo il principio di separazione tra procedimento amministrativo di accertamento e procedimento penale fissato dall’art. 20 . DOTTRINA CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Oltre il sistema del “doppio binario” di Arturo Toppan UN’ECCEZIONE ALLA REGOLA CHE PUÒ APRIRE NUOVI SCENARI Anche se sempre più frequentemente si erano levate autorevoli voci critiche1 verso il sistema del doppio binario, adottato ormai da oltre trent’anni dal nostro legislatore, la recente “Revisione del sistema sanzionatorio” penale tributario, introdotta con il D. Lgs. 158/2015, nulla ha innovato al riguardo. Del resto, nessuna previsione in proposito era contenuta nella legge delega e ciò indurrebbe, secondo ragionevolezza, a ritenere che ancora per molto tempo perdureranno, e probabilmente si aggraveranno, le numerose incongruità del sistema messe in luce dai commentatori. Tuttavia, a ben vedere un’eccezione alla regola è stata posta, e non di poco conto, mediante la nuova configurazione dell’istituto dell’abuso del diritto, così come finalmente codificato (art. 10 bis L. 212/2000, introdotto con il D. Lgs. 128/2015). Il legislatore, infatti, ha statuito in via definitiva che le operazioni abusive/elusive (normativamente equiparate) costituiscono illeciti tributari, e come tali sono soggette a sanzioni, ma ha escluso che le stesse possano avere rilevanza penale anche qualora lo scostamento tra l’imposta dichiarata e quella effettivamente dovuta, a seguito della riqualificazione delle operazioni effettuata dall’amministrazione finanziaria, superi la nuova soglia di punibilità fissata dall’art. 4 del D.Lgs 74/2000. In questo caso ha optato, dunque, per un unico binario, quello tributario, nel quale procedere, oltre che all’accertamento ed al recupero dell’imposta, anche all’irrogazione della sanzione amministrativa, senza ricorrere alla sanzione penale, mantenuta ferma, invece, per tutti gli altri casi di infedele dichiarazione sopra la soglia. D’altra parte, un’altra deviazione dalla regola del doppio binario era già contenuta nella seconda riforma penaltributaria, laddove (artt. 19-21 D. Lgs 74/2000) veniva stabilito, in conseguenza del nuovo principio di specialità tra sanzioni, che le sanzioni amministrative irrogate fossero ineseguibili fino alla definizione del 1 I. CARACCIOLI Il sistema penale tributario –situazione attuale e modifiche necessarie; Neotera n.1/2015 p. 47; A. PERINI e G. SOLDI Inconvenienti e necessità di superare il doppio binario; Neotera n. 1/2015, p. 42. procedimento penale, in tal modo configurando –in quello specifico ambito– una vera e propria pregiudiziale penale. E tale regola tutt’ora vale, anche se è stata poi in gran parte superata con l’introduzione della responsabilità diretta ed esclusiva delle società aventi personalità giuridica per le sanzioni tributarie connesse all’evasione attuata dagli organi societari (art. 7 D.L. 269/2003). Alla luce di questi segnali, che dimostrano che il principio del doppio binario non è poi un dogma, è possibile, dunque, confidare in futuri e più significativi interventi di modifica del sistema?. La risposta più ragionevole è quella negativa, vista l’inerzia del legislatore a mettere mano, in questo settore, sugli assetti consolidati e la sua preferenza a lasciarne il compito alla giurisprudenza, ma ciò non toglie che una riforma sia necessaria, Continuare a prospettare rimedi urgenti è comunque doveroso, perché significa porre le basi per progredire sulla strada del giusto processo tributario2. LE RADICI DELLA CRISI DEL DOPPIO BINARIO a) La prima riforma penaltributaria. Le radici della crisi del sistema, a mio avviso, non si rinvengono affatto nella filosofia ispiratrice della storica riforma del 1982 (L. 516/1982, conosciuta anche con il nome di “Manette agli evasori”). I suoi principali pilastri sono noti. In primo luogo, l’abbandono della cd. “pregiudiziale tributaria”, che si era dimostrata nei fatti del tutto inadeguata alla funzione di dissuasione/repressione della forte evasione fiscale, attuato affidando la forza deterrente della sanzione penale ad un procedimento da attivare non appena avuta la notizia di reato. La funzione del processo penale, però, si esauriva nell’irrogazione della pena, mentre lo scopo prioritario in materia tributaria -quello dell’accertamento dell’imposta evasa e del suo recupero- poteva essere assicurato soltanto attraverso il processo tributario; e dunque entrambi i processi erano necessari. 2 P. RUSSO Il giusto processo tributario; Rassegna Tributaria n. 1/2004. 73 74 DOTTRINA Essendo prevista la loro simultaneità, venne adottata la regola dei binari paralleli, nell’ottica dell’abolizione di ogni pregiudiziale che ne potesse rallentare, anche nella semplice forma di sospensione facoltativa, la definizione. Tuttavia, tale regola, che sanciva l’autonomia dei procedimenti, non li rendeva tra loro impenetrabili, perché ciò si sarebbe posto in contrasto irragionevole con la funzione strumentale e complementare dell’uno rispetto all’altro voluta con la riforma. Proprio per evitare contrasti tra decisioni venne previsto che il giudicato penale facesse stato, nel giudizio tributario, circa i fatti accertati in quella sede (art. 12 L. 516/1982), essendo impensabile che i fatti così come ricostruiti nel processo penale, caratterizzato dalla possibilità di mezzi probatori più penetranti e dalla garanzia del contraddittorio, e quindi maggiormente in grado di arrivare al massimo livello di accertamento della verità, potessero essere disconosciuti, o non valutati, nel parallelo giudizio tributario, caratterizzato invece, ora ed allora, da limitazioni alla prova. Tutto ciò rispondeva sicuramente al principio, ormai superato, ma all’epoca particolarmente sentito, dell’unitarietà e dell’intangibilità del giudicato; indubbiamente, però, era anche ispirato ad un superiore principio di economia processuale, in linea con il fine della ragionevole durata dei procedimenti, che attualmente costituisce uno dei pilastri del giusto processo. Oltre a tale raccordo finale tra i due binari, erano anche previsti -coerentemente con la dichiarata finalità di utilizzare anche allo scopo del recupero dell’imposta evasa la funzione servente e complementare del processo penale, con tutte le enormi potenzialità che lo stesso offriva in materia di raccolta di prove- vari canali attraverso i quali materiale probatorio raccolto in sede penale poteva essere trasferito alla sede tributaria. L’art. 63 DPR 633/1972 e l’art. 33 DPR 600/1973 prevedevano, infatti, che gli atti raccolti in sede d’indagine penale potevano essere utilizzati, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria, ai fini dell’accertamento tributario. Insomma, il legislatore si era mosso con una coerente visione sistematica del nuovo scenario processuale, la quale teneva giustamente conto, almeno in astratto, delle sinergie reciproche e della strumentalità tra i due processi. L’errore, constatato a posteriori, fu semmai un altro, e cioè quello di ritenere che a ridurre l’evasione fosse sufficiente la minaccia di una sanzione penale. Inoltre, fu certamente sopravvalutata la capacità delle strutture penali di far fronte ad un numero impressionante di procedimenti (erano previste, infatti, numerose figure di reati contravvenzionali, il cui accer- CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO tamento avrebbe dovuto, secondo le intenzioni del legislatore, sbarrare la strada all’evasione), che finirono per letteralmente intasare i vari uffici giudiziari. b) La seconda riforma. E’ con la seconda riforma penaltributaria –quella introdotta con il D.Lgs. 74/2000, più volte modificato e recentemente oggetto della “revisione” introdotta con il D. Lgs. 158/2015, che costituisce l’impianto normativo attualmente vigente- che si sono manifestati i più forti inconvenienti, alcuni dovuti a sottovalutazioni in sede di riforma, altri a lacune normative, altri ancora ad una diversa, e profonda, trasformazione del processo penale non accompagnata da analogo percorso sul versante del giudizio tributario. Il principio ispiratore di tale riforma, quello di limitare la repressione penale soltanto a poche condotte fiscalmente illecite caratterizzate dalla fraudolenza, era ben condivisibile -e tutt’ora dovrebbe ispirare le future norme penaltributarie- ma venne puntualmente poi trascurato per esigenze di cassa allorquando vennero introdotte, con leggi successive, varie figure di reato incentrate su omessi versamenti3; e tale tendenza è stata confermata anche nella recente “revisione” del sistema, essendo state mantenute tutte queste figure di reato, relativamente alle quali è stata soltanto innalzata la soglia di punibilità. La riforma mantenne il sistema del doppio binario, necessario in quanto diversi erano gli scopi e le finalità dei due processi. Mutò radicalmente, però, il loro rapporto perché entrambi venivano ad avere, per come erano strutturate le nuove norme incriminatrici, lo stesso oggetto: l’”accertamento dell’imposta evasa”; l’accertamento, cioè, che prima caratterizzava esclusivamente il processo tributario, visto che le varie figure di reato delineate dalla prima riforma erano volte a reprimere accertare condotte soltanto prodromiche e strumentali all’evasione. Probabilmente all’epoca vennero sottovalutate le potenziali criticità insite nella coincidenza dell’oggetto dei due giudizi, le quali, tuttavia, immediatamente si manifestarono, perché fin da subito i giudici penali adottarono criteri penalistici circa la valutazione dell’imposta evasa, rifiutando di dare ingresso alle presunzioni tributarie, largamente utilizzate, invece, sia in sede di accertamento amministrativo, sia nel successivo giudizio tributario. 3 Per una rassegna critica: P. ALDROVANDI Crisi aziendale e reati di omesso versamento di tributi tra contrasti giurisprudenziali ed esigenze di riforma; Neotera n. 1/2015 p. 53. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Il che poneva le premesse per il formarsi di clamorosi contrasti di giudicato, come nei fatti avvenne. Due fattori contribuirono ad aggravare tale effetto negativo. In primo luogo, la mancanza di qualsiasi previsione di armonizzazione delle prevedibili e frequenti interferenze tra i due procedimenti, le quali potevano manifestarsi, ad esempio, nei casi in cui nel corso del procedimento amministrativo, ovvero nel corso del giudizio tributario, l’imposta definitivamente accertata risultasse inferiore alla soglia di punibilità penale, vuoi per rettifiche in autotutela, vuoi per ravvedimento operoso, per accertamento con adesione, per conciliazione giudiziale, etc. Al riguardo, anzi, la formulazione letterale degli artt. 13 e 14 del D. Lgs 74/2000 indusse la maggior parte dei commentatori a ritenere che tutti questi eventi in sede tributaria non avessero alcuna influenza nel giudizio penale, nel quale potevano, al più, valere quali eventuali circostanze attenuanti. Soltanto in seguito si consolidò l’orientamento secondo il quale il giudice penale, pur nella sua autonoma valutazione degli elementi probatori, doveva recepire il consolidamento, nell’istituzionale sede tributaria, dell’accertamento dell’imposta evasa sotto la soglia di punibilità, potendosene discostare soltanto nel caso disponesse di ulteriori e diversi elementi autonomamente raccolti in sede penale. L’altro fattore di aggravamento delle criticità fu l’abrogazione dell’art. 12 della L. 516/1982, secondo cui la sentenza penale irrevocabile faceva stato nel giudizio tributario circa i fatti accertati nel giudizio penale, abrogazione che fu frutto di una precisa scelta legislativa. Già fin dall’introduzione del nuovo Codice di Procedura Penale, e quindi nel decennio antecedente la seconda riforma penaltributaria, era divenuto palese che la nuova norma codicistica (art. 654 C.P.P.) relativa all’efficacia del giudicato penale in altri giudizi –la quale limitava l’efficacia stessa, sotto il profilo soggettivo, a coloro che fossero intervenuti nel giudizio, ovvero che si fossero costituiti parte civile e, sotto il profilo oggettivo, la escludeva nei giudizi nei quali la legge poneva “limitazioni alla prova della posizione giuridica controversa”- si poneva in chiaro contrasto con la previsione dell’art. 12, che continuava ad attribuire, invece, al giudicato penale efficacia vincolante nel giudizio tributario, anche se nello stesso era vietata la prova testimoniale. Tanto che la più attenta dottrina aveva sostenuto che l’art. 12 doveva ritenersi ormai tacitamente abrogato. Il legislatore della seconda riforma penaltributaria doveva, pertanto, prendere posizione e preferì abrogare l’art. 12. Le ragioni della scelta vennero ampiamente illustrate nella Relazione ministeriale allo schema di D. DOTTRINA Lgs delegato n. 74/2000, laddove si chiariva che veniva “scartata ogni soluzione che postulasse un rapporto di pregiudizialità tra procedimenti…. Per un duplice ordine di ragioni. Innanzitutto per l’inaccettabile dilatazione dei tempi d’intervento della decisione che ne seguirebbe, e che in fatto preluderebbe … ad un drastico illanguidimento dell’efficacia del sistema sanzionatorio. In secondo luogo, poi, per le diverse regole probatorie valevoli nei due processi, non esportabili sic et simpliciter dall’uno all’altro senza che ne derivino effetti penalizzanti per l’imputato o per l’amministrazione finanziaria. …si è pertanto affermato l’opposto principio dell’autonomia reciproca dei due procedimenti (o del doppio binario) segnatamente escludendo che il processo tributario possa essere sospeso per la pendenza del procedimento penale avesse ad oggetto gli stessi fatti..). I generici richiami a “soluzioni che postulavano rapporti di pregiudizialità tra procedimenti”, oppure ad “un drastico illanguidimento dell’efficacia del sistema sanzionatorio”, ovvero agli “effetti penalizzanti per l’imputato o per l’Amministrazione finanziaria” in verità apparivano poco convincenti ed abbastanza incoerenti per giustificare l’abrogazione di una norma che, pur costituendo ormai eccezione alla regola generale dell’art. 654 C.P.P., aveva consentito, fin dall’adozione del sistema del doppio binario, un raccordo finale tra processo penale e processo tributario. Sembrava irragionevole, infatti, che in nome della “capacità di pronta risposta del sistema” all’evasione tributaria venisse in quel modo ristretta l’efficacia ad ampio raggio della risposta penale, indubbiamente caratterizzata dalla maggiore affidabilità del suo risultato, ottenuto con l’ausilio dei mezzi più penetranti e più appaganti di prova, nel rispetto del contraddittorio tra le parti. Il mantenimento dell’art. 12, sia pure come eccezione alla regola generale dell’art. 654 C.P.P., appariva, del resto, ancor più giustificato dalla circostanza che i due processi venivano ad avere, nell’ambito di questa seconda riforma, lo stesso oggetto, e quindi l’accertamento degli stessi fatti materiali. Quella scelta legislativa, tuttavia, non venne poi messa da alcuno in discussione, tutti ormai concordando sul fatto che il giudicato penale debba essere autonomamente valutato dal giudice tributario, che può ricavare da quella sentenza indizi o elementi di prova critica in ordine all’evasione fiscale, adeguatamente motivandoli, senza esserne vincolato4. 4 Per una completa rassegna, F. TESAURO Ammissibilità nel processo Tributario delle prove acquisite in sede penale; Rassegna Tributaria n. 2/2015 p. 323. 75 76 DOTTRINA Particolare efficacia, peraltro, viene riconosciuta alla sentenza di patteggiamento “in quanto presuppone l’esclusione della prova dell’insussistenza del fatto o della prova che il fatto accertato non è stato commesso dall’imputato” e perciò “rappresenta per il giudice tributario un consistente elemento di valutazione a sostegno della tesi dell’amministrazione finanziaria”5. La crisi del sistema si aggravò soprattutto perché il legislatore, pur abrogando l’art. 12, rese più agevole la trasmissione all’amministrazione finanziaria di materiale probatorio raccolto in sede penale. La trasmissione agli uffici finanziari degli atti d’indagine relativi a reati tributari fino ad allora era assoggettata, infatti, all’autorizzazione dell’autorità giudiziaria “in relazione alle norme che disciplinano il segreto”, norma che era stata interpretata nel senso che l’autorizzazione de qua poteva intervenire soltanto una volta cessato il segreto investigativo, secondo la disposizione dell’art. 329 del Codice di Procedura Penale. L’art. 23 del D. Lgs 74/2000 stabilì, invece, che l’autorizzazione poteva essere rilasciata “anche in deroga alle disposizioni sul segreto” e la già menzionata Relazione ministeriale specificava, al riguardo, che “nel concedere o negare la trasmissione, l’Autorità giudiziaria potrà compiere, caso per caso, una valutazione comparativa dell’interesse a non diffondere comunque ante diem la conoscenza di atti che possono risultare cruciali per lo svolgimento delle indagini e quello contrapposto dell’Amministrazione finanziaria ad avere pronta notizia di acquisizioni investigative suscettive di portare all’avvio di procedure di recupero di imposte o di applicazione di sanzioni”. Fu inequivocamente statuito, dunque, un rafforzamento dell’utilizzabilità in sede tributaria di elementi probatori penali, in un quadro di chiara visione della strumentalità del processo penale anche in chiave di recupero delle imposte; significativo, al riguardo, il riferimento all’interesse dell’Amministrazione “ad avere pronta notizia di acquisizioni investigative suscettive di portare all’avvio di procedure di recupero di imposte o di applicazione di sanzioni”. Tale rafforzamento, però, venne effettuato proprio nel momento in cui il divario tra i due processi era destinato, per altri motivi, a diventare sempre più profondo. In quel periodo, infatti, il processo penale era stato radicalmente riformato mediante l’introduzione del cd. 5 Cassaz. Sez. Trib. n. 8153/2015 in Rassegna Tributaria 2015 p.63; con nota di M. T. MONTEMITRO Gli effetti del giudicato penale sul processo tributario. Peculiarità dell’istituto di cui all’art. 444 c.p.p.. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO processo accusatorio e la sua trasformazione era in continuo divenire, sia per i reiterati interventi della Corte Costituzionale circa le legittimità delle nuove norme, sia per le continue modifiche legislative di adeguamento, sia per l’introduzione dei principi del giusto processo, recepiti nell’art. 111 della Costituzione, per i quali il contraddittorio tra le parti andava garantito fin dal momento della formazione della prova e non soltanto nel momento della sua valutazione. Mentre il nuovo processo penale in tal modo si avviava a completare un lungo percorso di avvicinamento alle regole del giusto processo, il processo tributario continuava a mantenere, invece, il divieto di prova testimoniale. E per molti altri aspetti ancora è ben lontano dal modello di giusto processo, anche se nel suo ambito si svolge una piena funzione giurisdizionale. Ciononostante, nessun intervento venne effettuato dal legislatore per meglio raccordare ed armonizzare i due processi, pur manifestandosene sempre più frequentemente l’urgenza perché il materiale probatorio penale suscettibile di entrare nel processo tributario era divenuto via, via maggiormente variegato. Per qualche sintetico riferimento, basterà considerare che, sul versante del processo penale, la prova testimoniale di regola deve formarsi, salvo alcune eccezioni, di fronte al giudice del dibattimento e nel pieno contraddittorio delle parti, le quali procedono all’esame incrociato. Le dichiarazioni rese alla P.G. prima del dibattimento sono qualificate, invece, come “s.i.t. – sommarie informazioni testimoniali” rese non da “testimoni”, ma da “persone informate dei fatti” e sono utilizzabili al dibattimento soltanto al fine di contestazioni al testimone. Ben diversa, dunque, è, davanti al giudice penale, la forza probatoria di queste varie tipologie di dichiarazioni (e ben diversa la possibilità di valutarle nel loro quadro d’insieme); tutte, peraltro, sono suscettibili di trasmigrare davanti al giudice tributario, il quale spesso non è in grado di apprezzarne la diversa valenza e, comunque, non ha a disposizione tutte le dichiarazioni rese, bensì singoli frammenti. Allo stesso modo, le dichiarazioni dei coimputati, o di imputati di reato connesso, nel processo penale devono essere confermate davanti al giudice del dibattimento, sempre nel contraddittorio tra le parti, assicurando così al difensore dell’accusato il diritto di interrogare i suoi accusatori; inoltre, per assurgere al rango di prova, devono trovare oggettivi riscontri (art. 192 C.P.P.). Mentre il giudice penale può valutare la portata di dichiarazioni accusatorie nel quadro complessivo delle dichiarazioni degli imputati e dei testimoni, il giudice CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO tributario si trova spesso nell’impossibilità di disporre di tutti questi elementi6. Le intercettazioni telefoniche o ambientali vengono trascritte dalla P.G. in appositi brogliacci riassuntivi, ma l’imputato ha diritto di conoscerne, per mezzo di una perizia, l’esatto contenuto e di interrogare le persone intercettate. Tutto ciò non è possibile, invece, nel giudizio tributario, nel quale entrano soltanto frammenti di conversazioni, senza possibilità di effettivo contraddittorio. LA SITUAZIONE ATTUALE a) Il versante del processo penale. L’evoluzione, appena descritta sinteticamente, del sistema del doppio binario si è stabilizzata in maniera diversa nei due versanti processuali. Com’era prevedibile, sul versante del processo penale l’assimilazione sempre più estesa dei principi del giusto processo, e quindi del contraddittorio nella formazione della prova, ha consentito di superare ben presto le varie questioni interpretative circa l’acquisizione e la portata probatoria del processo verbale di constatazione redatto in sede tributaria, formandosi al riguardo un orientamento ormai largamente condiviso7. Anche le problematiche relative all’incidenza, nel giudizio penale, di un eventuale consolidamento, in sede tributaria, dell’imposta evasa al di sotto della soglia di punibilità hanno trovato ormai una soddisfacente soluzione in quell’orientamento (Cassaz. 7615/2014), secondo il quale, pur con la premessa che “il superamento o meno della soglia di punibilità penale spetta esclusivamente al giudice penale , non essendo prevista alcuna forma di pregiudiziale tributaria”, il giudice “non può prescindere dalla pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria così come è venuta a consolidarsi in misura inferiore a quella iniziale nella sede propria, cosicchè per discostarsi dal dato quantitativo risultante dall’accertamento con adesione o dal concordato fiscale… occorre che risultino concreti elementi di fatto che rendano maggiormente attendibile l’iniziale quantificazione dell’imposta dovuta”. 6 Per le problematiche insorte a seguito della riforma costituzionale introdotta con la L. n. 2/1999, G. BERSANI Corte Costituzionale, dal processo tributario al “giusto processo tributario”; il Fisco n. 34/2003 p. 5391. 7 G. BERSANI Processo verbale di constatazione della Guardia di finanza. Limiti all’utilizzabilità in sede penale; il Fisco n. 39/1999 p. 12523. DOTTRINA E’ da augurarsi che non si consolidi, invece, quel criticabile orientamento (Cassaz. 17982/2014; contra: Cassaz. 19595/2014), secondo il quale le presunzioni previste dalla normativa fiscale, pur non essendo idonee a giustificare una sentenza di condanna penale, avrebbero valore indiziario sufficiente per l’adozione di un provvedimento di sequestro preventivo del profitto del reato. Non sembra ammissibile, infatti, che i criteri di valutazione dell’imposta evasa possano essere diversi a seconda della fase processuale. Anche se nella fase cautelare è sufficiente soltanto la prova del fumus commissi delicti”, è pur vero che la valutazione in tal senso deve essere effettuata con gli stessi criteri con i quali viene valutata, nella fase del giudizio, l’entità dell’imposta evasa; quelli, cioè, che escludono l’uso di presunzioni. Per non dire che, proprio per la portata a volte devastante delle misure cautelari reali in materia di reati tributari, il giudice dovrebbe fare uso ancora più prudente dei poteri. L’equivoco di fondo introdotto con la seconda riforma penaltributaria, prevedendo che entrambi i processi avessero come stesso oggetto l’accertamento dell’imposta evasa, sarà, comunque, destinato a creare ancora altre interferenze nel processo penale. b) Il versante del processo tributario. La crisi del sistema del doppio binario si è manifestata soprattutto su questo versante, com’era prevedibile, del resto, visto che il legislatore non ha in alcun modo previsto e regolato i criteri da adottare per la valutazione di quel materiale probatorio penale piuttosto variegato e prima sinteticamente illustrato, trasmesso in sede tributaria. Eppure, proprio nel momento in cui esplicitamente si rafforzava la trasmissione all’amministrazione finanziaria di atti d’indagine penale “suscettivi di portare all’avvio di procedure di recupero di imposte o di applicazione di sanzioni” si era chiaramente posto il problema della loro valutazione nell’ambito di un processo che rifiuta la testimonianza e che non garantisce pienamente il contraddittorio. Era il momento più opportuno, dunque, per introdurvi la prova testimoniale, così da ridurre grandemente le criticità. Anche in questo caso fu lasciato alla giurisprudenza, invece, il difficile compito di regolare le interferenze tra i due processi, stabilendo quali atti penali potessero entrare nel processo tributario e quale forza probatoria rivestissero. Sotto il primo profilo, la Corte di Cassazione andò al di là dell’ampia possibilità di circolazione di prove tra 77 78 DOTTRINA CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO processi, già consentita dalle norme prima indicate oltre che dai principi generali del nostro ordinamento, ritenendo ammissibili nel processo tributario anche le prove illegittimamente formate nel processo penale di provenienza. Ammissibilità che viene giustificata tenendo conto del “minor tasso di garanzia del diritto al contraddittorio nel procedimento tributario”, per effetto del quale le stesse rivestirebbero il ridotto valore di “elementi indiziari”; in altri termini, possono trovare ingresso per la loro minore attendibilità. L’errore metodologico appare evidente, laddove l’ammissibilità della prova viene fatta dipendere dal grado di efficacia della stessa8. Ben diversa, invece, la strada indicata dalla sentenza della Corte di Giustizia (sentenza 17.12.2015), che, dopo aver stabilito la possibilità di acquisizione nel processo tributario di prove ottenute in un procedimento penale parallelo, ha cura di chiarire i limiti di tale principio generale, sottolineando che le stesse possono essere utilizzate dall’amministrazione finanziaria, “a condizione che l’ottenimento di tali prove nell’ambito del procedimento penale e il loro utilizzo nell’ambito del procedimento amministrativo non violino i diritti garantiti dal diritto dell’Unione”; primo tra questi, il diritto al contraddittorio. Quanto alla forza probatoria da attribuire al materiale probatorio trasmesso dal procedimento penale, la giurisprudenza, considerando che nel giudizio tributario alcune prove erano sconosciute ed altre vietate, ma che la circolazione del materiale probatorio era pienamente legittima ed istituzionalizzata (addirittura favorita, secondo la Relazione ministeriale prima riportata), adottò l’unica conclusione possibile, e cioè quella per cui potevano essere liberamente valutate dal giudice tributario come semplici elementi indiziari. Allo stesso risultato, del resto, era pervenuta anche la Corte Costituzionale con la decisone che sanciva la legittimità dell’ingresso nel processo tributario delle dichiarazioni di terzi raccolte dall’amministrazione finanziaria nella fase procedimentale; dichiarazioni che sono sostanzialmente testimoniali, ma che, stante il divieto di tale mezzo di prova, vanno valutate soltanto alla stregua di “elementi indiziari”. Costituisce principio generale del nostro ordinamento, d’altra parte, quello per cui la circolazione delle prove è possibile anche tra giurisdizioni separate, purchè siano autonomamente valutate da ciascun giudice. 