contenzioso tributario e doppio binario

PERIODICO UFFICIALE DELL’A.N.T.I. – ASSOCIAZIONE NAZIONALE TRIBUTARISTI ITALIANI
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Anno IX • n. 1/2016
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CONTENZIOSO
TRIBUTARIO E
DOPPIO BINARIO
DOTTRINA
•
LEGISLAZIONE
•
GIURISPRUDENZA
•
CONVEGNI ED
ATTIVITÀ ANTI
ANTI - CONSIGLIO NAZIONALE
PRESIDENTE EMERITO
Prof. Dott. Mario Boidi, Torino
PRESIDENTE
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Prof. Avv. Salvatore MUSCARÀ
Dott. Marco PREVERIN
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Prof. Dott. Francesco ROSSI RAGAZZI
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Presidente Sezione Liguria
Presidente Sezione Campania
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Sommario
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
RECENTI MODIFICHE E ULTERIORI PROPOSTE
“Perché questa scelta e perché questo tema” di Claudio Berliri
3
DOTTRINA
•
Reclamo e mediazione: la definizione preventiva delle controversie tributarie dopo
le modifiche introdotte dal decreto legislativo 156 del 2015
di Pietro Selicato
•
Istituti del reclamo e della conciliazione: le nuove regole
5
17
di Santa Pierro
•
Il contraddittorio nel processo tributario
26
di Nicola Durante
•
Ampliamento delle difese personali
31
di Giovanni Moschetti
•
La “nuova” tutela cautelare
di Pasquale Amodio
34
•
La esecutività delle sentenze delle commissioni tributarie
di Saverio Belviso
con “postilla” a cura di Roberto Lunelli
41
•
La necessaria ed urgente riforma della giustizia tributaria
di Maurizio Villani
44
•
Utilizzo di documenti falsi e sanzioni penali
47
di Lorenzo Imperato
•
Omessa dichiarazione, “esterovestizione”, nuovo concetto di “inesistenza”:
riflessi internazionali della riforma
di Ivo Caraccioli
59
•
Principio di specialità in tema di sanzioni e crisi del doppio binario
63
di Manlio Ingrosso
•
Oltre il sistema del “doppio binario”
di Arturo Toppan
73
LEGISLAZIONE
•
Decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156
84
•
Decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158
94
•
Decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74
108
GIURISPRUDENZA
•
Rassegna di Giurisprudenza a cura di Roberto Lunelli
119
CONVEGNI ED ATTIVITÀ ANTI
125
PERCHÉ QUESTA SCELTA E PERCHÉ QUESTO TEMA
“L
inadeguatezza del contenzioso tributario ed i rapporti tra sanzioni amministrative e
sanzioni penali, oggetto del cosiddetto doppio binario, sono da anni all’attenzione della
dottrina tributaria e del legislatore.
Quest’ultimo, come ben noto, ha promulgato dapprima la legge delega 11 marzo 2014 n. 23
e successivamente i decreti legislativi 24 settembre 2015 nn. 156 e 158, che hanno modificato,
rispettivamente, il D.L.vo n. 546 del 31.12.1992 – che disciplina il contenzioso tributario e gli
strumenti deflattivi – ed il D.Lgs. n. 74 del 2000, relativo alle sanzioni penali ed al doppio binario.
L’ANTI ha ritenuto opportuno costituire due Sottocommissioni di studio per esaminare la
nuova normativa e formulare critiche e proposte.
Questo numero di
è il frutto del lavoro svolto dai componenti dei due gruppi
di studio.
Per quanto concerne le modifiche relative al Contenzioso Tributario, valga quanto esposto nei
primi otto articoli di questa Rivista.
In particolare le nuove regole relative all’istituto del reclamo/mediazione e della conciliazione
giudiziale formano oggetto delle relazioni del prof. Pietro Selicato, dell’Università La Sapienza di
Roma e della dott.ssa Santa Pierro, funzionario dell’Agenzia delle Entrate, che ha anche partecipato al Convegno dell’ANTI del 14 dicembre 2015. E le loro ampie e argomentate considerazioni assumono particolare rilievo, in quanto rappresentano il punto di vista rispettivamente
dell’ANTI e dell’Amministrazione finanziaria.
Il Consigliere Nicola Durante, magistrato amministrativo e giudice tributario, ha affrontato il
tema – di grande attualità anche a livello europeo – del contraddittorio sia in sede di accertamento
sia, ed ancor più, nel corso del processo, nonché gli effetti del processo stesso nei confronti di chi
non vi abbia potuto partecipare.
L’avv. Giovanni Moschetti ha preso in esame il nuovo art. 12 del D.L.vo n. 546 del 1992,
come modificato dal D.L.vo n. 156 del 2015, relativamente alla assistenza tecnica del contribuente di fronte alle Commissioni Tributarie.
L’avv. Moschetti ha rilevato che con il nuovo art. 12 è stata estesa la categoria dei soggetti che
possono rappresentare i contribuenti dinanzi alle Commissioni Tributarie, consentendo tale
facoltà anche ai dipendenti dei CAF e delle relative società di servizi, in possesso di diploma in
giurisprudenza o in economia ed equipollenti o diploma in ragioneria e della relativa abilitazione
professionale. Tale ampliamento, peraltro, non appare giustificato e comunque certamente non
necessario, e l’avv. Moschetti giustamente si chiede se l’ampliamento della categoria dei difensori
costituisce una maggior tutela dei contribuenti, ovvero un semplice riguardo nei confronti di professionisti meno qualificati di quelli già legittimati.
L’avv. Pasquale Amodio ha affrontato il tema della nuova tutela cautelare nel corso del processo tributario, ed in particolare l’estensione della tutela stessa anche al giudizio di secondo
grado e a quello di cassazione. Tale estensione appare senz’altro opportuna, ma i costi ed i rischi
di tale estensione sono certamente notevoli e in taluni casi non giustificati.
L’avv. Saverio Belviso – docente presso la LUM Jean Monnet – ha preso in esame le modifiche
apportate alla esecutività delle sentenze delle Commissioni Tributarie. Il legislatore ha infatti esteso anche nei confronti del contribuente l’esecutività delle sentenze ancorché non ancora passate
in giudicato, peraltro prevedendo che il rimborso di somme dovute a seguito di sentenze favorevoli al contribuente non ancora passate in giudicato possa essere subordinato dal giudice alla prestazione di idonea garanzia (per effetto di una “disposizione transitoria” che, secondo il Dott.
Roberto Lunelli è stata interpretata dall’Agenzia delle Entrate senza considerare la legge delega).
Infine l’avv. Maurizio Villani ha ribadito la necessità di una riforma complessiva della giustizia
tributaria, ed ha brevemente illustrato la proposta di legge n. 3734 dell’8 aprile 2016 che prevede
la soppressione delle Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali e l’istituzione di sezioni specializzate tributarie presso i Tribunali e le Corti d’Appello ordinarie.
Ha inoltre evidenziato le ulteriori opportune modifiche legislative che dovrebbero essere
apportate, ed in particolare l’affidamento della gestione ed organizzazione della giustizia tributaria non più al Ministero dell’Economia e delle Finanze, ma alla Presidenza del Consiglio dei
Ministri, la necessità di giudici tributari a tempo pieno e professionalmente competenti, con un
trattamento economico adeguato. E tali considerazioni sono state formalizzate dall’avv. Villani in
un disegno di legge già presentato in Parlamento.
I successivi quattro articoli di questo fascicolo prendono in esame le modifiche apportate dal
D.Lgs. n. 158/2015 alla normativa penale tributaria di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, ed al problema del doppio binario tra processo tributario e processo penale.
L’avv. Lorenzo Imperato ha analizzato il problema dell’utilizzo di documenti falsi e delle relative sanzioni penali.
Il prof. Ivo Caraccioli ha affrontato le problematiche relative alla omessa dichiarazione, alla
esterovestizione ed ai concetti di fittizietà ed inesistenza di operazioni fiscalmente rilevanti.
Infine il principio del doppio binario tra giurisdizione tributaria e giurisdizione penale ha formato oggetto degli studi degli avv.ti Manlio Ingrosso e Arturo Toppan, che concludono gli interventi dottrinari contenuti nel presente fascicolo.
Mi auguro fermamente che le argomentazioni esposte da tutti gli autori, e le proposte formulate possano trovare accoglimento non soltanto da parte dell’ANTI, ma anche della migliore dottrina, della magistratura ed essenzialmente del Parlamento.
Nella Sezione relativa alla legislazione abbiamo riportato, per comodità del lettore, i testi delle
norme di legge oggetto del presente fascicolo, ed in particolare la nuova normativa – relativa al
giudizio tributario, alle sanzioni penali/tributarie ed al doppio binario – di cui ai decreti legislativi nn. 156 e 158/2015, nonché il D.L. 10/3/2000 n. 74, come modificato del D.L.158
del 2015.
Infine nel settore relativo all’attività dell’ANTI, abbiamo indicato tutti i convegni organizzati
dalle varie Sezioni dell’ANTI nel primo semestre del 2016, nonché quelli previsti e programmati
per i prossimi mesi del corrente anno.
Claudio Berliri
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
DOTTRINA
Reclamo e mediazione: la definizione preventiva
delle controversie tributarie dopo le modifiche
introdotte dal decreto legislativo 156 del 2015
di Pietro Selicato
1. Premessa
L’art. 17-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992,
n. 546 (aggiunto dall’art. 39 del decreto-legge 6 luglio
2011, n. 98 convertito nella legge 15 luglio 2011, n.
111) ha introdotto nel processo tributario la disciplina
del “reclamo e mediazione”, allo scopo di favorire la definizione stragiudiziale delle liti di valore inferiore a ventimila euro.
L’Agenzia delle entrate ha subito considerato il nuovo
istituito uno strumento prioritario ai fini del contenimento del numero delle liti tributarie, il cui valore si colloca in gran parte al disotto del limite dei ventimila
euro1. In questa ottica, l’Agenzia ritiene che la procedura
de quo sia “sostanzialmente finalizzata a evitare il rinvio ai
giudici tributari delle contestazioni che possono essere risolte
in sede amministrativa, attraverso un esame volto ad anticipare l’esito ragionevolmente atteso del giudizio, tenuto
conto della situazione di fatto e di diritto sottesa alla singola
fattispecie”2 .
Tuttavia, il procedimento di reclamo-mediazione ha
alimentato immediatamente un ampio dibattito in dottrina3 dal quale emersi all’interno della stesura originaria
dell’art. 17-bis profili di illegittimità costituzionale che
1 Del resto, la stessa relazione al disegno di legge di conversione
del D.L. n. 98/2011 individuava lo scopo dell’istituto nell’introdurre “un efficace rimedio amministrativo per deflazionare il contenzioso
relativo ad atti di valore non elevato emessi dall’Agenzia delle entrate”.
2 Circ. n. 9/E del 19 marzo 2012, in cui sono forniti chiarimenti
sulla nuova procedura.
3 Senza alcuna pretesa di completezza, si segnalano Basilavecchia
M., Reclamo, mediazione fiscale e definizione delle liti pendenti, in
Corr. Trib. n. 31/2011, pag. 2494; Glendi C., Nuova chiusura delle
liti pendenti tra ‘specificazione’ della ‘vecchia’ disciplina e futura ‘mediazione’ fiscale, in Corr. Trib. n. 43/2011, pag. 3575; Cantillo G.,
Manovra correttiva (D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito) – Il reclamo
e la mediazione tributaria: prime riflessioni sul nuovo art. 17-bis del
D.Lgs. n. 546/1992, in Il Fisco, 31 / 2011 - parte 1, p. 4997; Pistolesi F., Il reclamo e la mediazione nel processo tributario, in Rass. trib.,
2012, pag. 65; Glendi C., Tutela cautelare e mediazione tributaria, in
Corr. Trib. n. 12/2012, pag. 845; Basilavecchia M., Instaurazione del
giudizio con il ricorso/reclamo, ivi n. 19-2012, pag. 1454; Marini G.,
hanno formato oggetto di rinvio alla Corte
Costituzionale da parte di numerose Commissioni
Tributarie4.
Allo scopo di superare le criticità sottoposte all’esame
della Corte Costituzionale e prima ancora che questa si
pronunciasse sulla questione, l’art. 17-bis è stato modificato con l’art. 1, comma 611, della legge 27 dicembre
2013, n. 147 (legge di stabilità per l’anno 2014).
Il decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156,
emanato in attuazione della legge delega 11 marzo
2014, n. 23, è tornato nuovamente a modificare l’art.
17-bis nel quadro di una più ampia revisione della complessiva disciplina del contenzioso tributario.
Il D.Lgs. n. 156/2015 è intervenuto sull’art. 17-bis
estendendo l’applicabilità dell’istituto a tutte le liti aventi ad oggetto tributi, inclusi quelli locali e quelli gestiti
dalle Agenzie delle Dogane e dei Monopoli, nonché alle
controversie in cui sono chiamati in causa agenti della
riscossione e concessionari locali. È stata inoltre prevista
l’estensione della conciliazione giudiziale di cui all’art.
48 del D.Lgs. n. 546/92 al giudizio di appello ed ai casi
soggetti al procedimento di “reclamo-mediazione”, dai
Profili costituzionali del reclamo e della mediazione, ivi n.
12/2012, pag. 853; Carinci A., La riscossione provvisoria e l'acquiescenza dopo l'introduzione del reclamo, ivi n. 11/2012, pag. 775; Corasaniti G., Trattazione dell'istanza, accordo e perfezionamento della
mediazione, ivi, pag. 1441; Guidara A., Stevanato D., Lupi. R., Mediazione fiscale: un provvedimento improvvisato su una strada giusta,
in Dialoghi Tributari, n. 1-2012, p. 92; Sbroiavacca A., Stevanato
D., Lupi R. Reclamo-mediazione: gli scoordinamenti sistematici di un
istituto apprezzabile in Dialoghi Tributari, n. 3-2012, p. 284; Carinci A., Perduranti profili di criticità della presentazione del reclamo, in
Corr. Trib., n. 37-2012, p. 2877; Giovannini A., Giurisdizione tributaria condizionata e reclamo amministrativo, in Riv. trim. dir. trib.,
2012, pag. 914; Id., Reclamo e mediazione tributaria: per una riflessione sistematica, in Rass. trib., 2013, 52 ss.; Ficari V., Possibili scenari
futuri per la mediazione tributaria, in Corr. Trib., n. 40-2013, p.
3187; D'Ayala Valva, F., La Corte costituzionale preannuncia le ragioni di illegittimità costituzionale della mediazione tributaria, in Riv.
dir. trib., 2013, II, pag. 94.
4 Comm. Trib. Prov. Perugia, Ord. 7 febbraio 2013, n. 18;
Comm. Trib. Prov. Campobasso, Ord. 17 aprile 2013, n. 75 e
Comm. Trib. Prov. Perugia, Ord. 1° febbraio 2013, n. 18.
5
6
DOTTRINA
quali in precedenza era esclusa. Infine, le sanzioni applicabili ai casi definiti con la mediazione tributaria sono
passate dal 40% al 35%.
Sono rimasti immutati, invece, due aspetti che avevano suscitato forti critiche subito dopo l’introduzione
dell’istituto. Da un lato, non è stato elevato il limite
massimo di 20 mila euro del valore delle liti alle quali lo
stesso trova applicazione. Inoltre, non è stata apportata
alcuna modifica alla figura del “mediatore”, che resta
attribuita ad un ufficio dello stesso ente impositore,
benché diverso da quello che ha emesso l’atto impugnato, lasciando aperte tutte le problematiche riguardanti
l’indipendenza dell’organo di mediazione sollevate
all’indomani dell’entrata in vigore dell’articolo 17-bis.
2. Il testo originario dell’art. 17-bis del D.LGS. n.
546 del 1992
Il reclamo disciplinato dall’art. 17-bis si è distinto
subito dagli altri istituti deflativi del contenzioso tributario per il suo carattere obbligatorio e per il fatto
che ad esso si accompagna la possibilità di affiancare
all’atto di opposizione una proposta di mediazione.
Nella sua prima versione, per altro, l’art. 17-bis prevedeva la presentazione del reclamo come “condizione
di ammissibilità del ricorso, rilevabile d'ufficio in ogni
stato e grado del giudizio”. L’applicazione dell’istituto
era inoltre circoscritta agli “atti emessi dall’Agenzia delle
Entrate” e non prevedeva alcun meccanismo di sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato prima del
termine entro il quale doveva essere conclusa la procedura di reclamo-mediazione né l’applicazione
delle norme sulla sospensione feriale dei termini
processuali.
Questi aspetti hanno giustificato il rinvio della sua
norma istitutiva alla Corte Costituzionale per una
serie di motivazioni:
a) violazione dell'art. 24 della Costituzione (diritto di
agire in giudizio e inviolabilità del diritto di difesa),
a causa della previsione della sanzione di inammissibilità del ricorso per la omessa presentazione del
reclamo, nonché degli artt. 3 (principi di uguaglianza e ragionevolezza) e 113 (divieto di limitare
la tutela giurisdizionale contro gli atti della P.A. per
determinate categorie di atti);
b) violazione degli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione a
causa dell’impossibilità di richiedere la sospensione
giudiziale dell’esecuzione dell’atto impugnato prima
del termine della procedura di reclamo/mediazione;
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
c) violazione dell’articolo 3 della Costituzione in
quanto, essendo l’istituto del reclamo applicabile
solo ai tributi imposti dall’Agenzia delle Entrate e
non anche ai tributi provenienti da altri Enti impositori, comprimerebbe il livello di tutela dei contribuenti destinatari di avvisi di accertamento aventi ad
oggetto tributi imposti dal primo ente;
d) violazione dell’articolo 111 della Costituzione, in
relazione all’eccessiva dilatazione dei tempi di introduzione del giudizio e, quindi, di definizione della
controversia in tempi ragionevoli;
e) violazione dell'articolo 4 della direttiva n.
2008/52/CE, che prevede il requisito dell’imparzialità dell’organo della mediazione.
Le censure attinenti al pregiudizio del diritto di difesa subito dal contribuente per effetto della mancata proposizione del reclamo apparivano fondate, in quanto la
mancata osservanza delle articolate procedure di reclamo avrebbe comportato l’inammissibilità insanabile del
ricorso e, contestualmente, stante la natura impugnatoria del processo tributario, la definitività dell’atto impositivo.
Va rammentato, del resto, che già nel passato meno
recente la Corte Costituzionale, pronunciandosi in casi
analoghi5, ha sancito l’illegittimità delle norme che
attuano un differimento o una compressione della
facoltà di azionare i diritti soggettivi non giustificati da
precise esigenze di carattere generale e in particolar
modo dove siano previste altre figure e/o procedure che
possano conseguire il medesimo risultato. Nel caso del
reclamo-mediazione questa situazione si verifica in
pieno poiché il nuovo istituito si è aggiunto ai numerosi
strumenti già esistenti nell’ordinamento (invito al contraddittorio, autotutela, procedimento di adesione,
conciliazione giudiziale).
Ma anche in epoca meno remota e nel contesto delle
riformate commissioni tributarie la giurisprudenza di
legittimità ha censurato forme di differimento della
tutela giurisdizionale dei diritti del contribuente che,
pur essendo ispirate a fini deflativi, finivano per ritardare l’avvio del processo e con esso l’accesso alla tutela
cautelare6.
5 Sentenze
n. 641 del 1972 in materia di imposta sulle società e
n. 360 del 1994 relativa all'imposta sugli spettacoli.
6 La Suprema Corte, sentenze nn. 9113/2001 e 13506/2003),
stabilì, con riferimento ai ricorsi contro i ruoli formati dai soppressi
Centri di servizio delle imposte dirette (soggetti al complicato meccanismo di riesame preventivo previsto dal D.P.R. n. 787/1980), che
il contribuente potesse avere accesso al giudice tributario anche prima dello spirare del termine dilatorio (allora semestrale) previsto per
il riesame da parte del Centro di servizio.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
3. Le modifiche apportate dalla legge di stabilità per
il 2014 e il successivo intervento della Corte
Costituzionale
Allo scopo di superare le numerose obiezioni mosse
alla sua versione originaria, l’articolo 17-bis è stato
modificato con l’art. 1, comma 611, della L. 27
dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per l’anno
2014).
Invero, già prima della modifica del testo originario
dell’art. 17-bis, comma 2 – che sanciva l’inammissibilità del ricorso non preceduto dal reclamo – una certa
giurisprudenza tributaria di merito7, unitamente a
parte della dottrina8 tendeva ad interpretare la norma
in senso restrittivo proprio al fine di evitarne una lettura potenzialmente lesiva del diritto di difesa (art. 24
Costituzione).
Secondo questo orientamento, poiché la norma
stabiliva quale condizione di ammissibilità soltanto la
previa presentazione del reclamo, veniva considerato
ammissibile il ricorso prodotto al giudice tributario
anche prima che fosse trascorso il termine di 90 giorni
entro cui deve perfezionarsi la procedura di reclamo e
mediazione. In pratica, la “presentazione” del reclamo
veniva considerata, in base ad una interpretazione letterale del secondo comma del citato art. 17-bis, quale
unica condizione di ammissibilità prevista dalla
norma, non dovendosi considerare tale anche il previo
decorso del termine di 90 giorni. Tale interpretazione
era inoltre in linea con il principio - affermato anche
dalla Cassazione9 - che impone un prudente apprezzamento delle norme sull'inammissibilità degli atti giudiziali, al fine di giungere ad una pronuncia sul merito
del rapporto oggetto di causa.
Per effetto delle modifiche apportate dalla L. n.
147/2013, la presentazione del reclamo (o istanza di
mediazione) è divenuta mera condizione di procedibilità del ricorso e non più di ammissibilità del ricorso e il comma 2 dell’articolo 17-bis del d.lgs. n.
546/1992 ha stabilito che “l’Agenzia delle entrate, in
sede di rituale costituzione in giudizio può eccepire
l’improcedibilità del ricorso e il Presidente della
Commissione, se rileva l’improcedibilità, rinvia la trattazione per consentire la mediazione”.
Comm. Trib. Prov. Reggio Emilia, Sez. III, 30 maggio 2013, n. 125.
questi termini Turchi A., Reclamo e mediazione nel processo
tributario, in Rass. Trib. n. 4-2012, p. 898.
9 SS.UU., 24 luglio 2013, n. 17931.
7
8 In
DOTTRINA
Con lo stesso provvedimento di legge (art. 1,
comma 611, lett. a), n. 4), che ha inserito il comma 9bis all’interno dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546/92) è
stata prevista, inoltre, la sospensione ex lege della
riscossione e del pagamento delle somme dovute in
base all’atto impugnato in pendenza del procedimento
di mediazione10 e sono state rese espressamente applicabili anche al termine di 90 giorni entro il quale deve
concludersi il procedimento di mediazione le disposizioni per il computo dei termini e la sospensione nel
periodo feriale di cui alla legge 7 ottobre 1969, n. 742.
Non trascurabile, inoltre, è anche la modifica (contenuta nella stessa norma) che attribuisce effetto alla
mediazione anche sui contributi previdenziali e assistenziali la cui base imponibile è riconducibile a quella
delle imposte sui redditi e che esclude l’aggravio di
sanzioni e interessi per i contributi previdenziali e assistenziali determinati in sede di mediazione.
Alle modifiche apportate dalla legge di stabilità si è
sovrapposta la sentenza 9-16 aprile 2014, n. 98, della
Corte costituzionale che ha consentito di attenuare,
almeno in parte, i residui profili di incostituzionalità
della disciplina reclamo-mediazione ante riforma11.
Nella citata sentenza i Giudici costituzionali hanno
esaminato le questioni esposte in sei ordinanze di
rimessione dalle Commissioni Tributarie Provinciali di
Perugia, Campobasso, Benevento e Ravenna12. Grazie
all’intervento della Corte, è stata dichiarata illegittima
la stesura dell’art. 17-bis in vigore fino al 1° marzo
2014 (data di effetto delle modifiche introdotte dalla
L. 147/2013) nella parte in cui stabiliva che la presentazione del reclamo costituisse “condizione di
ammissibilità del ricorso rilevabile in ogni stato e grado
del giudizio”.
È da rilevare, peraltro, che la Corte ha ritenuto
conformi alla Costituzione anche le forme di “giurisdizione condizionata” qualora il differimento della tutela
10 Peraltro, come chiarito dalla circolare 1/E del 2014, paragrafo
2.1, nel caso in cui il contribuente si costituisca in giudizio prima
dello scadere del termine di 90 giorni dall’instaurazione del procedimento di reclamo/mediazione, la sospensione ex lege prevista dal
comma 9-bis dell’articolo 17-bis del D. Lgs. vo n. 546/1992 cessa i
suoi effetti.
11 Carta D., Reclamo e mediazione tributaria: gli interventi del Legislatore e della Consulta non eliminano tutti i dubbi di costituzionalità sollevati in relazione all’art. 17 bis D.Lgs. n. 546/1992, cit.
12 Si tratta delle ordinanze 7 febbraio 2013, Comm. Trib. Prov.
Perugia; 16-17 aprile 2013, Comm. Trib. Prov. Campobasso; 18
aprile 2013, Comm. Trib. Prov. Benevento; 12 luglio 2013, Comm.
Trib. Prov. Ravenna.
7
8
DOTTRINA
giurisdizionale trovi giustificazione in “esigenze di ordine generale e superiori finalità di giustizia”. Sotto questo
profilo, sempre secondo la Consulta, gli altri strumenti
deflativi previsti dalla legge (autotutela, contraddittorio
preventivo, accertamento con adesione), non potrebbero essere considerati equivalenti al procedimento di
reclamo-mediazione perché non avrebbero carattere
obbligatorio13.
Va osservato che con la pronuncia del 2014 la Corte
costituzionale, che ha già visibilmente circoscritto e
fortemente indebolito la portata dell’istituto, anche sul
piano della sua effettiva funzione deflativa14, non ha
esaurito la disamina delle numerose censure mosse dai
giudici di merito all’articolo 17-bis. È stata recentemente pubblicata, infatti, un’ordinanza della
Commissione Tributaria Provinciale di Milano che ha
ritenuto non manifestamente infondata la questione di
illegittimità costituzionale della Norma, avanzata dal
ricorrente in relazione agli articoli 3, 24 e 111 della
Costituzione15. L’ordinanza è stata pronunciata poco
dopo la pubblicazione della sentenza n. 98/2014 ma si
riferisce ancora al testo dell’art. 17-bis in vigore prima
delle modifiche apportate dalla L. 147/2013. Tuttavia,
l’ampiezza delle eccezioni formulate (riferibili almeno
in parte alle parti non modificate della norma) sembra
poter lasciare alla Corte la possibilità di rimettere in
discussione la legittimità complessiva dell’istituto.
13 Glendi C., La Consulta chiude i conti con la c.d. mediazione tributaria ancien régime, in GT - Riv. Giur. Trib., n. 6/2014, pag. 477;
Rasi R., Reclamo e mediazione tributaria: tutto risolto dal Legislatore
e dalla Corte Costituzionale?, in Dir. Prat. Trib., n. 3-2014, p.
10550; Corasaniti G., Il reclamo e la mediazione tributaria tra la
recente giurisprudenza costituzionale e i controversi profili evolutivi
della Corte Costituzionale, in Dir. Prat. Trib., 2014, I, p. 10467.
14 Come rilevato da C. Glendi, La Consulta chiude i conti …, cit.,
pag. 481, la Corte, ai fini della declaratoria d’infondatezza del denunziato contrasto dell’art. 17-bis, D.Lgs. n. 546/1992 con gli artt.
3 e 113 Cost., ha espresso un mirato giudizio di ragionevolezza in
ordine ai limiti oggettivi e soggettivi della disciplina attinente alla
mediazione, compatibile con il corretto esercizio della discrezionalità legislativa, tenuto conto che proprio le liti inferiori ai ventimila
euro direttamente gestite dall’Agenzia delle Entrate rappresentano
“la maggioranza, sul piano numerico, mentre corrispondono, sul piano
del valore, ad una percentuale assai ridotta del valore complessivo delle
controversie instaurate nei confronti di detta Agenzia”, così da giustificare il perseguimento da parte del legislatore ordinario dell’“indicato
interesse generale a deflazionare il contenzioso tributario in modo ragionevole, prevedendo il rinvio dell’accesso al giudice con riguardo alle liti
(quelle nei confronti dell’Agenzia delle entrate) che rappresenta il numero più consistente delle controversie tributarie e, al contempo, a quelle di
esse che comportano le minori conseguenze finanziarie, sia per la parte
privata, sia per quella pubblica”.
15 Comm. Trib. Prov. Milano, ord. 29 luglio 2014, in G.U., 1^
serie speciale, n. 24 del 15 giugno 2016.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
4. Le ulteriori modifiche introdotte a seguito della
legge delega n. 23/2014
L’articolo 10, comma 1, lettera a) della legge n.
23/2014 ha conferito al Governo la delega ad introdurre “norme per il rafforzamento della tutela giurisdizionale
del contribuente, assicurando la terzietà dell'organo giudicante, nonché per l'accrescimento dell'efficienza nell'esercizio dei poteri di riscossione delle entrate”. In particolare,
l’intento espresso dal legislatore delegante è stato quello
del “rafforzamento e razionalizzazione dell’istituto della
conciliazione nel processo tributario, anche ai fini di
deflazione del contenzioso e di coordinamento con la disciplina del contraddittorio fra il contribuente e l’amministrazione nelle fasi amministrative di accertamento del tributo, con particolare riguardo ai contribuenti nei confronti dei quali sono configurate violazioni di minore entità”.
Allo scopo di dare attuazione a questa disposizione,
l’art. 9 del D.Lgs. n. 156/2015 ha introdotto, tra l’altro, rilevanti modifiche alle norme in materia di reclamo e mediazione tributaria portate dall’art. 17-bis del
D.Lgs. n. 546/92. In sintesi, le modifiche riguardano:
a) l’estensione dell’ambito di applicazione dell’istituto
a tutti gli enti impositori, agli agenti della riscossione ed ai soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo
53 D.Lgs. n. 446/1997, nonché alle controversie in
materia catastale;
b) la semplificazione delle modalità di instaurazione
del procedimento;
c) la quantificazione del beneficio della riduzione
delle sanzioni;
d) la uniformazione delle regole che presiedono alle
modalità di pagamento delle somme dovute a
seguito di accertamento con adesione,
reclamo/mediazione e conciliazione;
e) l’estensione anche alle cause reclamabili della possibilità di esperire la conciliazione giudiziale.
In buona sostanza, l’istituto è stato reso applicabile
alla gran parte delle controversie tributarie, a prescindere dall’ente impositore coinvolto16. L’unico elemento
che ancora rileva al fine di stabilire se una controversia
è soggetta o meno a reclamo rimane quindi il valore
massimo delle liti determinato ai sensi dell’articolo 12,
comma 2, D.Lgs. 546/92 che, non ostanti le ripetute
16 Nella
Circolare n. 38/E del 29 dicembre 2015 l’Agenzia ha
evidenziato che, con l’estensione dell’ambito applicativo della procedura, il Legislatore ne ha indirettamente sancito il successo, abbracciando il 70% delle controversie pendenti davanti alle Commissioni Tributarie.
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CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
richieste di aumento, è stato confermato in 20.000
euro come stabilito fin dall’introduzione dell’istituto.
È rimasta immutata anche la previsione di una
maggiorazione pari al 50% delle spese di giudizio prevista dal previgente comma 10 a carico della parte
soccombente in caso di mancato accordo, ora riportata nel nuovo comma 2-septies dell’art. 15 del D.Lgs. n.
546/92.
Così come sono rimaste invariate le previsioni concernenti la devoluzione della decisione sul reclamo e
sulla proposta di mediazione ad “apposite strutture
diverse ed autonome” da quelle che hanno emesso gli
atti reclamabili ma pur sempre appartenenti alla stessa
amministrazione che ha emesso l’atto sottoposto a
reclamo. In questo modo è rimasta immutata la differenza rispetto alla mediazione civile, ove invece viene
assicurata l’indipendenza del soggetto chiamato a giudicare sul caso. Per di più, per gli altri enti ai quali il
D.Lgs. n. 156/2015 ha esteso l’applicazione dell’istituto del reclamo-mediazione (principalmente gli enti
locali) si prevede che l’individuazione della struttura
deputata alla trattazione dei reclami sia rimessa alla
compatibilità con l’organizzazione interna di ciascuno di essi (e, dunque, la decisione potrebbe rimanere
nella competenza dello stesso ufficio che ha emesso
l’atto impositivo). Ne consegue che, anche dopo le
recenti modifiche, il reclamo resta uno strumento di
sollecitazione del potere-dovere di autotutela più che
un rimedio pre-contenzioso.
Vi è poi da osservare che, a seguito delle modifiche
del 2013, il procedimento di reclamo-mediazione è
introdotto automaticamente con la notifica del ricorso all’Ufficio dell’Ente impositore. Viene meno, pertanto, la necessità di presentare un’apposita istanza,
poiché l’istituto è integrato nel processo17. Ad oggi la
procedura in vigore prevede che a seguito della proposizione del ricorso si apra una fase amministrativa di
durata pari a 90 giorni entro la quale deve svolgersi il
procedimento di reclamo-mediazione. Tale termine va
computato dalla data di notifica del ricorso all’Ente
impositore ed è soggetto alla sospensione dei termini
processuali nel periodo feriale.
17 L’Agenzia
delle Entrate ha ribadito tale circostanza nella Circolare n. 38/E del 2015 precisando che il venir meno della necessità di
presentare un’apposita istanza giustifica la mancata riproduzione della previgente disposizione che dichiarava espressamente applicabili al
procedimento di reclamo, in quanto compatibili, le norme sulla proposizione del ricorso.
Durante questa fase:
- il ricorso non è procedibile nel senso che il giudizio può proseguire solo una volta scaduto il termine per lo svolgimento dell’istruttoria;
- sono sospesi ex lege la riscossione e il pagamento
delle somme dovute.
Benchè nella attuale formulazione dell’art. 17-bis la
mediazione sia prevista quale mera facoltà esercitabile
dal contribuente, la (confermata) improcedibilità si
risolve in un sostanziale rinvio dell’accesso al giudizio
che non trova più adeguata giustificazione agli effetti
pratici, complicando inutilmente anche il lavoro dei
funzionari degli enti impositori18.
5. La natura giuridica del “reclamo”
Nella versione precedente alle ultime modifiche legislative l’art. 17-bis sembrava attribuire al reclamo una
duplice veste giuridica: una di tipo amministrativo ed
una seconda (e successiva) di tipo processuale. La difficoltà di attribuire al reclamo una univoca qualificazione
giuridica19 risiedeva dunque nella doppia funzione che
l’istituto è chiamato a svolgere, che aveva spinto alcuni20
a paragonarlo all’ “ircocervo” della mitologia greca, collocandolo a metà strada tra la contestazione amministrativa e il gravame giurisdizionale.
Si è pure sostenuto che le due fasi, quella amministrativa e quella processuale, fossero tra loro nettamente
distinte, avendo ad oggetto l’esercizio di due funzioni
pubbliche, quella amministrativa giustiziale e quella
giurisdizionale. La sola relazione esistente tra le due fasi
del procedimento di reclamo era rinvenuta nel fatto
che, per esplicita previsione normativa, l’attivazione
della fase amministrativa costituiva nel previgente art.
17-bis condizione di ammissibilità del ricorso; detto
diversamente, la fase processuale poteva ritenersi ritualmente attivata soltanto a seguito della rituale attivazione della fase amministrativa21.
18 In questi termini C. Glendi, Fermenti legislativi processualtributaristici: lo schema di decreto delegato sul contenzioso, in Corr. Trib., 3233/2015, p. 2467.
19 Questa è l’opinione di Gioè C., Il reclamo e la mediazione nel
diritto tributario (Giappichelli, Torino, 2015), pag. 10.
20 Giovannini A., Reclamo e mediazione tributaria: per una riflessione sistematica, in Rass. Trib., 2013, p. 52.
21 In dottrina cfr. Giovannini A., La disciplina «riveduta e corretta» del reclamo e della mediazione, in Fisco, 2014, 814; A. Carinci,
Corretta la disciplina del reclamo e mediazione tributaria: risolti i «vecchi» dubbi, se ne profilano altri, in Corr. trib., 2014, 270 ss.; Glendi
C., Tutela cautelare e «nuova» mediazione tributaria, ivi, 275; Rasi F.,
Reclamo e mediazione tributaria: tutto risolto dal legislatore e dalla
Corte Costituzionale?, infra, 2014, I, 550.
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10
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Pare, invero, incontestabile (anche dopo le modifiche disposte dal D.Lgs. n. 156/2015) che le due fasi
del procedimento di reclamo-mediazione debbano
essere considerate logicamente e strutturalmente
distinte22. La proposizione (obbligatoria) del reclamo,
avendo la funzione di introdurre il giudizio dinanzi
alla Commissione Tributaria Provinciale, ha senza
alcun dubbio natura giurisdizionale ab origine, tanto
che la sua proposizione è soggetta a tutte le norme che
disciplinano il ricorso introduttivo (a partire dall’obbligo di indicare i motivi e di dotarsi, ove richiesto,
dell’assistenza tecnica)23 e produce i medesimi effetti
giuridici di questo24. D’altro canto, la richiesta di riesame rivolta all’Amministrazione consente di rinvenire
all’interno del reclamo aspetti tipici dei veri e propri
rimedi giustiziali25, in tutto analoghi a quelli del ricorso amministrativo in opposizione in quanto volto
all’annullamento totale o parziale dell’atto26.
22 Tesauro F., Manuale del processo tributario, Torino, 2013,
149, ha così sostenuto che “il reclamo non è atto diverso dal ricorso; è
il ricorso che, prima di valere come domanda al giudice (editio actionis), opera come atto rivolto all’Agenzia delle Entrate, avviando un
procedimento amministrativo”.
23 Corasaniti G., Il reclamo e la mediazione tributaria tra la recente giurisprudenza costituzionale e i controversi profili evolutivi
della Corte Costituzionale, cit., p. 10470.
24 Così Corasaniti G., Il reclamo e la mediazione nel sistema tributario, (Cedam, Padova, 2013), p. 4.
25 Cfr. La Rosa S., Principi di diritto tributario, Torino, 2012, 413
26 In tal senso ancora Corasaniti G., Il reclamo e la mediazione
tributaria tra la recente giurisprudenza costituzionale e i controversi
profili evolutivi della Corte Costituzionale, cit., p. 10467. Sul punto
cfr. altresì Giovannini A., Reclamo e mediazione tributaria, cit., p.
54-55; Id., Giurisdizione tributaria condizionata e reclamo amministrativo, cit., p. 915 ss., il quale ha anzitutto sottolineato come la disciplina del reclamo ricordi quella a suo tempo prevista dall’art. 188
del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 e dall’art. 10, d.p.r. 28 novembre
1980, n. 787, che disciplinavano due istituti aventi una comune caratteristica: “entrambi assolvevano alla funzione di garantire, in prima
battuta, un riesame dell’atto da parte dello stesso organo amministrativo emanante, il quale poteva intervenire con provvedimento di accoglimento qualora avesse riconosciuto fondate le doglianze del ricorrente”.
Difatti, sebbene i due “vecchi” istituti appena richiamati prevedessero “meccanismi diversi di radicamento del rapporto processuale”, tuttavia, per entrambi “il ricorso poteva costituire oggetto di una doppia
qualificazione: come ricorso in opposizione amministrativa, secondo lo
schema e i modelli propri dei procedimenti giustiziali amministrativi
non giurisdizionali, e come atto introduttivo del processo”. Ebbene, secondo la citata dottrina anche il reclamo disciplinato dall’art. 17-bis
“non si distingue, nella sostanza strutturale, dai modelli, storicamente
accreditati, or ora sommariamente ricordati. Esso, contestuale e simbiotico al ricorso giurisdizionale, è presentato allo stesso soggetto che ha
emanato l’atto contestato, il quale, nei novanta giorni successivi, può
disporne l’annullamento totale o parziale. Per l’8° comma, il reclamo,
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Ciò ha trovato conferma nella nuova formulazione del primo comma del citato art. 17-bis, secondo
cui “il ricorso produce anche gli effetti di un reclamo”.
L’adozione dell’avverbio “anche” chiarisce in modo
evidente la duplicità e il carattere parallelo degli
effetti prodotti dal reclamo, mettendo in risalto il
fatto che quest’ultimo, già dal momento della sua
proposizione all’Amministrazione finanziaria, produce innanzi tutto gli effetti propri del ricorso giurisdizionale e, in primis, quello di impedire la definitività dell’atto impugnato, provocando la pendenza
della lite ancorché in stato di quiescenza27. A tale
effetto giuridico si aggiunge soltanto (“anche …”)
la valenza di istanza amministrativa (rivolta
all’Amministrazione finanziaria) di riesame dell’atto
impositivo, che pure il reclamo riveste ma che è ben
lungi dall’esaurirne le caratteristiche28.
In definitiva, la peculiarità del reclamo (che ormai
viene considerato quale atto “secondario” rispetto al
ricorso giurisdizionale) è da individuarsi nella circostanza che il termine per il completamento dell’iter
di instaurazione del giudizio è sospeso dalla parentesi
amministrativa che si chiude “alla scadenza del termine di novanta giorni dalla data di notifica”29 del
ricorso-reclamo.
infatti, è «volto all’annullamento totale o parziale dell’atto», e ciò costituisce palmare dimostrazione della sua reale natura: esso, da questo
punto di vista, altro non è che un ricorso in opposizione amministrativa. (...) Scopo immediato della legge, pertanto, è quello (...) di concedere all’agenzia uno spazio preprocessuale di natura ‘contenzioso – giustiziale’, assai simile, quanto agli effetti, all’autotutela in annullamento o
revoca su impulso di parte”.
27 In questi termini Basilavecchia M., Dal reclamo al processo, in
Corr. trib., 2012, p. 842.
28 Secondo Corasaniti G., Il reclamo e la mediazione nel sistema
tributario, cit., 6, si tratta “di un dato giuridico incontestabile, poiché
il sistema normativo attribuisce la produzione di tale effetto giuridico
soltanto alla rituale proposizione del ricorso giurisdizionale (ex artt. 18
ss., d.lgs. n. 546 del 1992) ed alcuna deroga a tale regola è stata introdotta (neppure in modo implicito) dal citato art. 17-bis, nel senso che
in tale ultima disposizione non è rinvenibile alcun appiglio normativo
che permetta di imputare tale effetto giuridico direttamente alla proposizione del reclamo nella sua veste amministrativa”. In piena condivisione di tale impostazione, Giovannini A., Questioni costituzionali
sul reclamo tributario, in Riv. dir. trib., 2013, 324 ss. ha testualmente
affermato (in specie pp. 326-327) che “gli effetti processuali e quelli
procedimentali, compreso il potere di depositare il ricorso, si devono
considerare sicuramente prodotti (...) nel momento della notificazione
del ricorso stesso”.
29 Così si esprime l’ultima versione del secondo comma dell’art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/92.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
6. Il rapporto tra reclamo, mediazione tributaria e
conciliazione giudiziale
Questa essendo la natura giuridica dell’istituto in
esame, si deve concordare sull’idea che il reclamo e la
mediazione costituiscono due istituti giuridici profondamente diversi, seppure tra loro connessi per volontà
legislativa30. Ed è per questo motivo, l’inserimento della
disciplina del reclamo e della mediazione all’interno
della stessa disposizione di legge, ha suscitato e continua
a suscitare non pochi dubbi interpretativi31.
Difatti, malgrado le differenze strutturali, in dottrina32 si è osservato che il reclamo e la mediazione sono
comunque legati da un nesso “procedimentale” posto che
la mediazione si configura quale iter amministrativo
“eventuale” (perché facoltativo), attivabile solamente
nell’ambito della procedura del reclamo33.
Nel contempo, la mediazione tributaria conserva la
sua natura di istituto (facoltativo) diretto a favorire, già
nella fase di reclamo, una definizione bonaria della pretesa impositiva che è tipica dell’istituto (per molti versi
analogo) della conciliazione34. Tra mediazione e conciliazione si riscontra infatti una certa coincidenza
di disciplina sia perché i parametri applicati
dall’Amministrazione per valutare la “mediabilità” della
controversia corrispondono a quelli ordinariamente
30 Corasaniti G., Il reclamo e la mediazione nel sistema tributario,
cit., p. 1. Negli stessi termini anche Carta D., Reclamo e mediazione
tributaria: gli interventi del Legislatore e della Consulta non eliminano
tutti i dubbi di costituzionalità sollevati in relazione all’art. 17 bis
D.Lgs. n. 546/1992, Riv. Dir. Trib., 2014, n. 12, parte I, 1263.
31 Gioè C., Il reclamo e la mediazione nel diritto tributario, cit., pag. 2.
32 Corasaniti G., Il reclamo e la mediazione nel sistema tributario,
cit., p. 3.
33 Sulla natura giuridica della mediazione tributaria e sul tentativo di ricostruzione sistematica dell’istituto tra (in)disponibilità del
tributo e ricostruzioni transattive si veda Corasaniti G., Il reclamo e la
mediazione nel sistema tributario, cit., 51 ss.. il quale ravvisa nel reclamo il procedimento amministrativo “principale”, “la cui rituale attivazione non solo costituisce condizione di procedibilità del ricorso giurisdizionale, ma anche (e prima ancora) costituisce la condicio iuris per la
successiva ed eventuale attivazione del (sub)procedimento amministrativo della mediazione”. Va dato atto, peraltro, che altra dottrina ravvisa
nei due istituti una diversità radicale escludendo, sul piano della sostanza del rapporto tributario, la subordinazione della seconda al primo. In questi termini, Giovannini A., Reclamo e mediazione tributaria: per una riflessione sistematica, in Rass. Trib. n. 1-2013, p. 52 ss.;
Id., Giurisdizione tributaria condizionata e reclamo amministrativo, in
Riv. Trim. Dir. Trib., 2012, p. 915.
34 Sulla natura sostanzialmente procedimentale della conciliazione giudiziale si veda Selicato P., La conciliazione giudiziale tributaria:
un istituto processuale dalle radici procedimentali, in Civitarese Matteucci S. – Del Federico L. (a cura di), Azione amministrativa ed azione impositiva. Strumenti e tecniche di tutela dell’amministrato e del contribuente (FrancoAngeli, 2010), p. 225.
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applicati per le procedure di conciliazione, sia perché
l’ultima versione del primo comma dell’art. 17-bis, nel
prevedere che il ricorso “può contenere una proposta di
mediazione con rideterminazione dell’ammontare della
pretesa” non esclude più la conciliazione giudiziale di cui
all’art. 48 del d.lgs. n. 546 del 1992.
Tuttavia, la mediazione tributaria presenta due rilevanti differenze rispetto alla conciliazione giudiziale.
La prima è che la mediazione si pone, rispetto alla
conciliazione giudiziale in un ambito temporale antecedente (in quanto precede la formale instaurazione del
processo, che avviene soltanto nel momento successivo
ed eventuale dell’iscrizione a ruolo della causa) e in un
ambiente giuridico distinto (quello del rapporto diretto
con l’Ufficio impositore)35.
La seconda differenza è che, in assenza della costituzione in giudizio delle parti, viene del tutto escluso il
coinvolgimento del giudice (in veste di possibile “mediatore”), il quale, nella conciliazione giudiziale, una volta
raggiunte le intese tra le parti, viene comunque interpellato pur se ai soli fini di convalidare un accordo già raggiunto e disporre l’estinzione del giudizio36.
In definitiva, esaminando i diversi profili di connessione tra reclamo e mediazione, emerge, anzitutto, come
i due istituti condividano l’obiettivo di deflazionare il
contenzioso con riferimento alle controversie tributarie
di minor valore37 prima che venga incardinato il processo. Negli stessi termini, l’Agenzia delle entrate ritiene
che la procedura de quo sia “sostanzialmente finalizzata a
evitare il rinvio ai giudici tributari delle contestazioni che
35 Sulla segmentazione in più fasi tra loro distinte ma collegate
quanto agli effetti sulla parte successiva della sequenza del procedimento amministrativo tributario sia consentito rinviare a Selicato P.,
L’attuazione del tributo nel procedimento amministrativo (Giuffrè, Milano, 2001), spec. ai Capitoli VI (pagg. 405 e ss.) e VII (pagg. 501 e ss.).
36 Il mancato coinvolgimento del giudice non dipenderebbe dal
difetto di litispendenza, che, secondo unanime dottrina, conseguirebbe pur sempre alla notifica del ricorso-reclamo alla controparte
(Giovannini A., Questioni costituzionali sul reclamo tributario, cit.,
325). Va tuttavia ricordato che la conciliazione tributaria, oltre alla
contestazione formale della pretesa, richiede l’instaurazione del rapporto processuale mediante deposito presso la commissione tributaria dell’atto introduttivo del giudizio (cfr. Cass., 6 ottobre 2001, n.
12314, in Corr. trib., 2002, 982, con nota di Basilavecchia M., La
conciliazione giudiziale può essere fuori udienza ma deve restare interna
al processo). Sul punto v. anche Menchini S., Conciliazione giudiziale,
in Baglione T. – Menchini S. – Miccinesi M., Il nuovo processo tributario (Giuffrè, Milano, 2004), p. 47.
37 In tal senso, nella relazione al disegno di legge di conversione
del d.l. n. 98 del 2011, si afferma che la nuova disciplina normativa
della «mediazione tributaria» – utilizzando un’espressione atecnicamente riferibile ad entrambi gli istituti giuridici (reclamo e mediazione) – «introduce un efficace rimedio amministrativo per deflazionare il
contenzioso relativo ad atti di valore non elevato emessi dall’Agenzia
delle entrate».
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possono essere risolte in sede amministrativa, attraverso un
esame volto ad anticipare l’esito ragionevolmente atteso del
giudizio, tenuto conto della situazione di fatto e di diritto
sottesa alla singola fattispecie”38.
Da ultimo, si segnala che, oltre alla modifica del citato art. 17-bis in tema di reclamo e mediazione, l’intervento legislativo di cui al d.lgs. n. 156/2015 è intervenuto anche sulla conciliazione giudiziale nell’ottica di
un generale rafforzamento ed ampliamento del citato
istituto deflativo. La conciliazione giudiziale è stata
difatti estesa a tutte le liti reclamabili ed al secondo
grado di giudizio. Con la nuova disciplina, incardinata
nei novellati artt. 48 (conciliazione fuori udienza), 48bis (conciliazione in udienza) e 48-ter (definizione e
pagamento delle somme dovute) del d.lgs. n. 546 del
1992, è quindi possibile definire le controversie tributarie nel corso dell’intero giudizio di merito39.
La misura delle sanzioni applicabili alle imposte definite in sede di conciliazione giudiziale è rimasta pari al
quaranta percento in primo grado, mentre è stata
aumentata al cinquanta percento in secondo grado,
cosicché, considerando che la nuova misura delle sanzioni nella mediazione tributaria è del trentacinque percento, ben si comprende come il legislatore abbia voluto
confermare la politica di attenuare gradualmente il
beneficio della riduzione delle sanzioni man mano che si
procede nel giudizio.
Il nuovo art. 48-ter prevede infine che il versamento
delle somme dovute in virtù dell’intesa raggiunta tra le
parti debba avvenire entro venti giorni dalla sottoscrizione dell’accordo conciliativo di cui all’art. 48 (per la conciliazione raggiunta fuori dall’udienza) o di redazione
del processo verbale di cui all’art. 48-bis (per la conciliazione in udienza), in ciò allineandosi a quanto previsto
in materia di accertamento con adesione.
Con riferimento agli istituti del reclamo e della conciliazione, occorre ribadire che con la riforma del sistema delle sanzioni amministrative di cui al d.lgs. n.
158/2015 i predetti strumenti deflativi del contenzioso
saranno di fatto equiparati all’accertamento con adesione anche sul piano sanzionatorio, con la conseguenza
che, anche per essi, il cumulo giuridico opererà limitatamente alla singola imposta e alla singola annualità,
con la conseguente perdita di convenienza rispetto a
prima in caso di violazioni concernenti diversi tributi. In
deroga a quanto previsto dai commi 3 e 5, l’art. 12,
comma 8, d.lgs. n. 472/1997 sancisce, infatti, che nel-
38 Circ. n. 9/E del 19 marzo 2012.
39 La relazione governativa al decreto ha spiegato che “Non si è ritenuto opportuno prevedere la conciliazione nella fase di cassazione,
stante la peculiare natura di tale giudizio, in cui si controverte solo di
violazioni di legge con l’esclusione di accertamenti in fatto”.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
l’accertamento con adesione “le disposizioni sulla determinazione di una sanzione unica in caso di progressione si
applicano separatamente per ciascun tributo e per ciascun
periodo d’imposta”.
7. Osservazioni conclusive
In linea di massima, le novità introdotte con la riforma del contenzioso tributario devono essere accolte con
favore perché perseguono lo scopo di deflazionare il
contenzioso. In particolare, le modifiche apportate
all’art. 17-bis dal d.lgs. n. 156/2015 appaiono rivolte
allo scopo di migliorare l’impianto normativo esistente,
in modo da consentirne un più efficace e razionale funzionamento.
Purtuttavia, l’art 10, lettera a), della delega pareva
preludere ad un intervento di maggiore respiro, che
avrebbe dovuto fare perno sulla conciliazione giudiziale
(di cui la stessa delega prevedeva il “rafforzamento e la
razionalizzazione”) e sul coordinamento con il contraddittorio “nella fase amministrativa di accertamento del tributo”. Nella delega, pertanto, non veniva formulato
alcun riferimento esplicito al destino del procedimento
di reclamo-mediazione. Per questa ragione, la dottrina
ha parlato di mediazione tributaria “extra moenia”40,
proprio al fine di far risaltare la condotta “incredibile”
del legislatore delegato il quale, cadendo in un palese
eccesso di delega, non è parso nemmeno darsi carico in
modo adeguato delle precedenti pronunce del Giudice
delle leggi41.
In effetti, mentre la conciliazione giudiziale è stata
interessata da interventi di rafforzamento e razionalizzazione (che, peraltro, non si spingono fino al punto, invero auspicabile, di attribuire al Giudice il governo dell’accordo tra le parti), non altrettanto è stato fatto per il
procedimento di reclamo e mediazione, che non pare
coordinarsi con le nuove norme in materia di interpello,
di autotutela e di accertamento con adesione.
A ben vedere, anche dopo le recenti modifiche, il
reclamo rappresenta una (ulteriore) particolare espressione delle forme di definizione consensuale delle controversie tributarie già da tempo presenti nel sistema
40 Glendi C., Fermenti legislativi processualtributaristici: lo schema di decreto delegato sul contenzioso, Corr. Trib., 32-33/2015, 2467.
41 Cfr. le chiare indicazioni della Corte Costituzionale nelle due
recenti pronunce: la n. 272 del 2012 dove la Consulta dichiarò costituzionalmente illegittimo l’art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 28/2010;
la n. 98 del 2014 (esaminata in precedenza), proprio riguardo alla
mediazione tributaria disciplinata dall’art. 17-bis del D.Lgs. n.
546/1992.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
fiscale ma rimasti a tutt’oggi privi di una diffusa utilizzazione (si fa riferimento all’autotutela, alla definizione
del processo verbale e dell’avviso bonario, all’accertamento con adesione ed alla stessa conciliazione giudiziale). In questa ottica va vista con favore – a maggior
ragione dopo l’estensione della conciliazione ai gradi
successivi di giudizio – l’eliminazione dell’alternatività
tra reclamo e conciliazione, anche se ciò non fa altro che
confermare la circostanza che l’istituto in esame sia
stato sovrapposto (per di più senza un perfetto coordinamento) a rimedi già esistenti42.
Invece, non possono dirsi rimosse le perplessità
riguardanti l’eccessiva formalizzazione della procedura,
che costituirebbe comunque un onere aggiuntivo proprio per le controversie di minor valore (riguardanti di
norma i piccoli contribuenti). Va riconosciuto che la
legge n. 147/2013 aveva notevolmente ridimensionato
gli adempimenti specifici richiesti ai contribuenti.
Tuttavia, a carico dei predetti soggetti permane comunque l’onere di osservare un notevole tecnicismo, tanto
nella formulazione del reclamo (che costituisce innanzi
tutto l’atto introduttivo del processo) quanto nella
gestione della procedura nella fase preprocessuale (poiché viene imposto ai contribuenti di munirsi già da
questa fase dell’assistenza tecnica di un difensore avente
i requisiti indicati nell’art. 12 del d.lgs. n. 546/92).
Inoltre, la sentenza della Corte Costituzionale n.
98/2014 va riesaminata alla luce della recente evoluzione della giurisprudenza della Suprema Corte di
Cassazione e della Corte Costituzionale, che ha riconosciuto l’esistenza di un obbligo generalizzato
dell’Amministrazione di assicurare al contribuente il
contraddittorio preventivo anche nei casi in cui esso
non sia espressamente codificato43.
In questa nuova prospettiva, l’Amministrazione
sarebbe comunque tenuta, prima dell’emissione di ogni
atto impositivo, ad acquisire le prove, le opinioni e le
richieste del contribuente e, se del caso, ad annullare o
ridurre l’ammontare della pretesa prima che sia iniziato
42 Invero, dalla lettura del nuovo testo della norma si deduce che
tale modifica ha comportato uno stravolgimento della natura giuridica dell’istituto. Se nella prima versione il reclamo rappresentava un
primo passaggio di questo complesso iter procedurale, l’attuale formulazione dell’articolo configura il riesame amministrativo come un
possibile risvolto del ricorso. La situazione – dunque – risulta del tutto speculare a quella prospettata nella precedente versione dell’articolo in esame. Per intenderci, con l’approvazione del nuovo art. 17bis, scompare anche l’ircocervo del Giovannini, e insieme ad esso,
vengono sconfessate le teorie sulla natura ibrida e/o “trasformista”
dell’istituto.
43 Si veda in proposito la sentenza n. 19967 pronunciata dalle
Sezioni Unite il 17 giugno – 18 settembre 2014, recepita dalla Sezione V Tributaria con la successiva sentenza n. 406 del 14 gennaio
DOTTRINA
il processo e proprio allo scopo di eliminare i presupposti della lite. Pertanto, sulla base del predetto orientamento, l’effetto che si voleva, nel 2011, attribuire al
reclamo-mediazione (quello di pervenire ad una spontanea definizione del carico fiscale) potrebbe (rectius:
dovrebbe) prodursi già nel momento di avvio della fase
amministrativa e tradursi nella mancata emissione dell’atto impositivo, nella sua emissione a condizioni più
favorevoli al contribuente ovvero nella revisione “spontanea” del medesimo da parte dell’Ufficio prima dell’inizio del processo.
Permangono, dipoi, le riserve in ordine alla effettiva
autonomia delle strutture demandate alla mediazione
che, dalla lettura del testo, sembrerebbero doversi realizzare all’interno dello stesso ufficio da cui promana l’atto
contestato, affidando ad uffici distinti l’istruttoria degli
atti reclamati. Pertanto, la mediazione tributaria si
discosta notevolmente dal sistema di mediazione in
materia civile, laddove la scelta del mediatore è rimessa
al proponente la conciliazione a cui si affida, poi, la formulazione di una proposta44. Nell’ambito della procedura in esame, la proposta può pervenire invece dal
richiedente stesso divenendo così una sorta di “automediazione”. Tuttavia, non può trascurarsi la circostanza
che – pur ammettendo che l’Agenzia delle Entrate non
assuma un ruolo “terzo” in sede di mediazione – il diritto di difesa del contribuente è tutelato dal consenso che
quest’ultimo è chiamato a manifestare nell’eventualità
di definizione in fase pre-contenziosa45.
2015 e richiamata dalla stessa Sezione Tributaria nell’ordinanza n.
527 del 6 novembre 2014 – 14 gennaio 2015, con la quale ha rimesso
alle Sezioni Unite analoga questione al solo fine di ottenere un chiarimento della distinzione tra “ragioni meramente pretestuose e ragioni infondate ma non pretestuose” formulata ai fini della rilevanza del vizio in
questione nella Sentenza della Corte di Giustizia UE 3 luglio 214, C129/13, Kamino International Logistics. È ben vero che nei suoi sviluppi più recenti la giurisprudenza ne ha attenuato lievemente la portata ma non ha scalfito il principio generale, al quale anche il legislatore avrebbe dovuto adeguarsi nel disciplinare il reclamo, prevedendo
a favore del contribuente garanzie più rigorose in ordine alla parità di
condizioni delle parti e alla imparzialità dell’organo decidente.
44 Sulla mediazione civile si vedano ad es.: AA.VV., La mediazione civile e commerciale, a cura di Besso, (Giappichelli, Torino, 2010);
Proto Pisani, Appunti su mediazione e conciliazione, in Foro it., 2010,
V, col.142 ss.; Scarselli, La nuova mediazione e conciliazione: le cose
che non vanno, ivi, 2010, V, col. 144 ss.; Ulloa, La mediazione nel
processo civile riformato, Bologna, 2011; AA.VV., Mediazione e conciliazione. Diritto interno e, comparato e internazionale, a cura di Pera e
Riccio, Padova, 2011; Tiscini, La mediazione civile e commerciale,
Torino, 2011. In particolare, circa la distinzione tra mediazione civile e tributaria si rimanda a Pistolesi F., Il reclamo e la mediazione nel
processo tributario, in Rass. Trib. cit., pag. 65
45 In Gioè C., Il reclamo e la mediazione nel diritto tributario,
cit., pag. 22.
13
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DOTTRINA
Inoltre, l’ampliamento dell’oggetto del reclamo a tributi non gestiti dalle Agenzie fiscali porta inevitabilmente a disparità di trattamento in ordine alle garanzie
di “terzietà” del mediatore. Infatti, mentre le agenzie
fiscali devono quantomeno istituire le “apposite strutture
diverse e autonome” davanti alle quali deve svolgersi la
mediazione, gli altri enti (in specie gli enti locali) sono
legittimati dalla norma ad affidare tale funzione allo
stesso ufficio che ha emesso l’atto oggetto di reclamo.
Nella specie, oltre al vulnus evidente costituito dall’assenza di terzietà, rimane una forte incognita sulla capacità degli enti locali di gestire in modo corretto il procedimento di reclamo46.
Pur avendo la Corte Costituzionale respinto le eccezioni mosse in tal senso, la questione appare comunque
rilevante sul piano della speditezza ed efficacia della
procedura, nonché della parità di condizioni tra tutti i
soggetti tenuti ad applicare le norme sul reclamo. La
Corte, infatti, non ha respinto le eccezioni sollevate in
tal senso perché convinta che l’affidamento al soggetto
“terzo” desse adeguate garanzie di indipendenza ma perché ha escluso la natura giurisdizionale del procedimento di reclamo. Questa affermazione ha portato a ritenere
che il reclamo costituisse una mera duplicazione dell’istanza di annullamento totale o parziale dell’atto in
via di autotutela47 e concorresse con l’istituto deflativo
preesistente dell’accertamento con adesione48.
In tale prospettiva, la dottrina ha osservato che il
reclamo può essere assimilato ad un riesame obbligatorio in autotutela, per prevedere il quale sarebbe stato
Conigliaro M., Restyling di reclamo-mediazione e conciliazione
giudiziale per puntare sugli strumenti deflativi, cit.
47 Anche per Basilavecchia M., Reclamo, mediazione fiscale e definizione delle liti pendenti, in Corr. Trib. n. 31/2011, pag. 2493, “la
natura del reclamo è assimilabile a quella di un’istanza obbligatoria di
autotutela; nello stesso senso Id., Metodi di accertamento e capacità
contributive, in Rass. trib. n. 5/2012, 1107 ss, specie 1116, laddove
afferma che il reclamo è riconducibile allo schema “del riesame dell’atto… al fine dell’esercizio del potere di autotutela”; ed in Id., Funzione
impositiva e forme di tutela (Giappichelli, Torino, 2013), p. 370. In
senso sostanzialmente analogo Tesauro F., Manuale del processo tributario (Utet, Torino, 2013), 149-150, secondo il quale si tratterebbe di
una richiesta di riesame rivolta all’Agenzia delle entrate, con cui si avvia un procedimento amministrativo; dello stesso parere Stevanato
D., Mediazione fiscale: un provvedimento improvvisato su una strada
giusta in Dialoghi Tributari, n. 1-2012, p. 95, per il quale si tratterebbe “dunque, nella sostanza, un’istanza di autotutela volta all’annullamento d’ufficio dell’atto impositivo” e Cantillo G., Manovra correttiva
(D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito) – Il reclamo e la mediazione tributaria: prime riflessioni sul nuovo art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992,
in Il fisco, n. 31-2011 - parte 1, p. 4997, per il quale i reclami “limitandosi a contestare in toto la legittimità dell’atto si atteggino in buona
sostanza alla stregua di richieste di annullamento totale o parziale in au46
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
sufficiente una circolare interna di carattere organizzativo49, senza creare alcuna interferenza con il processo50.
In questa prospettiva, il reclamo inteso come rimedio giustiziale che apre una valutazione che potrebbe
totutela”. Si veda anche Sbroiavacca A., Stevanato D., Lupi R., Reclamo-mediazione: gli scoordinamenti sistematici di un istituto apprezzabile, in Dialoghi tributari, 2012, p. 284. Dello stesso avviso Turchi A.,
Reclamo e mediazione, cit., p. 3, il quale afferma che il reclamo “ha natura di istanza amministrativa, suscettibile di convertirsi in ricorso giurisdizionale all’esito (negativo) del contraddittorio svolto presso la Direzione provinciale o regionale dell’Agenzia delle entrate”. Negli stessi termini
Marcheselli A., La nuova mediazione fiscale: tra istanze deflazionistiche
e mutamenti strutturali del rapporto fisco-contribuente, in Dir. Prat.
Trib., 2012, 1184-1185. Sull’autotutela tributaria, si vedano, tra gli
altri, Buscema A., L’autotutela tributaria, Roma, 2009; D’Agostino
D., Autotutela tributaria, excursus normativo, giurisprudenziale ed effettiva applicazione dell’istituto, in “Il fisco” n. 32-2006, fascicolo n. 1,
pagg. 4993 e segg.; Stevanato D., L’autotutela dell’amministrazione finanziaria (Cedam,Padova, 1996); Ficari V., Autotutela e riesame nell’accertamento del tributo (Giuffrè, Milano, 1999).
48 In merito all’(in)opportunità di mantenere la duplicazione
tra accertamento con adesione e reclamo/mediazione cfr Sepio G.,
Bianchi F., Covino S., Reclamo e Mediazione: a piccoli passi verso la deprocessualizzazione, in Dialoghi Tributari, n. 2-2012, p. 199, laddove
si afferma che “il nuovo istituto, dunque, trascinerà con sé inutili duplicazioni, rallentando anche i tempi procedimentali, mediante il cumulo
dei termini di sospensione assegnati dal legislatore in caso di accertamento
con adesione e reclamo. Tutto questo, peraltro, in controtendenza rispetto
alla esigenza di speditezza che ha accompagnato l’introduzione del nuovo
avviso di accertamento dotato di efficacia immediatamente esecutiva”.
49 Lo stesso risultato della mediazione si sarebbe potuto raggiungere se la Direzione Centrale delle Entrate avesse chiesto agli uffici di
proporre a tappeto la conciliazione fuori udienza, in tutti i casi minori in cui sussistono le condizioni ora previste dalla legge per “mediare”; così Basilavecchia M., Reclamo, mediazione fiscale e definizione delle liti pendenti, in Corr. trib., 2011, 2494-2495; in senso sostanzialmente analogo F. Tesauro, Manuale del processo tributario,
cit., 149-150, secondo cui si tratterebbe di una richiesta di riesame
rivolta all’Agenzia delle entrate, con cui si avvia un procedimento
amministrativo. Si veda anche Turchi A., Reclamo e mediazione nel
processo tributario, cit., 898. Anche Marcheselli A., La nuova mediazione fiscale: tra istanza deflazionistiche e mutamenti strutturali del
rapporto Fisco-Contribuente, retro, 2012, 1184-1185 riconosce che il
reclamo “sembra rimandare o a un ricorso gerarchico o, forse meglio, ad
un’istanza di autotutela”. Per altro verso, autorevole dottrina ha sostenuto che “in sostanza il reclamo in questione si risolve in un preliminare
esame amministrativo dei ricorsi relativi alle controversie di minore rilievo economico, volto a facilitare l’esercizio di poteri di autotutela da
parte dell’Amministrazione e ad offrire (al contribuente) la possibilità di
conseguire, in sede stragiudiziale, effetti premiali identici a quelli della
conciliazione giudiziale (della quale la mediazione rappresenta un sostanziale surrogato”. Tuttavia non manca di sottolineare come nei
tratti fondamentali della sua disciplina siano presenti aspetti dei veri
e propri rimedi giustiziali amministrativi, in tal senso La Rosa S.,
Principi di diritto tributario, cit., 413-414.
50 Sulla scorta di tali considerazioni, è stato addirittura affermato che il reclamo non abbia alcuna ragion d’essere ma, al contrario, si
inserisca nella struttura del processo come elemento di disturbo
compromettendo le effettive garanzie del contribuente; così Bellè B.,
Mediazione e reclamo: due istituti inutili, in Riv. dir. trib., 2012, 867.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
portare all’annullamento o alla revoca totale o parziale
dell’atto (evitando così il contenzioso) è da considerarsi
ridondante, posto che già nel sistema tributario esistono
rimedi efficaci senza incidere sull’esercizio del diritto
alla difesa51. L’esistenza di tali rimedi conforta la tesi
dell’aggravio posto dal legislatore con l’introduzione
dell’obbligo del reclamo il quale, pertanto, non solo
non sarebbe giustificato da esigenze di ordine generale e
da superiori finalità di giustizia ma non necessiterebbe
nemmeno degli accertamenti tecnici che, secondo la
giurisprudenza della Corte costituzionale52, potrebbero
giustificare un esame preliminare con contestuale ritardo dell’azione giudiziaria.
D’altra parte, se per tali preliminari accertamenti
tecnici si intende la necessità di un supplemento di attività istruttoria, la possibilità che essa sia esercitata risulta ampiamente garantita dai diversi istituti deflativi
prima citati, i quali implicano sempre un’ulteriore e più
attenta verifica del proprio operato da parte
dell’Amministrazione finanziaria, senza che possa in
alcun modo rilevare il fatto che il reclamo investa strutture diverse ed autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili53. Per tali ragioni, la previsio-
51 Da
una parte vi è il rimedio dell’autotutela e, più in generale,
un obbligo diffuso dell’Amministrazione finanziaria di attivare un
contatto preventivo con il contribuente prima dell’emissione dell’avviso di accertamento o dell’iscrizione a ruolo. Dall’altra, la possibilità
di evitare il contenzioso definendo in adesione l’obbligazione tributaria a seguito del contraddittorio in sede amministrativa; in tal senso
Bellè B., Mediazione e reclamo: due istituti inutili, cit., p. 867. In senso
adesivo D. Stevanato, Reclamo e mediazione fiscale: lettera a un bambino mai nato, in Dialoghi trib., 2012, p. 98 e ss. secondo cui “la sostanziale sovrapposizione dell’istituto previsto dall’art. 17-bis rispetto alla
possibilità di presentare istanze di annullamento d’ufficio degli atti impositivi e istanze di accertamento con adesione emerge anche dai parametri
che l’Ufficio finanziario deve ponderare comparativamente nella sua decisione amministrativa”. Per tali ragioni, l’art. 17 – bis “delinea un istituto farraginoso, bifronte, seriamente sospetto di incostituzionalità, che si
sovrappone a istituti già esistenti, in termini del tutto confusi”.
52 Così Corte cost., 4 luglio 1996, n. 233 la quale ha statuito l’illegittimità dell’art. 3, ultimo comma, della l. 24 gennaio 1978, n. 27
nella parte in cui, avverso l’ingiunzione di pagamento dell’Ufficio
del Registro, impediva l’esperibilità dell’azione giudiziaria in mancanza del preventivo ricorso amministrativo, ribadendo che un eventuale ricorso gerarchico deve considerarsi illegittimo quando la pretesa erariale non implica accertamenti tecnici in funzione dei quali
sia necessario o, quanto meno, opportuno che la fase giurisdizionale
sia preceduta da un esame in sede amministrativa.
53 Marini G., Profili costituzionali del reclamo e della mediazione,
cit., 855, il quale replica anche a quella parte della dottrina che ritiene l’art. 17-bis non un rimedio di carattere amministrativo perché lo
stesso reclamo si traduce ope legis in ricorso qualora non venga accolto ovvero non si perfezioni l’eventuale mediazione (in tal senso
Pistolesi F., Il reclamo e la mediazione nel processo tributario, in Rass.
Trib., cit. pag. 25). «[...] anche qualificando tale atto come una modalità speciale di proposizione del ricorso si tratta pur sempre di una
DOTTRINA
ne di una “parentesi amministrativa” prima della fase giurisdizionale non comporta vantaggi significativi nel funzionamento della giustizia tributaria, per cui la compressione del diritto difesa determina un rinvio dell’instaurazione del giudizio non adeguatamente bilanciata54.
Come più volte evidenziato nel presente scritto, la
procedura di reclamo si muove ormai all’interno del
processo (o, quanto meno, ai suoi margini), con l’unico
vantaggio di non richiedere il versamento del contributo unificato, dovuto soltanto nel momento successivo
dell’iscrizione a ruolo della causa. Peraltro, a tale fattore
positivo, fanno da contrappeso ben più pesanti aggravi
a carico del contribuente quali:
- quello di incaricare (e retribuire) il difensore visto il
permanere dell’obbligo dell’assistenza tecnica
(quantomeno per le controversie di valore superiore a tremila euro);
- quello di predisporre un ricorso vero e proprio,
adeguatamente sostenuto da motivazione e documenti (che denunci, cioè, tutti i vizi dell’atto
impugnato con il rigore formale richiesto in sede
di legittimità).
In definitiva, benché l’obiettivo dichiarato dell’intervento legislativo sia quello di “assicurare una maggiore
efficienza del sistema della giustizia tributaria”, non pare
che lo strumento in esame sia idoneo ad offrire una valida ed efficace soluzione al problema dell’aumento dei
ricorsi pendenti dinanzi le Commissioni tributarie.
Invero, se da un lato è indubbio che55 con l’estensione della procedura anche agli altri comparti impositivi,
l’istituto ha potenzialmente garantito una copertura del
70% delle controversie pendenti dinanzi alle
Commissioni Tributarie, per altri versi sembra che le
modifiche apportate dal Legislatore non siano state
risolutive sul piano della deflazione. In effetti, la (doverosa) censura di incostituzionalità sulla originaria previsione di inammissibilità del ricorso e la sua successiva
conversione in mera improcedibilità, unita all’eliminazione della necessità di presentare un’apposita istanza,
appare un mero palliativo rispetto all’appesantimento
che l’instaurazione dell’iter inevitabilmente comporta.
modalità più gravosa per il contribuente, sicché la sua costituzionalità merita comunque di essere vagliata alla luce dei medesimi principi
sopra esposti».
54 Secondo Marini G., Diversi ostacoli si frappongono al successo
applicativo della procedura di reclamo e mediazione, cit., 2049, una
maggiore efficienza si sarebbe realizzata con l’eliminazione per mano
della Corte costituzionale o del Parlamento, dell’istituto della mediazione tributaria, inutile, iniquo, incomprensibile. Aderisce a questa
impostazione Parlato M.C., Profili di costituzionalità del reclamo e
della mediazione tributaria, in Boll. trib., 2012, 1286.