8 F. TESAURO cit. p. 325. La stessa Corte di Giustizia, con la sentenza prima menzionata, ha stabilito “conforme al diritto dell’Unione… il fatto che l’amministrazione tributaria possa, allo scopo di accertare la sussistenza di una pratica abusiva in materia d’imposta sul valore aggiunto, utilizzare prove ottenute nell’ambito di un procedimento penale parallelo non ancora concluso”, anche, si noti, “all’insaputa del soggetto passivo, mediante, ad esempio, intercettazioni di telecomunicazioni e sequestri di messaggi di posta elettronica”. Non sono condivisibili, perciò, le critiche di coloro che vedono, nell’ammettere l’acquisizione nel processo tributario di quel materiale probatorio, sia pure in veste di elementi indiziari, un “surrettizio ingresso di prove testimoniali” e una vera e propria lesione dell’autonomia del processo tributario stabilita dal principio del doppio binario9. L’autonomia dei due procedimenti si traduce nell’autonoma valutazione del materiale probatorio acquisito, condotta secondo le regole dei rispettivi processi da parte di ciascuno dei giudici, ed è normativamente ribadita dal (a mio avviso, discutibile) divieto di sospensione del processo tributario, in attesa dell’esito di quello penale, all’evidente scopo di non ritardarne la definizione. Altra cosa, però, è la circolazione delle prove tra i due processi, la quale è espressamente prevista e consentita dalla legge. Al di là di questo rilievo, si coglie in tali critiche una difesa dell’autonomia del processo tributario volta a mantenerlo insensibile non solo alle prove testimoniali, ma anche agli elementi indiziari che in quei modi possono trovarvi ingresso; volta a mantenere, cioè, un assetto processuale non conforme alle regole poste dall’art. 111 della Costituzione e che per questo andrebbe al più presto riformato, allineandolo ai canoni del giusto processo. Il tema della circolazione delle prove tra i due processi evidenzia, dunque, che proprio il binario del processo tributario presenta le maggiori criticità e costituisce l’anello debole del sistema, a causa, soprattutto, della mancanza di un effettivo contraddittorio. Ed invece di adeguare il processo tributario alle regole del contraddittorio si finisce per ammettere nello stesso qualsiasi tipo di prova proveniente da altro processo, livellandole tutte al più basso grado di attendibilità. Proprio per questo la situazione che si è via, via stratificata appare insoddisfacente. 9 F. PISTOLESI Crisi e prospettive del principio del doppio binario nei rapporti fra processo e procedimento tributario e giudizio penale; Riv. Dir. Trib. 2014, I, p. 1989. DOTTRINA CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Sul tavolo del giudice tributario, come si è visto, si viene a scaricare materiale vario: ad es., vere e proprie dichiarazioni testimoniali raccolte nel dibattimento penale, frammiste a sommarie informazioni testimoniali raccolte nella fase delle indagini, le quali nel processo penale hanno una ben diversa valenza; oppure dichiarazioni di coimputati, senza i necessari elementi di riscontro; frammenti di conversazioni telefoniche avulsi dal contesto e magari ricavati dai brogliacci riassuntivi della polizia giudiziaria, senza alcuna garanzia di corrispondenza all’effettivo contenuto. E tutto quel materiale viene ritenuto ammissibile perchè indistintamente appiattito, sul piano probatorio, al basso livello di elementi indiziari. Si tratta all’evidenza di materiale scarsamente affidabile, non essendo offerto al giudice tributario il quadro completo, né essendo consentito che egli possa di sua iniziativa ottenerne l’integrazione. Quel che soprattutto non è accettabile è che ciò avvenga senza che la parte controinteressata possa interrogare coloro che l’accusano o forniscono elementi a suo sfavore, e senza poter indicare testimoni a sua difesa. Di questa carenza non sembra avere tenuto debito conto, e la più attenta dottrina non ha mancato di muovere giuste critiche al riguardo10, la decisione della Corte Cost. secondo la quale la sperequazione dei poteri istruttori tra le parti che si verifica nel processo tributario potrebbe essere riequilibrata consentendo anche al contribuente di produrre “dichiarazioni di terzi suscettibili di essere valutate”, oppure “ad opera dello stesso giudice tributario”, il quale potrebbe avvalersi dei poteri istruttori previsti dall’art. 7 del contenzioso, che comunque non contemplano un contraddittorio in condizioni di parità. Il flusso consistente di materiale probatorio, tutto ritenuto ammissibile data la sua valenza probatoria soltanto a livello indiziario, viene dunque a creare nel processo tributario una situazione di assoluta incertezza probatoria, oltre che di sperequazione tra le parti, che può essere fonte di giudizi insoddisfacenti, anche per la stessa amministrazione finanziaria. Emblematico, al riguardo, un recente caso in cui, collateralmente allo sviluppo di un procedimento penale per reati di corruzione, nel corso del quale, a fronte di chiamate in correità e di altre prove testimoniali, il GIP emetteva ordinanza di custodia cautelare, in sede tributaria si procedeva al recupero dell’imposta evasa, 10 S. MULEO Diritto alla prova, principio del contraddittorio e divieto di prova testimoniale in un contesto di verificazione: analisi critica e possibili rimedi processuali: Rassegna Tributaria n.6/2002 p. 1995. essendo emerso un reddito da proventi illeciti non dichiarato. Mentre in sede penale il giudicante ha avuto a disposizione, oltre alle chiamate in correità, anche tutte le testimonianze che potevano o meno confermarle, nonché l’acquisizione delle movimentazioni bancarie e l’esame diretto dei testi, il giudice tributario ha avuto a disposizione soltanto alcuni stralci dell’indagine (in sostanza, soltanto il processo verbale di constatazione redatto dalla GdF a seguito di un’articolata indagine di polizia giudiziaria) ed in tale situazione di carenza istruttoria -un procedimento di tal genere richiede necessariamente una completa e penetrante prova testimoniale- ha annullato l’avviso di accertamento. POSSIBILI RIMEDI Per quanto finora illustrato, il regime del doppio binario originariamente delineato è profondamente cambiato perché i due procedimenti si sono trasformati manifestando differenze sempre più radicali ed inconciliabili, senza che il legislatore si preoccupasse di armonizzarli in maniera coerente e sistematica. La crisi del doppio binario, tuttavia, si è acutizzata soltanto sul versante del processo tributario, rimasto sostanzialmente fermo rispetto all’assetto della riforma del 1992 (come confermato anche dalle modeste, deludenti modifiche di dettaglio recentemente introdotte con il D. Lgs 156/2015), senza che alcun effettivo adeguamento alle regole del contraddittorio venisse attuato. Il processo tributario si è rivelato, dunque, l’anello debole del sistema del doppio binario. E’ questo, perciò, il settore sul quale un legislatore dotato di visione coerente e sistematica dovrebbe al più presto intervenire, anche perché le criticità relative all’armonizzazione delle reciproche interferenze processuali finora illustrate rappresentano soltanto uno degli aspetti della non corrispondenza del processo tributario ai canoni del giusto processo. Canoni ai quali esso dovrebbe al più presto uniformarsi, svolgendosi indubitabilmente nel suo ambito una funzione giurisdizionale (la “quarta giurisdizione”, secondo la Corte Costituzionale), ben lontana, però, dai parametri previsti dall’art. 111 della Costituzione. Le linee di una riforma del processo tributario dovrebbero articolarsi su due piani. a) Sul piano procedimentale. Un primo doveroso rimedio è quello di assicurare un effettivo contraddittorio anche nel giudizio tributario e la via obbligata in questo senso è quella di dare ingresso alla prova testimoniale. 79 80 DOTTRINA L’ostilità del legislatore verso tale prova non ha alcuna giustificazione nella tradizione e gli approfondimenti svolti dalla più attenta dottrina lo hanno bene messo in luce. E’ soltanto una questione di politica legislativa, dunque, che non dovrebbe essere fuorviata dalla diffidenza verso i testimoni in materia fiscale, perché è interesse della stessa amministrazione finanziaria che la decisione del giudice poggi su materiale maggiormente sicuro. E su questo piano la testimonianza, che impegna sotto giuramento il dichiarante, è indubbiamente già in se stessa più affidabile delle varie tipologie di “dichiarazioni” sostanzialmente testimoniali. Diversamente da queste, inoltre, consente un effettivo contraddittorio perché le parti possono indicare testi a prova contraria rispetto a chi accusa, oppure testi a chiarimento, senza che gli stessi possano sottrarsi a tale dovere, come invece avviene nell’ipotesi di dichiarazioni chieste a terzi dal contribuente per cercare di controbilanciare quelle dichiarazioni che l’amministrazione finanziaria ha acquisito in sede procedimentale senza alcun contraddittorio11. Resterebbe da definire se l’effettività del contraddittorio debba essere assicurata fin dal momento della formazione della prova testimoniale (sulla falsariga di quanto avviene nel settore penale), oppure soltanto nel momento della sua valutazione. Il tenore letterale dell’art. 111 della Costituzione, infatti, riserva la prima caratteristica soltanto alla giurisdizione penale, ma in sede europea costituisce ormai un dato acquisito quello per cui le garanzie penali devono valere in tutti i casi in cui viene inflitta una sanzione sostanzialmente penale, anche se denominata amministrativa. E nel nostro ordinamento tributario il recupero dell’imposta evasa si accompagna frequentemente all’irrogazione di robuste sanzioni amministrative, le quali, secondo i parametri europei, sono assimilabili a quelle penali. Non dovrebbero esserci motivi, perciò, per non rendere pieno il contraddittorio. Anche su questo versante, d’altra parte, la strada è indicata dalla sentenza della Corte di Giustizia più volte richiamata. Infatti, nell’ammettere come conforme al diritto dell’Unione la trasmissione di prove raccolte in un parallelo procedimento penale (alla condizione che siano state legittimamente formate), la Corte sottolinea che “spetta al giudice nazionale…verificare se, conformemente al principio generale del rispetto dei diritti della difesa, il soggetto passivo abbia avuto, nell’ambito del procedimento amministrativo, di avere accesso a tali prove e di 11 Per una compiuta disamina delle problematiche, P. RUSSO cit. p. 17 e segg.; F. TESAURO, cit. p. 331. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO essere ascoltato sulle stesse”; se tale diritto non risulta rispettato, “detto giudice nazionale non deve ammettere tali prove”. Il diritto di difesa, e quindi del contraddittorio in condizioni di parità, va garantito, dunque, fin dall’inizio del procedimento amministrativo. L’obiezione che l’ammissione della prova per testimoni causerebbe un considerevole allungamento dei processi tributari, oggi abbastanza celeri, appare inconsistente per l’ovvia considerazione che addurre un inconveniente non è una giustificazione e che sarebbe comunque preferibile un processo più lungo, ma giusto, rispetto ad un processo più rapido, ma sommario ed ingiusto. Peraltro, come si può ricavare dalla prassi, non sono poi così numerosi i processi che richiedono, per una corretta decisione, l’assunzione di prove testimoniali, la gran parte di questi, essendo costituita da evasioni fraudolente (ora contemporaneamente oggetto di procedimento penale), le quali, come si vedrà più avanti, potrebbero essere oggetto di ulteriore riforma, adottando per esse il modello di unico binario penale. L’erroneità di tale obiezione, infine, può essere meglio colta se si considera che la celerità dell’attuale processo tributario dipende esclusivamente dal fatto che si tratta di processo su base soltanto documentale; ed è proprio tale tipo di processo, che non assicura un effettivo contraddittorio, che va trasformato in giusto processo (che, come tale, va certamente definito in tempi ragionevoli). Sotto altro aspetto, una corretta gestione della prova testimoniale verrebbe assicurata da giudici esperti che abitualmente la trattano, qualora la riforma verso un giusto processo incidesse anche sul piano ordinamentale, affidando la giurisdizione tributaria a Sezioni specializzate presso i Tribunali ordinari. b) Sul piano ordinamentale. Sul piano ordinamentale sono state indicate da autorevoli commentatori gravi carenze del processo tributario perché la figura del giudice tributario, delineata dal D.P.R. 545/1992, non corrisponde a quella di giudice terzo ed imparziale. Terzietà ed imparzialità, infatti, presuppongono indipendenza ed autonomia (dall’esterno e dall’interno), requisiti che possono essere assicurati soltanto da uno status di giudice professionale e da un organo di autogoverno. Che l’attuale corpo di giudici tributari non corrisponda ai requisiti appena indicati –nonostante l’indiscusso impegno di molti e nonostante i tentativi del Consiglio Superiore della Giustizia Tributaria di adottare moduli organizzativi simili a quelli adottati dal Consiglio Superiore della Magistratura ordinariaappare francamente indiscutibile. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Il legislatore, infatti, si è limitato ad introdurre l’organo di autogoverno, ma non ha previsto un reclutamento per concorso di giudici professionali ed a tempo pieno. Ha reclutato, in sostanza, giudici onorari, i quali, potendo svolgere contemporaneamente altre attività, offrono il fianco a dubbi circa la loro effettiva imparzialità12. I vantaggi della scelta di un giudice professionale (togato), a tempo pieno e specializzato sembrano evidenti. Oltre ad avere finalmente un giudice che riveste tutti i requisiti previsti dalla Costituzione, si creerebbe rapidamente una specializzazione (i precedenti delle Sezioni specializzate costituite presso i Tribunali ordinari lo confermano), la quale consentirebbe maggiore celerità di decisioni e maggiore prevedibilità delle stesse, fungendo così anche da disincentivo all’instaurazione di cause infondate. In quest’ottica l’alternativa che si pone, nell’affidamento della funzione giurisdizionale tributaria, è quella tra il giudice amministrativo e quello ordinario. La scelta preferibile, a mio avviso, dovrebbe cadere sul giudice ordinario. Al riguardo appare determinante non tanto la circostanza che già la Corte di Cassazione si occupa da tempo del terzo grado del giudizio tributario, quanto la considerazione che una vera attuazione di un giusto processo tributario implica, come più volte sottolineato, il riconoscimento della prova testimoniale, mezzo di prova la cui gestione viene meglio effettuata dal giudice ordinario, il quale da sempre ne fa largo uso e la governa. Appare essere questa la linea ispiratrice del disegno di legge diretto ad affidare i processi tributari a Sezioni specializzate dei Tribunali ordinari. E’ indubbio che un giudice specializzato non si crea dal nulla, mentre una scelta netta va fatta, ed in tempi abbastanza rapidi, cercando di superare le numerose resistenze create da uno stato di fatto da tempo cristallizzatosi (aspettative degli giudici tributari non togati; resistenze dei difensori abilitati davanti alle Commissioni Tributarie, ma non iscritti nell’Ordine forense; resistenze dello stesso Consiglio Superiore della Giustizia Tributaria che perderebbe il proprio elettorato e le proprie prerogative, etc.). Va sgombrato il campo, inoltre, da un’obiezione apparentemente suggestiva, quella, cioè, che i tempi attuali del giudizio tributario, abbastanza rapidi in quasi tutto il territorio nazionale, verrebbero dilatati enormemente affidando la giurisdizione al giudice ordinario. Si tratta, infatti, di un’obiezione che ignora che una comparazione del genere è improponibile, perché il giu12 P. RUSSO, cit. p. 19. DOTTRINA dizio tributario si svolge esclusivamente su base documentale, cosicchè in un’unica udienza possono essere trattati e definiti numerosi processi, mentre il giudizio davanti al giudice ordinario prevede una scansione di numerose udienze (costituzione, trattazione, istruttoria, etc.) per ogni singola causa. Questa radicale differenza è toccata frequentemente con mano da tutti i giudici ordinari che rivestono anche l’incarico di giudice tributario, quando nelle udienze tributarie fungono da relatori di più cause che vengono definite nell’udienza stessa, mentre, da giudici ordinari civili, constatano che la definizione di una sola causa è possibile soltanto dopo varie udienze. Si tratta, dunque, di situazioni tra loro incomparabili. Occorre, infine, sottolineare con forza che l’affidamento della funzione giurisdizionale tributaria a Sezioni specializzate dei Tribunali (sulla falsariga delle “Sezioni specializzate in materia d’impresa” istituite nel 2012, oppure delle “Sezioni addette alle controversie di lavoro” istituite molto tempo prima) dovrebbe avvenire in termini di effettiva efficienza, nel senso, cioè, che non basterà prevedere il trasferimento delle funzioni all’Autorità giudiziaria ordinaria (la quale, già in gravissima difficoltà per scoperture d’organico di magistrati e cancellieri, collasserebbe definitivamente), essendo necessario reclutare, in aggiunta all’esistente, un numero adeguato di magistrati specializzati (e da qui una necessaria gradualità di tempi), nonché di cancellieri (il trasferimento del personale attuale di segreteria dal Ministero dell’Economia e Finanze al Ministero della Giustizia troverà numerose resistenze sindacali che dovranno essere superate con incentivi professionali). In sostanza, non sarà da ripetere l’esperienza dell’introduzione delle Sezioni specializzate in materia d’impresa, avvenuta senza adeguare gli organici, cosicchè il loro funzionamento, in generale soddisfacente, è stato reso possibile indebolendo altri settori della giurisdizione civile, sottraendo a questi risorse. Un modello valido potrebbe essere costituito, invece, dall’ordinamento dei Giudici del Lavoro. Una riforma quale quella qui sollecitata dovrà, dunque, fornire adeguate e nuove risorse, per non indebolire altri delicati settori civili. In un’ottica di concretezza sarebbe per questo necessario verificare la fattibilità ed i costi della proposta di legge prima menzionata, affidandone il compito ad una Commissione qualificata (composta da ANTI, Consiglio Superiore della Giustizia Tributaria, Ministero dell’Economia e Finanze, Ministero della Giustizia), che in tempi rapidi indichi i supporti materiali necessari ed i relativi costi. 81 82 DOTTRINA UNA RIFORMA ATTUABILE IN PARALLELO Un nuovo scenario, ancora non chiaramente percepito, si è venuto a creare nei rapporti tra processo penale tributario e giudizio tributario. Fin dal 2008 è prevista per i reati tributari la confisca, anche per equivalente, del profitto del reato (art. 1, co. 143, L. 24.12.2007), confisca che può essere preceduta da sequestro preventivo penale. La norma è stata ora più opportunamente collocata nell’ambito del D.Lgs. 74/2000 (nuovo art. 12 bis) e vale adesso per tutti quei reati. La più attenta dottrina13 ha subito osservato che in tal modo il processo penale viene a svolgere anche una nuova funzione, quella di recupero del tributo riservata al giudizio tributario. Sul piano dei principi generali l’osservazione non è del tutto condivisibile perché tale confisca, secondo unanime condivisione, ha chiara natura sanzionatoria penale ed obbedisce al principio, affermatosi anche a livello europeo nel settore dei reati economici, secondo cui occorre impedire all’autore del reato il mantenimento dei vantaggi economici ottenuti con la sua condotta illecita perché l’utilizzazione degli stessi nel campo economico gli attribuirebbe un ingiusto vantaggio competitivo, violando le regole delle libera concorrenza. E’ indubbio, però, che con la confisca viene in sostanza ad essere attuato il recupero dell’imposta evasa; rectius, dell’intero debito tributario, basti pensare che per ormai consolidata giurisprudenza il profitto dei reati tributari viene commisurato all’ammontare dell’imposta evasa, delle sanzioni e dei relativi interessi e che la recente “revisione” del sistema sanzionatorio penale tributario ha recepito integralmente tale orientamento, codificando proprio in quei termini il concetto di “debito tributario”, il cui pagamento è considerato causa di non punibilità per alcuni reati (e comunque circostanza attenuante), oltre che essere ritenuto ostativo alla confisca (artt. 13, 13 bis e 12 bis co. 2 del D. Lgs. 74/2000 come modificato dal D. Lgs. 158/2015). Appare perciò spontaneo rilevare che, a questo punto, i due processi simultanei non solo hanno lo stesso oggetto (accertamento dell’imposta evasa), ma anche uno scopo in comune (l’ablazione di quanto non versato all’Erario). Nell’attuale quadro di doppio binario ciò potrebbe costituire un motivo di ulteriore interferenza tra i due processi, tale anche da riproporre nuove criticità. 13 E. MARELLO Evanescenza del principio di specialità e dissoluzione del doppio binario: le ragioni per una riforma del sistema punitivo penale tributario; Neotera n. 1/2014 p. 28. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Al riguardo, basterà considerare che mentre il pagamento al Fisco del debito tributario è espressamente considerato ostativo alla confisca (art. 12 bis prima menzionato , ma la giurisprudenza era pervenuta a tale conclusione anche prima della nuova norma) il contrario è tutto da verificare. Non constano provvedimenti sul punto, ma potrebbe verificarsi che il procedimento penale si concluda più rapidamente (ad es. mediante patteggiamento o mediante rito abbreviato) e che in tale sede venga disposta la confisca del profitto del reato, quantificato nei termini prima illustrati. Tale sostanziale “pagamento” potrà essere opposto all’amministrazione finanziaria quando, in seguito, il giudizio tributario si dovesse concludere sfavorevolmente per il contribuente e la stessa procedesse al recupero dell’imposta?. L’interrogativo non sembra peregrino perché l’amministrazione potrebbe osservare che quanto confiscato è oggetto di sanzione penale, e soddisfa quella specifica esigenza pubblicistica, mentre altra cosa è il debito verso il Fisco. E’ interessante riflettere, invece, sulle possibilità, offerte da tale novità, di superare il sistema del doppio binario, che, come si è visto, prevede eccezioni. La scelta di tale sistema in allora era stata resa necessaria dall’esigenza di procedere, parallelamente all’irrogazione delle sanzioni penali, anche al recupero dell’imposta evasa, che non rientrava nella competenza del giudice penale, ma le ragioni di tale scelta sono venute a mancare allorchè al giudice penale è stato affidato anche il compito di procedere, in caso di condanna, alla confisca del profitto del reato, coincidente con il debito tributario. Già dal 2008, infatti, tali funzioni sono esercitate dal giudice penale, tanto che quelle di accertamento dell’imposta evasa e del suo recupero, che parallelamente svolge il processo tributario, appaiono esserne un’inutile duplicazione, in evidente contrasto con il principio di economia processuale; duplicazione oltretutto dannosa per tutti gli inconvenienti e criticità prima descritte in tema di circolazione di prova tra i procedimenti paralleli. In questo nuovo scenario la funzione anche recuperatoria del tributo attualmente svolta dal processo penale suggerirebbe, dunque, di abbandonare il sistema doppio binario per affidare soltanto al giudice penale il compito di accertare la condotta illecita e di irrogare la relativa sanzione, nonché di accertare l’imposta evasa e di procedere al suo recupero. Si tratterebbe, in definitiva, di concentrare la reazione dell’ordinamento rispetto a quegli illeciti su unico CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO binario processuale, scegliendo quello penale che assicura pienamente il contraddittorio fin dal momento della formazione della prova ed il diritto di difesa in condizioni di parità, consentendo in tal modo di raggiungere una più ragionevole certezza circa la responsabilità degli autori dell’illecito. In questo quadro le ragioni di credito dell’amministrazione sarebbero efficacemente tutelate, perché il recupero dell’imposta evasa sarebbe assicurato inizialmente dallo strumento del sequestro preventivo del profitto del reato e successivamente, in caso di condanna, dalla confisca dello stesso, prevedendone la devoluzione all’amministrazione finanziaria. Una riforma del genere potrebbe finalmente restringere l’intervento penale ai soli reati caratterizzati da frode (rispetto agli attuali verrebbero esclusi, in sostanza, quelli relativi ad omessi versamenti e la dichiarazione infedele, per i quali sarebbe più coerente prevedere, così come avvenuto per l’abuso del diritto, soltanto una sanzione amministrativa), tuttavia, il mantenimento di tutte le attuali figure di reato non creerebbe un appesantimento del ruolo del giudice penale, il quale già di tutti questi reati deve occuparsi. Anche l’accertamento dell’imposta evasa non costituirebbe un aggravio diverso dall’accertamento analogo che tutt’ora il giudice penale deve compiere (e per eventuali problemi tecnici di quantificazione potrebbe comunque avvalersi di perito o della stessa A.F. che si costituisca parte civile). Nel quadro processuale appena delineato, l’eventuale conclusione di insussistenza del reato a causa del DOTTRINA mancato superamento della soglia di punibilità comporterebbe la trasmissione degli atti all’amministrazione finanziaria, per la quale riprenderebbero a decorrere i termini per l’accertamento e l’attività di recupero del tributo rientrerebbe nel canale istituzionale. Ad una riforma di tal genere, peraltro, dovrebbe accompagnarsi anche l’inclusione, più volte auspicata dalla Corte di Cassazione, dei reati tributari tra quelli per i quali scatta la responsabilità amministrativa dell’ente (art. 25 D.Lgs 231/2001). E ciò non solo perché tale scelta sarebbe più coerente con la già avvenuta inclusione di reati spesso collegati, o interferenti, con quelli tributari (ad es., reati societari, riciclaggio ed autoriciclaggio), ma soprattutto perché con riferimento alle società si verifica una scissione tra autore del reato tributario e beneficiario dell’evasione. Mediante questa modifica sarebbe possibile sanzionare, da un lato, la persona fisica autore del reato e, dall’altro, l’ente che non ha vigilato o predisposto le misure per evitare tale illecito e che del risultato di questo ha beneficiato. E tale sanzione verrebbe a sostituirsi in maniera più coerente e sistematica all’attuale sanzione amministrativa tributaria prevista in via esclusiva per l’ente dall’art. 7 D.L. 269/2003. Va ribadito, infine, che si tratterebbe di una radicale riforma del processo penale tributario pur sempre da attuare parallelamente a quella del processo tributario, che va comunque inserito nel paradigma del giusto processo. Mi sembra che non manchino gli spunti, dunque, per avviare un serio dibattito. 83 84 LEGISLAZIONE CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156 Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10, comma 1, lettere a) e b), della legge 11 marzo 2014, n. 23 TITOLO II REVISIONE DEL CONTENZIOSO TRIBUTARIO E INCREMENTO DELLA FUNZIONALITÀ DELLA GIURISDIZIONE TRIBUTARIA Art. 9. Modifiche al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 In vigore dal 1 gennaio 2016 1. Al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 2: 1) nel comma 1, le parole: «nonché le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio», sono sostituite dalle seguenti: «le sovrimposte e le addizionali, le relative sanzioni nonché gli interessi e ogni altro accessorio»; 2) nel comma 2, le parole: «relative alla debenza del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto dall’articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, e del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue e per lo smaltimento dei rifiuti urbani, nonché le controversie» sono soppresse; b) il comma 1 dell’articolo 4, è sostituito dal seguente: «1. Le commissioni tributarie provinciali sono competenti per le controversie proposte nei confronti degli enti impositori, degli agenti della riscossione e dei soggetti iscritti all’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, che hanno sede nella loro circoscrizione. Se la controversia è proposta nei confronti di articolazioni dell’Agenzia delle Entrate, con competenza su tutto o parte del territorio nazionale, individuate con il regolamento di amministrazione di cui all’articolo 71 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, è competente la commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso.»; c) l’articolo 10 è sostituito dal seguente: «Art. 10 (Le parti). - 1. Sono parti nel processo dinanzi alle commissioni tributarie oltre al ricorrente, l’ufficio dell’Agenzia delle entrate e dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, gli altri enti impositori, l’agente della riscossione ed i soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, che hanno emesso l’atto impugnato o non hanno emesso l’atto richiesto. Se l’ufficio è un’articolazione dell’Agenzia delle entrate, con competenza su tutto o parte del territorio nazionale, individuata con il regolamento di amministrazione di cui all’articolo 71 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, è parte l’ufficio al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso.»; d) all’articolo 11: 1) il comma 2 è sostituito dal seguente: «2. L’ufficio dell’Agenzia delle entrate e dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 nonché dell’agente della riscossione, nei cui confronti è proposto il ricorso, sta in giudizio direttamente o mediante la struttura territoriale sovraordinata. Stanno altresì in giudizio direttamente le cancellerie o segreterie degli uffici giudiziari per il contenzioso in materia di contributo unificato.»; 2) il comma 3-bis è soppresso. e) l’articolo 12 è sostituito dal seguente: «Art. 12 (Assistenza tecnica). - 1. Le parti, diverse dagli enti impositori, dagli agenti della riscossione e dai soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, devono essere assistite in giudizio da un difensore abilitato. 2. Per le controversie di valore fino a tremila euro le parti possono stare in giudizio senza assistenza tecnica. Per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO 3. Sono abilitati all’assistenza tecnica, se iscritti nei relativi albi professionali o nell’elenco di cui al comma 4: a) gli avvocati; b) i soggetti iscritti nella Sezione A commercialisti dell’Albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili; c) i consulenti del lavoro; d) i soggetti di cui all’articolo 63, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600; e) i soggetti già iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la sub-categoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o di diploma di ragioniere limitatamente alle materie concernenti le imposte di registro, di successione, i tributi locali, l’IVA, l’IRPEF, l’IRAP e l’IRES; f ) i funzionari delle associazioni di categoria che, alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, risultavano iscritti negli elenchi tenuti dalle Intendenze di finanza competenti per territorio, ai sensi dell’ultimo periodo dell’articolo 30, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 636; g) i dipendenti delle associazioni delle categorie rappresentate nel Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (C.N.E.L.) e i dipendenti delle imprese, o delle loro controllate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, primo comma, numero 1), limitatamente alle controversie nelle quali sono parti, rispettivamente, gli associati e le imprese o loro controllate, in possesso del diploma di laurea magistrale in giurisprudenza o in economia ed equipollenti, o di diploma di ragioneria e della relativa abilitazione professionale; h) i dipendenti dei centri di assistenza fiscale (CAF) di cui all’articolo 32 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e delle relative società di servizi, purché in possesso di diploma di laurea magistrale in giurisprudenza o in economia ed equipollenti, o di diploma di ragioneria e della relativa abilitazione professionale, limitatamente alle controversie dei propri assistiti originate da adempimenti per i quali il CAF ha prestato loro assistenza. 4. L’elenco dei soggetti di cui al comma 3, lettere d), e), f ), g) ed h), è tenuto dal Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze che vi provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie di- LEGISLAZIONE sponibili a legislazione vigente senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentito il Ministero della giustizia, emesso ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono disciplinate le modalità di tenuta dell’elenco, nonché i casi di incompatibilità, diniego, sospensione e revoca della iscrizione anche sulla base dei principi contenuti nel codice deontologico forense. L’elenco è pubblicato nel sito internet del Ministero dell’economia e delle finanze. 5. Per le controversie di cui all’articolo 2, comma 2, primo periodo, sono anche abilitati all’assistenza tecnica, se iscritti nei relativi albi professionali: a) gli ingegneri; b) gli architetti; c) i geometri; d) i periti industriali; e) i dottori agronomi e forestali; f ) gli agrotecnici; g) i periti agrari. 6. Per le controversie relative ai tributi doganali sono anche abilitati all’assistenza tecnica gli spedizionieri doganali iscritti nell’apposito albo. 7. Ai difensori di cui ai commi da 1 a 6 deve essere conferito l’incarico con atto pubblico o con scrittura privata autenticata od anche in calce o a margine di un atto del processo, nel qual caso la sottoscrizione autografa è certificata dallo stesso incaricato. All’udienza pubblica l’incarico può essere conferito oralmente e se ne dà atto a verbale. 8. Le Agenzie delle entrate, delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, possono essere assistite dall’Avvocatura dello Stato. 9. I soggetti in possesso dei requisiti richiesti nei commi 3, 5 e 6 possono stare in giudizio personalmente, ferme restando le limitazioni all’oggetto della loro attività previste nei medesimi commi. 10. Si applica l’articolo 182 del codice di procedura civile ed i relativi provvedimenti sono emessi dal presidente della commissione o della sezione o dal collegio.»; f ) all’articolo 15: 1) al comma 1, il secondo periodo è soppresso; 2) i commi 2 e 2-bis sono sostituiti dai seguenti: «2. Le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte dalla commissione tributaria soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate. 2-bis. Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 96, commi primo e terzo, del codice di procedura civile. 85 86 LEGISLAZIONE 2-ter. Le spese di giudizio comprendono, oltre al contributo unificato, gli onorari e i diritti del difensore, le spese generali e gli esborsi sostenuti, oltre il contributo previdenziale e l’imposta sul valore aggiunto, se dovuti. 2-quater. Con l’ordinanza che decide sulle istanze cautelari la commissione provvede sulle spese della relativa fase. La pronuncia sulle spese conserva efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza di merito. 2-quinquies. I compensi agli incaricati dell’assistenza tecnica sono liquidati sulla base dei parametri previsti per le singole categorie professionali. Agli iscritti negli elenchi di cui all’articolo 12, comma 4, si applicano i parametri previsti per i dottori commercialisti e gli esperti contabili. 2-sexies. Nella liquidazione delle spese a favore dell’ente impositore, dell’agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, se assistiti da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto. La riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza. 2-septies. Nelle controversie di cui all’articolo 17bis le spese di giudizio di cui al comma 1 sono maggiorate del 50 per cento a titolo di rimborso delle maggiori spese del procedimento. 2-octies. Qualora una delle parti abbia formulato una proposta conciliativa, non accettata dall’altra parte senza giustificato motivo, restano a carico di quest’ultima le spese del processo ove il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della proposta ad essa effettuata. Se è intervenuta conciliazione le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione.»; g) all’articolo 16: 1) nel comma 1, secondo periodo, le parole: «all’ufficio del Ministero delle finanze ed all’ente locale», sono sostituite dalle seguenti: «agli enti impositori, agli agenti della riscossione ed ai soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446,»; 2) il comma 1-bis è abrogato; CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO 3) nel comma 4, le parole: «L’Ufficio del Ministero delle finanze e l’ente locale», sono sostituite dalle seguenti: «Gli enti impositori, gli agenti della riscossione e i soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446,»; h) dopo l’articolo 16 è inserito il seguente: «Art. 16-bis (Comunicazione e notificazioni per via telematica). 1. Le comunicazioni sono effettuate anche mediante l’utilizzo della posta elettronica certificata, ai sensi del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni. Tra le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, le comunicazioni possono essere effettuate ai sensi dell’articolo 76 del decreto legislativo n. 82 del 2005. L’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore o delle parti è indicato nel ricorso o nel primo atto difensivo. Nei procedimenti nei quali la parte sta in giudizio personalmente e il relativo indirizzo di posta elettronica certificata non risulta dai pubblici elenchi, il ricorrente può indicare l’indirizzo di posta al quale vuol ricevere le comunicazioni. 2. In caso di mancata indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata ovvero di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario, le comunicazioni sono eseguite esclusivamente mediante deposito in segreteria della Commissione tributaria. 3. Le notificazioni tra le parti e i depositi presso la competente Commissione tributaria possono avvenire in via telematica secondo le disposizioni contenute nel decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 23 dicembre 2013, n. 163, e dei successivi decreti di attuazione. 4. L’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata valevole per le comunicazioni e le notificazioni equivale alla comunicazione del domicilio eletto.»; i) all’articolo 17 il comma 3-bis è abrogato; l) l’articolo 17-bis è sostituito dal seguente: «Art. 17-bis (Il reclamo e la mediazione). 1. Per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, il ricorso produce anche gli effetti di un reclamo e può contenere una proposta di mediazione con rideterminazione dell’ammontare della pretesa. Il valore di cui al periodo precedente è determinato secondo le disposizioni di cui all’articolo 12, comma 2. Le controversie di valore indeterminabile non sono reclamabili, ad eccezione di quelle di cui all’articolo 2, comma 2, primo periodo. 2. Il ricorso non è procedibile fino alla scadenza del termine di novanta giorni dalla data di notifica, entro il CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO quale deve essere conclusa la procedura di cui al presente articolo. Si applica la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale. 3. Il termine per la costituzione in giudizio del ricorrente decorre dalla scadenza del termine di cui al comma 2. Se la Commissione rileva che la costituzione è avvenuta in data anteriore rinvia la trattazione della causa per consentire l’esame del reclamo. 4. Le Agenzie delle entrate, delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, provvedono all’esame del reclamo e della proposta di mediazione mediante apposite strutture diverse ed autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili. Per gli altri enti impositori la disposizione di cui al periodo precedente si applica compatibilmente con la propria struttura organizzativa. 5. L’organo destinatario, se non intende accogliere il reclamo o l’eventuale proposta di mediazione, formula d’ufficio una propria proposta avuto riguardo all’eventuale incertezza delle questioni controverse, al grado di sostenibilità della pretesa e al principio di economicità dell’azione amministrativa. L’esito del procedimento rileva anche per i contributi previdenziali e assistenziali la cui base imponibile è riconducibile a quella delle imposte sui redditi. 6. Nelle controversie aventi ad oggetto un atto impositivo o di riscossione, la mediazione si perfeziona con il versamento, entro il termine di venti giorni dalla data di sottoscrizione dell’accordo tra le parti, delle somme dovute ovvero della prima rata. Per il versamento delle somme dovute si applicano le disposizioni, anche sanzionatorie, previste per l’accertamento con adesione dall’articolo 8 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218. Nelle controversie aventi per oggetto la restituzione di somme la mediazione si perfeziona con la sottoscrizione di un accordo nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. L’accordo costituisce titolo per il pagamento delle somme dovute al contribuente. 7. Le sanzioni amministrative si applicano nella misura del trentacinque per cento del minimo previsto dalla legge. Sulle somme dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali non si applicano sanzioni e interessi. 8. La riscossione e il pagamento delle somme dovute in base all’atto oggetto di reclamo sono sospesi fino alla scadenza del termine di cui al comma 2, fermo restando che in caso di mancato perfezionamento della mediazione sono dovuti gli interessi previsti dalle singole leggi d’imposta. 9. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche agli agenti della ri- LEGISLAZIONE scossione ed ai soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446. 10. Il presente articolo non si applica alle controversie di cui all’articolo 47-bis.»; m) all’articolo 18: 1) nel comma 2, lettera c) le parole: «del Ministero delle finanze o dell’ente locale o del concessionario del servizio di riscossione» sono soppresse; 2) il comma 3 è sostituito dal seguente: «3. Il ricorso deve essere sottoscritto dal difensore e contenere l’indicazione: a) della categoria di cui all’articolo 12 alla quale appartiene il difensore; b) dell’incarico a norma dell’articolo 12, comma 7, salvo che il ricorso non sia sottoscritto personalmente; c) dell’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore.»; n) al comma 1, dell’articolo 23, le parole: «L’Ufficio del Ministero delle finanze, l’ente locale o il concessionario del servizio di riscossione», sono sostituite dalle seguenti: «L’ente impositore, l’agente della riscossione ed i soggetti iscritti all’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446»; o) all’articolo 39, dopo il comma 1, sono aggiunti i seguenti: «1-bis. La commissione tributaria dispone la sospensione del processo in ogni altro caso in cui essa stessa o altra commissione tributaria deve risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa. 1-ter. Il processo tributario è altresì sospeso, su richiesta conforme delle parti, nel caso in cui sia iniziata una procedura amichevole ai sensi delle Convenzioni internazionali per evitare le doppie imposizioni stipulate dall’Italia ovvero nel caso in cui sia iniziata una procedura amichevole ai sensi della Convenzione relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate n. 90/463/CEE del 23 luglio 1990.»; p) all’articolo 44, comma 2, secondo periodo, le parole: «,che costituisce titolo esecutivo» sono soppresse; q) all’articolo 46: 1) nel comma 2, le parole: «, salvo quanto diversamente disposto da singole norme di legge», sono soppresse; 2) il comma 3 è sostituito dal seguente: «3. Nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge le spese del giudizio estinto restano a carico della parte che le ha anticipate.»; 87 88 LEGISLAZIONE r) all’articolo 47: 1) nel comma 3, le parole: «con lo stesso decreto, può motivatamente disporre», sono sostituite dalle seguenti: «può disporre con decreto motivato»; 2) nel comma 4, dopo il primo periodo, è aggiunto il seguente: «Il dispositivo dell’ordinanza deve essere immediatamente comunicato alle parti in udienza.»; 3) nel comma 5, il periodo da: «di idonea garanzia» a «indicati nel provvedimento.» è sostituito dal seguente: «della garanzia di cui all’articolo 69, comma 2.»; 4) dopo il comma 8, è aggiunto il seguente: «8-bis. Durante il periodo di sospensione cautelare si applicano gli interessi al tasso previsto per la sospensione amministrativa.»; s) l’articolo 48 è sostituito dal seguente: «Art. 48 (Conciliazione fuori udienza). 1. Se in pendenza del giudizio le parti raggiungono un accordo conciliativo, presentano istanza congiunta sottoscritta personalmente o dai difensori per la definizione totale o parziale della controversia. 2. Se la data di trattazione è già fissata e sussistono le condizioni di ammissibilità, la commissione pronuncia sentenza di cessazione della materia del contendere. Se l’accordo conciliativo è parziale, la commissione dichiara con ordinanza la cessazione parziale della materia del contendere e procede alla ulteriore trattazione della causa. 3. Se la data di trattazione non è fissata, provvede con decreto il presidente della sezione. 4. La conciliazione si perfeziona con la sottoscrizione dell’accordo di cui al comma 1, nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. L’accordo costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente.»; t) dopo l’articolo 48 sono inseriti i seguenti: «Art. 48-bis (Conciliazione in udienza). 1. Ciascuna parte entro il termine di cui all’articolo 32, comma 2, può presentare istanza per la conciliazione totale o parziale della controversia. 2. All’udienza la commissione, se sussistono le condizioni di ammissibilità, invita le parti alla conciliazione rinviando eventualmente la causa alla successiva udienza per il perfezionamento dell’accordo conciliativo. 3. La conciliazione si perfeziona con la redazione del processo verbale nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. Il processo verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO 4. La commissione dichiara con sentenza l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere. Art. 48-ter (Definizione e pagamento delle somme dovute). 1. Le sanzioni amministrative si applicano nella misura del quaranta per cento del minimo previsto dalla legge, in caso di perfezionamento della conciliazione nel corso del primo grado di giudizio e nella misura del cinquanta per cento del minimo previsto dalla legge, in caso di perfezionamento nel corso del secondo grado di giudizio. 2. Il versamento delle somme dovute ovvero, in caso di rateizzazione, della prima rata deve essere effettuato entro venti giorni dalla data di sottoscrizione dell’accordo conciliativo di cui all’articolo 48 o di redazione del processo verbale di cui all’articolo 48-bis. 3. In caso di mancato pagamento delle somme dovute o di una delle rate, compresa la prima, entro il termine di pagamento della rata successiva, il competente ufficio provvede all’iscrizione a ruolo delle residue somme dovute a titolo di imposta, interessi e sanzioni, nonché della sanzione di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, aumentata della metà e applicata sul residuo importo dovuto a titolo di imposta. 4. Per il versamento rateale delle somme dovute si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste per l’accertamento con adesione dall’articolo 8 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218.»; u) all’articolo 49, comma 1, le parole: «escluso l’articolo 337» sono soppresse; v) l’articolo 52 è sostituito dal seguente: «Art. 52 (Giudice competente e provvedimenti sull’esecuzione provvisoria in appello). 1. La sentenza della commissione provinciale può essere appellata alla commissione regionale competente a norma dell’articolo 4, comma 2. 2. L’appellante può chiedere alla commissione regionale di sospendere in tutto o in parte l’esecutività della sentenza impugnata, se sussistono gravi e fondati motivi. Il contribuente può comunque chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto se da questa può derivargli un danno grave e irreparabile. 3. Il presidente fissa con decreto la trattazione della istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima. 4. In caso di eccezionale urgenza il presidente, previa delibazione del merito, può disporre con decreto motivato la sospensione dell’esecutività della sentenza fino alla pronuncia del collegio. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO 5. Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito, provvede con ordinanza motivata non impugnabile. 6. La sospensione può essere subordinata alla prestazione della garanzia di cui all’articolo 69 comma 2. Si applica la disposizione dell’articolo 47, comma 8-bis.»; z) all’articolo 62: 1) nel primo comma, le parole: «comma 1», sono sostituite dalle seguenti: «primo comma»; 2) dopo il comma 2 è inserito il seguente: «2-bis. Sull’accordo delle parti la sentenza della commissione tributaria provinciale può essere impugnata con ricorso per cassazione a norma dell’articolo 360, primo comma, n. 3, del codice di procedura civile.»; aa) dopo l’articolo 62 è inserito il seguente: «Art. 62-bis (Provvedimenti sull’esecuzione provvisoria della sentenza impugnata per cassazione). 1. La parte che ha proposto ricorso per cassazione può chiedere alla commissione che ha pronunciato la sentenza impugnata di sospenderne in tutto o in parte l’esecutività allo scopo di evitare un danno grave e irreparabile. Il contribuente può comunque chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto se da questa può derivargli un danno grave e irreparabile. 2. Il presidente fissa con decreto la trattazione della istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima. 3. In caso di eccezionale urgenza il presidente può disporre con decreto motivato la sospensione dell’esecutività della sentenza fino alla pronuncia del collegio. 4. Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio, provvede con ordinanza motivata non impugnabile. 5. La sospensione può essere subordinata alla prestazione della garanzia di cui all’articolo 69, comma 2. Si applica la disposizione dell’articolo 47, comma 8-bis. 6. La commissione non può pronunciarsi sulle richieste di cui al comma 1 se la parte istante non dimostra di avere depositato il ricorso per cassazione contro la sentenza.»; bb) all’articolo 63, comma 1, le parole: «un anno» sono sostituite dalle seguenti: «sei mesi»; cc) all’articolo 64, il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado dalle commissioni tributarie possono essere impugnate ai sensi dell’articolo 395 del codice di procedura civile.»; dd) all’articolo 65 dopo il comma 3 è aggiunto in fine il seguente: «3-bis. Le parti possono proporre istanze cautelari ai sensi delle disposizioni di cui all’articolo 52, in quanto compatibili.»; LEGISLAZIONE ee) dopo l’articolo 67 è inserito il seguente: «Art. 67-bis (Esecuzione provvisoria). - 1. Le sentenze emesse dalle commissioni tributarie sono esecutive secondo quanto previsto dal presente capo.»; ff ) all’articolo 68: 1) nel comma 1, dopo la lettera c), è aggiunta la seguente: «c-bis. per l’ammontare dovuto nella pendenza del giudizio di primo grado dopo la sentenza della Corte di cassazione di annullamento con rinvio e per l’intero importo indicato nell’atto in caso di mancata riassunzione.» e nell’ultimo periodo del medesimo comma, le parole: «a), b) e c)» sono soppresse; 2) nel comma 2 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «In caso di mancata esecuzione del rimborso il contribuente può richiedere l’ottemperanza a norma dell’articolo 70 alla commissione tributaria provinciale ovvero, se il giudizio è pendente nei gradi successivi, alla commissione tributaria regionale.»; gg) l’articolo 69 è sostituito dal seguente: «Art. 69 (Esecuzione delle sentenze di condanna in favore del contribuente). 1. Le sentenze di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente e quelle emesse su ricorso avverso gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell’articolo 2, comma 2, sono immediatamente esecutive. Tuttavia il pagamento di somme dell’importo superiore a diecimila euro, diverse dalle spese di lite, può essere subordinato dal giudice, anche tenuto conto delle condizioni di solvibilità dell’istante, alla prestazione di idonea garanzia. 2. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emesso ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono disciplinati il contenuto della garanzia sulla base di quanto previsto dall’articolo 38-bis, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, la sua durata nonché il termine entro il quale può essere escussa, a seguito dell’inerzia del contribuente in ordine alla restituzione delle somme garantite protrattasi per un periodo di tre mesi. 3. I costi della garanzia, anticipati dal contribuente, sono a carico della parte soccombente all’esito definitivo del giudizio. 4. Il pagamento delle somme dovute a seguito della sentenza deve essere eseguito entro novanta giorni dalla sua notificazione ovvero dalla presentazione della garanzia di cui al comma 2, se dovuta. 5. In caso di mancata esecuzione della sentenza il contribuente può richiedere l’ottemperanza a norma 89 90 LEGISLAZIONE dell’articolo 70 alla commissione tributaria provinciale ovvero, se il giudizio è pendente nei gradi successivi, alla commissione tributaria regionale.»; hh) l’articolo 69-bis è abrogato; ii) all’articolo 70: 1) nel comma 1, le parole: «Salvo quanto previsto dalle norme del codice di procedura civile per l’esecuzione forzata della sentenza di condanna costituente titolo esecutivo, la», sono sostituite dalla seguente «La»; 2) nel comma 2, le parole: «dall’ufficio del Ministero delle finanze o dall’ente locale dell’obbligo posto a carico della», sono sostituite dalle seguenti: «a carico dell’ente impositore, dell’agente della riscossione o del soggetto iscritto nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, degli obblighi derivanti dalla»; 3) nel comma 4, le parole: «all’ufficio del Ministero delle finanze o all’ente locale obbligato», sono sostituite dalle seguenti: «ai soggetti di cui al comma 2 obbligati»; 4) nei commi 5 e 7, le parole: «del Ministero delle finanze o l’ente locale», sono soppresse; inoltre, sempre nel comma 7, al secondo periodo, le parole: «della legge 8 luglio 1980, n. 319, e successive modificazioni e integrazioni.», sono sostituite dalle seguenti: «del Titolo VII del Capo IV del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115.»; 5) dopo il comma 10 è inserito il seguente: «10-bis. Per il pagamento di somme dell’importo fino a ventimila euro e comunque per il pagamento delle spese di giudizio, il ricorso è deciso dalla Commissione in composizione monocratica.». Art. 10. Norme di coordinamento In vigore dal 1 gennaio 2016 1. All’articolo 63 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, i commi terzo, quarto e quinto sono sostituiti dai seguenti: «Il Ministero dell’economia e delle finanze può autorizzare all’esercizio dell’assistenza tecnica davanti alle commissioni tributarie, se cessati dall’impiego dopo almeno venti anni di effettivo servizio di cui almeno gli ultimi dieci prestati a svolgere attività connesse ai tributi, gli impiegati delle carriere dirigenziale, direttiva e di concetto degli enti impositori e del Ministero nonché gli ufficiali e ispettori CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO della guardia di finanza. L’autorizzazione può essere revocata o sospesa in ogni tempo con provvedimento motivato. Le attività connesse ai tributi sono individuate con il decreto di cui all’articolo 12, comma 4, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546. Ai soggetti di cui al terzo comma, ancorché iscritti in un albo professionale, è vietato di esercitare funzioni di assistenza e di rappresentanza presso gli enti impositori e davanti le commissioni tributarie per un periodo di due anni dalla data di cessazione del rapporto d’impiego. L’esercizio delle funzioni di rappresentanza e assistenza in violazione del presente articolo è punito con la sanzione amministrativa da euro mille a euro cinquemila.». 2. All’articolo 14, comma 3-bis del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, le parole: «comma 5», sono sostituite dalle seguenti: «comma 2»; 3. Al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 19: 1) nel comma 2, le parole: «dell’articolo 47» sono sostituite dalle seguenti: «dell’articolo 52»; 2) nel comma 3, le parole: «idonea garanzia anche a mezzo di fideiussione bancaria o assicurativa.», sono sostituite dalle seguenti: «la garanzia di cui all’articolo 69 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.»; 3) nel comma 6, le parole: «entro novanta giorni dalla comunicazione o notificazione della sentenza.» sono sostituite dalle seguenti: «ai sensi dell’articolo 68, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.»; b) all’articolo 22: 1) nel comma 3, dopo il primo periodo è aggiunto il seguente: «Nel caso in cui la notificazione debba effettuarsi all’estero, il termine è triplicato.»; 2) il comma 4 è sostituito dal seguente: «4. Quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento, il presidente provvede con decreto motivato assunte ove occorra sommarie informazioni. In tal caso fissa, con lo stesso decreto, la camera di consiglio entro un termine non superiore a trenta giorni assegnando all’istante un termine perentorio non superiore a quindici giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. A tale udienza la commissione, con ordinanza, conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati con decreto.»; 3) il comma 5 è soppresso; 4) nel comma 6, le parole: «idonea garanzia mediante cauzione o fideiussione bancaria o assicurativa.», CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO sono sostituite dalle seguenti: «la garanzia di cui all’articolo 69, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.»; 5) il comma 7 è sostituito dal seguente: «7. I provvedimenti cautelari pronunciati ai sensi del comma 1 perdono efficacia: a) se non sono eseguiti nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione; b) se, nel termine di centoventi giorni dalla loro adozione, non viene notificato atto impositivo, di contestazione o di irrogazione; in tal caso, il presidente della commissione su istanza di parte e sentito l’ufficio o l’ente richiedente, dispone la cancellazione dell’ipoteca; c) a seguito della sentenza, anche non passata in giudicato, che accoglie il ricorso avverso gli atti di cui alla lettera b). La sentenza costituisce titolo per la cancellazione dell’ipoteca. In caso di accoglimento parziale, su istanza di parte, il giudice che ha pronunciato la sentenza riduce proporzionalmente l’entità dell’iscrizione o del sequestro; se la sentenza è pronunciata dalla Corte di cassazione, provvede il giudice la cui sentenza è stata impugnata con ricorso per cassazione.». Art. 11. Modifiche al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545 In vigore dal 1 gennaio 2016 1. Al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 2, il comma 1 è sostituito dai seguenti: «1. A ciascuna delle commissioni tributarie provinciali e regionali è preposto un presidente che presiede anche la prima sezione. L’incarico ha durata quadriennale a decorrere dalla data di esercizio effettivo delle funzioni ed è rinnovabile per una sola volta e per un uguale periodo, previa valutazione positiva da parte del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria dell’attività svolta nel primo triennio del quadriennio iniziale. Il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria stabilisce con proprio regolamento il procedimento e le modalità di tale valutazione, garantendo la previa interlocuzione con l’interessato. Il Presidente non può essere nominato tra soggetti che raggiungeranno l’età pensionabile entro i quattro anni successivi alla nomina. 