55 Come rilevato nella Circ. 38/E cit.
15
16
DOTTRINA
Inoltre, ad una più attenta analisi del quadro normativo esistente, l’appesantimento procedurale generato dal
reclamo si rivela ingiustificato, poiché la sua funzione
potrebbe (e dovrebbe) essere assolta dalla vasta gamma
degli istituti deflativi preesistenti: principalmente l’accertamento con adesione e l’annullamento in via di
autotutela, codificati da oltre quindici anni ma che fino
ad oggi (probabilmente per le rigidità derivanti da una
prassi non allineata allo spirito ed alla lettera delle norme
istitutive) non hanno svolto in modo adeguato quelle
funzioni di “filtro amministrativo” che dovrebbe assolvere in futuro la nuova procedura di reclamo.
Così strutturato, l’istituto del reclamo finalizzato alla
mediazione mantiene a carico del contribuente l’aggravio degli oneri difensivi nella fase pre-processuale, per di
più proprio per le liti di ridotto valore che, di norma,
sono anche le più semplici. Se, invece, si fosse voluto
rendere più efficiente il sistema dei “filtri” al contenzioso, sarebbe stato sufficiente (ed anche più opportuno)
stabilire, con semplice disposizione organizzativa del
Direttore dell’Agenzia, regole trasparenti di valutazione
delle istanze di autotutela presentate dai contribuenti,
prevedendo l’obbligo del loro esame, non subordinando
l’annullamento a limiti massimi, assoluti o percentuali
o ad altre condizioni simili, e prevedendo quella maggiore separatezza di funzioni (impositiva e di riesame)
che il nuovo art. 17-bis ha imoposto per le controversie
oggetto di “reclamo”.
Se poi, fallito il tentativo di raggiungere l’accordo
direttamente tra le parti, si volesse affidare la funzione
di “filtro” ad un organo decidente davvero estraneo
all’ufficio impositore si potrebbe, di certo con maggiori
garanzie di imparzialità, potenziare il ruolo del giudice
tributario nella conciliazione giudiziale che oggi è di
fatto limitato alla verbalizzazione degli accordi raggiunti
dalle parti e non prevede alcun potere del giudice di sollecitare la conciliazione e, soprattutto, di valutare nel
merito i casi trattati. A tal proposito, si potrebbe prendere
spunto dal procedimento conciliativo tipico del rito speciale del lavoro (artt. 409 e ss. c.p.c.) in cui l’organo di
conciliazione partecipa attivamente al tentativo di composizione delle posizioni contrastanti e prevedere la possibilità di affidare il tentativo ad un giudice monocratico
in modo da rendere più spedite le relative procedure.
In conclusione, per risolvere i problemi di sovraccarico delle Commissioni Tributarie si dovrebbe intervenire innanzi tutto all’origine del rapporto tributario, in
modo da ridurre quanto più possibile il numero di atti
suscettibili di ingenerare controversie destinate agli
organi della giustizia tributaria. Per raggiungere questo
obiettivo sarebbe sufficiente rafforzare i filtri amministrativi già esistenti (autotutela, accertamento con adesione, interpelli preventivi, conciliazione giudiziale) evi-
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
tando, però, di creare nuovi meccanismi che, oltre ad
essere farraginosi, inutili ed onerosi, appaiono, come
detto, anche di dubbia legittimità costituzionale.
Alla luce di tutto quanto sopra, sarebbe auspicabile:
- introdurre nello Statuto del Contribuente una
norma che, adeguandosi all’orientamento ormai
consolidato della Suprema Corte, riconosca esplicitamente l’obbligo generalizzato del contraddittorio
nel procedimento di accertamento;
- stabilire l’obbligo dell’Ufficio di procedere – solo
quando il contribuente ne faccia richiesta – al riesame in via amministrativa dell’atto impositivo impugnato, da compiersi in un termine sufficientemente
breve e, comunque, prima di aprire il processo
davanti alla Commissione tributaria. A tal fine si
potrebbe utilizzare anche per le cartelle di pagamento il già collaudato schema dell’accertamento con
adesione, nel quale l’istanza è una facoltà e non un
obbligo per il contribuente;
- articolare una compiuta disciplina degli effetti sul
processo degli esiti del procedimento amministrativo di autotutela prevedendo:
a) che il diniego espresso o tacito di autotutela costituisca elemento di valutazione per il giudice;
b) che dell’esito del procedimento di autotutela si
tenga conto ai fini della quantificazione delle sanzioni e della condanna al pagamento delle spese di
giudizio;
- sostituire la procedura (amministrativa) del reclamo
con quella (giurisdizionale) della conciliazione fuori
udienza, in cui sia previsto di sottoporre l’esame
della richiesta di conciliazione al Presidente o ad
altro Giudice monocratico della Commissione
competente in un’udienza da fissare entro i novanta
giorni (già previsti per il reclamo), con termini di
difesa dimezzati;
- svincolare l’accesso alla nuova procedura conciliativa da qualsiasi limite quantitativo.
Così facendo:
- si intensificherebbe l’impiego dell’istituto della conciliazione (che oggi, come riferisce la Relazione tecnica allo schema di decreto legislativo approvato il 26
giugno, risulta adottato soltanto nell’1% dei casi,
- si manterrebbe all’interno della fase giurisdizionale
l’attività conciliativa successiva all’emissione dell’atto impositivo,
- si semplificherebbe la struttura del processo, specialmente nella sua fase iniziale,
- si aumenterebbe il ricorso all’autotutela, imponendo agli uffici l’obbligo di evadere le richieste avanzate dei contribuenti e prevedendo una maggiore
rapidità nelle loro decisioni.
DOTTRINA
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Istituti del reclamo e della conciliazione:
le nuove regole
di Santa Pierro
Introduzione
Con la legge dell’11 marzo 2014, n. 231, il Parlamento
ha delegato il Governo ad elaborare una normativa volta
a creare “un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita”. I sedici articoli della legge delega individuano distinti ambiti di intervento e, tra questi, l’articolo 10 pone al Governo l’obiettivo della revisione del
contenzioso tributario mediante l’introduzione di
norme finalizzate al rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente.
Per il raggiungimento di tale obiettivo, il citato articolo 10 indica anche i princìpi e i criteri direttivi che
devono guidare l’opera del legislatore delegato. Primo
tra questi è “il rafforzamento e la razionalizzazione dell’istituto della conciliazione nel processo tributario, anche
ai fini di deflazione del contenzioso e di coordinamento
con la disciplina del contraddittorio fra il contribuente e
l’amministrazione nelle fasi amministrative di accertamento del tributo”2.
L’indicazione parlamentare di razionalizzare, rafforzare e coordinare le norme relative agli istituti deflattivi
del contenzioso ha trovato attuazione nelle modifiche
apportate dal Titolo II del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 1563 agli istituti del reclamo/mediazione4
e della conciliazione tributaria, nonché nelle modifiche
1 La legge n. 23 del 2014 è rubricata: “Delega al Governo
recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita”.
2 Cfr. articolo 10, comma 1, lett. a) della legge n. 23 del 2014.
3 In data 29 dicembre 2015 è stata pubblicata la circolare n. 38/E
dell’Agenzia delle Entrate, che illustra la riforma del processo tributario ad opera del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156. Nel
presente lavoro si terranno presenti le indicazioni fornite con la suddetta circolare, anche se successiva ai lavori del Convegno.
4Si segnala che la Commissione sesta del senato, in sede di esame
del disegno di legge n. 184, ha chiesto al Governo di verificare la sussistenza di eventuali profili di eccesso di delega nelle modifiche apportate all’articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992, posto che la
legge di delega non menzionava espressamente la mediazione. Nella
relazione governativa di accompagnamento del disegno di legge n.
184-bis, confluito nel D.Lgs. n. 156 del 2015, si esclude che si ponga tale problema, posto che la mediazione è un istituto deflattivo del
contenzioso e per tali istituti la legge di delega disponeva tout court
l’ampliamento.
riguardanti la disciplina delle sanzioni e degli adempimenti successivi alla sottoscrizione degli accordi transattivi, ora improntata a criteri di uniformità e semplificazione5.
Il legislatore delegato ha manifestato una netto favore verso gli istituti oggetto del presente contributo, dei
quali ha notevolmente ampliato l’ambito di applicazione e semplificato la disciplina, allo scopo di favorirne
l’utilizzo.
L’istituto del reclamo/mediazione continua ad essere
disciplinato dall’articolo 17-bis del decreto legislativo
31 dicembre 1992, n. 5466, mentre la disciplina della
conciliazione giudiziale è stata ripartita in tre articoli,
volti a disegnare una normativa più articolata e compiuta dell’istituto in esame: gli attuali articoli 48, 48-bis e
48-ter del D.Lgs. n. 546 del 1992. Il quadro normativo
di riferimento va integrato, come meglio si vedrà nel
prosieguo, da norme esterne al D.Lgs. n. 546 del 1992,
riguardanti la determinazione della sanzione e gli adempimenti successivi al perfezionamento dell’accordo
transattivo.
La nuova disciplina, secondo quanto previsto dall’articolo 12 del D.Lgs. n. 156 del 2015, è entrata in
vigore dal 1° gennaio 2016. La relazione illustrativa al
decreto di riforma in esame chiarisce che le novelle
legislative in esame si applicano ai giudizio pendenti
alla data suddetta.
Il reclamo/mediazione
L’articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992, che
disciplina l’istituto del reclamo/mediazione, è stato
oggetto di una riscrittura complessiva ad opera della lettera l), del comma 1, dell’articolo 9 del D.Lgs.n. 156
del 2015.
La riforma non ha mutato la natura dell’istituto, che
resta uno strumento obbligatorio, finalizzato ad un
esame preventivo della fondatezza dei motivi del ricorso
e della possibilità di evitare, anche mediante un accordo
5 Il riferimento è al testo novellato dell’articolo 12 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e dell’articolo 8 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218. Sul punto si veda infra.
17
18
DOTTRINA
di mediazione, l’instaurazione di una controversia
davanti al giudice, ma ha inciso profondamente sui
seguenti aspetti:
- ambito di applicazione dell’istituto, esteso a tutti
gli enti impositori, agli agenti della riscossione e ai
soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del
decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446;
- modalità di instaurazione del procedimento;
- determinazione delle sanzioni dovute a seguito di
mediazione;
- regole per il pagamento delle somme dovute a
seguito di mediazione.
La principale novità apportata dal legislatore del
2015 è l’estensione dell’istituto a tutte le controversie di
valore non superiore ad euro 20.0007, indipendentemente dall’ente impositore.
Infatti, l’articolo 17-bis in esame, nel testo attualmente in vigore, così recita: “Per le controversie di valore
non superiore a ventimila euro, il ricorso produce anche gli
effetti di un reclamo e può contenere una proposta di
mediazione con rideterminazione dell’ammontare della
pretesa”8. Viene meno il riferimento alle sole controversie relative agli atti dell’Agenzia delle Entrate, e diventano pertanto mediabili anche le liti doganali, le liti
relative ai tributi locali e le liti avverso gli agenti e i
concessionari della riscossione, per i vizi ascrivibili al
loro operato.
L’ampliamento dell’ambito di applicazione dell’istituto è stato senz’altro favorito dall’avallo che la Corte
costituzionale ha dato all’istituto stesso. Infatti, nella
sentenza del 16 aprile 2014, n. 98, i Giudici costituzionali hanno evidenziato come l’istituto del
reclamo/mediazione risponda all’interesse generale di
favorire la definizione delle controversie nella fase pregiurisdizionale, attraverso una definizione della lite più
rapida e meno dispendiosa, con conseguente accelera-
7 Nella relazione governativa di accompagnamento del disegno
di legge n. 184-bis si precisa che il Governo ha preferito non incrementare il valore delle controversie mediabili fino ad euro 50.000,
in analogia con la previsione relativa all’importo per la negoziazione
obbligatoria in materia civile, in quanto tale scelta avrebbe esteso
l’ambito di applicazione dell’istituto del reclamo/mediazione alla
quasi totalità delle controversie tributarie pendenti. Le difficoltà
organizzative correlate alla gestione di una simile mole di procedimenti avrebbero potuto compromettere l’efficacia dell’istituto stesso. Tuttavia, nella relazione governativa non si esclude che tale estensione di valore possa essere introdotta gradualmente in seguito.
8 Nella precedente formulazione, l’articolo 17-bis del D.Lgs. n.
156 del 2015 così prevedeva: “Per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, relative ad atti emessi dall’Agenzia delle entrate,
chi intende proporre ricorso è tenuto preliminarmente a presentare reclamo secondo le disposizioni seguenti ed è esclusa la conciliazione giudiziale di cui all’articolo 48”.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
zione dei processi e deflazione del carico di lavoro della
giurisdizione tributaria9.
È stata inoltre espunta dal nuovo testo la precedente
previsione secondo cui, per le controversie interessate
dall’istituto del reclamo/mediazione, era esclusa la conciliazione giudiziale di cui all’articolo 48 del D.Lgs. n.
546 del 1992. Restano non mediabili, per espressa previsione normativa, le sole liti relative agli aiuti di Stato
e le liti di valore indeterminabile, ad eccezione delle liti
catastali di cui al comma 2 dell’articolo 2 del D.Lgs.n.
546 del 199210.
All’estensione dell’ambito di applicazione dell’istituto fanno pendant modalità semplificate di instaurazione
del procedimento: infatti la nuova norma stabilisce che
per le controversie di valore non superiore a 20.000
euro11 è lo stesso ricorso che produce gli effetti del recla-
9 Nella
sentenza in esame la Corte costituzionale così statuisce:
“va premesso che la consolidata giurisprudenza di questa Corte esclude
che la garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale implichi necessariamente una relazione di immediatezza tra il sorgere del diritto (o
dell’interesse legittimo) e tale tutela (sentenze n. 154 e n. 82 del 1992,
n. 130 del 1970, n. 64 del 1964), essendo consentito al legislatore di
imporre l’adempimento di oneri – in particolare, il previo esperimento
di un rimedio amministrativo – che, condizionando la proponibilità
dell’azione, ne comportino il differimento, purché gli stessi siano giustificati da esigenze di ordine generale o da superiori finalità di giustizia
(sentenze n. 132, n. 81 e n. 62 del 1998, n. 233 del 1996, n. 56 del
1995, n. 255 del 1994, n. 406 del 1993, n. 154 del 1992; in termini
simili, sentenze n. 403 del 2007, n. 251 del 2003, n. 276 del 2000, n.
113 del 1997, n. 82 del 1992, n. 130 del 1970). È questo il caso del reclamo e della mediazione tributari, i quali, col favorire la definizione
delle controversie (che rientrino nel menzionato ambito di applicazione
dei due istituti) nella fase pregiurisdizionale introdotta con il reclamo,
tendono a soddisfare l’interesse generale sotto un duplice aspetto: da un
lato, assicurando un più pronto e meno dispendioso (rispetto alla durata
e ai costi della procedura giurisdizionale) soddisfacimento delle situazioni sostanziali oggetto di dette controversie, con vantaggio sia per il contribuente che per l’amministrazione finanziaria; dall’altro, riducendo il
numero dei processi di cui sono investite le commissioni tributarie e,
conseguentemente, assicurando il contenimento dei tempi e un più attento esame di quelli residui (che, nell’ambito di quelli promossi nei
confronti dell’Agenzia delle entrate, comportano le più rilevanti conseguenze finanziarie per le parti)”.
10 Rientrano, pertanto, nell’istituto del reclamo mediazione le liti relative alle “controversie promosse dai singoli possessori concernenti
l’intestazione, la delimitazione, la figura, l’estensione, il classamento dei
terreni e la ripartizione dell’estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale” (cfr. comma 2 dell’articolo 2 del
D.Lgs. n. 546 del 1992).
11 Si rammenta che il valore della lite va valutato secondo le indicazioni fornite dall’articolo 12, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del
1992, il quale stabilisce che “Per valore della lite si intende l’importo
del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con
l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste”.
DOTTRINA
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
mo e può contenere una proposta di mediazione
con ride terminazione dell’ammontare della pretesa.
Pertanto, a seguito della novella legislativa, i
Contribuenti non sono più tenuti a precisare nell’atto
di impugnazione che si tratta di un reclamo/mediazione
ai sensi dell’articolo 17-bis in esame, ma gli effetti della
presentazione dell’istanza di reclamo/mediazione si
esplicano automaticamente per effetto del valore della
lite stessa. Ne consegue che la semplice rituale presentazione di un ricorso, che introduca una controversia di
valore non superiore a 20.000 euro, produrrà gli effetti
del reclamo/mediazione: pertanto, a norma del comma
2 dell’articolo 17-bis, quale effetto immediato si avrà
l’improcedibilità del ricorso per un periodo di novanta
giorni12, durante i quali l’Amministrazione valuterà la
fondatezza dei motivi di impugnazione. Nel corso di
tale periodo, l’azione giudiziaria non può essere proseguita ed il termine per la costituzione in giudizio del
ricorrente, di cui all’articolo 22 del D.Lgs. n. 546 del
1992, decorre dallo scadere del novantesimo giorno
dalla notifica del ricorso13. Al termine dei novanta giorni si applica la sospensione dei termini processuali nel
periodo feriale.
Ulteriore effetto, derivante dalla presentazione di un
ricorso rientrante nell’ipotesi di cui al primo comma
dell’articolo 17-bis, è la sospensione per novanta giorni
di riscossione e pagamento delle somme indicate nell’atto impugnato14.
Per quanto attiene alla fase amministrativa dell’istituto, la nuova disciplina non prevede particolari innovazioni rispetto alle regole dettate dalla previgente normativa, ma si limita a disciplinare alcuni aspetti legati
all’ampliamento della sfera degli enti impositori ai cui
atti si applica l’istituto in esame.
Infatti, se per le Agenzie fiscali è stato confermato
che “provvedono all’esame del reclamo e della proposta di
12 Il comma 2 dell’articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992
prevede che “Il ricorso non è procedibile fino alla scadenza del termine
di novanta giorni dalla data di notifica, entro il quale deve essere conclusa la procedura di cui al presente articolo. Si applica la sospensione
dei termini processuali nel periodo feriale”.
13 Si veda in proposito il comma 3 dell’articolo 17-bis del D.Lgs.
n. 546 del 1992, che così dispone: “Il termine per la costituzione in
giudizio del ricorrente decorre dalla scadenza del termine di cui al comma 2. Se la Commissione rileva che la costituzione è avvenuta in data
anteriore rinvia la trattazione della causa per consentire l’esame del
reclamo”.
14 Tale effetto è previsto dal comma 8 dell’articolo 17-bis del
D.Lgs. n. 546 del 1992, che recita: “La riscossione e il pagamento delle
somme dovute in base all’atto oggetto di reclamo sono sospesi fino alla
scadenza del termine di cui al comma 2, fermo restando che in caso di
mancato perfezionamento della mediazione sono dovuti gli interessi
previsti dalle singole leggi d’imposta”.
mediazione mediante apposite strutture diverse ed autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili”15, gli altri enti impositori possono organizzare la
gestione della procedura compatibilmente con la propria struttura.
Restano invariate le modalità di perfezionamento
dell’accordo di mediazione: il comma 6 dell’articolo 17bis prevede, in continuità con la precedente disciplina,
che nelle controversie aventi ad oggetto un atto impositivo o di riscossione, la mediazione si perfeziona con il
versamento, entro venti giorni dalla sottoscrizione dell’accordo, delle somme dovute o, in caso di pagamento
rateale, con il pagamento della prima rata. Tra gli elementi di novità del testo attuale dell’articolo 17-bis vi è
la precisazione che, in materia di liti relative ad istanze
di rimborso, la mediazione si “perfeziona con la sottoscrizione di un accordo nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. L’accordo
costituisce titolo per il pagamento delle somme dovute al
contribuente”.
Il legislatore ha inoltre innovato il beneficio della
riduzione delle sanzioni e, in coerenza con la possibilità
di conciliare, nelle successive fasi del procedimenti, le
liti mediabili, ha previsto una graduazione del beneficio
in esame in relazione al momento in cui si conclude
l’accordo transattivo.
Infatti, il comma 7 dell’articolo 17-bis ridetermina
nella misura del trentacinque16 per cento del minimo
previsto dalla legge il beneficio della riduzione delle sanzioni in sede di mediazione.
Per la quantificazione della sanzione in concreto
irrogabile, il testo in esame va coordinato con la previsione contenuta nel comma 8 dell’articolo 12 del
D.Lgs. n. 472 del 1997, così come novellato dall’articolo 16 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158,
che disciplina il concorso di violazioni e la continuazione. Tale ultima disposizione prevede che per la mediazione, così come per l’accertamento con adesione e la
conciliazione, sia applicabile il cumulo giuridico separatamente per singoli tributi e per singoli periodi di
imposta. La nuova norma recita infatti: “Nei casi di
accertamento con adesione, di mediazione tributaria e di
conciliazione giudiziale, in deroga ai commi 3 e 5, le
15
Cfr. il comma 4 dell’articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546 del
1992.
16 Si ricorda che, in precedenza, il raggiungimento di un accordo
di mediazione comportava che le sanzioni fossero dovute in misura
pari al quaranta per cento delle somme irrogabili in rapporto all’ammontare del tributo risultante dalla mediazione medesima. È appena il caso di notare che il previgente articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546
del 1992 non aveva una propria disciplina delle sanzioni, ma rinviava a quanto previsto dall’articolo 48 dello stesso decreto.
19
20
DOTTRINA
disposizioni sulla determinazione di una sanzione unica in
caso di progressione si applicano separatamente per ciascun
tributo e per ciascun periodo d’imposta. La sanzione conseguente alla rinuncia, all’impugnazione dell’avviso di
accertamento e alla definizione agevolata ai sensi degli
articoli 16 e 17 del presente decreto non può stabilirsi in
progressione con violazioni non indicate nell’atto di contestazione o di irrogazione delle sanzioni”.
La disciplina attuale comporta, pertanto, che le sanzioni si determinino non prendendo a base la sanzione
irrogata, che può essere maggiore del minimo edittale,
ma la sanzione minima prevista dalla legge per le singole
violazioni contestate con riferimentoalle diverse imposte. In caso di concorso di più violazioni, si applicherà
il cumulo giuridico, se più favorevole, applicato distintamente per ciascuna imposta17, e per ciascun periodo
di imposta oggetto di definizione18.
Un’importante ulteriore novità riguarda la disciplina
del pagamento delle somme dovute a seguito di accordo
di mediazione, che si perfeziona con il pagamento delle
somme dovute o della prima rata entro il termine di
venti giorni dalla data di sottoscrizione19.
Il legislatore del 2015 ha opportunamente uniformato le regole relative al pagamento delle somme dovute a seguito di accordi sottoscritti in sede di accertamento con adesione, reclamo/mediazione e conciliazione,
17 Si segnala che, al momento della pubblicazione delle nuove
norme di cui ai decreti legislativi nn. 156 e 158 del 2015, vi era una
discrasia tra la data di entrata in vigore dellanuova normativa sul reclamo/mediazione, fissataal 1° gennaio 2016, e la data di entrata in
vigore delle modifiche all’articolo 12 del D.Lgs. n. 472 del 1997:infatti, l’articolo 32 dello stesso D.Lgs. n. 158 del 2015 rubricato “Decorrenza degli effetti e abrogazioni”, nel testo originario, prevedeva
che la normativa in esame entrasse in vigore il 1° gennaio 2017. Con
l’articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 228, è stata modificato
il testo dell’articolo 32 citato e la data di entrata in vigore delle disposizioni di cui al Titolo II del decreto in esame è stata individuata
nel 1° gennaio 2016.
18 Nel caso in cui le sanzioni irrogate siano meno favorevoli al
Contribuente rispetto a quelle riformulate con il D.Lgs. n. 158 del
2015, le sanzioni dovranno altresì tener conto dello iussuperveniensin applicazione del principio del favor rei di cui al comma 3 dell’articolo 3 del D.Lge. n. 472 del 1997.
19 Cfr. comma 6 dell’articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992,
che così dispone: “Nelle controversie aventi ad oggetto un atto impositivo o di riscossione, la mediazione si perfeziona con il versamento, entro
il termine di venti giorni dalla data di sottoscrizione dell’accordo tra le
parti, delle somme dovute ovvero della prima rata. Per il versamento
delle somme dovute si applicano le disposizioni, anche sanzionatorie,
previste per l’accertamento con adesione dall’articolo 8 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218. Nelle controversie aventi per oggetto la
restituzione di somme la mediazione si perfeziona con la sottoscrizione
di un accordo nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le
modalità di pagamento. L’accordo costituisce titolo per il pagamento
delle somme dovute al contribuente”.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
inserendo nel comma 6 dell’articolo 17-bis20 e nel
comma 4 dell’articolo 48-ter21 del D.Lgs. n. 546 del
1992 un rinvio alla disciplina di cui all’articolo 8 del
D.Lgs. n. 218 del 199722, che detta le norme inerenti
agli adempimenti successivi alla sottoscrizione dell’atto
di accertamento con adesione23.
È pertanto ammessa la possibilità di versare le
somme dovute in un massimo di otto rate trimestrali di
pari importo o in un massimo di sedici rate trimestrali24
se le somme dovute superano i cinquantamila euro.
Le rate successive alla prima devono essere versate,
per espressa previsione normativa, entro l’ultimo giorno
di ciascun trimestre: tale disposizione innova la precedente disciplina, la quale prevedeva che il termine entro
cui effettuare tali versamenti fosse da correlarsi alla data
in cui era stato effettuato il primo versamento25 e non
entro un termine unico per tutti i contribuenti.
Uniformità di disciplina si ritrova altresì in materia
di inadempimento nei pagamenti rateali. Infatti, l’attuale articolo 8 del D.Lgs. n. 218 del 1997 dispone che
“In caso di inadempimento nei pagamenti rateali si applicano le disposizioni di cui all’articolo 15-ter del decreto del
Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602”.
20 Cfr. supra, n. 19.
21 La
norma citata prevede: “Per il versamento rateale delle somme
dovute si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste per
l’accertamento con adesione dall’articolo 8 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218”.
22 L’articolo 8 in esame così dispone: “1. Il versamento delle somme dovute per effetto dell’accertamento con adesione è eseguito entro
venti giorni dalla redazione dell’atto di cui all’articolo 7.
2. Le somme dovute possono essere versate anche ratealmente in un massimo di otto rate trimestrali di pari importo o in un massimo di sedici
rate trimestrali se le somme dovute superano i cinquantamila euro.
L’importo della prima rata è versato entro il termine indicato nel
comma 1. Le rate successive alla prima devono essere versate entro l’ultimo giorno di ciascun trimestre. Sull’importo delle rate successive alla
prima sono dovuti gli interessi calcolati dal giorno successivo al termine
di versamento della prima rata.
3. Entro dieci giorni dal versamento dell’intero importo o di quello
della prima rata il contribuente fa pervenire all’ufficio la quietanza
dell’avvenuto pagamento. L’ufficio rilascia al contribuente copia dell’atto di accertamento con adesione.
4. Per le modalità di versamento delle somme dovute si applicano le
disposizioni di cui all’articolo 15-bis. In caso di inadempimento nei
pagamenti rateali si applicano le disposizioni di cui all’articolo 15-ter
del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.
602”.
23 Cfr. articolo 7 del D.Lgs. n. 218 del 1997.
24 La precedente normativa, dettata dal comma 3 dell’articolo 48
del D.Lgs. n. 546 del 1992, richiamato dal comma 8 del previgente
articolo 17-bis, prevedeva che la rateizzazione fosse ammessa in un
massimo di otto rate elevate a dodici, nel caso in cui le somme dovute superassero i cinquantamila euro
25 Cfr. circolare dell’8 agosto 1997, n. 235/E del Ministero delle
Finanze.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
DOTTRINA
Tale ultima norma, introdotta dall’articolo 3,
comma 1, del decreto legislativo 24 settembre 2015 n.
159, prevede al comma 2 che “In caso di rateazione ai
sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo 19 giugno 1997,
n. 218, il mancato pagamento di una delle rate diverse
dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva comporta la decadenza dal beneficio della rateazione e l’iscrizione a ruolo dei residui importi dovuti a titolo
di imposta, interessi e sanzioni, nonché della sanzione di
cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre
1997, n. 471, aumentata della metà e applicata sul residuo importo dovuto a titolo di imposta”.
Ai sensi di tale disposizione, la decadenza dal beneficio della rateizzazione si verifica nel caso in cui il mancato pagamento di una rata successiva alla prima si protragga fino al termine di pagamento della rata successiva. In tale ipotesi, sono iscritti a ruolo i residui importi
dovuti a titolo di imposte, interessi e sanzioni, ed è irrogata la sanzione per omesso versamento, prevista dall’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n.
471, aumentata della metà, e quindi pari al quarantacinque per cento, e rapportata all’importo dovuto a
titolo di imposta. La nuova sanzione per gli omessi
pagamenti rateali si mostra coerente con l’attuale tendenza del legislatore a mitigare il regime sanzionatorio
tributario: si ricorda, infatti, che la previgente normativa, dettata dal comma 3-bis dell’articolo 48 del D.Lgs.
n. 546 del 199226, prevedeva che la sanzione di cui
all’articolo 13 del D.Lgs. n. 471 del 1997 fosse applicata in misura doppia, in ragione del sessanta per
cento,sul residuo importo dovuto a titolo di tributo.
Trova applicazione agli istituti dell’accertamento con
adesione, del reclamo/mediazione e della conciliazione
la previsione di cui al comma 3 dell’articolo 15-ter del
DPR n. 602 del 1973, che esclude la decadenza nell’ipotesi del lieve inadempimento. Viene ora precisamente normato il concetto di lieve inadempimento che
si avrà nelle ipotesi di “a) insufficiente versamento della
rata, per una frazione non superiore al 3 per cento e, in
ogni caso, a diecimila euro; b) tardivo versamento della
prima rata, non superiore a sette giorni27”.
È il caso di ricordare, tuttavia, che l’Agenzia delle
entrate, con circolare del 19 marzo 2012, n. 9, aveva già
riconosciuto, in tema di reclamo/mediazione, che pagamenti lievemente inferiori al dovuto o effettuati con
lieve ritardo potessero essere ritenuti validi dagli Uffici
“tenendo conto dell’intento deflativo dell’istituto e dei
principi di economicità, nonché di conservazione dell’atto
amministrativo”.
Si aggiunga che il comma 6 dell’articolo 15-ter in
esame consente al contribuente di avvalersi dell’istituto
del ravvedimento operoso di cui all’articolo 13 del
D.Lgs. n. 472 del 1997, purché il versamento sia eseguito entro il termine di versamento della rata successiva ovvero, in caso di versamento in unica soluzione o di
ultima rata, entro novanta giorni dalla scadenza del termine previsto per il versamento.
Tuttavia, si ritiene che nelle ipotesi in cui il termine
di versamento è previsto a pena di decadenza, il pagamento tardivo non comporterà decadenza dai benefici
connessi all’istituto a cui afferisce il pagamento, solo se
integrante gli estremi del “lieve inadempimento”, ovvero se eseguito entro sette giorni dalla scadenza28.
In caso contrario, il contribuente potrà effettuare il
pagamento entro novanta giorni dalla scadenza del termine, in caso di pagamento in un’unica soluzione, o
entro il termine della rata successiva, avvalendosi dell’istituto del ravvedimento operoso. Tale normativa troverà applicazione, per esempio, nell’istituto della conciliazione giudiziale, per il cui perfezionamento non è più
necessario il pagamento delle somme dovute entro una
certa data. Discuterne con Marcello. Rivedere meglio il
testo per chiarirne il significato e semplificare.
Va infine aggiunto che la circolare n. 38/E del 2015
dell’Agenzia delle Entrate ha chiarito che “in caso di
accoglimento parziale del reclamo, si rendono applicabili le
disposizioni recate dall’articolo 2-quater, comma 1-sexies,
del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564, introdotte
dall’articolo 11, comma 1, lettera a), del D.Lgs. n. 159 del
2015, ai sensi della quale ‘Nei casi di annullamento o
revoca parziali dell’atto il contribuente può avvalersi
degli istituti di definizione agevolata delle sanzioni previsti per l’atto oggetto di annullamento o revoca alle
medesime condizioni esistenti alla data di notifica dell’atto purché rinunci al ricorso. In tale ultimo caso le
spese del giudizio restano a carico delle parti che le
hanno sostenute’. In applicazione della citata disposizione, si ritiene che il contribuente che abbia ottenuto l’accoglimento parziale del reclamo, previa rinuncia al deposito
del ricorso con riguardo agli altri motivi di doglianza non
accolti, è rimesso in termini per ottenere eventualmente la
riduzione delle sanzioni ad un terzo prevista dall’articolo
15 del D.Lgs. n. 218 del 1997”.
26 Tale norma si applicava all’istituto del reclamo/mediazione
per effetto del richiamo contenuto nel comma 8 del previgente articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992.
27 Cfr. comma 3 dell’articolo 15-ter del DPR n. 602 del 1973.
28 È questa l’ipotesi del pagamento delle somme dovute a seguito
di sottoscrizione di atto accertamento con adesione e di atto di mediazione.
21
22
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Conciliazione
Anche l’istituto della conciliazione giudiziale ha
subito un profondo restyling, attraverso un intervento
legislativo volto a dettare una disciplina compiuta delle
diverse tipologie di conciliazione e ad ampliarne l’ambito di applicazione. Il legislatore della riforma mostra di
aver recepito le elaborazioni giurisprudenziali intervenute in materia negli ultimi anni, volte ad integrare
“con notevoli sforzi interpretativi”29 la scarna disciplina
positiva dell’istituto. Di grande rilievo è stata, per esempio, la sentenza della Corte di cassazione del 13 febbraio 2009, n. 3560, con cui la Suprema Corte ha delineato la disciplina della conciliazione in udienza, definita
‘lunga’, e della conciliazione fuori udienza o ‘breve’,
oppure le sentenze del 13 giugno 2006, n. 21325, e del
19 giugno 2009, n. 14300, che hanno approfondito la
questione della natura dell’accordo conciliativo e ne
hanno riconosciuto il carattere transattivo e negoziale.
In particolare, in quest’ultima pronuncia è stato chiaramente sottolineato il carattere novativo dell’accordo
conciliativo, in virtù del quale si ha “la sostituzione della
pretesa fiscale originaria, ma unilaterale e contestata, con
una certa e concordata”.
La nuova disciplina della conciliazione giudiziale
conferma implicitamente la natura di strumento facoltativo di deflazione del contenzioso, finalizzato al raggiungimento di un accordo tra l’Amministrazione
finanziaria e il contribuente volto ad estinguere, in toto
o in parte, una lite tributaria. La novella legislativa ha
riguardato tuttavia importanti aspetti operativi dell’istituto, quali l’ambito di applicazione, la disciplina delle
sanzioni, la procedura e il momento del perfezionamento e del pagamento rateale delle somme dovute.
Le modifiche introdotte rispondono, al pari delle
modifiche all’istituto del reclamo/mediazione, all’esigenza di incentivare l’utilizzo dello strumento conciliativo per addivenire ad una soluzione rapida delle controversie tributarie in funzione del rispetto del canone
della ragionevole durata dei processi30.
Pertanto, l’istituto, che nella disciplina previgente
era esperibile solo dinanzi alla Commissione tributaria
29 Cfr. la sentenza della Suprema Corte 15 novembre 2013, n.
25683, in cui si legge che “la disciplina della conciliazione giudiziale
dei rapporti tributari, contenuta nell’art. 48 Dlgs n. 546/1992, ha imposto, fin dalla prima applicazione, notevoli sforzi interpretativi, avendo omesso il Legislatore di prevedere il necessario raccordo tra l’attività
conciliativa svolta avanti il Giudice tributario e la fase di adempimento
di tale accordo, non essendo stato definito il coordinamento tra l’effetto
estintivo del rapporto tributario controverso e la pronuncia di estinzione
del giudizio pendente (per sopravvenuta cessazione della materia del
contendere) nel caso di successivo inadempimento totale o parziale del
contribuente al versamento dell’importo concordato”.
30 In tal senso, cfr. C. Cass., sentenze 18 aprile 2007, nn. 9222 e
9223, in cui si afferma che la conciliazione giudiziale ha lo scopo di
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
provinciale, ora trova applicazione per tutta la durata
del giudizio di merito31 e ne è stata altresì prevista
l’estensione alle liti reclamabili: non è infatti stato riproposto l’inciso del primo comma del previgente articolo
17-bis del D.Lgs. n. 156 del 2015, che per la controversie di valore non superiore a ventimila euro dichiarava
“esclusa la conciliazione giudiziale di cui all’articolo 48”.
Il legislatore ha dettato una disciplina compiuta
dell’istituto e ne ha dato sistemazione in tre articoli
aggiungendo, all’articolo 4832 del D.Lgs. n. 546 del
1992, gli articoli 48-bis33 e 48-ter34.
“contribuire alla deflazione del contenzioso tributario, iscrivendo il
meccanismo da esso disciplinato nell’ambito degli istituti di risoluzione
alternativa delle controversie (c.d.movimento per le A.D.R.) che ha trovato in tal modo ingresso anche nelle ... liti fiscali”. E ciò in ossequio al
“principio costituzionale di ragionevole durata del processo che trova applicazione anche nel processo tributario”.
31 Nella previgente formulazione, l’articolo 48, al comma 2, prevedeva che la conciliazione potesse aver luogo solo davanti alla commissione provinciale e non oltre la prima udienza. La norma attuale,
invece, individua l’ambito di applicazione dell’istituto facendo riferimento alla “pendenza del giudizio”, estendendo l’esperibilità della
conciliazione alla fase di appello.
32 L’articolo 48 del D.Lgs. n. 546 del 1992, rubricato “Conciliazione fuori udienza”, così dispone: “1. Se in pendenza del giudizio le
parti raggiungono un accordo conciliativo, presentano istanza congiunta sottoscritta personalmente o dai difensori per la definizione totale o
parziale della controversia.
2. Se la data di trattazione è già fissata e sussistono le condizioni di
ammissibilità, la commissione pronuncia sentenza di cessazione della
materia del contendere. Se l’accordo conciliativo è parziale, la commissione dichiara con ordinanza la cessazione parziale della materia del
contendere e procede alla ulteriore trattazione della causa.
3. Se la data di trattazione non è fissata, provvede con decreto il presidente della sezione.
4. La conciliazione si perfeziona con la sottoscrizione dell’accordo di cui
al comma 1, nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le
modalità di pagamento. L’accordo costituisce titolo per la riscossione
delle somme dovute all’ente impositore e per il pagamento delle somme
dovute al contribuente”.
33 Il testo dell’articolo 48-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992, che disciplina la “Conciliazione in udienza”, prevede che.
“1. Ciascuna parte entro il termine di cui all’articolo 32, comma 2,
può presentare istanza per la conciliazione totale o parziale della controversia.
2. All’udienza la commissione, se sussistono le condizioni di ammissibilità, invita le parti alla conciliazione rinviando eventualmente la
causa alla successiva udienza per il perfezionamento dell’accordo conciliativo.
3. La conciliazione si perfeziona con la redazione del processo verbale
nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di
pagamento. Il processo verbale costituisce titolo per la riscossione delle
somme dovute all’ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente.
4. La commissione dichiara con sentenza l’estinzione del giudizio per
cessazione della materia del contendere”.
34 L’articolo 48-ter del D.Lgs. n. 546 del 1992, intitolato “Definizione e pagamento delle somme dovute”, così recita: “1. Le sanzioni amministrative si applicano nella misura del quaranta per cento del
minimo previsto dalla legge, in caso di perfezionamento della concilia-
DOTTRINA
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Gli articoli 48 e 48-bis regolano, rispettivamente, la
conciliazione fuori udienza e la conciliazione in udienza; l’articolo 48-ter detta le norme comuni alle due tipologie di conciliazione per quanto concerne il trattamento sanzionatorio e il pagamento delle somme dovute.
Le due modalità di conciliazione erano già succintamente delineate dai commi 3 e 5 del previgente articolo
48. Le norme attualmente vigenti, oltre a dettare una
disciplina più analitica delle due modalità di raggiungimento dell’accordo transattivo, presentano alcuni elementi di novità rispetto alla vecchia disciplina. In primo
luogo, per quel che concerne la conciliazione fuori
udienza, è ora previsto che, ove le parti abbiano raggiunto un accordo conciliativo, l’istanza congiunta di
definizione totale o parziale della controversia può essere depositata da ciascuna parte del giudizio e non più
dal solo Ufficio.
L’Agenzia delle Entrate, nella circolare n. 38 del
2015, evidenzia come l’istanza35 debba contenere anche
l’esposizione dei termini dell’accordo.
zione nel corso del primo grado di giudizio e nella misura del cinquanta
per cento del minimo previsto dalla legge, in caso di perfezionamento nel
corso del secondo grado di giudizio.
2. Il versamento delle somme dovute ovvero, in caso di rateizzazione,
della prima rata deve essere effettuato entro venti giorni dalla data di
sottoscrizione dell’accordo conciliativo di cui all’articolo 48 o di redazione del processo verbale di cui all’articolo 48-bis.
3. In caso di mancato pagamento delle somme dovute o di una delle
rate, compresa la prima, entro il termine di pagamento della rata successiva, il competente ufficio provvede all’iscrizione a ruolo delle residue
somme dovute a titolo di imposta, interessi e sanzioni, nonché della
sanzione di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997,
n. 471, aumentata della metà e applicata sul residuo importo dovuto
a titolo di imposta.
4. Per il versamento rateale delle somme dovute si applicano, in quanto
compatibili, le disposizioni previste per l’accertamento con adesione
dall’articolo 8 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218”.
35 L’Agenzia delle Entrate, nella circolare n. 38/E del 2015, precisa che “L’istanza deve contenere:
l’indicazione della commissione tributaria adita;
i dati identificativi della causa, anche con riferimento all’Ufficio
dell’Agenzia e al contribuente parti in giudizio;
la manifestazione della volontà di conciliare, con indicazione degli elementi oggetto della proposta conciliativa ed i relativi termini economici;
la liquidazione delle somme dovute in base alla conciliazione (ovvero,
per le conciliazioni intervenute nell’ambito di controversie aventi ad
oggetto operazioni catastali, gli elementi che individuano esattamente i
termini dell’accordo conciliativo, quali l’indicazione del classamento o
della rendita catastale rideterminati);
la motivazione delle ragioni che sorreggono la conciliazione;
l’accettazione incondizionata del ricorrente di tutti gli elementi della
proposta nonché delle somme liquidate;
la data, la sottoscrizione del titolare dell’Ufficio e la sottoscrizione del
contribuente o, nei casi in cui vi sia obbligo di assistenza tecnica, anche
del difensore. Si precisa che, in presenza di difensore, deve essere espressamente conferito nella procura il potere di conciliare e transigere la
controversia”.
Sulla proposta preconcordata, la Commissione adita
svolge un sindacato di mera legittimità, secondo quanto
previsto dal comma 2 dell’articolo 48. Viene pertanto
sancito in via generale che la Commissione valuta la
sussistenza delle condizioni di ammissibilità, laddove,
nella precedente formulazione della norma36, il legislatore prevedeva espressamente il vaglio della sussistenza
dei presupposti di ammissibilità unicamente per il caso
in cui la proposta di conciliazione preconcordata fosse
depositata in Commissione prima della fissazione dell’udienza. Va però evidenziato che la giurisprudenza di
legittimità era comunque giunta ad ammettere che i
giudici tributari potessero svolgere, in ogni caso, un
mero controllo di legittimità. Ciò comportava che i giudici potessero e dovessero verificare l’ammissibilità del
ricorso incoativo del procedimento, la sussistenza dei
presupposti della giurisdizione e della competenza del
giudice adito, il rispetto delle regole procedimentali
nonché la sussistenza del potere di conciliare. Nella
vigenza del precedente testo della norma, la Corte di
cassazione ha in più occasioni precisato che ai giudici
tributari, in caso di conciliazione tra le parti, è precluso
esercitare una vaglio sulla meritevolezza dell’accordo37.
Le nuove norme non contengono elementi di novità
per quanto riguarda l’ammissibilità della conciliazione
parziale38 mentre, in ordine ai provvedimenti conclusivi
del processo tributario in caso di conciliazione, viene
codificato che il procedimento può concludersi con i
seguenti provvedimenti a seconda della fase del processo
in cui l’accordo conciliativo si perfeziona: nel caso in
cui la data di trattazione non sia fissata, è previsto che
provveda il presidente della sezione con decreto; nell’ipotesi in cui l’istanza di conciliazione sia depositata
dopo la fissazione dell’udienza di trattazione, il collegio
pronuncia sentenza di cessazione della materia del
contendere, se l’accordo riguarda l’intera controversia.
36 Cfr.
comma 5 del previgente articolo 48 del D.Lgs. n. 546 del
1992.
37 In proposito si fa presente che la Corte costituzionale, con
sentenza del 24 ottobre 2000, n. 433, ha sancito l’infondatezza della
questione di legittimità dell’articolo 48 nella parte in cui non consentiva alla Commissione tributaria provinciale alcun giudizio di
congruità delle somme da versare su cui l’Ufficio e il contribuente si
fossero accordati. Anche la Corte di cassazione, con sentenza del 18
aprile 2007, n. 9222, ha confermato che il Giudice tributario può
esercitare sull’accordo conciliativo un mero controllo di legalità
estrinseco, senza poter esprimere alcuna valutazione sulla congruità
dell’importo concordato. Nello stesso senso, si veda la circolare del
23 aprile 1996, n. 98/E del Ministero delle Finanze.
38 Il comma 2 dell’articolo 48 del D.Lgs. n. 546 del 1992 prevede che, se l’accordo conciliativo è parziale, la commissione dichiari
con ordinanza la cessazione parziale della materia del contendere e
proceda alla ulteriore trattazione della causa.
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24
DOTTRINA
Per converso, in caso di conciliazione parziale, dichiara
con ordinanza la cessazione parziale della materia del
contendere e procede alla ulteriore trattazione della
causa.
Si precisa che deve ritenersi che il termine ultimo per
il deposito dell’istanza di conciliazione continui a coincidere con l’udienza di discussione o la data di trattazione in camera di consiglio: la norma attuale, a differenza
della precedente, non disciplina tale aspetto, ma in via
interpretativa, in considerazione della finalità dell’istituto, è da ritenere ammissibile che l’accordo conciliativo possa essere depositato in Commissione nel
momento in cui la causa è trattenuta in decisione39.
La conciliazione in udienza, come già anticipato, è
disciplinata dall’articolo 48-bis del D.Lgs. n. 546 del
1992. Analogamente a quanto previsto dal comma 3
del previgente articolo 48, ciascuna delle parti può presentare istanza di conciliazione totale o parziale fino al
termine di cui al comma 2 dell’articolo 32, ovvero fino
a dieci giorni prima dell’udienza. Tuttavia, attualmente
non è più previsto che l’istanza di conciliazione vada
inserita nell’istanza di pubblica udienza.
La nuova norma non specifica il tipo di atto in cui
debba essere inserita l’istanza di conciliazione né prevede il contenuto necessario dell’istanza di conciliazione.
Deve comunque ritenersi che non si possa prescindere
dalla trattazione del ricorso in pubblica udienza, necessaria per l’esperimento della conciliazione, e che l’istanza debba contenere quanto meno i termini generali
dell’accordo.
La Commissione, se ritiene che ci siano i presupposti
di ammissibilità della proposta, invita le parti a tentare
un accordo e può, ove necessario, rinviare la causa a successiva udienza.
Nel caso in cui la procedura abbia esito positivo, il
segretario della sezione redige un processo verbale40 “nel
quale sono indicate le somme dovute con i termini e le
modalità di pagamento”. Tale atto costituisce titolo per
la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e
per il pagamento delle somme dovute al contribuente.
Conseguentemente la Commissione dichiara con sentenza l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere.
Una importante novità di entrambe le tipologie di
conciliazione attiene al momento del perfezionamento
dell’accordo, per il quale non è più necessario il paga-
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
mento delle somme dovute o della prima rata di esse,
ma è sufficiente la sottoscrizione dell’accordo o la redazione del processo verbale. Infatti, il comma 4 dell’articolo 48 prevede che la conciliazione ‘fuori udienza’ si
perfezioni con la sottoscrizione dell’accordo in cui sono
indicate le somme dovute, con i termini e le modalità di
pagamento. Analoga disposizione contiene il comma 3
dell’articolo 48-bis, che fa coincidere il perfezionamento della conciliazione con la redazione del processo verbale. L’accordo, in entrambi i casi, costituisce titolo per la
riscossione delle somme in esso indicate come dovute.
A tale ultimo aspetto della procedura è dedicato l’articolo 48-ter del D.Lgs. n. 546 del 1992 che, per l’appunto, disciplina sia il profilo premiale dell’istituto,
incentrato sulla riduzione delle sanzioni correlate alle
imposte rideterminate in sede di conciliazione, sia le
modalità e i termini di versamento delle somme dovute
e di recupero delle somme non versate.
A norma del comma 1 dell’articolo 48-ter, le sanzioni amministrative si riducono al quaranta per cento del
minimo previsto dalla legge, se la conciliazione si perfeziona nel primo grado di giudizio, al cinquanta per
cento del minimose l’accordo conciliativo è raggiunto
dinanzi alla Commissione tributaria regionale.
La determinazione concreta delle sanzioni applicabili a seguito dell’accordo conciliativo deve tener conto sia
delle imposte rideterminate in sede di conciliazione, a
cui va rapportata la nuova sanzione, sia del dettato dell’articolo 12 del D. Lgs. n. 472del 1997, oltre che della
nuova disciplina sanzionatoria introdotta dal decreto
legislativo n. 158 del 2015 se più favorevole41: in proposito si richiama quanto innanzi detto a proposito
dell’istituto della mediazione tributaria42.
Il versamento delle somme dovute ovvero, in caso di
rateizzazione, della prima rata di esse va effettuato entro
venti giorni dalla sottoscrizione dell’accordo conciliativo di cui all’articolo 48 o dalla redazione di processo
verbale di cui all’articolo 48-bis.
Pertanto, nel caso della conciliazione fuori udienza,
la scadenza del termine di versamento delle somme
dovute non decorre più dalla data di comunicazione del
provvedimento giudiziale di cessazione della materia del
contendere, bensì dalla data di sottoscrizione dell’accordo stesso. Nel calcolo delle somme dovute vanno ovviamente considerate le somme eventualmente versate in
pendenza di giudizio, che andranno detratte dall’importo conciliato e, in caso di eccedenza, restituite al
contribuente.
39 Cfr. circolare n. 38/E del 2015 dell’Agenzia delle Entrate.
40 Torna applicabile il disposto dell’articolo 34, comma 2, del
D.Lgs. n. 546 del 1992, che così prevede: “Dell’udienza è redatto
processo verbale dal segretario”.
41 Cfr. supra, n. 18.
42 Vd. supra, pp. 7-8.
DOTTRINA
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Per quanto riguarda il versamento rateale delle
somme dovute a seguito di conciliazione, si è sopra precisato43 che il legislatore ha uniformato la disciplina dei
pagamenti rateali correlati all’accertamento con adesione alla mediazione e alla conciliazione, e si è già illustrata la relativa disciplina. Si rinvia, pertanto, a quanto
detto a proposito del versamento rateale delle somme
dovute in sede di procedimento di reclamo/mediazione.
La disciplina delle spese di giudizio relative alle controversie interessate da mediazione e conciliazione è
stata inserita nei commi 2-septies e 2-octies nell’articolo
15 del D.Lgs. n. 546 del 1992, che recitano: “2-septies.
Nelle controversie di cui all’articolo 17-bis le spese di giudizio di cui al comma 1 sono maggiorate del 50 per cento
a titolo di rimborso delle maggiori spese del procedimento.
2-octies. Qualora una delle parti abbia formulato una
proposta conciliativa, non accettata dall’altra parte senza
giustificato motivo, restano a carico di quest’ultima le spese
del processo ove il riconoscimento delle sue pretese risulti
inferiore al contenuto della proposta ad essa effettuata. Se
è intervenuta conciliazione le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto
nel processo verbale di conciliazione”.
Pertanto, il legislatore ha espunto dal corpo dell’articolo 17-bis la disciplina delle spese relative ai procedimenti rientranti nell’istituto del reclamo/mediazione e
l’ha inserita nell’articolo 15 che ora disciplina in modo
unitario la materia delle spese del giudizio. La nuova
norma conferma la precedente previsione secondo cui le
spese di giudizio liquidate in relazione ad impugnazioni
di atti reclamabili sono maggiorate del cinquanta per
cento. Tale previsione risponde, secondo quanto si legge
nella relazione illustrativa al D.Lgs. n. 156 del 2015,
alla “duplice finalità di incentivare la mediazione, oggi
estesa a tutti gli enti impositori, e di riconoscere alla parte
vittoriosa i maggiori oneri sostenuti nella fase procedimentale obbligatoria ante causam”.
La circolare n. 38/E del 2015 dell’Agenzia delle
Entrate chiarisce che resta salva la possibilità di compensare le spese di lite e che, “fuori dai casi di soccombenza reciproca, la compensazione delle spese, comprese
quelle della fase di reclamo/mediazione, può essere disposta solo qualora sussistano e siano espressamente dedotte
in motivazione specifiche circostanze o aspetti della controversia, assistite dai requisiti della gravità e della eccezionalità, tra le quali potranno rilevare anche considerazioni in ordine ai motivi che abbiano indotto la parte
soccombente a disattendere una eventuale proposta di
mediazione”44.
Il comma 2-octies dell’articolo 15 del D.Lgs.n. 546
del 1992 detta la disciplina delle spese di giudizio per
l’ipotesi in cui l’accordo conciliativo proposto da una
parte non sia accettato. In tal caso è previsto che le
spese siano addebitate alla parte che non accetti la
proposta conciliativa della controparte senza giustificato motivo, ove il riconoscimento delle sue pretese
risulti inferiore al contenuto della proposta ad essa
effettuata.
Per converso, nel caso in cui la lite venga definitiva
in sede conciliativa, le spese sono compensate, salva
diversa determinazioni delle parti nell’accordo o nel
processo verbale di conciliazione.
L’illustrazione delle novità in tema di istituti deflattivi del contenzioso disciplinati dalla normativa regolante il processo tributario conferma quanto affermato
in premessa in merito al netto favore mostrato dal legislatore verso le forme di definizione transattiva delle liti
fiscali. Il successo dell’istituto del reclamo/mediazione,
che ha portato quasi a dimezzare il numero dei ricorsi
proposti nel 2014 rispetto al 201145, è sicuramente alla
base delle novità legislative oggetto del presente lavoro,
volte a favorire una soluzione rapida delle controversie
tributarie e a rendere ancora più celeri i processi pendenti dinanzi alle Commissioni tributarie.
44 Cfr. circolare n. 38/E del 2015, § 1.4.
43 Cfr. supra, pp. 9-10
45 Cfr. circolare n. 38/E del 2015, p. 8.
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DOTTRINA
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Il contraddittorio nel processo tributario
di Nicola Durante
Il rispetto del contraddittorio, coerentemente coi
dettami dell’art. 111 Cost. e dell’art. 6 CEDU1, è uno
dei capisaldi del “giusto processo”.
Esso, nella sua accezione comune, mira ad impedire
che un soggetto subisca le conseguenze negative (ma, in
linea di principio, anche positive) di un processo, senza
avervi potuto partecipare2.
Come, tuttavia, detta partecipazione concretamente
si realizzi, riguarda le regole interne di ciascun tipo di
processo.
A mio avviso, è possibile raffigurare il contraddittorio processuale come un sistema composto da due cerchi concentrici.
Il primo cerchio attiene alle garanzie inviolabili, che
ogni tipo di processo deve assicurare3.
Tra queste garanzie, le prime si pongono sul versante
soggettivo e si sostanziano nel diritto del soggetto di
essere informato della proposizione di un processo che
lo riguarda, secondo forme e tempi che gli consentano
di prendervi utilmente parte.
Nel processo civile, tale diritto è sancito dall’art.
101, comma 1, c.p.c. (quanto al processo con una sola
parte) e dall’art. 102 c.p.c. (quanto al processo litisconsortile), dai quali discende la nullità la sentenza eventualmente pronunciata nei confronti di una o più parti
non regolarmente citate e non comparse.
1 Quanto al processo tributario, si tenga presente che la Corte
europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza del 12 luglio 2001,
Ferrazzini c. Italia, si è espressa nel senso che «l’art. 6 § 1 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali, in
tema di giusto processo, non può essere applicato al processo tributario, che conseguentemente resta sottratto ai vincoli di ragionevole
durata che invece sono imposti agli altri tipi di processo. Tale conclusione può essere giustificata alla luce di due profili: innanzitutto,
in via generale, in base al particolare rapporto di natura sostanziale
fra contribuente e Stato, che non può essere ricondotto fra quelli indicati all’art. 6 della Convenzione. In subordine, per il fatto che le
deroghe che il Primo Protocollo addizionale (art. 1) apporta alla
Convenzione europea, in materia tributaria e sul piano sostanziale,
non possono non incidere, seppur in via indiretta, anche sulla tutela
processuale di quelle stesse situazioni soggettive».
In generale, sul tema, cfr. DURANTE, Compatibilità dell’assetto
ordinamentale della giustizia tributaria con l’art. 6 della CEDU, in
Sentenze Italia.it (riv. telematica), dicembre 2014.
2 Cfr. PICARDI, Il principio del contraddittorio, in Riv. dir. proc.,
1998, 673 e ss.
3 Cfr. CARTABIA, Principi inviolabili e integrazione europea,
Milano, 2005.
Trattandosi di regole indispensabili per assicurare il
rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di
difesa, esse operano pure nel processo tributario4.
Di conseguenza, in presenza di accertamenti unitari
a valenza plurisoggettiva5, tutte le parti coinvolte dalla
pretesa fiscale devono poter partecipare al medesimo
processo, a pena di nullità assoluta della sentenza pronunciata solo nei confronti di taluna, rilevabile d’ufficio, in ogni stato e grado e con regressione obbligatoria
del giudizio al primo grado ex art. 59, comma 1, lett.
b), del D.lgs. n. 546 del 19926.
Sempre nel cerchio delle garanzie inviolabili, si collocano altre due norme del processo civile, che riguardano l’aspetto oggettivo del contraddittorio.
Esse sono l’art. 112 c.p.c., secondo cui il giudice
non può pronunciarsi oltre i limiti della domanda e
l’art. 101, comma 2, c.p.c., secondo cui il giudice non
può fondare la propria decisione su una questione rilevata d’ufficio, se su di essa non abbia preventivamente
provocato il contraddittorio delle parti.
Anche queste due norme sono pienamente applicabili al processo tributario.
Circa l’operatività del principio di corrispondenza
tra il chiesto ed il pronunciato, la Suprema Corte si è
infatti espressa sotto la vigenza sia del vecchio7, che del
nuovo rito tributario8.
Quanto, poi, all’omessa segnalazione di una questione decisiva rilevata d’ufficio, la parte che ne è stata pregiudicata può sempre impugnare la sentenza per violazione del diritto di difesa – consistente nell’essere stata
privata della facoltà di modificare domande ed eccezioni, allegare fatti nuovi e formulare richieste istruttorie
sulla questione decisiva –, facendo valere, nel grado di
giudizio superiore, le ragioni che in concreto avrebbe
potuto invocare, qualora il contraddittorio fosse stato
ritualmente attivato9.
4 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 6 marzo 2000 n. 2509.
5 Come, ad esempio, nelle rettifiche di dichiarazioni dei redditi
di società di persone o di associazioni di cui all’art. 5 del D.P.R. n.
917 del 1986, alle quali consegue l’automatica imputazione dei
maggiori redditi pro quota in capo a ciascun socio.
6 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 28 novembre 2014 n. 25300.
7 Cfr. Cass. civ., Sez. I, 29 ottobre 1979 n. 5652.
8 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 24 luglio 2013 n. 17952.
9 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 23 maggio 2014 n.11453.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Dunque, dinanzi al giudice tributario, la diversità
applicativa tra norme regolatrici dell’aspetto oggettivo
del contraddittorio e norme regolatrici dell’aspetto
soggettivo risiede nelle differenti conseguenze della
loro trasgressione, in quanto solo la trasgressione delle
seconde dà luogo alla restituzione degli atti al giudice
di primo grado; riguardo alla prime, invece, opera il
normale principio devolutivo in favore del giudice
dell’appello10.
Nondimeno, in entrambi i casi, l’effettività del principio del contraddittorio è completa: e ciò dipende dal
fatto che sui soggetti e sulle domande del processo si
dispiegheranno gli “effetti costitutivi della sentenza” di
cui all’art. 2908 c.c., potendo questa «costituire, modificare ed estinguere rapporti giuridici, con effetto tra le
parti, i loro eredi o aventi causa»11.
Nel secondo cerchio concentrico, di dimensione inferiore quanto ad effettività di tutela, trova posto la tematica della valutazione della prova.
Occorre premettere che, come il processo civile,
anche quello tributario è “a cognizione piena”.
Al giudice tributario spetta, infatti, non solo la cognizione sull’atto – come nei processi di “impugnazioneannullamento”, orientati unicamente all’eliminazione
del provvedimento –, ma anche quella sul rapporto, trattandosi di “impugnazione-merito” diretta, attraverso la
necessaria demolizione di un atto12, alla pronuncia di
una decisione sostitutiva della valutazione eseguita
dall’Amministrazione finanziaria13.
Ne consegue che, se il giudice ritiene che l’atto
impositivo sia invalido per motivi di carattere sostanziale, egli non può limitarsi ad annullarlo, ma deve esami10 Infatti, il giudizio dinanzi la Commissione tributaria regionale, aldilà delle ipotesi tassative ed eccezionali previste dal primo
comma dell’art. 59 del D.lgs. n. 546 del 1992 – nelle quali è prevista
la possibilità di una sentenza meramente rescissoria, in presenza di
vizi formali dell’accertamento o di altri atti pregressi su cui esso si
fonda –, assume le caratteristiche generali del mezzo di gravame, ossia del mezzo di impugnazione a carattere sostitutivo ed obbliga il
giudice dell’appello a decidere nel merito le questioni proposte (cfr.
Cass. civ., Sez. trib., 28 maggio 2010 n. 13132).
11 Cfr. FERRI, La decisione della causa, in Lezioni sul processo civile (a cura di CAMOGLIO, FERRI, TARUFFO), Bologna, 2011.
12 La proposizione di un’azione di accertamento è estranea al
modulo del giudizio tributario, da introdursi necessariamente con
l’impugnazione di specifici atti o del silenzio rifiuto su un’istanza di
rimborso (cfr. Cass. civ., Sez. un., 23 dicembre 2009 n. 27209). In
dottrina, cfr. MULEO, Lezioni di diritto tributario, Torino, 2016,
273 «solo successivamente [alla caducazione del provvedimento impositivo, n.d.e.], la cognizione del giudice può estendersi alla fondatezza della pretesa fiscale».
13 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 9 giugno 2010 n. 13868; id., 13 marzo 2009 n. 6134; id., 12 luglio 2006 n. 15825; id., 23 dicembre
2005 n. 28770; id., 19 febbraio 2004 n. 3309.
DOTTRINA
nare la pretesa tributaria nel merito, per ricondurla alla
sua corretta misura, entro i limiti posti dalle domande
di parte14.
Entrambi i processi (civile e tributario) sono poi
tendenzialmente governati dal principio dispositivo di
cui all’art. 115 c.p.c., in forza del quale, salvi i casi previsti dalla legge, la causa deve essere decisa sulla scorta
delle prove offerte o proposte dalle parti.
La sentenza va dunque motivata iuxta alligata et probata, senza che sia permesso al giudice di procurarsi da
sé il materiale su cui fondare la decisione.
Nel processo tributario, detta regola deve fare però i
conti con l’antitetico principio dell’indisponibilità
dell’obbligazione, in quanto credito di diritto pubblico
scaturente da un’attività di accertamento vincolata, che
non determina l’insorgere dell’obbligazione tributaria,
ma ne dichiara semplicemente l’esistenza15.
La traslazione processuale di tale principio è rappresentata dall’art. 7 del D.lgs. n. 546 del 1992 che, nella
formulazione vigente, affida alle commissioni tributarie
il potere:
- di esercitare, ai fini istruttori e nei limiti dei fatti
dedotti dalle parti, tutte le facoltà di accesso, di
richiesta di dati di informazioni e di chiarimenti
conferite agli Uffici tributari (comma 1);
- di chiedere, quando occorre acquisire elementi
conoscitivi di particolare complessità, relazioni agli
organi tecnici della Pubblica Amministrazione, ivi
compresa la Guardia di Finanza, ovvero di disporre
consulenza tecnica d’ufficio (comma 2).
Nel testo originario, l’art. 7 conteneva anche un
comma terzo, che assegnava al giudice la facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia.
Ora, come messo in luce dalla stessa Corte costituzionale, il combinato di questi tre commi, attribuiva al
processo tributario un «potere officioso, dal quale
soprattutto, pressoché unanimemente, la giurisprudenza e la dottrina desumevano, quanto all’istruzione, la
sua natura di processo inquisitorio (o, secondo altra terminologia, acquisitivo): si diceva, in sintesi, che il giudice tributario era tenuto a giudicare iuxta alligata, ma
non anche iuxta probata partium»16.
14 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 8 gennaio 2015 n. 106.
15 Cfr. LA ROSA, Principi di diritto tributario, Torino, 2006, 79,
«in assenza di norme espresse, né il contribuente può chiedere, né
l’Amministrazione finanziaria può consentire, che gli adempimenti
tributari vengano assolti in modi e termini diversi da quel che le norme stabiliscono». Sul punto, altresì, cfr. REDI, Appunti sul principio
di indisponibilità del credito tributario, in Dir. e pratica tributaria,
1995, I, 425 ss.
16 Cfr. C. cost. 29 marzo 2007 n. 109.
27
28
DOTTRINA
Pertanto, con l’abrogazione del terzo comma17, il
legislatore ha «voluto rafforzare il carattere dispositivo
del processo tributario».
La ritenuta volontà legislativa di rafforzamento del
principio dispositivo non può non refluire sulla lettura
dei due commi precedenti, rimasti intatti.
Un’interpretazione ispirata alla supposta natura
“inquisitoria” del processo potrebbe, invero, far pensare
che compito del giudice tributario sia quello di “ricercare la verità sostanziale”, attraverso l’uso di un potere
di supplenza rispetto alle carenze istruttorie delle parti,
che gli permetta di acquisire d’ufficio tutti i mezzi di
prova necessari, sovvertendo gli usuali oneri probatori.
Ma, alla luce di quanto detto, il senso da attribuire
alle citate disposizioni non può essere certamente
questo.
Infatti, la giurisprudenza di legittimità si è oramai
stabilmente orientata sulla più prudente linea che consente al giudice di intervenire in funzione integrativa
nel campo della prova, soltanto laddove ricorra una
situazione di obiettiva incertezza che la singola parte
non è in grado di fugare, per non trovarsi il relativo
mezzo nella sua disponibilità18.
Il presupposto indefettibile affinché il giudice
eserciti ex officio i poteri istruttori di cui all’art. 7 del
D.Lgs. n. 546 del 1992, derogando al canone ordinario di distribuzione dell’onere della prova, è, dunque, l’impossibilità per la parte di procurarsi la prova
altrimenti19.
Dal 4 luglio 2009, l’art. 115 c.p.c. si è arricchito di
una nuova regola in materia di valutazione della prova,
che obbliga il giudice a ritenere dimostrati i fatti non
specificatamente confutati20.
E’ il principio di non contestazione che, in aggiunta
all’onere di provare i fatti a sé favorevoli, impone (alle
sole parti costituite) l’ulteriore onere di prendere posizione sulle allegazioni di controparte, in quanto la
carenza di una specifica opposizione si traduce in un
consolidamento della prova contraria.
Tale canone di giudizio è una naturale conseguenza
del carattere dispositivo del processo: pertanto, i margini della sua applicabilità nel rito tributario vanno verificati alla luce del contrapposto principio di indisponibilità dell’obbligazione sottostante.
17 Avvenuta con l’art. 3-bis, comma 5, del d.l. n. 203 del 2005.
18 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 20 gennaio 2016 n. 955.
19 Cfr.
Cass. civ., Sez. trib., 8 luglio 2015 n. 14244 e 30 dicembre 2010 n. 26392.
20 Questo in forza di una modifica introdotta dall’art. 45, comma 14, della legge 18 giugno 2009 n. 69.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
A tal proposito, va infatti chiarito che, dopo una
generalizzata apertura iniziale21, la più recente giurisprudenza di legittimità ha precisato come, nel processo tributario, il regime probatorio in parola debba
subire un correttivo, dovendo operare «al netto della
specificità dettata dalla non disponibilità dei diritti
controversi»22.
Affinché, dunque, un fatto possa ritenersi provato
per mancata contestazione, è necessario che «il giudice
non sia in grado di escluderne l’esistenza, in base alle
risultanze ritualmente assunte nel processo».
In ciò si ravvisa una sensibile attenuazione del principio di non contestazione, quasi al limite della materiale disapplicazione del testo della norma, che impone
di dare per provati i fatti «non specificatamente contestati dalla parte costituita».
Se, in altre parole, una specifica contestazione
manca, non può essere il giudice a dedurla dal coacervo
processuale.
Tanto, del resto, avviene nel processo civile, dove il
comportamento omissivo della parte ha effetti vincolanti per il giudice, il quale deve ritenere sussistente il fatto,
astenendosi da qualsivoglia controllo probatorio23.
Dall’applicazione del correttivo, discendono importanti effetti sul meccanismo di regolazione della prova
in capo alle parti del processo tributario.
Quanto alla parte pubblica, infatti, la Suprema
Corte ha puntualizzato che «l’onere di completezza
della linea di difesa […] non può essere considerato
come base per affermare esistente, in capo
all’Amministrazione, un onere aggiuntivo di allegazione rispetto a quanto già dedotto nell’atto impositivo».
Donde, la “specifica contestazione” dei fatti avversi
può ben essere reperita dal giudice anche negli atti
amministrativi versati nella causa, quali appunto l’avviso di accertamento ed il processo verbale di contestazione, i quali integrano a tal fine le allegazioni difensive
dell’Ufficio finanziario.
21 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 31 marzo 2010 n. 7827 e 24 gennaio
2007 n. 1540, quest’ultima favorevolmente commentata da DE
ROMA, Il principio di non contestazione assume valenza generale, in Il
corr. trib. 2009, 2683 ss., COLLI VIGNARELLI, Il principio di non
contestazione si applica anche nel processo tributario, in Rass. trib.
2007, 1503 ss. e GENOVESE, Il principio di non contestazione e la
sua trasponibilità nel processo tributario, in Il Fisco, 2007, 1470 ss.
Anche l’Agenzia delle entrate, con circolare 31 marzo 2010 n. 17/E,
ha invitato gli Uffici a «contestare punto per punto, nei propri atti
difensivi, i fatti enunciati nel ricorso del contribuente, evitando formule generiche».
22 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 6 febbraio 2015 n. 2196.
23 Cfr. Cass. civ., Sez. III, 9 marzo 2012 n. 3727.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Sull’altro versante, invece, l’applicazione del correttivo fa sì che la mancata contestazione, concernendo
esclusivamente il piano dell’acquisizione del fatto non
contestato, non consente di dare per provato «anche il
fatto che si sostenga da quello direttamente desumibile
(il c.d. significato)».
In questo caso, l’affermazione lascia al contribuente
uno spazio di manovra per il caso di prova presuntiva,
in quanto, pur in mancanza di una sua specifica contestazione del fatto noto, non è precluso al giudice di esaminare le «risultanze ritualmente assunte nel processo»,
allo scopo di escludere l’esistenza della prova del fatto
ignoto, impedendo che si verifichi una praesumptio de
praesumpto24.
Anche alla luce del predetto correttivo, l’operatività
del principio di non contestazione appare poi molto
limitata nei procedimenti di silenzio rifiuto avverso
istanze di rimborso, dovendo il giudice tributario
verificare sia l’esistenza del diritto al rimborso, sia
l’avvenuto versamento della somma di cui si chiede la
restituzione25.
Un punto dolente in materia di contradditorio
attiene alla possibilità, dianzi accennata, che la parte
pubblica si giovi nel processo di meccanismi presuntivi
legali, di modo che la raggiunta prova di un determinato fatto diventa automaticamente prova di un altro
fatto, che diversamente rimarrebbe ignoto e tutto da
dimostrare26.
La presunzione serve ad invertire l’onere della prova,
spostandolo dal Fisco al contribuente e permette di
qualificare come indice di capacità contributiva un
certo fatto, i cui caratteri di gravità, precisione e concordanza non sono stabiliti dall’organo giudicante, ai
sensi dell’art. 2729 c.c., ma direttamente dalla legge27.
24 Quanto alla distinzione tra significante e significato, fa notare
CHINDEMI, Il principio di non contestazione nel giudizio tributario,
in www.giustizia-tributaria.it, 8, che «la non contestazione deve,
fondamentalmente, riguardare i fatti da accertare nel processo e non
la determinazione della loro dimensione giuridica».
25 Cfr. SORRENTINO, Il principio di non contestazione nel processo tributario, in Il Fisco, 2010, 32, 5163 ss.
26 Secondo LUPI, Diritto tributario, Parte generale, Milano,
1996, 151, le presunzioni servono «a controbilanciare in qualche
modo la posizione di inferiorità degli Uffici rispetto alle circostanze
da dimostrare». In dottrina, diffusamente, cfr. GENTILI, Le presunzioni nel diritto tributario, Padova, 1984.
27 Un esempio di presunzione è costituito, in materia di società
di comodo, dai parametri previsti dall’art. 30 della legge n. 724 del
1994, che sono fondati sulla correlazione tra il valore di determinati
beni patrimoniali ed un livello minimo di ricavi e proventi ed il cui
mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa di una società, spettando, poi, al contribuente
fornire la prova contraria e dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive e straordinarie, specifiche ed indipendenti dalla sua volontà, che
DOTTRINA
Il giudice, pertanto, una volta accertata l’effettività
fattuale degli specifici elementi rilevatori di capacità
contributiva, non può privare gli stessi della forza presuntiva che la legge ha inteso annettere loro, ma può
soltanto valutare la prova che il contribuente offra in
ordine alla provenienza non reddituale delle somme
necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati
dalla norma28.
In queste ipotesi, la legittimità della presunzione
discende necessariamente dalla sua ragionevolezza, da
valutare in base al parametro-guida della capacità contributiva, di cui all’art. 53 Cost.
Non a caso, applicando tale metro di giudizio a
situazioni tra loro disomogenee, la Corte costituzionale, pronunciandosi sulla norma che equipara i prelievi
ingiustificati su conto corrente a redditi non dichiarati,
ne ha dichiarato:
- la legittimità, quanto alla figura dell’imprenditore,
essendo la presunzione congruente col fisiologico andamento dell’attività d’impresa, caratterizzata dalla necessità di continui investimenti in beni e servizi, in vista di
futuri ricavi29;
- l’illegittimità, quanto alla figura del lavoratore
autonomo, stante l’arbitrarietà della presunzione secondo cui i prelievi siano destinati ad un investimento
nell’ambito dell’attività professionale e che questo sia, a
sua volta, produttivo di un reddito30.
Un vulnus al principio del contraddittorio parrebbe
insito, infine, nel divieto di acquisizione di determinate
prove, quali il giuramento e la testimonianza, viceversa
ammesse nel processo civile31.
La preclusione, contenuta nell’art. 7, comma 4, del
D.lgs. n. 546 del 1992, è stata ritenuta legittima dalla
Corte costituzionale, in quanto rientrante nei margini
di discrezionalità riservati al legislatore ordinario.
abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di
reddito minimo presunto (sul punto, cfr. Cass. civ., Sez. trib., 21 ottobre 2015 n. 21358).
Altro esempio riguarda la determinazione sintetica del reddito
annuale complessivo ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. n. 600 del 1973,
che consente all’Ufficio finanziario di accertare in danno al contribuente la sussistenza di redditi da lui non dichiarati, incombendo
su quest’ultimo l’onere di provare che la circostanza su cui si fonda
la presunzione semplice non corrisponde alla realtà (sul punto, cfr.
Cass. civ., Sez. trib., 14 febbraio 2014 n. 3445).
28 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 29 aprile 2011 n. 9549, in tema di
rettifica delle dichiarazioni delle persone fisiche ex art. 38 del D.P.R.
n. 600 del 1973.
29 Cfr. C. cost. 8 giugno 2005 n. 225.
30 Cfr. C. cost. 6 ottobre 2014 n. 228.
31 Il divieto posto dall’art. 7, comma 4, del D.lgs. n. 546 del
1992 riproduce l’art. 35, comma 4, del D.P.R. n. 636 del 1972 (vecchio rito tributario). Sul tema, cfr. TESAURO, Sulla esclusione della
testimonianza nel processo tributario, in Il fisco, 2002, n. 40, 23 ss.
29
30
DOTTRINA
Essa, invero, trova giustificazione nelle peculiari
caratteristiche del processo tributario ed in particolare
«sia nella spiccata specificità dello stesso rispetto a quello civile ed amministrativo, correlata alla configurazione dell’organo decidente e al rapporto sostanziale
oggetto del giudizio; sia nella circostanza che esso è
ancora, specie sul piano istruttorio, in massima parte
scritto e documentale; sia, infine, nella stessa natura
della pretesa fatta valere dall’Amministrazione finanziaria attraverso il procedimento di accertamento dell’obbligo del contribuente, che mal si concilia con la prova
testimoniale»32.
Nondimeno, pur a fronte dell’accertata legittimità
del divieto, un giusto contemperamento tra ragioni del
processo ed esigenze della difesa è stato delineato dalla
Suprema Corte, la quale, dopo avere premesso che la
preclusione vale solamente per le ipotesi di diretta
assunzione della narrazione dei fatti da parte di un
terzo, ha ammesso nel rito tributario le dichiarazioni
scritte di terzi, raccolte e depositate dalle parti, qualificandole alla stregua di informazioni, utilizzabili come
elementi di prova col supporto di riscontri oggettivi.
Tale forma di allegazione processuale, inizialmente
riconosciuta solo in favore dell’Amministrazione finanziaria, con riferimento alle dichiarazioni dei terzi raccolte dagli organi verificatori, è stata più di recente estesa al contribuente, con il medesimo valore probatorio33,
proprio per garantire il principio della “parità delle armi
processuali” e l’effettività del diritto di difesa, che sono
architravi dell’art. 111 Cost.34.
Sempre sul principio della “parità delle armi” tra
Fisco e contribuente, va segnalata una recentissima
presa di posizione della giurisprudenza di merito, in
tema di obbligo del versamento di una somma di denaro pari al contributo unificato, posto a carico della
parte impugnante soccombente dall’art. 13, comma 1quater, del D.P.R. n. 115 del 200235.
32 Cfr. C. cost. 21 gennaio 2000 n. 18. In dottrina, cfr. FAZZALARI, Prova testimoniale o dichiarazioni di terzi addotte dall’amministrazione?, in Giur. cost., 2000, 1 ss., nonché MULEO, Diritto alla
prova, principio del contraddittorio e divieto di prova testimoniale in
un contesto di verificazione: analisi critica e possibili rimedi processuali,
in Rass. trib., 2002, 1994 ss.
33 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 25 marzo 2002 n. 4269 e 14 maggio
2010 n. 11785.
34 Cfr. CECCHETTI, Il principio del giusto processo nel nuovo
art. 111 della Costituzione. Origini e contenuto normativi generali, in
Giusto processo. Nuove norme sulla formazione e valutazione della prova, a cura di TONINI, Padova, 2001.
35 Il comma è stato inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012 n. 228 e vale per le impugnazioni proposte dopo il
30 gennaio 2013.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Trattasi, secondo la Suprema Corte, di una misura
lato sensu sanzionatoria, la cui ratio va individuata
nella finalità di scoraggiare le impugnazioni dilatorie
o pretestuose36.
Ne consegue che «il giudice dell’impugnazione è
vincolato, pronunziando il provvedimento che la definisce, a dare atto – senza ulteriori valutazioni decisionali – della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o
inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione)
per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui
proposta».
L’unico limite che il giudice incontra è che l’obbligo
non può essere dichiarato in danno della parte istituzionalmente esonerata dal materiale versamento del contributo unificato mediante il meccanismo della prenotazione a debito, come il soggetto ammesso al gratuito
patrocinio e lo Stato37.
Si verifica, così, il paradosso per cui, in caso di reiezione dell’appello principale e di quello incidentale proposti nello stesso processo dal contribuente e
dall’Agenzia delle entrate, ad essere sanzionata è solamente la parte privata, sebbene entrambi gli impugnanti siano rimasti ugualmente soccombenti.
La norma è parsa, quindi, in contrasto col “principio
di parità delle parti”, di cui all’art. 111, comma 2,
Cost., in quanto, se «occorre sanzionare, mediante il
versamento di una somma di denaro, tutte le impugnazioni infondate od irrituali, perché potenzialmente
dilatorie o pretestuose, la detta sanzione deve poter colpire indifferentemente tutte le parti del processo, e non
solamente una. E questo vale, particolarmente, nei processi, come quello tributario, dove una delle parti è
necessariamente pubblica e quasi sempre costituita da
un’Amministrazione dello Stato»38.
Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 12 novembre 2015 n. 23175; id., 2
luglio 2015 n. 13636; id., Sez. III, 14 marzo 2014 n. 5955.
37 Cfr. Cass. civ., Sez. III, 14 marzo 2014 n.5955.
38 Cfr. CTR Calabria, Catanzaro, Sez. I, ord. 4 aprile 2016 n. 193.
36
DOTTRINA
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Ampliamento delle difese personali
di Giovanni Moschetti
L’ASSISTENZA TECNICA NEL “NUOVO”
ART. 12, D.LGS 546/1992: VERSO UNA MAGGIOR
TUTELA DEL CONTRIBUENTE, O VERSO
UNA MAGGIOR TUTELA DI ULTERIORI
CATEGORIE DI PROFESSIONISTI?
1. L’art. 10, punto 3 della legge delega 11 marzo
2014, n. 23 stabiliva, tra i principi e criteri direttivi, “l’eventuale ampliamento dei soggetti abilitati a rappresentare i contribuenti dinnanzi alle
commissioni tributarie”, così radicalizzando una
scelta già molto discussa1.
Il principio è stato attuato prevedendo, tra l’altro,
che anche i dipendenti dei CAF e relative società di servizi, in possesso di diploma in giurisprudenza o in economia ed equipollenti, o diploma in ragioneria e della
relativa abilitazione professionale, possano stare in giudizio limitatamente alle controversie dei propri assistiti
originate da adempimenti per i quali il CAF ha prestato
loro assistenza (cfr. la novellata lett. h) dell’art. 12)2.
Permane dunque la scelta del legislatore per una
legittimazione assai ampia, che pone, come semplice
requisito, l’esistenza di un diploma di riconoscimento
di capacità tecnica sul piano sostanziale3.
Ci si chiede quale sia il fine che intende perseguire il
legislatore legittimando una così vasta platea.
1 Vedi per tutti C. Glendi, Compete al Legislatore la razionalizzazione della difesa tecnica, in Corr. Trib, 1997, p. 1521; P. Russo, Manuale di diritto tributario, Il processo tributario, Milano, 2005, p. 84;
M. Nussi, in Consolo – Glendi, Commentario breve alle leggi del Processo Tributario (sub. art. 12), Padova, 2008, pp. 130-131; R. Lunelli, Convegno A.N.T.I. – Il giusto processo tributario, Siracusa, 8 ottobre 2010, in NEΩTEPA , n. 1/2011, pp. 7 ss., p. 8.
2 L’aspetto peggiorativo è stato puntualmente attuato, mentre
l’aspetto migliorativo del “rafforzamento della qualificazione professionale dei componenti delle commissioni tributarie, al fine di assicurare l’adeguata preparazione specialistica” (art. 10, punto 8 della
legge delega 11 marzo 2014, n. 23) è rimasto inattuato.
3 Vedi il commento di M. Stella, in Abuso del diritto e novità in
tema di processo tributario, a cura di C. Glendi, C. Consolo, A. Contrino, 2016, ed. Wolters Kluver, pp. 142 ss. L’autore ritiene che la
“insensata liberalizzazione dell’attività defensionale, è il peggior
aspetto della novella dell’art. 12”.
È quello di assicurare la miglior giustizia nel processo tributario oppure di trasferire nel processo le competenze “a monte” esercitate in particolari materie?
Riteniamo che, nel momento in cui la giustizia è
affidata alla fase processuale, dovrebbe essere assicurata
al contribuente la miglior difesa possibile, il che richiede profili professionali qualificati, che garantiscano
conoscenze non solo degli aspetti tecnico-sostanziali,
ma anche, e non meno, di quelli processuali.
Si deve considerare, infatti, che:
a) da tempo il processo tributario non è informale,
ma intessuto di tecnicismi con numerose cause di
inammissibilità e preclusioni;
b) i motivi non esposti in ricorso non possono essere
presentati successivamente;
c) l’intera disciplina del processo tributario, per
quanto non diversamente disposto, richiama “le
norme del codice di procedura civile” (art, 1, secondo comma, D.lgs 546/1992). Queste ultime integrano la disciplina del processo tributario: non si
comprende dunque che logica esista se, per la
difesa tecnica in un processo disciplinato dal
c.p.c., si richieda il titolo di avvocato, mentre per
un processo disciplinato sia da norme speciali, sia
dal c.p.c., venga consentita una difesa tecnica che
(in certi casi) garantisca nulla sul piano della
conoscenza processuale.
I principi costituzionali di effettività della tutela giudiziale a fronte del provvedimento amministrativo
imperativo (artt. 24, 111, 113 Cost.) possono essere
vanificati da condotte processuali inadeguate.
Il che significa che, per una forma di arrendevole
“buonismo”, si mette in gioco uno dei fondamentali
principi della democrazia (l’effettività della tutela giudiziale a fronte dei provvedimenti amministrativi).
Ci sembra che affidare la difesa nel processo4, anche
a soggetti privi di un percorso culturale che garantisca
la conoscenza adeguata delle regole processuali, ponga a
rischio la garanzia di adeguata difesa in giudizio.
4 Altro è il giudizio se l’assistenza riguardi la sola fase del procedimento amministrativo.
31
32
DOTTRINA
Cioè un pilastro della Costituzione repubblicana.
Stabilito dunque che l’attuazione costituzionale è il
quadro di riferimento sempre, ed anche fino all’ultima
propaggine dell’assistenza tecnica nel processo tributario, in sede di riforma la scelta doveva essere nel senso
di ridurre i professionisti abilitati (non già quella di
continuare ad ampliare) avvicinandoci a quella disciplina del processo civile che è richiamata sul piano delle
regole applicabili.
Qual è dunque la logica (se esiste una logica) di questa scelta?
Perché condizionare la difesa in giudizio (a pena di
inammissibilità) alla assistenza tecnica (art. 12 e art. 18,
terzo e quarto co., D.Lgs 546/1992) e poi allargare a
dismisura (e continuare ad allargare) lo spettro dei soggetti abilitati?
Si può pensare ad una scelta di economicità (che
appare anche nell’escludere la difesa tecnica per le cause
fino a 3.000 euro); si può pensare ad una forma (assai
semplicistica) di logica, per cui se si è intervenuti professionalmente nella fase preprocessuale (è il caso dei
CAF), si avrebbe automaticamente la competenza per
difendere ex post le scelte ex ante.
Tutto bene se il processo tributario fosse informale;
tutto bene se fosse la mera continuazione della fase
accertativo-amministrativa.
Ma meno bene se si legittima all’uso di uno strumento tecnico gettando allo sbaraglio chi non ne ha la
relativa conoscenza.
Illudendo il professionista ammesso e mettendo in
pericolo il suo assistito.
Esiste peraltro una certa coerenza.
Quella di mantenere incompiuto il traghettamento del processo tributario dall’originaria matrice
di stampo amministrativo all’attuale matrice di
stampo giurisdizionale.
Ne è monumentale prova la perdurante manus
del MEF sulle commissioni tributarie. Ma ne è conferma anche la perdurante peculiarità dell’organo
giudicante.
Non solo non si è voluto ancora parificare il giudice
tributario ai giudici civili, penali e amministrativi in
tema di selezione all’ingresso e di professionalità, ma
nemmeno si è avuto l’ “ardire” di attuare l’art. 10,
punto 8, della legge delega (“il rafforzamento della qualificazione professionale dei componenti delle commissioni
tributarie, al fine di assicurarne l’adeguata preparazione
specialistica”).
E allora l’insufficiente preparazione tecnica (sul
piano processuale) dei soggetti ammessi all’assistenza
processuale, corrisponde all’incompiuto disegno di
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
piena parificazione dell’organo giudicante tributario
agli altri organi giurisdizionali5.
A fronte di “giudici non togati”, il contribuente può
stare in giudizio con “difensori non tecnici” sul piano
processuale.
Come ci si accontenta di “basso profilo” nella scelta
e nella disciplina del giudice tributario, così ci si accontenta di “basso profilo” nella scelta di chi viene abilitato
all’assistenza tecnica in tale processo6.
E come nulla è stato migliorato sul primo aspetto,
così nulla è stato migliorato sul secondo.
La filosofia è coerente nel suo “basso profilo”.
Ma in tal modo si persegue l’attuazione dei principi
costituzionali in tema di giustizia processuale o si persegue una giustizia di tipo sommario, magari anche
cedendo a spinte corporative7?
Probabilmente il legislatore della novella se non
voleva ostacolare la possibilità di difesa a categorie individuate per delimitate conoscenze sostanziali, poteva
almeno rendere obbligatoria la presenza di un avvocato
nel collegio difensivo.
5 Critici “sull’attitudine” delle figure comprese nelle elencazioni
dei possibili giudici tributari “ad assicurare adeguata professionalità”, sono F. Batistoni Ferrara e B. Bellè, Diritto tributario processuale,
Padova, 2007, p. 17.
In senso critico anche P. Russo, L’ampliamento della giurisdizione
tributaria e del novero degli atti impugnabili: riflessi sugli organi e
sull’oggetto del processo, in NEΩTEPA, n. 3bis/2009, pp. 51 ss., p.
70; M. Basilavecchia, Criticità dell’attuale processo tributario e nella
composizione delle commissioni tributarie, in NEΩTEPA, n.
3bis/2009, pp. 71 ss., p. 76; G. Marongiu, Le Commissioni tributarie da giudice specializzato a giudice togato: una proposta, in
NEΩTEPA, n. 3bis/2009, pp. 90 ss., p. 100, il quale richiama
anche il disegno di legge costituzionale presentato da Ezio Vanoni
il 24 febbraio 1953, per riconoscere la possibilità di affidare la risoluzione delle controversie tributarie anche ad organi speciali di giurisdizione, convinto che questo giudice avrebbe dovuto dare “le
massime garanzie di preparazione tecnica, unitamente a quelle di
indipendenza e imparzialità”.
F. Tesauro (Idee per un codice del processo tributario, in NEΩTEPA,
n. 1/2001, pp. 16 ss., p. 17) osserva che “un processo giurisdizionale è veramente tale se i suoi protagonisti (il giudice e le parti) sono
professionalmente idonei”.
6 Collega la disciplina dell’assistenza tecnica all’origine amministrativa delle commissioni tributarie anche P. Boria, Diritto tributario, Torino, 2016, p. 604.
7 In tal senso C. Balbi, Assistenza tecnica obbligatoria ed effettività
del contraddittorio nel processo tributario, in Studi in onore di V. Uckmar, Padova 1997, p. 131, richiamato da F. Tesauro, op. cit., p. 18.
Mentre i vari tipi di “tributaristi” hanno le loro rappresentanze sindacali, il mondo diffuso dei contribuenti (portatori del diritto costituzionale all’effettività della tutela giudiziale) non ha pari voce, pari
rappresentanza, pari capacità di pressione politica.
Come spesso si constata, la disciplina del servizio pubblico tiene
conto delle esigenze degli addetti al servizio, non dell’utente.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
2. L’attuale disciplina dell’assistenza tecnica e del
giudice tributario non è conforme al principio di
proporzionalità inteso come “divieto di difetto di
misura” (Üntermaβ verbot).
È noto che il principio di proporzionalità, così come
elaborato da giurisprudenza e dottrina tedesche, conosce non solo il divieto di adottare misure che eccedono
rispetto al fine, ma altresì, e coerentemente, anche il
divieto di misure che eccedono per difetto.
Insieme al “divieto di eccesso” (Übermaβ verbot),
infatti, è stato elaborato il concetto di “divieto di difetto”
(Üntermaβ verbot)8.
In relazione al fine che l’attuale processo tributario
intende perseguire, ovvero la tutela dei diritti soggettivi
del contribuente9, ma in genere dell’“interesse fiscale”
nei limiti della legge e del principio di capacità contributiva (artt. 23 e 53 Cost.), la previsione di giudici non
togati, con impegno a tempo parziale, non radicati in
un ruolo specifico10, e di difensori con conoscenze processuali parimenti inadeguate, non è certo sufficiente al
raggiungimento di tal fine.
L’ “interesse fiscale” è principio costituzionale, ma la
Repubblica mette in campo una disciplina di sottodimensionamento di tale giudice (e nemmeno attua una,
sia pur timida e non certo rivoluzionaria, legge delega).
L’assistenza tecnica adeguata alle conoscenze anche
processuali è connessa agli artt. 24, 111 e 113 Cost. (e
altresì a far emergere l’imposta “dovuta per legge” ex art.
23 e 53 Cost.), ma anche qui la Repubblica mette in
campo una disciplina “sottodimensionata”, sproporzionata per difetto.
I principi costituzionali esistono, ma è certamente
inadeguata, per difetto, la disciplina che li deve tradurre
in norme concrete.
Se si giudica l’attuale disciplina del processo tributario, in particolare per quanto concerne la professionalità
dei giudici e l’assistenza tecnica, alla luce del principio
8 Mi permetto rinviare sul punto al mio Il principio di proporzionalità come “giusta misura” del potere nell’evoluzione del diritto tributario, Padova, 2015, ed. provv., p. 134, in nota.
9 Cfr. P. Boria, op. cit., pp. 589 ss.
10 Così, in senso critico, P. Boria, op. cit., pp. 591-592. Vedi in
senso critico anche G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, parte generale, Padova, 2025, p. 607; S. Muleo, Lezioni di diritto tributario,
Torino, 2016, p. 267; S. La Rosa, Principi di diritto tributario, Torino, 2012, p. 434; G. Gaffuri, Lezioni di diritto tributario, parte generale, Padova, 1999, p. 180. Tra gli argomenti spendibili per tutelare
il diritto ad un giudice “indipendente ed imparziale”, si può richiamare l’art. 6, primo comma, CEDU e l’art. 111 Cost. Rammentiamo anche la sentenza Jussilia v. Finland, del 23.11.2006, che ha affermato l’applicabilità anche ai processi ad oggetto tributario (riguardanti sanzioni di “stampo penalistico”) dell’art. 6, CEDU.
DOTTRINA
di proporzionalità, entra “in gioco” il concetto di
“necessarietà” per il raggiungimento del fine.
Oggi, dopo l’ennesima “miniriforma”, la disciplina
“necessaria” (vorremmo dire, minimamente necessaria)
per un giudice con “adeguate” conoscenze tributarie,
per un difensore con “adeguate” conoscenze processuali,
“eccede per difetto” il raggiungimento del fine.
3. Cenno all’assistenza tecnica nel sistema del processo tributario tedesco.
Credo possa essere interessante un cenno alla disciplina dell’assistenza tecnica nel processo tributario tedesco.
Il par. 62 comma 2, FGO (Finanzgerichtsordnung)
consente la difesa non solo ad avvocati, ma anche a
“Steuerberater” e “Wirtschaftsprüfer” (dottori commercialisti e revisori contabili). Ci sono ancora altre “figure”
professionali autorizzate (vd. par. 62 comma 2, seconda
frase, FGO), che, nella prassi, però, difendono solo
raramente.
Tuttavia, di fronte ai giudici tributari tedeschi non
c‘è l obbligo dell’assistenza tecnica (il comma 2 del par.
62 utilizza il termine “possono”); tale obbligo esiste solo
di fronte alla Suprema Corte (Bundesfinanzhof) (il
comma 4 del par. 62 utilizza infatti il termine “devono”).
È però da considerare che nel processo tedesco vale il
principio inquisitorio (Amtsermittlungsgrundsatz), per
cui il giudice deve controllare e indagare il caso completamente a prescindere da quello che le parti deducono.
Le carenze nella condotta processuale della parte,
possono essere dunque, per così dire, compensate dall’iniziativa pro veritate del giudice.
Forse anche su tale aspetto sarebbe da rimeditare il
nostro processo tributario ed in particolare la disciplina
dell’art. 7, decreto 546, che enfatizza la capacità difensiva (cfr. il limite dei “fatti dedotti dalla parti”, nel
primo comma), anche eventualmente a scapito della
ricerca della verità reale.
Se si ritenga che il supremo valore, anche nel processo, debba essere quello di assicurare che sia accertata
l’imposta “dovuta per legge” (ex artt. 23 e 53 Cost.),
l’iniziativa del giudice può essere indispensabile a tal
fine, così anche attenuando eventuali inadeguate difese
(che sono ben prevedibili alla stregua dell’art. 12).
In definitiva, la comparazione con il sistema inquisitorio del processo tedesco pone in luce la non coerenza
(nel processo italiano) tra un “modello di processo fondamentalmente di stampo dispositivo”11 e la disciplina
della assistenza tecnica, ulteriormente allargata a soggetti privi di idoneità processuale.
11 Magnone Cavatorta, in Consolo – Glendi, Commentario breve,
cit. sub. Art 7, pag. 63.
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34
DOTTRINA
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
La “nuova” tutela cautelare
di Pasquale Amodio
Premessa
In attuazione della Legge 11 marzo 2014, n. 23
“Delega al Governo recante disposizioni per un sistema
fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita” – lo
scorso 24 settembre è stato emanato il D. lgs. n. 156
recante misure per la revisione della disciplina degli
interpelli1 e del contenzioso tributario2.
Con specifico riferimento alla tutela cautelare, l’art.
10, comma 1, lett. b), punto 9) della legge delega, in
un’ottica generale di …rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente… ha individuato l’esigenza di
realizzare …l’uniformazione e generalizzazione degli strumenti di tutela cautelare nel processo tributario…; in
ragione di ciò, il legislatore delegato ha apportato alcune modifiche all’attuale disciplina della inibitoria cautelare così come prevista dall’art. 47, del d. lgs. n.
546/92), ha – inoltre – sostituito integralmente l’art. 52
così da prevedere e disciplinare la tutela cautelare anche
1 Ciò in esecuzione di quanto previsto dall’art. 6, rubricato “Gestione del rischio fiscale, governance aziendale, tutoraggio, rateizzazione
dei debiti tributari e revisione della disciplina degli interpelli”, il cui
comma 6 prevede espressamente che: “Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui all’articolo 1, disposizioni per la revisione generale della disciplina degli interpelli, allo scopo di garantirne
una maggiore omogeneità, anche ai fi ni della tutela giurisdizionale e di
una maggiore tempestività nella redazione dei pareri, procedendo in tale contesto all’eliminazione delle forme di interpello obbligatorio nei casi
in cui non producano benefìci ma solo aggravi per i contribuenti e per
l’amministrazione.”
2 Ciò in attuazione dell’art. 10, rubricato “Revisione del contenzioso tributario e della riscossione degli enti locali“, il cui comma 1,
lett. a) e b) prevede testualmente che: “1. Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui all’articolo 1, norme per il rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente, assicurando la
terzietà dell’organo giudicante, nonché per l’accrescimento dell’efficienza nell’esercizio dei poteri di riscossione delle entrate, secondo i seguenti
princìpi e criteri direttivi:
a) rafforzamento e razionalizzazione dell’istituto della conciliazione
nel processo tributario, anche a fini di deflazione del contenzioso e di
coordinamento con la disciplina del contraddittorio fra il contribuente
e l’amministrazione nelle fasi amministrative di accertamento del tributo, con particolare riguardo ai contribuenti nei confronti dei quali
sono configurate violazioni di minore entità;
b) incremento della funzionalità della giurisdizione tributaria, in particolare attraverso interventi riguardanti:
9) l’uniformazione e generalizzazione degli strumenti di tutela cautelare nel processo tributario;”
nel giudizio di secondo grado ed ha, infine, introdotto
l’art. 62 bis per consentire la richiesta di tutela cautelare
nel corso dell’eventuale e successivo giudizio di cassazione.
Va, innanzitutto, rilevato che l’operazione normativa posta in essere dal legislatore è sicuramente apprezzabile dal punto di vista dell’intento, meno sicuramente sotto l’aspetto realizzativo atteso che, come avremo
modo di verificare, la nuova disciplina non risulta esente da criticità.
Prima di procedere ad analizzare le modifiche da
ultimo attuate dal legislatore, è necessario effettuare una
precisazione, ovvero che: la tutela cautelare costituisce
una componente essenziale ed insopprimibile della
tutela giurisdizionale in genere3; dunque, non può esistere una tutela cautelare prettamente civile, amministrativa o tributaria atteso che la sua funzione è unica
ovvero il “proteggere” qualsivoglia soggetto che si rivolga alla giurisdizione per la tutela di una posizione giuridica dalla durata del giudizio. In altre parole, in una
visione puramente pubblicistica, la tutela cautelare
serve a garantire l’efficace funzionamento della giustizia4. Dette ultime osservazioni, con particolare riferimento al processo tributario, trovano conferma nella
sentenza n. 165 del 31 maggio 2000 della Corte costituzionale, dove – per la prima volta – la Consulta ha
testualmente affermato che le misure cautelari costituiscono componente essenziale della tutela giurisdizionale5.
Il “nuovo” art. 47 del D. lgs. n. 546/92
L’art. 9, comma 1, lett. r, del D. lgs. 24 settembre
2015, n. 156, ha apportato delle modifiche all’art. 47
3 v. F. CIPRIANI, Il procedimento cautelare tra efficienza e garanzie, in Giust. Proc. Civ., 2006, in cui l’Autore afferma testualmente
che: …la tutela cautelare trova la sua ragion d’essere nell’impossibilità
che la tutela ordinaria sia istantanea e nella conseguente inevitabilità
che sussista una spatium temporis durante il quale, in attesa del provvedimento ordinario, il diritto della parte rischia di subire un pregiudizio
irreparabile…”.
4 v. P. CALAMANDREI, Introduzione allo studio sistematico dei
procedimenti cautelari, Padova, 1936, secondo il quale la tutela cautelare misura la “serietà” del sistema giustizia.
5 v. Corte costituzionale, 31 maggio 2000, n. 165, in www.giurcost.org
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
del D. lgs. n. 546/926, le quali, prima facie, risultano
essere del tutto irrilevanti e, per qualche verso, forse non
in linea con quanto previsto dalla richiamata legge delega; ci si riferisce, in particolare, alla disposizione contenuta nel nuovo comma 8 bis il quale prevede che …
Durante il periodo di sospensione cautelare si applicano gli
interessi al tasso previsto per la sospensione amministrativa…; trova, pertanto, applicazione la disposizione prevista dall’art. 39, comma 2, d.p.r. n. 602/73, la quale
testualmente prevede che: “Sulle somme il cui pagamento
è stato sospeso ai sensi del comma 1 e che risultano dovute
dal debitore a seguito della sentenza della commissione tributaria provinciale si applicano gli interessi al tasso del 4,5
per cento annuo…”. Ebbene, è di tutta evidenza come la
norma da ultimo citata, ovvero l’art. 39, comma 2, del
d.p.r. n. 602/73 non ha nessuna rilevanza dal punto di
vista processuale e nulla ha a che vedere con …l’uniformazione e generalizzazione della tutela cautelare nel processo tributario… che risulta essere tra i principali obiettivi indicati nella legge delega; invero, trattasi di norma
di carattere sostanziale e, dunque, la sua collocazione
non è certo corretta.
Tralasciando la modifica di cui al comma 3 dell’articolo 47 – il quale oggi risulta essere del seguente tenore
6 In virtù delle modifiche apportate l’articolo 47 ha il seguente
tenore letterale:
Art. 47 Sospensione dell’ atto impugnato
1. Il ricorrente, se dall’atto impugnato può derivargli un danno grave
ed irreparabile, può chiedere alla commissione provinciale competente la
sospensione dell’ esecuzione dell’ atto stesso con istanza motivata proposta
nel ricorso o con atto separato notificata alle altre parti e depositato in
segreteria sempre che siano osservate le disposizioni di cui all’art. 22.
2. Il presidente fissa con decreto la trattazione della istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile disponendo che ne sia data
comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima.
3. In caso di eccezionale urgenza il presidente, previa delibazione può
disporre con decreto motivato la provvisoria sospensione dell’esecuzione
fino alla pronuncia del collegio.
4. Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito,
provvede con ordinanza motivata non impugnabile.
Il dispositivo dell’ordinanza deve essere immediatamente comunicato
alle parti in udienza.
5. La sospensione può anche essere parziale e subordinata alla prestazione della garanzia di cui all’art. 69, comma 2.
5 bis. L’istanza di sospensione è decisa entro centottanta giorni dalla
data di presentazione della stessa.
6. Nei casi di sospensione dell’atto impugnato la trattazione della controversia deve essere fissata non oltre novanta giorni dalla pronuncia.
7. Gli effetti della sospensione cessano dalla data di pubblicazione
della sentenza di primo grado.
8. In caso di mutamento delle circostanze la commissione su istanza
motivata di parte può revocare o modificare il provvedimento cautelare
prima della sentenza, osservate per quanto possibile le forme di cui ai
commi 1, 2 e 4.
8 bis. Durante il periodo di sospensione cautelare si applicano gli interessi al tasso di cui all’art. 6 del decreto ministeriale 21 maggio 2009.
DOTTRINA
letterale, …In caso di eccezionale urgenza il presidente,
previa delibazione del merito, disporre può disporre con
decreto motivato la provvisoria sospensione dell’esecuzione
fino alla pronuncia del collegio… – dove l’unico rilievo
di natura giuridica ipotizzabile è da ricercarsi nel far sì
che il provvedimento cautelare non sia una misura
“accessoria” del decreto che fissa l’udienza collegiale,
bensì il contrario ovverosia è il provvedimento cautelare
che assurge ad atto principale mentre la fissazione dell’udienza collegiale non è altro che una logica conseguenza della provvisorietà del provvedimento emesso
dal Presidente ai sensi del comma 3, dell’art. 47 in commento, l’obbligo del giudice di comunicare il dispositivo dell’ordinanza in udienza, previsto dal nuovo inciso
aggiunto al comma 4, dell’articolo da ultimo citato
risulta pertanto poco comprensibile.
In proposito, va innanzitutto osservato che non vi è
traccia di una tale disposizione (rectius: obbligo) sia nel
processo civile che in quello amministrativo; inoltre, i
tempi di comunicazione del dispositivo dell’ordinanza
cautelare a mezzo pec non risultano essere lunghi (spesso la comunicazione a mezzo pec è inviata dalla segreteria addirittura in giornata), ed, oltre a ciò, va precisato
che il contenuto ossia la motivazione dell’ordinanza, al
più, si sostanzia in poche righe ove il giudice accoglie o
rigetta l’istanza cautelare e fissa la successiva udienza,
senza poi considerare che l’ordinanza non è impugnabile né reclamabile. In altri termini, comunicare il dispositivo, nel caso in esame, equivale a comunicare l’ordinanza; dunque, non si comprende il perché di questa
netta distinzione tra dispositivo e contenuto dell’ordinanza e di conseguenza della necessità circa l’immediata comunicazione del dispositivo, addirittura al termine della stessa udienza di trattazione dell’istanza di
sospensione.
A ciò si aggiunga, poi, come il termine per l’immediata comunicazione del dispositivo alle parti, così
come normativamente previsto, è da ritenersi non
perentorio, bensì meramente ordinatorio; dunque, il
non rispetto del suddetto termine non determinerà nessun vizio dell’ordinanza che ha deciso l’istanza cautelare.
Dalla modifica del comma 5, dell’art. 47, d. lgs. n.
546/92 il quale prevede che …La sospensione può anche
essere parziale e subordinata alla prestazione di idonea
garanzia mediante cauzione o fideiussione bancaria o assicurativa, nei modi e termini indicati nel provvedimento
della garanzia di cui all’art. 69, comma 2…, consegue
esclusivamente l’eliminazione dell’ampia discrezionalità
di cui godeva il giudice nel sospendere l’efficacia dell’atto impugnato subordinando la sospensione stessa alla
prestazione di una garanzia. Il nuovo comma 5, infatti,
prevede che la sospensione può essere subordinata alla
35
36
DOTTRINA
prestazione della garanzia prevista dal nuovo art. 69,
comma 2, relativo all’esecuzione delle sentenze di condanna in favore del contribuente, il quale, a seguito
della modifica apportata dall’art. 9, comma 1, lett. gg),
del D. lgs. n. 156/15, prevede che …Con decreto del
Ministro dell’economia e delle finanze emesso ai sensi dell’articolo 17 comma 3 della legge 23 agosto 1988, n. 400,
sono disciplinati il contenuto della garanzia sulla base di
quanto previsto dall’ articolo 38-bis comma 5 del decreto
del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633,
la sua durata nonché il termine entro il quale può essere
escussa, a seguito dell’inerzia del contribuente in ordine
alla restituzione delle somme garantite protrattasi per un
periodo di tre mesi.
Nel complesso, il “nuovo” art. 47, così come delineato dal legislatore delegato, non sembra, dunque, apportare nessuna rilevante novità alla disciplina previgente;
non vi è, alcuna traccia di quel rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente che è espresso obiettivo della legge delega n. 23 del 2014.
Il “nuovo” art. 52 del D. lgs. n. 546/92
L’art. 9, comma 1, lett. v) dell’emanato decreto legislativo n. 156/2015 ha sostituito integralmente l’art. 52
del D. lgs. n. 546/927, dando attuazione a quanto previsto dalla Legge delega in tema di …generalizzazione
degli strumenti di tutela cautelare nel processo tributario… ovvero ha disciplinato la fase cautelare nel corso
del successivo giudizio di appello.
7 Il nuovo articolo 52 così come previsto dall’art. l’art. 9, comma
1, lett. v) del decreto legislativo n. 156/2015 quale risulta essere il seguente:
Art. 52 Giudice competente e provvedimenti sull’esecuzione provvisoria
in appello
1. La sentenza della commissione provinciale può essere appellata alla
commissione regionale competente a norma dell’art. 4, comma 2.
2. L’appellante può chiedere alla commissione regionale di sospendere in
tutto o in parte l’esecutività della sentenza impugnata, se sussistono
gravi e fondati motivi. Il contribuente può comunque chiedere la
sospensione dell’esecuzione dell’atto se da questa può derivargli un
danno grave e irreparabile.
3. Il presidente fissa con decreto la trattazione della istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile disponendo che ne sia data
comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima.
4. In caso di eccezionale urgenza il presidente, previa delibazione del
merito, può disporre con decreto motivato la sospensione dell’esecutività
della sentenza fino alla pronuncia del collegio.
5. Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito,
provvede con ordinanza motivata non impugnabile.
6. La sospensione può essere subordinata alla prestazione della garanzia
di cui all’articolo 69 comma 2. Si applica la disposizione dell’articolo
47, comma 8-bis.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Dalla lettura del nuovo art. 52, è facile arguire come
il legislatore si sia, di fatto, limitato a “ricopiare” le
norme procedimentali che disciplinano la sospensione
dell’atto impugnato nel giudizio di primo grado innanzi
alla CTP.
Si noti, in proposito, come i commi da 2 a 5 dell’art.
47 siano identici ai commi da 3 a 6 del nuovo art. 52;
ciò implica che è applicabile alla fase cautelare in grado
di appello la norma relativa agli interessi previsti dal
nuovo comma 8 bis dell’art. 47, espressamente richiamato dall’ultimo inciso del comma 6 del nuovo art. 52.
Non trovano invece applicazione, nella fase cautelare
innanzi alla CTR, sia quanto prescritto dal comma 6
dell’art. 47 in merito ai termini di 90 giorni per la fissazione dell’udienza di trattazione del merito, sia la possibilità di proporre istanza tendente alla revoca o modifica dell’ordinanza cautelare in caso di un mutamento
delle circostanze, previsto dal comma 8, dell’art. 47.
Ebbene, soprattutto tale ultima limitazione sembra
alquanto incomprensibile sia perché la dottrina è concorde nel consentire la possibilità di una riproposizione
dell’istanza cautelare in caso di rigetto della stessa vista
la natura interinale dell’ordinanza cautelare, sia perché
l’…uniformazione e generalizzazione degli strumenti di
tutela cautelare nel processo tributario…, prevista dall’art. 10, comma 1 lett. b), n. 9) della legge delega,
avrebbe imposto una “naturale” applicazione della possibilità di riproporre l’istanza cautelare in caso di mutamento delle circostanze, anche in secondo grado, nonché
successivamente, atteso che medesima possibilità è prevista sia nel processo civile ordinario8 che nel processo
amministrativo9.
Non sembra, inoltre, che l’applicazione del comma 8
dell’art. 47 possa realizzarsi in ragione di quanto previsto
dall’art. 61 del D. lg.s n. 546/92 il quale prevede che …
nel procedimento d’appello si osservano in quanto compatibili le norme dettate per il procedimento di primo grado, se
non sono incompatibili con le disposizioni della presente
sezione…; ciò in quanto potrebbe eccepirsi la chiara
volontà del legislatore di non voler applicare alla fase cautelare innanzi alla CTR la disposizione in questione in
ragione della sua non riproposizione nel nuovo art. 52.
Ad ogni modo, va osservato che l’Amministrazione
finanziaria ha ritenuto possibile la revoca o la modifica
dell’ordinanza cautelare, nel corso del giudizio di appello, in caso di mutamento delle circostanze10.
8 v. art. 669 decies, c.p.c..
9 v. art. 58, d. lgs. n. 104/2010.
10 v. Agenzia delle Entrate – Direzione Centrale Affari Legali,
Contenzioso e Riscossione – Circolare n. 38 del 29.12.2015, pag.
68, nota 68.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
La norma principale del nuovo art. 52, ovvero quella
a mezzo della quale il legislatore ha inteso estendere la
tutela cautelare al giudizio di secondo grado è contenuta nel secondo comma dove appunto è previsto che …
L’appellante può chiedere alla commissione regionale di
sospendere in tutto o in parte l’esecutività della sentenza
impugnata, se sussistono gravi e fondati motivi. Il contribuente può comunque chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto se da questa può derivargli un danno grave e
irreparabile.
La nuova norma, prima facie, sembrerebbe alquanto
confusionaria in quanto, nella prima parte, prevede –
per entrambe e/o tutte le parti del giudizio – la possibilità di chiedere la sospensione dell’esecutività della sentenza emessa dalla CTP in presenza di gravi e fondati
motivi; successivamente, prevede la possibilità – per il
solo contribuente – di chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto sulla base dei presupposti previsti
dall’art. 47 (danno grave e irreparabile). Invero, la
norma pone subito un interrogativo circa la doppia
forma di tutela nei riguardi della sentenza e dell’atto, e
precisamente: se la sentenza emessa dalla CTP ha natura sostitutiva dell’atto impugnato – volendo aderire a
quanto affermato da gran parte della dottrina11 e statuito pacificamente in giurisprudenza12 in virtù della natura di impugnazione-merito del processo tributario –
perché e come il contribuente dovrebbe chiedere la
sospensione dell’atto impugnato nel precedente grado
di giudizio, atteso che lo stesso sarebbe stato sostituito
dalla emanata sentenza oggetto del giudizio di secondo
grado?
Ebbene, se qualche dubbio resta nel caso di integrale
rigetto del ricorso (sia per motivi di rito che di merito)
con conseguente possibilità dell’Amministrazione
finanziaria di richiedere la riscossione in base all’atto
impugnato; di converso, è indubbio la sostituzione della
sentenza all’atto sia, nel caso di accoglimento parziale
del ricorso che nell’ipotesi di integrale accoglimento
dell’impugnazione avverso l’atto emesso dall’ufficio.
Va osservato, come in dette ultime ipotesi, resta
comunque qualche dubbio con riferimento alle disposizioni relative alla riscossione frazionata in pendenza di
giudizio; ci si riferisce all’art. 15 del d.p.r. n. 602/73, il
11 v. in senso contrario, nel senso che la sentenza abbia natura co-
stitutiva limitandosi ad annullare o confermare, in tutto o in parte,
l’atto impugnato, v. P. RUSSO, Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, Milano, 2013; F. TESAURO, Manuale del processo
tributario, Torino, 2013; A. FANTOZZI, Il contenzioso, in Diritto
tributario, Torino, 2003; C. GLENDI, L’oggetto del processo tributario, Padova, 1984.
12 v. Cass. 9 giugno 2010, n. 13868; Cass. 24 luglio 2012, n.
13034; Cass. 28 novembre 2014, n. 25317.
DOTTRINA
quale prescrive che …Le imposte, i contributi ed i premi
corrispondenti agli importi accertati dall’ufficio ma non
ancora definitivi, nonché i relativi interessi, sono iscritti a
titolo provvisorio nei ruoli, dopo la notifica dell’atto di
accertamento, per un terzo degli ammontari corrispondenti agli imponibili o ai maggiori imponibili accertati.
Ebbene, ci si chiede: quali sono gli effetti sull’intervenuta iscrizione a ruolo eseguita ai sensi dell’art. 15 del
d.p.r. n. 602/73 dell’ordinanza di sospensione dell’esecutività della sentenza richiesta ed ottenuta dall’Ufficio
nel corso del giudizio di secondo grado, nell’ipotesi in
cui venga integralmente o parzialmente annullato un
avviso di accertamento? Vi è il concreto rischio di una
ripresa della riscossione di quanto appunto iscritto a
ruolo ai sensi del citato art. 15 del d.p.r. n. 602/73?
In ragione di ciò, sembra corretto ritenere che la prevista possibilità di sospendere gli effetti dell’atto in
secondo grado sia da correlare con la necessità, per il
contribuente, di ottenere una tutela cautelare “piena”
ossia non limitata alla sospensione dell’esecutività della
sentenza che produrrebbe la sola impossibilità, per
l’Ufficio, di iscrivere a ruolo quanto previsto dall’art. 68
del D. lgs. 546/9213.
Sul tema, l’Amministrazione finanziaria sembrerebbe orientata nel sospendere ogni attività esecutiva relativa all’atto impugnato, sino alla conclusione del giudizio, in caso di sospensione della sentenza sfavorevole al
contribuente; nell’ipotesi, invece, di sospensione della
sentenza sfavorevole all’ufficio, dunque, su richiesta di
quest’ultimo, l’Amministrazione finanziaria, si limita a
rilevare la non operatività delle nuove norme che disciplinano l’immediata esecutività delle sentenze, precisando che l’ufficio è legittimato a non effettuare lo sgravio
o il rimborso delle somme riconosciute non dovute in
forza della stessa sentenza; nulla riferisce circa l’eventuale possibilità per l’Amministrazione di riscuotere le
somme iscritte ex art. 1514.
Attesa la poco chiara formulazione del comma in
esame, al contribuente non resta che richiedere, nel
corso del giudizio di appello, la sospensione dell’esecutività della sentenza (in caso di soccombenza parziale o
totale nel giudizio di primo grado) ed in ogni caso la
13 si noti, in proposito, che la norma contenuta nell’art. 68 fa
espresso riferimento alla “sentenza”, ragion per cui se la CTR, su
istanza del contribuente, sospende l’esecutività della sentenza impugnata, l’Amministrazione finanziaria non potrà richiedere il pagamento così come previsto appunto dall’art. 68; diversamente, si verificherebbe per l’ammontare iscritto a ruolo ai sensi dell’art. 15 del
d.p.r. 602/73 atteso che la norma fa espresso riferimento all’atto.
14 v. Agenzia delle Entrate – Direzione Centrale Affari Legali,
Contenzioso e Riscossione – Circolare n. 38 del 29.12.2015, pagg.
68 – 69.
37
38
DOTTRINA
sospensione degli effetti dell’atto connessi alla riscossione frazionata contemplata dal citato art. 15 del d.p.r. n.
602/73.
Nessun rafforzamento, quindi, della posizione del
contribuente, anzi un’evidente difficoltà della stessa.
Tale difficoltà risulta in modo ancor più palese se si
tiene conto della difformità circa i presupposti posti a
fondamento della sospensione degli effetti della sentenza e dell’atto; è palese la rigorosità del presupposto
richiesto dal legislatore per la sospensione dell’atto,
ovvero il danno grave e irreparabile rispetto ai gravi e
fondati motivi chiesti per la sospensione dell’esecutività
della sentenza.
Ragionevole, sarebbe pertanto equiparare i presupposti per la sospensione sia della sentenza che dell’atto
in grado di appello, modificando il requisito della “irreparabilità” del danno con la “fondatezza” dello stesso.
Ciò comporterebbe, senza ombra di dubbio, anche un
modifica di quanto previsto dall’art. 47 in tema di inibitoria cautelare nel giudizio di primo grado , ove, in
modo più appropriato, ai fini sistematici della tutela
cautelare nel processo tributario, sarebbe opportuno
richiedere, per la sospensione dell’esecutività dell’atto,
la sussistenza di un “danno grave e fondato”.
Le auspicate modifiche, inoltre, risultano rilevanti
anche ai fini sistematici della disciplina della tutela cautelare nel processo tributario rendendola uniforme, ma
soprattutto graduale, nel corso dell’intero giudizio; in
altre parole, i presupposti cautelari saranno più rigorosi
in prossimità della definitività della decisione, come
previsto dal nuovo art. 62 bis15, che prevede la sussistenza di un danno grave e irreparabile sia per la sospensione della sentenza che dell’atto in ipotesi di ricorso in
cassazione.
15 L’art. 9, comma 1, lett. aa) del decreto legislativo n. 156/2015,
ha inserito, dopo l’art. 62 del d. lgs. n. 546/92, l’art. 62 bis il quale
prevede:
Art. 62-bis Provvedimenti sull’esecuzione provvisoria della sentenza
impugnata per cassazione
1. La parte che ha proposto ricorso per cassazione può chiedere alla
commissione che ha pronunciato la sentenza impugnata di sospendere
in tutto o in parte l’esecutività allo scopo di evitare un danno grave e
irreparabile. Il contribuente può comunque chiedere la sospensione
dell’esecuzione dell’atto se da questa può derivargli un danno grave e
irreparabile.
2. Il presidente fissa con decreto la trattazione della istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile disponendo che ne sia data
comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima.
3. In caso di eccezionale urgenza il presidente può disporre con decreto
motivato la sospensione dell’esecutività della sentenza fino alla pronuncia del collegio.
4. Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio, provvede con ordinanza motivata non impugnabile.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Il “nuovo” regime delle spese della fase cautelare
Un’importante novità, ma al contempo rilevante
punto di criticità del “nuovo” sistema della tutela cautelare è connessa alla previsione contenuta nell’art. 9,
comma 1, lett. f ) del decreto legislativo n. 156/2015, in
tema di spese di giudizio16. Il predetto articolo integra
l’articolo 15 del D. lgs. 546 del 1992 con il nuovo
comma 2 quater prevedendo che …Con l’ordinanza che
5. La sospensione può essere subordinata alla prestazione della garanzia
di cui all’articolo 69, comma 2. Si applica la disposizione dell’articolo
47, comma 8-bis.
6. La commissione non può pronunciarsi sulle richieste di cui al comma
1 se la parte istante non dimostra di avere depositato il ricorso per cassazione contro la sentenza.
7. La sospensione della esecutività della sentenza favorevole al contribuente consente la riscossione delle somme esigibili nella pendenza del
giudizio di primo grado.
16 Il predetto articolo prevede le seguenti modifiche ed
integrazione all’articolo 15 del d. lgs. 546 del 1992:
1) al comma 1, il secondo periodo è soppresso;
2) i commi 2 e 2-bis sono sostituiti dai seguenti: «2. Le spese di giudizio
possono essere compensate in tutto o in parte dalla commissione tributaria soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano
gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate.
2-bis. Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 96, commi primo
e terzo, del codice di procedura civile.
2-ter. Le spese di giudizio comprendono, oltre al contributo unificato,
gli onorari e i diritti del difensore, le spese generali e gli esborsi sostenuti,
oltre il contributo previdenziale e l’imposta sul valore aggiunto, se
dovuti.
2-quater. Con l’ordinanza che decide sulle istanze cautelari la commissione provvede sulle spese della relativa fase. La pronuncia sulle spese
conserva efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio,
salvo diversa statuizione espressa nella sentenza di merito.
2-quinquies. I compensi agli incaricati dell’assistenza tecnica sono
liquidati sulla base dei parametri previsti per le singole categorie professionali. Agli iscritti negli elenchi di cui all’articolo 12, comma 4, si
applicano i parametri previsti per i dottori commercialisti e gli esperti
contabili.
2-sexies. Nella liquidazione delle spese a favore dell’ente impositore,
dell’agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, se assistiti
da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione
del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per
cento dell’importo complessivo ivi previsto. La riscossione avviene
mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza.
2-septies. Nelle controversie di cui all’articolo 17-bis le spese di giudizio
di cui al comma 1 sono maggiorate del 50 per cento a titolo di rimborso
delle maggiori spese del procedimento.
2-octies. Qualora una delle parti abbia formulato una proposta conciliativa, non accettata dall’altra parte senza giustificato motivo, restano
a carico di quest’ultima le spese del processo ove il riconoscimento delle
sue pretese risulti inferiore al contenuto della proposta ad essa effettuata. Se è intervenuta conciliazione le spese si intendono compensate,
salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo
verbale di conciliazione.»;
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
decide sulle istanze cautelari la commissione provvede sulle
spese della relativa fase. La pronuncia sulle spese conserva
efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il
giudizio, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza
di merito.
Va da subito rilevato come l’art. 10, comma 1, lett.
b), n. 11) della legge delega n. 23 del 2014 prevede …
l’individuazione di criteri di maggior rigore nell’applicazione del principio della soccombenza ai fini del carico
delle spese del giudizio, con conseguente limitazione del
potere discrezionale del giudice di disporre la compensazione
delle spese in casi diversi dalla soccombenza reciproca…;
dunque, non si comprende l’introduzione del nuovo
comma 2 quarter all’art. 15 del D. lgs. n. 546/92 che,
afferendo a fattispecie totalmente diversa da quella indicata nella legge delega, ben potrebbe dar luogo ad una
violazione per eccesso di delega.
Al di là dell’esplicito intento del legislatore espresso
chiaramente nella relazione illustrativa dove si legge:
“Trattasi di una disposizione che… …mira ad evitare un
abuso delle richieste di tutela cautelare.”, la norma in questione è tesa patentemente solo a scoraggiare istanze
cautelari temerarie, sia in primo grado che nel successivo grado di giudizio; infatti, la collocazione sistematica
della norma non induce ad avere nessun dubbio circa
l’applicazione del nuovo regime delle spese alla fase cautelare svolta, sia innanzi alla CTP, ai sensi del’art. 47, che
innanzi alla CTR, ai sensi degli artt. 52, 62bis e 6517.
L’inciso conclusivo del nuovo comma 2 quarter,
ovvero …salvo diversa statuizione espressa nella sentenza
di merito…18 oltre a rendere possibile una duplice condanna alle spese, in caso di rigetto dell’istanza cautelare
prima, e del ricorso, poi fa ritenere probabile la non esecutività della condanna alle spese contenuta appunto
nell’ordinanza cautelare; il tutto, in assenza di una esplicita previsione di legge19.
Si potrebbe, pertanto, assistere alla condanna al
pagamento a titolo di spese contenute nell’ordinanza
(di rigetto) cautelare, anche in caso di accoglimento del
ricorso proposto ad esempio dal contribuente che si è
17 v. in17 Si noti che la norma in questione (art. 15) è posta sotto
il Titolo I dedicato appunto alle disposizioni generali.
18 Si noti, innanzitutto, come il legislatore nella relazione illustrativa (pag. 29) inequivocabilmente afferma …la possibilità per il
giudice di disporre nella sentenza di merito diversamente in ordine alle
spese di lite della fase cautelare…
19 In proposito, si osservi come sia la Commissioni Giustizia e
Finanze della Camera dei deputati che la Commissione Finanze e
Tesoro del Senato hanno espressamente invitato il Governo a prevedere l’immediata esecutività dell’ordinanza cautelare: v. pag. 4 parere Commissioni Giustizia e Finanze della Camera dei deputati dove
si legge testualmente che: …quanto alle spese di lite della fase cautelare, disciplinate dal capoverso 2 quater del novellato art. 15, andrebbe
DOTTRINA
visto appunto rigettare l’istanza cautelare. Il comma 2
quater in esame dispone, infatti, che …La pronuncia
sulle spese conserva efficacia anche dopo il provvedimento
che definisce il giudizio… e sempreché il giudice nulla
abbia riferito in tal senso nella sentenza che definisce il
giudizio di merito, ovvero non abbia statuito diversamente circa le spese liquidate a conclusione della fase
cautelare.
Tale ultima circostanza è confermata, altresì,
dall’Amministrazione finanziaria che a pag. 21 della circolare sopra richiamata afferma testualmente che: …
Ove il giudice non provveda in sentenza sulle spese di lite
della fase cautelare, l’ordinanza adottata in detta fase sarà
assorbita dalla sentenza solo nella parte che ha deciso sull’istanza di sospensione, mentre conserverà la propria efficacia nel capo che dispone sulle spese del giudizio cautelare.
La parte che intenda dolersi della condanna alla rifusione
delle spese del giudizio cautelare – contenuta nella relativa
ordinanza – potrà dunque, in tal caso, impugnare la sentenza in quanto ha omesso di disporre diversamente in
merito alle spese della fase cautelare.
Ebbene, in proposito, ci si chiede: la parte condannata alle spese della fase cautelare deve, dunque, sollecitare il giudice affinché lo stesso modifichi la predetta
statuizione contenuta nell’ordinanza cautelare? Ed in
caso di risposta affermativa, come la parte condannata
con l’ordinanza cautelare può “tecnicamente” porre in
essere la sopra citata sollecitazione?
Non si tratta, ictu oculi, di un motivo aggiunto di cui
all’art. 24 del D. lgs. n. 546/92 (si precisa che la proposizione di motivi aggiunti, ai sensi dell’art. 24, D. lgs. n.
546/92 è rigorosamente circoscritta dal comma 2 del
citato articolo che fa riferimento al deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti ovvero
iussu iudicis; dunque, non certo è possibile proporre
motivi aggiunti avverso l’ordinanza cautelare, pur se
limitatamente alla statuizione delle spese in essa contenuta); analogamente, è complicato far rientrare una
deduzione tesa alla rimodulazione dell’ordinanza cautelare che, per di più, ha definito un’autonoma fase, seppur limitatamente alla condanna alle spese, nelle
memorie illustrative di cui all’art. 32 del medesimo
chiarito se l’ordinanza cautelare costituisce immediatamente titolo esecutivo per il recupero delle somme liquidate… …sarebbe in ogni caso
opportuna una maggiore chiarezza e precisione della norma che dovrebbe prevedere l’immediata esecutività dell’ordinanza… e pag. 3 parere
Commissione Finanze e Tesoro del Senato dove si legge
testualmente che: …alla lettera f ), numero 2), precisare (comma 2
quarter) che l’ordinanza cautelare sulle spese è immediatamente
esecutiva…; inoltre si veda sia quanto disposto dall’art. 669 septies,
comma 3, c.p.c. e dall’art. 57 del d. lgs n. 104 del 2010.
39
40
DOTTRINA
decreto legislativo da ultimo citato (si noti, che le
memorie illustrative di cui all’art. 32 del D. lgs n.
546/92 non possono contenere motivi nuovi, ma solo
illustrazioni di quelli già dedotti dal ricorrente o dall’ufficio o ente resistente negli atti introduttivi, come d’altronde si evince dalla disciplina dettata dall’art. 24;
dunque, non è possibile sollecitare il giudice a mutare la
statuizione relative alle spese contenuta nell’ordinanza
cautelare, per il tramite delle memorie illustrative). La
strada più corretta, almeno processualmente, sarebbe
consistita nel prevedere la reclamabilità/impugnabilità
dell’ordinanza cautelare, pena il verificarsi di situazioni
paradossali la cui soluzione non può che essere rimessa
al prudente (nonché sensibile) apprezzamento del giudice magari a seguito di un “irrituale” invito rivolto nel
corso dell’udienza di discissione in pubblica udienza
(ove richiesta) tendente appunto ad una diversa statuizione sulle spese contenuta nell’ordinanza cautelare,
all’atto dell’emissione della sentenza. La disposizione
circa la condanna alle spese, infatti, oltre a costituire
una netta distinzione tra la fase cautelare e quella di
merito, fa sì che il procedimento cautelare perda la sua
natura incidentale, circostanza quest’ultima che, ad
oggi, ha fatto ritenere non possibile per il giudice la statuizione sulle spese, con conseguente rinvio della stessa
all’atto della pronuncia della sentenza.
Altra ipotesi, potrebbe essere quella di far sì che obbligatoriamente la sentenza di merito disponga sia in riferimento alle spese della fase cautelare che di quella di merito, in base al principio della soccombenza; dunque, a tal
fine si renderebbe necessario modificare profondamente
il nuovo comma 2 quater, affievolendo, seppur temporaneamente, l’intento del legislatore di limitare la proposizione di istanze cautelari temerarie, ma preservando così
la natura incidentale della fase cautelare, invitando nel
contempo il contribuente ad un’oculata valutazione circa
l’opportunità di proporre l’istanza cautelare.
Conclusioni
La “nuova” disciplina della tutela cautelare, così
come delineata dal legislatore delegato a mezzo del
decreto legislativo del 24 settembre 2015, n. 156, non
sembra realizzare compiutamente quanto previsto dalla
Legge delega n. 23 dell’11 marzo 2014.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Come evidenziato le modifiche apportate all’art. 47
del D. lgs. n. 546/92 unitamente alla nuova disciplina
in tema di spese relativamente alla fase cautelare, non
implicano di certo un rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente, che risulta essere tra gli
obiettivi primari della sopra citata legge delega. Invero,
si assiste ad una sorta di generalizzata “intimidazione”,
nei confronti del contribuente il quale nel caso di proposizione di una istanza cautelare, si vedrebbe: a) potenzialmente esposto ad una condanna alle spese in caso di
rigetto dell’istanza cautelare; b) impossibilitato processualmente a ribaltare tale condanna alle spese, con conseguente rimessione alla “clemenza della corte”; c) gravato
degli interessi da applicarsi nelle more del giudizio di
merito, in caso di rigetto del ricorso, pur avendo ottenuto la sospensione dell’efficacia dell’atto in via cautelare.
Per quanto concerne, poi, …l’uniformazione e generalizzazione degli strumenti di tutela cautelare nel processo
tributario…, l’intervento del legislatore delegato,
apprezzabile dal punto di vista delle intenzioni, è
incompleto sotto l’aspetto applicativo atteso che, come
innanzi ampiamente analizzato, la nuova disciplina non
risulta esente da criticità.
Non vi è chi non veda nel “nuovo” art. 52, comma
2, del D. lgs. n. 546/92, la necessità, per il contribuente, di richiedere – in ogni caso – la sospensione dell’esecuzione dell’atto sulla base del presupposto, quale
appunto il …danno grave e irreparabile… il quale risulta
essere di gran lunga più incisivo rispetto …ai gravi e
fondati motivi… richiesti per la sospensione dell’esecutività della sentenza.
Vi è il serio rischio di assistere ad una tutela cautelare
differenziata per il contribuente e per il fisco, con evidente privilegio per quest’ultimo; dunque, ancora una
volta, il legislatore delegato non ha realizzato quel rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente, che – si ripete – è tra gli obiettivi principali della
legge delega.
Non resta che auspicarsi un rapido e concreto intervento del legislatore teso a rimuovere le sopra rilevate
criticità, magari tenendo presente, esclusivamente, che
la tutela cautelare, come già detto, costituisce una componente essenziale ed insopprimibile della tutela giurisdizionale, atteso che la sua funzione è unica ovvero il
“proteggere” qualsivoglia soggetto che si rivolga alla giurisdizione per la tutela di una posizione giuridica dalla
durata del giudizio.
DOTTRINA
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
La esecutività delle sentenze delle
commissioni tributarie
di Saverio Belviso1
Ante riforma 2016
Il vulnus insito nelle norme delegate introdotte dal
decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 546, riguardava
l’illegittimità delle disposizioni che prevedevano una
disparità degli effetti delle sentenze tributarie foriera di
lesione del principio di uguaglianza.
La disciplina prevedeva che le sentenze tributarie in
favore dell’Amministrazione finanziaria fossero immediatamente esecutive a mente dell’art. 68/546/92.
Prevedeva altresì il frazionamento di quanto dovuto
parametrato a quanto statuito nella sentenza, comprensivo della provvisoria iscrizione prevista dall’art.
15/602/73 in pendenza di giudizio.
Mentre, ove la sentenza fosse stata emessa in favore
del contribuente, la previsione legislativa impediva di
porre in esecuzione nei confronti dell’Amministrazione
Finanziaria il relativo provvedimento di condanna al
pagamento di somme emesse dalla Commissione
Tributaria Provinciale, salvo che per l’ipotesi di avvenuto
passaggio in giudicato della sentenza.
La Circ. n. 98/E-II-3-1011 del 23 aprile 1996 Dir.
AA.GG. e cont. trib. ribadita con Circ. n. 224/E-II-3158421 del 30 novembre 1999 affermava che l’art. 69
nel disporre che la sentenza di condanna dell’ufficio del
Ministero delle finanze o dell’ente locale impositore o del
concessionario del servizio di riscossione al pagamento di
somme dovute, sia essa emessa dalla Commissione tributaria provinciale o in grado di appello dalla Commissione
tributaria regionale, non è immediatamente esecutiva, essa
può essere eseguita solo con il passaggio in giudicato, cioè
quando si siano esauriti tutti i gradi del giudizio, o quando, per scadenza dei termini, non è impugnabile determinava di fatto la non esecutività immediata delle sentenze in favore del contribuente, salvo appunto che per le
sentenze passate in giudicato.
A carico dell’imprecisione del testo normativo va
imputata anche l’ipotesi di mancanza di tutela giudiziale delle sentenze che dispongono l’annullamento, parziale o totale, delle somme versate ai sensi dell’art. 15
del dpr 602/73, che dispone dell’iscrizione provvisoria
frazionata a ruolo per le imposte dovute in pendenza di
giudizio, nonché per le somme analogamente dovute a
seguito di sentenza emesse in sede di appello.
1 dottore commercialista, avvocato, docente a contratto presso la
LUM Jean Monnet.
In entrambi i casi, pur con il presidio dell’art. 68 2^
comma che disponeva della restituzione delle somme
pagate in eccesso rispetto al dictum della sentenza, il
contribuente restava privo di effettiva tutela, atteso che
sia l’art. 69 che l’art. 70/546/92 disponevano della
necessità del titolo esecutivo rilasciato dalla segreteria
della Commissione, la quale era tenuta a rilasciare la
sentenza spedita in forma esecutiva solo con il passaggio
in giudicato della sentenza.
Vero è che la circ. 49/e del 2010 invitava gli Uffici a
provvedere al rimborso delle somme pagate in pendenza
di giudizio, nel termine di 90 giorni ed anche in assenza
di istanza del contribuente, ma avverso l’inerzia degli
Uffici non v’era effettiva tutela giuridica.
Ma anche su questa posizione la dottrina ha espresso
riserve in relazione alla natura ontologicamente esecutiva delle sentenze, mentre la Corte delle Leggi con l’ordinanza 316 del 2008 disconosce tale carattere di connaturata esecutività delle sentenze, riconoscendo la coerenza costituzionale della esecutività delle sentenze a
favore del contribuente solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza.
Tale evidente disparità di posizione processuale e
sostanziale tra le parti del processo dunque non ha mai
trovato la fondatezza da parte della Consulta, poiché,
evidentemente, legata alla stessa struttura della processo
tributaria che disponeva la restituzione delle somme
versate in eccedenza se la sentenza delle Corti di merito
riformava, in tutto o in parte, il provvedimento amministrativo portante il debito tributario, ma lasciava nel
limbo, solo per queste, la presenza del giudicato. Per ciò
operatori di sovente ottenevano il rimborso delle
somme pagate in pendenza di giudizio pur in presenza
di determinazione dell’Ufficio a perseguire la riforma
della sentenza. In ogni caso, tuttavia, restava il vulnus
della disparità per i ricorsi incardinati sui rimborsi, le
cui sentenze di accoglimento restavano assolutamente
prive di tutela mediata fino al passaggio in giudicato.
Analoga negata tutela in medio tempore era apprestata alle spese di giudizio ex art. 15/546/92 contenute
nella sentenza di annullamento ovvero di rimborso,
poiché le stesse potevano essere rimborsate solo con il
passaggio in giudicato della sentenza.
L’art. 69/546/1992 affermava che con il passaggio in
giudicato, la segreteria della Commissione rilascia copia
della sentenza di condanna spedita in forma esecutiva a
norma dell’art. 475 del codice di procedura civile, che
rappresenta titolo per l’esecuzione della sentenza.
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DOTTRINA
Non era di soccorso alla lesione di legittimità neanche il disposto dell’art. 282 cpc che prevede l’immediata
esecutività delle sentenze di primo grado, in quanto
l’art. 1 del 546/92 disponeva dell’applicabilità delle
norme processuali civili, ma solo se compatibili con la
lex specialis richiamata dall’art. 68/546/92. La Corte di
Cassazione, con sentenza 15388 dei 26 giugno affermava che “Invero gli artt. 68 e 69 del d.lgs. 546/1992 sono
espliciti nell’affermare che le sentenze delle Commissioni
tributarie sono provvisoriamente esecutive a favore del contribuente (sia pure dopo notifica delle stesse da parte del
contribuente) per quanto attiene agli esborsi che il contribuente abbia compiuto a favore del fisco in esecuzione del
provvedimento impositivo”.
Con la riforma del 2016
La legge 23 dell’11 marzo 2014 ha conferito al
Governo la delega per l’emanazione di disposizioni per
un fisco più equo, trasparente e orientato alla crescita.
L’art 10 n. 10 dispone la previsione dell’immediata
esecutorietà, estesa a tutte le parti in causa, delle sentenze delle commissioni tributarie.
Il dlgs 156 del 24 settembre 2015 ha introdotto nel
corpus iuris del dlgs 546/92 l’art. 67 bis ed ha modificato gli art. 68 e 69 prevedendo l’esecutività immediata
delle sentenze emesse anche in favore del contribuente.
A suturare il vulnus è intervenuto il nuovo art. 67 bis
che con lapidaria chiarezza afferma: “Le sentenze emesse
dalle commissioni tributarie sono esecutive secondo quanto
previsto dal presente capo”.
Nell’art. 69 viene pleonasticamente ripetuto, al
primo comma, il principio dell’esecutività delle sentenze sia pur riferito a quelle di condanna al pagamento di
somme in favore del contribuente.
Nella seconda parte del primo comma la nuova
legge prevede che il rimborso delle somme dovute a
seguito di sentenza favorevole al contribuente, può essere subordinato dal Giudice alla prestazione di una
garanzia idonea. Per lo più i Giudici tributari optano
per la garanzia fidejussoria bancaria o assicurativa.
Appare evidente la surrettizia introduzione del principio
solve et repete cui è sottoposto il contribuente il quale
deve altresì anticipare il costo della garanzia rilasciata in
favore dello Stato per le somme da questi dovute.
Si pensi alla situazione paradossale di un contribuente che in sede di appello, dopo aver pagato imposte a
titolo provvisorio fino alla concorrenza dei due terzi di
quanto indicato dal provvedimento impositivo, pur
ottenendo sentenza di riforma del giudicato di prime
cure, per ripetere quanto anticipato, deve produrre una
garanzia a copertura dei propri crediti per importi di
rilevante ammontare. In periodi di crisi delle imprese
e di restrizione dell’operatività degli istituti di credito, tale norma potrebbe comportare l’impossibilità,
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
de facto, ad incassare i crediti tributari, con conseguenze
dannose per il sistema economico e per il singolo
imprenditore che, con tutta probabilità, versa in difficoltà economiche proprio per aver pagato il debito tributario provvisorio.
La garanzia, recita l’art. 69, è richiesta solo per crediti superiori ad € 10.000 e, conseguentemente, entro
tale limite l’esecutività immediata non trova ostacoli
poiché la segreteria della commissione rilascia copia esecutiva della sentenza.
Si è mancata l’occasione di prevedere una maggiore
soglia di esecutività delle sentenze scevra da garanzia,
tesa a favorire il contribuente nell’affrontare le contingenti difficoltà, dando la possibilità di disporre in misura più cospicua dei propri danari.
Ma si sarebbe ben potuto prevedere una soluzione
mista per gli importi rilevanti, facendo si che una parte
del rimborso dovuto in virtù della sentenza fosse svincolato da garanzia ed altra parte assoggettata ad essa.
Questa soluzione avrebbe consentito al contribuente
vittorioso di incassare crediti sine conditio e produrre la
garanzia per la restante parte del credito sub conditione.
Non meno efficace sarebbe stata la soluzione di
porre l’anticipo del costo della garanzia a carico
dell’Amministrazione, in grado di convenzionare ad hoc
con enti creditizi e/o assicurativi idonei, circostanza che
avrebbe consentito al contribuente di restare indenne
da ulteriori incombenze potendo agevolmente incassare
i propri crediti.
Mentre non vi sono ostacoli all’immediata e non
condizionata esecuzione per le spese di giudizio liquidate con la sentenza, in favore del contribuente, ovvero, se
antistatario, in favore del difensore.
Sorge un dubbio di natura procedurale nel caso in
cui una sentenza tributaria di condanna preveda rimborso di tributi superiori ad € 10.000 e coeva condanna
alle spese di lite. In mancanza di tempestivo rilascio
della garanzia prevista dall’art. 68 2^ comma, la segreteria della commissione non potrà rilasciare il titolo esecutivo. Il contribuente, ovvero il difensore antistatario,
in mancanza di titolo esecutivo non può notificare a
controparte la sentenza ai fini della decorrenza dei termini per l’adempimento del pagamento e, dunque, non
sarà possibile procedere con l’ottemperanza ex art. 70.
In realtà le segreterie delle commissioni dovrebbero,
in ogni caso ed anche in mancanza della garanzia, procedere al rilascio della sentenza spedita in forma esecutiva, ma la sentenza potrà efficacemente essere eseguita
solo con la garanzia. Nel caso prospettato, pertanto, la
notifica della sentenza priva della garanzia sarebbe utile
unicamente all’invito ad adempiere rivolto all’Ufficio,
ovvero, nel caso di inadempimento, alla procedura di
ottemperanza, che con la riforma trova la definitiva giurisdizione nelle Commissioni Tributarie.
Purtuttavia si afferma l’ineseguibilità delle sentenze con condanna al pagamento di importi superiori
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
DOTTRINA
ad € 10.000 in mancanza del decreto ministeriale
richiamato al 2^ comma dell’art. 68/546/92.
La decorrenza della nuova norma disposta dell’art.
69 è fissata al 1 giugno 2016 e pertanto per tutte le sentenze depositate in cancelleria successivamente al termine disposto dall’art. 12 comma 1 del dlgs 156/2015 si
applicheranno le nuove regole. Non dimeno il 2^
comma dell’art. 12 afferma che fino all’approvazione
dei decreti previsti dall’art. 69, comma 2, del decreto
legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, come modificati
dall’articolo 10 del decreto 156/2015, restano applicabili le disposizioni previgenti di cui ai predetti articoli 69.
Anche in questo caso sorge il dubbio se le sentenze,
che non necessitano di garanzia, restano escluse dalla
proroga sine die disposta dalla norma, con la conseguenza che per tutte le altre diverse sentenze si applica lo ius
novum. Una lettura orientata alla proroga di ogni tipo
di sentenza prevista nel dettato di cui all’art. 12 comma
2 porterebbe alla sospensione anche dell’art. 67bis, non
prevista dalle disposizioni transitorie del dlgs 156/2015,
e contrasterebbe con l’intenzione del legislatore di emanare il decreto ministeriale per “disciplinare il contenuto
della garanzia …… la sua durata nonché il termine entro
il quale può essere escussa….”.
Sarebbe opportuno un chiarimento sul punto per
consentire ai contribuenti di notificare le sentenze
con condanna ad importi inferiori ad € 10.000 ed ai
difensori di procedere per le spese anche nei casi di
distrazione.
Un ulteriore criticità della norma riferita alla moratoria della decorrenza, afferisce alla esecutività delle sentenze depositate tra il 1 giugno 2016 e il decreto ministeriale. Stante il disposto dell’art. 12 comma 2 si
potrebbe ipotizzare che esse non siano immediatamente
esecutive, atteso che in medio tempore vige l’abrogato
art. 69 e che quindi per esse è necessario attendere il
passaggio in giudicato. Anche su questo aspetto si
auspica un intervento chiarificatore.
Postilla sulla FASE TRANSITORIA
a cura di Roberto Lunelli
rebbe esecutiva solo dopo essere “passata in giudicato”, mentre la medesima Sentenza depositata il giorno successivo sarebbe “immediatamente” esecutiva);
b) le Sentenze depositate a partire dal 1° giugno 2016 dovrebbero godere della nuova disciplina anche prima della emanazione del Decreto MEF in tutti i casi in cui le
somme da rimborsare siano inferiori a 10 mila euro; e
anche nei casi di rimborso di importo maggiore se non
è stata/non viene imposta al contribuente la prestazione
di una garanzia. In queste due ipotesi (una ex lege, l’altra
ex judice), deve valere la regola per cui la Sentenza favorevole al contribuente è immediatamente esecutiva (e
potrà essere notificata all’Amministrazione finanziaria
per ottenerne l’esecuzione; procedendo, decorsi inutilmente 90 giorni dalla notifica, a un nuovo ricorso, in
questo caso di “ottemperanza”): quel Decreto MEF, in
questi casi, è irrilevante …
3. In questo senso, si è espressa la Commissione Tributaria Provinciale di Venezia – con la Sentenza
20.6.2016, n. 316 – che ha accolto “il ricorso [del contribuente] ordinando all’Ufficio la immediata restituzione di
quanto richiesto (…) non ritenendo di condizionare parte
ricorrente ad alcun vincolo fidejussorio stante la patrimonializzazione del gruppo”: in applicazione, per l’appunto,
della “voluntas legis” espressa dalla Legge delega e confermata nei lavori preparatori cui il Legislatore delegato deve attenersi nella redazione di Decreti legislativi. Attendere la emanazione di un Decreto che regolerà solo la
“idonea garanzia” – da prestare solo nei casi di rimborsi
superiori a 10 mila euro in cui il giudice dubitasse della
solvibilità del contribuente nel caso di sua futura soccombenza – significherebbe subordinare l’applicazione
di una norma (primaria) vigente che esprime una “regola” (nuovo art. 69/546) alla emanazione di una disposizione (secondaria) che riguarda un caso specifico e che
dovrebbe integrare una ”eccezione”.