1- bis. A seguito di valutazione negativa da parte del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria e comunque all’esito dell’ottavo anno di esercizio delle funzioni di cui al comma 1, il giudice tributario è LEGISLAZIONE riassegnato a sua richiesta, salvo tramutamento all’esercizio di funzioni analoghe o diverse all’incarico di presidente di sezione nella commissione tributaria a cui era preposto ovvero in quella di precedente provenienza.»; b) all’articolo 6, il comma 1 è sostituito dai seguenti: «1. Con provvedimento del Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria sono istituite sezioni specializzate in relazione a questioni controverse individuate con il provvedimento stesso. 1-bis. I presidenti delle commissioni tributarie assegnano il ricorso ad una delle sezioni tenendo conto, preliminarmente, della specializzazione di cui al comma 1 e applicando successivamente i criteri cronologici e casuali.»; c) all’articolo 7, comma 1, dopo la lettera e) è inserita la seguente: «e-bis) essere muniti di laurea magistrale o quadriennale in materie giuridiche o economicoaziendalistiche;»; d) all’articolo 8, comma 1: 1) nella lettera h), dopo la parola: «partiti» aggiungere le seguenti: «o movimenti»; 2) nella lettera i), le parole: «esercitano la consulenza tributaria,» sono sostituite dalle seguenti: «direttamente o attraverso forme associative, esercitano l’attività di consulenza tributaria,»; e) all’articolo 9, comma 1, dopo le parole: «I componenti delle commissioni tributarie» sono inserite le seguenti: «immessi per la prima volta nel ruolo unico di cui all’articolo 4, comma 40, della legge 12 novembre 2011, n. 183,» ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «In ogni altro caso alla nomina dei componenti di commissione tributaria si provvede con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.»; f ) all’articolo 11 è aggiunto infine il seguente comma: «5-bis. Nei casi di necessità di servizio, il Ministro dell’economia e delle finanze può disporre, su richiesta del Consiglio di presidenza della Giustizia Tributaria, l’anticipazione nell’assunzione delle funzioni.»; g) l’articolo 15 è sostituito dal seguente: «Art. 15 (Vigilanza e sanzioni disciplinari). 1. Il presidente di ciascuna commissione tributaria esercita la vigilanza sugli altri componenti e sulla qualità e l’efficienza dei servizi di segreteria della propria commissione, al fine di segnalarne le risultanze al Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze per i provvedimenti di competenza. Il presidente di ciascuna commissione tributaria regionale esercita la vigilanza sulla attività giurisdizionale delle commissioni tributarie provinciali aventi sede nella circoscrizione della stessa e sui loro componenti. 91 92 LEGISLAZIONE 2. I componenti delle commissioni tributarie, per comportamenti non conformi a doveri o alla dignità del proprio ufficio, sono soggetti alle sanzioni individuate nei commi da 3 a 7. 3. Si applica la sanzione dell’ammonimento per lievi trasgressioni. 4. Si applica la sanzione non inferiore alla censura, per: a) i comportamenti che, violando i doveri di cui al comma 2, arrecano ingiusto danno o indebito vantaggio a una delle parti; b) la consapevole inosservanza dell’obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge; c) i comportamenti che, a causa dei rapporti comunque esistenti con i soggetti coinvolti nel procedimento ovvero a causa di avvenute interferenze, costituiscano violazione del dovere di imparzialità; d) i comportamenti abitualmente o gravemente scorretti nei confronti delle parti, dei loro difensori, o di chiunque abbia rapporti con il giudice nell’ambito della Commissione tributaria, ovvero nei confronti di altri giudici o di collaboratori; e) l’ingiustificata interferenza nell’attività giudiziaria di altro giudice; f ) l’omessa comunicazione al Presidente della Commissione tributaria da parte del giudice destinatario delle avvenute interferenze; g) il perseguimento di fini diversi da quelli di giustizia; h) la scarsa laboriosità, se abituale; i) la grave o abituale violazione del dovere di riservatezza; l) l’uso della qualità di giudice tributario al fine di conseguire vantaggi ingiusti; m) la reiterata e grave inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio adottate dagli organi competenti. 5. Si applica la sanzione non inferiore alla sospensione dalle funzioni per un periodo da un mese a due anni, per: a) il reiterato o grave ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni; b) i comportamenti che, violando i doveri di cui al comma 2, arrecano grave e ingiusto danno o indebito vantaggio a una delle parti; c) l’uso della qualità di giudice tributario al fine di conseguire vantaggi ingiusti, se abituale e grave; d) il frequentare persona che consti essere stata dichiarata delinquente abituale, professionale o per tendenza o aver subìto condanna per delitti non colposi alla pena della reclusione superiore a tre anni o essere sottoposta ad una misura di prevenzione, salvo che sia intervenuta la riabilitazione, ovvero l’intrattenere rapporti consapevoli di affari con una di tali persone. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO 6. Si applica la sanzione dell’incapacità a esercitare un incarico direttivo per l’interferenza, nell’attività di altro giudice tributario, da parte del presidente della commissione o della sezione, se ripetuta o grave. 7. Si applica la rimozione dall’incarico nei casi di recidiva in trasgressioni di cui ai commi 5 e 6.»; h) all’articolo 21: 1) nel comma 1, il primo periodo è sostituito dai seguenti: «Le elezioni del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria hanno luogo entro quattro mesi dallo scadere del precedente Consiglio. Esse sono indette con provvedimento del Presidente del Consiglio di presidenza, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana almeno quarantacinque giorni prima della data stabilita per le elezioni.»; 2) i commi 2 e 2-bis sono sostituiti dai seguenti: «2. Il Presidente del Consiglio di presidenza nomina, con propria delibera, l’ufficio centrale elettorale, che si insedia presso lo stesso Consiglio di presidenza, ed è costituito da un presidente di Commissione tributaria, che lo presiede, e da due giudici tributari. Con la stessa delibera sono nominati, altresì, i tre giudici supplenti, che sostituiscono i componenti effettivi in caso di loro assenza o impedimento. 2-bis. Le candidature devono essere presentate all’ufficio centrale elettorale, a mezzo plico raccomandato, almeno venticinque giorni prima delle elezioni mediante compilazione della apposita scheda di presentazione. Ciascun candidato è presentato da non meno di venti e da non oltre trenta giudici tributari. Le firme di presentazione possono essere apposte e depositate anche su più schede di presentazione, se i candidati raccolgono firme di presentazione in Commissioni diverse da quella di appartenenza. 2-ter. Nessuno può presentare più di un candidato né essere, contemporaneamente, candidato e presentatore di se stesso. L’inosservanza delle disposizioni del presente comma determina la nullità di ogni firma di presentazione proposta dal medesimo soggetto. 2-quater. Nei dieci giorni successivi alla scadenza del termine di cui al comma 3, l’ufficio elettorale centrale accerta che nei confronti del candidato non sussistono le cause di ineleggibilità di cui all’articolo 20. Lo stesso Ufficio verifica, altresì, il rispetto delle disposizioni di cui ai commi 3 e 4, esclude, con provvedimento motivato, le candidature non presentate dal prescritto numero di presentatori ovvero quelle dei candidati ineleggibili, CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO e trasmette immediatamente le candidature ammesse al Consiglio di presidenza della giustizia tributaria. L’elenco dei candidati è pubblicato sul sito istituzionale del Consiglio ed inviato dallo stesso per posta elettronica a tutti i componenti delle Commissioni tributarie. Detto elenco è altresì affisso, a cura dei Presidenti di commissione, presso ciascuna Commissione tributaria. 2-quinquies. Le operazioni elettorali si svolgono presso le sedi delle commissioni tributarie provinciali e regionali e presso ciascuna di queste sedi è istituito l’ufficio elettorale locale, che assicura l’espletamento delle operazioni di voto, composto dal presidente della commissione o da un suo delegato, che lo presiede, e da due giudici tributari, nominati dal presidente delle rispettive commissioni almeno venti giorni prima della data fissata per le elezioni. Sono nominati altresì tre supplenti, i quali sostituiscono i componenti effettivi in caso di loro assenza o impedimento. Non possono far parte degli Uffici elettorali giudici tributari che abbiano riportato sanzioni disciplinari più gravi dell’ammonimento. 2-sexies. Gli uffici elettorali locali presiedono alle operazioni di voto che si svolgono presso di esse e provvedono allo scrutinio di tutte le schede elettorali, previa apertura delle urne e conteggio delle schede, determinando il totale dei voti validi e il totale delle preferenze per ciascun candidato. Le operazioni di scrutinio hanno inizio il giorno successivo a quello di voto e di esse, come pure delle contestazioni decise ai sensi dell’articolo 22, comma 4, si dà atto nel processo verbale. 2-septies. Con regolamento del Consiglio di Presidenza sono stabilite le disposizioni di attuazione del presente articolo.»; i) l’articolo 22 è sostituito dal seguente: «Art. 22 (Votazioni). 1. Ciascun elettore può esprimere il voto per non più di sei candidati. Le schede devono essere preventivamente controfirmate dai componenti dell’ufficio elettorale ed essere riconsegnate chiuse dall’elettore. 2. Il voto, personale, diretto e segreto, viene espresso presso la sede della commissione presso la quale è espletata la funzione giurisdizionale. 3. Gli uffici elettorali locali presiedono alle operazioni di voto che si svolgono presso di esse e provvedono allo scrutinio di tutte le schede elettorali, previa apertura delle urne e conteggio delle schede, determinando il totale dei voti validi e il totale delle preferenze per ciascun candidato. Le operazioni di scrutinio hanno inizio il LEGISLAZIONE giorno successivo a quello di voto e di esse, come pure delle contestazioni decise ai sensi del comma 4, si deve dare atto nel processo verbale delle operazioni. 4. L’ufficio elettorale regionale decide a maggioranza sulle contestazioni sorte durante le operazioni di voto nonché su quelle relative alla validità delle schede, dandone atto nel processo verbale delle operazioni. 5. Al termine delle operazioni elettorali il verbale di scrutinio è trasmesso all’ufficio elettorale centrale che provvede alla proclamazione degli eletti.»; l) all’articolo 23: 1) nel comma 1 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «I nominativi degli eletti sono comunicati al Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria e al Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze.»; 2) dopo il comma 3 sono aggiunti i seguenti: «3-bis. Nei quindici giorni successivi all’emanazione del decreto del Presidente della Repubblica, di cui all’articolo 17, comma 1, il Presidente in carica del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria convoca per l’insediamento il Consiglio nella sua nuova composizione. 3-ter. Il Consiglio di Presidenza scade al termine del quadriennio e continua ad esercitare le proprie funzioni fino all’insediamento del nuovo Consiglio.»; m) all’articolo 24, comma 1, la lettera h) è sostituita dalla seguente:«h) assicura l’aggiornamento professionale dei giudici tributari attraverso l’organizzazione di corsi di formazione permanente, in sede centrale e decentrata nell’ambito degli stanziamenti annuali dell’apposita voce di bilancio in favore dello stesso Consiglio e sulla base di un programma di formazione annuale, comunicato al Ministero dell’economia e delle finanze entro il mese di ottobre dell’anno precedente lo svolgimento dei corsi;»; n) all’articolo 29, il comma 2, è sostituito dal seguente: «2. Il Ministro dell’economia e delle finanze presenta entro il 30 ottobre di ciascun anno una relazione al Parlamento sullo stato della giustizia tributaria nell’anno precedente anche sulla base degli elementi predisposti dal Consiglio di presidenza, con particolare riguardo alla durata dei processi e all’efficacia degli istituti deflattivi del contenzioso.». 2. Il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria adotta il regolamento di cui al comma 1, dell’articolo 2 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, come sostituito dal comma 1, lettera a), del presente articolo entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto. 93 94 LEGISLAZIONE CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23 TITOLO I REVISIONE DEL SISTEMA SANZIONATORIO PENALE TRIBUTARIO Art. 1. Modifica dell’articolo 1 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 In vigore dal 22 ottobre 2015 1. All’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, sono apportate le seguenti modificazioni: a) alla lettera b), dopo le parole: “valore aggiunto”, sono aggiunte le seguenti: “e le componenti che incidono sulla determinazione dell’imposta dovuta”; b) alla lettera c), dopo le parole: “enti o persone fisiche” sono aggiunte le seguenti: “o di sostituto d’imposta, nei casi previsti dalla legge”; c) alla lettera f ), dopo le parole: “scadenza nel relativo termine;” sono aggiunte le seguenti: “non si considera imposta evasa quella teorica e non effettivamente dovuta collegata a una rettifica in diminuzione di perdite dell’esercizio o di perdite pregresse spettanti e utilizzabili;”; d) dopo la lettera g) sono aggiunte le seguenti: «g-bis) per “operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente” si intendono le operazioni apparenti, diverse da quelle disciplinate dall’articolo 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, poste in essere con la volontà di non realizzarle in tutto o in parte ovvero le operazioni riferite a soggetti fittiziamente interposti; g-ter) per “mezzi fraudolenti” si intendono condotte artificiose attive nonché quelle omissive realizzate in violazione di uno specifico obbligo giuridico, che determinano una falsa rappresentazione della realtà.». Art. 2. Modifica dell’articolo 2 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, in materia di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti In vigore dal 22 ottobre 2015 1. All’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, la parola: “annuali” è soppressa. Art. 3. Modifica dell’articolo 3 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, in materia di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici In vigore dal 22 ottobre 2015 1. L’articolo 3 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, è sostituito dal seguente: «Art. 3 (Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici). 1. Fuori dai casi previsti dall’articolo 2, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi, quando, congiuntamente: a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro trentamila; b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, è superiore a euro un milione cinquecentomila, ovvero qualora l’ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell’imposta, è superiore al cinque per cento dell’ammontare dell’imposta medesima o comunque a euro trentamila. 2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria. 3. Ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali.». CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Art. 4. Modifica dell’articolo 4 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, in materia di dichiarazione infedele In vigore dal 22 ottobre 2015 1. All’articolo 4 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, lettera a), la parola: “cinquantamila” è sostituita dalla seguente: “centocinquantamila”; b) al comma 1, lettera b), le parole: “euro due milioni”, sono sostituite dalle seguenti: “euro tre milioni”; c) bis. Ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali. 1-ter. Fuori dei casi di cui al comma 1-bis, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lettere a) e b).”; d) la parola: “fittizi”, ovunque presente, è sostituita dalla seguente: “inesistenti”. Art. 5. Modifica dell’articolo 5 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, in materia di omessa dichiarazione In vigore dal 22 ottobre 2015 1. All’articolo 5 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, sono apportate le seguenti modificazioni: a) il comma 1 è sostituito dai seguenti: “1. E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila. 1-bis. E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni chiunque non presenta, essendovi obbligato, la dichiarazione di sostituto d’imposta, quando l’ammontare delle ritenute non versate è superiore ad euro cinquantamila.”; b) al comma 2, le parole: “dal comma 1” sono sostituite dalle seguenti: “dai commi 1 e 1-bis”. LEGISLAZIONE Art. 6. Modifica dell’articolo 10 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, in materia di occultamento o di distruzione di documenti contabili In vigore dal 22 ottobre 2015 1. All’articolo 10 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, al comma 1, le parole: “da sei mesi a cinque anni” sono sostituite dalle seguenti: “da un anno e sei mesi a sei anni.”. Art. 7. Modifica dell’articolo 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, in materia di omesso versamento di ritenute certificate In vigore dal 22 ottobre 2015 1. All’articolo 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, sono apportate le seguenti modificazioni: a) nella rubrica, dopo la parola: “ritenute” sono inserite le seguenti: “dovute o”; b) nel comma 1, dopo la parola: “ritenute” sono inserite le seguenti: “dovute sulla base della stessa dichiarazione o” e la parola: “cinquantamila” è sostituita dalla seguente: “centocinquantamila”. Art. 8. Modifica dell’articolo 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, in materia di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto In vigore dal 22 ottobre 2015 1. L’articolo 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, è sostituito dal seguente: «Art. 10-ter (Omesso versamento di IVA). - 1. E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta.». Art. 9. Modifica dell’articolo 10-quater del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, in materia di indebita compensazione In vigore dal 22 ottobre 2015 1. L’articolo 10-quater del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, è sostituito dal seguente: «Art. 10-quater (Indebita compensazione). - 1. E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non 95 96 LEGISLAZIONE versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a cinquantamila euro. 2. E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai cinquantamila euro.». Art. 10. Confisca In vigore dal 22 ottobre 2015 1. Dopo l’articolo 12 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, è inserito il seguente: «Art. 12-bis (Confisca). - 1. Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto. 2. La confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta.». Art. 11. Modifica dell’articolo 13 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, in materia di cause di estinzione e circostanze del reato. Pagamento del debito tributario In vigore dal 22 ottobre 2015 1. L’articolo 13 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, è sostituito dal seguente: «Art. 13 (Causa di non punibilità. Pagamento del debito tributario). - 1. I reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO 2. I reati di cui agli articoli 4 e 5 non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali. 3. Qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, anche ai fini dell’applicabilità dell’articolo 13-bis, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo. In tal caso la prescrizione è sospesa. Il Giudice ha facoltà di prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi, qualora lo ritenga necessario, ferma restando la sospensione della prescrizione.». Art. 12. Circostanze del reato In vigore dal 22 ottobre 2015 1. Dopo l’articolo 13 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, è inserito il seguente: «Art. 13-bis (Circostanze del reato). - 1. Fuori dai casi di non punibilità, le pene per i delitti di cui al presente decreto sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell’articolo 12 se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie. 2. Per i delitti di cui al presente decreto l’applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale può essere chiesta dalle parti solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1, nonché il ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all’articolo 13, commi 1 e 2. 3. Le pene stabilite per i delitti di cui al titolo II sono aumentate della metà se il reato è commesso dal concorrente nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale.». CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Art. 13. Custodia giudiziale dei beni sequestrati nell’ambito di procedimenti penali relativi a delitti tributari In vigore dal 22 ottobre 2015 1. Dopo l’articolo 18 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, è inserito il seguente: «Art. 18-bis (Custodia giudiziale dei beni sequestrati). 1. I beni sequestrati nell’ambito dei procedimenti penali relativi ai delitti previsti dal presente decreto e a ogni altro delitto tributario, diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, possono essere affidati dall’autorità giudiziaria in custodia giudiziale, agli organi dell’amministrazione finanziaria che ne facciano richiesta per le proprie esigenze operative. 2. Restano ferme le disposizioni dell’articolo 61, comma 23, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e dell’articolo 2 del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181.». Art. 14. Abrogazioni In vigore dal 22 ottobre 2015 1. Sono abrogati: a) gli articoli 7 e 16 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74; b) il comma 143 dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 244. TITOLO II REVISIONE DEL SISTEMA SANZIONATORIO AMMINISTRATIVO CAPO I SANZIONI TRIBUTARIE NON PENALI IN MATERIA DI IMPOSTE DIRETTE, DI IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO E DI RISCOSSIONE DEI TRIBUTI Art. 15. Modifiche al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 In vigore dal 22 ottobre 2015 1. Al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, sono apportate le seguenti modificazioni: a) l’articolo 1 è sostituito dal seguente: «Art. 1 (Violazioni relative alla dichiarazione delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive). LEGISLAZIONE 1. Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive, si applica la sanzione amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell’ammontare delle imposte dovute, con un minimo di euro 250. Se non sono dovute imposte, si applica la sanzione da euro 250 a euro 1.000. Se la dichiarazione omessa è presentata dal contribuente entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo e, comunque, prima dell’inizio di qualunque attività amministrativa di accertamento di cui abbia avuto formale conoscenza, si applica la sanzione amministrativa dal sessanta al centoventi per cento dell’ammontare delle imposte dovute, con un minimo di euro 200. Se non sono dovute imposte, si applica la sanzione da euro 150 a euro 500. Le sanzioni applicabili quando non sono dovute imposte possono essere aumentate fino al doppio nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili. 2. Se nella dichiarazione è indicato, ai fini delle singole imposte, un reddito o un valore della produzione imponibile inferiore a quello accertato, o, comunque, un’imposta inferiore a quella dovuta o un credito superiore a quello spettante, si applica la sanzione amministrativa dal novanta al centoottanta per cento della maggior imposta dovuta o della differenza del credito utilizzato. La stessa sanzione si applica se nella dichiarazione sono esposte indebite detrazioni d’imposta ovvero indebite deduzioni dall’imponibile, anche se esse sono state attribuite in sede di ritenuta alla fonte. 3. La sanzione di cui al comma precedente è aumentata della metà quando la violazione è realizzata mediante l’utilizzo di documentazione falsa o per operazioni inesistenti, mediante artifici o raggiri, condotte simulatorie o fraudolente. 4. Fuori dai casi di cui al comma 3, la sanzione di cui al comma 2 è ridotta di un terzo quando la maggiore imposta o il minore credito accertati sono complessivamente inferiori al tre per cento dell’imposta e del credito dichiarati e comunque complessivamente inferiori a euro 30.000. La medesima riduzione si applica quando, fuori dai casi di cui al comma 3, l’infedeltà è conseguenza di un errore sull’imputazione temporale di elementi positivi o negativi di reddito, purché il componente positivo abbia già concorso alla determinazione del reddito nell’annualità in cui interviene l’attività di accertamento o in una precedente. Se non vi è alcun danno per l’Erario, la sanzione è pari a euro 250. 5. Per maggiore imposta si intende la differenza tra l’ammontare del tributo liquidato in base all’accerta- 97 98 LEGISLAZIONE mento e quello liquidabile in base alle dichiarazioni ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600. 6. In caso di rettifica del valore normale dei prezzi di trasferimento praticati nell’ambito delle operazioni di cui all’articolo 110, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, da cui derivi una maggiore imposta o una differenza del credito, la sanzione di cui al comma 2 non si applica qualora, nel corso dell’accesso, ispezione o verifica o di altra attività istruttoria, il contribuente consegni all’Amministrazione finanziaria la documentazione indicata in apposito provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate idonea a consentire il riscontro della conformità al valore normale dei prezzi di trasferimento praticati. Il contribuente che detiene la documentazione prevista dal provvedimento di cui al periodo precedente deve darne apposita comunicazione all’Amministrazione finanziaria secondo le modalità e i termini ivi indicati; in assenza di detta comunicazione si rende applicabile la sanzione di cui al comma 2. 7. Nelle ipotesi di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, se nella dichiarazione dei redditi il canone derivante dalla locazione di immobili ad uso abitativo non è indicato o è indicato in misura inferiore a quella effettiva, si applicano in misura raddoppiata, rispettivamente, le sanzioni amministrative previste dai precedenti commi 1 e 2. 8. Se le violazioni previste nei commi 1 e 2 riguardano redditi prodotti all’estero, le sanzioni sono aumentate di un terzo con riferimento alle imposte o alle maggiori imposte relative a tali redditi.»; b) all’articolo 2: 1) nel comma 1, le parole: “lire cinquecentomila” sono sostituite dalle seguenti: “euro 250” ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Se la dichiarazione omessa è presentata dal sostituto entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo e, comunque, prima dell’inizio di qualunque attività amministrativa di accertamento di cui abbia avuto formale conoscenza, si applica la sanzione amministrativa dal sessanta al centoventi per cento dell’ammontare delle ritenute non versate, con un minimo di euro 200.”; 2) nel comma 2, le parole: “dal cento al duecento” sono sostituite dalle seguenti: “dal novanta al centoottanta” e le parole: “lire cinquecentomila” sono sostituite dalle seguenti: “euro 250”; 3) dopo il comma 2, sono inseriti i seguenti: “2-bis. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO La sanzione di cui al comma 2 è aumentata della metà quando la violazione è realizzata mediante l’utilizzo di documentazione falsa, mediante artifici o raggiri, condotte simulatorie o fraudolente. 2-ter. Fuori dai casi di cui al comma 2-bis, la sanzione di cui al comma 2 è ridotta di un terzo quando l’ammontare delle ritenute non versate riferibili alla differenza tra l’ammontare dei compensi, interessi ed altre somme accertati e dichiarati è inferiore al tre per cento delle ritenute riferibili all’ammontare dei compensi, interessi ed altre somme dichiarati e comunque inferiore a euro 30.000.”; 4) nel comma 3, le parole: “da lire cinquecentomila a lire quattro milioni”, sono sostituite dalle seguenti: “da euro 250 a euro 2.000” ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Se la dichiarazione omessa è stata presentata entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, si applica la sanzione da euro 150 a euro 500 e la sanzione del comma 4 è ridotta del cinquanta per cento.”; 5) nel comma 4, le parole: “di lire centomila” sono sostituite dalle seguenti: “di euro 50”; 6) dopo il comma 4 sono inseriti i seguenti: “4-bis. Per ritenute non versate si intende la differenza tra l’ammontare delle maggiori ritenute accertate e quelle liquidabili in base alle dichiarazioni ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600. 