Roberto Lunelli
1. L’Agenzia delle Entrate con la Circolare n.
38/2015, ha affermato che “per le sentenze già depositate
a partire dal 1° giugno 2016” (cioè quelle “vecchie”) e,
“in mancanza del (predetto) D.M., anche per quelle depositate successivamente a (rectius a partire da) tale data, rimane in vigore il precedente testo dell’art. 69, ai sensi del
quale (…) la sentenza di condanna dell’Ufficio al pagamento di somme, comprese le spese di giudizio, non è immediatamente esecutiva e deve essere eseguita solo dopo il passaggio in giudicato”.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, pertanto, le nuove
norme sulla esecutività delle Sentenze favorevoli al contribuente sono ancora “in sospeso” e il nuovo istituto sarà operativo solo dopo l’emanazione del Decreto MEF; il
quale, però, va detto, si limiterà a regolamentare (solo) le
caratteristiche e le modalità della (eventuale) garanzia
che il giudice ritenesse di pretendere dal contribuente a
tutela dell’Erario.
2. Al di là del disposto legislativo – che subordina il
rimborso immediato (dell’importo spettante al contribuente sulla base di una Sentenza) a un Provvedimento
assunto dallo stesso soggetto (l’Amministrazione finanziaria) che risulta debitore – a me pare che la norma debba essere interpretata alla luce della Legge delega
23/2014 (che tendeva a rafforzare la tutela giurisdizionale del contribuente), per cui:
a) le Sentenze “già depositate” ante 1° giugno u.s. non
dovrebbero restare “per sempre” assoggettate al vecchio regime, ma – una volta entrata in vigore la nuova
disciplina – al contribuente dovrebbe essere concesso
di notificare la Sentenza favorevole per pretenderne
l’esecuzione secondo il “nuovo” art. 69 (diversamente, si perverrebbe alla – irragionevole – conclusione
per cui una Sentenza depositata il 31 maggio 2016 sa-
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DOTTRINA
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
La necessaria ed urgente riforma della
Giustizia Tributaria
di Maurizio Villani
Il Governo è ormai deciso, giustamente, a riformare
totalmente le Commissioni Tributarie e promuovere
una riforma complessiva per garantire ai cittadini una
giurisdizione più efficiente e tempi del giudicato più
celeri, mediante misure che rafforzino la professionalità
dei giudici tributari.
In tal senso, si è espressa favorevolmente la Sesta
Commissione Finanze del Senato nel dare parere positivo al documento di Economia e Finanze 2016.
A tal proposito, il Partito Democratico ha presentato
alla Camera dei Deputati la proposta di legge n. 3734
dell’08 aprile 2016 di delega al Governo per la soppressione delle Commissioni Tributarie Regionali e
Provinciali e per l’Istituzione di Sezioni specializzate tributarie presso i Tribunali Ordinari.
In sintesi, le principali novità della suddetta proposta di legge sono le seguenti:
Sezioni specializzate presso i tribunali ordinari
La delega prevede la soppressione delle attuali commissioni tributarie provinciali e regionali e l’attribuzione dei relativi procedimenti a una o più sezioni specializzate tributarie istituite presso ogni tribunale ordinario situato nel comune capoluogo di provincia che è
oggi sede di commissione provinciale. Sarà soppresso
anche il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria
e le sue funzioni saranno svolte dal Consiglio superiore
della magistratura.
Rafforzamento organico magistratura
La delega prevede che le risorse rese disponibili in
seguito alla soppressione delle commissioni tributarie e
del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria
siano utilizzate per l’assunzione di 750 nuovi magistrati
con due concorsi da bandire nell’arco di 12 mesi.
Passaggio personale al Ministero della Giustizia
La delega prevede che il personale amministrativo
delle commissioni tributarie passi nei ruoli dell’amministrazione giudiziaria con qualifica funzionale corrispondente a quella del personale adibito alle medesime funzioni. Il transito avrà luogo in due fasi: una
prima metà dell’organico all’entrata in vigore del
primo decreto legislativo, l’altra metà decorsi due anni
dall’entrata in vigore della riforma.
Formazione e aggiornamento magistrati
La delega prevede che l’assegnazione dei giudici alle
sezioni specializzate tributarie da parte del Csm avrà
luogo in base alla disciplina prevista per le sezioni lavoro. I magistrati assegnati alle sezioni tributarie dovranno già avere un minimo di esperienza professionale
(almeno la seconda valutazione di professionalità),
avranno l’obbligo di seguire corsi di formazione e
aggiornamento professionale stabiliti dalla Scuola
superiore della magistratura e l’incarico sarà a tempo
(tra i 5 e i 10 anni).
Giudizio efficiente e tempestivo
La delega prevede che in primo grado le sezioni specializzate tributarie giudichino in composizione
monocratica e invece in composizione collegiale sul
reclamo avverso la sentenza del giudice unico. Il collegio che giudicherà il reclamo sarà composto esclusivamente da magistrati ordinari della sezione specializzata
e la sua sentenza potrà essere ricorribile per cassazione.
Sia per la fase di cognizione che per quella di esecuzione si applicheranno, in quanto compatibili, le regole
del rito tributario attuale.
Patrocinio e assistenza tecnica
La delega prevede che il patrocinio possa essere affidato agli stessi soggetti oggi legittimati all’assistenza
tecnica quando la sezione giudica in composizione
monocratica e solo ad avvocati o commercialisti quando giudica sulle cause di reclamo. Sarà comunque possibile la difesa personale per le cause tributarie il cui
valore non supera i 3.000 euro.
Abbattimento arretrato tributario in Cassazione
La delega prevede che i magistrati in pensione da
meno di 2 anni e che abbiano esercitato per almeno
5 anni funzioni di legittimità possano essere nominati dal Csm giudici ausiliari presso la Corte di
Cassazione per smaltire il contenzioso in materia tributaria ancora pendente. Come rilevato in più occasioni dal primo presidente Giovanni Canzio circa il
30% dell’enorme arretrato civile riguarda la materia
tributaria.
DOTTRINA
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Regime transitorio
La delega prevede che le commissioni tributarie cessino definitivamente le funzioni decorsi due anni dall’entrata in vigore della riforma trattando fino a quella
data i procedimenti già iscritti. Dopo i due anni i procedimenti eventualmente ancora pendenti saranno riassegnati alle sezioni specializzate ordinarie.
Tale proposta di legge appare sostanzialmente condivisibile. A mio avviso, tuttavia, dovrebbero essere
apportati dei correttivi sulla base dei seguenti principi
già evidenziati in un disegno da me redatto e proposto
al Parlamento.
1. La gestione ed organizzazione non deve essere più
del Ministero dell’Economia ma della Presidenza
del Consiglio dei Ministri
Per attuare l’effettiva terzietà dei giudici tributari ai
sensi dell’art. 111 della Costituzione, comma 2, “Ogni
processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La
legge ne assicura la ragionevole durata” è urgente sottrarre
al Ministero dell’Economia e delle Finanze la gestione e
l’organizzazione delle commissioni tributarie, in quanto
parte interessata nel contenzioso, ed affidarla ad un
organismo terzo, come per esempio la Presidenza del
Consiglio dei Ministri (la cui alta vigilanza è prevista
dall’art. 29 decreto legislativo n. 545 del 31 dicembre
1992), perché la giustizia tributaria oltre che “essere”
deve necessariamente “apparire” neutrale.
Si deve istituire un ruolo autonomo della magistratura tributaria, distinto dalla magistratura ordinaria,
amministrativa e contabile (c.d. quarta magistratura),
la quale peraltro deve avere in futuro anche un riconoscimento costituzionale.
Non si può assistere, come invece accade oggi, che il
Ministro delle Finanze gestisca l’organizzazione dei giudici tributari per le nomine, i trasferimenti e l’avanzamento di carriera.
2. Nuova denominazione delle Commissioni
Tributarie
Le Commissioni Tributarie proprio alla luce di
quanto detto al punto n. 1) dovranno avere una diversa
denominazione:
Tribunale Tributario;
Corte D’Appello Tributaria;
Corte di Cassazione Sezione Speciale Tributaria.
3. I Giudici Tributari devono essere a tempo pieno
e professionalmente competenti
Oggi i giudici tributari sono a tempo parziale e questo non garantisce una perfetta competenza e professionalità nel delicato settore fiscale.
L’assunzione del giudice tributario deve avvenire
per concorso pubblico, per titoli ed esami a base regionale con specifico riferimento alle norme tributarie e
processuali.
I professionisti per far parte delle commissioni tributarie devono cancellarsi dai rispettivi albi professionali.
4. Giudice monocratico
Si può prevedere l’istituzione del Giudice
Monocratico per tutte le controversie di importo non
superiore a € 20.000,00 d’imposta che vanno oggi a
mediazione, per le cause catastali e per i giudizi di
ottemperanza senza limiti di importo.
5. Dignitoso trattamento economico dei Giudici
Tributari
Oggi i giudici tributari non percepiscono alcun
compenso per la sospensiva, e soltanto la misera somma
di euro 25 nette a sentenza depositata peraltro pagata
con ritardo.
Questi miseri compensi non fanno altro che offendere la dignità del giudice tributario ed ecco perché è
necessario prevedere con urgenza un compenso dignitoso sia per le udienze di sospensiva e di merito, sia per il
deposito delle sentenze oltre che un congruo e dignitoso
compenso mensile e rimborso spese.
6. Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria
Nel mio disegno di legge rimane il Consiglio di
Presidenza della Giustizia Tributaria tenuto conto dell’autonomia della magistratura tributaria come sopra
esposto.
7. Difensori Tributari
Nel mio disegno di legge rimangono tutti gli attuali
difensori tributari senza alcuna esclusione ma senza
ampliamenti.
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DOTTRINA
Conclusione
La Riforma delle Commissioni Tributarie è sentita
da molti anni dai contribuenti e dalle categorie professionali, tenuto conto della delicatezza del ruolo svolto
e delle particolari questioni che vengono trattate.
Non si deve pensare che l’esigenza della suddetta
riforma è giustificata dai recenti scandali e arresti dei
giudici tributari (si vedano i casi di Roma, Napoli,
Milano e Bari), ma la riforma è necessaria perché i giudici tributari devono essere giudici professionali, ben
pagati ed indipendenti (anche all’apparenza) dal MEF,
e competenti a decidere le delicate e difficili questioni
tributarie, che in caso di errori, anche involontari,
possono portare al fallimento delle aziende, o peggio
ancora al suicidio dei contribuenti.
Ormai è arrivato il momento indifferibile di
smantellare totalmente le attuali commissioni tributarie e creare giudici tributari a tempo pieno non più
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
dipendenti dal Ministero dell’Economia e delle
Finanze, ma dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
L’esigenza di un’ampia riconsiderazione della giurisdizione in materia tributaria è largamente avvertita
dai contribuenti e dai professionisti del settore.
Infatti, occorre garantire tempestività, trasparenza
ed efficienza nel rendere giustizia su temi che incidono
così in profondità sui diritti dei cittadini e sui rapporti
tra il cittadino e la pubblica amministrazione.
In definitiva, l’attuale strutturazione della giustizia
tributaria non appare più adeguata e, di conseguenza,
è necessaria ed urgente una totale e radicale riforma.
A tal proposito, è necessario un sereno ed equilibrato dibattito tra tutti i soggetti istituzionali e professionali per arrivare ad avere una giustizia tributaria con giudici professionali, specializzati, a tempo
pieno, ben retribuiti e, soprattutto, terzi ed imparziali nel rispetto dell’art. 111, comma 2, della
Costituzione.
DOTTRINA
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Utilizzo di documenti falsi e sanzioni penali
Commento agli artt. 1 e 2 d. lgs n. 74 del 2000
di Lorenzo Imperato
1. La definizione di cui alla lett. a) dell’art. 1
La definizione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, e la stessa definizione della ‘inesistenza’ delle operazioni, contenute nella lettera a) dell’art. 1,
non sono state direttamente oggetto di modifica ad
opera del d. lgs. n. 158 del 2015.
Peraltro, mette conto di osservare che la riformulazione dell’art. 3 del decreto n. 74, con l’introduzione di
una specifica modalità di condotta consistente nell’«utilizzo di documenti falsi», impone una rimeditazione
della portata – in taluni casi, in passato, ritenuta in
misura eccessiva – da attribuire alla nozione di «altri
documenti», penalmente equiparabili alla fattura.
L’utilizzo di documenti falsi, infatti, potrebbe astrattamente comportare, successivamente alla modifica del
decreto n. 74, responsabilità penale ai sensi dell’art. 2 o
dell’art. 3.
L’opera di delimitazione dei rapporti fra le due fattispecie, dunque, dovrà essere realizzata, a nostro avviso,
esaltando il coefficiente di specializzazione contenuto
nella lettera a) dell’art. 1, consistente nella predeterminazione normativa di una funzione probatoria analoga
alla fattura. Elemento, questo, che, consentendo di
parificare il documento innominato alla fattura (ai sensi
dell’art. 21 d.p.r. n. 633 del 1972), orienta l’interprete
verso l’applicazione dell’art. 2. In tutti i casi, invece, nei
quali non sia dato riscontrare, in modo diretto, l’esistenza di una norma tributaria che attribuisca ad un
certo documento innominato la stessa valenza probatoria della fattura, ci si deve orientare verso l’applicazione
dell’art. 3, che fa riferimento al più ampio genus del
‘documento falso’, ossia al documento inficiato da falsità ideologica o materiale, diverso dalla fattura o dal
documento innominato ad esso equiparabile.
2. La definizione degli «elementi attivi o passivi»
(lett. b) dell’art. 1)
La nozione degli «elementi attivi e passivi» – oggetto
della definizione contenuta nella lettera b) dell’art. 1 - è
stata certamente ampliata dalla riforma del 2015, attraverso l’aggiunta dell’inciso: «e le componenti che incidono
sulla determinazione dell’imposta».
Con questa definizione il legislatore delegato del
2000 intendeva evitare un’elencazione casistica, ricomprendendo in un’unica espressione – quella degli «elementi attivi e passivi» - tutte le componenti capaci di
influire sulla determinazione del reddito e delle basi
imponibili ai fini delle imposte sui redditi e dell’iva1.
Dal testo della norma, quindi, già emergeva come gli
elementi penalmente rilevanti fossero soltanto quelli
capaci di concorrere a determinare l’imponibile, con
esclusione delle componenti incidenti in via diretta sull’imposta2.
Per esemplificare, nel campo delle imposte sui redditi, sino alla riforma del 2015 potevano assumere rilevanza penale soltanto condotte ricadenti sulle componenti del reddito – quindi, sulla base imponibile - e
sugli oneri deducibili, ma non anche condotte ricadenti
sulle detrazioni di imposta ovvero sui crediti di imposta
(che incidono, ai sensi dell’art. 11 Tuir, sull’imposta
lorda, consentendo di pervenire alla determinazione
dell’imposta netta).
Quanto all’imposta sul valore aggiunto, le condotte
penalmente rilevanti potevano incidere soltanto sulla
determinazione della base imponibile e, quindi, sugli
elementi contemplati dall’art. 13 d.p.r. n. 633 del 1972
e dalle altre disposizioni che a quella rinviino e che la
integrino o la deroghino.
La nozione degli elementi attivi e passivi assume rilevanza in funzione della descrizione delle condotte dei
delitti dichiarativi previsti dagli artt. 2, 3 e 4.
Nel quadro originario del decreto n. 74 del 2000,
l’ambito delle condotte penalmente rilevanti era limitato ai comportamenti che avrebbero potuto incidere
sulla determinazione dell’imponibile: il tema principale
era quello della tutela della fedeltà della dichiarazione,
1In argomento, cfr. G. MOSCHETTI, in Commentario breve alle
leggi tributarie, tomo II, Accertamento e sanzioni, a cura di F. MOSCHETTI, Padova, 2011, p. 530; E. AMBROSETTI, Diritto penale dell’impresa, Bologna, 2008, p. 400.
2 Ci permettiamo di rinviare a L. IMPERATO, in Diritto e procedura penale tributaria, a cura di I. CARACCIOLI – A. GIARDA – A. LANZI, Padova, 2001, p. 48; cfr. anche B. GULLO, Gli elementi attivi e gli
elementi passivi nel diritto penale tributario. Casi pratici di applicazione della norma definitoria, in il fisco, 2010, p. 7147 ss.
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DOTTRINA
intesa come fedele rappresentazione dei redditi posseduti dal contribuente in un certo periodo di imposta
ovvero delle operazioni imponibili realizzate in quello
stesso periodo di imposta.
L’imposta evasa, nel disegno originario del
Legislatore, doveva essere determinata operando un
confronto (più o meno semplice) fra l’imposta indicata
nella dichiarazione e l’imposta effettivamente dovuta,
ossia l’imposta che si sarebbe dovuta dichiarare, qualora
si fosse fedelmente rappresentato nella dichiarazione il
complesso dei redditi posseduti o delle operazioni rilevanti ai fini iva.
L’imposta evasa, nelle intenzioni del Legislatore del
2000, rappresentava, insomma, una mera conseguenza
delle infedeltà o degli artifici commessi in corso d’anno
e riportati, nei loro risultati numerici, nella dichiarazione annuale.
Infatti, la sentenza Di Mauro delle sezioni unite, pubblicata nel 20003, ha osservato che «la violazione dell’obbligo di veritiera prospettazione della situazione reddituale e
delle basi imponibili è al fondamento, segnatamente, della
tipologia criminosa costituente l’asse portante del nuovo sistema punitivo: la dichiarazione annuale fraudolenta».
La riforma del 2015 ha modificato radicalmente
questa impostazione, facendo assurgere la determinazione dell’imposta a possibile oggetto diretto delle condotte materiali fraudolente (art. 2), artificiose (art. 3)
od infedeli (art. 4).
Ne consegue necessariamente un ampliamento della
responsabilità penale dei contribuenti, che potranno
d’ora in avanti realizzare i fatti puniti sia intervenendo
sull’imponibile rilevante ai fini delle imposte sui redditi
o dell’imposta sul valore aggiunto, sia, semplicemente,
intervenendo sulla misura dell’imposta, lasciando intatta la determinazione dell’imponibile.
Con l’entrata in vigore della riforma, potranno essere
considerati elementi attivi e passivi, rilevanti ai fini dell’applicazione delle fattispecie di cui agli articoli 2, 3 e 4,
sia le componenti che incidono sulle basi imponibili o sul
reddito, sia le componenti che incidono sulla determinazione dell’imposta: non a caso, la relazione illustrativa
ricorda, correttamente, i crediti d’imposta e le ritenute.
Ne consegue che, entrata in vigore la riforma, potrà
assumere rilevanza penale anche il mendacio (anche
qualificato dalle note di fraudolenza tipiche degli artt. 2
e 3) che attinga le detrazioni d’imposta4 e, comunque,
tutte le componenti che, senza intaccare l’imponibile,
incidano direttamente sull’imposta.
3
Cass., sez. un., 25.10.2000, n. 27, Di Mauro.
4 Cfr., quanto alle imposte sui redditi, gli artt. 12, 13, 15, 16, 16-bis tuir.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
3. La definizione di «dichiarazioni» (lett. c) dell’art. 1)
La definizione in commento è stata modificata dall’art. 1, lett. b) del decreto n. 158 del 2015, attraverso
l’inserimento di questo inciso: «o di sostituto di imposta,
nei casi previsti dalla legge»5.
La norma era destinata a chiarire, nell’impianto originario del 2000, che potevano assumere rilevanza
penale non soltanto le dichiarazioni fiscali presentate da
un soggetto nell’interesse proprio, ma anche le dichiarazioni presentate in qualità di amministratore, liquidatore o rappresentante di società, enti o persone fisiche6.
Pertanto, assumevano rilevanza penale le dichiarazioni presentate nell’interesse di altri, diverso dal loro
sottoscrittore.
Questo processo è stato proseguito con la riforma
del 2015, posto che rilevano penalmente, ora, anche le
dichiarazioni presentate dal sostituto di imposta.
Il sostituto di imposta è stato incluso nella definizione di cui alla lett. c) assimilandolo agli altri soggetti ivi
elencati per assonanza, esaltando la natura di soggetto
che opera per conto di altri.
Altro e diverso problema attiene alla configurabilità
dei reati dichiarativi (artt. 2 – 3- 4) se posti in essere dal
sostituto di imposta (fatto salvo il delitto di cui all’art.
5, comma 1-bis, di cui abbiamo detto).
I maggiori ostacoli interpretativi all’ampliamento
della sfera di punibilità, sino a ricomprendervi anche
l’ipotesi dei delitti dichiarativi realizzati dal sostituto di
imposta, consistono, anzitutto, nella natura della
dichiarazione di sostituto di imposta.
Essa, in quanto tale, è volta soprattutto a consentire
all’Amministrazione finanziaria di conoscere i percipienti le somme corrisposte dal sostituto, il loro
ammontare, l’ammontare delle ritenute operate.
Si tratta, insomma, conformemente alla natura ed
alla funzione della responsabilità tributaria accollata al
sostituto di imposta, di una dichiarazione volta a rappresentare all’Amministrazione finanziaria dati concernenti la posizione reddituale di soggetti terzi rispetto al
sostituto.
In secondo luogo, per sua natura, non pare immediatamente ravvisabile – conformemente a siffatta,
peculiare, struttura della dichiarazione del sostituto di
imposta – la possibilità di individuare elementi attivi
e/o passivi, suscettibili di essere oggetto delle condotte
punite dai reati dichiarativi.
5 V., sul punto, G. GAMBOGI, La riforma dei reati tributari, Milano, 2016, p. 8.
6 Sottolinea questo profilo A. MARTINI, Reati in materia di finanze e tributi, in Trattato di diritto penale, diretto da C.F. GROSSO – T.
PADOVANI – A. PAGLIARO, Milano, 2010, p. 194.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
In taluni casi concreti – si pensi all’ipotesi in cui il
datore di lavoro corrisponda “in nero” una parte delle
retribuzioni ai propri dipendenti; ovvero attesti in
modo infedele nella dichiarazione di sostituto di imposta detrazioni inesistenti – si potrebbe configurare,
astrattamente, responsabilità penale per dichiarazione
infedele del sostituto di imposta.
Allo stesso tempo, peraltro, il sostituito potrebbe
essere sanzionato penalmente, sussistendone le condizioni, per l’evasione che abbia realizzato (ad esempio,
percependo in modo non ufficiale una parte della retribuzione).
Quindi, si correrebbe il rischio, che la legge delega di
riforma del 2014 ha voluto scongiurare, quanto meno
in linea di principio, di un eccessivo ampliamento della
responsabilità penale e, soprattutto, di una sovrapposizione di titoli di responsabilità per lo stesso fatto, con
violazione del principio del ne bis in idem.
La questione, insomma, non può dirsi definita, alla
luce della riforma.
L’ampliamento della definizione di cui ci stiamo
occupando pare legittimare il conseguente ampliamento della sfera applicativa dei delitti dichiarativi, pur con
le perplessità teoriche ed applicative che, prima, abbiamo sommariamente delineato.
4. La definizione di «imposta evasa» (lett. f) dell’art. 1
A differenza delle lettere d) ed e), che non sono interessate dalla riforma, è stata invece modificata la lettera
f) dell’art. 1 d. lgs. n. 74 del 2000 (dall’art. 1, comma
1, lett. c), d. lgs. n. 158 del 2015).
Purtroppo, non è stato fornito – salvo che dall’art. 4,
comma 1-bis, per la sola dichiarazione infedele – un
definitivo chiarimento nel senso dell’irrilevanza ai fini
penali, nell’operazione di determinazione dell’imposta
evasa, delle regole fiscali “pure”, che contengano limitazioni probatorie, forfetizzazioni, preclusioni eccetera,
ancorché la giurisprudenza della Suprema Corte sia fortunatamente pervenuta ad un assestamento opportuno,
in un senso “sostanzialistico” della relativa nozione7.
7 Ci permettiamo nuovamente di rinviare a L. IMPERATO, op.
cit., p. 56 ss. La giurisprudenza, a far data dal 2008, è pervenuta ad
un’interpretazione ‘sostanzialistica’ dell’imposta evasa, nel senso auspicato nel testo, come è dimostrato dalle seguenti sentenze: «la soglia di punibilità agli effetti della violazione delle disposizioni penali
tributarie di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 74/2000 deve riferirsi all’intera imposta dovuta giusta l’omissione della presentazione delle dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto. Il
debito tributario evaso deve essere pertanto determinato secondo il
risultato economico effettivamente conseguito quale risulta dagli ac-
DOTTRINA
La riforma ha aggiunto un inciso, che suona in questi termini: «non si considera imposta evasa quella teorica
e non effettivamente dovuta collegata a una rettifica in
diminuzione di perdite dell’esercizio o di perdite pregresse
spettanti e utilizzabili»8.
La norma definitoria riformata ha quindi sentito il
bisogno di precisare che la rettifica delle perdite dichiarate non costituisce imposta evasa, con ciò lasciando
intendere che, in precedenza, anche la mera rettifica in
diminuzione della perdita avrebbe potuto costituire
imposta evasa.
Ebbene, questa clausola di esclusione si applica soltanto per la rettifica in diminuzione delle perdite, vale a
dire per i casi in cui il contribuente abbia dichiarato una
perdita e non un reddito, e la perdita, a seguito dell’accertamento, venga diminuita9. Si tratta di una norma
applicabile, stante il tenore letterale della norma, soltanto al comparto delle imposte sui redditi, atteso il riferimento alle «perdite», nozione che non è nota in ambito
iva, così come non lo è il meccanismo delle perdite pregresse utilizzabili in esercizi successivi.
certamenti processuali in merito ai proventi percepiti ed i costi deducibili sostenuti» (Cass., sez. III pen., 28.5.2008, n. 21213); «differentemente dall’ordinamento tributario, il cui metodo induttivo
di determinazione del reddito contempla ipotesi di ricostruzione
formale e di inversione dell’onere della prova a carico del contribuente - quale l’ipotesi prevista all’art. 32, D.P.R. n. 600/1973 in
merito alle indagini sui rapporti e conti correnti intrattenuti con
istituti di credito - la disciplina della repressione dei reati comporta
l’obbligo del giudice di valutare autonomamente le circostanze ed i
fatti costitutivi della fattispecie incriminatrice - all’uopo anche discostandosi dalle risultanze e conclusioni dell’accertamento prettamente tributario, per dare prevalenza alla realità del reddito imponibile e della corrispondente imposta sottratta all’Erario, ovvero procedendo ad autonoma indagine nel contesto del divieto di adozione
delle presunzioni legali previste dalla normativa sull’accertamento»
(Cass., sez. III pen., 6.2.2009, n. 5490). Cfr. anche Cass., sez. III
pen., 8.5.2013, n. 19709.
8 Cfr., sul punto, I. CARACCIOLI, Linee generali della revisione del sistema penale tributario, in il fisco, 2015, n. 30, p. 2935 ss.
9 Ci pare che la Relazione dell’Ufficio del Massimario proponga
un’interpretazione più estensiva sul punto, affermando che «non viene fatta rientrare quella teorica collegata sia ad una rettifica in diminuzione di perdite dell’esercizio che all’utilizzo di perdite pregresse spettanti e utilizzabili: il riferimento è all’ipotesi che l’imposta evasa sia solo
teorica perché “assorbita” (o “ridotta” sotto soglia) dalla perdita di esercizio verificata in quel periodo o negli anni precedenti, utilizzabile ai fini
del calcolo degli elementi detraibili per l’esercizio in contestazione». Apprezziamo lo spirito dell’interpretazione, volto a dare ampia estensione alla modifica della definizione, ma ci pare, al tempo stesso, che
la seconda parte delle affermazioni contenute nella Relazione non
siano del tutto condivisibili. Invero, la riduzione della maggior imposta accertata per effetto dell’utilizzo di perdite pregresse non necessita della modifica apportata alla lett. f) dell’art. 1, essendo già
prevista, in linea generale, dall’art. 9, commi 2 e 3, tuir per l’irpef e
dall’art. 84 per l’ires.
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DOTTRINA
Inoltre, la norma precisa che questa diminuzione
della perdita dichiarata può intervenire nell’esercizio
oggetto di accertamento, ovvero in esercizi precedenti,
nei quali siano state dichiarate perdite «utilizzabili»,
ossia riportabili in avanti, in diminuzione dell’eventuale
reddito degli anni successivi10.
Il significato della nuova definizione si coglie, a
nostro avviso, proprio attraverso la precisazione introdotta, secondo la quale la minor perdita configura
un’imposta «teorica» e «non effettivamente dovuta».
Si tratta di una precisazione attraverso la quale si
intende specificare che l’imposta dovuta deve essere
identificata con l’imposta da versare.
In effetti, l’art. 1 lett. f) non allude testualmente
all’imposta da versare, ma all’imposta dovuta; e, d’altro
canto, le norme che si occupano di imposte da versare
si esprimono proprio in questi termini, alludendo alle
ritenute non versate (art. 10-bis), all’iva non versata
(art. 10-ter) ovvero al mancato versamento delle somme
dovute (art. 10-quater).
In questo modo, la definizione di imposta evasa si
completa, nel senso che l’imposta effettivamente dovuta, per effetto della riforma, è l’imposta che deve essere
versata: infatti, nei casi di mera diminuzione della perdita a seguito dell’accertamento, alla quale non consegua un obbligo di versamento, la norma specifica che
non si considera la minor perdita come imposta evasa.
Si impone una precisazione con riguardo all’eventualità del riporto in avanti della perdita11.
Si pensi al caso in cui il contribuente dichiari una
perdita in un certo anno di imposta, che venga fatta
oggetto di riporto in avanti, a diminuzione del reddito conseguito in un anno successivo, ovvero in anni
successivi.
Sottoposto ad accertamento l’anno di imposta nel
quale è stata dichiarata la perdita, questa viene ridotta,
per sopravvenuto incremento degli elementi attivi, o
per decremento degli elementi passivi.
Ci si chiede quale sia l’effetto per gli anni successivi,
nei quali la perdita sia stata riportata a diminuzione del
reddito conseguito.
Nessun problema, nel caso in cui derivi negli anni
successivi comunque una perdita, come stabilito espressamente dalla seconda parte della lettera f) dell’art. 1.
Differente il caso in cui, fatta venir meno la perdita
oggetto di riporto, emerga un reddito positivo, ed
un’imposta da versare: si tratta del caso in cui, eliminata
10 Cenni sul tema della rilevanza delle perdite rispetto al previgente testo della lett. f) dell’art. 1 in L. IMPERATO, Diritto e procedura
penale tributaria, cit., p. 74 s.
11 Cfr. G. GAMBOGI, La riforma dei reati tributari, cit., p. 9.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
la perdita riportata per effetto dell’accertamento, derivi
una maggior imposta da versare superiore alle soglie di
punibilità.
Il problema deriva dal fatto che, negli esercizi successivi, non si realizza la condotta tipica del reato dichiarativo (di cui agli artt. 3 o 4), ma ci si limita a riportare la
perdita derivante da un anno di imposta precedente,
fatto oggetto di rettifica ad opera dell’Amministrazione
finanziaria12.
Con la riforma dell’art. 1, lett. b), anche l’elemento
che incida sulla determinazione dell’imposta costituisce
elemento passivo, nella specie, suscettibile di dar luogo
a responsabilità penale.
La clausola di esclusione contenuta nella seconda
parte della lett. f) dell’art. 1 non può operare in questo
caso, in quanto non ci si trova nella fattispecie dell’imposta teorica e non effettivamente dovuta, quanto nella
fattispecie in cui il contribuente sarebbe chiamato a corrispondere l’imposta, a seguito del venire meno – totale
o parziale – della perdita dell’esercizio precedente.
In questi casi, pertanto, diviene dirimente il profilo
soggettivo, per quel che concerne il delitto di dichiarazione infedele, atteso che il delitto di dichiarazione fraudolenta non può venire ad esistenza per difetto degli
elementi di fraudolenza richiesti.
Diviene dirimente, dunque, accertare se il contribuente sia consapevole, negli anni di imposta successivi,
di riportare in avanti una perdita che si sa essere, in realtà, insussistente. Si verifica, in sostanza, una situazione
simile a quella già esaminata, in giurisprudenza, con
riguardo al testo precedente, nella quale il contribuente
riporti in più anni di imposta un componente del reddito che si sappia essere inficiato, nella sua genesi, da
fraudolenza od infedeltà (tipico il caso delle quote di
ammortamento)13.
12 Nello stesso senso cfr. Cass., sez. III pen., 19.12.2014, n.
52752 – in ipotesi di riporto in dichiarazioni successive di elementi
passivi fittizi – secondo la quale «questa tesi non comporta che le successive dichiarazioni annuali che espongano elementi passivi fittizi siano esenti da possibile responsabilità penale, ma solo che esse dovrebbero
essere qualificate non ai sensi del D. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 2
e 3 (perché nelle successive annualità non si ha la progressione nello stesso
periodo di imposta dall’utilizzazione alla dichiarazione), bensì ai sensi
dell’art. 4 (perché si ha una dichiarazione di elementi passivi fittizi senza contemporaneo utilizzo della falsa rappresentazione nelle scritture
contabili e dei mezzi fraudolenti, avvenuta in anni precedenti). Ciò
perché, esauritasi la condotta “bifasica” dell’utilizzo completato dalla
dichiarazione, sussiste solo la condotta “monofasica” della dichiarazione
di elementi passivi fittizi».
13 Cfr., negli stessi termini, A. PERINI, in La nuova giustizia penale tributaria, I reati – il processo, a cura di A. GIARDA – A. PERINI – G.
VARRASO, Padova, 2016, p. 187 s.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Occorre dedicare un cenno, da ultimo, ad un istituto che è stato introdotto dal titolo II del d. lgs. n. 158
del 2015, all’art. 25, rubricato: «procedimento di computo in diminuzione delle perdite in accertamento».
La disposizione – che diverrà efficace a partire dal 1°
gennaio 2016, per gli anni di imposta per i quali, a questa data, non sia già intervenuta decadenza dal potere di
accertamento – prevede che l’Amministrazione, eseguito accertamento su un anno di imposta, debba scomputare dai maggiori imponibili accertati le perdite relative
al periodo di imposta oggetto di accertamento, fino a
concorrenza del loro importo.
Pertanto, lo scomputo delle perdite riportate in un
anno di imposta dai maggiori imponibili accertati
dall’Agenzia delle Entrate in quello stesso anno diviene
automatico, fino a concorrenza del loro importo.
Qualora invece il contribuente abbia riportato perdite pregresse, il contribuente ha facoltà di richiedere che
vengano computate in diminuzione dei maggiori imponibili accertati, sino a concorrenza del loro importo.
Conviene ricordare che, in questi casi, le sanzioni
sono irrogate in rapporto all’imposta che eventualmente il contribuente debba versare, a seguito della rideterminazione dei maggiori imponibili per effetto dello
scomputo delle perdite (dell’esercizio o pregresse).
Si è affermato14 che la norma in esame contribuirebbe a definire una questione interpretativa riguardante l’applicazione delle sanzioni amministrative in
questo caso.
In particolare, era dubbio, sino all’introduzione
dell’art. 25 citato, se la sanzione per infedele dichiarazione dovesse essere commisurata alla maggior imposta
risultante dallo scomputo delle perdite ovvero se dovesse essere comunque commisurata alla maggior imposta
oggetto di accertamento, al lordo delle perdite, come
certa giurisprudenza della Suprema Corte lascerebbe
intendere.
Sotto questo profilo si riconosce una certa assonanza
fra l’art. 25 d. lgs. n. 158 del 2015 e la lett. f) dell’art. 1
oggetto di riforma da parte dello stesso decreto.
Entrambe le disposizioni prevedono, invero, che in
caso di perdite non debbano derivare conseguenze
sanzionatorie, ovvero, se le sanzioni debbano essere
irrogate, che esse siano proporzionate all’imposta
effettivamente dovuta, dopo aver considerato le perdite dell’esercizio ovvero le perdite pregresse spettanti ed
utilizzabili.
14 Cfr.
S.M. GALARDO, Utilizzo delle perdite in accertamento: dal
consolidato allo “stand alone”,
in Corr. Trib., 2015, n. 32, p. 2481 ss.
DOTTRINA
Se questo parallelo ha un senso – nonostante la
diversità di campo di materia ed il principio del “doppio binario” previsto dall’art. 20 d. lgs. n. 74 del 2000
– si deve allora considerare che la soluzione prima prospettata riceve un’ulteriore convalida.
Invero, l’art. 25 d. lgs. n. 158 del 2015, dal canto
suo, stabilisce che le sanzioni amministrative siano
commisurate all’imposta che il contribuente debba
effettivamente versare, dopo lo scomputo delle perdite;
allo stesso modo, l’art. 1 lett. f) riformato si limita a stabilire, innovando, che non si considera imposta evasa
quella teorica e non effettivamente dovuta, a seguito di
scomputo delle perdite, vale a dire l’imposta che non
debba essere, concretamente, versata.
Diversamente, nell’un caso e nell’altro, qualora,
scomputate le perdite, residui imposta da versare, di
essa si dovrà tenere conto, sia ai fini dell’applicazione
delle sanzioni amministrative, sia ai fini dell’irrogazione
delle sanzioni penali (qualora l’imposta da versare superi la soglia di punibilità).
5. La nuova definizione delle «operazioni simulate
oggettivamente o soggettivamente» (lett. g-bis
dell’art. 1)
Il punto di maggior novità, denso di implicazioni
teoriche e pratiche, è rappresentato dall’introduzione
nell’art. 1 d. lgs. n. 74 del 2000 della lettera g-bis).
La lettera g-bis) contiene la definizione delle «operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente»: due
requisiti concorrono a definire la fattispecie, uno negativo ed uno positivo, e quest’ultimo, a sua volta, viene
diversamente configurato per la simulazione oggettiva e
per la simulazione soggettiva15.
Il requisito negativo consiste nella circostanza che le
dette operazioni non devono integrare quelle disciplinate dall’art. 10-bis dello Statuto del contribuente: testualmente, la norma prevede che si deve trattare di operazioni «diverse da quelle disciplinate dall’articolo 10-bis
della legge 27 luglio 2000, n. 212».
Soffermiamoci un momento su questo inciso, particolarmente rilevante.
Il Legislatore della riforma ha inteso in tal modo rafforzare il disposto dell’art. 10-bis, comma 13, dello
Statuto del Contribuente, secondo il quale le operazioni
elusive od abusive non possono dar luogo alla commissione di reati tributari.
15 Per un primo esame della riforma, con riguardo alla bozza del
decreto legislativo delegato, cfr. I. CARACCIOLI, Prospettive del sistema sanzionatorio penale e raddoppio dei termini di accertamento, in il
fisco, 2015, n. 13, p. 1254 ss.
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DOTTRINA
Norma importante, questa, in quanto dovrà por fine
alla lunga querelle interpretativa sulla rilevanza penale
dell’elusione fiscale, nel senso della irrilevanza penale
dell’elusione fiscale.
Il requisito positivo si differenzia nella definizione della
simulazione oggettiva e della simulazione soggettiva.
La simulazione oggettiva – o, meglio, l’operazione
oggettivamente simulata – è quella «apparente»,
«posta in essere con la volontà di non realizzarla in
tutto o in parte».
L’operazione soggettivamente simulata, invece, viene
riferita «a soggetti fittiziamente interposti».
Sul piano contenutistico, in prima battuta, le definizioni in esame possono essere riportate alle nozioni che
la dottrina civilistica ha tracciato in materia.
La simulazione, in generale, viene così definita dalla
dottrina civilistica: «c’è simulazione quando i contraenti
creano, con la propria dichiarazione, solo le parvenze esteriori di un contratto, del quale non vogliono gli effetti (art.
1414, comma 1°), oppure creano le parvenze esteriori di
un contratto diverso da quello da essi voluto (art. 1414,
comma 2°)»16.
Quanto alla simulazione soggettiva, o meglio alla
interposizione fittizia di persona, si ricorda che «è una
particolare specie di simulazione relativa, che investa la
identità di una delle parti»17.
Il contenuto della definizione pone il problema del
rapporto fra la definizione di operazioni simulate e le
definizioni di operazioni inesistenti dettate dalla lettera
a) dell’art. 1, che non sono state oggetto dell’intervento
riformatore.
Si pensi al rapporto fra l’operazione soggettivamente
simulata e l’operazione soggettivamente inesistente, in
termini, almeno, di parziale sovrapponibilità.
Allo stesso modo, l’operazione oggettivamente
simulata ai sensi della lett. g-bis dell’art. 1, quale operazione «apparente» posta in essere con la volontà di non
realizzarla, si sovrappone all’operazione oggettivamente
inesistente.
16 In questi termini F. GALGANO, Diritto civile e commerciale, vol.
2, Le obbligazioni e i contratti, tomo I, Obbligazioni in generale. Contratti in generale, 2° ed., Padova, 1993, p. 341. In termini parzialmente difformi R. SACCO (in Trattato di diritto civile, diretto da R.
SACCO, Il contratto, tomo I, 3° ed., Torino, 2004), ad avviso del quale la costruzione del negozio giuridico come volontà ha condizionato, per lungo tempo, la visione della simulazione come contrasto fra
volontà e dichiarazione. Si dovrebbe, invece, puntare l’attenzione
sulla «concezione del negozio simulato come negozio contraddetto da
una controdichiarazione. Il negozio simulato è inoperante non già per
una generica assenza della volontà e degli effetti, ma perché l’esclusione
degli effetti è prevista e regolata nella controdichiarazione»,
17 Così F. GALGANO, Diritto civile e commerciale, cit., p. 342.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Sul versante dell’applicazione concreta, il problema
si sposta sul terreno del rapporto fra fattispecie.
Considerando che le definizioni di operazioni simulate contribuiscono a delineare l’ambito di applicazione
dell’art. 3 d. lgs. n. 74 del 2000, ci si deve in altri termini chiedere quale sia la sorte dei rapporti fra l’art. 3 e
l’art. 2, atteso che in taluni casi, particolarmente per le
operazioni soggettivamente inesistenti sub specie di
interposizione fittizia, si riscontra una perfetta sovrapposizione fra l’area applicativa delle due norme incriminatrici.
In presenza, insomma, di un’interposizione di persona – che dà luogo, pacificamente, ad un’operazione soggettivamente inesistente – si deve stabilire se, con l’entrata in vigore della riforma, si configuri il delitto di cui
all’art. 3 ovvero quello di cui all’art. 2.
Il problema risulta, poi, complicato dal fatto che il
Legislatore non ha modificato le disposizioni di cui agli
artt. 1, lett. a) e 2 decreto n. 74, a voler ribadire che i
delitti di cui agli artt. 2 e 3 decreto n. 74 devono, pur
dopo l’entrata in vigore della riforma, coesistere: ed
anzi, presente il primo, il secondo non può realizzarsi,
stante la clausola di riserva che compare in apertura
dell’art. 318.
Se, infatti, il Legislatore avesse voluto di fatto abrogare, anche parzialmente, la fattispecie di cui all’art. 2,
lo avrebbe dovuto fare espressamente, senza riservare
un’opzione di così rilevante impatto alla sola, pur significativa, opera degli interpreti.
Ci si deve chiedere se ogni operazione inesistente –
come definita dalla lettera a) dell’art. 1, sia essa oggettiva o soggettiva – costituisca, allo stesso tempo, un’operazione simulata, ai sensi dell’art. 1, lett. g-bis).
A noi pare, per anticipare le conclusioni cui perverremo, che così non sia19, e che si possa pervenire ad un’interpretazione che consente di far coesistere la fattispecie
di cui all’art. 2 e quella, novellata, di cui all’art. 3.
Occorre infatti considerare che in materia di fatture
per operazioni inesistenti si assiste ad un diverso, e per
certi versi opposto, approccio all’interpretazione.
18 Si veda sul punto la Relazione dell’Ufficio del Massimario della
Corte di Cassazione, 28.10.2015, p. 5: «l’introduzione della categoria
della simulazione pone evidenti problemi di coordinamento, nella misura in cui non è semplice stabilire se vi sia o meno coincidenza fra le
operazioni “inesistenti” documentate in fatture e di cui alla lettera a)
dell’art. 1 del d. lgs. 74/2000 (rimasta invariata) (…) e le operazioni
“simulate”, ossia “quelle poste in essere con la volontà di non realizzarle
in tutto o in parte ovvero le operazioni riferite a soggetti fittiziamente
interposti” di cui alla nuova lettera g-ter) dell’articolo medesimo».
19 Concorda A. PERINI, La nuova giustizia penale tributaria, cit.,
p. 237; G. GAMBOGI, La riforma dei reati tributari, cit., p. 52 s.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
La giurisprudenza insiste sul principio in forza del
quale l’operazione è inesistente in tutti i casi in cui si
riscontri divergenza fra l’operazione commerciale e la
sua rappresentazione documentale in fattura20; in dottrina esistono posizioni più sfumate21, secondo le quali,
essendo pacifico che in ipotesi di difformità fra la ‘realtà’ dell’operazione e la sua rappresentazione l’operazione debba essere qualificata come inesistente, in ipotesi,
invece, di cosiddetta inesistenza giuridica, l’operazione
non può essere considerata inesistente, in quanto, a prescindere dalla qualificazione giuridica che le venga attribuita in fattura, esiste comunque un sostrato effettuale,
che non può essere definito inesistente22.
La materia delle operazioni simulate, invece, è stata
modellata sulle nozioni civilistiche della simulazione:
con un approccio puramente normativo, dunque.
Si può allora cercare di arrivare ad un punto di
sintesi.
Nelle ipotesi di inesistenza materiale dell’operazione,
non può parlarsi di simulazione. Nell’inesistenza materiale non v’è nulla, nemmeno divergenza fra volontà e
dichiarazione: semplicemente, non esiste l’operazione
sottostante. Queste ipotesi debbono essere ricondotte
alla tipologia delle operazioni inesistenti, definite dall’art. 1, lett. a), e ricondotte nell’alveo dell’art. 2, in ipotesi di utilizzo in dichiarazione degli elementi passivi fittizi oggetto delle fatture che li documentino.
Nelle ipotesi di inesistenza giuridica, invece, si assiste ad un tipico caso di simulazione, anche in senso civilistico, sicché si dovrà applicare la definizione di cui alla
lettera g-bis) dell’art. 1: le parti realizzano un’operazione, ma ne documentano un’altra.
20 Giurisprudenza pacifica: cfr., da ultimo, Cass., sez. III pen.,
1.7.2013, n. 28352: «il reato di dichiarazione fraudolenta mediante
utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 D.Lgs. n. 74
del 2000) sussiste sia nell’ipotesi di inesistenza oggettiva dell’operazione
(ovvero quando la stessa non sia mai stata posta in essere nella realtà),
sia in quella di inesistenza relativa (ovvero quando l’operazione vi è stata, ma per quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura) sia, infine,
nel caso di sovrafatturazione “qualitativa” (ovvero quando la fattura attesti la cessione di beni e/o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli
forniti), in quanto oggetto della repressione penale è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale. (Fattispecie relativa ad utilizzazione di fatture relative al trasporto di rifiuti
per un quantitativo superiore a quello effettivo)».
21 In materia cfr., anche per un’esauriente panoramica dello stato
dell’interpretazione dottrinale, A. PERINI, Reati tributari, cit., p. 516
ss. Cfr. anche, per l’opinione dottrinaria limitativa della categoria
dell’inesistenza rilevante ai sensi della lett. a) dell’art. 1, E. MUSCO –
F. ARDITO, Diritto penale tributario, cit., p. 116.
22 In termini analoghi G.L. SOANA, I reati tributari, 3ª ed., Milano, 2013, p. 102 s., il quale sottolinea come non tutte le operazioni
inesistenti – ai sensi della lettera a) dell’art. 1 – sottendano una simulazione in senso civilistico.
DOTTRINA
Sul piano applicativo, si può configurare, nella presenza degli ulteriori requisiti della fattispecie, il delitto
di cui all’art. 3 decreto n. 7423.
Anche nelle ipotesi di sovrafatturazione si assiste ad
un tipico caso di simulazione relativa concernente il
prezzo e, pertanto, dovrebbe applicarsi la definizione di
cui alla lettera g-bis) dell’art. 1, e, conseguentemente,
l’art. 324.
Si comprende, allora, per quale (ulteriore) motivo la
lett. g-bis) dell’art. 1 abbia posto una condizione negativa, rispetto alle operazioni che configurino abuso del
diritto.
Mentre l’operazione totalmente o parzialmente inesistente sul piano naturalistico non pone problemi di
rapporto con l’abuso del diritto, in quanto appare evidente in tal caso la violazione di una specifica norma tributaria, quale l’art. 21 d.p.r. n. 633 del 197225, nel caso
di inesistenza giuridica, ossia di operazione esistente,
ma qualificata in modo diverso da quello che appare
giuridicamente appropriato, la linea di confine diviene
molto più labile.
Infatti, l’art. 10-bis, comma 2, della legge n. 212 del
2000, nel definire le operazioni – costituenti abuso del
diritto – prive di sostanza economica, menziona quali
«indici di mancanza di sostanza economica, in particolare,
la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non
conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato».
Per converso, nei casi di inesistenza giuridica, se
nella pratica non si assiste di regola alla formazione di
una controdichiarazione (che invece, per definizione, è
certamente assente nelle ipotesi di inesistenza materiale
delle operazioni punita dall’art. 2, ai sensi dell’art. 1,
lett. a), certamente si assiste, invece, ad una problematica giuridica di tipo qualificatorio, che attiene all’esatta
23 Pensiamo al noto caso deciso da Cass., sez. III pen., 3.4.2008,
n. 13975, in Riv. dir. trib., 2008, III, p. 109: fatture attestanti acconti su forniture, che dissimulavano finanziamenti infragruppo, ritenute emesse a fronte di operazioni insistenti. Nello stesso senso
Cass., sez. III, 26.9.2012, n. 38754.
24 Per la riconducibilità delle ipotesi di simulazione relativa al delitto di cui all’art. 2 d. lgs. n. 74 del 2000 cfr. R. PISANO, in A. DI
AMATO – R. PISANO, I reati tributari, in Trattato di diritto penale
dell’impresa, cit., p. 408 s.
25 L’art. 21 d.p.r. n. 633 del 1972 non vieta espressamente di
emettere fattura per operazioni inesistenti. Ma è evidente, a nostro
avviso, che, nel momento in cui impone di indicare in essa quantità
e qualità del servizio prestato o del bene ceduto, presuppone che il
servizio od il bene esistano. Rapporto di presupposizione che diviene palese nel settimo comma dell’art. 21 che, non a caso, menziona
le fatture per operazioni inesistenti.
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DOTTRINA
descrizione dell’operazione, nella fattura o nel documento equiparato, dal punto di vista normativo26.
Quanto all’inesistenza soggettiva, poi, occorrerà
ulteriormente distinguere: nei casi di interposizione
fittizia (si pensi alle note frodi iva, nella quali si riscontra effettivamente l’istituzione di un interposto ad
opera di un interponente, spesso reale beneficiario
economico della frode), stando alla definizione fornita
dalla lettera g-bis) dell’art. 1, pare non esservi dubbio
che l’operazione debba essere definita come «simulata», anche in senso civilistico, con conseguente applicazione dell’art. 327.
Nei casi, invece, nei quali si riscontri semplicemente
la falsa indicazione del cessionario o del committente,
non si ravvisa un fenomeno di interposizione, trattandosi di rapporto bilaterale, sicché l’operazione potrà
essere ricondotta alla lettera a) dell’art. 1, con conseguente applicazione dell’art. 228.
È stato autorevolmente sostenuto, nei primi commenti alla riforma29, che «non pare così scontata l’ipotesi
– prospettata nelle prime osservazioni allo schema di decreto – secondo cui, per effetto del formale riferimento al compimento di “operazioni simulate (anche) soggettivamente”,
il legislatore abbia inteso riattrarre nell’orbita applicativa dell’art. 3 anche le situazioni testé evidenziate».
Per concludere, risolvendo la questione interpretativa, che «non pare irragionevole – secondo una valutazione
suscettibile di essere estesa anche alla simulazione oggettiva
– la diversificazione delle situazioni in dipendenza della
esistenza, nell’art. 2, della copertura cartolare offerta dalla
fattura (art. 2) rispetto al compimento di operazioni simulate prive di tale riscontro (art. 3)»30.
26 Condividiamo, quindi, l’argomentata opinione di S. CAVALLIOsservazioni “di prima lettura” allo schema di decreto legislativo in
materia penaltributaria, in Diritto penale contemporaneo, 2015, p. 6.
Per le prime riflessioni sul punto cfr. altresì L. IMPERATO, Modifiche
alle definizioni generali nel diritto penale tributario, in il fisco, 2015,
n. 31, p. 3035 ss.
27 Si tratterebbe, allora, di un ulteriore passo avanti nella linea
interpretativa inaugurata dalla sentenza Cavalli (Cass., sez. III pen.,
23.1.2009, n. 3203), sul filo della distinzione del trattamento penalistico da riservare ai fini iva ed ai fini delle imposte sui redditi alle
operazioni soggettivamente inesistenti, con definitivo allontanamento dall’orbita applicativa dell’art. 2 d. lgs. n. 74 del 2000. Nello
stesso senso, Cass., sez. III pen., 16.3.2010, n. 10394.
28 Tizio intende acquistare un bene od un servizio; lo fa acquistare dalla Tizio s.p.a., che deduce il costo e detrae l’iva. Non v’è interposizione della società fra Tizio ed il cedente od il prestatore (sul presupposto che sia la società a corrispondere il prezzo).
29 Cfr. la Relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di
Cassazione, 28.10.2015, p. 17.
30 Cfr. la Relazione, cit., loco cit.
NI,
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
La motivazione di questa interessante presa di posizione viene riferita alla necessità di non turbare la
repressione dell’inesistenza soggettiva in ambito iva che,
secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, non
dipende dall’addebito in rivalsa dell’imposta, ma,
soprattutto, dalla ricorrenza delle condizioni normative
che riguardano l’elemento oggettivo e soggettivo di
applicazione dell’imposta. Pertanto, l’inesistenza soggettiva, se pur consente l’addebito in via di rivalsa dall’emittente la fattura, non deve costituire strumento per
creare le premesse per un rimborso dell’imposta al quale
non si ha invece diritto.
Una preoccupazione, quindi, di tenuta del sistema.
A noi non pare che questo rischio si ponga.
Anzitutto, sul piano generale, per l’esigenza che la
recentissima sentenza sul caso Dolce e Gabbana31 ha
sottolineato con vigore e sapienza, osservando che «il
diritto penale tributario si caratterizza per la sua specialità
che gli deriva dalla particolare materia che ne costituisce
l’oggetto, ma resta pur sempre diritto penale, diritto cioè
dei comportamenti ritenuti lesivi di beni giuridici o di
valori ad essi preesistenti, non diritto degli atti o degli interessi regolati dalle norme tributarie e certamente non dell’obbligazione tributaria» (par. 14.1.).
Ed ancora: «al legislatore penale tributario non sta a
cuore il recupero del gettito fiscale evaso, né il corretto
adempimento dell’obbligazione tributaria, ma esclusivamente la rieducazione dell’autore della lesione del bene
giuridico protetto, che costituisce lo scopo essenziale della
sanzione penale» (par. 14.4.).
Per sottolineare un punto essenziale nella discussione circa la rilevanza penale dell’elusione fiscale: «il
disvalore espresso dalla condotta penalmente sanzionata,
dunque, deve essere individuato esclusivamente all’interno
della norma che la descrive che deve essere a sua volta
applicata in conformità ai principi di stretta legalità, tassatività e determinatezza che governano l’interpretazione
della legge penale, rifuggendo pertanto dalle sempre possibili suggestioni che il comune oggetto della materia trattata
può comportare e che possono determinare il rischio sia di
non ammesse interpretazioni analogiche che di scorciatoie
probatorie volte ad attrarre nella fattispecie penale la pura
e semplice constatazione dell’inadempimento dell’obbligo
tributario che la norma stessa non ritiene sufficiente ai fini
della punibilità dell’autore» (par. 14.6.).
31 Cass.,
sez. III pen., 24.10.2014 – 30.10.2015, n. 43809 (con
nota di L. IMPERATO, La sentenza “Dolce e Gabbana” (ri)afferma il
primato del diritto penale sul diritto tributario, in il fisco, 2016, n. 2,
p. 139 ss.).
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
La norma penale tributaria deve essere interpretata
in sé e per sé considerata, senza avere riguardo alle esigenze erariali.
In secondo luogo, l’incrinatura che si potrebbe arrecare al sistema punitivo in ambito iva, seguendo la tesi
da noi patrocinata, si potrebbe porre, in astratto, soltanto per l’interposizione fittizia, e non anche per le falsità
soggettive in fattura, che resterebbero disciplinate dall’art. 2 d. lgs. n. 74 del 2000.
Infine, riteniamo che la disciplina iva non consenta
la detrazione al cessionario od al committente in caso di
interposizione fittizia, in quanto non si troverebbero,
come richiede l’art. 19 d.p.r. n. 633 del 1972, assoggettati alla rivalsa addebitata in relazione ai servizi importati od acquistati dall’emittente la fattura, mero interposto fittizio, il quale, in questa costruzione, non avrebbe
venduto alcun bene o prestato alcun servizio.
La giurisprudenza tributaria è consolidata nel senso
di escludere la detrazione dell’iva, qualora un soggetto
passivo iva abbia saputo, od avrebbe dovuto sapere,
esercitando la diligenza media della sua condizione, di
essere coinvolto in una frode iva, ovvero in un’interposizione fittizia di soggetti, od in una serie di interposizioni fittizie di soggetti32.
32 Cfr.,
limitandoci alle sentenze più recenti del Supremo Consesso italiano, che muove comunque da premesse argomentative
della Corte di Giustizia, Cass., sez. V civ., sent. 30.9.2015, n. 19419
«in materia di I.V.A., nell’ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti, il contribuente non può richiedere la detrazione dell’imposta versata a soggetto diverso dal cedente/prestatore, che abbia comunque emesso fattura, in presenza di elementi oggettivi che inducano ad escludere la
buona fede del committente/cessionario, intesa come consapevolezza di
partecipare con il proprio acquisto ad un illecito fiscale»; Cass., sez. V
civ., sent. 27.5.2015, n. 10939 «In tema d’IVA, il destinatario della
fattura emessa per un’operazione inesistente, non è legittimato a detrarre
l’imposta a meno che non sia ripristinata, con la procedura di variazione, la corrispondenza tra rappresentazione cartolare e reale operazione
economica, restando salva, in ogni caso, la sua buona fede ove dimostri
di avere adempiuto a tutti gli obblighi formali e di diligenza richiesti ad
un operatore del settore e di essere stato nell’oggettiva impossibilità di conoscere l’eventuale frode»; Cass., sez. VI civ., ord. 12.5.2015, n. 9546
«In tema di fatturazione per operazione soggettivamente inesistente, risolventesi nella diretta acquisizione della prestazione da soggetto diverso
da quello che ha emesso fattura e percepito l’IVA in rivalsa, la prova che
la prestazione medesima non è stata effettivamente resa dal fatturante
(in quanto sfornito di dotazione personale e strumentale adeguata alla
sua esecuzione) costituisce, di per sé, idoneo elemento sintomatico dell’assenza di “buona fede” del contribuente, poiché l’immediatezza dei
rapporti (cedente o prestatore - fatturante - cessionario o committente)
induce ragionevolmente ad escluderne l’ignoranza incolpevole circa l’avvenuto versamento dell’IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa, né
assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta. Ne consegue che, in
tal caso, sarà il contribuente a dover provare di non essere a conoscenza
del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il
fatturante, ma altri, dovendosi altrimenti negare il diritto alla detrazio-
DOTTRINA
Riteniamo che anche in tal caso l’iva addebitata in
fattura in caso di interposizione sia indetraibile: sempre
che questa debba essere una ragione necessaria per affermare una certa interpretazione della norma penale tributaria.
Anche in dottrina33 si è osservato che il meccanismo
della detrazione dell’iva addebitata in rivalsa – necessario ad assicurare neutralità all’imposta – è impedito
qualora ricorrano «situazioni fraudolente o abusive»,
come insegnato dalla Corte di Giustizia dalla fine degli
anni novanta del secolo scorso34.
ne dell’IVA versata»; Cass., sez. V civ., sent. 24.9.2014, n. 20059 «In
tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la
fatturazione attenga ad operazioni (solo) soggettivamente inesistenti e
neghi il diritto del contribuente a portare in detrazione la relativa imposta, deve provare, anche in via indiziaria, che la prestazione non è
stata resa dal fatturante, spettando, poi, al contribuente l’onere di dimostrare, anche in via alternativa, di non essersi trovato nella situazione
giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse
tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta, di non essere stato in grado di superare l’ignoranza del carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti coinvolti. Né, a tal
fine, è sufficiente dedurre che la merce sia stata consegnata e rivenduta e
la fattura, IVA compresa, effettivamente pagata, poiché trattasi di circostanze pienamente compatibili con la frode fiscale perpetrata mediante
un’operazione soggettivamente inesistente».
33 A. PACE, in L’imposta sul valore aggiunto, a cura di F. TESAURO,
Torino, 2001, p. 312.
34 In tempi più recenti si deve ricordare la sentenza CCGE, 6 luglio 2006, cause C-439/04 e C-440/04, Axel Kittel e Recolta Recycling SPRL, in www.eurlex.eu. In questa scia, si veda Cass., sez. V
civ., 25.10.2006, n. 22882: «posto che, per quanto rilevato in precedenza, la mancata rispondenza di effettive operazioni alle fatture emesse
da Silver Moon e Azeta nei confronti di Comep risulta accertata dal
giudice del merito con valutazione non sindacabile in questa sede, in
proposito, va rilevato che l’indetraibilità dell’I.V.A. figurante sulle predette fatture costituisce conseguenza all’accertata fattuale inesistenza degli scambi, che i menzionati documenti fiscali attestano (solo) cartaceamente. In ipotesi di operazioni inesistenti, non si realizza, infatti, l’ordinario presupposto impositivo né la configurabilità stessa di un “pagamento a titolo di rivalsa” né i presupposti del diritto alla detrazione di
cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 12, comma 1. E, d’altro canto (cfr.
Cass., 12353/05, 13605/03, 7289/02, 6341/02), la previsione del
menzionato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7 - se, per un verso, viene, direttamente, ad incidere sul soggetto emittente la fattura, costituendolo debitore d’imposta (pur in assenza del suo ordinario presupposto) sulla base dell’applicazione del solo principio di cartolarità - per
l’altro, viene, indirettamente, ad incidere anche sul destinatario della
fattura, confermandone, in combinato disposto con il D.P.R. n. 633 del
1972, art. 19, comma 1, e art. 26, comma 3, la preclusione ad esercitare il diritto alla detrazione o alla variazione dell’imposta, in assenza del
relativo presupposto (acquisto o importazione di beni e servizi nell’esercizio dell’impresa, arte o professione)». Cfr. in materia G. Moschetti,
Diritto tributario europeo, Padova, 2015, p. 400 ss.
55
56
DOTTRINA
Quindi, riassumendo, l’operazione simulata oggettivamente o soggettivamente ricomprende queste ipotesi:
- il fenomeno della sovrafatturazione, invece,
rappresenta tipica ipotesi di simulazione relativa concernente il prezzo, che deve essere ricondotta alla lett. g-bis) dell’art. 1, provocando
responsabilità ai sensi dell’art. 3
- l’inesistenza giuridica – ossia il fenomeno dell’operazione naturalisticamente esistente, ma
qualificata in modo difforme da quello corretto
– deve essere ricondotta alla lettera g-bis) dell’art. 1, in quanto in questa ipotesi si assiste ad
un’operazione apparente, posta in essere con la
volontà di non realizzarla, in tutto o in parte
(come recita il tenore della disposizione della
lett. g-bis), mentre il soggetto ne ha voluto realizzare una diversa, così richiamando l’istituto
della simulazione oggettiva (così realizzandosi il
delitto di cui all’art. 3, nel concorso di tutti gli
elementi della fattispecie)
- l’interposizione fittizia di persona, quale tipica
ipotesi di simulazione soggettiva, fra l’altro
espressamente richiamata dalla lett. g-bis)
dell’art. 1, deve essere ricondotta alla definizione di operazione soggettivamente simulata
(e, quindi, all’area applicativa dell’art. 3)35.
Questa ricostruzione non esclude che possa darsi il
caso di operazioni oggettivamente simulate che prescindano dal rapporto di interferenza rispetto alle operazioni inesistenti.
Pensiamo al caso36 dell’apposita costituzione di una
accomandita semplice, alla quale era stato conferito, per
un prezzo vile, il ramo di azienda avente ad oggetto
lavori relativi ad un contratto di appalto per il quale era
stato pattuito un prezzo milionario. Società in accomandita che, dopo soli otto mesi, era stata sciolta, senza
distribuzione di attivo.
35 Riguardato nell’ottica della nuova disposizione, potrebbe
rientrare in un caso di interposizione fittizia riportabile all’art. 3 la
fattispecie scrutinata da Cass., sez. I pen., 25.10.2013, n. 43899,
nella quale i ‘mezzi fraudolenti’ erano stati ravvisati nell’«essersi avvalsi di società e trust istituiti all’estero, emittenti titoli non negoziabili
al di fuori del rapporto specifico; nella conforme esposizione non veritiera di tali elementi, dapprima nelle dichiarazioni dei redditi presentate
individualmente dalle singole società del gruppo, quindi in quella consolidata, presentata dalla capogruppo Unicredit s.p.a., con la conseguente fraudolenta determinazione dell’imponibile, sottrazione di elementi
attivi e liquidazione dell’imposta in misura inferiore al dovuto per gli
importi complessivi e parziali, analiticamente individuati dall’ufficio
requirente».
36 Trattato da Cass., sez. III pen., 16.1.2012, n. 1200.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Può sostenersi che la costituzione della società in
accomandita, per la nuova norma, costituisca un’operazione apparente, posta in essere con la volontà di non
realizzarla, essendo stata utilizzata, la nuova società,
quale mero recettore del ricavo milionario, peraltro
occultato al Fisco, grazie allo scioglimento della società
senza distribuzione di attivo ai soci.
Come abbiamo avvisato, ci pare molto meno appagante l’alternativa interpretativa che pure abbiamo prospettato, che si limita a considerare che, in un’operazione, un soggetto abbia fatto uso di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti, per predicare, per questo solo motivo, il delitto di cui all’art. 2.
Questa alternativa, che pur consentirebbe di tracciare una linea chiara e definita fra le fattispecie che possono venire in considerazione, è così netta da cancellare,
allo stesso tempo, l’innovazione evidente, rappresentata
dall’introduzione del disposto della lett. g-bis) nell’art. 1
del decreto n. 74.
Con tutte le perplessità del caso, dunque, ribadiamo
che la prima interpretazione, frastagliata e difficoltosa,
che propone un’integrazione fra le fattispecie di cui agli
artt. 2 e 3, deve essere privilegiata.
Non ne nascondiamo le conseguenze, tali da porre
in crisi una tradizione orami consolidata, anzitutto sul
piano dei titoli di responsabilità ascrivibili ai partecipanti alle operazioni che abbiamo descritto.
Infatti, qualora si ritenga di differenziare i titoli di
responsabilità, distinguendo, a seconda dei casi, fra l’intervento dell’art. 2 o dell’art. 3, non potrebbe operare,
nel caso in cui si intenda applicare l’art. 3, la norma
derogatoria prevista dall’art. 9, che esclude il concorso
fra il responsabile del delitto di cui all’art. 2 ed il
responsabile del delitto di cui all’art. 837.
Peraltro, non ci pare conclusivo – quanto al problema della differenziazione fra i due titoli di responsabilità - il riferimento operato da attenta dottrina38, secondo
la quale i problemi derivanti dalla possibile sovrapposizione delle due norme incriminatrici sarebbero sempre
e comunque risolti dalla clausola di riserva contenuta in
apertura dell’art. 3, in forza della quale l’art. 2, ove sussistente, prevarrebbe.
Infatti, ci sembra che si debba prima stabilire – alla luce
della riforma – quali condotte possano essere tuttora punite
dall’art. 2 e quali dall’art. 3 e, solo in un secondo momento,
far operare la clausola di riserva in favore dell’art. 2.
37 Per ulteriori approfondimenti sul punto, ci permettiamo rinviare a L. IMPERATO, I nuovi reati tributari, a cura di I. CARACCIOLI,
Milano, 2016, p. 78 ss.
38 A. PERINI, La nuova giustizia penale tributaria, cit., p. 237.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
6.
La definizione dei «mezzi fraudolenti» (lett. g-ter)
dell’art. 1)
Resta da esaminare la lettera g-ter) dell’art. 1, che
definisce i «mezzi fraudolenti», ulteriore innovazione
della riforma: da salutare con favore39.
Tali sono definite le condotte artificiose attive, nonché le condotte omissive, in violazione di uno specifico
obbligo giuridico, a condizione che determinino una
falsa rappresentazione della realtà.
Anche questa definizione, al momento, è volta a
descrivere, come la precedente, un segmento della condotta alternativa del delitto di cui all’art. 3 decreto n. 74.
La riforma è opportuna, come si accennava, in quanto, a differenza che nel passato, viene espressamente
definito il minimum necessario per aversi mezzo fraudolento e, in questo contesto, si richiedono condotte «artificiose» attive, ovvero condotte omissive rilevanti, in
quanto violatrici di un obbligo giuridico.
Si è voluto contrassegnare puntualmente la portata
decettiva di siffatti mezzi, richiedendosi espressamente
non soltanto – come in passato, nell’art. 3 – l’idoneità
ad ostacolare l’accertamento, quanto piuttosto il conseguimento di un concreto effetto dissimulatorio, come è
dimostrato dall’utilizzo del verbo all’indicativo: «determinano una falsa rappresentazione della realtà».
Opportunamente, nell’art. 3 si è stabilito che la violazione degli obblighi di fatturazione o di annotazione
nelle scritture contabili o la sola sottofatturazione non
costituiscono mezzi fraudolenti.
Si nota, insomma, una cura particolare nel circoscrivere la portata di questa definizione, attraverso una delimitazione attenta del significato fraudolento che questa
condotta dovrà possedere, in aderenza ad una delle linee
guida della riforma del 2015.
Il contribuente, per adottare mezzi fraudolenti,
dovrà dunque porre in essere un’attività significativamente fraudolenta, adottando comportamenti inequivoci, con inevitabili riflessi anche sul piano del dolo: si
deve trattare di accorgimenti, di inganni, di condotte
elaborate, intrinsecamente fraudolente.
7. La modifica dell’art. 2: l’abrogazione della limitazione della responsabilità alle sole dichiarazioni «annuali»
L’art. 2, comma 1, d. lgs. n. 158 del 2015 è intervenuto sull’art. 2, eliminando l’aggettivo prima in esso
presente, che limitava la responsabilità penale alla condotta realizzata sulle sole dichiarazioni «annuali».
39 Come correttamente osservato da I. CARACCIOLI, Linee generali della revisione del sistema penale tributario, cit.
DOTTRINA
Non si tratta di una norma definitoria ma, per assonanza con rispetto alle modifiche che hanno inciso
sull’art. 1, si ritiene opportuno trattarne in questa sede.
La modifica normativa ha comportato che il fatto
punito dall’art. 2 possa essere commesso anche rispetto
a dichiarazioni presentate in corso d’anno, prime fra
tutte le dichiarazioni straordinarie.
Occorre, peraltro, approfondire meglio quali dichiarazioni possano essere, oggi, interessate dalla riforma del
2015.
Possiamo anticipare che le dichiarazioni infrannuali
che possono costituire oggetto materiale del reato
appartengono all’ambito delle imposte sui redditi e
sono previste per le operazioni straordinarie.
Ricordiamo, sotto questo profilo:
- la dichiarazione che si deve presentare in occasione della fusione, per il periodo che va dall’inizio del periodo di imposta alla data in cui
ha effetto la fusione (art. 5-bis, comma 2, d.p.r.
n. 322 del 1998)
- la dichiarazione che la società designata deve
presentare nel caso di scissione (art. 5-bis,
comma 3, d.p.r. n. 322 del 1998)
- la dichiarazione che deve presentare la società
oggetto di trasformazione, per il periodo che va
dall’inizio del periodo di imposta alla data in
cui ha effetto la trasformazione (art. 5-bis,
comma 1, d.p.r. n. 322 del 1998)
- la dichiarazione che deve essere presentata per il
periodo antecedente alla liquidazione per i soggetti ires (art. 5, comma 1, d.p.r. n. 322 del
1998)
- la dichiarazione da presentare per il periodo che
va dall’inizio del periodo di imposta alla dichiarazione di insolvenza (art. 5, comma 4, d.p.r. n.
322 del 1998).
Per quanto attiene, invece, agli adempimenti previsti
in materia di imposta sul valore aggiunto, riteniamo di
non poter intravedere dichiarazioni non annuali suscettibili di essere prese in considerazione a seguito della
riforma dell’art. 2.
Occorre, ora, occuparsi di una serie di adempimenti
lato sensu dichiarativi imposti, a seconda delle evenienze, al contribuente, onde determinare se possano assumere rilevanza penale ai sensi dell’art. 2 novellato.
La norma definitoria in tema di dichiarazioni non
fornisce alcun contributo specifico sul punto, in quanto
assume la relativa definizione come già preformata
dall’ordinamento tributario.
Ed allora, ci pare che, per individuare una linea
distintiva, si possa fare riferimento all’interpretazione
giurisprudenziale della sezione tributaria della
Suprema Corte, secondo la quale la dichiarazione «non
57
58
DOTTRINA
si configura quale atto negoziale e dispositivo, ma reca una
mera esternazione di scienza o di giudizio, modificabile in
ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e
di valutazione sui dati riferiti, e costituisce un momento
dell’iter procedimentale volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria»40.
L’accento, per quanto interessi la nostra questione
penalistica, riteniamo debba essere posto sul tratto
caratterizzante costituito, dalla diretta e necessaria partecipazione della dichiarazione al procedimento volto
all’accertamento dell’obbligazione tributaria.
Ne consegue, a nostro avviso, che non possano rilevare penalmente, sotto questo aspetto:
- lo “spesometro”, trattandosi anzitutto di una
comunicazione di dati all’Amministrazione e
non di una dichiarazione utile alla liquidazione
dell’imposta; e, soprattutto, non dovendosi in
esso riportare tutte le operazioni poste in essere
dal contribuente (ad esempio, non devono
essere riportate le operazioni per le quali il
pagamento sia stato effettuato con carte bancarie, già oggetto di tracciabilità)
- la comunicazione iva: trattandosi, anche in
questo caso di una comunicazione, attraverso
la quale non si determina l’imposta dovuta;
risulta prevalente il profilo statistico e si tratta,
comunque, di adempimento annuale
40 Cass., sez. trib., sent. 25.5.2016, n. 10790, con ulteriore citazione di riferimenti giurisprudenziali.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
-
-
-
gli elenchi intrastat: pur avendo periodicità
mensile o trimestrale, non rilevano penalmente, trattandosi di meri strumenti di comunicazione. Infatti, eventuali irregolarità vengono
sanzionate, sul piano amministrativo, con una
sola sanzione, a prescindere da quantità e qualità delle irregolarità realizzate
la dichiarazione di volontà di operare intra UE:
si tratta, in questo caso, di una dichiarazione
preventiva, di una dichiarazione di volontà, che
non è suscettibile di recepire gli elementi passivi oggetto dell’art. 2
la comunicazione delle dichiarazioni di intento:
attiene, nuovamente, ad un fatto comunicativo, ed è stata introdotta al fine di scongiurare le
frodi all’iva
la comunicazione di operazioni con i paradisi
fiscali: si possono riproporre le considerazioni
testé formulate
le dichiarazioni di inizio, variazione e cessazione di attività: anche in tal caso, si tratta di
adempimenti utili a comunicare all’Agenzia
delle Entrate atti di volontà del contribuente,
ovvero la variazione di dati in precedenza
comunicati41.