4-ter. In caso di rettifica del valore normale dei prezzi di trasferimento praticati nell’ambito delle operazioni di cui all’articolo 110, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, da cui derivi la non corretta applicazione delle aliquote convenzionali sul valore delle royalties e degli interessi attivi che eccede il valore normale previste per l’esercizio della ritenuta di cui all’articolo 25, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, la sanzione di cui al comma 2 non si applica qualora, nel corso dell’accesso, ispezione o verifica o di altra attività istruttoria, il contribuente consegni all’Amministrazione finanziaria la documentazione indicata in apposito provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate idonea a consentire il riscontro della conformità al valore normale dei prezzi di trasferimento praticati. Il contribuente che detiene la documentazione prevista dal provvedimento di cui al periodo prece- CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO dente deve darne apposita comunicazione all’Amministrazione finanziaria secondo le modalità e i termini ivi indicati; in assenza di detta comunicazione si rende applicabile la sanzione di cui al comma 2.”; c) all’articolo 3, comma 1, le parole: “da lire cinquecentomila a lire quattro milioni” sono sostituite dalle seguenti: “da euro 250 a euro 2.000”; d) l’articolo 4 è abrogato; e) all’articolo 5: 1) nel comma 1, ultimo periodo, le parole: “lire cinquecentomila” sono sostituite dalle seguenti: “euro 250” ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Se la dichiarazione omessa è presentata entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo e, comunque, prima dell’inizio di qualunque attività amministrativa di accertamento di cui il soggetto passivo abbia avuto formale conoscenza, si applica la sanzione amministrativa dal sessanta al centoventi per cento dell’ammontare del tributo dovuto per il periodo d’imposta o per le operazioni che avrebbero dovuto formare oggetto di dichiarazione, con un minimo di euro 200.”; 2) nel comma 3, primo periodo, le parole: “da lire cinquecentomila a lire quattro milioni” sono sostituite dalle seguenti: “da euro 250 a euro 2.000”, nel secondo periodo le parole: “periodica o quella” sono soppresse e dopo il secondo periodo è aggiunto il seguente: “Se la dichiarazione omessa è presentata entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo e, comunque, prima dell’inizio di qualunque attività amministrativa di accertamento di cui il soggetto passivo abbia avuto formale conoscenza, si applica la sanzione amministrativa da euro 150 a euro 1.000.”; 3) i commi da 4 a 5 sono sostituiti dai seguenti: “4. Se dalla dichiarazione presentata risulta un’imposta inferiore a quella dovuta ovvero un’eccedenza detraibile o rimborsabile superiore a quella spettante, si applica la sanzione amministrativa dal novanta al centoottanta per cento della maggior imposta dovuta o della differenza di credito utilizzato. 4-bis. La sanzione di cui al comma 4 è aumentata della metà quando la violazione è realizzata mediante l’utilizzo di fatture o altra documentazione falsa o per operazioni inesistenti, mediante artifici o raggiri, condotte simulatorie o fraudolente. LEGISLAZIONE 4-ter. Fuori dai casi di cui al comma 4-bis, la sanzione di cui al comma 4 è ridotta di un terzo quando la maggiore imposta ovvero la minore eccedenza detraibile o rimborsabile accertata è complessivamente inferiore al tre per cento dell’imposta, dell’eccedenza detraibile o rimborsabile dichiarata e, comunque, complessivamente inferiore a euro 30.000. 4-quater. Per imposta dovuta si intende la differenza tra l’ammontare del tributo liquidato in base all’accertamento e quello liquidabile in base alle dichiarazioni, ai sensi dell’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. 5. Chi chiede a rimborso l’eccedenza detraibile risultante dalla dichiarazione in assenza dei presupposti individuati dall’articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, è punito con la sanzione amministrativa pari al trenta per cento del credito rimborsato.”; 5) nel comma 6: a) nel primo periodo, le parole: “nel primo e terzo comma dell’articolo 35” sono sostituite dalle seguenti: “dagli articoli 35 e 35-ter” e le parole: “da lire un milione a lire quattro milioni” sono sostituite dalle seguenti: “da euro 500 a euro 2.000”; b) nel secondo periodo, dopo le parole: “di registrazione” sono inserite le seguenti: “o le comunicazioni” e le parole “comma 1” sono sostituite dalle seguenti: “commi 1 e 4” [3]; f ) all’articolo 6: 1) nel comma 1, primo periodo, le parole: “fra il cento e il duecento” sono sostituite dalle seguenti: “fra il novanta e il centoottanta” e, dopo il secondo periodo, è aggiunto il seguente: “La sanzione è dovuta nella misura da euro 250 a euro 2.000 quando la violazione non ha inciso sulla corretta liquidazione del tributo.”; 2) nel comma 2, primo periodo, le parole: “Chi viola obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni non imponibili, esenti o non soggette ad IVA” sono sostituite dalle seguenti: “Il cedente o prestatore che viola obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni non imponibili, esenti, non soggette a imposta sul valore aggiunto o soggette all’inversione contabile di cui agli articoli 17 e 74, commi settimo e ottavo, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633,” e inoltre, nel secondo periodo, le parole: “da lire cinquecento- 99 100 LEGISLAZIONE 3) 4) 5) 6) 7) mila a lire quattro milioni” sono sostituite dalle seguenti: “da euro 250 a euro 2.000”; nel comma 3, le parole: “da lire cinquecentomila a lire quattro milioni” sono sostituite dalle seguenti: “da euro 250 a euro 2.000”; nel comma 4, le parole: “commi 1, 2, 3 primo e secondo periodo” sono sostituite dalle seguenti: “commi 1, primo e secondo periodo, 2, primo periodo, 3, primo e secondo periodo,” e le parole: “a lire un milione” sono sostituite dalle seguenti: “a euro 500”; nel comma 6, le parole: “uguale all’ammontare” sono sostituite dalle seguenti: “pari al novanta per cento dell’ammontare”; nel comma 8, le parole: “lire cinquecentomila” sono sostituite dalle seguenti: “euro 250”; il comma 9-bis è sostituito dai seguenti: “9-bis. E’ punito con la sanzione amministrativa compresa fra 500 euro e 20.000 euro il cessionario o il committente che, nell’esercizio di imprese, arti o professioni, omette di porre in essere gli adempimenti connessi all’inversione contabile di cui agli articoli 17, 34, comma 6, secondo periodo, e 74, settimo e ottavo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e agli articoli 46, comma 1, e 47, comma 1, del decretolegge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427. Se l’operazione non risulta dalla contabilità tenuta ai sensi degli articoli 13 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, la sanzione amministrativa è elevata a una misura compresa tra il cinque e il dieci per cento dell’imponibile, con un minimo di 1.000 euro. Resta ferma l’applicazione delle sanzioni previste dall’articolo 5, comma 4, e dal comma 6 con riferimento all’imposta che non avrebbe potuto essere detratta dal cessionario o dal committente. Le disposizioni di cui ai periodi precedenti si applicano anche nel caso in cui, non avendo adempiuto il cedente o prestatore agli obblighi di fatturazione entro quattro mesi dalla data di effettuazione dell’operazione o avendo emesso una fattura irregolare, il cessionario o committente non informi l’Ufficio competente nei suoi confronti entro il trentesimo giorno successivo, provvedendo entro lo stesso periodo all’emissione di fattura ai sensi dell’articolo 21 del predetto decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, o alla sua regolarizzazione, e all’assolvimento dell’imposta mediante inversione contabile. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO 9-bis.1. In deroga al comma 9-bis, primo periodo, qualora, in presenza dei requisiti prescritti per l’applicazione dell’inversione contabile l’imposta relativa a una cessione di beni o a una prestazione di servizi di cui alle disposizioni menzionate nel primo periodo del comma 9-bis, sia stata erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, il cessionario o il committente anzidetto non è tenuto all’assolvimento dell’imposta, ma è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro. Al pagamento della sanzione è solidalmente tenuto il cedente o prestatore. Le disposizioni di cui ai periodi precedenti non si applicano e il cessionario o il committente è punito con la sanzione di cui al comma 1 quando l’applicazione dell’imposta nel modo ordinario anziché mediante l’inversione contabile è stata determinata da un intento di evasione o di frode del quale sia provato che il cessionario o committente era consapevole. 9-bis.2. In deroga al comma 1, qualora, in assenza dei requisiti prescritti per l’applicazione dell’inversione contabile l’imposta relativa a una cessione di beni o a una prestazione di servizi di cui alle disposizioni menzionate nel primo periodo del comma 9-bis, sia stata erroneamente assolta dal cessionario o committente, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, il cedente o il prestatore non è tenuto all’assolvimento dell’imposta, ma è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro. Al pagamento della sanzione è solidalmente tenuto il cessionario o committente. Le disposizioni di cui ai periodi precedenti non si applicano e il cedente o prestatore è punito con la sanzione di cui al comma 1 quando l’applicazione dell’imposta mediante l’inversione contabile anziché nel modo ordinario è stata determinata da un intento di evasione o di frode del quale sia provato che il cedente o prestatore era consapevole. 9-bis.3. Se il cessionario o committente applica l’inversione contabile per operazioni esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta, in sede di accertamento devono essere espunti sia il debito computato da tale soggetto nelle liquida- CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO zioni dell’imposta che la detrazione operata nelle liquidazioni anzidette, fermo restando il diritto del medesimo soggetto a recuperare l’imposta eventualmente non detratta ai sensi dell’articolo 26, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e dell’articolo 21, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546. La disposizione si applica anche nei casi di operazioni inesistenti, ma trova in tal caso applicazione la sanzione amministrativa compresa tra il cinque e il dieci per cento dell’imponibile, con un minimo di 1.000 euro.”; 8) nel comma 9-ter la parola: “pari” è sostituita dalle seguenti: “dal 10”; g) all’articolo 7, comma 4-bis, le parole: “prevista nel comma 3” sono sostituite dalle seguenti: “amministrativa da euro 250 a euro 2.000”; h) all’articolo 8: 1) nel comma 1, primo periodo, le parole: “ai fini delle imposte dirette” sono sostituite dalle seguenti: “dei redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive”, le parole: “compresa quella periodica” sono soppresse, le parole “dal Ministro delle finanze” sono sostituite dalle seguenti: “con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate” e le parole “da lire cinquecentomila a lire quattro milioni” sono sostituite dalle seguenti: “da euro 250 a euro 2.000”; 2) nel comma 2, le parole: “l’allegazione alla dichiarazione,” sono soppresse; 3) nel comma 3, le parole: “lire un milione a lire otto milioni” sono sostituite dalle seguenti: “euro 500 a euro 4.000” e le parole: “7 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600” sono sostituite dalle seguenti: “4 del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322”; 4) dopo il comma 3-quater, introdotto dal decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, è inserito il seguente: “3-quinquies. Quando l’omissione o l’incompletezza riguarda le segnalazioni previste dagli articoli 113, comma 6, 124, comma 5-bis e 132, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, dall’articolo 30, comma 4-quater, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 [2] e dall’articolo 1, comma 8, del decretolegge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, si applica una sanzione da euro 2.000 a euro 21.000.”; LEGISLAZIONE i) all’articolo 9: 1) nel comma 1, le parole: “lire due milioni a lire quindici milioni” sono sostituite dalle seguenti: “euro 1.000 a euro 8.000.”; 2) nel comma 3, le parole: “lire cento milioni” sono sostituite dalle seguenti: “euro 50.000”; 3) nel comma 4, le parole: “e 33” sono soppresse, dopo le parole: “n. 633” sono inserite le seguenti: “e 7 del decreto del Presidente della Repubblica 14 ottobre 1999, n. 542,”, le parole da: “ovvero dei regimi” fino a: “ legge 23 dicembre 1996, n. 662” sono soppresse e le parole: “lire cinquantamila a lire cinque milioni” sono sostituite dalle seguenti: “euro 250 a euro 2.500”; 4) il comma 5 è sostituito dal seguente: “5. Se la dichiarazione delle società e degli enti soggetti all’imposta sul reddito delle società sottoposti al controllo contabile ai sensi del codice civile o di leggi speciali non è sottoscritta dai soggetti che sottoscrivono la relazione di revisione ai sensi dell’articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, si applica la sanzione amministrativa fino al trenta per cento del compenso contrattuale relativo all’attività di redazione della relazione di revisione e, comunque, non superiore all’imposta effettivamente accertata a carico del contribuente, con un minimo di euro 250.”; l) all’articolo 10: 1) nel comma 1, le parole: “lire quattro milioni a lire quaranta milioni” sono sostituite dalle seguenti: “euro 2.000 a euro 21.000” e le parole: “il ritardo non eccede i quindici giorni” sono sostituite dalle seguenti: “la trasmissione avviene nei quindici giorni successivi”; 2) nel comma 3, le parole: “Fino a prova contraria, si” sono sostituite dalla seguente: “Si”; 3) nel comma 4, le parole: “nella cui circoscrizione si trova il” sono sostituite dalle seguenti: “competente in relazione al”; m) all’articolo 11: 1) nel comma 1, le parole: “da lire cinquecentomila a lire quattro milioni” sono sostituite dalle seguenti: “da euro 250 a euro 2.000”; 2) nel comma 2, le parole: “gravemente punita” sono sostituite dalla seguente: “grave”; 3) nel comma 4, le parole: “lire un milione a lire due milioni” sono sostituite dalle seguenti: “euro 500 a euro 1.000”; 4) nel comma 5, le parole: “lire due milioni a lire otto milioni” sono sostituite dalle seguenti: “euro 1.000 a euro 4.000”; 101 102 LEGISLAZIONE 5) nel comma 7, le parole: “da lire cinquecentomila a lire quattro milioni” sono sostituite dalle seguenti: “da euro 250 a euro 2.000”; 6) dopo il comma 7 sono aggiunti i seguenti: “7-bis. Quando la garanzia di cui all’articolo 38-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, è presentata dalle società controllate o dall’ente o società controllante, di cui all’articolo 73, terzo comma, del medesimo decreto, con un ritardo non superiore a novanta giorni dalla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione, si applica la sanzione amministrativa da euro 1.000 a euro 4.000. 7-ter. Nei casi in cui il contribuente non presenti l’interpello previsto dall’articolo 11, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante lo Statuto dei diritti del contribuente, si applica la sanzione prevista dall’articolo 8, comma 3-quinquies. La sanzione è raddoppiata nelle ipotesi in cui l’amministrazione finanziaria disconosca la disapplicazione delle norme aventi ad oggetto deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive del soggetto passivo.”; n) all’articolo 12, comma 1, nel primo periodo le parole: “lire cento milioni”, “ottanta milioni” e “centosessanta milioni di lire” sono rispettivamente sostituite dalle seguenti: “euro 50.000”, “euro 40.000” ed “euro 80.000” e nel secondo periodo le parole: “lire duecento milioni” e “centosessanta milioni di lire” sono rispettivamente sostituite dalle seguenti: “euro 100.000” e “euro 80.000”; o) l’articolo 13 è sostituito dal seguente: «Art. 13 (Ritardati od omessi versamenti diretti e altre violazioni in materia di compensazione). 1. Chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile. Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a novanta giorni, la sanzione di cui al primo periodo è ridotta alla metà. Salva l’applicazione dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione di cui al secondo CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO periodo è ulteriormente ridotta a un importo pari a un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo. 2. La sanzione di cui al comma 1 si applica nei casi di liquidazione della maggior imposta ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e ai sensi dell’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. 3. Fuori dei casi di tributi iscritti a ruolo, la sanzione prevista al comma 1 si applica altresì in ogni ipotesi di mancato pagamento di un tributo o di una sua frazione nel termine previsto. 4. Nel caso di utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti si applica, salva l’applicazione di disposizioni speciali, la sanzione pari al trenta per cento del credito utilizzato. 5. Nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute è applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi. Per le sanzioni previste nel presente comma, in nessun caso si applica la definizione agevolata prevista dagli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. 6. Fuori dall’ipotesi di cui all’articolo 11, comma 7bis, sull’ammontare delle eccedenze di credito risultanti dalla dichiarazione annuale dell’ente o società controllante ovvero delle società controllate, compensate in tutto o in parte con somme che avrebbero dovuto essere versate dalle altre società controllate o dall’ente o società controllante, di cui all’articolo 73, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, si applica la sanzione di cui al comma 1 quando la garanzia di cui all’articolo 38-bis del medesimo decreto è presentata oltre il termine di novanta giorni dalla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione annuale. 7. Le sanzioni previste nel presente articolo non si applicano quando i versamenti sono stati tempestivamente eseguiti ad ufficio o concessionario diverso da quello competente.”; CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO p) all’articolo 14, comma 1, le parole da: “, salva” a: “versamento” sono soppresse; q) all’articolo 15: 1) nel comma 1, le parole: “lire duecentomila a lire un milione” sono sostituite dalle seguenti: “euro 100 a euro 500”; 2) dopo il comma 2 è aggiunto il seguente: “2-bis. Per l’omessa presentazione del modello di versamento contenente i dati relativi alla eseguita compensazione, si applica la sanzione di euro 100, ridotta a euro 50 se il ritardo non è superiore a cinque giorni lavorativi.”. Note: [2] NDR: In G.U. è riportato il seguente riferimento normativo non corretto: «legge 30 dicembre 1994, n. 724». [3] NDR: Il testo della presente lettera corrisponde a quanto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. CAPO II SANZIONI AMMINISTRATIVE PER LE VIOLAZIONI DI NORME TRIBUTARIE Art. 16. Modifiche al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 In vigore dal 22 ottobre 2015 1. Al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 2, comma 4, le parole: “delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro” sono sostituite dalle seguenti: “dell’economia e delle finanze”; b) all’articolo 5, il comma 2 è abrogato; c) all’articolo 7: 1) nel comma 3, le parole: “La sanzione può essere” sono sostituite dalle seguenti: “Salvo quanto previsto al comma 4, la sanzione è” e dopo le parole: “all’accertamento” sono inserite le seguenti: “di mediazione e di conciliazione”; 2) nel comma 4, la parola: “eccezionali” è soppressa; 3) dopo il comma 4 è aggiunto il seguente: “4-bis. Salvo quanto diversamente disposto da singole leggi di riferimento, in caso di presentazione di una dichiarazione o di una denuncia entro trenta giorni dalla scadenza del relativo termine, la sanzione è ridotta della metà.”; d) all’articolo 11: 1) nel comma 1 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Se la violazione non è commessa con dolo o colpa grave, la sanzione, determinata anche in esito all’applicazione delle previsioni degli articoli 7, LEGISLAZIONE comma 3, e 12, non può essere eseguita nei confronti dell’autore, che non ne abbia tratto diretto vantaggio, in somma eccedente euro 50.000, salvo quanto disposto dagli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, e salva, per l’intero, la responsabilità prevista a carico della persona fisica, della società, dell’associazione o dell’ente. L’importo può essere adeguato ai sensi dell’articolo 2, comma 4.”; 2) il comma 4 è abrogato; 3) nel comma 5, le parole da: “Quando” a: “grave, il”, sono sostituite dalla seguente: “Il” e le parole: “dall’articolo 5, comma 2” sono sostituite dalle seguenti: “dall’articolo 11, comma 1”; 4) nel comma 6, le parole da: “Per” a: “grave, la”, sono sostituite dalla seguente: “La”; e) all’articolo 12, comma 8, nel primo periodo, dopo le parole: “con adesione,” sono inserite le seguenti: “di mediazione tributaria e di conciliazione giudiziale,” e nel secondo periodo le parole: “, alla conciliazione giudiziale” sono soppresse; f ) all’articolo 13: 1) nel comma 1, lettera a-bis), le parole da: “il novantesimo” a: “dall’errore;” sono sostituite dalle seguenti: “novanta giorni dalla data dell’omissione o dell’errore, ovvero se la regolarizzazione delle omissioni e degli errori commessi in dichiarazione avviene entro novanta giorni dal termine per la presentazione della dichiarazione in cui l’omissione o l’errore è stato commesso;”; 2) nel comma 1-bis, le parole: “e b-ter)” sono sostituite dalle seguenti: “, b-ter) e b-quater)”; g) all’articolo 14, dopo il comma 5 sono aggiunti i seguenti: “5-bis. Salva l’applicazione del comma 4, la disposizione non trova applicazione quando la cessione avviene nell’ambito di una procedura concorsuale, di un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), del predetto decreto o di un procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento o di liquidazione del patrimonio. 5-ter. Le disposizioni del presente articolo si applicano, in quanto compatibili, a tutte le ipotesi di trasferimento di azienda, ivi compreso il conferimento.”. h) all’articolo 23, comma 1, le parole: “, ancorché non definitivo” sono sostituite dalle seguenti: “o provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, ancorché non definitivi”; inoltre le parole: “della somma risultante dall’atto o dalla” sono sostituite dalle seguenti: “di tutti gli importi dovuti in base all’atto o alla”. 103 104 LEGISLAZIONE CAPO III ALTRE DISPOSIZIONI Art. 17. Sanzione applicabile in caso di cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite dei contratti di locazione e di affitto di beni immobili In vigore dal 22 ottobre 2015 1. All’articolo 17 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, dopo il primo periodo è inserito il seguente: “Entro il termine di trenta giorni deve essere presentata all’ufficio presso cui è stato registrato il contratto di locazione la comunicazione relativa alle cessioni, alle risoluzioni e alle proroghe anche tacite dello stesso.”. b) dopo il comma 1, è inserito il seguente: “1-bis. Chi non esegue, in tutto o in parte, il versamento relativo alle cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite dei contratti di cui al comma 1 è sanzionato ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471.”; c) il comma 2 è soppresso. 2. All’articolo 3, comma 3, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, dopo il primo periodo è aggiunto il seguente: “In caso di mancata presentazione della comunicazione relativa alla risoluzione del contratto di locazione per il quale è stata esercitata l’opzione per l’applicazione dell’imposta cedolare secca, entro trenta giorni dal verificarsi dell’evento, si applica la sanzione in misura fissa pari a euro 67, ridotta a euro 35 se presentata con ritardo non superiore a trenta giorni.”. Art. 18. Altre modifiche in materia di sanzioni ai fini dell’imposta di registro In vigore dal 22 ottobre 2015 1. Al titolo VII del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 69, comma 1, dopo il primo periodo è aggiunto il seguente: “Se la richiesta di registrazione è effettuata con ritardo non superiore a 30 giorni, si applica la sanzione amministrativa dal sessanta al centoventi per cento dell’ammontare delle imposte dovute, con un minimo di euro 200.”; b) all’articolo 72, comma 1, le parole: “dal duecento al quattrocento per cento” sono sostituite dalle seguenti: “dal centoventi al duecentoquaranta per cento”. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Art. 19. Associazioni sportive dilettantistiche In vigore dal 22 ottobre 2015 1. Al comma 5 dell’articolo 25 della legge 13 maggio 1999, n. 133, le parole: “la decadenza dalle agevolazioni di cui alla legge 16 dicembre 1991, n. 398, e successive modificazioni, recante disposizioni tributarie relative alle associazioni sportive dilettantistiche, e” sono soppresse. Art. 20. Modifica dell’atto di recupero In vigore dal 22 ottobre 2015 1. All’articolo 1, comma 421, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, dopo le parole: “ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni,” sono aggiunte le seguenti: “nonché per il recupero delle relative sanzioni e interessi”. Art. 21. Violazioni in materia di certificazione unica In vigore dal 22 ottobre 2015 1. All’articolo 4, comma 6-quinquies, del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, sono apportate le seguenti modificazioni: a) nel secondo periodo, dopo le parole: “del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472” sono aggiunte le seguenti: “, con un massimo di euro 50.000 per sostituto di imposta”; b) dopo l’ultimo periodo è aggiunto il seguente: “Se la certificazione è correttamente trasmessa entro sessanta giorni dal termine previsto nel primo periodo, la sanzione è ridotta a un terzo, con un massimo di euro 20.000.”. Art. 22. Violazioni degli obblighi di comunicazione degli enti e delle casse aventi esclusivamente fine assistenziale In vigore dal 22 ottobre 2015 1. All’articolo 78, comma 26, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, sono apportate le seguenti modificazioni: a) nel quarto periodo, dopo le parole: “decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472” sono aggiunte le seguenti: “, con un massimo di euro 50.000 per soggetto terzo”; b) dopo l’ultimo periodo è aggiunto il seguente: “Se la comunicazione è correttamente trasmessa entro sessanta giorni dalla scadenza di cui al comma 25, la sanzione è ridotta a un terzo, con un massimo di euro 20.000”. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Art. 23. Violazioni degli obblighi di comunicazione al Sistema tessera sanitaria In vigore dal 22 ottobre 2015 1. All’articolo 3 del decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175, dopo il comma 5 è aggiunto il seguente: «5-bis. In caso di omessa, tardiva o errata trasmissione dei dati di cui ai commi 3 e 4 si applica la sanzione di euro 100 per ogni comunicazione, in deroga a quanto previsto dall’articolo 12 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, con un massimo di euro 50.000. Nei casi di errata comunicazione dei dati la sanzione non si applica se la trasmissione dei dati corretti è effettuata entro i cinque giorni successivi alla scadenza, ovvero, in caso di segnalazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, entro i cinque successivi alla segnalazione stessa. Se la comunicazione è correttamente trasmessa entro sessanta giorni dalla scadenza prevista, la sanzione è ridotta a un terzo con un massimo di euro 20.000.». Art. 24. Riduzione sanzionatoria in caso di rettifiche del CAF o del professionista In vigore dal 22 ottobre 2015 1. All’articolo 39, comma 1, lettera a), sesto periodo, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, le parole: “nella misura prevista dall’articolo 13, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472” sono sostituite dalle seguenti: “a un nono del minimo”. Art. 25. Procedimento di computo in diminuzione delle perdite in accertamento In vigore dal 22 ottobre 2015 1. All’articolo 42 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, dopo il terzo comma è aggiunto il seguente: «Fatte salve le previsioni di cui all’articolo 40-bis del presente decreto, sono computate in diminuzione dei maggiori imponibili di cui al secondo comma le perdite relative al periodo d’imposta oggetto di accertamento, fino a concorrenza del loro importo. Dai maggiori imponibili che residuano dall’eventuale computo in diminuzione di cui al periodo precedente, il contribuente ha facoltà di chiedere che siano computate in diminuzione le perdite pregresse non utilizzate, fino a concorrenza del loro importo. A tal fine, il contribuente deve presentare un’apposita istanza all’ufficio competente all’emissione dell’avviso di accertamento di cui al se- LEGISLAZIONE condo comma, entro il termine di proposizione del ricorso. In tale caso il termine per l’impugnazione dell’atto è sospeso per un periodo di sessanta giorni. L’ufficio procede al ricalcolo dell’eventuale maggiore imposta dovuta, degli interessi e delle sanzioni correlate, e comunica l’esito al contribuente, entro sessanta giorni dalla presentazione dell’istanza. Ai fini del presente comma per perdite pregresse devono intendersi quelle che erano utilizzabili alla data di chiusura del periodo d’imposta oggetto di accertamento ai sensi dell’articolo 8 e dell’articolo 84 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.». 