41 Concorde G.L. SOANA, I reati tributari, cit., p. 21.
DOTTRINA
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Omessa dichiarazione, “esterovestizione”,
nuovo concetto di “inesistenza”:
riflessi internazionali della riforma
di Ivo Caraccioli
1. L’incidenza della riforma dei reati tributari di cui al
D.Lgs. 158/2015 in materia di “esterovestizione”.
Com’è noto, la riforma dei reati tributari di cui al
D.Lgs. 74/2000, apportata dal D.Lgs. 158/2015, ha, da
un lato, inciso in maniera profonda sulla fattispecie di
“dichiarazione infedele” punita dall’art. 4 – che si è voluta
mantenere,malgrado dal testo dell’art. 8 della Legge
Delega 23/2014 si potesse desumere la volontà del
Parlamento di limitare il rischio penale alle sole condotte
di vera e propria frode – mentre, per quanto riguarda
l’”omessa dichiarazione” di cui all’art. 5, si è limitata ai
seguenti due aspetti: aumento della soglia quantitativa di
punibilità e previsione del reato anche per la dichiarazione
di sostituto di imposta1.
E’ parimenti noto che la fattispecie da ultimo
citata,storicamente nata per combattere gli “evasori totali”, è divenuta negli ultimi anni di primaria rilevanza a
causa della sua frequente applicazione in relazione ad
importanti operazioni di fiscalità internazionale, quali la
“esterovestizione”, le “stabili organizzazioni occulte o plurime” e simili.
In conseguenza di ciò accade frequentemente che i
verificatori, in ipotesi di imprese (ritenute fittiziamente)
allocate all’estero, presentino alla Procura della
Repubblica la denunzia per il reato di cui all’art. 5 cit. per
omessa presentazione in Italia delle dichiarazioni redditi
ed IVA, a nulla rilevando che tali atti siano stati compiuti
1 Sulle
principali innovazioni apportate all’art.4 D.Lgs.74/2000
dal D.Lgs.158/2015 v., tra gli altri, l’opera collettanea I nuovi reati
tributari. Commento al d.lgs.24 settembre 2015 n.158,2016, e specialmente gli scritti di CARACCIOLI, ivi, p.111 s.; CARTONI,
ivi,p.13 ss.; COMUZZI, ivi, p.152 ss.; PERINI, ivi, p.124 ss.; PICCIOLI, ivi,p.185 ss.; RAVA, ivi, p.27.V.anche CORUCCI, Il delitto di dichiarazione infedele,in GIARDA-PERINI-VARRASO, La
nuova giustizia penale tributaria. I reati.Il processo,2016,p.281 ss.;
GAMBOGI, La riforma dei reati tributari. Commento al d.lgs.24
settembre 2015 n.158, 2016, p.82 ss. ; IORIO, I nuovi reati tributari, 2^ed., 2015,p. 24 ss.; LOCONTE, I reati in materia di dichiarazione, in La riforma delle sanzioni tributarie, 2015, p.47 ss.; NOCERINO, in NOCERINO-PUTINATI,La riforma dei reati tributari. Le novità del d.lgs.n.158/2015,2015, p.77 ss.
all’estero nel Paese di residenza della società. Denunzia –
va notato – teoricamente coinvolgente anche gli amministratori della società (fittiziamente) straniera che si sono
“prestati” a tale operazione,anche se le inevitabili complicazioni dovute alle necessarie rogatorie internazionali
hanno in pochissimi casi portato all’effettiva incriminazione di tali soggetti.
Ciò premesso in linea generale, appare interessante
chiedersi in questo scritto (dedicato al novantennio di
una prestigiosa rivista,a cui ho avuto l’onore di collaborare sin dall’inizio degli anni ’70 del secolo scorso, sotto
la guida del Maestro prof. Victor Uckmar e con l’amichevole aiuto del Collega prof. Gianni Marongiu) se ed
in che limiti l’intervenuta, profonda modifica dell’art. 4
cit. possa in qualche modo influire sull’applicazione
dell’art. 5 cit., essendovi dei punti di contatto tra le due
fattispecie criminose di indubbio rilievo scientifico e
professionale.
Il punto da approfondire è, in particolare, il seguente. Partendo dal punto di vista che la riforma dell’art. 4
ha inserito una serie di criteri nuovi per la determinazione del contenuto,penalmente rilevante, della sottrazione di materia imponibile al Fisco in condotte prive
di connotati frodatori (in ciò ravvisandosi la differenza
dalle figure delittuose di cui agli artt. 2 e 3 stesso
D.Lgs.), occorre chiedersi se dei (nuovi) criteri stessi
debba,oppure no,tenersi conto nella ricostruzione dell’entità di evasione rilevante in base all’art. 5.
La risposta a tale quesito non può che essere negativa
per quanto concerne i nuovi c. 1-bis e 1-ter dell’art. 4,
dato che il primo ha un’applicazione ristretta alla sola
“dichiarazione infedele”,come si desume dall’inciso “ai
fini dell’applicazione della disposizione del c. 1”; e,
quanto al secondo, l’espresso riferimento al c. 1-bis,
rende interpretabile il c. 1-ter come anch’esso applicabile alla sola fattispecie di cui all’art. 4.
Diversa, a mio sommesso parere, sembra poter essere
l’estensibilità (ancorchè problematica) anche all’art. 5
dell’inciso – inserito all’ultimo momento dal Legislatore
per ribadire concetti peraltro già espressi – di cui alla
lett.d) dell’art. 4, secondo il quale “la parola fittizi, ovunque presente, è sostituita dalla seguente: inesistenti”.
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DOTTRINA
E’ vero, infatti, che siamo all’interno della disciplina
della dichiarazione infedele, ed è anche vero che nell’art.
5 la parola”inesistenti” non figura, ma a noi pare che a
tale estensione possa comunque pervenirsi attraverso
un’interpretazione, appunto, ”estensiva” (od, al massimo, analogica) della citata lett.d).
Prima di indicare le ragioni che possono (o dovrebbero) condurre a tale conclusione merita, peraltro,
richiamare le conseguenze – indiscutibilmente negative
– che discenderebbero se la citata lett.d) fosse ritenuta
non applicabile alla fattispecie dell’art. 5 cit.
Ne deriverebbe, appunto, che per la ricostruzione
del superamento della soglia quantitativa di punibilità
della dichiarazione omessa si potrebbe fare questione
della necessità di computare anche quei dati quantitativi di cui ora non si deve più tener conto per la dichiarazione infedele, ossia gli elementi passivi dei quali sia
discussa la competenza, l’inerenza,la deducibilità (come
appunto per la dichiarazione infedele avveniva prima
della riforma), nonchè le valutazioni superiori al dieci
per cento. Occorrerebbe, cioè, computare nella soglia
quantitativa della dichiarazione omessa anche questi
elementi di cui espressamente l’art. 4 afferma che non si
deve tener conto, ma solo, invece, degli elementi passivi oggettivi, reali, non in quanto fiscalmente valutabili.
Il risultato sarebbe quindi che per le imprese (valutate fittiziamente) collocate in altri Paesi e come tali
considerate “esterovestite” il giudice penale potrebbe
ancora ritenere superata la soglia di punibilità sulla
base, ad es., di costi effettivamente sostenuti,ma ritenuti
dai verificatori non di competenza, non inerenti, non
sufficientemente documentati, oppure per altre consimili ragioni di natura strettamente valutativa in base a
problematiche di puro diritto tributario, per le quali –
ripetesi – la riforma dell’art. 4 esclude la rilevanza penalistica, demandandone l’esame ai soli organi del contenzioso fiscale.
Ciò premesso, e procedendo ad una lettura puramente “letterale” della nuova lettera d), se ne dovrebbe
desumere che essa si può solo applicare a quelle fattispecie criminose nelle quali si rinviene la parola “fittizi”.
Tale parola la si ritrova nell’art. 2 (Dichiarazione
fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti
per operazioni inesistenti) – che è fattispecie estesa dalla
riforma a tutte le dichiarazioni,non solo a quelle annuali – e nell’art. 3 (Dichiarazione mediante altri artifici),
che è invece fattispecie profondamente ristrutturata
dalla riforma.
L’efficacia della lett.d) non trova, invece, modo di
dover essere utilizzata per l’art. 8 (Emissione di fatture
o altri documenti per operazioni inesistenti), dato che
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
appunto, sia nella rubrica che nel testo, già in ordine a
tale reato viene usato l’aggettivo “inesistenti”.
Ulteriore fattispecie nella quale viene usato l’aggettivo “fittizi” – da intendersi quindi come “inesistenti” – è
quella di cui al c. 2 dell’art. 11 (Sottrazione fraudolenta
al pagamento di imposte),relativa alla procedura di
“transazione fiscale”, introdotta con L. 122/2010).
2. Le ragioni dell’interpretazione estensiva
Alla stregua di tutte le considerazioni che precedono
occorre allora chiedersi sulla base di quali ragioni interpretative possa (e/o debba) estendersi all’art. 5 la disposizione di cui alla citata lett.d) dell’art. 4.
Pur non figurando, ripetesi, nell’art. 5 la parola “fittizi”, a noi pare che tale estensione debba compiersi in
forza del canone dell’”interpretazione estensiva”, in tal
caso da ritenersi applicabile in quanto la condotta di
“omessa dichiarazione”, per quanto concerne i suoi elementi costitutivi, è stata dal Legislatore delineata con
riferimento agli stessi elementi costitutivi della fattispecie di “dichiarazione infedele”, e precisamente:
nell’art. 4 si parla di “una delle dichiarazioni annuali
relative a dette imposte”; nell’art. 5 parimenti di “una
delle dichiarazioni relative a dette imposte”;
in entrambe le fattispecie figura lo stesso dolo specifico: “al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto”; soglia quantitativa di punibilità in
entrambe le fattispecie descritta con la formula “al fine
di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto”.
E’ chiaro, cioè, che il Legislatore sta parlando della
stessa situazione fattuale e giuridica, in un caso esaminata sotto il profilo del contenuto delle dichiarazioni
presentate,nell’altro delle dichiarazioni omesse; e questo
è, appunto, un argomento sistematico per potersi ritenere legittima l’operazione di interpretazione estensiva.
Operazione estensiva, peraltro, che risulta essere “in
bonam partem”, e quindi come tale non suscettibile di
creare ostacoli per quanto attiene alla sua ammissibilità
dal punto di vista dei principi costituzionali.
Sotto il profilo dei principi generali di interpretazione2
si potrebbe discutere se in un caso del genere siamo in
presenza di interpretazione estensiva o di vera e propria
estensione analogica,ma tratterebbesi di questione di
pura rilevanza teorico-sistematica,come tale da lasciare
agli specialisti dell’interpretazione delle norme giuridi2 V., per tutti, anche per ampie citazioni dottrinarie, VASSALLI,
Analogia nel diritto penale , in Digesto Discipline penalistiche, vol.
I, 4^ Ed., 1987, p. 158
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
che in generale,e comunque,per quanto qui specificamente interessa, le conclusioni – sia che si acceda
all’una od all’altra tesi – non muterebbero,trattandosi
appunto di applicazione della norma (in questo caso
dell’art. 4) “in bonam partem” nei confronti dell’esegesi
di altra norma (in questo caso dell’art. 5).
Se quanto precede è esatto sotto il profilo generale
delle regole interpretative chiediamoci allora, arrivati a
questa conclusione, quali sarebbero le conseguenze pratiche ove si ritenesse, in ipotesi, che per l’interpretazione degli elementi costitutivi della fattispecie dell’art. 5
non si dovesse tener conto della regola “fittizietà equivale ad inesistenza”.
Le conseguenze di siffatta impostazione sarebbero,
invero, quanto mai curiose ed inaccettabili da un punto
di vista di equità sostanziale, dato che l’art. 5 potrebbe
applicarsi anche se la soglia di punibilità sia raggiunta
tenendo conto di elementi passivi fittizi di reddito con
il vecchio criterio “fittizietà equivale ad indeducibilità”
(con riferimento alle varie operazioni di natura strettamente tributaria che prima della riforma dovevano essere prese in considerazione dal giudice penale e che ora
invece sono escluse dalla sfera di rilevanza penalistica).
Ne deriverebbe, infatti, che il giudice penale italiano, per valutare i costi sostenuti dall’impresa ritenuta
esterovestita dovrebbe dare rilievo anche a quelli appunto non inerenti, non di competenza,non documentati,
ovviamente interpretati e ricostruiti sotto l’angolo
visuale della normativa tributaria italiana, trattandosi di
valutare la realizzazione del reato di omessa dichiarazione; e questo con l’ulteriore complicazione derivante dal
fatto che le dichiarazioni, presentate alle Autorità fiscali
di Paesi esteri, sono state parametrate ai canoni della
normativa tributaria degli stessi Paesi esteri, non potendosi immaginare che in futuro il Fisco italiano avrebbe
ritenuto trattarsi di imprese italiane.
Si avrebbero, cioè, due metodi di valutazione di
situazioni sostanzialmente coincidenti, in quanto la
ritenuta esterovestizione delle società straniere (poi
divenute successivamente italiane per il nostro Fisco)
finirebbe con il mettere su piani diversi di valutazione
giuridica due situazioni identiche dal punto di vista
fattuale.
Ipotizziamo, ad es., che le regole tributarie del Paese
straniero in cui vennero presentate le dichiarazioni
siano profondamente diverse da quelle italiane e che
quindi certi costi siano stati dedotti dal reddito quando
in base alla nostra normativa ciò non sarebbe stato possibile. Si arriverebbe al risultato secondo cui in Italia il
fatto non sarebbe più punibile a causa dell’irrilevanza in
DOTTRINA
campo penale delle regole sulla deducibilità di costi
effettivamente sostenuti, mentre invece dovrebbero
continuare a sussistere gli estremi dell’omessa presentazione ove appunto non si potesse estendere alla fattispecie dell’art. 5 il complesso di regole dell’art. 4.
Tenuto conto di tutte queste considerazioni vi è,
perciò, quanto basta per ritenere estensibile (in sede di
interpretazione estensiva “in bonam partem”) la citata
lett. d) dell’art. 4 anche alla fattispecie dell’art. 5, malgrado la collocazione di tale precisazione nella prima
norma citata e la sua (letterale) riferibilità solo a quelle
fattispecie in cui figura l’aggettivo “fittizi” (che appunto, ripetesi ancora una volta, non figura nell’art. 5).
3. Segue: sulla “stabile organizzazione” (occulta o
plurima)
Sempre alla luce della problematica di fiscalità internazionale nell’ambito della quale si inquadra il particolare problema esegetico-interpretativo fin qui esaminato, spostiamo ora l’attenzione su un altro istituto
importante – e di grande attualità operativa – quale
quello della “stabile organizzazione” nel caso in cui essa
sia “occulta” o “plurima”3.
Com’è noto tale istituto,specificamente disciplinato
dalla normativa tributaria italiana con riferimento alle
stabili organizzazioni italiane – non prendendosi qui in
considerazione le stabili organizzazione occulte estere di
società italiane - è venuto all’attenzione degli operatori
e studiosi italiani,per quanto riguarda i profili penal-tributari, con riferimento al noto caso “Philip Morris”, in
relazione al quale a suo tempo venne ritenuta l’irrilevanza penalistica della contestazione effettuata in sede fiscale,peraltro sulla base della normativa penale anteriore
all’entrata in vigore del D.Lgs 74/2000, e quindi in
un’epoca nella quale il fatto non possedeva ancora rilevanza penalistica.
Nel periodo successivo all’entrata in vigore della
riforma dei reati tributari del 2000,infatti,se anche il
fenomeno è stato varie volte preso in considerazione a
seguito di accertamenti tributari e quindi per le implicazioni strettamente fiscali, non si rinviene adeguata
giurisprudenza penale in riferimento alle nuove fattispecie di cui agli artt. 3, 4 e 5 D.Lgs 74 cit, che sono
quelle potenzialmente suscettibili di rilevanza penalistica in ipotesi del genere.
3 Cp., tra i tanti VALENTE, Elusione fiscale internazionale,
2014, p. 971 ss.con molte citazioni e vasta casistica.
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DOTTRINA
Orbene,in presenza di una stabile organizzazione italiana, ritenuta “occulta”, di una società straniera – che
non ha di conseguenza presentato dichiarazioni in Italia
- è evidente che le conclusioni prima raggiunte circa
l’estensione del canone di cui alla lett.d) dell’art. 4 cit.
alle ipotesi di art.5 devono portare alla medesima conclusione sistematica, sotto il profilo che il giudice penale, per valutare l’eventuale evasione fiscale della società
italiana – la quale, proprio perchè occulta, non aveva
presentato alcuna dichiarazione dei redditi ed IVA –
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
deve pervenire alla stessa conclusione dell’applicabilità
della lett.d) citata anche per la ricostruzione del reddito
della stabile organizzazione occulta italiana.
Non sarebbe, infatti, corretto – sulla base del ragionamento sopra esposto – ritenere la avvenuta verificazione del reato di cui all’art. 5 cit. a carico degli amministratori (valutati tali a seguito di indagini penali) della
società stabile organizzazione occulta senza tener conto
del medesimo criterio interpretativo.
DOTTRINA
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Principio di specialità in tema di sanzioni
e crisi del doppio binario
di Manlio Ingrosso
1. I rapporti tra processo penale e tributario
Nell’attuale sistema processuale italiano non sussiste
più alcun rapporto di dipendenza tra il processo penale
e quello tributario, anzi è stabilito in maniera espressa
che il giudizio tributario non possa essere sospeso per la
contemporanea pendenza di un contenzioso penale,
seppur abbiano a oggetto gli stessi fatti dall’accertamento dei quali dipenda la definizione del giudizio tributario medesimo. Vige il principio della specialità delle
sanzioni a carico del contribuente, sia penali che tributarie, per lo stesso fatto.
In precedenza, la legge n. 4 del 1929 prevedeva per i
due procedimenti , quello penale e quello tributario, il
contrario principio della pregiudiziale tributaria, in base
al quale l’azione penale per i reati previsti in materia di
imposte dirette non poteva avere corso finché non fosse
definito il giudizio tributario. Il giudice penale era dunque vincolato non solo all’accertamento definitivo contenuto nel giudicato tributario, ma potenzialmente
anche da un accertamento operato dagli uffici finanziari
e divenuto definitivo a seguito della mancata impugnazione del contribuente.
Agli inizi degli anni ’80, la politica decise di abolire
l’istituto della pregiudiziale tributaria perché, di fatto,
paralizzava l’applicazione delle norme penali di settore e
optò per l’intervento penale a tappeto1. Furono scritti
allora l’art. 12 co. 1, del D.L. n. 429/1982 e, con riforma del codice di procedura penale, fu introdotto l’art.
654. Ferme restando le conseguenze sanzionatorie, in
particolare, l’art. 12 stabilì l’automatica applicazione del
giudicato penale nel processo penale, invece l’art. 654
mitigò l’efficacia automatica del giudicato penale,
ponendo delle condizioni e richiedendo una valutazione da parte del giudice.
La conseguenza fu che gli uffici giudiziari furono
inondati da una valanga di notitiae criminis e i pubblici
ministeri, per occuparsi di cose serie, misero a dormire
negli armadi i fascicoli tributari aventi ad oggetto
vicende bagatellari, in attesa dell’inevitabile maturazione della prescrizione.
1 Sull’evoluzione dell’impianto sanzionatorio tributario, amplius
R.Miceli, Sanzioni amministrative tributarie, in www.treccani.it.
Con il d.lgs. n. 74/2000 si cercò di porre rimedio ai
guasti delle “manette agli evasori” e s’inaugurò un
sostanziale cambiamento di rotta: l’ art. 25 del d.lgs. n.
74/2000 abrogò l’art. 12 del D.L. n. 429/1982, mentre
il disposto dell’art. 654 del c.p.p. è rimasto immutato.
La situazione attuale è la seguente Il sistema penale
tributario, introdotto nel 2000, essenzialmente si poggia sui tre articoli 19, 20 e 21 del D. lgs. n. 74; le prime
due norme contengono rispettivamente il principio di
specialità delle sanzioni e il principio del cd. “doppio
binario”, l’ultima detta una disciplina procedurale volta
ad impedire la duplicazione delle sanzioni in fase di
esecuzione. Vediamo i particolari.
a) Abbattuta la pregiudiziale, per i rapporti che intercorrono tra i procedimenti finalizzati all’accertamento delle violazioni, ossia tra il procedimento
amministrativo di accertamento tributario ed il
processo tributario, da una parte e il procedimento penale dall’altro, vige il principio del doppio binario, definitivamente ed espressamente
codificato dall’art. 20 del d.lgs. n. 74 del 2000 e,
pertanto, il procedimento di accertamento tributario ed il processo tributario non possono essere
sospesi per la pendenza del procedimento penale
inerente ai medesimi fatti e viceversa. L’abolizione
della sospensione ha fatto affermare che in materia
tributaria vi è “autonomia” tra il procedimento di
accertamento tributario e l’eventuale processo
innanzi alle Commissioni tributarie rispetto al
processo penale.
b) Fino a che l’accertamento tributario ha a oggetto
solo il debito d’imposta, non si pone alcun problema di autonomia; questi invece sorgono quando
l’amministrazione tributaria non si limita ad
accertare il tributo, ma con il procedimento
amministrativo di accertamento provvede anche a
quantificare ed irrogare le sanzioni tributarieamministrative in relazione ai fatti per i quali sia
iniziato o debba iniziare il procedimento penale,
in quanto le violazioni tributarie accertate hanno
rilevanza penale e sono oggetto di notizia di reato
(art.21, co.1) . Quando vi sia coincidenza tra il
destinatario della sanzione amministrativa e il soggetto tratto a giudizio in sede penale, onde scon-
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DOTTRINA
giurare le possibili frizioni fra le norme penali che
puniscono un fatto con sanzione penale e le
norme tributarie che comminano sanzioni amministrative rispetto al medesimo fatto, e si verifichi
perciò il cumulo tra i due tipi di sanzioni in relazione al medesimo fatto-reato, l’art. 19, co 1, cit.
introduce il principio di specialità. In via di principio, la disposizione stabilisce che lex specialis
derogat generale e perciò , nell’ipotesi di concorso
apparente della norma penale tributaria con quella
tributaria, impone che si applichi esclusivamente
la disposizione che, oltre a contenere tutti gli elementi costitutivi della disposizione generale, presenta pure elementi di specialità, dunque un quid
pluris rispetto alla norma generale. L’introduzione
nel sistema del principio di specialità segna una
novità rispetto al cumulo, espressamente sancito
invece dall’art. 10 del d.l. n. 429 del 19822.
c) L’attuale sistema delle sanzioni e dei procedimenti
penale e tributario è completato dall’art.21, co.2:
se l’amministrazione tributaria è autorizzata ad
irrogare le sanzioni amministrative a carico del
contribuente, pur se sono relative a violazioni tributarie fatte oggetto di notizia di reato e quindi
ritenute penalmente rilevanti, le dette sanzioni
però non possono essere eseguite (riscosse) fin
tanto che il processo penale non si sia definito con
formula di archiviazione o di proscioglimento con
formula che “esclude la rilevanza penale del fatto”3.
In tal caso, il termine per la riscossione decorre
dalla data di comunicazione all’amministrazione
tributaria del provvedimento assolutorio.
Questo tracciato è il quadro complessivo. Cosa
aggiungere?
L’art. 21 introduce, senza dubbio, un congegno anomalo che deroga al principio del doppio binario e dell’autonomia dei procedimenti penali e tributari giacché
attribuisce efficacia vincolante al giudicato penale di
assoluzione sul procedimento amministrativo dì esecuzione delle sanzioni. In tal modo, la disposizione scongiura in astratto, ma non in concreto, il rischio che le
cumulo e la specialità, cfr. D. Coppa e S. Sammartino, voce
“Sanzioni tributarie”, in Enc. Dir., XLI, Milano, 1989, p. 415 ss.;
L.Del Federico, Le sanzioni amministrative nel diritto tributario, ,
Milano, 1993, p. 117 ss.; R.Cordeiro Guerra , Illecito tributario e
sanzioni amministrative, Milano, 1996, p. 78 ss.
3 Fa notare B. Santamaria, Diritto tributario, Parte generale, Milano, 2011, p. 337, come l’espressione si presta a equivoci perché si
può sostenere che le sanzioni amministrative sono eseguibili ove il
giudice penale dichiara, ad es., che non è stata superata la soglia di
punibilità, che manca il dolo specifico, che la condotta non è riferibile all’imputato.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
sanzioni penali e quelle tributarie si cumulino in capo al
responsabile perché stabilisce che gli uffici tributari
possono mettere in esecuzione la sanzione tributaria
accertata unicamente nell’ipotesi in cui il procedimento
penale si concluda con un nulla di fatto, ma quali sono
i riflessi della avvenuta esecuzione della sanzione tributaria in sede penale?
Neanche appare ben chiara la ratio della norma stessa, potendo la sua funzione essere tanto sussidiaria (cioè
di riservare alle sanzioni amministrative la repressione
delle violazioni di maggiore offensività per gli interessi
dell’erario) o cautelare (ossia l’ufficio tributario si precostituisce il titolo che gli consente di riscuotere la sanzione amministrativa quando il processo penale si sia concluso) quanto l’efficienza dell’azione amministrativa (in
tal modo, l’ufficio evita che la fase amministrativa diretta all’esecuzione delle sanzioni amministrative sia oggetto di un ulteriore contenzioso tributario).4
Va aggiunto pure che, dal punto di vista sostanziale,
le sanzioni amministrative tributarie e quelle penali
spesso presentano entrambe un carattere deterrente e
punitivo, ovverosia sono accomunate dalla medesima
finalità afflittiva poiché quelle tributarie non si limitano ad esplicare una finalità risarcitoria . E’ dunque
l’omogeneità funzionale esistente tra i due tipi di sanzioni a comportare che ad esse si applichino alcune
regole comuni. Ad es., il principio di personalità; il
principio di legalità e dunque di tassatività e di divieto
di analogia, il principio d’ irretroattività, il principio del
favor rei, il principio di imputabilità, il principio della
personalità, il principio della riferibilità esclusiva alla
persona giuridica in caso di violazione commessa
dall’amministratore, etc.
In definitiva, la norma sancita dall’art. 21, co.2 evita
il cumulo tra sanzioni, ed è quindi un’ applicazione del
principio di specialità - che, per l’appunto, è espressione
dell’omogeneità funzionale delle due sanzioni-, ma non
risolve il problema processuale di quel soggetto che si
trova sottoposto a procedimento penale in materia tributaria dopo che, per il medesimo illecito fiscale, gli è
già stata inflitta in via definitiva una sanzione tributariaamministrativa.
2 Sul
4 Come osserva G. M. Flick, Reati fiscali, principio di legalità e ne
bis in idem: variazioni italiane su un tema europeo, in Rass. trib.
2014, p. 954 l’amministrazione finanziaria si precostituisce un titolo che potrà mettere prontamente in esecuzione ove, all’esito del
processo penale, emerga che il fatto non integra alcuna ipotesi di
reato, allorché non sussistono i presupposti per l’applicazione del
principio di specialità. Si evita in tal modo l’apertura, in coda al processo penale, di una nuova fase amministrativa diretta all’applicazione delle sanzioni tributarie-amministrative, che sia oggetto di contenzioso tributario.
DOTTRINA
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Inoltre, come avremo modo di osservare, il sistema
entra in contraddizione con se stesso quando stabilisce
che, chi voglia usufruire di benefici in sede penale- tributaria (ad es., le attenuanti), deve pagare le sanzioni
amministrative previste per la violazione delle norme
tributarie, benché non applicabili all’imputato in base
al principio di specialità, e quindi abbia rinunciato (più
o meno consapevolmente) alla tutela offertagli dall’art.
21 di divieto del ne bis in idem.
La relazione si soffermerà su taluni aspetti di criticità
presenti nell’ordinamento tributario italiano a causa
della crisi in cui versa il principio del “doppio binario”
e per la vigenza del principio di specialità tra disposizioni sanzionatorie penali e disposizioni sanzionatorie tributarie-amministrative, regola che, se serve a scongiurare il raddoppio delle sanzioni, non impedisce la duplicità dei procedimenti , tributario e penale, cui per avventura, il contribuente può essere sottoposto5.
In effetti, già da qualche tempo non sono sfuggite
all’attenzione della dottrina la dissoluzione del doppio
binario e la progressiva perdita di significato del principio di specialità, a causa degli oscillanti rapporti procedimentali intercorrenti tra il sistema penale e quello tributario che, a volte, mostrano di essere improntati
all’autonomia e, a volte, all’integrazione con il risultato
di generare una complessiva notevole instabilità del
sistema repressivo.6
2. Il doppio binario
Vigente l’art. 20 del D.lgs. n. 74 del 2000, la regola
generale dunque è che il procedimento penale e quello
tributario marciano su strade parallele, con l’ autonomia tra il procedimento di accertamento tributario e
l’eventuale processo innanzi alle Commissioni tributarie rispetto al procedimento penale7.
Il principio in parola è definito del “doppio binario”
in quanto parte dalla considerazione che i due sistemi
5 E. Marello, Evanescenza del principio di specialità e dissoluzione del
doppio binario: le ragioni per una riforma del sistema punitivo penale tributario, in Riv. dir. trib., 2013, XXIII, p. 281 e ss. dubita della tenuta
del principio di specialità e quindi della capacità di autentica differenziazione dei due sistemi punitivi e prospetta la problematicità di differenziarli da varie prospettive, ossia con riferimento all’individuazione
del bene giuridico tutelato, alla possibilità di differenziare adeguatamente le condotte rilevanti e per ciò che riguarda la ponderazione e la
differenziazione interna delle misure sanzionatorie.
6 Cfr. R.Schiavolin, L’utilizzazione fiscale delle risultanze penali, Milano, 1994, 169 ss.,
7 Si rimanda a A.F. Uricchio, Il principio di specialità nella nuova disciplina dei reati tributari, in Boll. trib., 2001, p 565 e ss..
trovano origine in ratio diverse e hanno competenze ed
esigenze processuali diverse. Esso però può porre gravi
inconvenienti applicativi e delicati problemi sul piano
della certezza del diritto, non essendo in grado di impedire, in definitiva, che, su un medesimo fatto giuridico,
diversi giudici possano pronunciarsi in modo difforme
o, addirittura, confliggente.
L’affermato principio di autonomia, infatti, se implica che non sussiste più alcun rapporto di dipendenza tra
il processo tributario e quello penale, comporta come
conseguenza che, nel giudizio tributario, non ha autorità di cosa giudicata la sentenza penale irrevocabile (di
condanna o di assoluzione) emessa in materia di reati
tributari, ancorché i fatti accertati in sede penale siano
gli stessi per i quali l’amministrazione tributaria ha promosso l’accertamento nei confronti del soggetto8.
Pertanto, il giudice tributario non si deve limitare a
rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari e non può estendere automaticamente gli effetti del giudicato penale con riguardo
all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, è
obbligato invece verificarne la rilevanza nell’ambito
specifico in cui essa e destinata a operare e quindi
deve motivare adeguatamente la propria pronuncia se
vuole discostarsi dal dictum penale. E’ chiaro che questo giudice non potrà ignorare la sentenza del giudice
penale e la prenderà in considerazione come possibile
fonte di prova9.
Il principio del doppio binario vale anche nell’altro
senso e anche il processo penale è indipendente rispetto a quello tributario. Infatti, benché l’art. 20 del d.lgs.
n. 74/2000 non disponga espressamente l’autonomia
del processo penale rispetto a quello tributario, tale conseguenza tuttavia è da ritenersi immanente nel sistema
processuale penale e si desume al contrario, dagli artt. 3
e 479 del cpc. Tali disposizioni prevedono, rispettivamente, che il giudice penale possa sospendere il processo per questioni pregiudiziali inerenti lo stato di famiglia o di cittadinanza ovvero, in pendenza di una controversia civile o amministrativa di particolare complessità, soltanto se la legge non pone limitazione alla prova
8 Al
riguardo, la Cass.., sez. trib., con sent, n. 5720/2007 ha affermato che «la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato
tributario, emessa con la formula “perché il fatto-reato non sussiste”, non ha automaticamente efficacia di giudicato anche nel processo tributario, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli
stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente».
9 La recente sent. n. 21966 del 28 ottobre 2015 della Cassazione
ha precisato che la decisione penale, pur non avendo, nel giudizio tributario, efficacia vincolante, può comunque costituire un elemento
di prova critica, sulla base dei fatti accertati nel relativo giudizio.
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DOTTRINA
della posizione soggettiva controversa, limitazioni
che invece sussistono nel processo tributario, si pensi
al divieto di prova testimoniale o alle presunzioni
semplici10. Pertanto il processo penale non può
sospendersi in attesa della definizione di quello tributario a causa delle limitazioni probatorie presenti nel
processo tributario.
Lo scopo dell’esplicitazione contenuta nell’art. 20 è,
quindi, di evitare ogni possibile dubbio circa la permanente autonomia del procedimento amministrativo tributario , ancorché al giudice penale sia ora demandato
il compito di determinare l’ammontare dell’imposta
evasa, in seguito all’introduzione di soglie di punibilità.
Pertanto, è senz’altro da ritenere che il giudice penale
debba avere piena cognizione in ordine alla determinazione delle imposte effettivamente evase, elemento che
assume rilevanza dirimente proprio ai fini del superamento delle soglie minime di punibilità previste per la
configurabilità della maggior parte dei reati tributari
contemplati nel d.lgs. n. 74/2000, con l’unica esclusione di quelli di cui agli artt. 2, 8 e 10 del medesimo
decreto.
Con riferimento a tale compito, vien da chiedersi
come il giudice penale possa accertare il quantum del
tributo dovuto, presupponendo la sua determinazione
la ricostruzione dell’intera posizione fiscale del contribuente e operazioni che sono comunque di pertinenza
dell’amministrazione tributaria. A tal riguardo, va rilevato che questo giudice, oltre ad eventuali consulenti
tecnici e periti, può avvalersi anche di prove testimoniali, disponendo, ad es., la citazione di funzionari dell’amministrazione affinché forniscano i necessari chiarimenti per la ricostruzione del reddito e/o del volume di affari del contribuente e la conseguente determinazione
dell’imposta evasa.
La giurisprudenza, sul punto, ha esaustivamente
chiarito che incombe esclusivamente sul giudice penale
10 La Cassazione (sentenza n. 9109/2002) aveva evidenziato che
l’art. 654 c.c.p., è una disposizione che stabilisce l’efficacia vincolante del giudicato penale nel giudicato civile ed amministrativo nei
confronti di coloro che abbiano partecipato al processo penale, ma
allo stesso tempo la sottopone alla duplice condizione che nel giudizio civile o amministrativo, e quindi anche in quello tributario, la
soluzione dipenda dagli stessi fatti materiali che furono oggetto del
giudicato penale e che la legge civile non ponga limitazione alla prova. Si ricorda che nel processo tributario vigono i limiti in materia di
prova posti dall’art. 7, co. 4, D.lgs. 546/1992, come il divieto della
prova testimoniale, e trovano ingresso, con rilievo probatorio, in
materia di determinazione del reddito d’impresa, anche presunzioni
semplici prive dei requisiti prescritti ai fini della formazione di siffatta prova tanto nel processo civile che nel processo penale (v anche
sent. n. 27919 del 30 dicembre 2009).
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
il compito di procedere all’accertamento, al fine di verificare l’avvenuto o meno superamento della soglia di
punibilità, e quindi alla determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, attraverso una verifica che può
venirsi a sovrapporre e anche ad entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario, non essendo configurabile alcuna pregiudiziale tributaria.
In sintesi, esclusa la sussistenza di un rapporto di
pregiudizialità, nell’uno o nell’altro senso, l’autonomia
reciproca dei procedimenti penale e tributario, fa si che,
qualora una condotta abbia rilevanza sia sul piano
amministrativo, sia sul piano penale, il procedimento di
accertamento e il processo tributario, da un lato, e il
procedimento penale, dall’altro, procedano parallelamente, senza che l’uno interferisca sull’altro e viceversa.
I rapporti tra processo tributario e quello penale sono
concepiti sul modello delle rette parallele teorizzate da
Euclide e quindi, in teoria, destinati all’infinito a non
incontrarsi. Nondimeno, la conclamata autonomia
non esclude, come vedremo fra poco, che taluni elementi dell’uno possano in qualche misura refluire
nell’altro e dunque che i procedimenti si integrino tra
di loro.
3. Il divieto di “ne bis in idem”.
In particolare, il sistema orchestrato dal D.lgs. n.74
del 2000 va in affanno, e mostra di non essere in grado
di risolvere il problema, difronte al ne bis in idem.
Il divieto di un nuovo giudizio penale a carico del
contribuente destinatario di una sanzione amministrativa definitivamente irrogata dagli uffici tributari, pensiamo, ad es., ad una sovrattassa, è sancito dall’art. 50 della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea11 e
dall’art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU12. In questi ultimi
tempi, la questione della possibilità di applicare o combinare, in relazione di un medesimo fatto, sanzioni di
natura penale e amministrativo-tributaria, ha avuto
non poco risalto nelle cronache giuridiche ed ha richiamato prepotentemente l’attenzione degli studiosi e
della giurisprudenza. Il problema si è posto, ad esempio,
nel caso in cui un contribuente ha versato la sanzione
11 Secondo
cui «Nessuno può essere perseguito o condannato per un
reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito
di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge».
12 Sulla norma , cfr. ALLEGREZZA, Art. 4 Prot. 7, in Bartole,
Conforti, Zagrebelski, Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, 2012, p. 897 s.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
amministrativa per l’omesso versamento Iva nei termini
e in relazione al periodo di imposta di competenza e per
lo stesso fatto è stato tratto a giudizio in sede penale13.
A più riprese la Corte EDU è intervenuta per dichiarare, sia pure in relazione al sistema sanzionatorio tributario di altri Stati europei, l’illegittimità convenzionale
della duplicazione punitiva penale- amministrativa per
contrasto con il divieto di doppia punizione per il
medesimo fatto e per il medesimo soggetto14 ed ha stabilito, al di là delle etichette formali utilizzate dal legislatore nazionale per qualificare una sanzione come
penale o amministrativa, quali requisiti debbano possedere le sanzioni amministrative per non incorrere
nell’imperativo del ne bis in idem. La Corte, nelle sue
ultime sentenze, fa riferimento alla ricorrenza di uno (
in via alternativa dunque e non cumulativa) dei tre
criteri fondamentali elaborati a partire dalla celebre
sentenza della Grande Camera nel caso Engel e altri c.
Paesi Bassi15.
I requisiti sono:
1 l’identità del fatto e la qualificazione giuridica
della violazione nell’ordinamento nazionale;
2 la natura adeguatamente afflittiva della violazione e la funzione deterrente;
3 la natura ed il grado di severità della sanzione.
Affinché si possa dar adito al divieto in questione,
ad esito di una valutazione rimessa al giudice nazionale, è dunque sufficiente l’identità del fatto concreto,
non l’astratta previsione legislativa, che il reato in causa
sia di natura penale rispetto alla CEDU o abbia esposto l’interessato a una sanzione che, per natura e livello
di gravità, rientri in linea generale nell’ambito della
materia penale.
13 Su tale caso v. Tribunale di Bergamo, ord. 16 settembre 2015,
in GT, 2016, p.78 e ss. Ricordiamo, che, secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale nazionale, sancito da Cass. SS.UU. n.
37424 del 28/3/2013 e fatto proprio dalla sentenza della Suprema
Corte dell’8/4/2014, nei rapporti tra i reati di omesso versamento
(di ritenute certificate o IVA) e gli illeciti amministrativi di omesso
versamento periodico delle somme dovute a tali titoli, non si applicherebbe il principio di specialità in quanto tra reato e illecito amministrativo intercorrerebbe un rapporto (non di specialità ma) di
“progressione”. Quindi l’illecito amministrativo si perfezionerebbe
al momento dell’omesso versamento periodico delle singole scadenze mentre il reato si consuma alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione annuale. Come vedremo nel testo, ben
diversi sono i criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo per stabilire l’identità del fatto.
14 Vedi P.Centore, “Ne bis in idem” e sanzioni fiscali: una rivoluzione culturale prima che giuridica. in GT. 2016, p. 80 e ss., R.Conti,
Ne bis in idem ,in www.treccani.it.
15 Corte EDU, Grande Camera, 8 giugno 1976, Engel e altri c.
Paesi Bassi.
DOTTRINA
Come si nota, la concezione autonomistica e sostanzialistica della “materia penale”, inaugurata dalla Corte
europea di Strasburgo, con il ricorso concentrico ai tre
Engel’s criteria, prescinde dalle tradizionali nozioni giuridiche e dalle classificazioni fornite dagli ordinamenti
interni degli Stati europei, senza mettere però in discussione il potere discrezionale delle legislazioni nazionali
di modulare le risposte sanzionatorie in relazione ai
singoli casi.
I requisiti appena ricordati sono stati ribaditi nella
sentenza della Corte Europea diritti dell’uomo, V sez.,
del 4 marzo 2014 “Grande Stevens c. Italia”, in cui, a
proposito di un caso relativo a condotta di abuso di
mercato punita con sanzioni amministrative e successivamente perseguita in ambito penale, il giudice di
Strasburgo ha ritenuto nulla la riserva apposta dall’Italia
in sede di ratifica del Protocollo n. 7 annesso alla
CEDU, con la quale si era inteso limitare l’efficacia del
Protocollo alle sole condotte criminose considerate
dalla legge penale interna16.
Tali approdi interpretativi sono stati confermati
nella sentenza CEDU, IV sez. del 20 maggio 2014,
Nykänen c. Finlandia, nella quale la Corte ha accertato
la violazione dell’art. 4 del Protocollo n. 7 per l’applicazione di una sanzione tributaria pecuniaria ad opera
dell’autorità finlandese17. Una volta verificato che il
contribuente era stato sottoposto a due procedimenti
iniziati in via autonoma dall’autorità tributaria e da
quella penale, entrambi conclusi con l’applicazione a
carico del predetto di due distinte sanzioni, la Corte
europea ha qualificato di natura “penale” la sovrattassa,
nonostante la misura tenue della sanzione inflitta ed ha
riconosciuto la violazione dell’art. 4 cit.. I Giudici
hanno pure precisato che la celebrazione di due procedimenti paralleli è compatibile con la Convenzione, a
condizione che il secondo venga interrotto nel momento in cui il primo sia divenuto definitivo.
Va detto che pure la Corte di Giustizia dell’Unione
Europea si è soffermata sul principio del ne bis in idem,
muovendosi nella direzione di considerare fondamentale ai fini della legittimità della duplicità di sanzione la
diversa natura delle sanzioni comminate e su questa base
ha distinto le sanzioni penali da quelle tributarie.
16 Cfr. su questa sentenza A.Giovannini e L.P. Murciano, Il principio del “ne bis in idem” sostanziale impedisce la doppia sanzione per la
medesima condotta, in Corr. trib. ,2014, p. 1548 e ss.
17 Questa, dopo avere irrogato in via definitiva ad un contribuente una sovrattassa di 1.700 euro per la percezione in nero di dividendi, aveva sottoposto il medesimo soggetto a procedimento penale per frode fiscale, conclusosi con la condanna ad una pena detentiva di dieci mesi di reclusione.
67
68
DOTTRINA
Particolare rilievo chiarificatore a tal proposito, assume la vicenda definita dalla Grande Sezione della Corte
di Giustizia con la sentenza del 23 febbraio 2013, resa
nella causa Aklageren c. Hans Akelberg Fransson. I
Giudici di Lussemburgo, chiamati da un tribunale
penale di primo grado svedese a chiarire se e in che
misura rispetto al diritto interno la duplice sottoposizione del contribuente a sanzioni amministrative e
penali – in campo IVA – fosse compatibile con il principio del ne bis in idem sancito dall’art. 50 della Carta
di Nizza-Strasburgo, hanno precisato che tale precetto
non osta a che uno Stato membro imponga, per le
medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia
di imposta sul valore aggiunto, una sanzione tributaria
e successivamente una sanzione penale, salvo che la sanzione amministrativa non debba essere in concreto ritenuta di natura penale, circostanza questa che deve essere verificata dal giudice nazionale18.
Quale conclusione, sia pure in termini di sintesi, si
può trarre sulla questione della compatibilità del sistema sanzionatorio tributario italiano con l’imperativo
del ne bis in idem così come definito dalle due Corti
Europee sovranazionali?
Come sappiamo, il sistema previsto dal D.lgs.
74/2000 è incardinato su tre disposizioni che stabiliscono alcuni punti fermi, ossia che:
 il procedimento penale e quello amministrativo
procedono separati, cioè nessuno dei due deve
essere sospeso in attesa della definizione dell’altro;
 l’ufficio tributario competente irroga le sanzioni amministrative relative alle violazioni finanziarie oggetto della notizia di reato;
 tuttavia tali sanzioni non sono eseguibili, salvo
che il procedimento penale sia definito con l’archiviazione o con la sentenza irrevocabile di
assoluzione o proscioglimento che escluda la
rilevanza penale del fatto.
Come abbiamo notato, questa architettura normativa è in grado di scongiurare solo in astratto il pericolo
che la sanzione penale e la sanzione amministrativa si
cumulino in capo al responsabile, essendo in concreto
possibile che un soggetto si trovi sottoposto a procedi-
18 Una parte della dottrina ha evidenziato che si sarebbe determinato uno iato fra la Corte di giustizia e la Corte europea dei diritti dell’uomo, laddove invece il giudice comunitario non esclude in
astratto che si possa configurare una duplicità di sanzioni (tributaria
e penale) per lo stesso fatto, a condizione però che si fatta dal singolo
giudice una valutazione in termini di efficacia della sanzione penale
precedentemente applicata..
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
mento penale dopo che gli sia stata inflitta in via definitiva una sanzione amministrativa.
E’ da rilevare, inoltre, che a fronte di un indirizzo giurisprudenziale consolidato della Corte Europea dei diritti
dell’uomo in relazione alla garanzia del ne bis in idem, il
legislatore italiano, pure ponendo mano alla riforma del
sistema punitivo tributario attraverso il recente D.lgs. 24
settembre 2015, n. 158, si è astenuto dal regolamentare
esplicitamente il principio del ne bis in idem per come
esso è stato declinato dalle Corti europee.
In attesa dunque delle pronunce della Corte
Costituzionale e della Corte di Giustizia dell’Unione
Europea, chiamate nel frattempo a risolvere dubbi di
legittimità sul binomio reato – illecito amministrativo in
materia tributaria, la questione della duplicità dei procedimenti a carico dei uno stesso soggetto è rimessa alla
discrezionalità valutativa dei giudici nei singoli casi concreti loro sottoposti.
Peraltro, la più recente giurisprudenza di legittimità
sembra muoversi sulle coordinate fissate dalla Corte di
giustizia nel caso ANkerberg Fransson, anche se è da
dubitare sulla fondatezza di siffatto approccio, perché la
giurisprudenza di Lussemburgo ha giustificato la duplicità di sanzioni, ma solo ove le stesse non abbiano
entrambe natura penale e sottolineando un ulteriore elemento, quello della efficacia e proporzionalità della sanzione applicata per prima.
Vi è però un aspetto della recente riforma delle sanzioni ad opera del D.lgs. 158/2015 che potrebbe aver
attenuato, sia pure in modo a dir poco lacunoso, le conseguenze del doppio binario penale-amministrativo. Si
tratta delle cause di non punibilità sopravvenuta, previste dal nuovo art. 13 d.lgs. n. 74/2000 per i reati di cui
agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, co. 1, le quali operano alla sola condizione del pagamento delle sanzioni
amministrative. Ma questo è un discorso che va ora
approfondito per le implicazioni che può avere sul principio di specialità.
4. La crisi del doppio binario
In effetti, il principio della rigida separazione tra il
procedimento/processo tributario e il processo penale
vive un momento di crisi o, comunque, i rapporti tra i
rispettivi ambiti versano in una fase di confusa evoluzione. Non si sta dicendo che il principio non resti formalmente intatto a livello ordinamentale e sistematico,
anche dopo la recente riforma del sistema sanzionatorio
penale, ma che una serie di micro-interventi di natura
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
giurisprudenziale e legislativa hanno contribuito di
fatto, nel tempo, a rendere evanescente il suo contenuto e ad offuscarne la funzione19.
Dall’autonomia dei procedimenti dovrebbe discendere la reciproca irrilevanza dei relativi esiti, come pure
degli elementi fattuali e delle prove acquisite in ciascun
contesto; nei fatti però non è così, l’ autonomia non è
incondizionata e non impedisce che tra i procedimenti
vi siano punti di contatto e reciproci condizionamenti.
Ad es., il giudice penale può legittimamente avvalersi dell’accertamento dell’imponibile compiuto dagli
uffici tributari quale elemento di prova al fine del raggiungimento di un esito in sede penale secondo il principio del libero convincimento.
Lo stesso si può osservare per gli atti compiuti nel
corso di accessi, ispezioni e verifiche eseguiti dalla
Guardia di Finanza e dall’Agenzia delle entrate, i quali
possono essere in qualche misura utilizzati nel processo
penale. In particolare, per giurisprudenza consolidata si
ritiene che il processo verbale di constatazione, dal
quale quasi sempre trae origine il procedimento penale,
costituisca “atto amministrativo extraprocessuale”
acquisibile come prova documentale ex art. 234 del
c.p.p., anche nei confronti di soggetti non destinatari
della verifica fiscale.
Un altro problema, in tema di rapporti non sempre
di separatezza tra processo tributario e processo penale,
attiene alla valenza probatoria delle presunzioni tributarie, degli accertamenti induttivi e sintetici e degli studi
di settore per reati tributari. Molti processi per reati tributari traggono origine da accertamenti fiscali di carattere induttivo o comunque che si basano su presunzioni
contemplate dalla normativa tributaria. Ad esempio, la
presunzione che i versamenti ed i prelevamenti su conti
correnti non risultanti dalle scritture contabili costituiscano ricavi, la presunzione di cessione dei beni che non
si trovano nei luoghi in cui il contribuente esercita l’attività, salvo precipue dimostrazioni del contribuente.
Ci si domanda, dunque, quale rilevanza possono
avere tali presunzioni nell’ambito del procedimento
penale, tenuto conto che nel processo penale l’unica
presunzione esistente è quella di non colpevolezza dell’imputato fino alla condanna definitiva e considerato
19 Di evanescenza e destabilizzazione del sistema parla R. Marello, Evanescenza del principio di specialità e dissoluzione del doppio binario: le ragioni per una riforma del sistema punitivo penale tributario,
cit. p. 296 e ss.. Sull’erosione della regola del “doppio binario” e sulla
funzione “servente” della sanzione e del processo penale rispetto al
corretto adempimento dei doveri impositivi, cfr. F. PISTOLESI,
Crisi e prospettive prospettive del principio del “doppio binario” nei rapporti fra processo e procedimento tributario e giudizio penale, in Riv.
dir. trib., 2014, I, p. 35 e ss.
DOTTRINA
pure che i principi fondamentali in materia di prove
sono quelli del libero convincimento del giudice, della
libertà di prova, dell’inesistenza di limiti legali alla
prova, del diritto alla prova riconosciuto alle parti nonché della valenza probatoria degli indizi solo se “gravi,
precisi e concordanti”.
E’ allora evidente che le presunzioni tributarie, seppur idonee ad integrare la notizia di reato, non possono
di per sé assumere valore di prova nel giudizio penale,
anche se la loro non automatica trasferibilità in campo
penale non significa, che esse non rivestano alcuna rilevanza. Sebbene non valgano come prova, esse possono
costituire degli indizi, come tali valutabili dal giudice
penale alla stregua dei criteri dettati dall’art. 192 c.p.p.
La conclusione è che le prove acquisite in sede tributaria
possono essere utilizzate in sede penale.
Ora vediamo cosa accade se, al contrario, nel corso
di un’indagine penale emergono, a carico dell’imputato
o di soggetti terzi, elementi sintomatici di un’evasione.
In linea di principio, ai fini dell’utilizzo delle risultanze
penali, è necessario che il P.M. rilasci un’autorizzazione,
cosicché gli elementi rinvenuti in sede di indagine penale valgono, sia nell’accertamento sia nel contenzioso tributario, come semplice elemento indiziario.
In pratica, le prove acquisite in sede penale, anche se
non possono essere recepite come tali nel processo tributario, possono essere valutate dal giudice tributario in
base al principio della libera valutazione delle prove per
la formazione del proprio libero convincimento quindi
egli può fondare le proprie decisioni su elementi di
prova acquisiti in sede penale, ma non ne può recepire
in maniera pedissequa il contenuto.
Questo principio è sancito in maniera espressa dalla
norma di cui all’art. 116 c.p.c. che consente al giudice
civile, e perciò al giudice tributario, di valutare liberamente le prove acquisite in altri procedimenti, integrate anche
da ulteriori elementi, e ha trovato riscontro in una copiosa
giurisprudenza della Suprema Corte, oltre che nell’ordinanza n. 119 del 2003 della Corte Costituzionale. In
altri casi, la stessa Corte ha affermato che la confessione
dell’imputato resa in sede penale è utilizzabile dal giudice tributario come prova della pretesa fiscale.
Si pensi ancora alla possibilità di utilizzare le intercettazioni telefoniche in ambito tributario, quale elemento indiziario, stabilita dalla Cassazione con la sentenza n. 2916 del 7 febbraio 201320.
Vi è da aggiungere che la rigida applicazione del principio del doppio binario può condurre ad alcuni eccessi.
20 La Suprema Corte con la sentenza n. 2916 del 07 febbraio
2013 ha stabilito che le intercettazioni telefoniche possono essere
utilizzate in ambito tributario, quale elemento indiziario, posto che
69
70
DOTTRINA
Infatti, quando vi è sostanziale identità dell’oggetto
dell’accertamento giudiziale, esso rischia di ingenerare
confusione e può porre seriamente in crisi il corretto
funzionamento del sistema nel suo complesso, potendo
legittimare soluzioni sensibilmente difformi, pur in
presenza del medesimo fatto.
Facciamo il caso in cui l’Amministrazione finanziaria, dopo la comunicazione della notizia di reato all’autorità giudiziaria, in sede di autotutela o, come più spesso accade, di perfezionamento della procedura di accertamento con adesione, abbia rideterminato la propria
pretesa in misura tale che l’imposta evasa non superi le
soglie di punibilità previste per la sussistenza del reato
contestato.
In una fattispecie del genere, visto che l’ufficio ha
espressamente riconosciuto infondata la propria pretesa o comunque ritenuto congruo un abbattimento
della stessa al di sotto dei limiti di rilevanza penale,
sarebbe illogico che il giudice penale non ne prendesse
atto, prosciogliendo il contribuente dal reato ipotizzato
a suo carico. Su quest’ aspetto, la Cassazione ha sostenuto la legittimità dell’ interferenza del procedimento
amministrativo.
A tal riguardo, la sentenza della Corte di Cassazione
n. 5640 del 14 febbraio 2012 ha stabilito che, se in pendenza di un procedimento penale (innescato da una
informativa di polizia giudiziaria relativa ad un reato
tributario commesso mediante il superamento delle
soglie minime di punibilità fissate dal legislatore per
quella specifica fattispecie) interviene un accertamento
con adesione, a seguito del quale l’originaria pretesa per
effetto del successivo accertamento dell’Ufficio finanziario viene ridimensionata in misura inferiore alla
soglia di punibilità, il giudice penale dovrà prenderne
atto e dichiarare il non doversi procedere per insussistenza del reato.
In egual modo, si è espressa la Cassazione con la sentenza n. 19138 dell’8 maggio 2014, affermando che
nell’accertamento con adesione, ovvero in ogni forma
di concordato fiscale, c’è un’iniziale pretesa che poi
viene ridimensionata non già dal giudice tributario, ma
da un atto negoziale concordato tra le parti.
Nondimeno il giudice penale non è vincolato all’imposta così “accertata”, tuttavia, per discostarsi dal dato
quantitativo e tener conto dell’iniziale pretesa, occorre
l’art. 270 c.p.p. opera solo nel processo penale. Tale disposizione,
precisano i giudici, costituisce una garanzia dei diritti della difesa in
ambito penalistico, e non può essere estesa a sistemi processuali differenti. Nel contenzioso tributario la norma applicabile è l’art. 63
del d.P.R. n. 633/72, ove viene sancito che, previa autorizzazione del
PM, le risultanze penali possono essere trasmesse dalla Guardia di
Finanza all’Ufficio finanziario.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
che risultino concreti elementi di fatto che rendano
maggiormente attendibile l’iniziale quantificazione.
La novità qui consiste nel fatto che, mentre in precedenti sentenze si era posto l’accento sull’autonomia
del giudice penale anche nella determinazione dell’entità degli elementi sottratti all’imposizione e dell’imposta
evasa, con questo dictum si tende ad affermare una sorta
di primato dell’organo amministrativo tributario, ritenuto più qualificato ed attrezzato nell’esprimersi su
questioni di valenza così tecnica.
E’ palese come tali orientamenti giurisprudenziale,
pur escludendo, almeno in via formale, un recupero di
forme di pregiudizialità tributaria, inducono a riflettere
su quali possano essere gli eccessi cui conduce il doppio
binario.
In buona sostanza, da quanto fin qua detto sia pure
velocemente, emerge con chiarezza l’esistenza di una
notevole mole di questioni che, in contrasto con quanto
sancito in materia di autonomia dei due procedimenti,
li rende sempre più collegati e interconnessi, tanto da
far fondatamente dubitare in dottrina della concreta ed
attuale utilità di conservare il principio del doppio binario e proporne un formale ridimensionamento 21.
5. Gli ultimi sviluppi legislativi: il D.lgs. n. 158
del 2015
Oltre ai vari interventi giurisprudenziali che forniscono palesi segnali dell’erosione del canone di separatezza tra ambito penale e quello tributario, lo stesso legislatore, con una serie di micro-interventi, si è adoperato
ad intaccare il doppio binario.
In particolare, già con il d.l. n. 138/2011, esso aveva
introdotto due misure che avevano sfibrato l’asserito
parallelismo procedimentale, ponendone in luce il sempre più stretto nesso relazionale tra i due. Si tratta della
possibilità per l’imputato di fruire delle speciali circostanze attenuanti previste dagli artt. 13 e 14 del d.lgs. n.
74/2000, a condizione che i relativi debiti tributari scaturenti dai fatti costituenti delitto tributario fossero
stati estinti, anche attraverso delle procedure definitorie
previste dall’ordinamento tributario.
La recente riforma del sistema sanzionatorio penale
ad opera del D.lgs. n. 158 del 2015 ha apportato ancora
modifiche alle circostanze attenuanti. L’art. 11, co. 1
prevede la non punibilità dei reati di omesso versamento
delle ritenute certificate (art. 10-ter), di omesso versamento di IVA (art. 10-bis), di indebita compensazione,
21 Cfr. F. Pistolesi, Le risultanze del processo penale ed i loro effetti
nel processo tributario, cit. p.14
DOTTRINA
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
limitatamente all’ipotesi di crediti non spettanti (art.
10-quater, comma 1) qualora i debiti tributari, comprensivi di sanzioni e interessi, siano stati integralmente
pagati prima dell’apertura del dibattimento di I grado.
Il pagamento degli importi può essere effettuato anche
mediante le speciali procedure conciliative e di adesione
dell’accertamento, nonché mediante il ravvedimento
operoso22.
Nell’art. 11, al co. 2, il legislatore ha introdotto pure
l’ipotesi di non punibilità dei reati di dichiarazione infedele (art. 4) e omessa dichiarazione (art. 5), nel caso in
cui i debiti tributari, comprensivi di sanzioni e interessi,
siano stati integralmente pagati per effetto del ravvedimento operoso, ovvero la dichiarazione omessa sia presentata entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, purché
l’interessato non sia a conoscenza di accessi, ispezioni e
verifiche già avviati dall’amministrazione finanziaria,
ovvero procedimenti penali23.
Inoltre, ne co. 3, sempre dell’art.11, è stabilito che,
nel caso in cui il contribuente, prima dell’apertura del
dibattimento di primo grado, stia provvedendo
all’estinzione del debito tributario mediante rateizzazione, è data la possibilità allo stesso soggetto di pagare il
debito residuo entro tre mesi. Il termine decorre dall’apertura del dibattimento di primo grado e può essere
prorogato una sola volta dal giudice per altri tre mesi.
Durante il maggior termine per adempiere, la prescrizione del reato è sospesa.
Lo stesso decreto n. 158 sulle sanzioni, al di fuori dei
casi di non punibilità per i reati espressamente indicati,
prevede, come “circostanze del reato”, che l’integrale
pagamento degli importi dovuti rileva ai fini della concessione di uno sconto di pena sino alla metà e l’inapplicabilità delle pene accessorie24.
Non può sfuggire a nessuno come, con le dette modifiche normative, l’affermata autonomia dei procedimenti
22 Con questo nuovo comma, il legislatore ha inteso non penalizzare quei contribuenti che, anche per cause di insolvenza, e senza
che vi sia un dolo specifico di evasione, non abbiano adempiuto al
versamento di quanto correttamente esposto in dichiarazione. Nella
Relazione illustrativa infatti si afferma che per i reati in esame la causa di non punibilità trova la sua giustificazione nella scelta di concedere al contribuente la possibilità di eliminare la rilevanza penale
della propria condotta attraverso una piena soddisfazione dell’erario
prima del processo penale: in tal caso infatti il contribuente ha correttamente indicato il proprio debito risultando in seguito inadempiente; il successivo adempimento, pur non spontaneo, rende sufficiente il ricorso alle sanzioni amministrative.
23 Anche in tal caso, si è deciso di premiare l’attività spontanea di
pagamento, pure della sanzione amministrativa, da parte del contribuente che, nei casi di dichiarazione fraudolenta, ha provveduto al
pagamento di quanto accertato dall’ufficio tributario.
24 Cfr. art. 13-bis del d.lgs. n. 74/2000 rubricato “circostanze
di reato”.
penali e tributari e la reciproca irrilevanza dei relativi
esiti nonché degli elementi fattuali e delle prove acquisiti
in ciascun contesto si stata non solo contraddetta in
maniera esplicita, ma pure enormemente sminuita.
Per effetto delle interferenze introdotte a livello legislativo, infatti, non v’è più solo una condivisione del
materiale istruttorio fra i due procedimenti e sussistono
veri e propri vincoli normativi in forza dei quali lo svolgimento del rapporto d’imposta e il relativo pagamento
diviene dirimente ai fini delle sorti del processo penale
e ne condiziona gli sviluppi. Quel che conta per il contribuente, anche a scapito delle garanzie poste dal principio di specialità, è dunque l’assolvimento del debito
tributario, sia a titolo d’imposta che di sanzione, al fine
di poter conseguire un beneficio in sede penale.
Si è introdotta, a nostro parere, una formale dipendenza del processo penale dalle vicende amministrative
di ordine tributario, il che può apparire extra ordinem o
comunque estraneo al modello dell’indipendenza reciproca dei due procedimenti sancito nell’art. 20 del
D.lgs. n. 74/2000.
6. Il raddoppio dei termini
Un altro esempio d’interferenza legislativa tra l’ambito amministrativo e quello penale- tributario è dato
dal differente termine di decadenza dell’azione di accertamento fissato ex lege a seconda della ravvisabilità o
meno nella condotta del contribuente degli estremi per
la presentazione della notizia di reato in ordine ad un
delitto tributario disciplinato dal D.lgs. n. 74/200025.
L’istituto del raddoppio dei termini, com’ è noto, è
stato introdotto con l’art. 37, co. 24, del d.l. 4 luglio
2006, n. 223, il quale ha inserito il co. 3, all’art. 43 del
D.P.R. n. 600/73 e all’art. 57 del D.P.R. n. 633/72. Il
nuovo comma ha previsto che, in caso di violazioni, che
comportano l’obbligo di denuncia ex art. 331 del c.p.p.
per uno dei reati tributari di cui al D.lgs. n. 74/2000, i
termini ordinari di decadenza per l’accertamento26
siano raddoppiati, relativamente al periodo d’imposta
in cui è stata commessa la violazione27.
V E. Marello, Raddoppio dei termini per l’accertamento e crisi
del “doppio binario”, in Riv. dir. trib., 2010, III, p. 95 e ss.
26 In base ai primi due commi dell’art. 43 del d.P.R. n. 600/1973
e dell’art. 57 del d.P.R. n. 633/1972,come è noto, gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza:
• entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui
è stata presentata la dichiarazione;
• in caso di omessa dichiarazione della dichiarazione o di presentazione di una dichiarazione nulla entro il 31 dicembre del
quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe
dovuto essere presentata.
27 La proroga non opera per le fattispecie evasive che non hanno
rilevanza per il d.lgs. n. 74/2000. Possono, quindi, ritenersi esclusi
dall’ambito di applicazione del raddoppio dei termini di accerta25
71
72
DOTTRINA
Nel caso l’accertamento riguardi, complessivamente,
imposte sui redditi, IVA e IRAP, il raddoppio dei termini riguarda solamente il tributo cui si riferisce l’ipotesi
di reato. Questo implica che si deve escludere dall’ambito di applicazione l’IRAP, in riferimento alla quale
non esiste alcuna norma incriminatrice e che se l’ipotesi
di reato riguarda le imposte dirette, o viceversa solo
l’IVA, il raddoppio dei termini non è automaticamente
esteso all’altra imposta.
La ratio del raddoppio dei termini è di dare agli uffici tributari più tempo per le pratiche fiscali che ritiene
più insidiose ed anche per consentire a questi ultimi di
accogliere nell’accertamento tributario ed impiegare il
materiale acquisito nell’ambito delle indagini penali.
Tale regime è stato, fin da subito, oggetto di letture
contrastanti e di critiche. In particolare, da più parti si
è lamentato il pericolo che esso potesse dar luogo a una
proliferazione indiscriminata di denunce penali da
parte degli uffici tributari al solo scopo di beneficiare di
un allungamento dei termini, mediante una qualsiasi
comunicazione inoltrata alla Procura per un qualsiasi
reato e, per giunta, una volta che erano scaduti i termini
ordinari per l’accertamento.28
In questo contesto, è maturata l’esigenza di una riforma dell’istituto del raddoppio dei termini, realizzata di
mento, gli illeciti concernenti violazioni valutarie e doganali, i comportamenti del contribuente in occasione delle verifiche fiscali e
l’evasione delle imposte indirette diverse dall’IVA, come l’imposta di
registro, di successione e donazione, e per effetto di quanto disposto
dall’art. 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212 (statuto del contribuente), anche tutte le ipotesi di abuso del diritto.
28 Sulla questione è intervenuta la Corte Costituzionale, con la
nota sentenza n. 247 del 25 luglio 2011, che ha riconosciuto la legittimità costituzionale della norma de qua, escludendo la violazione
degli articoli 3 e 24 della Costituzione, invocati in quanto la norma
avrebbe irragionevolmente prorogato o riaperto termini di decadenza ormai scaduti, così ledendo l’esigenza di certezza dei rapporti giuridici ed il diritto di difesa dei contribuenti. La Corte per giustificare
il raddoppio anche quando i termini ordinari per l’accertamento
erano scaduti ha addirittura ha ipotizzato la possibilità di intravedere, nel testo della norma, la coesistenza di due termini autonomi di
accertamento: un termine breve in assenza dell’obbligo di denuncia
penale ed uno lungo quando sussiste per legge l’obbligo di denuncia
penale per uno dei reati previsti dal d.lgs. n.74 del 2000. Questi due
termini sarebbero entrambi ordinari e, soprattutto, tra loro autonomi
ed indipendenti, non rappresentando l’uno il mero prolungamento
dell’altro. Secondo la Corte, in pratica, la norma non “riapre” o “proroga” termini già spirati, ma ne introduce differenti applicabili a fattispecie ab origine diverse. Non c’è reviviscenza di termini, bensì di termine diversi che l’Amministrazione dovrebbe applicare senza margine
di discrezionalità. La sentenza della Corte è stata fortemente criticata
soprattutto perché ha legittimato la prassi dell’Amministrazione finanziaria di inoltrare la denuncia ai fini del raddoppio, una volta già
esauriti i termini brevi dell’azione accertativa ed al solo scopo di una
loro reviviscenza a posteriori. Pertanto dopo la riferita sentenza si era
venuta a determinare una situazione di grave incertezza (fomentata da
sentenze delle Commissioni tributarie o unidirezionali o, a dir poco,
stravaganti) circa la durata dei termini di accertamento e l’applicazione del raddoppio.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
recente mediante l’ art. 2 del D.lgs. n. 128/2015, che ha
modificato il co. 3 dei citati artt. 43 e 57 con l’inserimento di un nuovo inciso il quale dispone che: “Il raddoppio non opera qualora la denuncia da parte
dell’Amministrazione finanziaria, in cui è ricompresa la
Guardia di finanza, sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui ai commi precedenti”29.
La modifica è di sostanza: se l’amministrazione finanziaria (nel cui ambito va compresa anche la Guardia di
finanza) intende avvalersi del raddoppio dei termini, lo
deve palesare entro i tradizionali termini di accertamento ed il raddoppio è subordinato alla effettiva e concreta
presentazione o alla trasmissione della denuncia ex art.
331 c.p.p. entro i termini di accertamento canonici30.
Ci siamo voluti soffermare sulla disciplina sul “raddoppio dei termini” perché essa, a nostro avviso, rappresenta l’ulteriore conferma dell’assunto che la proliferazione, a vario livello, delle deroghe al “doppio binario” ha finito per sfaldare il principio, che quindi è decaduto. Nel raddoppio rimane evidente che l’esigenza di
autonomia dei due procedimenti, espressamente enunciata dall’art. 20 del D.lgs. 74/2000, è stata sacrificata
alle esigenze efficentiste degli uffici tributari di implementare l’azione di contrasto avverso le condotte fiscalmente illecite, ottenendosi il risultato del ridimensionamento del processo penale a ruolo di strumento rispetto alle finalità erariali di soddisfacimento del debito
d’imposta31.
29 Il D.lgs. n. 128 del 5 agosto 2015, entrato in vigore il 2 settembre 2015, in attuazione di quanto previsto dall’art. 8, comma 2, della
Legge n. 23/2014, aveva delegato il Governo a definire la portata applicativa del raddoppio dei termini, in particolare prevedendo che tale
raddoppio si verificasse soltanto in presenza di effettivo invio della denuncia, ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale, effettuato entro un termine correlato allo scadere del termine ordinario
di decadenza, fatti comunque salvi gli effetti degli atti di controllo già
notificati alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi.
30 Ne consegue che risiede in capo all’amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare la tempestività ed effettività nella presentazione della denuncia. Occorre però ricordare che detto onere potrà
sorgere solo se ed in quanto il contribuente provveda a eccepire, nei
dovuti termini e modi, la tardività dell’accertamento. Trattandosi di
decadenza dell’amministrazione, alla stregua della consolidata giurisprudenza di legittimità si ritiene che l’assenza o tardività della denuncia non saranno rilevabili d’ufficio dal giudice, ma dovranno essere opposti dal contribuente nel primo atto difensivo o con apposita memoria ex art. 24, co. 2 del D.lgs. 546/92, nel caso in cui la denuncia venga prodotta solo in giudizio dall’amministrazione.
31Per l’Agenzia delle entrate, circolare n. 54/e del 23 dicembre
2009, invece l’ampliamento dei termini opera a prescindere dalle
successive vicende del giudizio penale che consegua alla denuncia,
non sembrando ragionevole ipotizzare che il legislatore abbia voluto subordinare l’efficacia del procedimento tributario di accertamento - e delle risultanze istruttorie ivi raccolte - al verificarsi di
una fattispecie successiva ed eventuale, quale la pronuncia di condanna penale del contribuente, il che farebbe salvo il principio di separazione tra procedimento amministrativo di accertamento e
procedimento penale fissato dall’art. 20 .
DOTTRINA
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Oltre il sistema del “doppio binario”
di Arturo Toppan
UN’ECCEZIONE ALLA REGOLA CHE PUÒ
APRIRE NUOVI SCENARI
Anche se sempre più frequentemente si erano levate
autorevoli voci critiche1 verso il sistema del doppio
binario, adottato ormai da oltre trent’anni dal nostro
legislatore, la recente “Revisione del sistema sanzionatorio” penale tributario, introdotta con il D. Lgs.
158/2015, nulla ha innovato al riguardo.
Del resto, nessuna previsione in proposito era contenuta nella legge delega e ciò indurrebbe, secondo ragionevolezza, a ritenere che ancora per molto tempo perdureranno, e probabilmente si aggraveranno, le numerose
incongruità del sistema messe in luce dai commentatori.
Tuttavia, a ben vedere un’eccezione alla regola è stata
posta, e non di poco conto, mediante la nuova configurazione dell’istituto dell’abuso del diritto, così come
finalmente codificato (art. 10 bis L. 212/2000, introdotto con il D. Lgs. 128/2015).
Il legislatore, infatti, ha statuito in via definitiva che
le operazioni abusive/elusive (normativamente equiparate) costituiscono illeciti tributari, e come tali sono
soggette a sanzioni, ma ha escluso che le stesse possano
avere rilevanza penale anche qualora lo scostamento tra
l’imposta dichiarata e quella effettivamente dovuta, a
seguito della riqualificazione delle operazioni effettuata
dall’amministrazione finanziaria, superi la nuova soglia
di punibilità fissata dall’art. 4 del D.Lgs 74/2000.
In questo caso ha optato, dunque, per un unico binario, quello tributario, nel quale procedere, oltre che
all’accertamento ed al recupero dell’imposta, anche all’irrogazione della sanzione amministrativa, senza ricorrere
alla sanzione penale, mantenuta ferma, invece, per tutti
gli altri casi di infedele dichiarazione sopra la soglia.
D’altra parte, un’altra deviazione dalla regola del
doppio binario era già contenuta nella seconda riforma
penaltributaria, laddove (artt. 19-21 D. Lgs 74/2000)
veniva stabilito, in conseguenza del nuovo principio di
specialità tra sanzioni, che le sanzioni amministrative
irrogate fossero ineseguibili fino alla definizione del
1 I. CARACCIOLI Il sistema penale tributario –situazione attuale e modifiche necessarie; Neotera n.1/2015 p. 47; A. PERINI e G.
SOLDI Inconvenienti e necessità di superare il doppio binario; Neotera n. 1/2015, p. 42.
procedimento penale, in tal modo configurando –in
quello specifico ambito– una vera e propria pregiudiziale penale. E tale regola tutt’ora vale, anche se è stata poi
in gran parte superata con l’introduzione della responsabilità diretta ed esclusiva delle società aventi personalità giuridica per le sanzioni tributarie connesse all’evasione attuata dagli organi societari (art. 7 D.L.
269/2003).
Alla luce di questi segnali, che dimostrano che il
principio del doppio binario non è poi un dogma, è
possibile, dunque, confidare in futuri e più significativi
interventi di modifica del sistema?.
La risposta più ragionevole è quella negativa, vista
l’inerzia del legislatore a mettere mano, in questo settore, sugli assetti consolidati e la sua preferenza a lasciarne
il compito alla giurisprudenza, ma ciò non toglie che
una riforma sia necessaria,
Continuare a prospettare rimedi urgenti è comunque doveroso, perché significa porre le basi per progredire sulla strada del giusto processo tributario2.
LE RADICI DELLA CRISI DEL DOPPIO BINARIO
a) La prima riforma penaltributaria.
Le radici della crisi del sistema, a mio avviso, non si
rinvengono affatto nella filosofia ispiratrice della storica
riforma del 1982 (L. 516/1982, conosciuta anche con il
nome di “Manette agli evasori”).
I suoi principali pilastri sono noti.
In primo luogo, l’abbandono della cd. “pregiudiziale tributaria”, che si era dimostrata nei fatti del tutto
inadeguata alla funzione di dissuasione/repressione
della forte evasione fiscale, attuato affidando la forza
deterrente della sanzione penale ad un procedimento da
attivare non appena avuta la notizia di reato.
La funzione del processo penale, però, si esauriva
nell’irrogazione della pena, mentre lo scopo prioritario
in materia tributaria -quello dell’accertamento dell’imposta evasa e del suo recupero- poteva essere assicurato
soltanto attraverso il processo tributario; e dunque
entrambi i processi erano necessari.
2 P. RUSSO Il giusto processo tributario; Rassegna Tributaria n.
1/2004.
73
74
DOTTRINA
Essendo prevista la loro simultaneità, venne adottata
la regola dei binari paralleli, nell’ottica dell’abolizione di
ogni pregiudiziale che ne potesse rallentare, anche nella
semplice forma di sospensione facoltativa, la definizione.
Tuttavia, tale regola, che sanciva l’autonomia dei
procedimenti, non li rendeva tra loro impenetrabili,
perché ciò si sarebbe posto in contrasto irragionevole
con la funzione strumentale e complementare dell’uno
rispetto all’altro voluta con la riforma.
Proprio per evitare contrasti tra decisioni venne previsto che il giudicato penale facesse stato, nel giudizio
tributario, circa i fatti accertati in quella sede (art. 12 L.
516/1982), essendo impensabile che i fatti così come
ricostruiti nel processo penale, caratterizzato dalla possibilità di mezzi probatori più penetranti e dalla garanzia del contraddittorio, e quindi maggiormente in grado
di arrivare al massimo livello di accertamento della verità, potessero essere disconosciuti, o non valutati, nel
parallelo giudizio tributario, caratterizzato invece, ora
ed allora, da limitazioni alla prova.
Tutto ciò rispondeva sicuramente al principio, ormai
superato, ma all’epoca particolarmente sentito, dell’unitarietà e dell’intangibilità del giudicato; indubbiamente,
però, era anche ispirato ad un superiore principio di
economia processuale, in linea con il fine della ragionevole durata dei procedimenti, che attualmente costituisce uno dei pilastri del giusto processo.
Oltre a tale raccordo finale tra i due binari, erano
anche previsti -coerentemente con la dichiarata finalità
di utilizzare anche allo scopo del recupero dell’imposta
evasa la funzione servente e complementare del processo penale, con tutte le enormi potenzialità che lo stesso
offriva in materia di raccolta di prove- vari canali attraverso i quali materiale probatorio raccolto in sede penale poteva essere trasferito alla sede tributaria.
L’art. 63 DPR 633/1972 e l’art. 33 DPR 600/1973
prevedevano, infatti, che gli atti raccolti in sede d’indagine penale potevano essere utilizzati, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria, ai fini dell’accertamento
tributario.
Insomma, il legislatore si era mosso con una coerente visione sistematica del nuovo scenario processuale, la
quale teneva giustamente conto, almeno in astratto,
delle sinergie reciproche e della strumentalità tra i due
processi.
L’errore, constatato a posteriori, fu semmai un altro,
e cioè quello di ritenere che a ridurre l’evasione fosse
sufficiente la minaccia di una sanzione penale.
Inoltre, fu certamente sopravvalutata la capacità
delle strutture penali di far fronte ad un numero
impressionante di procedimenti (erano previste, infatti,
numerose figure di reati contravvenzionali, il cui accer-
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
tamento avrebbe dovuto, secondo le intenzioni del legislatore, sbarrare la strada all’evasione), che finirono per
letteralmente intasare i vari uffici giudiziari.
b) La seconda riforma.
E’ con la seconda riforma penaltributaria –quella
introdotta con il D.Lgs. 74/2000, più volte modificato
e recentemente oggetto della “revisione” introdotta con
il D. Lgs. 158/2015, che costituisce l’impianto normativo attualmente vigente- che si sono manifestati i più
forti inconvenienti, alcuni dovuti a sottovalutazioni in
sede di riforma, altri a lacune normative, altri ancora ad
una diversa, e profonda, trasformazione del processo
penale non accompagnata da analogo percorso sul versante del giudizio tributario.
Il principio ispiratore di tale riforma, quello di limitare la repressione penale soltanto a poche condotte
fiscalmente illecite caratterizzate dalla fraudolenza, era
ben condivisibile -e tutt’ora dovrebbe ispirare le future
norme penaltributarie- ma venne puntualmente poi
trascurato per esigenze di cassa allorquando vennero
introdotte, con leggi successive, varie figure di reato
incentrate su omessi versamenti3; e tale tendenza è stata
confermata anche nella recente “revisione” del sistema,
essendo state mantenute tutte queste figure di reato,
relativamente alle quali è stata soltanto innalzata la
soglia di punibilità.
La riforma mantenne il sistema del doppio binario,
necessario in quanto diversi erano gli scopi e le finalità
dei due processi. Mutò radicalmente, però, il loro rapporto perché entrambi venivano ad avere, per come
erano strutturate le nuove norme incriminatrici, lo stesso oggetto: l’”accertamento dell’imposta evasa”; l’accertamento, cioè, che prima caratterizzava esclusivamente il
processo tributario, visto che le varie figure di reato delineate dalla prima riforma erano volte a reprimere accertare condotte soltanto prodromiche e strumentali
all’evasione.
Probabilmente all’epoca vennero sottovalutate le
potenziali criticità insite nella coincidenza dell’oggetto
dei due giudizi, le quali, tuttavia, immediatamente si
manifestarono, perché fin da subito i giudici penali
adottarono criteri penalistici circa la valutazione dell’imposta evasa, rifiutando di dare ingresso alle presunzioni tributarie, largamente utilizzate, invece, sia in
sede di accertamento amministrativo, sia nel successivo
giudizio tributario.
3 Per una rassegna critica: P. ALDROVANDI Crisi aziendale e
reati di omesso versamento di tributi tra contrasti giurisprudenziali ed
esigenze di riforma; Neotera n. 1/2015 p. 53.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Il che poneva le premesse per il formarsi di clamorosi
contrasti di giudicato, come nei fatti avvenne.
Due fattori contribuirono ad aggravare tale effetto
negativo.
In primo luogo, la mancanza di qualsiasi previsione di
armonizzazione delle prevedibili e frequenti interferenze
tra i due procedimenti, le quali potevano manifestarsi, ad
esempio, nei casi in cui nel corso del procedimento
amministrativo, ovvero nel corso del giudizio tributario,
l’imposta definitivamente accertata risultasse inferiore
alla soglia di punibilità penale, vuoi per rettifiche in autotutela, vuoi per ravvedimento operoso, per accertamento
con adesione, per conciliazione giudiziale, etc.
Al riguardo, anzi, la formulazione letterale degli artt.
13 e 14 del D. Lgs 74/2000 indusse la maggior parte
dei commentatori a ritenere che tutti questi eventi in
sede tributaria non avessero alcuna influenza nel giudizio penale, nel quale potevano, al più, valere quali eventuali circostanze attenuanti. Soltanto in seguito si consolidò l’orientamento secondo il quale il giudice penale,
pur nella sua autonoma valutazione degli elementi probatori, doveva recepire il consolidamento, nell’istituzionale sede tributaria, dell’accertamento dell’imposta
evasa sotto la soglia di punibilità, potendosene discostare soltanto nel caso disponesse di ulteriori e diversi elementi autonomamente raccolti in sede penale.
L’altro fattore di aggravamento delle criticità fu
l’abrogazione dell’art. 12 della L. 516/1982, secondo cui
la sentenza penale irrevocabile faceva stato nel giudizio
tributario circa i fatti accertati nel giudizio penale, abrogazione che fu frutto di una precisa scelta legislativa.
Già fin dall’introduzione del nuovo Codice di
Procedura Penale, e quindi nel decennio antecedente la
seconda riforma penaltributaria, era divenuto palese che
la nuova norma codicistica (art. 654 C.P.P.) relativa
all’efficacia del giudicato penale in altri giudizi –la
quale limitava l’efficacia stessa, sotto il profilo soggettivo, a coloro che fossero intervenuti nel giudizio, ovvero
che si fossero costituiti parte civile e, sotto il profilo
oggettivo, la escludeva nei giudizi nei quali la legge
poneva “limitazioni alla prova della posizione giuridica
controversa”- si poneva in chiaro contrasto con la previsione dell’art. 12, che continuava ad attribuire, invece,
al giudicato penale efficacia vincolante nel giudizio tributario, anche se nello stesso era vietata la prova testimoniale. Tanto che la più attenta dottrina aveva sostenuto che l’art. 12 doveva ritenersi ormai tacitamente
abrogato.
Il legislatore della seconda riforma penaltributaria
doveva, pertanto, prendere posizione e preferì abrogare
l’art. 12. Le ragioni della scelta vennero ampiamente
illustrate nella Relazione ministeriale allo schema di D.
DOTTRINA
Lgs delegato n. 74/2000, laddove si chiariva che veniva
“scartata ogni soluzione che postulasse un rapporto di pregiudizialità tra procedimenti…. Per un duplice ordine di
ragioni. Innanzitutto per l’inaccettabile dilatazione dei
tempi d’intervento della decisione che ne seguirebbe, e che
in fatto preluderebbe … ad un drastico illanguidimento
dell’efficacia del sistema sanzionatorio. In secondo luogo,
poi, per le diverse regole probatorie valevoli nei due processi, non esportabili sic et simpliciter dall’uno all’altro
senza che ne derivino effetti penalizzanti per l’imputato o
per l’amministrazione finanziaria. …si è pertanto affermato l’opposto principio dell’autonomia reciproca dei due
procedimenti (o del doppio binario) segnatamente escludendo che il processo tributario possa essere sospeso per la
pendenza del procedimento penale avesse ad oggetto gli
stessi fatti..).
I generici richiami a “soluzioni che postulavano rapporti di pregiudizialità tra procedimenti”, oppure ad “un
drastico illanguidimento dell’efficacia del sistema sanzionatorio”, ovvero agli “effetti penalizzanti per l’imputato o
per l’Amministrazione finanziaria” in verità apparivano
poco convincenti ed abbastanza incoerenti per giustificare l’abrogazione di una norma che, pur costituendo
ormai eccezione alla regola generale dell’art. 654 C.P.P.,
aveva consentito, fin dall’adozione del sistema del doppio binario, un raccordo finale tra processo penale e
processo tributario.
Sembrava irragionevole, infatti, che in nome della
“capacità di pronta risposta del sistema” all’evasione tributaria venisse in quel modo ristretta l’efficacia ad ampio
raggio della risposta penale, indubbiamente caratterizzata dalla maggiore affidabilità del suo risultato, ottenuto
con l’ausilio dei mezzi più penetranti e più appaganti di
prova, nel rispetto del contraddittorio tra le parti.
Il mantenimento dell’art. 12, sia pure come eccezione alla regola generale dell’art. 654 C.P.P., appariva, del
resto, ancor più giustificato dalla circostanza che i due
processi venivano ad avere, nell’ambito di questa seconda riforma, lo stesso oggetto, e quindi l’accertamento
degli stessi fatti materiali.
Quella scelta legislativa, tuttavia, non venne poi
messa da alcuno in discussione, tutti ormai concordando sul fatto che il giudicato penale debba essere autonomamente valutato dal giudice tributario, che può ricavare da quella sentenza indizi o elementi di prova critica
in ordine all’evasione fiscale, adeguatamente motivandoli, senza esserne vincolato4.
4 Per una completa rassegna, F. TESAURO Ammissibilità nel
processo Tributario delle prove acquisite in sede penale; Rassegna Tributaria n. 2/2015 p. 323.
75
76
DOTTRINA
Particolare efficacia, peraltro, viene riconosciuta alla
sentenza di patteggiamento “in quanto presuppone
l’esclusione della prova dell’insussistenza del fatto o della
prova che il fatto accertato non è stato commesso dall’imputato” e perciò “rappresenta per il giudice tributario un
consistente elemento di valutazione a sostegno della tesi
dell’amministrazione finanziaria”5.
La crisi del sistema si aggravò soprattutto perché il
legislatore, pur abrogando l’art. 12, rese più agevole la
trasmissione all’amministrazione finanziaria di materiale probatorio raccolto in sede penale.
La trasmissione agli uffici finanziari degli atti d’indagine relativi a reati tributari fino ad allora era assoggettata, infatti, all’autorizzazione dell’autorità giudiziaria
“in relazione alle norme che disciplinano il segreto”,
norma che era stata interpretata nel senso che l’autorizzazione de qua poteva intervenire soltanto una volta cessato il segreto investigativo, secondo la disposizione dell’art. 329 del Codice di Procedura Penale.
L’art. 23 del D. Lgs 74/2000 stabilì, invece, che l’autorizzazione poteva essere rilasciata “anche in deroga alle
disposizioni sul segreto” e la già menzionata Relazione
ministeriale specificava, al riguardo, che “nel concedere o
negare la trasmissione, l’Autorità giudiziaria potrà compiere, caso per caso, una valutazione comparativa dell’interesse a non diffondere comunque ante diem la conoscenza
di atti che possono risultare cruciali per lo svolgimento delle
indagini e quello contrapposto dell’Amministrazione
finanziaria ad avere pronta notizia di acquisizioni investigative suscettive di portare all’avvio di procedure di recupero di imposte o di applicazione di sanzioni”.
Fu inequivocamente statuito, dunque, un rafforzamento dell’utilizzabilità in sede tributaria di elementi
probatori penali, in un quadro di chiara visione della
strumentalità del processo penale anche in chiave di
recupero delle imposte; significativo, al riguardo, il riferimento all’interesse dell’Amministrazione “ad avere
pronta notizia di acquisizioni investigative suscettive di
portare all’avvio di procedure di recupero di imposte o di
applicazione di sanzioni”.
Tale rafforzamento, però, venne effettuato proprio
nel momento in cui il divario tra i due processi era
destinato, per altri motivi, a diventare sempre più
profondo.
In quel periodo, infatti, il processo penale era stato
radicalmente riformato mediante l’introduzione del cd.
5 Cassaz. Sez. Trib. n. 8153/2015 in Rassegna Tributaria 2015
p.63; con nota di M. T. MONTEMITRO Gli effetti del giudicato
penale sul processo tributario. Peculiarità dell’istituto di cui all’art.
444 c.p.p..
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
processo accusatorio e la sua trasformazione era in continuo divenire, sia per i reiterati interventi della Corte
Costituzionale circa le legittimità delle nuove norme,
sia per le continue modifiche legislative di adeguamento, sia per l’introduzione dei principi del giusto processo, recepiti nell’art. 111 della Costituzione, per i quali il
contraddittorio tra le parti andava garantito fin dal
momento della formazione della prova e non soltanto
nel momento della sua valutazione.
Mentre il nuovo processo penale in tal modo si
avviava a completare un lungo percorso di avvicinamento alle regole del giusto processo, il processo tributario
continuava a mantenere, invece, il divieto di prova testimoniale. E per molti altri aspetti ancora è ben lontano
dal modello di giusto processo, anche se nel suo ambito
si svolge una piena funzione giurisdizionale.
Ciononostante, nessun intervento venne effettuato
dal legislatore per meglio raccordare ed armonizzare i
due processi, pur manifestandosene sempre più frequentemente l’urgenza perché il materiale probatorio
penale suscettibile di entrare nel processo tributario era
divenuto via, via maggiormente variegato.
Per qualche sintetico riferimento, basterà considerare che, sul versante del processo penale, la prova testimoniale di regola deve formarsi, salvo alcune eccezioni,
di fronte al giudice del dibattimento e nel pieno contraddittorio delle parti, le quali procedono all’esame
incrociato. Le dichiarazioni rese alla P.G. prima del
dibattimento sono qualificate, invece, come “s.i.t. –
sommarie informazioni testimoniali” rese non da “testimoni”, ma da “persone informate dei fatti” e sono utilizzabili al dibattimento soltanto al fine di contestazioni
al testimone.
Ben diversa, dunque, è, davanti al giudice penale, la
forza probatoria di queste varie tipologie di dichiarazioni (e ben diversa la possibilità di valutarle nel loro quadro d’insieme); tutte, peraltro, sono suscettibili di trasmigrare davanti al giudice tributario, il quale spesso
non è in grado di apprezzarne la diversa valenza e,
comunque, non ha a disposizione tutte le dichiarazioni
rese, bensì singoli frammenti.
Allo stesso modo, le dichiarazioni dei coimputati, o
di imputati di reato connesso, nel processo penale devono essere confermate davanti al giudice del dibattimento, sempre nel contraddittorio tra le parti, assicurando
così al difensore dell’accusato il diritto di interrogare i
suoi accusatori; inoltre, per assurgere al rango di prova,
devono trovare oggettivi riscontri (art. 192 C.P.P.).
Mentre il giudice penale può valutare la portata di
dichiarazioni accusatorie nel quadro complessivo delle
dichiarazioni degli imputati e dei testimoni, il giudice
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
tributario si trova spesso nell’impossibilità di disporre di
tutti questi elementi6.
Le intercettazioni telefoniche o ambientali vengono
trascritte dalla P.G. in appositi brogliacci riassuntivi, ma
l’imputato ha diritto di conoscerne, per mezzo di una
perizia, l’esatto contenuto e di interrogare le persone
intercettate. Tutto ciò non è possibile, invece, nel giudizio tributario, nel quale entrano soltanto frammenti
di conversazioni, senza possibilità di effettivo contraddittorio.
LA SITUAZIONE ATTUALE
a) Il versante del processo penale.
L’evoluzione, appena descritta sinteticamente, del
sistema del doppio binario si è stabilizzata in maniera
diversa nei due versanti processuali.
Com’era prevedibile, sul versante del processo penale
l’assimilazione sempre più estesa dei principi del giusto
processo, e quindi del contraddittorio nella formazione
della prova, ha consentito di superare ben presto le varie
questioni interpretative circa l’acquisizione e la portata
probatoria del processo verbale di constatazione redatto
in sede tributaria, formandosi al riguardo un orientamento ormai largamente condiviso7.
Anche le problematiche relative all’incidenza, nel
giudizio penale, di un eventuale consolidamento, in
sede tributaria, dell’imposta evasa al di sotto della soglia
di punibilità hanno trovato ormai una soddisfacente
soluzione in quell’orientamento (Cassaz. 7615/2014),
secondo il quale, pur con la premessa che “il superamento o meno della soglia di punibilità penale spetta esclusivamente al giudice penale , non essendo prevista alcuna
forma di pregiudiziale tributaria”, il giudice “non può
prescindere dalla pretesa tributaria dell’amministrazione
finanziaria così come è venuta a consolidarsi in misura
inferiore a quella iniziale nella sede propria, cosicchè per
discostarsi dal dato quantitativo risultante dall’accertamento con adesione o dal concordato fiscale… occorre che
risultino concreti elementi di fatto che rendano maggiormente attendibile l’iniziale quantificazione dell’imposta
dovuta”.
6 Per le problematiche insorte a seguito della riforma costituzionale introdotta con la L. n. 2/1999, G. BERSANI Corte Costituzionale, dal processo tributario al “giusto processo tributario”; il Fisco n.
34/2003 p. 5391.
7 G. BERSANI Processo verbale di constatazione della Guardia di
finanza. Limiti all’utilizzabilità in sede penale; il Fisco n. 39/1999 p.
12523.
DOTTRINA
E’ da augurarsi che non si consolidi, invece, quel criticabile orientamento (Cassaz. 17982/2014; contra:
Cassaz. 19595/2014), secondo il quale le presunzioni
previste dalla normativa fiscale, pur non essendo idonee
a giustificare una sentenza di condanna penale, avrebbero valore indiziario sufficiente per l’adozione di un
provvedimento di sequestro preventivo del profitto del
reato.
Non sembra ammissibile, infatti, che i criteri di
valutazione dell’imposta evasa possano essere diversi a
seconda della fase processuale. Anche se nella fase cautelare è sufficiente soltanto la prova del fumus commissi
delicti”, è pur vero che la valutazione in tal senso deve
essere effettuata con gli stessi criteri con i quali viene
valutata, nella fase del giudizio, l’entità dell’imposta
evasa; quelli, cioè, che escludono l’uso di presunzioni.
Per non dire che, proprio per la portata a volte devastante delle misure cautelari reali in materia di reati tributari, il giudice dovrebbe fare uso ancora più prudente
dei poteri.
L’equivoco di fondo introdotto con la seconda riforma penaltributaria, prevedendo che entrambi i processi
avessero come stesso oggetto l’accertamento dell’imposta evasa, sarà, comunque, destinato a creare ancora
altre interferenze nel processo penale.
b) Il versante del processo tributario.
La crisi del sistema del doppio binario si è manifestata soprattutto su questo versante, com’era prevedibile, del resto, visto che il legislatore non ha in alcun
modo previsto e regolato i criteri da adottare per la valutazione di quel materiale probatorio penale piuttosto
variegato e prima sinteticamente illustrato, trasmesso in
sede tributaria.
Eppure, proprio nel momento in cui esplicitamente
si rafforzava la trasmissione all’amministrazione finanziaria di atti d’indagine penale “suscettivi di portare
all’avvio di procedure di recupero di imposte o di applicazione di sanzioni” si era chiaramente posto il problema
della loro valutazione nell’ambito di un processo che
rifiuta la testimonianza e che non garantisce pienamente il contraddittorio.
Era il momento più opportuno, dunque, per introdurvi la prova testimoniale, così da ridurre grandemente le criticità.
Anche in questo caso fu lasciato alla giurisprudenza,
invece, il difficile compito di regolare le interferenze tra
i due processi, stabilendo quali atti penali potessero
entrare nel processo tributario e quale forza probatoria
rivestissero.
Sotto il primo profilo, la Corte di Cassazione andò
al di là dell’ampia possibilità di circolazione di prove tra
77
78
DOTTRINA
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
processi, già consentita dalle norme prima indicate oltre
che dai principi generali del nostro ordinamento, ritenendo ammissibili nel processo tributario anche le
prove illegittimamente formate nel processo penale di
provenienza.
Ammissibilità che viene giustificata tenendo conto
del “minor tasso di garanzia del diritto al contraddittorio
nel procedimento tributario”, per effetto del quale le
stesse rivestirebbero il ridotto valore di “elementi indiziari”; in altri termini, possono trovare ingresso per la
loro minore attendibilità.
L’errore metodologico appare evidente, laddove
l’ammissibilità della prova viene fatta dipendere dal
grado di efficacia della stessa8.
Ben diversa, invece, la strada indicata dalla sentenza
della Corte di Giustizia (sentenza 17.12.2015), che,
dopo aver stabilito la possibilità di acquisizione nel processo tributario di prove ottenute in un procedimento
penale parallelo, ha cura di chiarire i limiti di tale principio generale, sottolineando che le stesse possono essere utilizzate dall’amministrazione finanziaria, “a condizione che l’ottenimento di tali prove nell’ambito del procedimento penale e il loro utilizzo nell’ambito del procedimento amministrativo non violino i diritti garantiti dal
diritto dell’Unione”; primo tra questi, il diritto al contraddittorio.
Quanto alla forza probatoria da attribuire al materiale probatorio trasmesso dal procedimento penale, la
giurisprudenza, considerando che nel giudizio tributario alcune prove erano sconosciute ed altre vietate, ma
che la circolazione del materiale probatorio era pienamente legittima ed istituzionalizzata (addirittura favorita, secondo la Relazione ministeriale prima riportata),
adottò l’unica conclusione possibile, e cioè quella per
cui potevano essere liberamente valutate dal giudice tributario come semplici elementi indiziari.
Allo stesso risultato, del resto, era pervenuta anche la
Corte Costituzionale con la decisone che sanciva la
legittimità dell’ingresso nel processo tributario delle
dichiarazioni di terzi raccolte dall’amministrazione
finanziaria nella fase procedimentale; dichiarazioni che
sono sostanzialmente testimoniali, ma che, stante il
divieto di tale mezzo di prova, vanno valutate soltanto
alla stregua di “elementi indiziari”.
Costituisce principio generale del nostro ordinamento, d’altra parte, quello per cui la circolazione delle
prove è possibile anche tra giurisdizioni separate, purchè siano autonomamente valutate da ciascun giudice.
8 F. TESAURO
cit. p. 325.
La stessa Corte di Giustizia, con la sentenza prima
menzionata, ha stabilito “conforme al diritto
dell’Unione… il fatto che l’amministrazione tributaria
possa, allo scopo di accertare la sussistenza di una pratica
abusiva in materia d’imposta sul valore aggiunto, utilizzare prove ottenute nell’ambito di un procedimento penale
parallelo non ancora concluso”, anche, si noti, “all’insaputa del soggetto passivo, mediante, ad esempio, intercettazioni di telecomunicazioni e sequestri di messaggi di posta
elettronica”.
Non sono condivisibili, perciò, le critiche di coloro
che vedono, nell’ammettere l’acquisizione nel processo
tributario di quel materiale probatorio, sia pure in veste
di elementi indiziari, un “surrettizio ingresso di prove
testimoniali” e una vera e propria lesione dell’autonomia del processo tributario stabilita dal principio del
doppio binario9.
L’autonomia dei due procedimenti si traduce nell’autonoma valutazione del materiale probatorio acquisito, condotta secondo le regole dei rispettivi processi da
parte di ciascuno dei giudici, ed è normativamente ribadita dal (a mio avviso, discutibile) divieto di sospensione
del processo tributario, in attesa dell’esito di quello penale, all’evidente scopo di non ritardarne la definizione.
Altra cosa, però, è la circolazione delle prove tra i
due processi, la quale è espressamente prevista e consentita dalla legge.
Al di là di questo rilievo, si coglie in tali critiche una
difesa dell’autonomia del processo tributario volta a
mantenerlo insensibile non solo alle prove testimoniali,
ma anche agli elementi indiziari che in quei modi possono trovarvi ingresso; volta a mantenere, cioè, un
assetto processuale non conforme alle regole poste
dall’art. 111 della Costituzione e che per questo
andrebbe al più presto riformato, allineandolo ai canoni del giusto processo.
Il tema della circolazione delle prove tra i due processi evidenzia, dunque, che proprio il binario del processo tributario presenta le maggiori criticità e costituisce l’anello debole del sistema, a causa, soprattutto,
della mancanza di un effettivo contraddittorio. Ed invece di adeguare il processo tributario alle regole del contraddittorio si finisce per ammettere nello stesso qualsiasi tipo di prova proveniente da altro processo, livellandole tutte al più basso grado di attendibilità.
Proprio per questo la situazione che si è via, via stratificata appare insoddisfacente.
9 F. PISTOLESI Crisi e prospettive del principio del doppio binario nei rapporti fra processo e procedimento tributario e giudizio penale;
Riv. Dir. Trib. 2014, I, p. 1989.
DOTTRINA
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Sul tavolo del giudice tributario, come si è visto, si
viene a scaricare materiale vario: ad es., vere e proprie
dichiarazioni testimoniali raccolte nel dibattimento
penale, frammiste a sommarie informazioni testimoniali raccolte nella fase delle indagini, le quali nel processo
penale hanno una ben diversa valenza; oppure dichiarazioni di coimputati, senza i necessari elementi di riscontro; frammenti di conversazioni telefoniche avulsi dal
contesto e magari ricavati dai brogliacci riassuntivi della
polizia giudiziaria, senza alcuna garanzia di corrispondenza all’effettivo contenuto. E tutto quel materiale
viene ritenuto ammissibile perchè indistintamente
appiattito, sul piano probatorio, al basso livello di elementi indiziari.
Si tratta all’evidenza di materiale scarsamente affidabile, non essendo offerto al giudice tributario il quadro completo, né essendo consentito che egli possa di
sua iniziativa ottenerne l’integrazione. Quel che soprattutto non è accettabile è che ciò avvenga senza che la
parte controinteressata possa interrogare coloro che l’accusano o forniscono elementi a suo sfavore, e senza
poter indicare testimoni a sua difesa.
Di questa carenza non sembra avere tenuto debito
conto, e la più attenta dottrina non ha mancato di muovere giuste critiche al riguardo10, la decisione della
Corte Cost. secondo la quale la sperequazione dei poteri
istruttori tra le parti che si verifica nel processo tributario potrebbe essere riequilibrata consentendo anche al
contribuente di produrre “dichiarazioni di terzi suscettibili di essere valutate”, oppure “ad opera dello stesso
giudice tributario”, il quale potrebbe avvalersi dei poteri
istruttori previsti dall’art. 7 del contenzioso, che
comunque non contemplano un contraddittorio in
condizioni di parità.
Il flusso consistente di materiale probatorio, tutto
ritenuto ammissibile data la sua valenza probatoria soltanto a livello indiziario, viene dunque a creare nel processo tributario una situazione di assoluta incertezza
probatoria, oltre che di sperequazione tra le parti, che
può essere fonte di giudizi insoddisfacenti, anche per la
stessa amministrazione finanziaria.
Emblematico, al riguardo, un recente caso in cui,
collateralmente allo sviluppo di un procedimento penale per reati di corruzione, nel corso del quale, a fronte
di chiamate in correità e di altre prove testimoniali, il
GIP emetteva ordinanza di custodia cautelare, in sede
tributaria si procedeva al recupero dell’imposta evasa,
10 S. MULEO Diritto alla prova, principio del contraddittorio e
divieto di prova testimoniale in un contesto di verificazione: analisi critica e possibili rimedi processuali: Rassegna Tributaria n.6/2002 p.
1995.
essendo emerso un reddito da proventi illeciti non
dichiarato.
Mentre in sede penale il giudicante ha avuto a disposizione, oltre alle chiamate in correità, anche tutte le
testimonianze che potevano o meno confermarle, nonché l’acquisizione delle movimentazioni bancarie e
l’esame diretto dei testi, il giudice tributario ha avuto a
disposizione soltanto alcuni stralci dell’indagine (in
sostanza, soltanto il processo verbale di constatazione
redatto dalla GdF a seguito di un’articolata indagine di
polizia giudiziaria) ed in tale situazione di carenza
istruttoria -un procedimento di tal genere richiede
necessariamente una completa e penetrante prova testimoniale- ha annullato l’avviso di accertamento.
POSSIBILI RIMEDI
Per quanto finora illustrato, il regime del doppio
binario originariamente delineato è profondamente
cambiato perché i due procedimenti si sono trasformati
manifestando differenze sempre più radicali ed inconciliabili, senza che il legislatore si preoccupasse di armonizzarli in maniera coerente e sistematica.
La crisi del doppio binario, tuttavia, si è acutizzata
soltanto sul versante del processo tributario, rimasto
sostanzialmente fermo rispetto all’assetto della riforma
del 1992 (come confermato anche dalle modeste, deludenti modifiche di dettaglio recentemente introdotte
con il D. Lgs 156/2015), senza che alcun effettivo adeguamento alle regole del contraddittorio venisse attuato.
Il processo tributario si è rivelato, dunque, l’anello
debole del sistema del doppio binario. E’ questo, perciò, il settore sul quale un legislatore dotato di visione
coerente e sistematica dovrebbe al più presto intervenire, anche perché le criticità relative all’armonizzazione
delle reciproche interferenze processuali finora illustrate
rappresentano soltanto uno degli aspetti della non corrispondenza del processo tributario ai canoni del giusto
processo. Canoni ai quali esso dovrebbe al più presto
uniformarsi, svolgendosi indubitabilmente nel suo
ambito una funzione giurisdizionale (la “quarta giurisdizione”, secondo la Corte Costituzionale), ben lontana, però, dai parametri previsti dall’art. 111 della
Costituzione.
Le linee di una riforma del processo tributario
dovrebbero articolarsi su due piani.
a) Sul piano procedimentale.
Un primo doveroso rimedio è quello di assicurare un
effettivo contraddittorio anche nel giudizio tributario e
la via obbligata in questo senso è quella di dare ingresso
alla prova testimoniale.
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DOTTRINA
L’ostilità del legislatore verso tale prova non ha alcuna giustificazione nella tradizione e gli approfondimenti svolti dalla più attenta dottrina lo hanno bene messo
in luce.
E’ soltanto una questione di politica legislativa, dunque, che non dovrebbe essere fuorviata dalla diffidenza
verso i testimoni in materia fiscale, perché è interesse
della stessa amministrazione finanziaria che la decisione
del giudice poggi su materiale maggiormente sicuro. E
su questo piano la testimonianza, che impegna sotto
giuramento il dichiarante, è indubbiamente già in se
stessa più affidabile delle varie tipologie di “dichiarazioni” sostanzialmente testimoniali.
Diversamente da queste, inoltre, consente un effettivo contraddittorio perché le parti possono indicare testi
a prova contraria rispetto a chi accusa, oppure testi a
chiarimento, senza che gli stessi possano sottrarsi a tale
dovere, come invece avviene nell’ipotesi di dichiarazioni
chieste a terzi dal contribuente per cercare di controbilanciare quelle dichiarazioni che l’amministrazione
finanziaria ha acquisito in sede procedimentale senza
alcun contraddittorio11.
Resterebbe da definire se l’effettività del contraddittorio debba essere assicurata fin dal momento della formazione della prova testimoniale (sulla falsariga di
quanto avviene nel settore penale), oppure soltanto nel
momento della sua valutazione.
Il tenore letterale dell’art. 111 della Costituzione,
infatti, riserva la prima caratteristica soltanto alla giurisdizione penale, ma in sede europea costituisce ormai
un dato acquisito quello per cui le garanzie penali devono valere in tutti i casi in cui viene inflitta una sanzione
sostanzialmente penale, anche se denominata amministrativa. E nel nostro ordinamento tributario il recupero dell’imposta evasa si accompagna frequentemente
all’irrogazione di robuste sanzioni amministrative, le
quali, secondo i parametri europei, sono assimilabili a
quelle penali. Non dovrebbero esserci motivi, perciò,
per non rendere pieno il contraddittorio.
Anche su questo versante, d’altra parte, la strada è
indicata dalla sentenza della Corte di Giustizia più volte
richiamata. Infatti, nell’ammettere come conforme al
diritto dell’Unione la trasmissione di prove raccolte in
un parallelo procedimento penale (alla condizione che
siano state legittimamente formate), la Corte sottolinea
che “spetta al giudice nazionale…verificare se, conformemente al principio generale del rispetto dei diritti della
difesa, il soggetto passivo abbia avuto, nell’ambito del procedimento amministrativo, di avere accesso a tali prove e di
11 Per una compiuta disamina delle problematiche, P. RUSSO
cit. p. 17 e segg.; F. TESAURO, cit. p. 331.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
essere ascoltato sulle stesse”; se tale diritto non risulta
rispettato, “detto giudice nazionale non deve ammettere
tali prove”. Il diritto di difesa, e quindi del contraddittorio in condizioni di parità, va garantito, dunque, fin
dall’inizio del procedimento amministrativo.
L’obiezione che l’ammissione della prova per testimoni causerebbe un considerevole allungamento dei
processi tributari, oggi abbastanza celeri, appare inconsistente per l’ovvia considerazione che addurre un
inconveniente non è una giustificazione e che sarebbe
comunque preferibile un processo più lungo, ma giusto,
rispetto ad un processo più rapido, ma sommario ed
ingiusto.
Peraltro, come si può ricavare dalla prassi, non sono
poi così numerosi i processi che richiedono, per una
corretta decisione, l’assunzione di prove testimoniali, la
gran parte di questi, essendo costituita da evasioni fraudolente (ora contemporaneamente oggetto di procedimento penale), le quali, come si vedrà più avanti,
potrebbero essere oggetto di ulteriore riforma, adottando per esse il modello di unico binario penale.
L’erroneità di tale obiezione, infine, può essere
meglio colta se si considera che la celerità dell’attuale
processo tributario dipende esclusivamente dal fatto che
si tratta di processo su base soltanto documentale; ed è
proprio tale tipo di processo, che non assicura un effettivo contraddittorio, che va trasformato in giusto processo (che, come tale, va certamente definito in tempi
ragionevoli).
Sotto altro aspetto, una corretta gestione della prova
testimoniale verrebbe assicurata da giudici esperti che
abitualmente la trattano, qualora la riforma verso un
giusto processo incidesse anche sul piano ordinamentale, affidando la giurisdizione tributaria a Sezioni specializzate presso i Tribunali ordinari.
b) Sul piano ordinamentale.
Sul piano ordinamentale sono state indicate da autorevoli commentatori gravi carenze del processo tributario perché la figura del giudice tributario, delineata dal
D.P.R. 545/1992, non corrisponde a quella di giudice
terzo ed imparziale.
Terzietà ed imparzialità, infatti, presuppongono
indipendenza ed autonomia (dall’esterno e dall’interno), requisiti che possono essere assicurati soltanto da
uno status di giudice professionale e da un organo di
autogoverno.
Che l’attuale corpo di giudici tributari non corrisponda ai requisiti appena indicati –nonostante l’indiscusso impegno di molti e nonostante i tentativi del
Consiglio Superiore della Giustizia Tributaria di adottare moduli organizzativi simili a quelli adottati dal
Consiglio Superiore della Magistratura ordinariaappare francamente indiscutibile.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Il legislatore, infatti, si è limitato ad introdurre l’organo di autogoverno, ma non ha previsto un reclutamento per concorso di giudici professionali ed a tempo pieno.
Ha reclutato, in sostanza, giudici onorari, i quali, potendo svolgere contemporaneamente altre attività, offrono il
fianco a dubbi circa la loro effettiva imparzialità12.
I vantaggi della scelta di un giudice professionale
(togato), a tempo pieno e specializzato sembrano evidenti.
Oltre ad avere finalmente un giudice che riveste tutti
i requisiti previsti dalla Costituzione, si creerebbe rapidamente una specializzazione (i precedenti delle Sezioni
specializzate costituite presso i Tribunali ordinari lo
confermano), la quale consentirebbe maggiore celerità
di decisioni e maggiore prevedibilità delle stesse, fungendo così anche da disincentivo all’instaurazione di
cause infondate.
In quest’ottica l’alternativa che si pone, nell’affidamento della funzione giurisdizionale tributaria, è quella tra il giudice amministrativo e quello ordinario.
La scelta preferibile, a mio avviso, dovrebbe cadere
sul giudice ordinario.
Al riguardo appare determinante non tanto la circostanza che già la Corte di Cassazione si occupa da tempo
del terzo grado del giudizio tributario, quanto la considerazione che una vera attuazione di un giusto processo tributario implica, come più volte sottolineato, il riconoscimento della prova testimoniale, mezzo di prova la cui
gestione viene meglio effettuata dal giudice ordinario, il
quale da sempre ne fa largo uso e la governa.
Appare essere questa la linea ispiratrice del disegno
di legge diretto ad affidare i processi tributari a Sezioni
specializzate dei Tribunali ordinari.
E’ indubbio che un giudice specializzato non si crea
dal nulla, mentre una scelta netta va fatta, ed in tempi
abbastanza rapidi, cercando di superare le numerose
resistenze create da uno stato di fatto da tempo cristallizzatosi (aspettative degli giudici tributari non togati;
resistenze dei difensori abilitati davanti alle
Commissioni Tributarie, ma non iscritti nell’Ordine
forense; resistenze dello stesso Consiglio Superiore della
Giustizia Tributaria che perderebbe il proprio elettorato
e le proprie prerogative, etc.).
Va sgombrato il campo, inoltre, da un’obiezione
apparentemente suggestiva, quella, cioè, che i tempi
attuali del giudizio tributario, abbastanza rapidi in quasi
tutto il territorio nazionale, verrebbero dilatati enormemente affidando la giurisdizione al giudice ordinario.
Si tratta, infatti, di un’obiezione che ignora che una
comparazione del genere è improponibile, perché il giu12
P. RUSSO, cit. p. 19.
DOTTRINA
dizio tributario si svolge esclusivamente su base documentale, cosicchè in un’unica udienza possono essere
trattati e definiti numerosi processi, mentre il giudizio
davanti al giudice ordinario prevede una scansione di
numerose udienze (costituzione, trattazione, istruttoria,
etc.) per ogni singola causa.
Questa radicale differenza è toccata frequentemente
con mano da tutti i giudici ordinari che rivestono anche
l’incarico di giudice tributario, quando nelle udienze
tributarie fungono da relatori di più cause che vengono
definite nell’udienza stessa, mentre, da giudici ordinari
civili, constatano che la definizione di una sola causa è
possibile soltanto dopo varie udienze.
Si tratta, dunque, di situazioni tra loro incomparabili.
Occorre, infine, sottolineare con forza che l’affidamento della funzione giurisdizionale tributaria a
Sezioni specializzate dei Tribunali (sulla falsariga delle
“Sezioni specializzate in materia d’impresa” istituite nel
2012, oppure delle “Sezioni addette alle controversie di
lavoro” istituite molto tempo prima) dovrebbe avvenire
in termini di effettiva efficienza, nel senso, cioè, che
non basterà prevedere il trasferimento delle funzioni
all’Autorità giudiziaria ordinaria (la quale, già in gravissima difficoltà per scoperture d’organico di magistrati e
cancellieri, collasserebbe definitivamente), essendo
necessario reclutare, in aggiunta all’esistente, un numero
adeguato di magistrati specializzati (e da qui una necessaria gradualità di tempi), nonché di cancellieri (il trasferimento del personale attuale di segreteria dal
Ministero dell’Economia e Finanze al Ministero della
Giustizia troverà numerose resistenze sindacali che
dovranno essere superate con incentivi professionali).
In sostanza, non sarà da ripetere l’esperienza dell’introduzione delle Sezioni specializzate in materia d’impresa, avvenuta senza adeguare gli organici, cosicchè il
loro funzionamento, in generale soddisfacente, è stato
reso possibile indebolendo altri settori della giurisdizione civile, sottraendo a questi risorse. Un modello valido
potrebbe essere costituito, invece, dall’ordinamento dei
Giudici del Lavoro.
Una riforma quale quella qui sollecitata dovrà, dunque, fornire adeguate e nuove risorse, per non indebolire altri delicati settori civili.
In un’ottica di concretezza sarebbe per questo necessario verificare la fattibilità ed i costi della proposta di
legge prima menzionata, affidandone il compito ad una
Commissione qualificata (composta da ANTI,
Consiglio Superiore della Giustizia Tributaria,
Ministero dell’Economia e Finanze, Ministero della
Giustizia), che in tempi rapidi indichi i supporti materiali necessari ed i relativi costi.
81
82
DOTTRINA
UNA RIFORMA ATTUABILE IN PARALLELO
Un nuovo scenario, ancora non chiaramente percepito, si è venuto a creare nei rapporti tra processo penale
tributario e giudizio tributario.
Fin dal 2008 è prevista per i reati tributari la confisca, anche per equivalente, del profitto del reato (art. 1,
co. 143, L. 24.12.2007), confisca che può essere preceduta da sequestro preventivo penale. La norma è stata
ora più opportunamente collocata nell’ambito del
D.Lgs. 74/2000 (nuovo art. 12 bis) e vale adesso per
tutti quei reati.
La più attenta dottrina13 ha subito osservato che in
tal modo il processo penale viene a svolgere anche una
nuova funzione, quella di recupero del tributo riservata
al giudizio tributario.
Sul piano dei principi generali l’osservazione non è
del tutto condivisibile perché tale confisca, secondo
unanime condivisione, ha chiara natura sanzionatoria
penale ed obbedisce al principio, affermatosi anche a
livello europeo nel settore dei reati economici, secondo
cui occorre impedire all’autore del reato il mantenimento dei vantaggi economici ottenuti con la sua condotta
illecita perché l’utilizzazione degli stessi nel campo economico gli attribuirebbe un ingiusto vantaggio competitivo, violando le regole delle libera concorrenza.
E’ indubbio, però, che con la confisca viene in
sostanza ad essere attuato il recupero dell’imposta evasa;
rectius, dell’intero debito tributario, basti pensare che
per ormai consolidata giurisprudenza il profitto dei
reati tributari viene commisurato all’ammontare dell’imposta evasa, delle sanzioni e dei relativi interessi e
che la recente “revisione” del sistema sanzionatorio
penale tributario ha recepito integralmente tale orientamento, codificando proprio in quei termini il concetto
di “debito tributario”, il cui pagamento è considerato
causa di non punibilità per alcuni reati (e comunque
circostanza attenuante), oltre che essere ritenuto ostativo alla confisca (artt. 13, 13 bis e 12 bis co. 2 del D.
Lgs. 74/2000 come modificato dal D. Lgs. 158/2015).
Appare perciò spontaneo rilevare che, a questo
punto, i due processi simultanei non solo hanno lo stesso oggetto (accertamento dell’imposta evasa), ma anche
uno scopo in comune (l’ablazione di quanto non versato all’Erario).
Nell’attuale quadro di doppio binario ciò potrebbe
costituire un motivo di ulteriore interferenza tra i due
processi, tale anche da riproporre nuove criticità.
13 E. MARELLO Evanescenza del principio di specialità e dissoluzione del doppio binario: le ragioni per una riforma del sistema punitivo penale tributario; Neotera n. 1/2014 p. 28.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Al riguardo, basterà considerare che mentre il pagamento al Fisco del debito tributario è espressamente
considerato ostativo alla confisca (art. 12 bis prima
menzionato , ma la giurisprudenza era pervenuta a tale
conclusione anche prima della nuova norma) il contrario è tutto da verificare.
Non constano provvedimenti sul punto, ma potrebbe verificarsi che il procedimento penale si concluda più
rapidamente (ad es. mediante patteggiamento o mediante rito abbreviato) e che in tale sede venga disposta la
confisca del profitto del reato, quantificato nei termini
prima illustrati.
Tale sostanziale “pagamento” potrà essere opposto
all’amministrazione finanziaria quando, in seguito, il
giudizio tributario si dovesse concludere sfavorevolmente per il contribuente e la stessa procedesse al recupero
dell’imposta?.
L’interrogativo non sembra peregrino perché l’amministrazione potrebbe osservare che quanto confiscato
è oggetto di sanzione penale, e soddisfa quella specifica
esigenza pubblicistica, mentre altra cosa è il debito verso
il Fisco.
E’ interessante riflettere, invece, sulle possibilità,
offerte da tale novità, di superare il sistema del doppio
binario, che, come si è visto, prevede eccezioni.
La scelta di tale sistema in allora era stata resa necessaria dall’esigenza di procedere, parallelamente all’irrogazione delle sanzioni penali, anche al recupero dell’imposta evasa, che non rientrava nella competenza del
giudice penale, ma le ragioni di tale scelta sono venute
a mancare allorchè al giudice penale è stato affidato
anche il compito di procedere, in caso di condanna,
alla confisca del profitto del reato, coincidente con il
debito tributario.
Già dal 2008, infatti, tali funzioni sono esercitate dal
giudice penale, tanto che quelle di accertamento dell’imposta evasa e del suo recupero, che parallelamente
svolge il processo tributario, appaiono esserne un’inutile duplicazione, in evidente contrasto con il principio di
economia processuale; duplicazione oltretutto dannosa
per tutti gli inconvenienti e criticità prima descritte in
tema di circolazione di prova tra i procedimenti paralleli.
In questo nuovo scenario la funzione anche recuperatoria del tributo attualmente svolta dal processo penale suggerirebbe, dunque, di abbandonare il sistema doppio binario per affidare soltanto al giudice penale il
compito di accertare la condotta illecita e di irrogare la
relativa sanzione, nonché di accertare l’imposta evasa e
di procedere al suo recupero.
Si tratterebbe, in definitiva, di concentrare la reazione dell’ordinamento rispetto a quegli illeciti su unico
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
binario processuale, scegliendo quello penale che assicura pienamente il contraddittorio fin dal momento della
formazione della prova ed il diritto di difesa in condizioni di parità, consentendo in tal modo di raggiungere
una più ragionevole certezza circa la responsabilità degli
autori dell’illecito.
In questo quadro le ragioni di credito dell’amministrazione sarebbero efficacemente tutelate, perché il
recupero dell’imposta evasa sarebbe assicurato inizialmente dallo strumento del sequestro preventivo del
profitto del reato e successivamente, in caso di condanna, dalla confisca dello stesso, prevedendone la devoluzione all’amministrazione finanziaria.
Una riforma del genere potrebbe finalmente restringere l’intervento penale ai soli reati caratterizzati da
frode (rispetto agli attuali verrebbero esclusi, in sostanza, quelli relativi ad omessi versamenti e la dichiarazione
infedele, per i quali sarebbe più coerente prevedere, così
come avvenuto per l’abuso del diritto, soltanto una sanzione amministrativa), tuttavia, il mantenimento di
tutte le attuali figure di reato non creerebbe un appesantimento del ruolo del giudice penale, il quale già di tutti
questi reati deve occuparsi.
Anche l’accertamento dell’imposta evasa non costituirebbe un aggravio diverso dall’accertamento analogo
che tutt’ora il giudice penale deve compiere (e per eventuali problemi tecnici di quantificazione potrebbe
comunque avvalersi di perito o della stessa A.F. che si
costituisca parte civile).
Nel quadro processuale appena delineato, l’eventuale conclusione di insussistenza del reato a causa del
DOTTRINA
mancato superamento della soglia di punibilità comporterebbe la trasmissione degli atti all’amministrazione
finanziaria, per la quale riprenderebbero a decorrere i
termini per l’accertamento e l’attività di recupero del
tributo rientrerebbe nel canale istituzionale.
Ad una riforma di tal genere, peraltro, dovrebbe
accompagnarsi anche l’inclusione, più volte auspicata
dalla Corte di Cassazione, dei reati tributari tra quelli
per i quali scatta la responsabilità amministrativa dell’ente (art. 25 D.Lgs 231/2001). E ciò non solo perché
tale scelta sarebbe più coerente con la già avvenuta
inclusione di reati spesso collegati, o interferenti, con
quelli tributari (ad es., reati societari, riciclaggio ed
autoriciclaggio), ma soprattutto perché con riferimento
alle società si verifica una scissione tra autore del reato
tributario e beneficiario dell’evasione.
Mediante questa modifica sarebbe possibile sanzionare, da un lato, la persona fisica autore del reato e,
dall’altro, l’ente che non ha vigilato o predisposto le
misure per evitare tale illecito e che del risultato di questo ha beneficiato. E tale sanzione verrebbe a sostituirsi
in maniera più coerente e sistematica all’attuale sanzione amministrativa tributaria prevista in via esclusiva
per l’ente dall’art. 7 D.L. 269/2003.
Va ribadito, infine, che si tratterebbe di una radicale riforma del processo penale tributario pur sempre da
attuare parallelamente a quella del processo tributario,
che va comunque inserito nel paradigma del giusto
processo.
Mi sembra che non manchino gli spunti, dunque,
per avviare un serio dibattito.
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LEGISLAZIONE
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156
Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso
tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10, comma 1, lettere a) e b),
della legge 11 marzo 2014, n. 23
TITOLO II
REVISIONE DEL CONTENZIOSO TRIBUTARIO E
INCREMENTO DELLA FUNZIONALITÀ DELLA
GIURISDIZIONE TRIBUTARIA
Art. 9. Modifiche al decreto legislativo 31 dicembre
1992, n. 546
In vigore dal 1 gennaio 2016
1. Al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 2:
1) nel comma 1, le parole: «nonché le sovrimposte e
le addizionali, le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi e
ogni altro accessorio», sono sostituite dalle seguenti: «le sovrimposte e le addizionali, le relative
sanzioni nonché gli interessi e ogni altro accessorio»;
2) nel comma 2, le parole: «relative alla debenza del
canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto dall’articolo 63 del decreto legislativo
15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, e del canone per lo scarico e la depurazione
delle acque reflue e per lo smaltimento dei rifiuti
urbani, nonché le controversie» sono soppresse;
b) il comma 1 dell’articolo 4, è sostituito dal seguente:
«1. Le commissioni tributarie provinciali sono competenti per le controversie proposte nei confronti degli enti impositori, degli agenti della riscossione e dei
soggetti iscritti all’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, che hanno sede nella loro circoscrizione. Se la controversia è proposta nei confronti di articolazioni dell’Agenzia delle
Entrate, con competenza su tutto o parte del territorio nazionale, individuate con il regolamento di amministrazione di cui all’articolo 71 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, è competente la commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione
ha sede l’ufficio al quale spettano le attribuzioni sul
rapporto controverso.»;
c) l’articolo 10 è sostituito dal seguente:
«Art. 10 (Le parti). - 1. Sono parti nel processo dinanzi alle commissioni tributarie oltre al ricorrente,
l’ufficio dell’Agenzia delle entrate e dell’Agenzia delle
dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30
luglio 1999, n. 300, gli altri enti impositori, l’agente
della riscossione ed i soggetti iscritti nell’albo di cui
all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre
1997, n. 446, che hanno emesso l’atto impugnato o
non hanno emesso l’atto richiesto. Se l’ufficio è
un’articolazione dell’Agenzia delle entrate, con competenza su tutto o parte del territorio nazionale, individuata con il regolamento di amministrazione di cui
all’articolo 71 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n.
300, è parte l’ufficio al quale spettano le attribuzioni
sul rapporto controverso.»;
d) all’articolo 11:
1) il comma 2 è sostituito dal seguente: «2. L’ufficio
dell’Agenzia delle entrate e dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30
luglio 1999, n. 300 nonché dell’agente della riscossione, nei cui confronti è proposto il ricorso,
sta in giudizio direttamente o mediante la struttura territoriale sovraordinata. Stanno altresì in giudizio direttamente le cancellerie o segreterie degli
uffici giudiziari per il contenzioso in materia di
contributo unificato.»;
2) il comma 3-bis è soppresso.
e) l’articolo 12 è sostituito dal seguente:
«Art. 12 (Assistenza tecnica). - 1. Le parti, diverse dagli enti impositori, dagli agenti della riscossione e dai
soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, devono essere assistite in giudizio da un difensore abilitato.
2. Per le controversie di valore fino a tremila euro le
parti possono stare in giudizio senza assistenza tecnica.
Per valore della lite si intende l’importo del tributo al
netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate
con l’atto impugnato; in caso di controversie relative
esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
3. Sono abilitati all’assistenza tecnica, se iscritti nei
relativi albi professionali o nell’elenco di cui al comma 4:
a) gli avvocati;
b) i soggetti iscritti nella Sezione A commercialisti
dell’Albo dei dottori commercialisti e degli esperti
contabili;
c) i consulenti del lavoro;
d) i soggetti di cui all’articolo 63, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre
1973, n. 600;
e) i soggetti già iscritti alla data del 30 settembre 1993
nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di
commercio, industria, artigianato e agricoltura per la
sub-categoria tributi, in possesso di diploma di laurea
in giurisprudenza o in economia e commercio o
equipollenti o di diploma di ragioniere limitatamente alle materie concernenti le imposte di registro, di
successione, i tributi locali, l’IVA, l’IRPEF, l’IRAP e
l’IRES;
f ) i funzionari delle associazioni di categoria che, alla
data di entrata in vigore del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, risultavano iscritti negli elenchi
tenuti dalle Intendenze di finanza competenti per
territorio, ai sensi dell’ultimo periodo dell’articolo
30, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 636;
g) i dipendenti delle associazioni delle categorie rappresentate nel Consiglio nazionale dell’economia e del
lavoro (C.N.E.L.) e i dipendenti delle imprese, o delle loro controllate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, primo comma, numero 1), limitatamente
alle controversie nelle quali sono parti, rispettivamente, gli associati e le imprese o loro controllate, in
possesso del diploma di laurea magistrale in giurisprudenza o in economia ed equipollenti, o di diploma di ragioneria e della relativa abilitazione professionale;
h) i dipendenti dei centri di assistenza fiscale (CAF) di
cui all’articolo 32 del decreto legislativo 9 luglio 1997,
n. 241, e delle relative società di servizi, purché in
possesso di diploma di laurea magistrale in giurisprudenza o in economia ed equipollenti, o di diploma di
ragioneria e della relativa abilitazione professionale,
limitatamente alle controversie dei propri assistiti
originate da adempimenti per i quali il CAF ha prestato loro assistenza.
4. L’elenco dei soggetti di cui al comma 3, lettere d),
e), f ), g) ed h), è tenuto dal Dipartimento delle finanze
del Ministero dell’economia e delle finanze che vi provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie di-
LEGISLAZIONE
sponibili a legislazione vigente senza nuovi o maggiori
oneri a carico del bilancio dello Stato. Con decreto del
Ministro dell’economia e delle finanze, sentito il Ministero della giustizia, emesso ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono disciplinate le modalità di tenuta dell’elenco, nonché i casi di incompatibilità, diniego, sospensione e revoca della iscrizione anche sulla base dei principi contenuti nel codice
deontologico forense. L’elenco è pubblicato nel sito internet del Ministero dell’economia e delle finanze.
5. Per le controversie di cui all’articolo 2, comma 2,
primo periodo, sono anche abilitati all’assistenza tecnica, se iscritti nei relativi albi professionali:
a) gli ingegneri;
b) gli architetti;
c) i geometri;
d) i periti industriali;
e) i dottori agronomi e forestali;
f ) gli agrotecnici;
g) i periti agrari.
6. Per le controversie relative ai tributi doganali sono
anche abilitati all’assistenza tecnica gli spedizionieri doganali iscritti nell’apposito albo.
7. Ai difensori di cui ai commi da 1 a 6 deve essere
conferito l’incarico con atto pubblico o con scrittura privata autenticata od anche in calce o a margine di un atto
del processo, nel qual caso la sottoscrizione autografa è
certificata dallo stesso incaricato. All’udienza pubblica
l’incarico può essere conferito oralmente e se ne dà atto a
verbale.
8. Le Agenzie delle entrate, delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300,
possono essere assistite dall’Avvocatura dello Stato.
9. I soggetti in possesso dei requisiti richiesti nei
commi 3, 5 e 6 possono stare in giudizio personalmente,
ferme restando le limitazioni all’oggetto della loro attività previste nei medesimi commi.
10. Si applica l’articolo 182 del codice di procedura
civile ed i relativi provvedimenti sono emessi dal presidente della commissione o della sezione o dal collegio.»;
f ) all’articolo 15:
1) al comma 1, il secondo periodo è soppresso;
2) i commi 2 e 2-bis sono sostituiti dai seguenti:
«2. Le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte dalla commissione tributaria
soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate.
2-bis. Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 96,
commi primo e terzo, del codice di procedura civile.
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LEGISLAZIONE
2-ter. Le spese di giudizio comprendono, oltre al
contributo unificato, gli onorari e i diritti del difensore, le spese generali e gli esborsi sostenuti, oltre il contributo previdenziale e l’imposta sul valore aggiunto, se dovuti.
2-quater. Con l’ordinanza che decide sulle istanze
cautelari la commissione provvede sulle spese della relativa fase. La pronuncia sulle spese conserva
efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione espressa
nella sentenza di merito.
2-quinquies. I compensi agli incaricati dell’assistenza tecnica sono liquidati sulla base dei parametri previsti per le singole categorie professionali. Agli iscritti negli elenchi di cui all’articolo 12,
comma 4, si applicano i parametri previsti per i
dottori commercialisti e gli esperti contabili.
2-sexies. Nella liquidazione delle spese a favore
dell’ente impositore, dell’agente della riscossione
e dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53
del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, se
assistiti da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per
cento dell’importo complessivo ivi previsto. La riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della
sentenza.
2-septies. Nelle controversie di cui all’articolo 17bis le spese di giudizio di cui al comma 1 sono
maggiorate del 50 per cento a titolo di rimborso
delle maggiori spese del procedimento.
2-octies. Qualora una delle parti abbia formulato
una proposta conciliativa, non accettata dall’altra
parte senza giustificato motivo, restano a carico di
quest’ultima le spese del processo ove il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della proposta ad essa effettuata. Se è intervenuta conciliazione le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione.»;
g) all’articolo 16:
1) nel comma 1, secondo periodo, le parole: «all’ufficio del Ministero delle finanze ed all’ente locale»,
sono sostituite dalle seguenti: «agli enti impositori,
agli agenti della riscossione ed ai soggetti iscritti
nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo
15 dicembre 1997, n. 446,»;
2) il comma 1-bis è abrogato;
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
3) nel comma 4, le parole: «L’Ufficio del Ministero
delle finanze e l’ente locale», sono sostituite dalle
seguenti: «Gli enti impositori, gli agenti della riscossione e i soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997,
n. 446,»;
h) dopo l’articolo 16 è inserito il seguente:
«Art. 16-bis (Comunicazione e notificazioni per via
telematica).
1. Le comunicazioni sono effettuate anche mediante
l’utilizzo della posta elettronica certificata, ai sensi del
decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni. Tra le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 7 marzo
2005, n. 82, le comunicazioni possono essere effettuate
ai sensi dell’articolo 76 del decreto legislativo n. 82 del
2005. L’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore o delle parti è indicato nel ricorso o nel primo atto difensivo. Nei procedimenti nei quali la parte sta in
giudizio personalmente e il relativo indirizzo di posta
elettronica certificata non risulta dai pubblici elenchi, il
ricorrente può indicare l’indirizzo di posta al quale vuol
ricevere le comunicazioni.
2. In caso di mancata indicazione dell’indirizzo di
posta elettronica certificata ovvero di mancata consegna
del messaggio di posta elettronica certificata per cause
imputabili al destinatario, le comunicazioni sono eseguite esclusivamente mediante deposito in segreteria
della Commissione tributaria.
3. Le notificazioni tra le parti e i depositi presso la
competente Commissione tributaria possono avvenire in
via telematica secondo le disposizioni contenute nel decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 23 dicembre
2013, n. 163, e dei successivi decreti di attuazione.
4. L’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica
certificata valevole per le comunicazioni e le notificazioni equivale alla comunicazione del domicilio eletto.»;
i) all’articolo 17 il comma 3-bis è abrogato;
l) l’articolo 17-bis è sostituito dal seguente:
«Art. 17-bis (Il reclamo e la mediazione).
1. Per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, il ricorso produce anche gli effetti di un reclamo e può contenere una proposta di mediazione con rideterminazione dell’ammontare della pretesa. Il valore
di cui al periodo precedente è determinato secondo le
disposizioni di cui all’articolo 12, comma 2. Le controversie di valore indeterminabile non sono reclamabili,
ad eccezione di quelle di cui all’articolo 2, comma 2, primo periodo.
2. Il ricorso non è procedibile fino alla scadenza del
termine di novanta giorni dalla data di notifica, entro il
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
quale deve essere conclusa la procedura di cui al presente
articolo. Si applica la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale.
3. Il termine per la costituzione in giudizio del ricorrente decorre dalla scadenza del termine di cui al comma
2. Se la Commissione rileva che la costituzione è avvenuta in data anteriore rinvia la trattazione della causa per
consentire l’esame del reclamo.
4. Le Agenzie delle entrate, delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300,
provvedono all’esame del reclamo e della proposta di
mediazione mediante apposite strutture diverse ed autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili. Per gli altri enti impositori la disposizione di cui
al periodo precedente si applica compatibilmente con la
propria struttura organizzativa.
5. L’organo destinatario, se non intende accogliere il
reclamo o l’eventuale proposta di mediazione, formula
d’ufficio una propria proposta avuto riguardo all’eventuale incertezza delle questioni controverse, al grado di
sostenibilità della pretesa e al principio di economicità
dell’azione amministrativa. L’esito del procedimento rileva anche per i contributi previdenziali e assistenziali la
cui base imponibile è riconducibile a quella delle imposte sui redditi.
6. Nelle controversie aventi ad oggetto un atto impositivo o di riscossione, la mediazione si perfeziona con il
versamento, entro il termine di venti giorni dalla data di
sottoscrizione dell’accordo tra le parti, delle somme dovute ovvero della prima rata. Per il versamento delle
somme dovute si applicano le disposizioni, anche sanzionatorie, previste per l’accertamento con adesione dall’articolo 8 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218.
Nelle controversie aventi per oggetto la restituzione di
somme la mediazione si perfeziona con la sottoscrizione
di un accordo nel quale sono indicate le somme dovute
con i termini e le modalità di pagamento. L’accordo costituisce titolo per il pagamento delle somme dovute al
contribuente.
7. Le sanzioni amministrative si applicano nella misura
del trentacinque per cento del minimo previsto dalla legge.
Sulle somme dovute a titolo di contributi previdenziali e
assistenziali non si applicano sanzioni e interessi.
8. La riscossione e il pagamento delle somme dovute
in base all’atto oggetto di reclamo sono sospesi fino alla
scadenza del termine di cui al comma 2, fermo restando
che in caso di mancato perfezionamento della mediazione sono dovuti gli interessi previsti dalle singole leggi
d’imposta.
9. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche agli agenti della ri-
LEGISLAZIONE
scossione ed ai soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo
53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446.
10. Il presente articolo non si applica alle controversie di cui all’articolo 47-bis.»;
m) all’articolo 18:
1) nel comma 2, lettera c) le parole: «del Ministero
delle finanze o dell’ente locale o del concessionario del servizio di riscossione» sono soppresse;
2) il comma 3 è sostituito dal seguente: «3. Il ricorso
deve essere sottoscritto dal difensore e contenere
l’indicazione:
a) della categoria di cui all’articolo 12 alla quale
appartiene il difensore;
b) dell’incarico a norma dell’articolo 12, comma
7, salvo che il ricorso non sia sottoscritto personalmente;
c) dell’indirizzo di posta elettronica certificata
del difensore.»;
n) al comma 1, dell’articolo 23, le parole: «L’Ufficio del
Ministero delle finanze, l’ente locale o il concessionario del servizio di riscossione», sono sostituite dalle
seguenti: «L’ente impositore, l’agente della riscossione ed i soggetti iscritti all’albo di cui all’articolo 53 del
decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446»;
o) all’articolo 39, dopo il comma 1, sono aggiunti i seguenti: «1-bis. La commissione tributaria dispone la
sospensione del processo in ogni altro caso in cui essa
stessa o altra commissione tributaria deve risolvere
una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa.
1-ter. Il processo tributario è altresì sospeso, su richiesta conforme delle parti, nel caso in cui sia
iniziata una procedura amichevole ai sensi delle
Convenzioni internazionali per evitare le doppie
imposizioni stipulate dall’Italia ovvero nel caso in
cui sia iniziata una procedura amichevole ai sensi
della Convenzione relativa all’eliminazione delle
doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili
di imprese associate n. 90/463/CEE del 23 luglio
1990.»;
p) all’articolo 44, comma 2, secondo periodo, le parole:
«,che costituisce titolo esecutivo» sono soppresse;
q) all’articolo 46:
1) nel comma 2, le parole: «, salvo quanto diversamente disposto da singole norme di legge», sono
soppresse;
2) il comma 3 è sostituito dal seguente: «3. Nei casi
di definizione delle pendenze tributarie previsti
dalla legge le spese del giudizio estinto restano a
carico della parte che le ha anticipate.»;
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LEGISLAZIONE
r) all’articolo 47:
1) nel comma 3, le parole: «con lo stesso decreto,
può motivatamente disporre», sono sostituite dalle seguenti: «può disporre con decreto motivato»;
2) nel comma 4, dopo il primo periodo, è aggiunto il
seguente: «Il dispositivo dell’ordinanza deve essere immediatamente comunicato alle parti in
udienza.»;
3) nel comma 5, il periodo da: «di idonea garanzia» a
«indicati nel provvedimento.» è sostituito dal seguente: «della garanzia di cui all’articolo 69, comma 2.»;
4) dopo il comma 8, è aggiunto il seguente: «8-bis.
Durante il periodo di sospensione cautelare si applicano gli interessi al tasso previsto per la sospensione amministrativa.»;
s) l’articolo 48 è sostituito dal seguente:
«Art. 48 (Conciliazione fuori udienza).
1. Se in pendenza del giudizio le parti raggiungono
un accordo conciliativo, presentano istanza congiunta
sottoscritta personalmente o dai difensori per la definizione totale o parziale della controversia.
2. Se la data di trattazione è già fissata e sussistono le
condizioni di ammissibilità, la commissione pronuncia
sentenza di cessazione della materia del contendere. Se
l’accordo conciliativo è parziale, la commissione dichiara
con ordinanza la cessazione parziale della materia del contendere e procede alla ulteriore trattazione della causa.
3. Se la data di trattazione non è fissata, provvede con
decreto il presidente della sezione.
4. La conciliazione si perfeziona con la sottoscrizione
dell’accordo di cui al comma 1, nel quale sono indicate
le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. L’accordo costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e per il pagamento
delle somme dovute al contribuente.»;
t) dopo l’articolo 48 sono inseriti i seguenti:
«Art. 48-bis (Conciliazione in udienza).
1. Ciascuna parte entro il termine di cui all’articolo
32, comma 2, può presentare istanza per la conciliazione
totale o parziale della controversia.
2. All’udienza la commissione, se sussistono le condizioni di ammissibilità, invita le parti alla conciliazione
rinviando eventualmente la causa alla successiva udienza
per il perfezionamento dell’accordo conciliativo.
3. La conciliazione si perfeziona con la redazione del
processo verbale nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. Il processo
verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme
dovute all’ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
4. La commissione dichiara con sentenza l’estinzione
del giudizio per cessazione della materia del contendere.
Art. 48-ter (Definizione e pagamento delle somme
dovute).
1. Le sanzioni amministrative si applicano nella misura del quaranta per cento del minimo previsto dalla
legge, in caso di perfezionamento della conciliazione nel
corso del primo grado di giudizio e nella misura del cinquanta per cento del minimo previsto dalla legge, in caso di perfezionamento nel corso del secondo grado di
giudizio.
2. Il versamento delle somme dovute ovvero, in caso
di rateizzazione, della prima rata deve essere effettuato
entro venti giorni dalla data di sottoscrizione dell’accordo conciliativo di cui all’articolo 48 o di redazione del
processo verbale di cui all’articolo 48-bis.
3. In caso di mancato pagamento delle somme dovute o di una delle rate, compresa la prima, entro il termine
di pagamento della rata successiva, il competente ufficio
provvede all’iscrizione a ruolo delle residue somme dovute a titolo di imposta, interessi e sanzioni, nonché
della sanzione di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, aumentata della metà e applicata sul residuo importo dovuto a titolo di imposta.
4. Per il versamento rateale delle somme dovute si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste
per l’accertamento con adesione dall’articolo 8 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218.»;
u) all’articolo 49, comma 1, le parole: «escluso l’articolo
337» sono soppresse;
v) l’articolo 52 è sostituito dal seguente:
«Art. 52 (Giudice competente e provvedimenti sull’esecuzione provvisoria in appello).
1. La sentenza della commissione provinciale può essere appellata alla commissione regionale competente a
norma dell’articolo 4, comma 2.
2. L’appellante può chiedere alla commissione regionale di sospendere in tutto o in parte l’esecutività della
sentenza impugnata, se sussistono gravi e fondati motivi. Il contribuente può comunque chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto se da questa può derivargli
un danno grave e irreparabile.
3. Il presidente fissa con decreto la trattazione della
istanza di sospensione per la prima camera di consiglio
utile disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima.
4. In caso di eccezionale urgenza il presidente, previa
delibazione del merito, può disporre con decreto motivato la sospensione dell’esecutività della sentenza fino
alla pronuncia del collegio.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
5. Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio e
delibato il merito, provvede con ordinanza motivata
non impugnabile.
6. La sospensione può essere subordinata alla prestazione della garanzia di cui all’articolo 69 comma 2. Si
applica la disposizione dell’articolo 47, comma 8-bis.»;
z) all’articolo 62:
1) nel primo comma, le parole: «comma 1», sono sostituite dalle seguenti: «primo comma»;
2) dopo il comma 2 è inserito il seguente: «2-bis. Sull’accordo delle parti la sentenza della commissione
tributaria provinciale può essere impugnata con ricorso per cassazione a norma dell’articolo 360, primo comma, n. 3, del codice di procedura civile.»;
aa) dopo l’articolo 62 è inserito il seguente:
«Art. 62-bis (Provvedimenti sull’esecuzione provvisoria della sentenza impugnata per cassazione).
1. La parte che ha proposto ricorso per cassazione
può chiedere alla commissione che ha pronunciato la
sentenza impugnata di sospenderne in tutto o in parte
l’esecutività allo scopo di evitare un danno grave e irreparabile. Il contribuente può comunque chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto se da questa può derivargli un danno grave e irreparabile.
2. Il presidente fissa con decreto la trattazione della
istanza di sospensione per la prima camera di consiglio
utile disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima.
3. In caso di eccezionale urgenza il presidente può disporre con decreto motivato la sospensione dell’esecutività della sentenza fino alla pronuncia del collegio.
4. Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio,
provvede con ordinanza motivata non impugnabile.
5. La sospensione può essere subordinata alla prestazione della garanzia di cui all’articolo 69, comma 2. Si
applica la disposizione dell’articolo 47, comma 8-bis.
6. La commissione non può pronunciarsi sulle richieste
di cui al comma 1 se la parte istante non dimostra di avere
depositato il ricorso per cassazione contro la sentenza.»;
bb) all’articolo 63, comma 1, le parole: «un anno» sono
sostituite dalle seguenti: «sei mesi»;
cc) all’articolo 64, il comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. Le sentenze pronunciate in grado d’appello o in
unico grado dalle commissioni tributarie possono
essere impugnate ai sensi dell’articolo 395 del codice di procedura civile.»;
dd) all’articolo 65 dopo il comma 3 è aggiunto in fine il
seguente: «3-bis. Le parti possono proporre istanze
cautelari ai sensi delle disposizioni di cui all’articolo
52, in quanto compatibili.»;
LEGISLAZIONE
ee) dopo l’articolo 67 è inserito il seguente:
«Art. 67-bis (Esecuzione provvisoria). - 1. Le sentenze emesse dalle commissioni tributarie sono esecutive secondo quanto previsto dal presente capo.»;
ff ) all’articolo 68:
1) nel comma 1, dopo la lettera c), è aggiunta la seguente: «c-bis. per l’ammontare dovuto nella pendenza del giudizio di primo grado dopo la sentenza della Corte di cassazione di annullamento con
rinvio e per l’intero importo indicato nell’atto in
caso di mancata riassunzione.» e nell’ultimo periodo del medesimo comma, le parole: «a), b) e
c)» sono soppresse;
2) nel comma 2 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «In caso di mancata esecuzione del rimborso il
contribuente può richiedere l’ottemperanza a
norma dell’articolo 70 alla commissione tributaria provinciale ovvero, se il giudizio è pendente
nei gradi successivi, alla commissione tributaria
regionale.»;
gg) l’articolo 69 è sostituito dal seguente:
«Art. 69 (Esecuzione delle sentenze di condanna in
favore del contribuente).
1. Le sentenze di condanna al pagamento di somme
in favore del contribuente e quelle emesse su ricorso avverso gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell’articolo 2, comma 2, sono immediatamente esecutive.