2. All’articolo 7 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, dopo il comma 1-bis è aggiunto il seguente: «1-ter. Fatte salve le previsioni di cui all’articolo 9-bis del presente decreto, il contribuente ha facoltà di chiedere che siano computate in diminuzione dai maggiori imponibili le perdite di cui al quarto comma dell’articolo 42 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, non utilizzate, fino a concorrenza del loro importo.». 3. All’articolo 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, dopo il comma 3 è aggiunto il seguente: «3-bis. A seguito dello scomputo delle perdite dai maggiori imponibili effettuato ai sensi del secondo periodo del quarto comma dell’articolo 42 del presente decreto, del comma 3 dell’articolo 40-bis del presente decreto, del comma 1-ter dell’articolo 7 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, del comma 2 dell’articolo 9-bis del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, l’amministrazione finanziaria provvede a ridurre l’importo delle perdite riportabili ai sensi dell’articolo 8 e dell’articolo 84 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, nell’ultima dichiarazione dei redditi presentata. A seguito dello scomputo delle perdite dai maggiori imponibili effettuato ai sensi del primo periodo del quarto comma dell’articolo 42 del presente decreto, l’amministrazione finanziaria provvede a ridurre l’importo delle perdite riportabili ai sensi dell’articolo 8 e dell’articolo 84 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, nelle dichiarazioni dei redditi successive a quella oggetto di rettifica e, qualora emerga un maggiore imponibile, procede alla rettifica ai sensi del primo e secondo comma dell’articolo 42 del presente decreto.». 4. Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono stabiliti i contenuti e le modalità di presentazione dell’istanza di cui ai precedenti commi, nonché le conseguenti attività dell’ufficio competente.[4] 105 106 LEGISLAZIONE 5. Le disposizioni di cui ai commi precedenti entrano in vigore il 1° gennaio 2016, con riferimento ai periodi di imposta per i quali, alla predetta data, sono ancora pendenti i termini di cui all’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600. Note: [4] In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il Provvedimento 8 aprile 2016. Art. 26. Ulteriori modifiche in materia di imposta di registro In vigore dal 22 ottobre 2015 1. All’articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 dopo il comma 1 è aggiunto il seguente: «1-bis. Per i decreti di trasferimento e gli atti da essi ricevuti, i cancellieri devono richiedere la registrazione entro sessanta giorni da quello in cui il provvedimento è stato emanato.». Art. 27. Modifiche in materia di imposte ipotecaria e catastale In vigore dal 22 ottobre 2015 1. All’articolo 6, comma 2, del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347, le parole: “trenta giorni” sono sostituite dalle seguenti: “centoventi giorni”. 2. All’articolo 9 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, dopo il primo periodo è aggiunto il seguente: “Se la richiesta di trascrizione o le annotazioni obbligatorie sono effettuate con un ritardo non superiore a trenta giorni, si applica la sanzione amministrativa dal cinquanta al cento per cento dell’ammontare delle imposte dovute.”; b) al comma 2, le parole: “da lire duecentomila a lire quattro milioni.” sono sostituite dalle seguenti: “da euro 100 a euro 2.000, ridotta a euro 50 se la richiesta è effettuata con ritardo non superiore a trenta giorni.”. Art. 28. Modifiche in materia di imposta sulle successioni e donazioni In vigore dal 22 ottobre 2015 1. All’articolo 50, comma 1, secondo periodo, del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, le parole: “da lire cinquecentomila a lire due milioni” sono sostituite dalle CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO seguenti: “da euro 250 a euro 1.000”; inoltre, dopo il secondo periodo sono aggiunti i seguenti: “Se la dichiarazione è presentata con un ritardo non superiore a trenta giorni, si applica la sanzione amministrativa dal sessanta al centoventi per cento dell’ammontare dell’imposta liquidata o riliquidata dall’ufficio. Se non è dovuta imposta si applica la sanzione amministrativa da euro 150 a euro 500.”. Art. 29. Modifiche in materia di imposta di bollo In vigore dal 22 ottobre 2015 1. Al titolo V del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 24, comma 1, le parole: “lire duecentomila a lire quattrocentomila” sono sostituite dalle seguenti: “euro 100 a euro 200”; b) all’articolo 25, comma 3, dopo il primo periodo è aggiunto il seguente: “Se la dichiarazione di conguaglio è presentata con un ritardo non superiore a trenta giorni, si applica la sanzione amministrativa dal cinquanta al cento per cento dell’ammontare dell’imposta dovuta.”. Art. 30. Modifiche in materia di imposta sugli intrattenimenti In vigore dal 22 ottobre 2015 1. All’articolo 32 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 640, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1: 1) nel primo periodo, le parole: “lire un milione” sono sostituite dalle seguenti: “euro 500”; 2) è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “La sanzione è dovuta nella misura da euro 250 a euro 2.000 quando la violazione non ha inciso sulla corretta liquidazione del tributo.”; b) al comma 2: 1) nel primo periodo, le parole: “lire cinquecentomila” sono sostituite dalle seguenti: “euro 250”; 2) è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Se la dichiarazione di cui all’articolo 2 e quella di cui all’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1999, n. 544, da presentarsi, rispettivamente, entro dieci giorni dalla fine di ciascun anno sociale, ed entro il quinto giorno successivo al termine della data della manifestazione, LEGISLAZIONE CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO sono presentate con un ritardo non superiore a trenta giorni, si applica la sanzione amministrativa dal cinquanta al cento per cento dell’ammontare dell’imposta con un minimo di 150 euro.”; c) al comma 3, primo periodo, dopo le parole: “non documentato” sono aggiunte le seguenti: “con un minimo di euro 500”. 2. All’articolo 33 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 640, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, le parole: “lire cinquecentomila a lire due milioni” sono sostituite dalle seguenti: “euro 250 a euro 1.000”; b) il comma 4 è abrogato. Art. 31. Modifiche in materia di fatture per operazioni inesistenti In vigore dal 22 ottobre 2015 1. Nell’articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, il comma 7 è sostituito dal seguente: “7. Se il cedente o prestatore emette fattura per operazioni inesistenti, ovvero se indica nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura.”. TITOLO III DECORRENZA DEGLI EFFETTI, ABROGAZIONI E DISPOSIZIONI FINANZIARIE Art. 32. Decorrenza degli effetti e abrogazioni In vigore dal 1 gennaio 2016 1. Le disposizioni di cui al Titolo II del presente decreto si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2016. [5] 2. A decorrere dal 1° gennaio 2016 sono abrogate le seguenti disposizioni:[6] a) gli articoli 32 e 33 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446; b) l’articolo 27, comma 18, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2; c) l’articolo 19, comma 4, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241; d) l’articolo 3, comma 5, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23; 3. Nell’articolo 34, comma 4, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, le parole: “di cui al decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461” sono soppresse. Note: [5] Comma così modificato dall’ art. 1, comma 133, L. 28 dicembre 2015, n. 208, a decorrere dal 1° gennaio 2016. [6] Alinea così modificato dall’ art. 1, comma 133, L. 28 dicembre 2015, n. 208, a decorrere dal 1° gennaio 2016. Art. 33. Disposizione finanziaria In vigore dal 22 ottobre 2015 1. Agli oneri derivanti dal presente decreto, valutati in 40 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2017, si provvede mediante corrispondente riduzione della dotazione del Fondo di cui all’articolo 16, comma 1, ultimo periodo, della legge 11 marzo 2014, n. 23. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. 2. Il Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento delle finanze e l’Agenzia delle entrate effettuano il monitoraggio degli effetti finanziari in termini di minor gettito derivante dalla rimodulazione delle sanzioni previste dal presente decreto e, nel caso si verifichi o sia in procinto di verificarsi uno scostamento rispetto alle previsioni, il Ministro dell’economia e delle finanze presenta al Parlamento una apposita relazione in cui sono indicate le cause dello scostamento e gli interventi specifici da adottare per il mantenimento degli equilibri di finanza pubblica, ai sensi dell’articolo 17, comma 13, della legge 31 dicembre 2009, n. 196. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. 107 108 LEGISLAZIONE CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, come modificato dal DL 24/9/2015 n. 158 TITOLO I DEFINIZIONI Art. 1 Definizioni In vigore dal 22 ottobre 2015 Testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 1, comma 1, lett. a), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 1. Ai fini del presente decreto legislativo: a) per “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi; b) per “elementi attivi o passivi” si intendono le componenti, espresse in cifra, che concorrono, in senso positivo o negativo, alla determinazione del reddito o delle basi imponibili rilevanti ai fini dell’applicazione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto e le componenti che incidono sulla determinazione dell’imposta dovuta; [3] c) per “dichiarazioni” si intendono anche le dichiarazioni presentate in qualità di amministratore, liquidatore o rappresentante di società, enti o persone fisiche o di sostituto d’imposta, nei casi previsti dalla legge; [4] d) il “fine di evadere le imposte” e il “fine di consentire a terzi l’evasione” si intendono comprensivi, rispettivamente, anche del fine di conseguire un indebito rimborso o il riconoscimento di un inesistente credito d’imposta, e del fine di consentirli a terzi; e) riguardo ai fatti commessi da chi agisce in qualità di amministratore, liquidatore o rappresentante di società, enti o persone fisiche, il “fine di evadere le imposte” ed il “fine di sottrarsi al pagamento” si intendono riferiti alla società, all’ente o alla persona fisica per conto della quale si agisce; f) per “imposta evasa” si intende la differenza tra l’imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione, ovvero l’intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta o comunque in pagamento di detta imposta prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine; non si considera imposta evasa quella teorica e non effettivamente dovuta collegata a una rettifica in diminuzione di perdite dell’esercizio o di perdite pregresse spettanti e utilizzabili; [5] g) le soglie di punibilità riferite all’imposta evasa si intendono estese anche all’ammontare dell’indebito rimborso richiesto o dell’inesistente credito di imposta esposto nella dichiarazione; g-bis) per “operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente” si intendono le operazioni apparenti, diverse da quelle disciplinate dall’articolo 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, poste in essere con la volontà di non realizzarle in tutto o in parte ovvero le operazioni riferite a soggetti fittiziamente interposti; [6] g-ter) per “mezzi fraudolenti” si intendono condotte artificiose attive nonché quelle omissive realizzate in violazione di uno specifico obbligo giuridico, che determinano una falsa rappresentazione della realtà [6] Note: [3] Lettera così modificata dall’ art. 1, comma 1, lett. a), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158. [4] Lettera così modificata dall’ art. 1, comma 1, lett. b), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158. [5]Lettera così modificata dall’ art. 1, comma 1, lett. c), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158. [6] Lettera aggiunta dall’ art. 1, comma 1, lett. d), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO TITOLO II DELITTI CAPO I DELITTI IN MATERIA DI DICHIARAZIONE Art. 2. Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti [9] [10] [11] In vigore dal 22 ottobre 2015 Testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 2, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 1. E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi. [8] 2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria. 3. Se l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a euro 154.937,07 (lire trecento milioni), si applica la reclusione da sei mesi a due anni. [7] Note: [7] Comma abrogato dall’ art. 2, comma 36-vicies semel, lettera a), D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148; per l’applicazione di tale disposizione, vedi comma 36-vicies bis del predetto art. 2, D.L. n. 138/2011. [8] Comma così modificato dall’ art. 2, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158. [9] Sull’esclusione della punibilità per i reati di cui al presente articolo, vedi l’art. 5-quinquies, commi 1, lett. a), e 2, D.L. 28 giugno 1990, n. 167, aggiunto dall’ art. 1, comma 1, L. 15 dicembre 2014, n. 186. [10] PER MEMORIA: - Per l’esclusione della notizia di reato in caso di determinazione di ricavi e compensi mediante applicazione degli studi di settore, cfr. art. 10, comma 6, legge 8 maggio 1998, n. 146 . - Per l’inapplicabilità delle disposizioni relative al patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti nei confronti di imputati di reati tributari, cfr. art. 91, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 . - Per l’irrilevanza penale della definizione automatica per gli anni pregressi, cfr. art. 7, comma 12, legge 27 dicembre 2002, n. 289 . LEGISLAZIONE - Per l’esclusione della punibilità in caso di integrazione degli imponibili per gli anni pregressi, cfr. art. 8, comma 6, lettera c), legge 27 dicembre 2002, n. 289 . - Per l’esclusione della notizia di reato in caso di integrazione degli imponibili per gli anni pregressi, cfr. art. 8, comma 12, legge 27 dicembre 2002, n. 289 . - Per l’esclusione della punibilità in caso di definizione automatica per gli anni pregressi, cfr. art. 9, comma 10, lettera c), legge 27 dicembre 2002, n. 289 . - Per l’inammissibilità della definizione degli accertamenti, degli atti di contestazione, degli avvisi di irrogazione delle sanzioni, degli inviti al contraddittorio e dei processi verbali di constatazione, cfr. art. 15, comma 1, legge 27 dicembre 2002, n. 289 . - Per l’esclusione della punibilità in caso di definizione degli accertamenti, degli atti di contestazione, degli avvisi di irrogazione delle sanzioni, degli inviti al contraddittorio e dei processi verbali di constatazione, cfr. art. 15, comma 7, legge 27 dicembre 2002, n. 289 . - Per l’esclusione della punibilità in caso di collaborazione volontaria, cfr. art. 5-quinquies, commi 1, lett. a), e 2, D.L. 28 giugno 1990, n. 167. [11] PER MEMORIA: - Per la concessione dell’indulto per reati commessi fino al 2 maggio 2006, cfr. art. 1, comma 1 , legge 31 luglio 2006, n. 241. - Per la confisca dei beni, cfr. art. 1, comma 143, legge 24 dicembre 2007, n. 244. Art. 3. Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici [12] [13] In vigore dal 22 ottobre 2015 Testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 3, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 1. Fuori dai casi previsti dall’articolo 2, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi, quando, congiuntamente: a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro trentamila; b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cen- 109 110 LEGISLAZIONE CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO to dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, è superiore a euro un milione cinquecentomila, ovvero qualora l’ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell’imposta, è superiore al cinque per cento dell’ammontare dell’imposta medesima o comunque a euro trentamila. 2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria. 2. Ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali. 1-bis. Ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali.[17] 1-ter. Fuori dei casi di cui al comma 1-bis, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lettere a) e b). [17] Note: [12] Articolo modificato dall’art. 2, comma 36-vicies semel, lett. b) e c), D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148; per l’applicazione di tale disposizione, vedi il comma 36vicies bis del medesimo art. 2, D.L. n. 138/2011. Successivamente il presente articolo è stato così sostituito dall’ art. 3, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158. [13] Sull’esclusione della punibilità per i reati di cui al presente articolo, vedi l’art. 5-quinquies, commi 1, lett. a), e 2, D.L. 28 giugno 1990, n. 167, aggiunto dall’ art. 1, comma 1, L. 15 dicembre 2014, n. 186. Note: [14] Lettera modificata dall’art. 2, comma 36-vicies semel, lettera d), D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148; per l’applicazione di tale disposizione, vedi comma 36vicies bis del predetto art. 2, D.L. n. 138/2011. Successivamente la presente lettera è stata così modificata dall’ art. 4, comma 1, lett. a), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158. [15] Lettera modificata dall’art. 2, comma 36-vicies semel, lettera e), D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148; per l’applicazione di tale disposizione, vedi comma 36vicies bis del predetto art. 2, D.L. n. 138/2011. Successivamente la presente lettera è stata così modificata dall’ art. 4, comma 1, lett. b) e d), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158. [16] Alinea così modificato dall’ art. 4, comma 1, lett. d), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158. [17] Comma aggiunto dall’ art. 4, comma 1, lett. c), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158. [18] PER MEMORIA: - Per il rimpatrio e/o la regolarizzazione di attività detenute all’estero, cfr. art. 14, commi 1, lettera c) e comma 7, art. 15, comma 1 e art. 16, comma 1, D.L. 25 settembre 2001, n. 350. - Per l’estinzione dei reati in caso di regolarizzazione del lavoro sommerso, cfr. art. 1, comma 3, legge 18 ottobre 2001, n. 383 . - Per l’imposta sostitutiva sul costo del lavoro irregolare per gli anni pregressi, cfr. art. 1, comma 3, legge 18 ottobre 2001, n. 383 . - Per l’inapplicabilità delle disposizioni relative al patro- Art. 4. Dichiarazione infedele [18] [19] In vigore dal 22 ottobre 2015 Testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 4, comma 1, lett. d), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente: [16] a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centocinquantamila; [14] b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro tre milioni [15]. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO cinio a spese dello Stato per i non abbienti nei confronti di imputati di reati tributari, cfr. art. 91, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 . - Per l’esclusione della punibilità per i redditi derivanti da attività detenute all’estero rimpatriate o regolarizzate, cfr. testo originario art. 6, comma 1, lettera f ), D.L. 24 dicembre 2002, n. 282 e testo originario art. 20, comma 1, lettera f), legge 27 dicembre 2002, n. 289 . - Per l’irrilevanza penale della definizione automatica per gli anni pregressi, cfr. art. 7, comma 12, legge 27 dicembre 2002, n. 289 . - Per l’esclusione della punibilità in caso di integrazione degli imponibili per gli anni pregressi, cfr. art. 8, comma 6, lettera c), legge 27 dicembre 2002, n. 289 . - Per l’esclusione della notizia di reato in caso di integrazione degli imponibili per gli anni pregressi, cfr. art. 8, comma 12, legge 27 dicembre 2002, n. 289 . - Per l’esclusione della punibilità in caso di definizione automatica per gli anni pregressi, cfr. art. 9, comma 10, lettera c), legge 27 dicembre 2002, n. 289 . - Per l’esclusione della punibilità in caso di definizione degli accertamenti, degli atti di contestazione, degli avvisi di irrogazione delle sanzioni, degli inviti al contraddittorio e dei processi verbali di constatazione, cfr. art. 15, comma 7, legge 27 dicembre 2002, n. 289 . - Per l’esclusione della punibilità in caso di collaborazione volontaria, cfr. art. 5-quinquies, commi 1, lett. a), e 2, D.L. 28 giugno 1990, n. 167. [19] PER MEMORIA: - Per la concessione dell’indulto per reati commessi fino al 2 maggio 2006, cfr. art. 1, comma 1 , legge 31 luglio 2006, n. 241. - Per la confisca dei beni, cfr. art. 1, comma 143, legge 24 dicembre 2007, n. 244 . Art. 5. Omessa dichiarazione [23] [24] In vigore dal 22 ottobre 2015 Testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 5, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 1. E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila. [20] 1-bis. E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni chiunque non presenta, essendovi obbligato, la dichiarazione di sostituto d’imposta, quan- LEGISLAZIONE do l’ammontare delle ritenute non versate è superiore ad euro cinquantamila. [21] 2. Ai fini della disposizione prevista dai commi 1 e 1bis non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.[22] Note: [20] Comma modificato dall’art. 2, comma 36-vicies semel, lettera f ), D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148; per l’applicazione di tale disposizione, vedi comma 36vicies bis del predetto art. 2, D.L. n. 138/2011. Successivamente il presente comma è stato così sostituito dall’ art. 5, comma 1, lett. a), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, che ha sostituito l’originario comma 1 con gli attuali commi 1 e 1-bis. [21] Comma inserito dall’ art. 5, comma 1, lett. a), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, che ha sostituito l’originario comma 1 con gli attuali commi 1 e 1-bis. [22] Comma così modificato dall’ art. 5, comma 1, lett. b), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158. [23] PER MEMORIA: - Per il rimpatrio e/o la regolarizzazione di attività detenute all’estero, cfr. art. 14, commi 1, lettera c) e comma 7, art. 15, comma 1 e art. 16, comma 1, D.L. 25 settembre 2001, n. 350. - Per l’estinzione dei reati in caso di regolarizzazione del lavoro sommerso, cfr. art. 1, comma 3, legge 18 ottobre 2001, n. 383 . - Per l’imposta sostitutiva sul costo del lavoro irregolare per gli anni pregressi, cfr. art. 1, comma 3, legge 18 ottobre 2001, n. 383 . - Per l’inapplicabilità delle disposizioni relative al patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti nei confronti di imputati di reati tributari, cfr. art. 91, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 . - Per l’esclusione della punibilità per i redditi derivanti da attività detenute all’estero rimpatriate o regolarizzate, cfr. testo originario art. 6, comma 1, lettera f ), D.L. 24 dicembre 2002, n. 282 e testo originario art. 20, comma 1, lettera f ), legge 27 dicembre 2002, n. 289 . - Per l’irrilevanza penale della definizione automatica per gli anni pregressi, cfr. art. 7, comma 12, legge 27 dicembre 2002, n. 289 . - Per l’esclusione della punibilità in caso di integrazione degli imponibili per gli anni pregressi, cfr. art. 8, comma 6, lettera c), legge 27 dicembre 2002, n. 289 . - Per l’esclusione della notizia di reato in caso di integra- 111 112 LEGISLAZIONE zione degli imponibili per gli anni pregressi, cfr. art. 8, comma 12, legge 27 dicembre 2002, n. 289. - Per l’esclusione della punibilità in caso di definizione automatica per gli anni pregressi, cfr. art. 9, comma 10, lettera c), legge 27 dicembre 2002, n. 289 . - Per l’esclusione della punibilità in caso di definizione degli accertamenti, degli atti di contestazione, degli avvisi di irrogazione delle sanzioni, degli inviti al contraddittorio e dei processi verbali di constatazione, cfr. art. 15, comma 7, legge 27 dicembre 2002, n. 289. - Per l’esclusione della punibilità in caso di collaborazione volontaria, cfr. art. 5-quinquies, commi 1, lett. a), e 2, D.L. 28 giugno 1990, n. 167. [24] PER MEMORIA: - Per la concessione dell’indulto per reati commessi fino al 2 maggio 2006, cfr. art. 1, comma 1 , legge 31 luglio 2006, n. 241 - Per la confisca dei beni, cfr. art. 1, comma 143, legge 24 dicembre 2007, n. 244. Art. 6. Tentativo In vigore dal 15 aprile 2000 1. I delitti previsti dagli articoli 2, 3 e 4 non sono comunque punibili a titolo di tentativo . Art. 7. Rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio [27] In vigore dal 22 ottobre 2015 1. Non danno luogo a fatti punibili a norma degli articoli 3 e 4 le rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio eseguite in violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza ma sulla base di metodi costanti di impostazione contabile, nonché le rilevazioni e le valutazioni estimative rispetto alle quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio. 2. In ogni caso, non danno luogo a fatti punibili a norma degli articoli 3 e 4 le valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al dieci per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste nel comma 1, lettere a) e b), dei medesimi articoli. ] Note: [25] Articolo abrogato dall’ art. 14, comma 1, lett. a), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO CAPO II DELITTI IN MATERIA DI DOCUMENTI E PAGAMENTO DI IMPOSTE Art. 8. Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti [27] In vigore dal 17 settembre 2011 Testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 2, comma 36-vicies semel, lettera g), D.L. 13 agosto 2011, n. 138, modificato in sede di conversione 1. E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. 2. Ai fini dell’applicazione della disposizione prevista dal comma 1, l’emissione o il rilascio di più fatture o documenti per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta si considera come un solo reato. 3. Se l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti è inferiore a euro 154.937,07 (lire trecento milioni) per periodo di imposta, si applica la reclusione da sei mesi a due anni. [26] Note: [26] Comma abrogato dall’ art. 2, comma 36-vicies semel, lettera g), D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148; per l’applicazione di tale disposizione, vedi comma 36vicies bis del predetto art. 2, D.L. n. 138/2011. [27] PER MEMORIA: - Per la concessione dell’indulto per reati commessi fino al 2 maggio 2006, cfr. art. 1, comma 1 , legge 31 luglio 2006, n. 241. - Per la confisca dei beni, cfr. art. 1, comma 143, legge 24 dicembre 2007, n. 244. Art. 9. Concorso di persone nei casi di emissione o utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti In vigore dal 15 aprile 2000 1. In deroga all’articolo 110 del codice penale: a) l’emittente di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo non è punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall’articolo 2; b) chi si avvale di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo non è punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall’articolo 8 . CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO LEGISLAZIONE Art. 10. Occultamento o distruzione di documenti contabili [29][30] In vigore dal 22 ottobre 2015 Art. 10-bis. Omesso versamento di ritenute dovute o certificate [32][31][34][35] In vigore dal 22 ottobre 2015 Testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 6, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari. [28] Testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 7, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 1. E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta. [33] Note: [28] Comma così modificato dall’ art. 6, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158. [29] PER MEMORIA: - Per l’inapplicabilità delle disposizioni relative al patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti nei confronti di imputati di reati tributari, cfr. art. 91, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - Per l’irrilevanza penale della definizione automatica per gli anni pregressi, cfr. art. 7, comma 12, legge 27 dicembre 2002, n. 289 . - Per l’esclusione della punibilità in caso di integrazione degli imponibili per gli anni pregressi, cfr. art. 8, comma 6, lettera c), legge 27 dicembre 2002, n. 289 . - Per l’esclusione della notizia di reato in caso di integrazione degli imponibili per gli anni pregressi, cfr. art. 8, comma 12, legge 27 dicembre 2002, n. 289 . - Per l’esclusione della punibilità in caso di definizione automatica per gli anni pregressi, cfr. art. 9, comma 10, lettera c), legge 27 dicembre 2002, n. 289 . - Per l’inammissibilità della definizione degli accertamenti, degli atti di contestazione, degli avvisi di irrogazione delle sanzioni, degli inviti al contraddittorio e dei processi verbali di constatazione, cfr. art. 15, comma 1, legge 27 dicembre 2002, n. 289 . - Per l’esclusione della punibilità in caso di definizione degli accertamenti, degli atti di contestazione, degli avvisi di irrogazione delle sanzioni, degli inviti al contraddittorio e dei processi verbali di constatazione, cfr. art. 15, comma 7, legge 27 dicembre 2002, n. 289 . [30] PER MEMORIA: - Per la concessione dell’indulto per reati commessi fino al 2 maggio 2006, cfr. art. 1, comma 1 , legge 31 luglio 2006, n. 241. Note: [31] Articolo inserito dall’art. 1, comma 414, L. 30 dicembre 2004, n. 311, a decorrere dal 1° gennaio 2005. [32] Rubrica così modificata dall’ art. 7, comma 1, lett. a), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158. [33] Comma così modificato dall’ art. 7, comma 1, lett. b), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158. [34] Sull’esclusione della punibilità per i reati di cui al presente articolo, vedi l’art. 5-quinquies, commi 1, lett. a), e 2, D.L. 28 giugno 1990, n. 167, aggiunto dall’ art. 1, comma 1, L. 15 dicembre 2014, n. 186. [35] PER MEMORIA: - Per la concessione dell’indulto per reati commessi fino al 2 maggio 2006, cfr. art. 1, comma 1 , legge 31 luglio 2006, n. 241. - Per la confisca dei beni, cfr. art. 1, comma 143, legge 24 dicembre 2007, n. 244. Art. 10-ter Omesso versamento di IVA [36][37] In vigore dal 22 ottobre 2015 Testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 8, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 1. E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta. Note: [36] Articolo inserito dall’art. 35, comma 7, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, e, successivamente, così sostituito dall’ art. 8, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158. [37] Sull’esclusione della punibilità per i reati di cui al presente articolo, vedi l’art. 5-quinquies, commi 1, lett. a), e 2, D.L. 28 giugno 1990, n. 167, aggiunto dall’ art. 1, comma 1, L. 15 dicembre 2014, n. 186. 