Tuttavia il pagamento di somme dell’importo superiore
a diecimila euro, diverse dalle spese di lite, può essere subordinato dal giudice, anche tenuto conto delle condizioni di solvibilità dell’istante, alla prestazione di idonea
garanzia.
2. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emesso ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della
legge 23 agosto 1988, n. 400, sono disciplinati il contenuto della garanzia sulla base di quanto previsto dall’articolo 38-bis, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, la sua durata nonché il
termine entro il quale può essere escussa, a seguito dell’inerzia del contribuente in ordine alla restituzione delle
somme garantite protrattasi per un periodo di tre mesi.
3. I costi della garanzia, anticipati dal contribuente,
sono a carico della parte soccombente all’esito definitivo
del giudizio.
4. Il pagamento delle somme dovute a seguito della
sentenza deve essere eseguito entro novanta giorni dalla
sua notificazione ovvero dalla presentazione della garanzia di cui al comma 2, se dovuta.
5. In caso di mancata esecuzione della sentenza il
contribuente può richiedere l’ottemperanza a norma
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LEGISLAZIONE
dell’articolo 70 alla commissione tributaria provinciale
ovvero, se il giudizio è pendente nei gradi successivi, alla
commissione tributaria regionale.»;
hh) l’articolo 69-bis è abrogato;
ii) all’articolo 70:
1) nel comma 1, le parole: «Salvo quanto previsto
dalle norme del codice di procedura civile per
l’esecuzione forzata della sentenza di condanna
costituente titolo esecutivo, la», sono sostituite
dalla seguente «La»;
2) nel comma 2, le parole: «dall’ufficio del Ministero delle finanze o dall’ente locale dell’obbligo posto a carico della», sono sostituite dalle seguenti:
«a carico dell’ente impositore, dell’agente della
riscossione o del soggetto iscritto nell’albo di cui
all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre
1997, n. 446, degli obblighi derivanti dalla»;
3) nel comma 4, le parole: «all’ufficio del Ministero
delle finanze o all’ente locale obbligato», sono
sostituite dalle seguenti: «ai soggetti di cui al
comma 2 obbligati»;
4) nei commi 5 e 7, le parole: «del Ministero delle
finanze o l’ente locale», sono soppresse; inoltre,
sempre nel comma 7, al secondo periodo, le parole: «della legge 8 luglio 1980, n. 319, e successive modificazioni e integrazioni.», sono sostituite dalle seguenti: «del Titolo VII del Capo IV del
Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia approvato
con decreto del Presidente della Repubblica 30
maggio 2002, n. 115.»;
5) dopo il comma 10 è inserito il seguente: «10-bis.
Per il pagamento di somme dell’importo fino a
ventimila euro e comunque per il pagamento
delle spese di giudizio, il ricorso è deciso dalla
Commissione in composizione monocratica.».
Art. 10. Norme di coordinamento
In vigore dal 1 gennaio 2016
1. All’articolo 63 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, i commi terzo, quarto e quinto sono sostituiti dai seguenti: «Il Ministero
dell’economia e delle finanze può autorizzare all’esercizio dell’assistenza tecnica davanti alle commissioni tributarie, se cessati dall’impiego dopo almeno venti anni
di effettivo servizio di cui almeno gli ultimi dieci prestati
a svolgere attività connesse ai tributi, gli impiegati delle
carriere dirigenziale, direttiva e di concetto degli enti
impositori e del Ministero nonché gli ufficiali e ispettori
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
della guardia di finanza. L’autorizzazione può essere revocata o sospesa in ogni tempo con provvedimento motivato. Le attività connesse ai tributi sono individuate
con il decreto di cui all’articolo 12, comma 4, del decreto
legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.
Ai soggetti di cui al terzo comma, ancorché iscritti in
un albo professionale, è vietato di esercitare funzioni di
assistenza e di rappresentanza presso gli enti impositori e
davanti le commissioni tributarie per un periodo di due
anni dalla data di cessazione del rapporto d’impiego.
L’esercizio delle funzioni di rappresentanza e assistenza in violazione del presente articolo è punito con la sanzione amministrativa da euro mille a euro cinquemila.».
2. All’articolo 14, comma 3-bis del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, le parole:
«comma 5», sono sostituite dalle seguenti: «comma 2»;
3. Al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 19:
1) nel comma 2, le parole: «dell’articolo 47» sono sostituite dalle seguenti: «dell’articolo 52»;
2) nel comma 3, le parole: «idonea garanzia anche a
mezzo di fideiussione bancaria o assicurativa.»,
sono sostituite dalle seguenti: «la garanzia di cui
all’articolo 69 del decreto legislativo 31 dicembre
1992, n. 546.»;
3) nel comma 6, le parole: «entro novanta giorni dalla comunicazione o notificazione della sentenza.»
sono sostituite dalle seguenti: «ai sensi dell’articolo 68, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre
1992, n. 546.»;
b) all’articolo 22:
1) nel comma 3, dopo il primo periodo è aggiunto il
seguente: «Nel caso in cui la notificazione debba
effettuarsi all’estero, il termine è triplicato.»;
2) il comma 4 è sostituito dal seguente: «4. Quando
la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento, il presidente provvede con decreto motivato assunte ove
occorra sommarie informazioni. In tal caso fissa,
con lo stesso decreto, la camera di consiglio entro
un termine non superiore a trenta giorni assegnando all’istante un termine perentorio non superiore a quindici giorni per la notificazione del
ricorso e del decreto. A tale udienza la commissione, con ordinanza, conferma, modifica o revoca i
provvedimenti emanati con decreto.»;
3) il comma 5 è soppresso;
4) nel comma 6, le parole: «idonea garanzia mediante
cauzione o fideiussione bancaria o assicurativa.»,
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
sono sostituite dalle seguenti: «la garanzia di cui
all’articolo 69, comma 2, del decreto legislativo 31
dicembre 1992, n. 546.»;
5) il comma 7 è sostituito dal seguente: «7. I provvedimenti cautelari pronunciati ai sensi del comma
1 perdono efficacia:
a) se non sono eseguiti nel termine di sessanta giorni
dalla comunicazione;
b) se, nel termine di centoventi giorni dalla loro adozione,
non viene notificato atto impositivo, di contestazione o
di irrogazione; in tal caso, il presidente della commissione su istanza di parte e sentito l’ufficio o l’ente richiedente, dispone la cancellazione dell’ipoteca;
c) a seguito della sentenza, anche non passata in giudicato, che accoglie il ricorso avverso gli atti di cui alla
lettera b). La sentenza costituisce titolo per la cancellazione dell’ipoteca. In caso di accoglimento parziale,
su istanza di parte, il giudice che ha pronunciato la
sentenza riduce proporzionalmente l’entità dell’iscrizione o del sequestro; se la sentenza è pronunciata dalla Corte di cassazione, provvede il giudice la cui sentenza è stata impugnata con ricorso per cassazione.».
Art. 11. Modifiche al decreto legislativo 31 dicembre
1992, n. 545
In vigore dal 1 gennaio 2016
1. Al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 2, il comma 1 è sostituito dai seguenti:
«1. A ciascuna delle commissioni tributarie provinciali e regionali è preposto un presidente che presiede
anche la prima sezione. L’incarico ha durata quadriennale a decorrere dalla data di esercizio effettivo
delle funzioni ed è rinnovabile per una sola volta e
per un uguale periodo, previa valutazione positiva da
parte del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria dell’attività svolta nel primo triennio del quadriennio iniziale. Il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria stabilisce con proprio regolamento il
procedimento e le modalità di tale valutazione, garantendo la previa interlocuzione con l’interessato. Il
Presidente non può essere nominato tra soggetti che
raggiungeranno l’età pensionabile entro i quattro anni successivi alla nomina.
1- bis. A seguito di valutazione negativa da parte del
Consiglio di presidenza della giustizia tributaria e comunque all’esito dell’ottavo anno di esercizio delle
funzioni di cui al comma 1, il giudice tributario è
LEGISLAZIONE
riassegnato a sua richiesta, salvo tramutamento all’esercizio di funzioni analoghe o diverse all’incarico
di presidente di sezione nella commissione tributaria
a cui era preposto ovvero in quella di precedente provenienza.»;
b) all’articolo 6, il comma 1 è sostituito dai seguenti:
«1. Con provvedimento del Consiglio di Presidenza
della giustizia tributaria sono istituite sezioni specializzate in relazione a questioni controverse individuate con il provvedimento stesso.
1-bis. I presidenti delle commissioni tributarie assegnano il ricorso ad una delle sezioni tenendo conto,
preliminarmente, della specializzazione di cui al
comma 1 e applicando successivamente i criteri cronologici e casuali.»;
c) all’articolo 7, comma 1, dopo la lettera e) è inserita la
seguente: «e-bis) essere muniti di laurea magistrale o
quadriennale in materie giuridiche o economicoaziendalistiche;»;
d) all’articolo 8, comma 1:
1) nella lettera h), dopo la parola: «partiti» aggiungere le seguenti: «o movimenti»;
2) nella lettera i), le parole: «esercitano la consulenza
tributaria,» sono sostituite dalle seguenti: «direttamente o attraverso forme associative, esercitano
l’attività di consulenza tributaria,»;
e) all’articolo 9, comma 1, dopo le parole: «I componenti delle commissioni tributarie» sono inserite le
seguenti: «immessi per la prima volta nel ruolo unico
di cui all’articolo 4, comma 40, della legge 12 novembre 2011, n. 183,» ed è aggiunto, in fine, il seguente
periodo: «In ogni altro caso alla nomina dei componenti di commissione tributaria si provvede con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.»;
f ) all’articolo 11 è aggiunto infine il seguente comma:
«5-bis. Nei casi di necessità di servizio, il Ministro
dell’economia e delle finanze può disporre, su richiesta del Consiglio di presidenza della Giustizia Tributaria, l’anticipazione nell’assunzione delle funzioni.»;
g) l’articolo 15 è sostituito dal seguente:
«Art. 15 (Vigilanza e sanzioni disciplinari).
1. Il presidente di ciascuna commissione tributaria
esercita la vigilanza sugli altri componenti e sulla qualità
e l’efficienza dei servizi di segreteria della propria commissione, al fine di segnalarne le risultanze al Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle
finanze per i provvedimenti di competenza. Il presidente
di ciascuna commissione tributaria regionale esercita la
vigilanza sulla attività giurisdizionale delle commissioni
tributarie provinciali aventi sede nella circoscrizione della stessa e sui loro componenti.
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LEGISLAZIONE
2. I componenti delle commissioni tributarie, per
comportamenti non conformi a doveri o alla dignità del
proprio ufficio, sono soggetti alle sanzioni individuate
nei commi da 3 a 7.
3. Si applica la sanzione dell’ammonimento per lievi
trasgressioni.
4. Si applica la sanzione non inferiore alla censura, per:
a) i comportamenti che, violando i doveri di cui al comma 2, arrecano ingiusto danno o indebito vantaggio
a una delle parti;
b) la consapevole inosservanza dell’obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge;
c) i comportamenti che, a causa dei rapporti comunque
esistenti con i soggetti coinvolti nel procedimento
ovvero a causa di avvenute interferenze, costituiscano
violazione del dovere di imparzialità;
d) i comportamenti abitualmente o gravemente scorretti nei confronti delle parti, dei loro difensori, o di
chiunque abbia rapporti con il giudice nell’ambito
della Commissione tributaria, ovvero nei confronti
di altri giudici o di collaboratori;
e) l’ingiustificata interferenza nell’attività giudiziaria di
altro giudice;
f ) l’omessa comunicazione al Presidente della Commissione tributaria da parte del giudice destinatario delle
avvenute interferenze;
g) il perseguimento di fini diversi da quelli di giustizia;
h) la scarsa laboriosità, se abituale;
i) la grave o abituale violazione del dovere di riservatezza;
l) l’uso della qualità di giudice tributario al fine di conseguire vantaggi ingiusti;
m) la reiterata e grave inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio adottate dagli organi competenti.
5. Si applica la sanzione non inferiore alla sospensione
dalle funzioni per un periodo da un mese a due anni, per:
a) il reiterato o grave ritardo nel compimento degli atti
relativi all’esercizio delle funzioni;
b) i comportamenti che, violando i doveri di cui al comma 2, arrecano grave e ingiusto danno o indebito
vantaggio a una delle parti;
c) l’uso della qualità di giudice tributario al fine di conseguire vantaggi ingiusti, se abituale e grave;
d) il frequentare persona che consti essere stata dichiarata delinquente abituale, professionale o per tendenza
o aver subìto condanna per delitti non colposi alla
pena della reclusione superiore a tre anni o essere sottoposta ad una misura di prevenzione, salvo che sia
intervenuta la riabilitazione, ovvero l’intrattenere
rapporti consapevoli di affari con una di tali persone.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
6. Si applica la sanzione dell’incapacità a esercitare
un incarico direttivo per l’interferenza, nell’attività di altro giudice tributario, da parte del presidente della commissione o della sezione, se ripetuta o grave.
7. Si applica la rimozione dall’incarico nei casi di recidiva in trasgressioni di cui ai commi 5 e 6.»;
h) all’articolo 21:
1) nel comma 1, il primo periodo è sostituito dai seguenti: «Le elezioni del Consiglio di presidenza
della giustizia tributaria hanno luogo entro quattro mesi dallo scadere del precedente Consiglio.
Esse sono indette con provvedimento del Presidente del Consiglio di presidenza, da pubblicare
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana
almeno quarantacinque giorni prima della data
stabilita per le elezioni.»;
2) i commi 2 e 2-bis sono sostituiti dai seguenti: «2.
Il Presidente del Consiglio di presidenza nomina,
con propria delibera, l’ufficio centrale elettorale,
che si insedia presso lo stesso Consiglio di presidenza, ed è costituito da un presidente di Commissione tributaria, che lo presiede, e da due giudici tributari. Con la stessa delibera sono nominati, altresì, i tre giudici supplenti, che sostituiscono
i componenti effettivi in caso di loro assenza o
impedimento.
2-bis. Le candidature devono essere presentate
all’ufficio centrale elettorale, a mezzo plico raccomandato, almeno venticinque giorni prima delle
elezioni mediante compilazione della apposita
scheda di presentazione. Ciascun candidato è presentato da non meno di venti e da non oltre trenta
giudici tributari. Le firme di presentazione possono essere apposte e depositate anche su più schede
di presentazione, se i candidati raccolgono firme
di presentazione in Commissioni diverse da quella di appartenenza.
2-ter. Nessuno può presentare più di un candidato né essere, contemporaneamente, candidato e
presentatore di se stesso. L’inosservanza delle disposizioni del presente comma determina la nullità di ogni firma di presentazione proposta dal medesimo soggetto.
2-quater. Nei dieci giorni successivi alla scadenza
del termine di cui al comma 3, l’ufficio elettorale
centrale accerta che nei confronti del candidato
non sussistono le cause di ineleggibilità di cui all’articolo 20. Lo stesso Ufficio verifica, altresì, il rispetto delle disposizioni di cui ai commi 3 e 4,
esclude, con provvedimento motivato, le candidature non presentate dal prescritto numero di presentatori ovvero quelle dei candidati ineleggibili,
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
e trasmette immediatamente le candidature ammesse al Consiglio di presidenza della giustizia tributaria. L’elenco dei candidati è pubblicato sul sito istituzionale del Consiglio ed inviato dallo stesso per posta elettronica a tutti i componenti delle
Commissioni tributarie. Detto elenco è altresì affisso, a cura dei Presidenti di commissione, presso
ciascuna Commissione tributaria.
2-quinquies. Le operazioni elettorali si svolgono
presso le sedi delle commissioni tributarie provinciali e regionali e presso ciascuna di queste sedi è
istituito l’ufficio elettorale locale, che assicura
l’espletamento delle operazioni di voto, composto
dal presidente della commissione o da un suo delegato, che lo presiede, e da due giudici tributari,
nominati dal presidente delle rispettive commissioni almeno venti giorni prima della data fissata
per le elezioni. Sono nominati altresì tre supplenti, i quali sostituiscono i componenti effettivi in
caso di loro assenza o impedimento. Non possono
far parte degli Uffici elettorali giudici tributari
che abbiano riportato sanzioni disciplinari più
gravi dell’ammonimento.
2-sexies. Gli uffici elettorali locali presiedono alle
operazioni di voto che si svolgono presso di esse e
provvedono allo scrutinio di tutte le schede elettorali, previa apertura delle urne e conteggio delle
schede, determinando il totale dei voti validi e il
totale delle preferenze per ciascun candidato. Le
operazioni di scrutinio hanno inizio il giorno successivo a quello di voto e di esse, come pure delle
contestazioni decise ai sensi dell’articolo 22, comma 4, si dà atto nel processo verbale.
2-septies. Con regolamento del Consiglio di Presidenza sono stabilite le disposizioni di attuazione
del presente articolo.»;
i) l’articolo 22 è sostituito dal seguente:
«Art. 22 (Votazioni).
1. Ciascun elettore può esprimere il voto per non più
di sei candidati. Le schede devono essere preventivamente controfirmate dai componenti dell’ufficio elettorale ed essere riconsegnate chiuse dall’elettore.
2. Il voto, personale, diretto e segreto, viene espresso
presso la sede della commissione presso la quale è espletata la funzione giurisdizionale.
3. Gli uffici elettorali locali presiedono alle operazioni di voto che si svolgono presso di esse e provvedono allo scrutinio di tutte le schede elettorali, previa apertura
delle urne e conteggio delle schede, determinando il totale dei voti validi e il totale delle preferenze per ciascun
candidato. Le operazioni di scrutinio hanno inizio il
LEGISLAZIONE
giorno successivo a quello di voto e di esse, come pure
delle contestazioni decise ai sensi del comma 4, si deve
dare atto nel processo verbale delle operazioni.
4. L’ufficio elettorale regionale decide a maggioranza
sulle contestazioni sorte durante le operazioni di voto
nonché su quelle relative alla validità delle schede, dandone atto nel processo verbale delle operazioni.
5. Al termine delle operazioni elettorali il verbale di
scrutinio è trasmesso all’ufficio elettorale centrale che
provvede alla proclamazione degli eletti.»;
l) all’articolo 23:
1) nel comma 1 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «I nominativi degli eletti sono comunicati al
Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria e
al Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze.»;
2) dopo il comma 3 sono aggiunti i seguenti: «3-bis.
Nei quindici giorni successivi all’emanazione del
decreto del Presidente della Repubblica, di cui
all’articolo 17, comma 1, il Presidente in carica
del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria convoca per l’insediamento il Consiglio nella
sua nuova composizione.
3-ter. Il Consiglio di Presidenza scade al termine
del quadriennio e continua ad esercitare le proprie funzioni fino all’insediamento del nuovo
Consiglio.»;
m) all’articolo 24, comma 1, la lettera h) è sostituita dalla
seguente:«h) assicura l’aggiornamento professionale
dei giudici tributari attraverso l’organizzazione di
corsi di formazione permanente, in sede centrale e
decentrata nell’ambito degli stanziamenti annuali
dell’apposita voce di bilancio in favore dello stesso
Consiglio e sulla base di un programma di formazione annuale, comunicato al Ministero dell’economia e
delle finanze entro il mese di ottobre dell’anno precedente lo svolgimento dei corsi;»;
n) all’articolo 29, il comma 2, è sostituito dal seguente:
«2. Il Ministro dell’economia e delle finanze presenta
entro il 30 ottobre di ciascun anno una relazione al
Parlamento sullo stato della giustizia tributaria nell’anno precedente anche sulla base degli elementi
predisposti dal Consiglio di presidenza, con particolare riguardo alla durata dei processi e all’efficacia degli istituti deflattivi del contenzioso.».
2. Il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria
adotta il regolamento di cui al comma 1, dell’articolo 2
del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, come sostituito dal comma 1, lettera a), del presente articolo entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente
decreto.
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LEGISLAZIONE
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158
Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’articolo 8, comma 1,
della legge 11 marzo 2014, n. 23
TITOLO I
REVISIONE DEL SISTEMA SANZIONATORIO
PENALE TRIBUTARIO
Art. 1. Modifica dell’articolo 1 del decreto legislativo
10 marzo 2000, n. 74
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. All’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) alla lettera b), dopo le parole: “valore aggiunto”, sono
aggiunte le seguenti: “e le componenti che incidono
sulla determinazione dell’imposta dovuta”;
b) alla lettera c), dopo le parole: “enti o persone fisiche”
sono aggiunte le seguenti: “o di sostituto d’imposta,
nei casi previsti dalla legge”;
c) alla lettera f ), dopo le parole: “scadenza nel relativo
termine;” sono aggiunte le seguenti: “non si considera imposta evasa quella teorica e non effettivamente
dovuta collegata a una rettifica in diminuzione di
perdite dell’esercizio o di perdite pregresse spettanti e
utilizzabili;”;
d) dopo la lettera g) sono aggiunte le seguenti: «g-bis)
per “operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente” si intendono le operazioni apparenti, diverse da quelle disciplinate dall’articolo 10-bis della
legge 27 luglio 2000, n. 212, poste in essere con la volontà di non realizzarle in tutto o in parte ovvero le
operazioni riferite a soggetti fittiziamente interposti;
g-ter) per “mezzi fraudolenti” si intendono condotte
artificiose attive nonché quelle omissive realizzate in
violazione di uno specifico obbligo giuridico, che determinano una falsa rappresentazione della realtà.».
Art. 2. Modifica dell’articolo 2 del decreto legislativo
10 marzo 2000, n. 74, in materia di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per
operazioni inesistenti
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. All’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, la parola: “annuali” è soppressa.
Art. 3. Modifica dell’articolo 3 del decreto legislativo
10 marzo 2000, n. 74, in materia di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. L’articolo 3 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n.
74, è sostituito dal seguente:
«Art. 3 (Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici).
1. Fuori dai casi previsti dall’articolo 2, è punito
con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore
aggiunto, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi, quando, congiuntamente:
a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna
delle singole imposte, a euro trentamila;
b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di
elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi
indicati in dichiarazione, o comunque, è superiore a
euro un milione cinquecentomila, ovvero qualora
l’ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute
fittizie in diminuzione dell’imposta, è superiore al
cinque per cento dell’ammontare dell’imposta medesima o comunque a euro trentamila.
2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini
di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
3. Ai fini dell’applicazione della disposizione del comma
1, non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli
elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi
inferiori a quelli reali.».
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Art. 4. Modifica dell’articolo 4 del decreto legislativo 10
marzo 2000, n. 74, in materia di dichiarazione infedele
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. All’articolo 4 del decreto legislativo 10 marzo 2000,
n. 74, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, lettera a), la parola: “cinquantamila” è
sostituita dalla seguente: “centocinquantamila”;
b) al comma 1, lettera b), le parole: “euro due milioni”,
sono sostituite dalle seguenti: “euro tre milioni”;
c) bis. Ai fini dell’applicazione della disposizione del
comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri
concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non
inerenza, della non deducibilità di elementi passivi
reali. 1-ter. Fuori dei casi di cui al comma 1-bis, non
danno luogo a fatti punibili le valutazioni che singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette. Degli importi
compresi in tale percentuale non si tiene conto nella
verifica del superamento delle soglie di punibilità
previste dal comma 1, lettere a) e b).”;
d) la parola: “fittizi”, ovunque presente, è sostituita dalla seguente: “inesistenti”.
Art. 5. Modifica dell’articolo 5 del decreto legislativo 10
marzo 2000, n. 74, in materia di omessa dichiarazione
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. All’articolo 5 del decreto legislativo 10 marzo 2000,
n. 74, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 1 è sostituito dai seguenti: “1. E’ punito
con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni
chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o
sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte,
quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento
a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila.
1-bis. E’ punito con la reclusione da un anno e sei
mesi a quattro anni chiunque non presenta, essendovi obbligato, la dichiarazione di sostituto d’imposta,
quando l’ammontare delle ritenute non versate è superiore ad euro cinquantamila.”;
b) al comma 2, le parole: “dal comma 1” sono sostituite
dalle seguenti: “dai commi 1 e 1-bis”.
LEGISLAZIONE
Art. 6. Modifica dell’articolo 10 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, in materia di occultamento o
di distruzione di documenti contabili
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. All’articolo 10 del decreto legislativo 10 marzo
2000, n. 74, al comma 1, le parole: “da sei mesi a cinque
anni” sono sostituite dalle seguenti: “da un anno e sei
mesi a sei anni.”.
Art. 7. Modifica dell’articolo 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, in materia di omesso versamento di ritenute certificate
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. All’articolo 10-bis del decreto legislativo 10 marzo
2000, n. 74, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) nella rubrica, dopo la parola: “ritenute” sono inserite
le seguenti: “dovute o”;
b) nel comma 1, dopo la parola: “ritenute” sono inserite
le seguenti: “dovute sulla base della stessa dichiarazione o” e la parola: “cinquantamila” è sostituita dalla
seguente: “centocinquantamila”.
Art. 8. Modifica dell’articolo 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, in materia di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. L’articolo 10-ter del decreto legislativo 10 marzo
2000, n. 74, è sostituito dal seguente:
«Art. 10-ter (Omesso versamento di IVA). - 1. E’ punito
con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non
versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale,
per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta.».
Art. 9. Modifica dell’articolo 10-quater del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, in materia di indebita
compensazione
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. L’articolo 10-quater del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, è sostituito dal seguente:
«Art. 10-quater (Indebita compensazione). - 1. E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non
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LEGISLAZIONE
versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai
sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997,
n. 241, crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a cinquantamila euro.
2. E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi
a sei anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del
decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai cinquantamila euro.».
Art. 10. Confisca
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. Dopo l’articolo 12 del decreto legislativo 10 marzo
2000, n. 74, è inserito il seguente:
«Art. 12-bis (Confisca). - 1. Nel caso di condanna o di
applicazione della pena su richiesta delle parti a norma
dell’articolo 444 del codice di procedura penale per uno
dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il
prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto.
2. La confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza
di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca
è sempre disposta.».
Art. 11. Modifica dell’articolo 13 del decreto legislativo
10 marzo 2000, n. 74, in materia di cause di estinzione e
circostanze del reato. Pagamento del debito tributario
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. L’articolo 13 del decreto legislativo 10 marzo 2000,
n. 74, è sostituito dal seguente:
«Art. 13 (Causa di non punibilità. Pagamento del debito
tributario). - 1. I reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e
10-quater, comma 1, non sono punibili se, prima della
dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative
e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento
previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
2. I reati di cui agli articoli 4 e 5 non sono punibili se
i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi
dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della
presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al
periodo d’imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che
l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di
accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque
attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.
3. Qualora, prima della dichiarazione di apertura del
dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in
fase di estinzione mediante rateizzazione, anche ai fini
dell’applicabilità dell’articolo 13-bis, è dato un termine
di tre mesi per il pagamento del debito residuo. In tal caso la prescrizione è sospesa. Il Giudice ha facoltà di prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi,
qualora lo ritenga necessario, ferma restando la sospensione della prescrizione.».
Art. 12. Circostanze del reato
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. Dopo l’articolo 13 del decreto legislativo 10 marzo
2000, n. 74, è inserito il seguente:
«Art. 13-bis (Circostanze del reato). - 1. Fuori dai casi di
non punibilità, le pene per i delitti di cui al presente decreto sono diminuite fino alla metà e non si applicano le
pene accessorie indicate nell’articolo 12 se, prima della
dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative
e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento
previste dalle norme tributarie.
2. Per i delitti di cui al presente decreto l’applicazione
della pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale può essere chiesta dalle parti solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1, nonché il ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all’articolo
13, commi 1 e 2.
3. Le pene stabilite per i delitti di cui al titolo II sono
aumentate della metà se il reato è commesso dal concorrente nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o da un intermediario finanziario
o bancario attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale.».
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Art. 13. Custodia giudiziale dei beni sequestrati nell’ambito di procedimenti penali relativi a delitti tributari
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. Dopo l’articolo 18 del decreto legislativo 10 marzo
2000, n. 74, è inserito il seguente:
«Art. 18-bis (Custodia giudiziale dei beni sequestrati). 1. I beni sequestrati nell’ambito dei procedimenti penali
relativi ai delitti previsti dal presente decreto e a ogni altro delitto tributario, diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, possono essere affidati dall’autorità
giudiziaria in custodia giudiziale, agli organi dell’amministrazione finanziaria che ne facciano richiesta per le
proprie esigenze operative.
2. Restano ferme le disposizioni dell’articolo 61,
comma 23, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.
133, e dell’articolo 2 del decreto-legge 16 settembre 2008,
n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181.».
Art. 14. Abrogazioni
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. Sono abrogati:
a) gli articoli 7 e 16 del decreto legislativo 10 marzo
2000, n. 74;
b) il comma 143 dell’articolo 1 della legge 24 dicembre
2007, n. 244.
TITOLO II
REVISIONE DEL SISTEMA
SANZIONATORIO AMMINISTRATIVO
CAPO I
SANZIONI TRIBUTARIE NON PENALI IN
MATERIA DI IMPOSTE DIRETTE, DI IMPOSTA
SUL VALORE AGGIUNTO E DI RISCOSSIONE
DEI TRIBUTI
Art. 15. Modifiche al decreto legislativo 18 dicembre
1997, n. 471
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. Al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471,
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) l’articolo 1 è sostituito dal seguente:
«Art. 1 (Violazioni relative alla dichiarazione delle
imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive).
LEGISLAZIONE
1. Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive, si applica la sanzione amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per
cento dell’ammontare delle imposte dovute, con un minimo di euro 250. Se non sono dovute imposte, si applica la sanzione da euro 250 a euro 1.000. Se la dichiarazione omessa è presentata dal contribuente entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo e, comunque, prima dell’inizio di qualunque attività amministrativa di accertamento di cui abbia avuto formale conoscenza, si applica la
sanzione amministrativa dal sessanta al centoventi per
cento dell’ammontare delle imposte dovute, con un minimo di euro 200. Se non sono dovute imposte, si applica la sanzione da euro 150 a euro 500. Le sanzioni applicabili quando non sono dovute imposte possono essere
aumentate fino al doppio nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili.
2. Se nella dichiarazione è indicato, ai fini delle singole imposte, un reddito o un valore della produzione
imponibile inferiore a quello accertato, o, comunque,
un’imposta inferiore a quella dovuta o un credito superiore a quello spettante, si applica la sanzione amministrativa dal novanta al centoottanta per cento della maggior imposta dovuta o della differenza del credito utilizzato. La stessa sanzione si applica se nella dichiarazione
sono esposte indebite detrazioni d’imposta ovvero indebite deduzioni dall’imponibile, anche se esse sono state
attribuite in sede di ritenuta alla fonte.
3. La sanzione di cui al comma precedente è aumentata della metà quando la violazione è realizzata mediante l’utilizzo di documentazione falsa o per operazioni
inesistenti, mediante artifici o raggiri, condotte simulatorie o fraudolente.
4. Fuori dai casi di cui al comma 3, la sanzione di cui
al comma 2 è ridotta di un terzo quando la maggiore imposta o il minore credito accertati sono complessivamente inferiori al tre per cento dell’imposta e del credito
dichiarati e comunque complessivamente inferiori a euro 30.000. La medesima riduzione si applica quando,
fuori dai casi di cui al comma 3, l’infedeltà è conseguenza di un errore sull’imputazione temporale di elementi
positivi o negativi di reddito, purché il componente positivo abbia già concorso alla determinazione del reddito
nell’annualità in cui interviene l’attività di accertamento
o in una precedente. Se non vi è alcun danno per l’Erario, la sanzione è pari a euro 250.
5. Per maggiore imposta si intende la differenza tra
l’ammontare del tributo liquidato in base all’accerta-
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LEGISLAZIONE
mento e quello liquidabile in base alle dichiarazioni ai
sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.
6. In caso di rettifica del valore normale dei prezzi di
trasferimento praticati nell’ambito delle operazioni di
cui all’articolo 110, comma 7, del decreto del Presidente
della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, da cui derivi
una maggiore imposta o una differenza del credito, la
sanzione di cui al comma 2 non si applica qualora, nel
corso dell’accesso, ispezione o verifica o di altra attività
istruttoria, il contribuente consegni all’Amministrazione finanziaria la documentazione indicata in apposito
provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate
idonea a consentire il riscontro della conformità al valore normale dei prezzi di trasferimento praticati. Il contribuente che detiene la documentazione prevista dal
provvedimento di cui al periodo precedente deve darne
apposita comunicazione all’Amministrazione finanziaria secondo le modalità e i termini ivi indicati; in assenza
di detta comunicazione si rende applicabile la sanzione
di cui al comma 2.
7. Nelle ipotesi di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, se nella dichiarazione dei redditi il canone derivante dalla locazione di immobili ad
uso abitativo non è indicato o è indicato in misura inferiore a quella effettiva, si applicano in misura raddoppiata, rispettivamente, le sanzioni amministrative previste
dai precedenti commi 1 e 2.
8. Se le violazioni previste nei commi 1 e 2 riguardano redditi prodotti all’estero, le sanzioni sono aumentate di un terzo con riferimento alle imposte o alle maggiori imposte relative a tali redditi.»;
b) all’articolo 2:
1) nel comma 1, le parole: “lire cinquecentomila” sono sostituite dalle seguenti: “euro 250” ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Se la dichiarazione omessa è presentata dal sostituto entro il
termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo e, comunque,
prima dell’inizio di qualunque attività amministrativa di accertamento di cui abbia avuto formale conoscenza, si applica la sanzione amministrativa dal sessanta al centoventi per cento dell’ammontare delle ritenute non versate, con un minimo di euro 200.”;
2) nel comma 2, le parole: “dal cento al duecento”
sono sostituite dalle seguenti: “dal novanta al centoottanta” e le parole: “lire cinquecentomila” sono
sostituite dalle seguenti: “euro 250”;
3) dopo il comma 2, sono inseriti i seguenti: “2-bis.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
La sanzione di cui al comma 2 è aumentata della
metà quando la violazione è realizzata mediante
l’utilizzo di documentazione falsa, mediante artifici o raggiri, condotte simulatorie o fraudolente.
2-ter. Fuori dai casi di cui al comma 2-bis, la sanzione di cui al comma 2 è ridotta di un terzo
quando l’ammontare delle ritenute non versate riferibili alla differenza tra l’ammontare dei compensi, interessi ed altre somme accertati e dichiarati è inferiore al tre per cento delle ritenute riferibili all’ammontare dei compensi, interessi ed altre
somme dichiarati e comunque inferiore a euro
30.000.”;
4) nel comma 3, le parole: “da lire cinquecentomila a
lire quattro milioni”, sono sostituite dalle seguenti: “da euro 250 a euro 2.000” ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Se la dichiarazione
omessa è stata presentata entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo
d’imposta successivo, si applica la sanzione da euro 150 a euro 500 e la sanzione del comma 4 è ridotta del cinquanta per cento.”;
5) nel comma 4, le parole: “di lire centomila” sono
sostituite dalle seguenti: “di euro 50”;
6) dopo il comma 4 sono inseriti i seguenti: “4-bis.
Per ritenute non versate si intende la differenza tra
l’ammontare delle maggiori ritenute accertate e
quelle liquidabili in base alle dichiarazioni ai sensi
degli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.
4-ter. In caso di rettifica del valore normale dei
prezzi di trasferimento praticati nell’ambito delle
operazioni di cui all’articolo 110, comma 7, del
decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre
1986, n. 917, da cui derivi la non corretta applicazione delle aliquote convenzionali sul valore
delle royalties e degli interessi attivi che eccede il
valore normale previste per l’esercizio della ritenuta di cui all’articolo 25, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre
1973, n. 600, la sanzione di cui al comma 2 non si
applica qualora, nel corso dell’accesso, ispezione o
verifica o di altra attività istruttoria, il contribuente consegni all’Amministrazione finanziaria la documentazione indicata in apposito provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate idonea
a consentire il riscontro della conformità al valore
normale dei prezzi di trasferimento praticati. Il
contribuente che detiene la documentazione prevista dal provvedimento di cui al periodo prece-
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
dente deve darne apposita comunicazione all’Amministrazione finanziaria secondo le modalità e i
termini ivi indicati; in assenza di detta comunicazione si rende applicabile la sanzione di cui al
comma 2.”;
c) all’articolo 3, comma 1, le parole: “da lire cinquecentomila a lire quattro milioni” sono sostituite dalle seguenti: “da euro 250 a euro 2.000”;
d) l’articolo 4 è abrogato;
e) all’articolo 5:
1) nel comma 1, ultimo periodo, le parole: “lire cinquecentomila” sono sostituite dalle seguenti: “euro 250” ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Se la dichiarazione omessa è presentata entro
il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo e, comunque, prima dell’inizio di qualunque attività amministrativa di accertamento di cui il soggetto
passivo abbia avuto formale conoscenza, si applica la sanzione amministrativa dal sessanta al centoventi per cento dell’ammontare del tributo dovuto per il periodo d’imposta o per le operazioni
che avrebbero dovuto formare oggetto di dichiarazione, con un minimo di euro 200.”;
2) nel comma 3, primo periodo, le parole: “da lire
cinquecentomila a lire quattro milioni” sono sostituite dalle seguenti: “da euro 250 a euro
2.000”, nel secondo periodo le parole: “periodica
o quella” sono soppresse e dopo il secondo periodo è aggiunto il seguente: “Se la dichiarazione
omessa è presentata entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo e, comunque, prima dell’inizio di
qualunque attività amministrativa di accertamento di cui il soggetto passivo abbia avuto formale
conoscenza, si applica la sanzione amministrativa
da euro 150 a euro 1.000.”;
3) i commi da 4 a 5 sono sostituiti dai seguenti: “4.
Se dalla dichiarazione presentata risulta un’imposta inferiore a quella dovuta ovvero un’eccedenza
detraibile o rimborsabile superiore a quella spettante, si applica la sanzione amministrativa dal
novanta al centoottanta per cento della maggior
imposta dovuta o della differenza di credito utilizzato.
4-bis. La sanzione di cui al comma 4 è aumentata
della metà quando la violazione è realizzata mediante l’utilizzo di fatture o altra documentazione
falsa o per operazioni inesistenti, mediante artifici
o raggiri, condotte simulatorie o fraudolente.
LEGISLAZIONE
4-ter. Fuori dai casi di cui al comma 4-bis, la sanzione di cui al comma 4 è ridotta di un terzo
quando la maggiore imposta ovvero la minore eccedenza detraibile o rimborsabile accertata è complessivamente inferiore al tre per cento dell’imposta, dell’eccedenza detraibile o rimborsabile dichiarata e, comunque, complessivamente inferiore a euro 30.000.
4-quater. Per imposta dovuta si intende la differenza tra l’ammontare del tributo liquidato in base all’accertamento e quello liquidabile in base alle dichiarazioni, ai sensi dell’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre
1972, n. 633.
5. Chi chiede a rimborso l’eccedenza detraibile risultante dalla dichiarazione in assenza dei presupposti individuati dall’articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, è punito con la sanzione amministrativa pari al trenta per cento del credito
rimborsato.”;
5) nel comma 6:
a) nel primo periodo, le parole: “nel primo e terzo comma dell’articolo 35” sono sostituite dalle seguenti:
“dagli articoli 35 e 35-ter” e le parole: “da lire un milione a lire quattro milioni” sono sostituite dalle seguenti: “da euro 500 a euro 2.000”;
b) nel secondo periodo, dopo le parole: “di registrazione” sono inserite le seguenti: “o le comunicazioni” e
le parole “comma 1” sono sostituite dalle seguenti:
“commi 1 e 4” [3];
f ) all’articolo 6:
1) nel comma 1, primo periodo, le parole: “fra il cento e il duecento” sono sostituite dalle seguenti:
“fra il novanta e il centoottanta” e, dopo il secondo periodo, è aggiunto il seguente: “La sanzione è
dovuta nella misura da euro 250 a euro 2.000
quando la violazione non ha inciso sulla corretta
liquidazione del tributo.”;
2) nel comma 2, primo periodo, le parole: “Chi viola
obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni non imponibili, esenti o
non soggette ad IVA” sono sostituite dalle seguenti: “Il cedente o prestatore che viola obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di
operazioni non imponibili, esenti, non soggette a
imposta sul valore aggiunto o soggette all’inversione contabile di cui agli articoli 17 e 74, commi
settimo e ottavo, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633,” e inoltre, nel
secondo periodo, le parole: “da lire cinquecento-
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LEGISLAZIONE
3)
4)
5)
6)
7)
mila a lire quattro milioni” sono sostituite dalle
seguenti: “da euro 250 a euro 2.000”;
nel comma 3, le parole: “da lire cinquecentomila a
lire quattro milioni” sono sostituite dalle seguenti: “da euro 250 a euro 2.000”;
nel comma 4, le parole: “commi 1, 2, 3 primo e
secondo periodo” sono sostituite dalle seguenti:
“commi 1, primo e secondo periodo, 2, primo periodo, 3, primo e secondo periodo,” e le parole: “a
lire un milione” sono sostituite dalle seguenti: “a
euro 500”;
nel comma 6, le parole: “uguale all’ammontare”
sono sostituite dalle seguenti: “pari al novanta per
cento dell’ammontare”;
nel comma 8, le parole: “lire cinquecentomila” sono sostituite dalle seguenti: “euro 250”;
il comma 9-bis è sostituito dai seguenti: “9-bis. E’
punito con la sanzione amministrativa compresa
fra 500 euro e 20.000 euro il cessionario o il committente che, nell’esercizio di imprese, arti o professioni, omette di porre in essere gli adempimenti connessi all’inversione contabile di cui agli articoli 17, 34, comma 6, secondo periodo, e 74, settimo e ottavo comma, del decreto del Presidente
della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e agli articoli 46, comma 1, e 47, comma 1, del decretolegge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427. Se
l’operazione non risulta dalla contabilità tenuta ai
sensi degli articoli 13 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600,
la sanzione amministrativa è elevata a una misura
compresa tra il cinque e il dieci per cento dell’imponibile, con un minimo di 1.000 euro. Resta ferma l’applicazione delle sanzioni previste dall’articolo 5, comma 4, e dal comma 6 con riferimento
all’imposta che non avrebbe potuto essere detratta
dal cessionario o dal committente. Le disposizioni
di cui ai periodi precedenti si applicano anche nel
caso in cui, non avendo adempiuto il cedente o
prestatore agli obblighi di fatturazione entro
quattro mesi dalla data di effettuazione dell’operazione o avendo emesso una fattura irregolare, il
cessionario o committente non informi l’Ufficio
competente nei suoi confronti entro il trentesimo
giorno successivo, provvedendo entro lo stesso
periodo all’emissione di fattura ai sensi dell’articolo 21 del predetto decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, o alla sua regolarizzazione, e all’assolvimento dell’imposta mediante inversione contabile.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
9-bis.1. In deroga al comma 9-bis, primo periodo, qualora, in presenza dei requisiti prescritti per
l’applicazione dell’inversione contabile l’imposta
relativa a una cessione di beni o a una prestazione
di servizi di cui alle disposizioni menzionate nel
primo periodo del comma 9-bis, sia stata erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti del
decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre
1972, n. 633, il cessionario o il committente anzidetto non è tenuto all’assolvimento dell’imposta,
ma è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro. Al pagamento
della sanzione è solidalmente tenuto il cedente o
prestatore. Le disposizioni di cui ai periodi precedenti non si applicano e il cessionario o il committente è punito con la sanzione di cui al comma
1 quando l’applicazione dell’imposta nel modo
ordinario anziché mediante l’inversione contabile
è stata determinata da un intento di evasione o di
frode del quale sia provato che il cessionario o
committente era consapevole.
9-bis.2. In deroga al comma 1, qualora, in assenza
dei requisiti prescritti per l’applicazione dell’inversione contabile l’imposta relativa a una cessione di beni o a una prestazione di servizi di cui alle
disposizioni menzionate nel primo periodo del
comma 9-bis, sia stata erroneamente assolta dal
cessionario o committente, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto del
Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n.
633, il cedente o il prestatore non è tenuto all’assolvimento dell’imposta, ma è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e
10.000 euro. Al pagamento della sanzione è solidalmente tenuto il cessionario o committente. Le
disposizioni di cui ai periodi precedenti non si applicano e il cedente o prestatore è punito con la
sanzione di cui al comma 1 quando l’applicazione
dell’imposta mediante l’inversione contabile anziché nel modo ordinario è stata determinata da un
intento di evasione o di frode del quale sia provato
che il cedente o prestatore era consapevole.
9-bis.3. Se il cessionario o committente applica
l’inversione contabile per operazioni esenti, non
imponibili o comunque non soggette a imposta,
in sede di accertamento devono essere espunti sia
il debito computato da tale soggetto nelle liquida-
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
zioni dell’imposta che la detrazione operata nelle
liquidazioni anzidette, fermo restando il diritto
del medesimo soggetto a recuperare l’imposta
eventualmente non detratta ai sensi dell’articolo
26, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e dell’articolo
21, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre
1992, n. 546. La disposizione si applica anche nei
casi di operazioni inesistenti, ma trova in tal caso
applicazione la sanzione amministrativa compresa tra il cinque e il dieci per cento dell’imponibile,
con un minimo di 1.000 euro.”;
8) nel comma 9-ter la parola: “pari” è sostituita dalle
seguenti: “dal 10”;
g) all’articolo 7, comma 4-bis, le parole: “prevista nel
comma 3” sono sostituite dalle seguenti: “amministrativa da euro 250 a euro 2.000”;
h) all’articolo 8:
1) nel comma 1, primo periodo, le parole: “ai fini
delle imposte dirette” sono sostituite dalle seguenti: “dei redditi, dell’imposta regionale sulle
attività produttive”, le parole: “compresa quella
periodica” sono soppresse, le parole “dal Ministro
delle finanze” sono sostituite dalle seguenti: “con
provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle
entrate” e le parole “da lire cinquecentomila a lire
quattro milioni” sono sostituite dalle seguenti:
“da euro 250 a euro 2.000”;
2) nel comma 2, le parole: “l’allegazione alla dichiarazione,” sono soppresse;
3) nel comma 3, le parole: “lire un milione a lire otto
milioni” sono sostituite dalle seguenti: “euro 500
a euro 4.000” e le parole: “7 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”
sono sostituite dalle seguenti: “4 del decreto del
Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n.
322”;
4) dopo il comma 3-quater, introdotto dal decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, è inserito il seguente: “3-quinquies. Quando l’omissione o l’incompletezza riguarda le segnalazioni previste dagli articoli 113, comma 6, 124, comma 5-bis e
132, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, dall’articolo
30, comma 4-quater, della legge 23 dicembre 1994,
n. 724 [2] e dall’articolo 1, comma 8, del decretolegge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con
modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.
214, si applica una sanzione da euro 2.000 a euro
21.000.”;
LEGISLAZIONE
i) all’articolo 9:
1) nel comma 1, le parole: “lire due milioni a lire
quindici milioni” sono sostituite dalle seguenti:
“euro 1.000 a euro 8.000.”;
2) nel comma 3, le parole: “lire cento milioni” sono
sostituite dalle seguenti: “euro 50.000”;
3) nel comma 4, le parole: “e 33” sono soppresse, dopo le parole: “n. 633” sono inserite le seguenti: “e
7 del decreto del Presidente della Repubblica 14 ottobre 1999, n. 542,”, le parole da: “ovvero dei regimi” fino a: “ legge 23 dicembre 1996, n. 662” sono soppresse e le parole: “lire cinquantamila a lire
cinque milioni” sono sostituite dalle seguenti:
“euro 250 a euro 2.500”;
4) il comma 5 è sostituito dal seguente: “5. Se la dichiarazione delle società e degli enti soggetti all’imposta sul reddito delle società sottoposti al
controllo contabile ai sensi del codice civile o di
leggi speciali non è sottoscritta dai soggetti che
sottoscrivono la relazione di revisione ai sensi
dell’articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, si applica la sanzione amministrativa fino al trenta per cento del compenso contrattuale relativo all’attività di redazione
della relazione di revisione e, comunque, non superiore all’imposta effettivamente accertata a carico
del contribuente, con un minimo di euro 250.”;
l) all’articolo 10:
1) nel comma 1, le parole: “lire quattro milioni a lire
quaranta milioni” sono sostituite dalle seguenti:
“euro 2.000 a euro 21.000” e le parole: “il ritardo
non eccede i quindici giorni” sono sostituite dalle
seguenti: “la trasmissione avviene nei quindici
giorni successivi”;
2) nel comma 3, le parole: “Fino a prova contraria,
si” sono sostituite dalla seguente: “Si”;
3) nel comma 4, le parole: “nella cui circoscrizione si
trova il” sono sostituite dalle seguenti: “competente in relazione al”;
m) all’articolo 11:
1) nel comma 1, le parole: “da lire cinquecentomila a
lire quattro milioni” sono sostituite dalle seguenti: “da euro 250 a euro 2.000”;
2) nel comma 2, le parole: “gravemente punita” sono
sostituite dalla seguente: “grave”;
3) nel comma 4, le parole: “lire un milione a lire due
milioni” sono sostituite dalle seguenti: “euro 500
a euro 1.000”;
4) nel comma 5, le parole: “lire due milioni a lire otto milioni” sono sostituite dalle seguenti: “euro
1.000 a euro 4.000”;
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LEGISLAZIONE
5) nel comma 7, le parole: “da lire cinquecentomila a
lire quattro milioni” sono sostituite dalle seguenti: “da euro 250 a euro 2.000”;
6) dopo il comma 7 sono aggiunti i seguenti: “7-bis.
Quando la garanzia di cui all’articolo 38-bis del
decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre
1972, n. 633, è presentata dalle società controllate o dall’ente o società controllante, di cui all’articolo 73, terzo comma, del medesimo decreto, con
un ritardo non superiore a novanta giorni dalla
scadenza del termine di presentazione della dichiarazione, si applica la sanzione amministrativa
da euro 1.000 a euro 4.000.
7-ter. Nei casi in cui il contribuente non presenti
l’interpello previsto dall’articolo 11, comma 2,
della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante lo Statuto dei diritti del contribuente, si applica la sanzione prevista dall’articolo 8, comma 3-quinquies.
La sanzione è raddoppiata nelle ipotesi in cui
l’amministrazione finanziaria disconosca la disapplicazione delle norme aventi ad oggetto deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni
soggettive del soggetto passivo.”;
n) all’articolo 12, comma 1, nel primo periodo le parole:
“lire cento milioni”, “ottanta milioni” e “centosessanta milioni di lire” sono rispettivamente sostituite dalle seguenti: “euro 50.000”, “euro 40.000” ed “euro
80.000” e nel secondo periodo le parole: “lire duecento milioni” e “centosessanta milioni di lire” sono
rispettivamente sostituite dalle seguenti: “euro
100.000” e “euro 80.000”;
o) l’articolo 13 è sostituito dal seguente:
«Art. 13 (Ritardati od omessi versamenti diretti e altre
violazioni in materia di compensazione).
1. Chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte
scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché
non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari
al trenta per cento di ogni importo non versato, anche
quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di
calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione
annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile. Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a novanta giorni, la sanzione di cui
al primo periodo è ridotta alla metà. Salva l’applicazione
dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997,
n. 472, per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione di cui al secondo
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
periodo è ulteriormente ridotta a un importo pari a un
quindicesimo per ciascun giorno di ritardo.
2. La sanzione di cui al comma 1 si applica nei casi di
liquidazione della maggior imposta ai sensi degli articoli
36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica
29 settembre 1973, n. 600, e ai sensi dell’articolo 54-bis
del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre
1972, n. 633.
3. Fuori dei casi di tributi iscritti a ruolo, la sanzione
prevista al comma 1 si applica altresì in ogni ipotesi di
mancato pagamento di un tributo o di una sua frazione
nel termine previsto.
4. Nel caso di utilizzo di un’eccedenza o di un credito
d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante
o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle
leggi vigenti si applica, salva l’applicazione di disposizioni speciali, la sanzione pari al trenta per cento del credito
utilizzato.
5. Nel caso di utilizzo in compensazione di crediti
inesistenti per il pagamento delle somme dovute è applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi. Per le sanzioni previste nel presente comma, in nessun caso si applica la definizione agevolata prevista dagli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2,
del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in
tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli
articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all’articolo 54-bis
del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre
1972, n. 633.
6. Fuori dall’ipotesi di cui all’articolo 11, comma 7bis, sull’ammontare delle eccedenze di credito risultanti
dalla dichiarazione annuale dell’ente o società controllante ovvero delle società controllate, compensate in tutto o in parte con somme che avrebbero dovuto essere
versate dalle altre società controllate o dall’ente o società
controllante, di cui all’articolo 73, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n.
633, si applica la sanzione di cui al comma 1 quando la
garanzia di cui all’articolo 38-bis del medesimo decreto
è presentata oltre il termine di novanta giorni dalla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione
annuale.
7. Le sanzioni previste nel presente articolo non si
applicano quando i versamenti sono stati tempestivamente eseguiti ad ufficio o concessionario diverso da
quello competente.”;
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
p) all’articolo 14, comma 1, le parole da: “, salva” a: “versamento” sono soppresse;
q) all’articolo 15:
1) nel comma 1, le parole: “lire duecentomila a lire
un milione” sono sostituite dalle seguenti: “euro
100 a euro 500”;
2) dopo il comma 2 è aggiunto il seguente: “2-bis.
Per l’omessa presentazione del modello di versamento contenente i dati relativi alla eseguita compensazione, si applica la sanzione di euro 100, ridotta a euro 50 se il ritardo non è superiore a cinque giorni lavorativi.”.
Note:
[2] NDR: In G.U. è riportato il seguente riferimento
normativo non corretto: «legge 30 dicembre 1994, n.
724».
[3] NDR: Il testo della presente lettera corrisponde a
quanto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.
CAPO II
SANZIONI AMMINISTRATIVE PER LE
VIOLAZIONI DI NORME TRIBUTARIE
Art. 16. Modifiche al decreto legislativo 18 dicembre
1997, n. 472
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. Al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 2, comma 4, le parole: “delle finanze, di
concerto con il Ministro del tesoro” sono sostituite
dalle seguenti: “dell’economia e delle finanze”;
b) all’articolo 5, il comma 2 è abrogato;
c) all’articolo 7:
1) nel comma 3, le parole: “La sanzione può essere”
sono sostituite dalle seguenti: “Salvo quanto previsto al comma 4, la sanzione è” e dopo le parole:
“all’accertamento” sono inserite le seguenti: “di
mediazione e di conciliazione”;
2) nel comma 4, la parola: “eccezionali” è soppressa;
3) dopo il comma 4 è aggiunto il seguente: “4-bis.
Salvo quanto diversamente disposto da singole
leggi di riferimento, in caso di presentazione di
una dichiarazione o di una denuncia entro trenta
giorni dalla scadenza del relativo termine, la sanzione è ridotta della metà.”;
d) all’articolo 11:
1) nel comma 1 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Se la violazione non è commessa con dolo o
colpa grave, la sanzione, determinata anche in esito all’applicazione delle previsioni degli articoli 7,
LEGISLAZIONE
comma 3, e 12, non può essere eseguita nei confronti dell’autore, che non ne abbia tratto diretto
vantaggio, in somma eccedente euro 50.000, salvo quanto disposto dagli articoli 16, comma 3, e
17, comma 2, e salva, per l’intero, la responsabilità prevista a carico della persona fisica, della società, dell’associazione o dell’ente. L’importo può essere adeguato ai sensi dell’articolo 2, comma 4.”;
2) il comma 4 è abrogato;
3) nel comma 5, le parole da: “Quando” a: “grave,
il”, sono sostituite dalla seguente: “Il” e le parole:
“dall’articolo 5, comma 2” sono sostituite dalle
seguenti: “dall’articolo 11, comma 1”;
4) nel comma 6, le parole da: “Per” a: “grave, la”, sono sostituite dalla seguente: “La”;
e) all’articolo 12, comma 8, nel primo periodo, dopo le
parole: “con adesione,” sono inserite le seguenti: “di
mediazione tributaria e di conciliazione giudiziale,” e
nel secondo periodo le parole: “, alla conciliazione
giudiziale” sono soppresse;
f ) all’articolo 13:
1) nel comma 1, lettera a-bis), le parole da: “il novantesimo” a: “dall’errore;” sono sostituite dalle
seguenti: “novanta giorni dalla data dell’omissione o dell’errore, ovvero se la regolarizzazione delle
omissioni e degli errori commessi in dichiarazione avviene entro novanta giorni dal termine per la
presentazione della dichiarazione in cui l’omissione o l’errore è stato commesso;”;
2) nel comma 1-bis, le parole: “e b-ter)” sono sostituite dalle seguenti: “, b-ter) e b-quater)”;
g) all’articolo 14, dopo il comma 5 sono aggiunti i seguenti: “5-bis. Salva l’applicazione del comma 4, la
disposizione non trova applicazione quando la cessione avviene nell’ambito di una procedura concorsuale, di un accordo di ristrutturazione dei debiti di
cui all’articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo
1942, n. 267, di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), del predetto decreto o
di un procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento o di liquidazione del patrimonio.
5-ter. Le disposizioni del presente articolo si applicano, in quanto compatibili, a tutte le ipotesi di trasferimento di azienda, ivi compreso il conferimento.”.
h) all’articolo 23, comma 1, le parole: “, ancorché non
definitivo” sono sostituite dalle seguenti: “o provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, ancorché non definitivi”; inoltre le parole: “della somma risultante dall’atto o dalla” sono sostituite
dalle seguenti: “di tutti gli importi dovuti in base all’atto o alla”.
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LEGISLAZIONE
CAPO III
ALTRE DISPOSIZIONI
Art. 17. Sanzione applicabile in caso di cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite dei contratti di locazione e di affitto di beni immobili
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. All’articolo 17 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, dopo il primo periodo è inserito il seguente: “Entro il termine di trenta giorni deve essere
presentata all’ufficio presso cui è stato registrato il
contratto di locazione la comunicazione relativa alle
cessioni, alle risoluzioni e alle proroghe anche tacite
dello stesso.”.
b) dopo il comma 1, è inserito il seguente: “1-bis. Chi
non esegue, in tutto o in parte, il versamento relativo
alle cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite dei
contratti di cui al comma 1 è sanzionato ai sensi
dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre
1997, n. 471.”;
c) il comma 2 è soppresso.
2. All’articolo 3, comma 3, del decreto legislativo 14
marzo 2011, n. 23, dopo il primo periodo è aggiunto il
seguente: “In caso di mancata presentazione della comunicazione relativa alla risoluzione del contratto di locazione per il quale è stata esercitata l’opzione per l’applicazione dell’imposta cedolare secca, entro trenta giorni
dal verificarsi dell’evento, si applica la sanzione in misura fissa pari a euro 67, ridotta a euro 35 se presentata con
ritardo non superiore a trenta giorni.”.
Art. 18. Altre modifiche in materia di sanzioni ai fini
dell’imposta di registro
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. Al titolo VII del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, sono apportate le seguenti
modificazioni:
a) all’articolo 69, comma 1, dopo il primo periodo è aggiunto il seguente: “Se la richiesta di registrazione è
effettuata con ritardo non superiore a 30 giorni, si
applica la sanzione amministrativa dal sessanta al
centoventi per cento dell’ammontare delle imposte
dovute, con un minimo di euro 200.”;
b) all’articolo 72, comma 1, le parole: “dal duecento al
quattrocento per cento” sono sostituite dalle seguenti: “dal centoventi al duecentoquaranta per cento”.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Art. 19. Associazioni sportive dilettantistiche
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. Al comma 5 dell’articolo 25 della legge 13 maggio
1999, n. 133, le parole: “la decadenza dalle agevolazioni
di cui alla legge 16 dicembre 1991, n. 398, e successive
modificazioni, recante disposizioni tributarie relative alle
associazioni sportive dilettantistiche, e” sono soppresse.
Art. 20. Modifica dell’atto di recupero
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. All’articolo 1, comma 421, della legge 30 dicembre
2004, n. 311, dopo le parole: “ai sensi dell’articolo 17
del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive
modificazioni,” sono aggiunte le seguenti: “nonché per
il recupero delle relative sanzioni e interessi”.
Art. 21. Violazioni in materia di certificazione unica
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. All’articolo 4, comma 6-quinquies, del decreto del
Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, sono
apportate le seguenti modificazioni:
a) nel secondo periodo, dopo le parole: “del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472” sono aggiunte le
seguenti: “, con un massimo di euro 50.000 per sostituto di imposta”;
b) dopo l’ultimo periodo è aggiunto il seguente: “Se la
certificazione è correttamente trasmessa entro sessanta giorni dal termine previsto nel primo periodo, la
sanzione è ridotta a un terzo, con un massimo di euro
20.000.”.
Art. 22. Violazioni degli obblighi di comunicazione degli
enti e delle casse aventi esclusivamente fine assistenziale
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. All’articolo 78, comma 26, della legge 30 dicembre
1991, n. 413, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) nel quarto periodo, dopo le parole: “decreto legislativo
18 dicembre 1997, n. 472” sono aggiunte le seguenti:
“, con un massimo di euro 50.000 per soggetto terzo”;
b) dopo l’ultimo periodo è aggiunto il seguente: “Se la
comunicazione è correttamente trasmessa entro sessanta giorni dalla scadenza di cui al comma 25, la
sanzione è ridotta a un terzo, con un massimo di euro
20.000”.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Art. 23. Violazioni degli obblighi di comunicazione
al Sistema tessera sanitaria
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. All’articolo 3 del decreto legislativo 21 novembre
2014, n. 175, dopo il comma 5 è aggiunto il seguente:
«5-bis. In caso di omessa, tardiva o errata trasmissione
dei dati di cui ai commi 3 e 4 si applica la sanzione di euro 100 per ogni comunicazione, in deroga a quanto previsto dall’articolo 12 del decreto legislativo 18 dicembre
1997, n. 472, con un massimo di euro 50.000. Nei casi
di errata comunicazione dei dati la sanzione non si applica se la trasmissione dei dati corretti è effettuata entro
i cinque giorni successivi alla scadenza, ovvero, in caso di
segnalazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, entro i
cinque successivi alla segnalazione stessa. Se la comunicazione è correttamente trasmessa entro sessanta giorni
dalla scadenza prevista, la sanzione è ridotta a un terzo
con un massimo di euro 20.000.».
Art. 24. Riduzione sanzionatoria in caso di rettifiche
del CAF o del professionista
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. All’articolo 39, comma 1, lettera a), sesto periodo,
del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, le parole:
“nella misura prevista dall’articolo 13, comma 1, lettera
b), del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472” sono
sostituite dalle seguenti: “a un nono del minimo”.
Art. 25. Procedimento di computo in diminuzione
delle perdite in accertamento
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. All’articolo 42 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, dopo il terzo comma
è aggiunto il seguente: «Fatte salve le previsioni di cui
all’articolo 40-bis del presente decreto, sono computate
in diminuzione dei maggiori imponibili di cui al secondo comma le perdite relative al periodo d’imposta oggetto di accertamento, fino a concorrenza del loro importo.
Dai maggiori imponibili che residuano dall’eventuale
computo in diminuzione di cui al periodo precedente, il
contribuente ha facoltà di chiedere che siano computate
in diminuzione le perdite pregresse non utilizzate, fino a
concorrenza del loro importo. A tal fine, il contribuente
deve presentare un’apposita istanza all’ufficio competente all’emissione dell’avviso di accertamento di cui al se-
LEGISLAZIONE
condo comma, entro il termine di proposizione del ricorso. In tale caso il termine per l’impugnazione dell’atto è sospeso per un periodo di sessanta giorni. L’ufficio
procede al ricalcolo dell’eventuale maggiore imposta dovuta, degli interessi e delle sanzioni correlate, e comunica l’esito al contribuente, entro sessanta giorni dalla presentazione dell’istanza. Ai fini del presente comma per
perdite pregresse devono intendersi quelle che erano utilizzabili alla data di chiusura del periodo d’imposta oggetto di accertamento ai sensi dell’articolo 8 e dell’articolo 84 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.».
2. All’articolo 7 del decreto legislativo 19 giugno
1997, n. 218, dopo il comma 1-bis è aggiunto il seguente: «1-ter. Fatte salve le previsioni di cui all’articolo 9-bis
del presente decreto, il contribuente ha facoltà di chiedere che siano computate in diminuzione dai maggiori
imponibili le perdite di cui al quarto comma dell’articolo 42 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, non utilizzate, fino a concorrenza del
loro importo.».
3. All’articolo 36-bis del decreto del Presidente della
Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, dopo il comma 3
è aggiunto il seguente: «3-bis. A seguito dello scomputo
delle perdite dai maggiori imponibili effettuato ai sensi
del secondo periodo del quarto comma dell’articolo 42
del presente decreto, del comma 3 dell’articolo 40-bis
del presente decreto, del comma 1-ter dell’articolo 7 del
decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, del comma 2
dell’articolo 9-bis del decreto legislativo 19 giugno 1997,
n. 218, l’amministrazione finanziaria provvede a ridurre
l’importo delle perdite riportabili ai sensi dell’articolo 8
e dell’articolo 84 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, nell’ultima dichiarazione
dei redditi presentata. A seguito dello scomputo delle
perdite dai maggiori imponibili effettuato ai sensi del
primo periodo del quarto comma dell’articolo 42 del
presente decreto, l’amministrazione finanziaria provvede a ridurre l’importo delle perdite riportabili ai sensi
dell’articolo 8 e dell’articolo 84 del decreto del Presidente
della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, nelle dichiarazioni dei redditi successive a quella oggetto di rettifica
e, qualora emerga un maggiore imponibile, procede alla
rettifica ai sensi del primo e secondo comma dell’articolo 42 del presente decreto.».
4. Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia
delle entrate, da emanare entro novanta giorni dalla data
di entrata in vigore del presente decreto, sono stabiliti i
contenuti e le modalità di presentazione dell’istanza di
cui ai precedenti commi, nonché le conseguenti attività
dell’ufficio competente.[4]
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LEGISLAZIONE
5. Le disposizioni di cui ai commi precedenti entrano in vigore il 1° gennaio 2016, con riferimento ai periodi di imposta per i quali, alla predetta data, sono ancora pendenti i termini di cui all’articolo 43 del decreto
del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.
Note:
[4] In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il Provvedimento 8 aprile 2016.
Art. 26. Ulteriori modifiche in materia di imposta di registro
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. All’articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 dopo il comma 1 è aggiunto il seguente: «1-bis. Per i decreti di trasferimento e
gli atti da essi ricevuti, i cancellieri devono richiedere la
registrazione entro sessanta giorni da quello in cui il
provvedimento è stato emanato.».
Art. 27. Modifiche in materia di imposte ipotecaria e
catastale
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. All’articolo 6, comma 2, del decreto legislativo 31
ottobre 1990, n. 347, le parole: “trenta giorni” sono sostituite dalle seguenti: “centoventi giorni”.
2. All’articolo 9 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n.
347, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, dopo il primo periodo è aggiunto il seguente: “Se la richiesta di trascrizione o le annotazioni obbligatorie sono effettuate con un ritardo non superiore a trenta giorni, si applica la sanzione amministrativa dal cinquanta al cento per cento dell’ammontare delle imposte dovute.”;
b) al comma 2, le parole: “da lire duecentomila a lire
quattro milioni.” sono sostituite dalle seguenti: “da
euro 100 a euro 2.000, ridotta a euro 50 se la richiesta è effettuata con ritardo non superiore a trenta
giorni.”.
Art. 28. Modifiche in materia di imposta sulle successioni e donazioni
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. All’articolo 50, comma 1, secondo periodo, del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, le parole: “da lire
cinquecentomila a lire due milioni” sono sostituite dalle
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
seguenti: “da euro 250 a euro 1.000”; inoltre, dopo il secondo periodo sono aggiunti i seguenti: “Se la dichiarazione è presentata con un ritardo non superiore a trenta
giorni, si applica la sanzione amministrativa dal sessanta
al centoventi per cento dell’ammontare dell’imposta liquidata o riliquidata dall’ufficio. Se non è dovuta imposta si applica la sanzione amministrativa da euro 150 a
euro 500.”.
Art. 29. Modifiche in materia di imposta di bollo
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. Al titolo V del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642, sono apportate le seguenti
modificazioni:
a) all’articolo 24, comma 1, le parole: “lire duecentomila a lire quattrocentomila” sono sostituite dalle seguenti: “euro 100 a euro 200”;
b) all’articolo 25, comma 3, dopo il primo periodo è aggiunto il seguente: “Se la dichiarazione di conguaglio
è presentata con un ritardo non superiore a trenta
giorni, si applica la sanzione amministrativa dal cinquanta al cento per cento dell’ammontare dell’imposta dovuta.”.
Art. 30. Modifiche in materia di imposta sugli intrattenimenti
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. All’articolo 32 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 640, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1:
1) nel primo periodo, le parole: “lire un milione” sono sostituite dalle seguenti: “euro 500”;
2) è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “La sanzione è dovuta nella misura da euro 250 a euro
2.000 quando la violazione non ha inciso sulla
corretta liquidazione del tributo.”;
b) al comma 2:
1) nel primo periodo, le parole: “lire cinquecentomila” sono sostituite dalle seguenti: “euro 250”;
2) è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Se la dichiarazione di cui all’articolo 2 e quella di cui all’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1999, n. 544, da presentarsi, rispettivamente, entro dieci giorni dalla fine di ciascun anno sociale, ed entro il quinto giorno successivo al termine della data della manifestazione,
LEGISLAZIONE
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
sono presentate con un ritardo non superiore a
trenta giorni, si applica la sanzione amministrativa dal cinquanta al cento per cento dell’ammontare dell’imposta con un minimo di 150 euro.”;
c) al comma 3, primo periodo, dopo le parole: “non documentato” sono aggiunte le seguenti: “con un minimo di euro 500”.
2. All’articolo 33 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 640, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, le parole: “lire cinquecentomila a lire
due milioni” sono sostituite dalle seguenti: “euro 250
a euro 1.000”;
b) il comma 4 è abrogato.
Art. 31. Modifiche in materia di fatture per operazioni
inesistenti
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. Nell’articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, il comma 7 è sostituito
dal seguente: “7. Se il cedente o prestatore emette fattura
per operazioni inesistenti, ovvero se indica nella fattura i
corrispettivi delle operazioni o le imposte relative in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura.”.
TITOLO III
DECORRENZA DEGLI EFFETTI,
ABROGAZIONI E DISPOSIZIONI FINANZIARIE
Art. 32. Decorrenza degli effetti e abrogazioni
In vigore dal 1 gennaio 2016
1. Le disposizioni di cui al Titolo II del presente decreto
si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2016. [5]
2. A decorrere dal 1° gennaio 2016 sono abrogate le seguenti disposizioni:[6]
a) gli articoli 32 e 33 del decreto legislativo 15 dicembre
1997, n. 446;
b) l’articolo 27, comma 18, del decreto-legge 29 novembre
2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla
legge 28 gennaio 2009, n. 2;
c) l’articolo 19, comma 4, del decreto legislativo 9 luglio
1997, n. 241;
d) l’articolo 3, comma 5, del decreto legislativo 14 marzo
2011, n. 23;
3. Nell’articolo 34, comma 4, della legge 23 dicembre
2000, n. 388, le parole: “di cui al decreto legislativo 21
novembre 1997, n. 461” sono soppresse.
Note:
[5] Comma così modificato dall’ art. 1, comma 133, L.
28 dicembre 2015, n. 208, a decorrere dal 1° gennaio
2016.
[6] Alinea così modificato dall’ art. 1, comma 133, L. 28
dicembre 2015, n. 208, a decorrere dal 1° gennaio 2016.
Art. 33. Disposizione finanziaria
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. Agli oneri derivanti dal presente decreto, valutati
in 40 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2017,
si provvede mediante corrispondente riduzione della dotazione del Fondo di cui all’articolo 16, comma 1, ultimo periodo, della legge 11 marzo 2014, n. 23. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
2. Il Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento delle finanze e l’Agenzia delle entrate effettuano
il monitoraggio degli effetti finanziari in termini di minor gettito derivante dalla rimodulazione delle sanzioni
previste dal presente decreto e, nel caso si verifichi o sia
in procinto di verificarsi uno scostamento rispetto alle
previsioni, il Ministro dell’economia e delle finanze presenta al Parlamento una apposita relazione in cui sono
indicate le cause dello scostamento e gli interventi specifici da adottare per il mantenimento degli equilibri di finanza pubblica, ai sensi dell’articolo 17, comma 13, della
legge 31 dicembre 2009, n. 196.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi
della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque
spetti di osservarlo e di farlo osservare.
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LEGISLAZIONE
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74
Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore
aggiunto, come modificato dal DL 24/9/2015 n. 158
TITOLO I
DEFINIZIONI
Art. 1 Definizioni
In vigore dal 22 ottobre 2015
Testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 1,
comma 1, lett. a), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158
1. Ai fini del presente decreto legislativo:
a)
per “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni
non realmente effettuate in tutto o in parte o che
indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero
che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da
quelli effettivi;
b)
per “elementi attivi o passivi” si intendono le
componenti, espresse in cifra, che concorrono, in
senso positivo o negativo, alla determinazione del
reddito o delle basi imponibili rilevanti ai fini dell’applicazione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto e le componenti che incidono sulla
determinazione dell’imposta dovuta; [3]
c)
per “dichiarazioni” si intendono anche le dichiarazioni presentate in qualità di amministratore, liquidatore o rappresentante di società, enti o persone fisiche o di sostituto d’imposta, nei casi previsti dalla legge; [4]
d)
il “fine di evadere le imposte” e il “fine di consentire a terzi l’evasione” si intendono comprensivi,
rispettivamente, anche del fine di conseguire un
indebito rimborso o il riconoscimento di un inesistente credito d’imposta, e del fine di consentirli a terzi;
e)
riguardo ai fatti commessi da chi agisce in qualità
di amministratore, liquidatore o rappresentante
di società, enti o persone fisiche, il “fine di evadere
le imposte” ed il “fine di sottrarsi al pagamento” si
intendono riferiti alla società, all’ente o alla persona fisica per conto della quale si agisce;
f)
per “imposta evasa” si intende la differenza tra
l’imposta effettivamente dovuta e quella indicata
nella dichiarazione, ovvero l’intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione, al netto delle
somme versate dal contribuente o da terzi a titolo
di acconto, di ritenuta o comunque in pagamento
di detta imposta prima della presentazione della
dichiarazione o della scadenza del relativo termine; non si considera imposta evasa quella teorica e
non effettivamente dovuta collegata a una rettifica
in diminuzione di perdite dell’esercizio o di perdite
pregresse spettanti e utilizzabili; [5]
g)
le soglie di punibilità riferite all’imposta evasa si
intendono estese anche all’ammontare dell’indebito rimborso richiesto o dell’inesistente credito
di imposta esposto nella dichiarazione;
g-bis) per “operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente” si intendono le operazioni apparenti, diverse da quelle disciplinate dall’articolo
10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, poste in
essere con la volontà di non realizzarle in tutto o
in parte ovvero le operazioni riferite a soggetti fittiziamente interposti; [6]
g-ter) per “mezzi fraudolenti” si intendono condotte artificiose attive nonché quelle omissive realizzate
in violazione di uno specifico obbligo giuridico,
che determinano una falsa rappresentazione della
realtà [6]
Note:
[3] Lettera così modificata dall’ art. 1, comma 1, lett. a),
D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.
[4] Lettera così modificata dall’ art. 1, comma 1, lett. b),
D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.
[5]Lettera così modificata dall’ art. 1, comma 1, lett. c),
D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.
[6] Lettera aggiunta dall’ art. 1, comma 1, lett. d), D.Lgs.