113 114 LEGISLAZIONE Art. 10-quater Indebita compensazione [38] In vigore dal 22 ottobre 2015 Testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 9, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 1. E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a cinquantamila euro. 2. E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai cinquantamila euro. Note: [38] Articolo inserito dall’art. 35, comma 7, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, e, successivamente, così sostituito dall’ art. 9, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158. Art. 11. Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte [39][40][41] In vigore dal 31 maggio 2010 Testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 29, comma 4, D.L 31 maggio 2010, n. 78 1. E’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni. 2. E’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di ottenere per sé o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila. Se l’ammontare di cui al periodo precedente è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Note: [39] Articolo così sostituito dall’art. 29, comma 4, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122. [40] PER MEMORIA: - Per l’inapplicabilità delle disposizioni relative al patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti nei confronti di imputati di reati tributari, cfr. art. 91, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 . [41] PER MEMORIA: - Per la concessione dell’indulto per reati commessi fino al 2 maggio 2006, cfr. art. 1, comma 1 , legge 31 luglio 2006, n. 241. - Per la confisca dei beni, cfr. art. 1, comma 143, legge 24 dicembre 2007, n. 244. TITOLO III DISPOSIZIONI COMUNI Art. 12. Pene accessorie In vigore dal 17 settembre 2011 Testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 2, comma 36-vicies semel, lettera h), D.L. 13 agosto 2011, n. 138, modificato in sede di conversione 1. La condanna per taluno dei delitti previsti dal presente decreto importa: a) l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a tre anni; b) l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni; c) l’interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a cinque anni; d) l’interdizione perpetua dall’ufficio di componente di commissione tributaria; e) la pubblicazione della sentenza a norma dell’articolo 36 del codice penale. 2. La condanna per taluno dei delitti previsti dagli articoli 2, 3 e 8 importa altresì l’interdizione dai pubblici uffici per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni, salvo che ricorrano le circostanze previste dagli articoli 2, comma 3, e 8, comma 3. 2-bis. Per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del presente decreto l’istituto della sospensione condizionale della pena di cui all’articolo 163 del codice penale non trova applicazione nei casi in cui ricorrano congiunta- CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO mente le seguenti condizioni: a) l’ammontare dell’imposta evasa sia superiore al 30 per cento del volume d’affari; b) l’ammontare dell’imposta evasa sia superiore a tre milioni di euro. [42] Note: [42] Comma aggiunto dall’ art. 2, comma 36-vicies semel, lettera h), D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148; per l’applicazione di tale disposizione, vedi comma 36vicies bis del predetto art. 2, D.L. n. 138/2011. Art. 12-bis Confisca [43] In vigore dal 22 ottobre 2015 Testo introdotto dall’art. 10, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 1. Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto. 2. La confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta. Note: [43] Articolo inserito dall’ art. 10, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158. Art. 13. Causa di non punibilità. Pagamento del debito tributario [44] In vigore dal 22 ottobre 2015 Testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 11, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 1. I reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso. LEGISLAZIONE 2. I reati di cui agli articoli 4 e 5 non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali. 3. Qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, anche ai fini dell’applicabilità dell’articolo 13-bis, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo. In tal caso la prescrizione è sospesa. Il Giudice ha facoltà di prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi, qualora lo ritenga necessario, ferma restando la sospensione della prescrizione. Note: [44] Articolo modificato dall’ art. 2, comma 36-vicies semel, lett. i) e m), D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148; per l’applicazione di tale disposizione, vedi comma 36vicies bis del predetto art. 2, D.L. n. 138/2011. Successivamente il presente articolo è stato così sostituito dall’ art. 11, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158. Art. 13-bis Circostanze del reato [45] In vigore dal 22 ottobre 2015 Testo introdotto dall’art. 12, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 1. Fuori dai casi di non punibilità, le pene per i delitti di cui al presente decreto sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell’articolo 12 se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie. 2. Per i delitti di cui al presente decreto l’applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale può essere chiesta dalle parti solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1, nonché il ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all’articolo 13, commi 1 e 2. 115 116 LEGISLAZIONE 3. Le pene stabilite per i delitti di cui al titolo II sono aumentate della metà se il reato è commesso dal concorrente nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale. Note: [45] Articolo inserito dall’ art. 12, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158. Art. 14. Circostanza attenuante. Riparazione dell’offesa nel caso di estinzione per prescrizione del debito tributario In vigore dal 15 aprile 2000 1. Se i debiti indicati nell’articolo 13 risultano estinti per prescrizione o per decadenza, l’imputato di taluno dei delitti previsti dal presente decreto può chiedere di essere ammesso a pagare, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, una somma, da lui indicata, a titolo di equa riparazione dell’offesa recata all’interesse pubblico tutelato dalla norma violata. 2. La somma, commisurata alla gravità dell’offesa, non può essere comunque inferiore a quella risultante dal ragguaglio a norma dell’articolo 135 del codice penale della pena minima prevista per il delitto contestato. 3. Il giudice, sentito il pubblico ministero, se ritiene congrua la somma, fissa con ordinanza un termine non superiore a dieci giorni per il pagamento . 4. Se il pagamento è eseguito nel termine, la pena è diminuita fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell’articolo 12. Si osserva la disposizione prevista dal comma 3 dell’articolo 13. 5. Nel caso di assoluzione o di proscioglimento la somma pagata è restituita. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Art. 16. Adeguamento al parere del Comitato per l’applicazione delle norme antielusive[46] In vigore dal 22 ottobre 2015 1. Non dà luogo a fatto punibile a norma del presente decreto la condotta di chi, avvalendosi della procedura stabilita dall’articolo 21, commi 9 e 10, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, si è uniformato ai pareri del Ministero delle finanze o del Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive previsti dalle medesime disposizioni, ovvero ha compiuto le operazioni esposte nell’istanza sulla quale si è formato il silenzio-assenso. ] Note: [46] Articolo abrogato dall’ art. 14, comma 1, lett. a), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158. Art. 17. Interruzione della prescrizione In vigore dal 17 settembre 2011 1. Il corso della prescrizione per i delitti previsti dal presente decreto è interrotto, oltre che dagli atti indicati nell’articolo 160 del codice penale, dal verbale di constatazione o dall’atto di accertamento delle relative violazioni. 1-bis. I termini di prescrizione per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del presente decreto sono elevati di un terzo.[47] Note: [47] Comma aggiunto dall’ art. 2, comma 36-vicies semel, lettera l), D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148; per l’applicazione di tale disposizione, vedi comma 36vicies bis del predetto art. 2, D.L. n. 138/2011. Art. 18. Competenza per territorio In vigore dal 15 aprile 2000 Art. 15. Violazioni dipendenti da interpretazione delle norme tributarie In vigore dal 15 aprile 2000 1. Al di fuori dei casi in cui la punibilità è esclusa a norma dell’articolo 47, terzo comma, del codice penale, non danno luogo a fatti punibili ai sensi del presente decreto le violazioni di norme tributarie dipendenti da obiettive condizioni di incertezza sulla loro portata e sul loro ambito di applicazione. 1. Salvo quanto previsto dai commi 2 e 3, se la competenza per territorio per i delitti previsti dal presente decreto non può essere determinata a norma dell’articolo 8 del codice di procedura penale, è competente il giudice del luogo di accertamento del reato. 2. Per i delitti previsti dal capo I del titolo II il reato si considera consumato nel luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale. Se il domicilio fiscale è all’estero è competente il giudice del luogo di accertamento del reato. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO 3. Nel caso previsto dal comma 2 dell’articolo 8, se le fatture o gli altri documenti per operazioni inesistenti sono stati emessi o rilasciati in luoghi rientranti in diversi circondari, è competente il giudice di uno di tali luoghi in cui ha sede l’ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall’articolo 335 del codice di procedura penale. Art. 18-bis Custodia giudiziale dei beni sequestrati [48] In vigore dal 22 ottobre 2015 Testo introdotto dall’art. 13, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 1. I beni sequestrati nell’ambito dei procedimenti penali relativi ai delitti previsti dal presente decreto e a ogni altro delitto tributario, diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, possono essere affidati dall’autorità giudiziaria in custodia giudiziale, agli organi dell’amministrazione finanziaria che ne facciano richiesta per le proprie esigenze operative. 2. Restano ferme le disposizioni dell’articolo 61, comma 23, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e dell’articolo 2 del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181. Note: [48] Articolo inserito dall’ art. 13, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158. TITOLO IV RAPPORTI CON IL SISTEMA SANZIONATORIO AMMINISTRATIVO E FRA PROCEDIMENTI Art. 19. Principio di specialità In vigore dal 15 aprile 2000 1. Quando uno stesso fatto è punito da una delle disposizioni del titolo II e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale. 2. Permane, in ogni caso, la responsabilità per la sanzione amministrativa dei soggetti indicati nell’articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, che non siano persone fisiche concorrenti nel reato. LEGISLAZIONE Art. 20. Rapporti tra procedimento penale e processo tributario In vigore dal 15 aprile 2000 1. Il procedimento amministrativo di accertamento ed il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione. Art. 21. Sanzioni amministrative per le violazioni ritenute penalmente rilevanti In vigore dal 15 aprile 2000 1. L’ufficio competente irroga comunque le sanzioni amministrative relative alle violazioni tributarie fatte oggetto di notizia di reato. 2. Tali sanzioni non sono eseguibili nei confronti dei soggetti diversi da quelli indicati dall’articolo 19, comma 2, salvo che il procedimento penale sia definito con provvedimento di archiviazione o sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto. In quest’ultimo caso, i termini per la riscossione decorrono dalla data in cui il provvedimento di archiviazione o la sentenza sono comunicati all’ufficio competente; alla comunicazione provvede la cancelleria del giudice che li ha emessi. 3. Nei casi di irrogazione di un’unica sanzione amministrativa per più violazioni tributarie in concorso o continuazione fra loro, a norma dell’articolo 12 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, alcune delle quali soltanto penalmente rilevanti, la disposizione del comma 2 del presente articolo opera solo per la parte della sanzione eccedente quella che sarebbe stata applicabile in relazione alle violazioni non penalmente rilevanti. TITOLO V DISPOSIZIONI DI COORDINAMENTO E FINALI Art. 22. Modalità di documentazione dell’avvenuta estinzione dei debiti tributari In vigore dal 15 aprile 2000 1. Con decreto del Ministero delle finanze [50], emanato entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, sono stabilite le modalità di documentazione dell’avvenuta estinzione dei debiti tributari indicati nell’articolo 13 e di versamento delle somme indicate nell’articolo 14, comma 3 . [49] Cfr. D.M. 13 giugno 2000. 117 118 LEGISLAZIONE Art. 23. Modifiche in tema di utilizzazione di documenti da parte della Guardia di finanza In vigore dal 15 aprile 2000 1. Nell’articolo 63, primo comma, secondo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e nell’articolo 33, terzo comma, secondo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, le parole: “previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria in relazione alle norme che disciplinano il segreto” sono sostituite dalle seguenti: “previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria, che può essere concessa anche in deroga all’articolo 329 del codice di procedura penale”. Art. 24. Modifica dell’articolo 2 della legge 26 gennaio 1983, n. 18 In vigore dal 15 aprile 2000 1. L’ottavo comma dell’articolo 2 della legge 26 gennaio 1983, n. 18, è sostituito dal seguente: “Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque manomette o comunque altera gli apparecchi misuratori previsti nell’articolo 1 o fa uso di essi allorché siano stati manomessi o alterati o consente che altri ne faccia uso al fine di eludere le disposizioni della presente legge è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 1.032,91 (lire due milioni) a euro 7.746,85 (lire quindici milioni). Con la stessa sanzione è punito, salvo che il fatto costituisca reato, chiunque, allo stesso fine, forma in tutto o in parte stampati, documenti o registri prescritti dai decreti indicati nell’articolo 1 o li altera e ne fa uso o consente che altri ne faccia uso; nonché chiunque, senza avere concorso nella falsificazione, fa uso degli stessi stampati, documenti o registri.”. Art. 25. Abrogazioni In vigore dal 15 aprile 2000 a) b) c) d) 1. Sono abrogati: l’articolo 97, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602; l’articolo 8, undicesimo comma, della legge 10 maggio 1976, n. 249; l’articolo 7, settimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 6 ottobre 1978, n. 627; il titolo I del decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982, n. 516; CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO e) l’articolo 3, quarto comma, della legge 25 novembre 1983, n. 649; f ) cembre 1983, n. 746, convertito, con modificazioni, nella legge 27 febbraio 1984, n. 17; g) l’articolo 1, quarto comma, secondo periodo, del decreto-legge 28 novembre 1984, n. 791, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 gennaio 1985, n. 6; h) l’articolo 2, commi 27 e 28, e l’articolo 3, comma 14, del decreto-legge 19 dicembre 1984, n. 853, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 1985, n. 17; i) l’articolo 12, comma 13, della legge 30 dicembre 1991, n. 413; l) l’articolo 54, comma 8, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427; m) l’articolo 6, comma 1, del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30. 2. E’ abrogata ogni altra disposizione incompatibile con il presente decreto. GIURISPRUDENZA CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Rassegna di Giurisprudenza a cura di Roberto Lunelli Estratti e massime non ufficiali delle prime Sentenze/Ordinanze emesse dalle Commissioni tributarie e dalla Cassazione sul contenzioso tributario post D.Lgs. 156/2015 (lett. A); e sul cd. “doppio binario” post D.Lgs. 158/2015 (lett. B), distinguendo sanzioni amministrative (B1) e penali (B2); nonché, per completezza, alcune massime sul “ne bis in idem” (B3) e sul principio di specialità (B4), estratte da pronunce della Corte di Giustizia UE e della Corte di cassazione (Civile/Penale)] Documento aggiornato al 5.10.2016 A. CONTENZIOSO TRIBUTARIO (D.Lgs. 156/2015) Art. 15 C.T.P. Treviso, 15/01/2016, 99 “Questa Commissione dubita della legittimità costituzionale dell’articolo 15, co. 2-quater, come modificato da decreto legislativo n. 156/2015, per violazione dell’articolo 76 Cost. e ritiene, in particolare, che la disposizione normativa che estende la condanna alle spese anche alla fase cautelare sia viziata dall’eccesso di delega. La previsione della condanna alle spese nella fase cautelare non può ritenersi coerente con la ratio della legge che nulla prevede sul punto”. C.T.P. Reggio Emilia, 19/01/2016, n. 7 “La norma di natura processuale di cui all’art. 15, co. 2-quater, D.Lgs. 546/1992, introdotto dall’art. 9, co. 10, D.Lgs. 156/2015, nella parte in cui dispone che, con l’ordinanza che decide sulle istanze cautelari, la Commissione provvede sulle spese della relativa fase, in mancanza di diversa disposizione di diritto transitorio, non è suscettibile di applicazione retroattiva e, pertanto, non può trovare applicazione ai giudizi introdotti prima della sua entrata in vigore, avvenuta il 1° gennaio 2016”. porta il consequenziale annullamento degli avvisi di accertamento Ici, senza che il giudice tributario possa avere il potere di compiere alcun accertamento catastale incidenter tantum ai sensi dell’art. 34 c.p.c.”. Art. 47 C.T.P. Milano, 30/05/2016, 4771 “Solo con l’art. 9, comma 1, lett. r), n. 4) del D.Lgs. 156 del 24 settembre 2015 il Legislatore ha introdotto il “nuovo” comma 8-bis dell’art. 47 D.Lgs. 546/92 con il quale ha esteso anche alla sospensione giudiziale gli interessi previsti per la sospensione amministrativa. (…) Se l’applicabilità, in via analogica, dell’interesse al tasso del 4,5% fosse stata pacifica, non vi sarebbe stato alcun bisogno di introdurre il nuovo comma 8-bis; se, invece, il Legislatore avesse voluto confermare che tale interesse risultava già applicabile, lo avrebbe fatto con una norma d’interpretazione autentica”. Art. 62-bis C.T.R. Bari, 29/02/2016, n. 217 “Ai fini della sospensione di cui al co. 1 dell’art. 62-bis, D.Lgs. 546/1992, introdotto dall’art. 9, D.Lgs. 156/2015, il presupposto da considerare è la gravità ed irreparabilità del danno che potrebbe derivare della esecuzione e per la valutazione della sua sussistenza non si deve porre mente alla fondatezza o meno della impugnazione”. Art. 69 C.T.P. Venezia, 20/06/2016, 316 “E’ immediatamente esecutiva la sentenza che dispone il rimborso dell’imposta e la condanna alle spese legali dell’ufficio se il giudice non ritiene necessaria alcuna garanzia”. B. DOPPIO BINARIO Art. 39 Corte di Cassazione, 17/06/2016, 12570 “L’art. 39, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 546 del 1992, a seguito dell’aggiunta introdotta dall’art. 9, co. 1, del D.Lgs. 156/2015,ha consacrato in legge l’istituto della sospensione necessaria per pregiudizialità interna. Ne deriva che, in ipotesi di impugnazione delle rendite catastali e degli avvisi di accertamento Ici che su tali rendite si fondano, l’annullamento delle rendite catastali com- B1. Sanzioni amministrative (D.Lgs. 158/2015) C.T.P.La Spezia, 25/01/2016, n. 151 “In materia di sanzioni non è ammessa una interpretazione analogica e, infatti, se il Legislatore ha sentito il bisogno di inserire una specifica previsione sanzionatoria [cfr. la “nuova” versione dell’art. 13, co. 4, D.Lgs. 471/1997] significa che prima non era prevista alcuna sanzione”. 119 120 GIURISPRUDENZA Corte di Cassazione, 19/05/2016, n. 10394 “La Corte (…), rilevato il mutamento in melius del trattamento sanzionatorio della fattispecie di cui si tratta (falsa dichiarazione) derivante dalla novella del D.Lgs. n. 158 del 2015 (ex articolo 15) è tenuta a provvedere, in applicazione dell’art. 3 del D.Lgs. n. 472 del 1997, all’annullamento del capo del provvedimento che irroga le sanzioni, con conseguente restituzione della controversia al giudice del merito, affinché rinnovi l’apprezzamento in punto di determinazione della sanzione alla luce della disciplina sopravvenuta, in applicazione della regola del “favor rei””. Corte di Cassazione, 09/08/2016, n. 16679 “I più favorevoli trattamenti sanzionatori di cui all’art. 6, co. 9-bis, n. 3, introdotto dal Decreto di riforma del sistema sanzionatorio tributario (D.Lgs. 158/2015), non trovano applicazione nel caso di operazioni imponibili soggettivamente inesistenti ancorché regolate in regime domestico di inversione contabile. (…). Tuttavia il decreto di riforma ha quasi completamente ridisegnato e fortemente ridimensionato il sistema sanzionatorio tributario. Vale, dunque, il dettato del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3, che ha esteso il principio del favor rei anche al settore fiscale, sancendo l’applicazione retroattiva delle più favorevoli norme sanzionatorie sopravvenute, che devono essere applicate, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, e quindi anche in sede di legittimità, all’unica condizione che il provvedimento sanzionatorio non sia divenuto definitivo. Pertanto, se è in contestazione l’an della violazione tributaria, sussiste ancora controversia sulla debenza delle sanzioni e s’impone l’applicazione del più favorevole regime sanzionatorio sopravvenuto. Ciò è compito devoluto al giudice di merito che dovrà;(a) traguardare la fattispecie concretamente accertata dal giudice d’appello attraverso il nuovo assetto punitivo introdotto dal D.Lgs. n. 158 del 2015; (b) individuare le ipotesi sanzionatorie confacenti in continuità precettiva con l’originaria contestazione del Fisco (D.Lgs. n. 471 del 1997, art.5, comma 4, art. 6, comma 6, art. 9, commi 1 e 3); (c) graduarne la portata nei limiti comunitari di quanto strettamente necessario per assicurare l’esatta riscossione ed evitare l’evasione dell’imposizione sul valore aggiunto, operando se del caso parziale disapplicazione del diritto interno”. B2. Sanzioni penali (D.Lgs. 158/2015) Corte di Cassazione, Sez. Pen., 13/01/2016, n. 891 “Anche quando l’evasore fiscale ha patteggiato, la confisca può colpire l’intero importo dei ricavi in nero o dei costi fittizi per ciascun concorrente nel reato. Il D.Lgs. 158 del 2015 salva i contribuenti che, anche prima dell’entrata in vigore, hanno accumulato un debito fiscale al di sotto della soglia prevista”. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Corte di Cassazione, Sez. Pen., 25/01/2016, n. 3098 “La formula assolutoria da utilizzare in ipotesi di mancata integrazione della soglia di punibilità nel delitto previsto dall’art. 10-ter D.Lgs. n. 74/2000 – vuoi perché, essendo stato contestato un fatto integrante la soglia, lo stesso è invece risultato, a seguito dell’accertamento processuale, sotto soglia oppure vuoi perché, come nel caso di specie, la soglia di punibilità è stata elevata a seguito della declaratoria di incostituzionalità della disposizione che la prevede o, ancora, vuoi perché tale elevazione sia da attribuire allo ius superveniens – è di semplice soluzione. Ciò perché le Sezioni Unite penali hanno affermato che - nel caso in cui manchi un elemento costitutivo, di natura oggettiva del reato contestato - l’assoluzione dell’imputato va deliberata con la formula “il fatto non sussiste”, non con quella “il fatto non è previsto dalla legge come reato””. Corte di Cassazione, Sez. Pen., 11/02/2016, n. 5726 “Anche dopo la riforma attuata con il D.Lgs. 158 del 2015, nell’ambito di un’inchiesta per fatture false non può essere disposto il sequestro probatorio su un bene che non sia strettamente correlato all’illecito o corpo del reato”. Corte di Cassazione, Sez. Pen., 11/02/2016, n. 5728 “Anche dopo la riforma dei reati fiscali introdotta con il decreto 158 del 2015, la confisca può essere disposta sui debiti rateizzati con le Entrate per la parte non ancora versata; la misura è, invece, inefficace in relazione alla quota già pagata dal contribuente”. Corte di Cassazione, Sez. Pen., 15/02/2016, n. 6105 “Il decreto legislativo 158/15 ha novellato la fattispecie incriminatrice ex articolo 10-bis del decreto legislativo 74/2000 attraverso una riformulazione del modello legale e, soprattutto, elevando la soglia di punibilità per la integrazione del fatto di reato da euro 50 mila a 150 mila euro. La integrazione o meno della soglia quantitativa necessaria per il perfezionamento del reato non dipende da un evento futuro ed incerto (ossia da una condizione) ma dallo stesso comportamento omissivo dell’agente che non versa le ritenute operate nella qualità di sostituto d’imposta entro il termine previsto per la presentazione della relativa dichiarazione annuale per un importo che, integrata la soglia, contribuisce alla realizzazione del fatto tipico. La soglia di punibilità si traduce nella fissazione di una quota di rilevanza quantitativa e/o qualitativa del fatto tipico (…), con la conseguenza che, alla mancata integrazione della soglia, corrisponde la convinzione del Legislatore circa l’assenza nella condotta incriminata di una “sensibilità” penalistica del fatto, sicché il comportamento sotto soglia è ritenuto non lesivo del bene giuridico tutelato, consistente, nel caso in esame, nella salvaguardia CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO degli interessi patrimoniali dello Stato connessi alla percezione dei tributi, anche in ossequio alla necessità di esaltare il principio di offensività, dovendo alla soglia di punibilità spettare - come si legge nella Relazione di accompagnamento al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 - anche il compito, conformemente alla previsione dell’art. 9, comma 1, lett. b), della legge delega, di “limitare l’intervento punitivo ai soli illeciti di significativo rilievo economico”, consentendo di riflesso un conseguente alleggerimento del carico penale. Inoltre, nella stessa Relazione di accompagnamento al D.Lgs. n. 74 del 2000 è poi significativamente affermato che le soglie di punibilità sono “da considerarsi alla stregua di altrettanti elementi costitutivi del reato e che in quanto tali debbono essere investiti dal dolo”. Ne consegue che deve rientrare nel fuoco del dolo anche la soglia di punibilità, che è un elemento costitutivo del fatto di reato, con la sottolineatura che il dolo è generico e che la prova del dolo è insita, in genere, nella presentazione della dichiarazione annuale o da quanto risulta dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti, emergendo da tali atti l’importo dovuto a titolo sostituto di imposta. Da ciò deriva che la formula assolutoria da utilizzare in ipotesi di mancata integrazione della soglia di punibilità nel delitto previsto dall’art. 10-bis del D.Lgs. 74/2000 vuoi perché, contestato un fatto integrante la soglia, lo stesso è invece risultato, a seguito dell’accertamento processuale, sotto-soglia, oppure perché la soglia di punibilità è stata elevata a seguito dello ius superveniens - è perché “il fatto non sussiste”, non quella “il fatto non è previsto dalla legge come reato”, che riguarda la diversa ipotesi in cui manchi una qualsiasi norma penale cui ricondurre il fatto imputato”. Corte di Cassazione, Sez. Pen., 26/02/2016, n. 7884 “Non è retroattiva la norma contenuta nell’art. 10-bis del D.Lgs. (modificato dal D.Lgs. 158/2015) che non richiede, più per la punibilità penale della omissione contributiva, la prova della certificazione”. GIURISPRUDENZA conseguenza che, alla mancata integrazione della soglia, corrisponde la convinzione del Legislatore circa l’assenza nella condotta incriminata di una sensibilità penalistica del fatto; sicché il comportamento sotto soglia è ritenuto non lesivo del bene giuridico tutelato, consistente, nel caso in esame, nella salvaguardia degli interessi patrimoniali dello Stato connessi alla percezione dei tributi, anche in ossequio alla necessità di esaltare il principio di offensività”. Corte di Cassazione, Sez. Pen., 05/05/2016, n. 18692 “In tema di reati tributari, per effetto della soppressione - operata dal D.Lgs. n. 158 del 2015 - del termine “annuali” riferito alle dichiarazioni fraudolente mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 74 del 2000, integra il delitto previsto da tale disposizione l’utilizzo di documentazione fraudolenta in dichiarazioni [anche] infraannuali che non abbiano natura “meramente comunicativa” ma “propriamente dichiarativa” e che comportino, quindi, direttamente la determinazione di un’imposta da versare”. Corte di Cassazione, Sez. Pen., 07/07/2016, n. 28223 “Nell’ambito di una indagine per evasione fiscale, il sequestro può colpire soltanto il saldo attivo presente sul conto bancario del contribuente al momento dello spirare del termine per il versamento dell’imposta (in questo caso dell’Iva). In altre parole, la misura non può colpire le somme di denaro che verranno depositate in futuro, in quanto non possono essere considerate un risparmio di spesa”. Corte di Cassazione, Sez. Pen., 07/07/2016, n. 28225 “Dopo la riforma fiscale del 2015 non potrà più essere disposta la confisca sui beni del contribuente in presenza di un semplice accordo sulla rateizzazione: ciò anche in assenza di un sequestro preventivo. Sarà dunque sufficiente un accertamento con adesione o una conciliazione giudiziale o, ancora, una transazione”. Corte di Cassazione, Sez. Pen., 10/03/2016, n. 9936 “Dopo l’ultima riforma dei reati fiscali, gli imprenditori che evadono l’Iva hanno diritto a un trattamento sanzionatorio più mite: l’innalzamento della soglia di punibilità ha, come conseguenza, la rivalutazione del disvalore del fatto”. Corte di Cassazione, Sez. Pen., 07/07/2016, n. 28237 “Dopo l’ultima riforma fiscale, l’imprenditore non rischia una condanna per dichiarazione fraudolenta quando in bilancio dà una classificazione scorretta dei ricavi, ottenendo così un imponibile più basso”. Corte di Cassazione, Sez. Pen., 30/03/2016, n. 12804 “A seguito della riforma dei reati tributari (D.Lgs. 158/2015), è assolto dal reato di omesso versamento Iva l’imprenditore se non risulta integrata la soglia di punibilità richiesta per la fattispecie incriminatrice. La soglia di punibilità si traduce nella fissazione di una quota di rilevanza quantitativa e/o qualitativa del fatto tipico, con la Corte di Cassazione, Sez. Pen., 15/07/2016, n. 30148 In ordine al reato di dichiarazione infedele, il superamento della soglia di punibilità, fissata attualmente in 150.000 euro (in seguito alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 158 del 2015), non configura una condizione oggettiva di punibilità, bensì un elemento costitutivo del reato. Ne deriva che la sua mancata integrazione 121 122 GIURISPRUDENZA implica l’assoluzione con la formula “il fatto non sussiste”, atteso che l’integrazione della predetta soglia non dipende da un evento futuro ed incerto ma dallo stesso comportamento dell’agente che, con una condotta omissiva, contribuisce alla realizzazione del fatto tipico”. Corte di Cassazione, Sez. Pen., 22/08/2016, n. 35246 “In tema di reati tributari, il comma secondo del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12- bis, (norma introdotta dal D.Lgs. n. 158 del 2015), nel disporre che la confisca diretta o di valore dei beni costituenti profitto o prodotto del reato “non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro” e che “nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta”, non preclude l’adozione del sequestro preventivo ad essa confisca finalizzato, relativamente agli importi non ancora corrisposti”. Corte di Cassazione, Sez. Pen., 20/09/2016, n. 38850 “Ai sensi dell’articolo 13-bis, comma 1, del D.Lgs. n. 74/2000 (introdotto dal D.Lgs. n. 158/2015), in termini analoghi a quanto già previsto dall’articolo 13, stesso decreto (nel testo ante D.Lgs. n. 158), fuori dai casi di non punibilità, le pene per i delitti di cui al presente decreto sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell’articolo 12 se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie”. B3. Ne bis in idem Corte di Giustizia UE, 26/02/2013, n. C-617/10 “Il principio del ne bis in idem sancito all’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea non osta a che uno Stato membro imponga, per le medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia di imposta sul valore aggiunto, una sanzione tributaria e successivamente una sanzione penale, qualora la prima sanzione non sia di natura penale, circostanza che dev’essere verificata dal giudice nazionale”. Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, 04/03/2014, n. 18640/10 Grande Stevens “L’articolo 4 del Protocollo n. 7 deve essere inteso nel senso che esso vieta di perseguire o giudicare una persona per un secondo “illecito” nella misura in cui, alla base di quest’ultimo, vi sono fatti che sono sostanzialmente gli stessi. La garanzia sancita all’articolo 4 del Protocollo n. 7 entra CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO in gioco quando viene avviato un nuovo procedimento e la precedente decisione di assoluzione o di condanna è già passata in giudicato”. Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, 27/11/2014, n. 7356/10 “L’irrogazione di sanzioni amministrative e penali per violazioni contabili e fiscali non si pone in contrasto con il divieto di ne bis in idem, di cui all’art. 4 del Prot. VII della Convenzione EDU, pur se l’infedeltà contabile e quella fiscale attengono agli stessi dati”. Corte di Cassazione, Sez.Pen. 15/05/2014, n. 20266 Non contrasta con l’art. 4, protocollo n. 7, integrativo della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la circostanza che la condotta di mancato versamento delle ritenute sia punita tanto in sede penale che in sede amministrativa ai sensi dell’art. 13, comma 1, del D.Lgs. n. 471/1997, ponendosi le due fattispecie - quella penale e quella amministrativa in rapporto di progressione illecita”. Corte di Cassazione, 21/01/2015, n. 950 “E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale riguardante l’art. 187ter, punto 1, del D.Lgs. n. 58/1998, alla luce della sentenza della Corte EDU del 4 marzo 2014, che ha ritenuto che le sanzioni amministrative previste dalla disciplina italiana sugli abusi di mercato siano da considerarsi “penali”, a prescindere dalla loro qualificazione formale nel diritto interno per contrasto con l’art. 117 Cost., comma 1, anche alla luce degli artt. 2 e 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nella parte in cui prevede la comminatoria congiunta della sanzione penale (prevista dall’art. 185 del D.Lgs. n. 58/1998) e della sanzione amministrativa (prevista per l’illecito di cui all’art. 187-ter, D.Lgs. cit.), violando i vincoli derivanti dagli obblighi internazionali, in ragione della definitività della sentenza del Tribunale (di Roma n. 24796/08 del 10 dicembre 2008), passata in giudicato nei confronti delle parti ricorrenti”. Corte di Giustizia UE, 15/04/2015, n. C-497/14 “Non rientra nella sfera di applicazione del diritto dell’Unione europea la situazione giuridica disciplinata dalla normativa interna che commina sanzioni per il mancato versamento di ritenute alla fonte relative all’imposta sul reddito. La Corte è, pertanto, incompetente a rispondere al quesito posto dal giudice nazionale circa la legittimità del doppio binario sanzionatorio penale-amministrativo per l’omesso versamento di ritenute certificate, alla luce del principio europeo del ne bis in idem”. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Corte di Cassazione, Sez. Pen., 11/05/2015, n. 19334 “Deve ritenersi sussistente il reato di omesso versamento di ritenute certificate, pur dovendosi osservare che in materia di sistema sanzionatorio assestato sul cumulo tra sanzioni tributarie e penali, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani pone effettivamente più che ragionevoli dubbi di compatibilità con la dimensione europea del principio di ne bis in idem, laddove riconosce la qualifica “sostanzialmente penale” – quale presupposto per l’operatività del diritto fondamentale a non essere giudicato e punito due volte per il medesimo fatto – anche al procedimento tributario e alle relative sanzioni. Nella specie, peraltro, manca(va) la prova della definitività dell’irrogazione della sanzione amministrativa”. Corte Costituzionale, 12/05/2015, n. 102 “E’ pacifico, in base alla consolidata giurisprudenza europea, che il divieto di bis in idem ha carattere processuale, e non sostanziale. Esso, in altre parole, permette agli Stati aderenti di punire il medesimo fatto a più titoli, e con diverse sanzioni, ma richiede che ciò avvenga in un unico procedimento o attraverso procedimenti fra loro coordinati, nel rispetto della condizione che non si proceda per uno di essi quando è divenuta definitiva la pronuncia relativa all’altro”. Corte di Cassazione, Sez. Pen., 20/05/2015, n. 20887 “Deve escludersi che possa essere invocata la violazione del principio del ne bis in idem, così come codificato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo secondo cui anche il doppio binario sanzionatorio tributario-penale ben può integrarla. Tale situazione non è comparabile con quella dell’indagato che ha ottenuto la rateizzazione del pagamento dell’imposta evasa, dilazione che risulta tuttora in corso, spettando in ogni caso al giudice del merito stabilire se il profilo della severità della sanzione tributaria italiana possa assurgere a quei livelli che la Corte Edu ha ritenuto necessari perché le si debba riconoscere natura penale”. Corte di Cassazione, Sez. Pen., 15/02/2016, n. 6113 “Il legale rappresentante risponde del reato di mancato versamento dell’Iva anche quando la società ha già scontato la sanzione amministrativa non sussistendo, in questi casi, il divieto del ne bis in idem. Inoltre, la sentenza con la quale la Ctp annulla, per un vizio formale, la cartella di pagamento non impedisce la condanna in sede penale a meno che non venga documentata l’irrevocabilità della decisione”. Corte di Cassazione, Sez. Pen., 07/03/2016, n. 9224 “In caso di omesso versamento dell’Iva scatta la confisca per equivalente sui beni aziendali, anche se la società sconta la sanzione prevista nella cartella di Equitalia. Infatti, GIURISPRUDENZA non può essere invocato il ne bis in idem in quanto non c’è identità soggettiva fra amministratore, indagato nel procedimento penale, e impresa”. Corte Costituzionale, 20/05/2016, n. 112 “Nella materia tributaria il possibile cumulo degli illeciti amministrativi e penali è governato dal principio di specialità codificato dall’art. 19 del D.Lgs. n. 74 del 2000. (…). L’illecito amministrativo di cui all’art. 13, comma 1, del D.Lgs. n. 471 del 1997 e il reato di cui all’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74 del 2000 non si pongono in rapporto di specialità, ma di progressione illecita, con conseguente sussistenza di un doppio binario sanzionatorio. (…). L’art. 649 cod. proc. pen. stabilisce il divieto di un secondo giudizio solo in relazione a fatti che costituiscono reato e non rispetto a quelli che costituiscono illecito amministrativo. (…). Il D.Lgs. n. 158/2015 (…) ha innovato da un punto di vista sistematico il rapporto tra gli illeciti penali e amministrativi in questione (…), introducendo fra l’altro una causa di non punibilità per il caso del pagamento dell’imposta dovuta e delle sanzioni amministrative. (…). Spetta al giudice rimettente valutarne le complesse ricadute nel giudizio a quo”. Corte di Cassazione, Sez. Pen., 22/06/2016, n. 25815 L’art. 649 c.p.p., nella parte in cui vieta di sottoporre ad un nuovo processo penale per il medesimo fatto, un soggetto già giudicato, non può trovare applicazione con riferimento all’ipotesi in cui il singolo sia destinatario di sanzioni applicate dal giudice penale e da un’autorità amministrativa. La circostanza che la condotta di mancato versamento degli acconti IVA sia punita tanto in sede penale che in sede amministrativa non contrasta con l’art. 4, Protocollo n. 7, integrativo della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ponendosi le due fattispecie - quella penale e quella amministrativa - in rapporto di progressione illecita”. Corte di Giustizia, 29/06/2016, n. C-486/14 “Il principio del ne bis in idem - sancito all’articolo 54 della Convenzione - di applicazione dell’accordo di Schengen del 14 giugno 1985 (…) firmata a Schengen (Lussemburgo) il 19 giugno 1990, letto alla luce dell’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che una decisione del pubblico ministero che pone fine all’azione penale e conclude definitivamente, salvo riapertura o annullamento, il procedimento di istruzione condotto nei confronti di una persona senza che siano state irrogate sanzioni, non può essere considerata una decisione definitiva, ai sensi di 123 124 GIURISPRUDENZA tali articoli, qualora dalla motivazione di tale decisione risulti che il suddetto procedimento è stato chiuso senza che sia stata condotta un’istruzione approfondita, laddove la mancata audizione della vittima e di un eventuale testimone costituisce un indizio dell’assenza di un’istruzione siffatta”. Corte di Cassazione, Sez. Pen., 06/07/2016, n. 27814 “E’ preclusa la deducibilità della violazione del divieto di “bis in idem” in conseguenza della irrogazione, per un fatto corrispondente sotto il profilo storico-naturalistico a quello oggetto di sanzione penale, di una sanzione formalmente amministrativa, ma della quale venga riconosciuta la natura “sostanzialmente penale” secondo l’interpretazione data dalle decisioni emesse dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo nelle cause “Grande Stevens e altri contro Italia” (4 marzo 2014) e “Nyka nen contro Finlandia” (20 maggio 2014), quando manchi qualsiasi prova della definitività della irrogazione della sanzione amministrativa medesima”. Corte Costituzionale, 08/09/2016, n. 209 “La soluzione della questione relativa alla violazione del principio del ne bis in idem in caso di omesso versamento Iva va individuata nella riforma del sistema sanzionatorio recata dal D.Lg.s 158/2015”. B4. Principio di specialità (art. 19, D.Lgs. 74/2000) Corte di Cassazione, Sez. Unite Pen., 28/03/2013, n. 37424 “Il reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (art. 10-ter D.Lgs n. 74 del 2000) - che si consuma con il mancato pagamento dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore ad euro cinquantamila, entro la scadenza del termine per il pagamento dell’acconto relativo al periodo di imposta dell’anno successivo - non si pone in rapporto di specialità ma, di progressione illecita con l’art. 13, comma primo, D.Lgs. n. 471 del 1997, che punisce con la sanzione amministrativa l’omesso versamento periodico dell’imposta entro il mese successivo a quello di maturazione del debito mensile IVA, con la conseguenza che al trasgressore devono essere applicate entrambe le sanzioni”. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO Corte di Cassazione, Sez. Unite Pen., 28/03/2013, n. 37425 “Il reato di omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis D.Lgs. n. 74 del 2000) - che si consuma con il mancato versamento per un ammontare superiore ad euro cinquantamila delle ritenute complessivamente risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti entro la scadenza del termine finale per la presentazione della dichiarazione annuale - non si pone in rapporto di specialità ma di progressione illecita con l’art. 13, comma primo, D.Lgs. n. 471 del 1997, che punisce con la sanzione amministrativa l’omesso versamento periodico delle ritenute alla data delle singole scadenze mensili, con la conseguenza che al trasgressore devono essere applicate entrambe le sanzioni”. Corte di Cassazione, Sez. Pen., 08/05/2014, n. 30267 “In materia di reati tributari, non è applicabile il principio di specialità di cui all’art. 19, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, tra il delitto di indebita compensazione, previsto dall’art. 10-quater del decreto medesimo e l’illecito amministrativo introdotto dall’art. 27, comma 18, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185 (conv. con modif. in legge 28 gennaio 2009, n. 2), che punisce l’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute, in quanto la fattispecie penale ha riguardo alla condotta, diversa ed ulteriore, consistente nell’omesso versamento dell’imposta dovuta”. Corte di Cassazione, Sez. Pen., 24/07/2014, n. 16848 “In tema di sanzioni amministrative per violazione delle norme tributarie, l’art. 19, comma 2, del D.Lgs. 74/2000 si limita ad enunciare l’applicabilità delle sanzioni nei confronti di coloro, diversi dalle persone fisiche, “nell’interesse dei quali ha agito l’autore della violazione”; e non introduce, pertanto, a favore di quest’ultimo, ove sia anche concorrente nel reato tributario, alcuna riserva d’impunità, che sarebbe irragionevole ed in contrasto con il principio di personalizzazione delle sanzioni tributarie, restando solo, in tale ipotesi, per ovvie esigenze di connessione con il reato, sospesa, sino all’esito del procedimento penale, l’esecuzione della sanzione amministrativa, ai sensi del successivo art. 21, comma 2, del citato D.Lgs.”. CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO CONVEGNI ED ATTIVITÀ ANTI A.N.T.I. CONVEGNI ED ATTIVITA’ ANTI I convegni organizzati o sponsorizzati dall’ANTI successivamente a quelli già segnalati nel precedente numero di sono stati i seguenti che come tradizione sono tutti pubblicati sul nostro sito web www.associazionetributaristi.it nella sezione “Eventi”. Segnaliamo: – il convegno organizzato dalla Sezione Lombardia a Como il 24 febbraio 2016 presso il Chiostro di S. Abbondio sul tema: “La nuova disciplina del processo tributario”. Relatori: Prof.ssa Maria Pierro, Prof. Michele Mauro, Prof. Gaetano Ragucci, Dott. Simone Trezzi; – il convegno organizzato dalla Sez. Piemonte e Valle d’Aosta a Torino il 3 marzo 2016 presso il Salone delle Conferenze della Banca Popolare di Novara sul tema: “Il regime di tassazione agevolato dei redditi derivanti da beni immateriali (cd. “Patent box”): Aspetti giuridici e valutazioni economiche”. Relatori: Dott. Giovanni Rolle, Prof. Avv. Marco Ricolfi; – il convegno organizzato dalla Sez. Calabria a Catanzaro il 18 marzo 2016 presso l’Università degli studi «MAGNA GRÆCIA» sul tema: “La riforma del processo tributario”. Relatori: Dott. Gabriele Mazzeo, Prof. Dott. Nicola Durante, Avv. Sergio La Rocca, Dott. Ercole Palasciano; – il seminario di diritto tributario organizzato dalla Sez. Veneto il 18 marzo 2016 a Padova presso l’Auditorium Trabucchi sul tema: “Decreti delegati di riforma fiscale e legge di stabilità 2016”. Relatori: Dott. Arturo Toppan, Prof. Francesco Moschetti, Dott. Roberto Lunelli, Dott.ssa Tiziana Pradolini; – il convegno organizzato dalla Sez. Lombardia il 6 aprile 2016 a Como presso l’Ordine dei dottori commercialisti sul tema: “La nuova disciplina della riscossione (d.lgs. n. 159/2015)”. Relatori: Prof. Gaetano Ragucci, Prof.ssa Stefania Gianoncelli, Dott. Marco Fasola, Dott. Simone Trezzi; – il convegno organizzato dalla Sez. Calabria a Catanzaro il 15 aprile 2016 presso l’Università degli studi «MAGNA GRÆCIA» sul tema: “Il rapporto tra fisco e contribuente in sede amministrativa e giudiziaria: parliamone”. Relatori: Prof. Avv. Salvatore Muleo, Dott. Nicola Durante, Prof. Michele Mauro, Prof. Nicola Fortunato, Avv. Alessandra Kostner, Dott. Franco Barone, Prof.ssa Avv. Francesca Lorusso, Dott. Pasquale Stellacci; – il convegno organizzato dalla Sez. Veneto a Venezia-Mestre il 15 aprile 2016 presso l’Auditorium Università Ca’ Foscari sul tema: “Il processo tributario tra presente e futuro”. Relatori: Dott. Ennio Attilio Sepe, Dott. Carmine Scarano, Dott. Giuseppe Caracciolo, Avv. Daniela Gobbi, Avv. Raffaele Ceniccola, Prof. ErnestoMarco Bagarotto, Dott. Ernestino Bruschetta, Prof. Loris Tosi, Prof. Avv. Francesco Moschetti, Avv. Michele Tiengo, Prof. Antonio Viotto; – il convegno organizzato dalla Sez. Friuli Venezia Giulia ad Udine il 3 maggio 2016 presso il Salone del Parlamento del Castello sul tema: “Il contraddittorio nell’accertamento tributario”. Relatori: Avv. Roberto Iaia, Dott. Mario Cicala, Prof. Francesco Moschetti, presidenza e coordinamento Dott. Roberto Lionelli; – il convegno organizzato dalla Sez. Piemonte a Torino il 5 maggio 2016 presso il Salone delle Conferenze della Banca Popolare di Novara sul tema: “L’assegnazione agevolata di beni ai soci e la trasformazione in società semplice: questioni applicative”. Relatore Gianluca Odetto; – il convegno organizzato dalla Sez. Lombardia a Como il 12 maggio 2016 presso l’Ordine dei dottori commercialisti sul tema : “La riforma delle sanzioni tributarie (d.lgs. n. 158/2015)”. Relatori: Prof. Gaetano Ragucci, Dott. Carlo Cecchetti, Avv. Alex Ingrassia, Avv. Tommaso Landi; – il seminario di diritto tributario “Incontro con l’autore Antonio Viotto” organizzato dalla Sez. Veneto a Padova il 13 maggio 2016 presso la Sala convegni Banca Mediolanum sul libro di Antonio Viotto “Il Regime tributario delle plusvalenze da partecipazione”; – il convegno organizzato dalla Sez. Liguria a Genova il 25 maggio 2016 sul tema: “L’abuso del diritto”. Relatori: Prof. Avv. Gianni Marongiu, Prof. Avv. Angelo Contrino; – l’incontro studio organizzato dalla Sez. Lazio a Roma il 31 maggio 2016 presso l’Hotel L.H. Leonardo da Vinci sui temi: “Strumenti deflattivi” (Relatore: Prof. Avv. Pietro Selicato), “Le Società di Comodo” (Relatore: Dott. Fabrizio Iacuitto) e “Accertamenti Bancari sui redditi professionali” (Relatore: Avv. Claudio Berliri); 125 126 CONVEGNI ED ATTIVITÀ ANTI – il convegno organizzato dalla Sez. Lombardia a Milano l’8 giugno 2016 presso l’Hotel De La Ville sul tema: “L’elusione fiscale internazionale”. Relatori: Prof. Dott. Piergiorgio Valente, Prof. Avv. Alberto Maria Gaffuri, Prof. Avv. Nicola Sartori; – il convegno organizzato dalla Sez. Emilia Romagna a Bologna il 9 giugno 2016 presso il Complesso Conventuale della Basilica di San Domenico sul tema: “I problematici rapporti tra fisco e procedure concorsuali”. Relatori: Prof. Andrea Carinci, Prof. Angelo Paletta, Prof. Lorenzo Del Federico, Avv. Giovanni Caliceti, Prof. Filippo Dami, Dott.ssa Barbara Fasan; – il convegno organizzato dalla Sez. Sicilia a Catania il 10 giugno 2016 presso l’Aula Magna del Dipartimento di Economia e Impresa sul tema: “Questioni attuali di Diritto tributario”. Relatori: Dott. Antonio Pugliese, Avv. Salvo Muscarà, On.le Avv. Giuseppe Berretta; – incontro di approfondimento “L’attuazione della delega fiscale” organizzato dalla Sez. Campania il 10 giugno 2016 a Mercato San Severino (SA) presso San Severino Park Hotel & Spa sul tema: “La nuova disciplina sull’abuso del diritto ed il raddoppio dei termini di accertamento”. Relatore Prof. Avv. Mauro Beghin; – il corso di perfezionamento per magistrati tributari e professionisti abilitati al patrocinio davanti al giudice tributario organizzato a Milano il 16 giugno 2016 sul tema: “Ezio Vanoni giurista ed economista”. Relatori: Prof. Gianfranco Gaffuri, Prof. Francesco Forte, Prof. Gianni Marongiu, Prof. Roberto Artoni, Prof. Enrico De Mita, Prof. Francesco Tesauro, Prof. Giuseppe Melis, Prof. Mario Nussi, Prof. Luca Micheletto, Prof. Vito Velluzzi, Prof. Gaetano Ragucci; – il convegno organizzato dalla Sez. Lombardia a Milano il 22 giugno 2016 presso l’Hotel De La Ville sul tema: “Il nuovo rapporto tra fisco e contribuente: sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita”. Relatori: Dott.ssa Emanuela Fusa, Prof. Alberto Bubbio, Dott. Alberto Borgia, Dott. Fabio Ghiselli, Avv. Patrizio Braccioni, Prof. Avv. Alessio Lanzi, Avv. Angela Monti, Avv. Angelo Vozza; – incontro di approfondimento “L’attuazione della delega fiscale” organizzato dalla Sez. Campania l’8 luglio 2016 a Mercato San Severino (SA) presso San Severino Park Hotel & Spa sul tema: “Semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione tributaria”. Relatore: Prof. Avv. Andrea Carinci; CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO – il convegno organizzato dalla Sez. Piemonte a Torino il 14 luglio 2016 presso il Salone delle Conferenze della Banca Popolare di Novara sui temi: “La circolare 16 A.E. del 28.4.2016 su prevenzione e contrasto all’evasione” (relatore: Dott. Enrico Mastrogiacomo) ed “Il contraddittorio nella fase endoprocedimentale: recenti orientamenti giurisprudenziali” (relatore: Avv. Mario Garavoglia); – il convegno organizzato dalla Sez. Lombardia a Renazzo (BS) il 14 luglio 2016 presso Villa Fenaroli Palace Hotel sul tema: “Problematiche di validità ed efficacia del Trust”. Relatori: Avv. Paolo Panico, Notaio Massimo Ghirlanda, Dott. Stefano Curzio, Prof. Giuseppe Corasaniti. – incontro organizzato dalla Sez. Piemonte e Valle d’Aosta per il 22 settembre 2016 a Torino presso il Salone delle Conferenze della Banca Popolare di Novara sui temi: “Il processo tributario telematico”. Relatore Prof. Avv. Enrico Marello e “Estromissione immobili”. Relatore Dott. Gianluca Odetto; – incontro di approfondimento “L’attuazione della delega fiscale” organizzato dalla Sez. Campania per il 30 settembre 2016 a Mercato San Severino (SA) presso San Severino Park Hotel & Spa sul tema: “La riforma dei reati tributari”. Relatore Prof. Avv. Ivo Caraccioli; – convegno di studi organizzato dalla Sez. Friuli Venezia Giulia il 30 settembre 2016 a Trieste presso la Sala di Rappresentanza del Palazzo della Regione F.V.G., sul tema “La prova nel procedimento e nel processo tributario”. Relatori: Dott. Roberto Lunelli, Prof. Avv. Mauro Beghin, Dott. Francesco Zanetti, Prof. Enrico Marello, Dott. Oliviero Drigani; *** Per quanto riguarda i prossimi mesi del 2016 i convegni e le attività ANTI previsti sono i seguenti: – incontro di approfondimento “L’attuazione della delega fiscale” organizzato dalla Sez. Campania il 20 ottobre 2016 a Mercato San Severino (SA) presso San Severino Park Hotel & Spa sul tema: “Le nuove sanzioni tributarie”. Relatore Prof. Avv. Gaetano Ragucci; – convegno di studi organizzato dalla Sez. Friuli Venezia Giulia per l’11 novembre 2016 ad Udine presso il Salone del Parlamento del Castello sul tema: CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO “IVA fra detraibilità e detrazione: aspetti amministrativi e penali”. Relatori: Dott. Roberto Lunelli, Prof. Avv. Gianni Marongiu, Prof. Adriano Di Pietro, Prof. Enrico Fazzini, Dott. Mario Cicala, Dott. Giovanni Spalletta, Prof. Giovanni Flora, Dott. Vieri Ceriani, Prof. Livia Salvini; – incontro di approfondimento “L’attuazione della delega fiscale” organizzato dalla Sez. Campania per il 18 novembre 2016 a Mercato San Severino (SA) presso San Severino Park Hotel & Spa sul tema: “La nuova disciplina degli interpelli e la nuova conciliazione giudiziale”. Relatore: Prof. Avv. Marco Versiglioni; – Convegno Nazionale Anti organizzato per il 25 novembre 2016 a Roma, Piazza della Pilotta n. 4 sul CONVEGNI ED ATTIVITÀ ANTI tema: “L’evoluzione dello Statuto dei diritti del contribuente dal contraddittorio endo-procedimentale ed altri traguardi”. Relatori: Prof. Avv. Gianni Marongiu, Prof. Avv. Gaetano Ragucci, Avv. Roberto Iaia, Prof. Avv. Giuseppe Vanz, Prof. Avv. Massimo Basilavecchia, Prof. Avv. Francesco Tesauro, Prof. Avv. Salvatore Muleo, Prof. Avv. Giuseppe Zizzo, Prof. Avv. Francesco Moschetti, Prof. Avv. Augusto Fantozzi; – incontro di approfondimento “L’attuazione della delega fiscale” organizzato dalla Sez. Campania per il 16 dicembre 2016 a Mercato San Severino (SA) presso San Severino Park Hotel & Spa sul tema: “Il contenzioso tributario tra legge delega e decreto delegato”. Relatore Prof. Avv. Gianni Marongiu. 127 L’A.N.T.I. Associazione Nazionale Tributaristi Italiani è stata costituita il 13 giugno 1949 e, nella sua lunghissima storia, ha avuto illustri Presidenti quali: Giovanni Battista Adonnino, Ernesto D’Albergo, Epicarmo Corbino, Ignazio Manzoni, Victor Uckmar, Giuseppe De Angelis e Mario Boidi. Attualmente è presieduta dal Prof. Gianni Marongiu. L’Associazione, che ha sezioni in tutta Italia, si propone, attraverso incontri di studio, convegni e pubblicazioni, di approfondire le tematiche fiscali, sotto il profilo scientifico, ma attenta anche alle applicazioni professionali. Essa tiene, altresì, contatti con Governo e Parlamento collaborando quando richiesto allo studio e alla formazione delle leggi. L’A.N.T.I. è socia della Confédération Fiscale Européenne, l’unico raggruppamento Europeo di consulenti tributari che opera a livello Comunitario e nell’anno 2004 è stato presieduto dal Prof. Mario Boidi. SEDE LEGALE Viale delle Milizie, 14 • 00192 Roma • Tel. 06.3215084 • Fax 06.32507485 Sito Internet: www.associazionetributaristi.it PRESIDENZA Via Roma, 11 • 16121 Genova • Tel 010.29117911 • Fax 010.29117912 E-mail: [email protected] SEGRETERIA NAZIONALE E TESORERIA NAZIONALE Viale delle Milizie, 14 • 00192 Roma • Tel. 06.3215084 • Fax 06.32507485 E-mail: [email protected] • [email protected]