24 settembre 2015, n. 158.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
TITOLO II
DELITTI
CAPO I
DELITTI IN MATERIA DI DICHIARAZIONE
Art. 2. Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti
[9] [10] [11]
In vigore dal 22 ottobre 2015
Testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 2,
comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158
1. E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a
sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle
dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi
fittizi. [8]
2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando
tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture
contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova
nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
3. Se l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a euro 154.937,07 (lire trecento milioni), si applica la reclusione da sei mesi a due anni. [7]
Note:
[7] Comma abrogato dall’ art. 2, comma 36-vicies semel,
lettera a), D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con
modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148; per
l’applicazione di tale disposizione, vedi comma 36-vicies
bis del predetto art. 2, D.L. n. 138/2011.
[8] Comma così modificato dall’ art. 2, comma 1, D.Lgs.
24 settembre 2015, n. 158.
[9] Sull’esclusione della punibilità per i reati di cui al
presente articolo, vedi l’art. 5-quinquies, commi 1, lett.
a), e 2, D.L. 28 giugno 1990, n. 167, aggiunto dall’ art.
1, comma 1, L. 15 dicembre 2014, n. 186.
[10] PER MEMORIA:
- Per l’esclusione della notizia di reato in caso di determinazione di ricavi e compensi mediante applicazione degli studi di settore, cfr. art. 10, comma 6, legge 8 maggio
1998, n. 146 .
- Per l’inapplicabilità delle disposizioni relative al patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti nei confronti
di imputati di reati tributari, cfr. art. 91, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 .
- Per l’irrilevanza penale della definizione automatica
per gli anni pregressi, cfr. art. 7, comma 12, legge 27 dicembre 2002, n. 289 .
LEGISLAZIONE
- Per l’esclusione della punibilità in caso di integrazione
degli imponibili per gli anni pregressi, cfr. art. 8, comma
6, lettera c), legge 27 dicembre 2002, n. 289 .
- Per l’esclusione della notizia di reato in caso di integrazione degli imponibili per gli anni pregressi, cfr. art. 8,
comma 12, legge 27 dicembre 2002, n. 289 .
- Per l’esclusione della punibilità in caso di definizione
automatica per gli anni pregressi, cfr. art. 9, comma 10,
lettera c), legge 27 dicembre 2002, n. 289 .
- Per l’inammissibilità della definizione degli accertamenti, degli atti di contestazione, degli avvisi di irrogazione delle sanzioni, degli inviti al contraddittorio e dei
processi verbali di constatazione, cfr. art. 15, comma 1,
legge 27 dicembre 2002, n. 289 .
- Per l’esclusione della punibilità in caso di definizione
degli accertamenti, degli atti di contestazione, degli avvisi di irrogazione delle sanzioni, degli inviti al contraddittorio e dei processi verbali di constatazione, cfr. art.
15, comma 7, legge 27 dicembre 2002, n. 289 .
- Per l’esclusione della punibilità in caso di collaborazione volontaria, cfr. art. 5-quinquies, commi 1, lett. a), e
2, D.L. 28 giugno 1990, n. 167.
[11] PER MEMORIA:
- Per la concessione dell’indulto per reati commessi fino
al 2 maggio 2006, cfr. art. 1, comma 1 , legge 31 luglio
2006, n. 241.
- Per la confisca dei beni, cfr. art. 1, comma 143, legge 24
dicembre 2007, n. 244.
Art. 3. Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici
[12] [13]
In vigore dal 22 ottobre 2015
Testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 3,
comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158
1. Fuori dai casi previsti dall’articolo 2, è punito con
la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque,
al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, compiendo operazioni simulate oggettivamente
o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi
o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute
fittizi, quando, congiuntamente:
a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna
delle singole imposte, a euro trentamila;
b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di
elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cen-
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110
LEGISLAZIONE
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
to dell’ammontare complessivo degli elementi attivi
indicati in dichiarazione, o comunque, è superiore a
euro un milione cinquecentomila, ovvero qualora
l’ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute
fittizie in diminuzione dell’imposta, è superiore al
cinque per cento dell’ammontare dell’imposta medesima o comunque a euro trentamila.
2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini
di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
2. Ai fini dell’applicazione della disposizione del
comma 1, non costituiscono mezzi fraudolenti la mera
violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola
indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi
attivi inferiori a quelli reali.
1-bis. Ai fini dell’applicazione della disposizione del
comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri
concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non
inerenza, della non deducibilità di elementi passivi
reali.[17]
1-ter. Fuori dei casi di cui al comma 1-bis, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al
10 per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lettere a) e b). [17]
Note:
[12] Articolo modificato dall’art. 2, comma 36-vicies semel, lett. b) e c), D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito,
con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148;
per l’applicazione di tale disposizione, vedi il comma 36vicies bis del medesimo art. 2, D.L. n. 138/2011. Successivamente il presente articolo è stato così sostituito dall’
art. 3, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.
[13] Sull’esclusione della punibilità per i reati di cui al
presente articolo, vedi l’art. 5-quinquies, commi 1, lett.
a), e 2, D.L. 28 giugno 1990, n. 167, aggiunto dall’ art.
1, comma 1, L. 15 dicembre 2014, n. 186.
Note:
[14] Lettera modificata dall’art. 2, comma 36-vicies semel, lettera d), D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito,
con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148;
per l’applicazione di tale disposizione, vedi comma 36vicies bis del predetto art. 2, D.L. n. 138/2011. Successivamente la presente lettera è stata così modificata dall’
art. 4, comma 1, lett. a), D.Lgs. 24 settembre 2015, n.
158.
[15] Lettera modificata dall’art. 2, comma 36-vicies semel, lettera e), D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito,
con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148;
per l’applicazione di tale disposizione, vedi comma 36vicies bis del predetto art. 2, D.L. n. 138/2011. Successivamente la presente lettera è stata così modificata dall’
art. 4, comma 1, lett. b) e d), D.Lgs. 24 settembre 2015, n.
158.
[16] Alinea così modificato dall’ art. 4, comma 1, lett. d),
D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.
[17] Comma aggiunto dall’ art. 4, comma 1, lett. c),
D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.
[18] PER MEMORIA:
- Per il rimpatrio e/o la regolarizzazione di attività detenute all’estero, cfr. art. 14, commi 1, lettera c) e comma
7, art. 15, comma 1 e art. 16, comma 1, D.L. 25 settembre 2001, n. 350.
- Per l’estinzione dei reati in caso di regolarizzazione del
lavoro sommerso, cfr. art. 1, comma 3, legge 18 ottobre
2001, n. 383 .
- Per l’imposta sostitutiva sul costo del lavoro irregolare
per gli anni pregressi, cfr. art. 1, comma 3, legge 18 ottobre 2001, n. 383 .
- Per l’inapplicabilità delle disposizioni relative al patro-
Art. 4. Dichiarazione infedele [18] [19]
In vigore dal 22 ottobre 2015
Testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 4,
comma 1, lett. d), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158
1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito
con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di
evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente: [16]
a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna
delle singole imposte, a euro centocinquantamila; [14]
b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di
elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per
cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro tre milioni [15].
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
cinio a spese dello Stato per i non abbienti nei confronti
di imputati di reati tributari, cfr. art. 91, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 .
- Per l’esclusione della punibilità per i redditi derivanti
da attività detenute all’estero rimpatriate o regolarizzate,
cfr. testo originario art. 6, comma 1, lettera f ), D.L. 24
dicembre 2002, n. 282 e testo originario art. 20, comma 1,
lettera f), legge 27 dicembre 2002, n. 289 .
- Per l’irrilevanza penale della definizione automatica
per gli anni pregressi, cfr. art. 7, comma 12, legge 27 dicembre 2002, n. 289 .
- Per l’esclusione della punibilità in caso di integrazione
degli imponibili per gli anni pregressi, cfr. art. 8, comma
6, lettera c), legge 27 dicembre 2002, n. 289 .
- Per l’esclusione della notizia di reato in caso di integrazione degli imponibili per gli anni pregressi, cfr. art. 8,
comma 12, legge 27 dicembre 2002, n. 289 .
- Per l’esclusione della punibilità in caso di definizione
automatica per gli anni pregressi, cfr. art. 9, comma 10,
lettera c), legge 27 dicembre 2002, n. 289 .
- Per l’esclusione della punibilità in caso di definizione
degli accertamenti, degli atti di contestazione, degli avvisi di irrogazione delle sanzioni, degli inviti al contraddittorio e dei processi verbali di constatazione, cfr. art.
15, comma 7, legge 27 dicembre 2002, n. 289 .
- Per l’esclusione della punibilità in caso di collaborazione volontaria, cfr. art. 5-quinquies, commi 1, lett. a), e
2, D.L. 28 giugno 1990, n. 167.
[19] PER MEMORIA:
- Per la concessione dell’indulto per reati commessi fino
al 2 maggio 2006, cfr. art. 1, comma 1 , legge 31 luglio
2006, n. 241.
- Per la confisca dei beni, cfr. art. 1, comma 143, legge 24
dicembre 2007, n. 244 .
Art. 5. Omessa dichiarazione [23] [24]
In vigore dal 22 ottobre 2015
Testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 5,
comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158
1. E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a
quattro anni chiunque al fine di evadere le imposte sui
redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte,
quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila. [20]
1-bis. E’ punito con la reclusione da un anno e sei
mesi a quattro anni chiunque non presenta, essendovi
obbligato, la dichiarazione di sostituto d’imposta, quan-
LEGISLAZIONE
do l’ammontare delle ritenute non versate è superiore ad
euro cinquantamila. [21]
2. Ai fini della disposizione prevista dai commi 1 e 1bis non si considera omessa la dichiarazione presentata
entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non
sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al
modello prescritto.[22]
Note:
[20] Comma modificato dall’art. 2, comma 36-vicies semel, lettera f ), D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito,
con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148;
per l’applicazione di tale disposizione, vedi comma 36vicies bis del predetto art. 2, D.L. n. 138/2011. Successivamente il presente comma è stato così sostituito dall’
art. 5, comma 1, lett. a), D.Lgs. 24 settembre 2015, n.
158, che ha sostituito l’originario comma 1 con gli attuali commi 1 e 1-bis.
[21] Comma inserito dall’ art. 5, comma 1, lett. a),
D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, che ha sostituito l’originario comma 1 con gli attuali commi 1 e 1-bis.
[22] Comma così modificato dall’ art. 5, comma 1, lett.
b), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.
[23] PER MEMORIA:
- Per il rimpatrio e/o la regolarizzazione di attività detenute all’estero, cfr. art. 14, commi 1, lettera c) e comma
7, art. 15, comma 1 e art. 16, comma 1, D.L. 25 settembre 2001, n. 350.
- Per l’estinzione dei reati in caso di regolarizzazione del
lavoro sommerso, cfr. art. 1, comma 3, legge 18 ottobre
2001, n. 383 .
- Per l’imposta sostitutiva sul costo del lavoro irregolare
per gli anni pregressi, cfr. art. 1, comma 3, legge 18 ottobre 2001, n. 383 .
- Per l’inapplicabilità delle disposizioni relative al patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti nei confronti
di imputati di reati tributari, cfr. art. 91, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 .
- Per l’esclusione della punibilità per i redditi derivanti
da attività detenute all’estero rimpatriate o regolarizzate,
cfr. testo originario art. 6, comma 1, lettera f ), D.L. 24
dicembre 2002, n. 282 e testo originario art. 20, comma
1, lettera f ), legge 27 dicembre 2002, n. 289 .
- Per l’irrilevanza penale della definizione automatica
per gli anni pregressi, cfr. art. 7, comma 12, legge 27 dicembre 2002, n. 289 .
- Per l’esclusione della punibilità in caso di integrazione
degli imponibili per gli anni pregressi, cfr. art. 8, comma
6, lettera c), legge 27 dicembre 2002, n. 289 .
- Per l’esclusione della notizia di reato in caso di integra-
111
112
LEGISLAZIONE
zione degli imponibili per gli anni pregressi, cfr. art. 8,
comma 12, legge 27 dicembre 2002, n. 289.
- Per l’esclusione della punibilità in caso di definizione
automatica per gli anni pregressi, cfr. art. 9, comma 10,
lettera c), legge 27 dicembre 2002, n. 289 .
- Per l’esclusione della punibilità in caso di definizione
degli accertamenti, degli atti di contestazione, degli avvisi di irrogazione delle sanzioni, degli inviti al contraddittorio e dei processi verbali di constatazione, cfr. art.
15, comma 7, legge 27 dicembre 2002, n. 289.
- Per l’esclusione della punibilità in caso di collaborazione volontaria, cfr. art. 5-quinquies, commi 1, lett. a), e
2, D.L. 28 giugno 1990, n. 167.
[24] PER MEMORIA:
- Per la concessione dell’indulto per reati commessi fino
al 2 maggio 2006, cfr. art. 1, comma 1 , legge 31 luglio
2006, n. 241
- Per la confisca dei beni, cfr. art. 1, comma 143, legge 24
dicembre 2007, n. 244.
Art. 6. Tentativo
In vigore dal 15 aprile 2000
1. I delitti previsti dagli articoli 2, 3 e 4 non sono comunque punibili a titolo di tentativo .
Art. 7. Rilevazioni nelle scritture contabili e nel
bilancio [27]
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. Non danno luogo a fatti punibili a norma degli
articoli 3 e 4 le rilevazioni nelle scritture contabili e nel
bilancio eseguite in violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza ma sulla base di metodi costanti di impostazione contabile, nonché le rilevazioni e le valutazioni estimative rispetto alle quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio.
2. In ogni caso, non danno luogo a fatti punibili a
norma degli articoli 3 e 4 le valutazioni estimative che,
singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al dieci per cento da quelle corrette. Degli importi
compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste
nel comma 1, lettere a) e b), dei medesimi articoli. ]
Note:
[25] Articolo abrogato dall’ art. 14, comma 1, lett. a),
D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
CAPO II
DELITTI IN MATERIA DI DOCUMENTI
E PAGAMENTO DI IMPOSTE
Art. 8. Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti [27]
In vigore dal 17 settembre 2011
Testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 2,
comma 36-vicies semel, lettera g), D.L. 13 agosto 2011,
n. 138, modificato in sede di conversione
1. E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a
sei anni chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione
delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
2. Ai fini dell’applicazione della disposizione prevista
dal comma 1, l’emissione o il rilascio di più fatture o documenti per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta si considera come un solo reato.
3. Se l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti è inferiore a euro 154.937,07
(lire trecento milioni) per periodo di imposta, si applica
la reclusione da sei mesi a due anni. [26]
Note:
[26] Comma abrogato dall’ art. 2, comma 36-vicies semel, lettera g), D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito,
con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148;
per l’applicazione di tale disposizione, vedi comma 36vicies bis del predetto art. 2, D.L. n. 138/2011.
[27] PER MEMORIA:
- Per la concessione dell’indulto per reati commessi fino
al 2 maggio 2006, cfr. art. 1, comma 1 , legge 31 luglio
2006, n. 241.
- Per la confisca dei beni, cfr. art. 1, comma 143, legge 24
dicembre 2007, n. 244.
Art. 9. Concorso di persone nei casi di emissione o utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti
In vigore dal 15 aprile 2000
1. In deroga all’articolo 110 del codice penale:
a) l’emittente di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo non è
punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall’articolo 2;
b) chi si avvale di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo non è
punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall’articolo 8 .
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
LEGISLAZIONE
Art. 10. Occultamento o distruzione di documenti
contabili [29][30]
In vigore dal 22 ottobre 2015
Art. 10-bis. Omesso versamento di ritenute dovute o
certificate [32][31][34][35]
In vigore dal 22 ottobre 2015
Testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 6,
comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158
1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni
chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul
valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi,
occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione,
in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o
del volume di affari. [28]
Testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 7,
comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158
1. E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni
chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di
imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila
euro per ciascun periodo d’imposta. [33]
Note:
[28] Comma così modificato dall’ art. 6, comma 1,
D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.
[29] PER MEMORIA:
- Per l’inapplicabilità delle disposizioni relative al patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti nei confronti
di imputati di reati tributari, cfr. art. 91, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115
- Per l’irrilevanza penale della definizione automatica
per gli anni pregressi, cfr. art. 7, comma 12, legge 27 dicembre 2002, n. 289 .
- Per l’esclusione della punibilità in caso di integrazione
degli imponibili per gli anni pregressi, cfr. art. 8, comma
6, lettera c), legge 27 dicembre 2002, n. 289 .
- Per l’esclusione della notizia di reato in caso di integrazione degli imponibili per gli anni pregressi, cfr. art. 8,
comma 12, legge 27 dicembre 2002, n. 289 .
- Per l’esclusione della punibilità in caso di definizione
automatica per gli anni pregressi, cfr. art. 9, comma 10,
lettera c), legge 27 dicembre 2002, n. 289 .
- Per l’inammissibilità della definizione degli accertamenti, degli atti di contestazione, degli avvisi di irrogazione delle sanzioni, degli inviti al contraddittorio e dei
processi verbali di constatazione, cfr. art. 15, comma 1,
legge 27 dicembre 2002, n. 289 .
- Per l’esclusione della punibilità in caso di definizione
degli accertamenti, degli atti di contestazione, degli avvisi di irrogazione delle sanzioni, degli inviti al contraddittorio e dei processi verbali di constatazione, cfr. art.
15, comma 7, legge 27 dicembre 2002, n. 289 .
[30] PER MEMORIA:
- Per la concessione dell’indulto per reati commessi fino
al 2 maggio 2006, cfr. art. 1, comma 1 , legge 31 luglio
2006, n. 241.
Note:
[31] Articolo inserito dall’art. 1, comma 414, L. 30 dicembre 2004, n. 311, a decorrere dal 1° gennaio 2005.
[32] Rubrica così modificata dall’ art. 7, comma 1, lett.
a), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.
[33] Comma così modificato dall’ art. 7, comma 1, lett.
b), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.
[34] Sull’esclusione della punibilità per i reati di cui al
presente articolo, vedi l’art. 5-quinquies, commi 1, lett.
a), e 2, D.L. 28 giugno 1990, n. 167, aggiunto dall’ art.
1, comma 1, L. 15 dicembre 2014, n. 186.
[35] PER MEMORIA:
- Per la concessione dell’indulto per reati commessi fino
al 2 maggio 2006, cfr. art. 1, comma 1 , legge 31 luglio
2006, n. 241.
- Per la confisca dei beni, cfr. art. 1, comma 143, legge 24
dicembre 2007, n. 244.
Art. 10-ter Omesso versamento di IVA [36][37]
In vigore dal 22 ottobre 2015
Testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 8,
comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158
1. E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni
chiunque non versa, entro il termine per il versamento
dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo,
l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro
duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta.
Note:
[36] Articolo inserito dall’art. 35, comma 7, D.L. 4 luglio
2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla L. 4
agosto 2006, n. 248, e, successivamente, così sostituito
dall’ art. 8, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.
[37] Sull’esclusione della punibilità per i reati di cui al
presente articolo, vedi l’art. 5-quinquies, commi 1, lett.
a), e 2, D.L. 28 giugno 1990, n. 167, aggiunto dall’ art.
1, comma 1, L. 15 dicembre 2014, n. 186.
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LEGISLAZIONE
Art. 10-quater Indebita compensazione [38]
In vigore dal 22 ottobre 2015
Testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 9,
comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158
1. E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni
chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in
compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti, per
un importo annuo superiore a cinquantamila euro.
2. E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a
sei anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto
legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti inesistenti per un
importo annuo superiore ai cinquantamila euro.
Note:
[38] Articolo inserito dall’art. 35, comma 7, D.L. 4 luglio
2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla L. 4
agosto 2006, n. 248, e, successivamente, così sostituito
dall’ art. 9, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.
Art. 11. Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte
[39][40][41]
In vigore dal 31 maggio 2010
Testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art.
29, comma 4, D.L 31 maggio 2010, n. 78
1. E’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro
anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o
sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila,
aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui
propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore
ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno
a sei anni.
2. E’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro
anni chiunque, al fine di ottenere per sé o per altri un
pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica
nella documentazione presentata ai fini della procedura
di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare
inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per
un ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila. Se l’ammontare di cui al periodo precedente è
superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione
da un anno a sei anni.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Note:
[39] Articolo così sostituito dall’art. 29, comma 4, D.L.
31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
dalla L. 30 luglio 2010, n. 122.
[40] PER MEMORIA:
- Per l’inapplicabilità delle disposizioni relative al patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti nei confronti
di imputati di reati tributari, cfr. art. 91, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 .
[41] PER MEMORIA:
- Per la concessione dell’indulto per reati commessi fino
al 2 maggio 2006, cfr. art. 1, comma 1 , legge 31 luglio
2006, n. 241.
- Per la confisca dei beni, cfr. art. 1, comma 143, legge 24
dicembre 2007, n. 244.
TITOLO III
DISPOSIZIONI COMUNI
Art. 12. Pene accessorie
In vigore dal 17 settembre 2011
Testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 2,
comma 36-vicies semel, lettera h), D.L. 13 agosto 2011,
n. 138, modificato in sede di conversione
1. La condanna per taluno dei delitti previsti dal presente decreto importa:
a) l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per un periodo non inferiore a
sei mesi e non superiore a tre anni;
b) l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione per un periodo non inferiore ad un anno e
non superiore a tre anni;
c) l’interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a cinque anni;
d) l’interdizione perpetua dall’ufficio di componente di
commissione tributaria;
e) la pubblicazione della sentenza a norma dell’articolo
36 del codice penale.
2. La condanna per taluno dei delitti previsti dagli
articoli 2, 3 e 8 importa altresì l’interdizione dai pubblici
uffici per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni, salvo che ricorrano le circostanze previste dagli articoli 2, comma 3, e 8, comma 3.
2-bis. Per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del
presente decreto l’istituto della sospensione condizionale della pena di cui all’articolo 163 del codice penale non
trova applicazione nei casi in cui ricorrano congiunta-
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
mente le seguenti condizioni: a) l’ammontare dell’imposta evasa sia superiore al 30 per cento del volume d’affari; b) l’ammontare dell’imposta evasa sia superiore a tre
milioni di euro. [42]
Note:
[42] Comma aggiunto dall’ art. 2, comma 36-vicies semel, lettera h), D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito,
con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148;
per l’applicazione di tale disposizione, vedi comma 36vicies bis del predetto art. 2, D.L. n. 138/2011.
Art. 12-bis Confisca [43]
In vigore dal 22 ottobre 2015
Testo introdotto dall’art. 10, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158
1. Nel caso di condanna o di applicazione della pena
su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal
presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni
che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando
essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la
disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo
o profitto.
2. La confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza
di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca
è sempre disposta.
Note:
[43] Articolo inserito dall’ art. 10, comma 1, D.Lgs. 24
settembre 2015, n. 158.
Art. 13. Causa di non punibilità. Pagamento del debito tributario [44]
In vigore dal 22 ottobre 2015
Testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art.
11, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158
1. I reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i
debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento
degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento
operoso.
LEGISLAZIONE
2. I reati di cui agli articoli 4 e 5 non sono punibili se
i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi
dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di
presentazione della dichiarazione relativa al periodo
d’imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la
presentazione siano intervenuti prima che l’autore del
reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.
3. Qualora, prima della dichiarazione di apertura del
dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in
fase di estinzione mediante rateizzazione, anche ai fini
dell’applicabilità dell’articolo 13-bis, è dato un termine
di tre mesi per il pagamento del debito residuo. In tal caso la prescrizione è sospesa. Il Giudice ha facoltà di prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi,
qualora lo ritenga necessario, ferma restando la sospensione della prescrizione.
Note:
[44] Articolo modificato dall’ art. 2, comma 36-vicies semel, lett. i) e m), D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito,
con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148;
per l’applicazione di tale disposizione, vedi comma 36vicies bis del predetto art. 2, D.L. n. 138/2011. Successivamente il presente articolo è stato così sostituito dall’
art. 11, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.
Art. 13-bis Circostanze del reato [45]
In vigore dal 22 ottobre 2015
Testo introdotto dall’art. 12, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158
1. Fuori dai casi di non punibilità, le pene per i delitti di cui al presente decreto sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell’articolo 12 se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese
sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche
a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie.
2. Per i delitti di cui al presente decreto l’applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale può essere chiesta dalle parti solo quando
ricorra la circostanza di cui al comma 1, nonché il ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all’articolo
13, commi 1 e 2.
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LEGISLAZIONE
3. Le pene stabilite per i delitti di cui al titolo II sono
aumentate della metà se il reato è commesso dal concorrente nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o da un intermediario finanziario
o bancario attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale.
Note:
[45] Articolo inserito dall’ art. 12, comma 1, D.Lgs. 24
settembre 2015, n. 158.
Art. 14. Circostanza attenuante. Riparazione dell’offesa nel caso di estinzione per prescrizione del debito
tributario
In vigore dal 15 aprile 2000
1. Se i debiti indicati nell’articolo 13 risultano
estinti per prescrizione o per decadenza, l’imputato di
taluno dei delitti previsti dal presente decreto può
chiedere di essere ammesso a pagare, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, una somma, da lui indicata, a titolo di equa riparazione dell’offesa recata all’interesse pubblico tutelato
dalla norma violata.
2. La somma, commisurata alla gravità dell’offesa,
non può essere comunque inferiore a quella risultante
dal ragguaglio a norma dell’articolo 135 del codice penale della pena minima prevista per il delitto contestato.
3. Il giudice, sentito il pubblico ministero, se ritiene
congrua la somma, fissa con ordinanza un termine non
superiore a dieci giorni per il pagamento .
4. Se il pagamento è eseguito nel termine, la pena è
diminuita fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell’articolo 12. Si osserva la disposizione prevista dal comma 3 dell’articolo 13.
5. Nel caso di assoluzione o di proscioglimento la
somma pagata è restituita.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Art. 16. Adeguamento al parere del Comitato per
l’applicazione delle norme antielusive[46]
In vigore dal 22 ottobre 2015
1. Non dà luogo a fatto punibile a norma del presente decreto la condotta di chi, avvalendosi della procedura stabilita dall’articolo 21, commi 9 e 10, della legge 30
dicembre 1991, n. 413, si è uniformato ai pareri del Ministero delle finanze o del Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive previsti dalle medesime
disposizioni, ovvero ha compiuto le operazioni esposte
nell’istanza sulla quale si è formato il silenzio-assenso. ]
Note:
[46] Articolo abrogato dall’ art. 14, comma 1, lett. a),
D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.
Art. 17. Interruzione della prescrizione
In vigore dal 17 settembre 2011
1. Il corso della prescrizione per i delitti previsti dal
presente decreto è interrotto, oltre che dagli atti indicati
nell’articolo 160 del codice penale, dal verbale di constatazione o dall’atto di accertamento delle relative violazioni.
1-bis. I termini di prescrizione per i delitti previsti
dagli articoli da 2 a 10 del presente decreto sono elevati
di un terzo.[47]
Note:
[47] Comma aggiunto dall’ art. 2, comma 36-vicies semel, lettera l), D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito,
con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148;
per l’applicazione di tale disposizione, vedi comma 36vicies bis del predetto art. 2, D.L. n. 138/2011.
Art. 18. Competenza per territorio
In vigore dal 15 aprile 2000
Art. 15. Violazioni dipendenti da interpretazione delle
norme tributarie
In vigore dal 15 aprile 2000
1. Al di fuori dei casi in cui la punibilità è esclusa a
norma dell’articolo 47, terzo comma, del codice penale,
non danno luogo a fatti punibili ai sensi del presente decreto le violazioni di norme tributarie dipendenti da
obiettive condizioni di incertezza sulla loro portata e sul
loro ambito di applicazione.
1. Salvo quanto previsto dai commi 2 e 3, se la competenza per territorio per i delitti previsti dal presente
decreto non può essere determinata a norma dell’articolo 8 del codice di procedura penale, è competente il giudice del luogo di accertamento del reato.
2. Per i delitti previsti dal capo I del titolo II il reato si
considera consumato nel luogo in cui il contribuente ha il
domicilio fiscale. Se il domicilio fiscale è all’estero è competente il giudice del luogo di accertamento del reato.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
3. Nel caso previsto dal comma 2 dell’articolo 8, se le
fatture o gli altri documenti per operazioni inesistenti
sono stati emessi o rilasciati in luoghi rientranti in diversi circondari, è competente il giudice di uno di tali luoghi in cui ha sede l’ufficio del pubblico ministero che ha
provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel
registro previsto dall’articolo 335 del codice di procedura penale.
Art. 18-bis Custodia giudiziale dei beni sequestrati [48]
In vigore dal 22 ottobre 2015
Testo introdotto dall’art. 13, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158
1. I beni sequestrati nell’ambito dei procedimenti
penali relativi ai delitti previsti dal presente decreto e a
ogni altro delitto tributario, diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, possono essere affidati dall’autorità giudiziaria in custodia giudiziale, agli organi dell’amministrazione finanziaria che ne facciano richiesta
per le proprie esigenze operative.
2. Restano ferme le disposizioni dell’articolo 61,
comma 23, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.
133, e dell’articolo 2 del decreto-legge 16 settembre 2008,
n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181.
Note:
[48] Articolo inserito dall’ art. 13, comma 1, D.Lgs. 24
settembre 2015, n. 158.
TITOLO IV
RAPPORTI CON IL SISTEMA SANZIONATORIO
AMMINISTRATIVO E FRA PROCEDIMENTI
Art. 19. Principio di specialità
In vigore dal 15 aprile 2000
1. Quando uno stesso fatto è punito da una delle disposizioni del titolo II e da una disposizione che prevede
una sanzione amministrativa, si applica la disposizione
speciale.
2. Permane, in ogni caso, la responsabilità per la sanzione amministrativa dei soggetti indicati nell’articolo
11, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n.
472, che non siano persone fisiche concorrenti nel reato.
LEGISLAZIONE
Art. 20. Rapporti tra procedimento penale e processo
tributario
In vigore dal 15 aprile 2000
1. Il procedimento amministrativo di accertamento
ed il processo tributario non possono essere sospesi per
la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i
medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque
dipende la relativa definizione.
Art. 21. Sanzioni amministrative per le violazioni ritenute penalmente rilevanti
In vigore dal 15 aprile 2000
1. L’ufficio competente irroga comunque le sanzioni
amministrative relative alle violazioni tributarie fatte oggetto di notizia di reato.
2. Tali sanzioni non sono eseguibili nei confronti dei
soggetti diversi da quelli indicati dall’articolo 19, comma
2, salvo che il procedimento penale sia definito con
provvedimento di archiviazione o sentenza irrevocabile
di assoluzione o di proscioglimento con formula che
esclude la rilevanza penale del fatto. In quest’ultimo caso, i termini per la riscossione decorrono dalla data in
cui il provvedimento di archiviazione o la sentenza sono
comunicati all’ufficio competente; alla comunicazione
provvede la cancelleria del giudice che li ha emessi.
3. Nei casi di irrogazione di un’unica sanzione amministrativa per più violazioni tributarie in concorso o
continuazione fra loro, a norma dell’articolo 12 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, alcune delle quali
soltanto penalmente rilevanti, la disposizione del comma 2 del presente articolo opera solo per la parte della
sanzione eccedente quella che sarebbe stata applicabile
in relazione alle violazioni non penalmente rilevanti.
TITOLO V
DISPOSIZIONI DI COORDINAMENTO E FINALI
Art. 22. Modalità di documentazione dell’avvenuta
estinzione dei debiti tributari
In vigore dal 15 aprile 2000
1. Con decreto del Ministero delle finanze [50],
emanato entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, sono stabilite le modalità di documentazione dell’avvenuta estinzione dei debiti tributari indicati nell’articolo 13 e di versamento delle somme indicate nell’articolo 14, comma 3 .
[49] Cfr. D.M. 13 giugno 2000.
117
118
LEGISLAZIONE
Art. 23. Modifiche in tema di utilizzazione di documenti da parte della Guardia di finanza
In vigore dal 15 aprile 2000
1. Nell’articolo 63, primo comma, secondo periodo, del
decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n.
633, e nell’articolo 33, terzo comma, secondo periodo, del
decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973,
n. 600, le parole: “previa autorizzazione dell’autorità
giudiziaria in relazione alle norme che disciplinano il segreto” sono sostituite dalle seguenti: “previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria, che può essere concessa
anche in deroga all’articolo 329 del codice di procedura
penale”.
Art. 24. Modifica dell’articolo 2 della legge 26 gennaio
1983, n. 18
In vigore dal 15 aprile 2000
1. L’ottavo comma dell’articolo 2 della legge 26 gennaio 1983, n. 18, è sostituito dal seguente:
“Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque manomette o comunque altera gli apparecchi misuratori previsti
nell’articolo 1 o fa uso di essi allorché siano stati manomessi o alterati o consente che altri ne faccia uso al fine
di eludere le disposizioni della presente legge è punito
con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro
1.032,91 (lire due milioni) a euro 7.746,85 (lire quindici milioni). Con la stessa sanzione è punito, salvo che il
fatto costituisca reato, chiunque, allo stesso fine, forma
in tutto o in parte stampati, documenti o registri prescritti dai decreti indicati nell’articolo 1 o li altera e ne fa
uso o consente che altri ne faccia uso; nonché chiunque,
senza avere concorso nella falsificazione, fa uso degli
stessi stampati, documenti o registri.”.
Art. 25. Abrogazioni
In vigore dal 15 aprile 2000
a)
b)
c)
d)
1. Sono abrogati:
l’articolo 97, sesto comma, del decreto del Presidente
della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602;
l’articolo 8, undicesimo comma, della legge 10 maggio
1976, n. 249;
l’articolo 7, settimo comma, del decreto del Presidente
della Repubblica 6 ottobre 1978, n. 627;
il titolo I del decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982,
n. 516;
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
e) l’articolo 3, quarto comma, della legge 25 novembre
1983, n. 649;
f ) cembre 1983, n. 746, convertito, con modificazioni,
nella legge 27 febbraio 1984, n. 17;
g) l’articolo 1, quarto comma, secondo periodo, del decreto-legge 28 novembre 1984, n. 791, convertito, con
modificazioni, dalla legge 25 gennaio 1985, n. 6;
h) l’articolo 2, commi 27 e 28, e l’articolo 3, comma 14,
del decreto-legge 19 dicembre 1984, n. 853, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 1985, n.
17;
i) l’articolo 12, comma 13, della legge 30 dicembre 1991,
n. 413;
l) l’articolo 54, comma 8, del decreto-legge 30 agosto
1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla
legge 29 ottobre 1993, n. 427;
m) l’articolo 6, comma 1, del decreto-legge 31 dicembre
1996, n. 669, convertito, con modificazioni, dalla
legge 28 febbraio 1997, n. 30.
2. E’ abrogata ogni altra disposizione incompatibile
con il presente decreto.
GIURISPRUDENZA
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Rassegna di Giurisprudenza
a cura di Roberto Lunelli
Estratti e massime non ufficiali delle prime
Sentenze/Ordinanze emesse dalle Commissioni tributarie
e dalla Cassazione sul contenzioso tributario post D.Lgs.
156/2015 (lett. A); e sul cd. “doppio binario” post D.Lgs.
158/2015 (lett. B), distinguendo sanzioni amministrative (B1) e penali (B2); nonché, per completezza, alcune
massime sul “ne bis in idem” (B3) e sul principio di specialità (B4), estratte da pronunce della Corte di Giustizia
UE e della Corte di cassazione (Civile/Penale)]
Documento aggiornato al 5.10.2016
A. CONTENZIOSO TRIBUTARIO (D.Lgs.
156/2015)
Art. 15
C.T.P. Treviso, 15/01/2016, 99
“Questa Commissione dubita della legittimità costituzionale dell’articolo 15, co. 2-quater, come modificato da
decreto legislativo n. 156/2015, per violazione dell’articolo
76 Cost. e ritiene, in particolare, che la disposizione normativa che estende la condanna alle spese anche alla fase
cautelare sia viziata dall’eccesso di delega.
La previsione della condanna alle spese nella fase cautelare
non può ritenersi coerente con la ratio della legge che nulla
prevede sul punto”.
C.T.P. Reggio Emilia, 19/01/2016, n. 7
“La norma di natura processuale di cui all’art. 15, co.
2-quater, D.Lgs. 546/1992, introdotto dall’art. 9, co. 10,
D.Lgs. 156/2015, nella parte in cui dispone che, con l’ordinanza che decide sulle istanze cautelari, la Commissione
provvede sulle spese della relativa fase, in mancanza di
diversa disposizione di diritto transitorio, non è suscettibile
di applicazione retroattiva e, pertanto, non può trovare
applicazione ai giudizi introdotti prima della sua entrata
in vigore, avvenuta il 1° gennaio 2016”.
porta il consequenziale annullamento degli avvisi di accertamento Ici, senza che il giudice tributario possa avere il
potere di compiere alcun accertamento catastale incidenter
tantum ai sensi dell’art. 34 c.p.c.”.
Art. 47
C.T.P. Milano, 30/05/2016, 4771
“Solo con l’art. 9, comma 1, lett. r), n. 4) del D.Lgs.
156 del 24 settembre 2015 il Legislatore ha introdotto il
“nuovo” comma 8-bis dell’art. 47 D.Lgs. 546/92 con il
quale ha esteso anche alla sospensione giudiziale gli interessi previsti per la sospensione amministrativa. (…)
Se l’applicabilità, in via analogica, dell’interesse al tasso
del 4,5% fosse stata pacifica, non vi sarebbe stato alcun
bisogno di introdurre il nuovo comma 8-bis; se, invece, il
Legislatore avesse voluto confermare che tale interesse risultava già applicabile, lo avrebbe fatto con una norma d’interpretazione autentica”.
Art. 62-bis
C.T.R. Bari, 29/02/2016, n. 217
“Ai fini della sospensione di cui al co. 1 dell’art. 62-bis,
D.Lgs. 546/1992, introdotto dall’art. 9, D.Lgs.
156/2015, il presupposto da considerare è la gravità ed
irreparabilità del danno che potrebbe derivare della esecuzione e per la valutazione della sua sussistenza non si deve
porre mente alla fondatezza o meno della impugnazione”.
Art. 69
C.T.P. Venezia, 20/06/2016, 316
“E’ immediatamente esecutiva la sentenza che dispone
il rimborso dell’imposta e la condanna alle spese legali
dell’ufficio se il giudice non ritiene necessaria alcuna
garanzia”.
B. DOPPIO BINARIO
Art. 39
Corte di Cassazione, 17/06/2016, 12570
“L’art. 39, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 546 del 1992,
a seguito dell’aggiunta introdotta dall’art. 9, co. 1, del
D.Lgs. 156/2015,ha consacrato in legge l’istituto della
sospensione necessaria per pregiudizialità interna.
Ne deriva che, in ipotesi di impugnazione delle rendite
catastali e degli avvisi di accertamento Ici che su tali rendite si fondano, l’annullamento delle rendite catastali com-
B1. Sanzioni amministrative (D.Lgs. 158/2015)
C.T.P.La Spezia, 25/01/2016, n. 151
“In materia di sanzioni non è ammessa una interpretazione analogica e, infatti, se il Legislatore ha sentito il
bisogno di inserire una specifica previsione sanzionatoria
[cfr. la “nuova” versione dell’art. 13, co. 4, D.Lgs.
471/1997] significa che prima non era prevista alcuna
sanzione”.
119
120
GIURISPRUDENZA
Corte di Cassazione, 19/05/2016, n. 10394
“La Corte (…), rilevato il mutamento in melius del
trattamento sanzionatorio della fattispecie di cui si tratta
(falsa dichiarazione) derivante dalla novella del D.Lgs. n.
158 del 2015 (ex articolo 15) è tenuta a provvedere, in
applicazione dell’art. 3 del D.Lgs. n. 472 del 1997, all’annullamento del capo del provvedimento che irroga le sanzioni, con conseguente restituzione della controversia al giudice
del merito, affinché rinnovi l’apprezzamento in punto di
determinazione della sanzione alla luce della disciplina
sopravvenuta, in applicazione della regola del “favor rei””.
Corte di Cassazione, 09/08/2016, n. 16679
“I più favorevoli trattamenti sanzionatori di cui all’art.
6, co. 9-bis, n. 3, introdotto dal Decreto di riforma del
sistema sanzionatorio tributario (D.Lgs. 158/2015), non
trovano applicazione nel caso di operazioni imponibili soggettivamente inesistenti ancorché regolate in regime domestico di inversione contabile. (…).
Tuttavia il decreto di riforma ha quasi completamente
ridisegnato e fortemente ridimensionato il sistema sanzionatorio tributario. Vale, dunque, il dettato del D.Lgs. n.
472 del 1997, art. 3, comma 3, che ha esteso il principio
del favor rei anche al settore fiscale, sancendo l’applicazione retroattiva delle più favorevoli norme sanzionatorie
sopravvenute, che devono essere applicate, anche d’ufficio,
in ogni stato e grado del giudizio, e quindi anche in sede
di legittimità, all’unica condizione che il provvedimento
sanzionatorio non sia divenuto definitivo. Pertanto, se è in
contestazione l’an della violazione tributaria, sussiste ancora controversia sulla debenza delle sanzioni e s’impone l’applicazione del più favorevole regime sanzionatorio sopravvenuto. Ciò è compito devoluto al giudice di merito che
dovrà;(a) traguardare la fattispecie concretamente accertata dal giudice d’appello attraverso il nuovo assetto punitivo
introdotto dal D.Lgs. n. 158 del 2015; (b) individuare le
ipotesi sanzionatorie confacenti in continuità precettiva
con l’originaria contestazione del Fisco (D.Lgs. n. 471 del
1997, art.5, comma 4, art. 6, comma 6, art. 9, commi 1
e 3); (c) graduarne la portata nei limiti comunitari di
quanto strettamente necessario per assicurare l’esatta riscossione ed evitare l’evasione dell’imposizione sul valore
aggiunto, operando se del caso parziale disapplicazione del
diritto interno”.
B2. Sanzioni penali (D.Lgs. 158/2015)
Corte di Cassazione, Sez. Pen., 13/01/2016, n. 891
“Anche quando l’evasore fiscale ha patteggiato, la confisca può colpire l’intero importo dei ricavi in nero o dei costi
fittizi per ciascun concorrente nel reato. Il D.Lgs. 158 del
2015 salva i contribuenti che, anche prima dell’entrata in
vigore, hanno accumulato un debito fiscale al di sotto della
soglia prevista”.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Corte di Cassazione, Sez. Pen., 25/01/2016, n. 3098
“La formula assolutoria da utilizzare in ipotesi di
mancata integrazione della soglia di punibilità nel delitto
previsto dall’art. 10-ter D.Lgs. n. 74/2000 – vuoi perché,
essendo stato contestato un fatto integrante la soglia, lo stesso è invece risultato, a seguito dell’accertamento processuale, sotto soglia oppure vuoi perché, come nel caso di specie,
la soglia di punibilità è stata elevata a seguito della declaratoria di incostituzionalità della disposizione che la prevede o, ancora, vuoi perché tale elevazione sia da attribuire
allo ius superveniens – è di semplice soluzione. Ciò perché
le Sezioni Unite penali hanno affermato che - nel caso in
cui manchi un elemento costitutivo, di natura oggettiva del
reato contestato - l’assoluzione dell’imputato va deliberata
con la formula “il fatto non sussiste”, non con quella “il
fatto non è previsto dalla legge come reato””.
Corte di Cassazione, Sez. Pen., 11/02/2016, n. 5726
“Anche dopo la riforma attuata con il D.Lgs. 158 del
2015, nell’ambito di un’inchiesta per fatture false non può
essere disposto il sequestro probatorio su un bene che non
sia strettamente correlato all’illecito o corpo del reato”.
Corte di Cassazione, Sez. Pen., 11/02/2016, n. 5728
“Anche dopo la riforma dei reati fiscali introdotta con
il decreto 158 del 2015, la confisca può essere disposta sui
debiti rateizzati con le Entrate per la parte non ancora versata; la misura è, invece, inefficace in relazione alla quota
già pagata dal contribuente”.
Corte di Cassazione, Sez. Pen., 15/02/2016, n. 6105
“Il decreto legislativo 158/15 ha novellato la fattispecie
incriminatrice ex articolo 10-bis del decreto legislativo
74/2000 attraverso una riformulazione del modello legale
e, soprattutto, elevando la soglia di punibilità per la integrazione del fatto di reato da euro 50 mila a 150 mila
euro. La integrazione o meno della soglia quantitativa
necessaria per il perfezionamento del reato non dipende da
un evento futuro ed incerto (ossia da una condizione) ma
dallo stesso comportamento omissivo dell’agente che non
versa le ritenute operate nella qualità di sostituto d’imposta
entro il termine previsto per la presentazione della relativa
dichiarazione annuale per un importo che, integrata la
soglia, contribuisce alla realizzazione del fatto tipico.
La soglia di punibilità si traduce nella fissazione di una
quota di rilevanza quantitativa e/o qualitativa del fatto
tipico (…), con la conseguenza che, alla mancata integrazione della soglia, corrisponde la convinzione del
Legislatore circa l’assenza nella condotta incriminata di
una “sensibilità” penalistica del fatto, sicché il comportamento sotto soglia è ritenuto non lesivo del bene giuridico
tutelato, consistente, nel caso in esame, nella salvaguardia
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
degli interessi patrimoniali dello Stato connessi alla percezione dei tributi, anche in ossequio alla necessità di esaltare
il principio di offensività, dovendo alla soglia di punibilità
spettare - come si legge nella Relazione di accompagnamento al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 - anche il compito,
conformemente alla previsione dell’art. 9, comma 1, lett.
b), della legge delega, di “limitare l’intervento punitivo ai
soli illeciti di significativo rilievo economico”, consentendo
di riflesso un conseguente alleggerimento del carico penale.
Inoltre, nella stessa Relazione di accompagnamento
al D.Lgs. n. 74 del 2000 è poi significativamente affermato che le soglie di punibilità sono “da considerarsi alla stregua di altrettanti elementi costitutivi del reato e che in
quanto tali debbono essere investiti dal dolo”.
Ne consegue che deve rientrare nel fuoco del dolo anche la
soglia di punibilità, che è un elemento costitutivo del fatto
di reato, con la sottolineatura che il dolo è generico e che la
prova del dolo è insita, in genere, nella presentazione della
dichiarazione annuale o da quanto risulta dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti, emergendo da tali atti l’importo dovuto a titolo sostituto di imposta.
Da ciò deriva che la formula assolutoria da utilizzare in
ipotesi di mancata integrazione della soglia di punibilità
nel delitto previsto dall’art. 10-bis del D.Lgs. 74/2000 vuoi perché, contestato un fatto integrante la soglia, lo stesso è invece risultato, a seguito dell’accertamento processuale, sotto-soglia, oppure perché la soglia di punibilità è stata
elevata a seguito dello ius superveniens - è perché “il fatto
non sussiste”, non quella “il fatto non è previsto dalla legge
come reato”, che riguarda la diversa ipotesi in cui manchi una
qualsiasi norma penale cui ricondurre il fatto imputato”.
Corte di Cassazione, Sez. Pen., 26/02/2016, n. 7884
“Non è retroattiva la norma contenuta nell’art. 10-bis
del D.Lgs. (modificato dal D.Lgs. 158/2015) che non
richiede, più per la punibilità penale della omissione contributiva, la prova della certificazione”.
GIURISPRUDENZA
conseguenza che, alla mancata integrazione della soglia,
corrisponde la convinzione del Legislatore circa l’assenza
nella condotta incriminata di una sensibilità penalistica
del fatto; sicché il comportamento sotto soglia è ritenuto
non lesivo del bene giuridico tutelato, consistente, nel caso
in esame, nella salvaguardia degli interessi patrimoniali
dello Stato connessi alla percezione dei tributi, anche in
ossequio alla necessità di esaltare il principio di offensività”.
Corte di Cassazione, Sez. Pen., 05/05/2016, n. 18692
“In tema di reati tributari, per effetto della soppressione
- operata dal D.Lgs. n. 158 del 2015 - del termine
“annuali” riferito alle dichiarazioni fraudolente mediante
uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti,
di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 74 del 2000, integra il delitto previsto da tale disposizione l’utilizzo di documentazione fraudolenta in dichiarazioni [anche] infraannuali che
non abbiano natura “meramente comunicativa” ma “propriamente dichiarativa” e che comportino, quindi, direttamente la determinazione di un’imposta da versare”.
Corte di Cassazione, Sez. Pen., 07/07/2016, n. 28223
“Nell’ambito di una indagine per evasione fiscale, il
sequestro può colpire soltanto il saldo attivo presente sul
conto bancario del contribuente al momento dello spirare
del termine per il versamento dell’imposta (in questo caso
dell’Iva). In altre parole, la misura non può colpire le
somme di denaro che verranno depositate in futuro, in
quanto non possono essere considerate un risparmio di
spesa”.
Corte di Cassazione, Sez. Pen., 07/07/2016, n. 28225
“Dopo la riforma fiscale del 2015 non potrà più essere
disposta la confisca sui beni del contribuente in presenza di
un semplice accordo sulla rateizzazione: ciò anche in assenza di un sequestro preventivo. Sarà dunque sufficiente un
accertamento con adesione o una conciliazione giudiziale
o, ancora, una transazione”.
Corte di Cassazione, Sez. Pen., 10/03/2016, n. 9936
“Dopo l’ultima riforma dei reati fiscali, gli imprenditori che evadono l’Iva hanno diritto a un trattamento sanzionatorio più mite: l’innalzamento della soglia di punibilità ha, come conseguenza, la rivalutazione del disvalore
del fatto”.
Corte di Cassazione, Sez. Pen., 07/07/2016, n. 28237
“Dopo l’ultima riforma fiscale, l’imprenditore non
rischia una condanna per dichiarazione fraudolenta quando in bilancio dà una classificazione scorretta dei ricavi,
ottenendo così un imponibile più basso”.
Corte di Cassazione, Sez. Pen., 30/03/2016, n. 12804
“A seguito della riforma dei reati tributari (D.Lgs.
158/2015), è assolto dal reato di omesso versamento Iva
l’imprenditore se non risulta integrata la soglia di punibilità richiesta per la fattispecie incriminatrice. La soglia di
punibilità si traduce nella fissazione di una quota di rilevanza quantitativa e/o qualitativa del fatto tipico, con la
Corte di Cassazione, Sez. Pen., 15/07/2016, n. 30148
In ordine al reato di dichiarazione infedele, il superamento della soglia di punibilità, fissata attualmente in
150.000 euro (in seguito alle modifiche apportate
dal D.Lgs. n. 158 del 2015), non configura una condizione oggettiva di punibilità, bensì un elemento costitutivo
del reato. Ne deriva che la sua mancata integrazione
121
122
GIURISPRUDENZA
implica l’assoluzione con la formula “il fatto non sussiste”,
atteso che l’integrazione della predetta soglia non dipende
da un evento futuro ed incerto ma dallo stesso comportamento dell’agente che, con una condotta omissiva, contribuisce alla realizzazione del fatto tipico”.
Corte di Cassazione, Sez. Pen., 22/08/2016, n. 35246
“In tema di reati tributari, il comma secondo
del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12- bis, (norma introdotta dal D.Lgs. n. 158 del 2015), nel disporre che la confisca
diretta o di valore dei beni costituenti profitto o prodotto
del reato “non opera per la parte che il contribuente si
impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro”
e che “nel caso di mancato versamento la confisca è sempre
disposta”, non preclude l’adozione del sequestro preventivo
ad essa confisca finalizzato, relativamente agli importi non
ancora corrisposti”.
Corte di Cassazione, Sez. Pen., 20/09/2016, n. 38850
“Ai sensi dell’articolo 13-bis, comma 1, del D.Lgs. n.
74/2000 (introdotto dal D.Lgs. n. 158/2015), in termini
analoghi a quanto già previsto dall’articolo 13, stesso
decreto (nel testo ante D.Lgs. n. 158), fuori dai casi di non
punibilità, le pene per i delitti di cui al presente decreto
sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene
accessorie indicate nell’articolo 12 se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i
debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli
importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure
conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle
norme tributarie”.
B3. Ne bis in idem
Corte di Giustizia UE, 26/02/2013, n. C-617/10
“Il principio del ne bis in idem sancito all’articolo 50
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea
non osta a che uno Stato membro imponga, per le medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia di imposta sul valore aggiunto, una sanzione tributaria e successivamente una sanzione penale, qualora la prima sanzione
non sia di natura penale, circostanza che dev’essere verificata dal giudice nazionale”.
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, 04/03/2014, n.
18640/10 Grande Stevens
“L’articolo 4 del Protocollo n. 7 deve essere inteso nel
senso che esso vieta di perseguire o giudicare una persona per
un secondo “illecito” nella misura in cui, alla base di quest’ultimo, vi sono fatti che sono sostanzialmente gli stessi.
La garanzia sancita all’articolo 4 del Protocollo n. 7 entra
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
in gioco quando viene avviato un nuovo procedimento e la
precedente decisione di assoluzione o di condanna è già
passata in giudicato”.
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, 27/11/2014, n.
7356/10
“L’irrogazione di sanzioni amministrative e penali per
violazioni contabili e fiscali non si pone in contrasto con il
divieto di ne bis in idem, di cui all’art. 4 del Prot. VII
della Convenzione EDU, pur se l’infedeltà contabile e
quella fiscale attengono agli stessi dati”.
Corte di Cassazione, Sez.Pen. 15/05/2014, n. 20266
Non contrasta con l’art. 4, protocollo n. 7, integrativo
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, la circostanza che
la condotta di mancato versamento delle ritenute sia punita tanto in sede penale che in sede amministrativa ai sensi
dell’art. 13, comma 1, del D.Lgs. n. 471/1997, ponendosi
le due fattispecie - quella penale e quella amministrativa in rapporto di progressione illecita”.
Corte di Cassazione, 21/01/2015, n. 950
“E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale riguardante l’art. 187ter, punto 1, del D.Lgs. n. 58/1998, alla luce della sentenza della Corte EDU del 4 marzo 2014, che ha ritenuto
che le sanzioni amministrative previste dalla disciplina
italiana sugli abusi di mercato siano da considerarsi “penali”, a prescindere dalla loro qualificazione formale nel
diritto interno per contrasto con l’art. 117 Cost., comma 1,
anche alla luce degli artt. 2 e 4 del Protocollo n. 7 della
Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, nella parte in cui prevede la comminatoria
congiunta della sanzione penale (prevista dall’art. 185 del
D.Lgs. n. 58/1998) e della sanzione amministrativa (prevista per l’illecito di cui all’art. 187-ter, D.Lgs. cit.), violando i vincoli derivanti dagli obblighi internazionali, in
ragione della definitività della sentenza del Tribunale (di
Roma n. 24796/08 del 10 dicembre 2008), passata in
giudicato nei confronti delle parti ricorrenti”.
Corte di Giustizia UE, 15/04/2015, n. C-497/14
“Non rientra nella sfera di applicazione del diritto
dell’Unione europea la situazione giuridica disciplinata
dalla normativa interna che commina sanzioni per il
mancato versamento di ritenute alla fonte relative all’imposta sul reddito. La Corte è, pertanto, incompetente a
rispondere al quesito posto dal giudice nazionale circa la
legittimità del doppio binario sanzionatorio penale-amministrativo per l’omesso versamento di ritenute certificate,
alla luce del principio europeo del ne bis in idem”.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Corte di Cassazione, Sez. Pen., 11/05/2015, n. 19334
“Deve ritenersi sussistente il reato di omesso versamento
di ritenute certificate, pur dovendosi osservare che in materia di sistema sanzionatorio assestato sul cumulo tra sanzioni tributarie e penali, la giurisprudenza della Corte
europea dei diritti umani pone effettivamente più che
ragionevoli dubbi di compatibilità con la dimensione europea del principio di ne bis in idem, laddove riconosce la
qualifica “sostanzialmente penale” – quale presupposto per
l’operatività del diritto fondamentale a non essere giudicato e punito due volte per il medesimo fatto – anche al procedimento tributario e alle relative sanzioni. Nella specie,
peraltro, manca(va) la prova della definitività dell’irrogazione della sanzione amministrativa”.
Corte Costituzionale, 12/05/2015, n. 102
“E’ pacifico, in base alla consolidata giurisprudenza europea, che il divieto di bis in idem ha carattere processuale, e
non sostanziale. Esso, in altre parole, permette agli Stati aderenti di punire il medesimo fatto a più titoli, e con diverse
sanzioni, ma richiede che ciò avvenga in un unico procedimento o attraverso procedimenti fra loro coordinati, nel
rispetto della condizione che non si proceda per uno di essi
quando è divenuta definitiva la pronuncia relativa all’altro”.
Corte di Cassazione, Sez. Pen., 20/05/2015, n. 20887
“Deve escludersi che possa essere invocata la violazione
del principio del ne bis in idem, così come codificato dalla
Corte europea dei diritti dell’uomo secondo cui anche il
doppio binario sanzionatorio tributario-penale ben può
integrarla. Tale situazione non è comparabile con quella
dell’indagato che ha ottenuto la rateizzazione del pagamento dell’imposta evasa, dilazione che risulta tuttora in
corso, spettando in ogni caso al giudice del merito stabilire
se il profilo della severità della sanzione tributaria italiana
possa assurgere a quei livelli che la Corte Edu ha ritenuto
necessari perché le si debba riconoscere natura penale”.
Corte di Cassazione, Sez. Pen., 15/02/2016, n. 6113
“Il legale rappresentante risponde del reato di mancato
versamento dell’Iva anche quando la società ha già scontato la sanzione amministrativa non sussistendo, in questi
casi, il divieto del ne bis in idem. Inoltre, la sentenza con
la quale la Ctp annulla, per un vizio formale, la cartella
di pagamento non impedisce la condanna in sede penale a
meno che non venga documentata l’irrevocabilità della
decisione”.
Corte di Cassazione, Sez. Pen., 07/03/2016, n. 9224
“In caso di omesso versamento dell’Iva scatta la confisca
per equivalente sui beni aziendali, anche se la società sconta la sanzione prevista nella cartella di Equitalia. Infatti,
GIURISPRUDENZA
non può essere invocato il ne bis in idem in quanto non c’è
identità soggettiva fra amministratore, indagato nel procedimento penale, e impresa”.
Corte Costituzionale, 20/05/2016, n. 112
“Nella materia tributaria il possibile cumulo degli illeciti amministrativi e penali è governato dal principio di
specialità codificato dall’art. 19 del D.Lgs. n. 74 del 2000.
(…).
L’illecito amministrativo di cui all’art. 13, comma 1, del
D.Lgs. n. 471 del 1997 e il reato di cui all’art. 10-ter del
D.Lgs. n. 74 del 2000 non si pongono in rapporto di specialità, ma di progressione illecita, con conseguente sussistenza di un doppio binario sanzionatorio. (…).
L’art. 649 cod. proc. pen. stabilisce il divieto di un secondo
giudizio solo in relazione a fatti che costituiscono reato e
non rispetto a quelli che costituiscono illecito amministrativo. (…).
Il D.Lgs. n. 158/2015 (…) ha innovato da un punto di
vista sistematico il rapporto tra gli illeciti penali e amministrativi in questione (…), introducendo fra l’altro una
causa di non punibilità per il caso del pagamento dell’imposta dovuta e delle sanzioni amministrative. (…).
Spetta al giudice rimettente valutarne le complesse ricadute
nel giudizio a quo”.
Corte di Cassazione, Sez. Pen., 22/06/2016, n. 25815
L’art. 649 c.p.p., nella parte in cui vieta di sottoporre
ad un nuovo processo penale per il medesimo fatto, un soggetto già giudicato, non può trovare applicazione con riferimento all’ipotesi in cui il singolo sia destinatario di sanzioni applicate dal giudice penale e da un’autorità amministrativa. La circostanza che la condotta di mancato versamento degli acconti IVA sia punita tanto in sede penale
che in sede amministrativa non contrasta con l’art. 4,
Protocollo n. 7, integrativo della Convenzione europea per
la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ponendosi le due fattispecie - quella penale e quella amministrativa - in rapporto di progressione illecita”.
Corte di Giustizia, 29/06/2016, n. C-486/14
“Il principio del ne bis in idem - sancito all’articolo 54
della Convenzione - di applicazione dell’accordo di
Schengen del 14 giugno 1985 (…) firmata a Schengen
(Lussemburgo) il 19 giugno 1990, letto alla luce dell’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea, deve essere interpretato nel senso che una decisione
del pubblico ministero che pone fine all’azione penale e
conclude definitivamente, salvo riapertura o annullamento, il procedimento di istruzione condotto nei confronti di
una persona senza che siano state irrogate sanzioni, non
può essere considerata una decisione definitiva, ai sensi di
123
124
GIURISPRUDENZA
tali articoli, qualora dalla motivazione di tale decisione risulti che il suddetto procedimento è stato chiuso senza che sia
stata condotta un’istruzione approfondita, laddove la mancata audizione della vittima e di un eventuale testimone costituisce un indizio dell’assenza di un’istruzione siffatta”.
Corte di Cassazione, Sez. Pen., 06/07/2016, n. 27814
“E’ preclusa la deducibilità della violazione del divieto
di “bis in idem” in conseguenza della irrogazione, per un
fatto corrispondente sotto il profilo storico-naturalistico a
quello oggetto di sanzione penale, di una sanzione formalmente amministrativa, ma della quale venga riconosciuta
la natura “sostanzialmente penale” secondo l’interpretazione data dalle decisioni emesse dalla Corte Europea dei
diritti dell’uomo nelle cause “Grande Stevens e altri contro
Italia” (4 marzo 2014) e “Nyka nen contro Finlandia”
(20 maggio 2014), quando manchi qualsiasi prova della
definitività della irrogazione della sanzione amministrativa medesima”.
Corte Costituzionale, 08/09/2016, n. 209
“La soluzione della questione relativa alla violazione
del principio del ne bis in idem in caso di omesso versamento Iva va individuata nella riforma del sistema sanzionatorio recata dal D.Lg.s 158/2015”.
B4. Principio di specialità (art. 19, D.Lgs. 74/2000)
Corte di Cassazione, Sez. Unite Pen., 28/03/2013, n.
37424
“Il reato di omesso versamento dell’imposta sul valore
aggiunto (art. 10-ter D.Lgs n. 74 del 2000) - che si consuma con il mancato pagamento dell’imposta dovuta in
base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore ad euro cinquantamila, entro la scadenza del termine
per il pagamento dell’acconto relativo al periodo di imposta
dell’anno successivo - non si pone in rapporto di specialità
ma, di progressione illecita con l’art. 13, comma
primo, D.Lgs. n. 471 del 1997, che punisce con la sanzione amministrativa l’omesso versamento periodico dell’imposta entro il mese successivo a quello di maturazione del
debito mensile IVA, con la conseguenza che al trasgressore
devono essere applicate entrambe le sanzioni”.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
Corte di Cassazione, Sez. Unite Pen., 28/03/2013, n.
37425
“Il reato di omesso versamento di ritenute certificate
(art. 10-bis D.Lgs. n. 74 del 2000) - che si consuma con
il mancato versamento per un ammontare superiore ad
euro cinquantamila delle ritenute complessivamente risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti entro la scadenza del termine finale per la presentazione della dichiarazione annuale - non si pone in rapporto di specialità ma
di progressione illecita con l’art. 13, comma primo, D.Lgs.
n. 471 del 1997, che punisce con la sanzione amministrativa l’omesso versamento periodico delle ritenute alla data
delle singole scadenze mensili, con la conseguenza che al
trasgressore devono essere applicate entrambe le sanzioni”.
Corte di Cassazione, Sez. Pen., 08/05/2014, n. 30267
“In materia di reati tributari, non è applicabile il principio di specialità di cui all’art. 19, D.Lgs. 10 marzo
2000, n. 74, tra il delitto di indebita compensazione, previsto dall’art. 10-quater del decreto medesimo e l’illecito
amministrativo introdotto dall’art. 27, comma 18,
del D.L. 29 novembre 2008, n. 185 (conv. con modif.
in legge 28 gennaio 2009, n. 2), che punisce l’utilizzo in
compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle
somme dovute, in quanto la fattispecie penale ha riguardo
alla condotta, diversa ed ulteriore, consistente nell’omesso
versamento dell’imposta dovuta”.
Corte di Cassazione, Sez. Pen., 24/07/2014, n. 16848
“In tema di sanzioni amministrative per violazione
delle norme tributarie, l’art. 19, comma 2, del D.Lgs.
74/2000 si limita ad enunciare l’applicabilità delle sanzioni nei confronti di coloro, diversi dalle persone fisiche,
“nell’interesse dei quali ha agito l’autore della violazione”;
e non introduce, pertanto, a favore di quest’ultimo, ove sia
anche concorrente nel reato tributario, alcuna riserva
d’impunità, che sarebbe irragionevole ed in contrasto con il
principio di personalizzazione delle sanzioni tributarie,
restando solo, in tale ipotesi, per ovvie esigenze di connessione con il reato, sospesa, sino all’esito del procedimento
penale, l’esecuzione della sanzione amministrativa, ai sensi
del successivo art. 21, comma 2, del citato D.Lgs.”.
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
CONVEGNI ED ATTIVITÀ ANTI
A.N.T.I.
CONVEGNI ED ATTIVITA’ ANTI
I convegni organizzati o sponsorizzati dall’ANTI
successivamente a quelli già segnalati nel precedente numero di
sono stati i seguenti che come
tradizione sono tutti pubblicati sul nostro sito web
www.associazionetributaristi.it nella sezione “Eventi”.
Segnaliamo:
– il convegno organizzato dalla Sezione Lombardia a
Como il 24 febbraio 2016 presso il Chiostro di S. Abbondio sul tema: “La nuova disciplina del processo tributario”. Relatori: Prof.ssa Maria Pierro, Prof. Michele
Mauro, Prof. Gaetano Ragucci, Dott. Simone Trezzi;
– il convegno organizzato dalla Sez. Piemonte e Valle d’Aosta a Torino il 3 marzo 2016 presso il Salone delle Conferenze della Banca Popolare di Novara sul tema:
“Il regime di tassazione agevolato dei redditi derivanti da
beni immateriali (cd. “Patent box”): Aspetti giuridici e valutazioni economiche”. Relatori: Dott. Giovanni Rolle,
Prof. Avv. Marco Ricolfi;
– il convegno organizzato dalla Sez. Calabria a Catanzaro il 18 marzo 2016 presso l’Università degli studi
«MAGNA GRÆCIA» sul tema: “La riforma del processo tributario”. Relatori: Dott. Gabriele Mazzeo, Prof.
Dott. Nicola Durante, Avv. Sergio La Rocca, Dott.
Ercole Palasciano;
– il seminario di diritto tributario organizzato dalla
Sez. Veneto il 18 marzo 2016 a Padova presso l’Auditorium Trabucchi sul tema: “Decreti delegati di riforma fiscale e legge di stabilità 2016”. Relatori: Dott. Arturo
Toppan, Prof. Francesco Moschetti, Dott. Roberto Lunelli, Dott.ssa Tiziana Pradolini;
– il convegno organizzato dalla Sez. Lombardia il 6
aprile 2016 a Como presso l’Ordine dei dottori commercialisti sul tema: “La nuova disciplina della riscossione (d.lgs. n. 159/2015)”. Relatori: Prof. Gaetano Ragucci, Prof.ssa Stefania Gianoncelli, Dott. Marco Fasola,
Dott. Simone Trezzi;
– il convegno organizzato dalla Sez. Calabria a Catanzaro il 15 aprile 2016 presso l’Università degli studi
«MAGNA GRÆCIA» sul tema: “Il rapporto tra fisco e
contribuente in sede amministrativa e giudiziaria: parliamone”. Relatori: Prof. Avv. Salvatore Muleo, Dott.
Nicola Durante, Prof. Michele Mauro, Prof. Nicola
Fortunato, Avv. Alessandra Kostner, Dott. Franco Barone, Prof.ssa Avv. Francesca Lorusso, Dott. Pasquale
Stellacci;
– il convegno organizzato dalla Sez. Veneto a Venezia-Mestre il 15 aprile 2016 presso l’Auditorium Università Ca’ Foscari sul tema: “Il processo tributario tra presente e futuro”. Relatori: Dott. Ennio Attilio Sepe, Dott.
Carmine Scarano, Dott. Giuseppe Caracciolo, Avv. Daniela Gobbi, Avv. Raffaele Ceniccola, Prof. ErnestoMarco Bagarotto, Dott. Ernestino Bruschetta, Prof. Loris Tosi, Prof. Avv. Francesco Moschetti, Avv. Michele
Tiengo, Prof. Antonio Viotto;
– il convegno organizzato dalla Sez. Friuli Venezia
Giulia ad Udine il 3 maggio 2016 presso il Salone del
Parlamento del Castello sul tema: “Il contraddittorio
nell’accertamento tributario”. Relatori: Avv. Roberto Iaia,
Dott. Mario Cicala, Prof. Francesco Moschetti, presidenza e coordinamento Dott. Roberto Lionelli;
– il convegno organizzato dalla Sez. Piemonte a Torino il 5 maggio 2016 presso il Salone delle Conferenze
della Banca Popolare di Novara sul tema: “L’assegnazione
agevolata di beni ai soci e la trasformazione in società semplice: questioni applicative”. Relatore Gianluca Odetto;
– il convegno organizzato dalla Sez. Lombardia a Como il 12 maggio 2016 presso l’Ordine dei dottori commercialisti sul tema : “La riforma delle sanzioni tributarie
(d.lgs. n. 158/2015)”. Relatori: Prof. Gaetano Ragucci,
Dott. Carlo Cecchetti, Avv. Alex Ingrassia, Avv.
Tommaso Landi;
– il seminario di diritto tributario “Incontro con
l’autore Antonio Viotto” organizzato dalla Sez. Veneto a
Padova il 13 maggio 2016 presso la Sala convegni Banca
Mediolanum sul libro di Antonio Viotto “Il Regime tributario delle plusvalenze da partecipazione”;
– il convegno organizzato dalla Sez. Liguria a Genova
il 25 maggio 2016 sul tema: “L’abuso del diritto”. Relatori:
Prof. Avv. Gianni Marongiu, Prof. Avv. Angelo Contrino;
– l’incontro studio organizzato dalla Sez. Lazio a Roma il 31 maggio 2016 presso l’Hotel L.H. Leonardo da
Vinci sui temi: “Strumenti deflattivi” (Relatore: Prof.
Avv. Pietro Selicato), “Le Società di Comodo” (Relatore:
Dott. Fabrizio Iacuitto) e “Accertamenti Bancari sui redditi professionali” (Relatore: Avv. Claudio Berliri);
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CONVEGNI ED ATTIVITÀ ANTI
– il convegno organizzato dalla Sez. Lombardia a Milano l’8 giugno 2016 presso l’Hotel De La Ville sul tema: “L’elusione fiscale internazionale”. Relatori: Prof.
Dott. Piergiorgio Valente, Prof. Avv. Alberto Maria Gaffuri, Prof. Avv. Nicola Sartori;
– il convegno organizzato dalla Sez. Emilia Romagna
a Bologna il 9 giugno 2016 presso il Complesso Conventuale della Basilica di San Domenico sul tema: “I
problematici rapporti tra fisco e procedure concorsuali”.
Relatori: Prof. Andrea Carinci, Prof. Angelo Paletta,
Prof. Lorenzo Del Federico, Avv. Giovanni Caliceti,
Prof. Filippo Dami, Dott.ssa Barbara Fasan;
– il convegno organizzato dalla Sez. Sicilia a Catania
il 10 giugno 2016 presso l’Aula Magna del Dipartimento di Economia e Impresa sul tema: “Questioni attuali di
Diritto tributario”. Relatori: Dott. Antonio Pugliese,
Avv. Salvo Muscarà, On.le Avv. Giuseppe Berretta;
– incontro di approfondimento “L’attuazione della
delega fiscale” organizzato dalla Sez. Campania il 10
giugno 2016 a Mercato San Severino (SA) presso San
Severino Park Hotel & Spa sul tema: “La nuova disciplina sull’abuso del diritto ed il raddoppio dei termini di accertamento”. Relatore Prof. Avv. Mauro Beghin;
– il corso di perfezionamento per magistrati tributari
e professionisti abilitati al patrocinio davanti al giudice
tributario organizzato a Milano il 16 giugno 2016 sul tema: “Ezio Vanoni giurista ed economista”. Relatori: Prof.
Gianfranco Gaffuri, Prof. Francesco Forte, Prof. Gianni
Marongiu, Prof. Roberto Artoni, Prof. Enrico De Mita,
Prof. Francesco Tesauro, Prof. Giuseppe Melis, Prof.
Mario Nussi, Prof. Luca Micheletto, Prof. Vito Velluzzi,
Prof. Gaetano Ragucci;
– il convegno organizzato dalla Sez. Lombardia a Milano il 22 giugno 2016 presso l’Hotel De La Ville sul tema: “Il nuovo rapporto tra fisco e contribuente: sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita”. Relatori: Dott.ssa Emanuela Fusa, Prof. Alberto Bubbio,
Dott. Alberto Borgia, Dott. Fabio Ghiselli, Avv. Patrizio
Braccioni, Prof. Avv. Alessio Lanzi, Avv. Angela Monti,
Avv. Angelo Vozza;
– incontro di approfondimento “L’attuazione della
delega fiscale” organizzato dalla Sez. Campania l’8 luglio
2016 a Mercato San Severino (SA) presso San Severino
Park Hotel & Spa sul tema: “Semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione tributaria”. Relatore: Prof. Avv. Andrea Carinci;
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
– il convegno organizzato dalla Sez. Piemonte a Torino il 14 luglio 2016 presso il Salone delle Conferenze
della Banca Popolare di Novara sui temi: “La circolare
16 A.E. del 28.4.2016 su prevenzione e contrasto all’evasione” (relatore: Dott. Enrico Mastrogiacomo) ed “Il
contraddittorio nella fase endoprocedimentale: recenti
orientamenti giurisprudenziali” (relatore: Avv. Mario
Garavoglia);
– il convegno organizzato dalla Sez. Lombardia a Renazzo (BS) il 14 luglio 2016 presso Villa Fenaroli Palace
Hotel sul tema: “Problematiche di validità ed efficacia del
Trust”. Relatori: Avv. Paolo Panico, Notaio Massimo
Ghirlanda, Dott. Stefano Curzio, Prof. Giuseppe
Corasaniti.
– incontro organizzato dalla Sez. Piemonte e Valle
d’Aosta per il 22 settembre 2016 a Torino presso il Salone delle Conferenze della Banca Popolare di Novara sui
temi: “Il processo tributario telematico”. Relatore Prof.
Avv. Enrico Marello e “Estromissione immobili”. Relatore
Dott. Gianluca Odetto;
– incontro di approfondimento “L’attuazione della
delega fiscale” organizzato dalla Sez. Campania per il 30
settembre 2016 a Mercato San Severino (SA) presso San
Severino Park Hotel & Spa sul tema: “La riforma dei reati tributari”. Relatore Prof. Avv. Ivo Caraccioli;
– convegno di studi organizzato dalla Sez. Friuli
Venezia Giulia il 30 settembre 2016 a Trieste presso la
Sala di Rappresentanza del Palazzo della Regione
F.V.G., sul tema “La prova nel procedimento e nel processo tributario”. Relatori: Dott. Roberto Lunelli,
Prof. Avv. Mauro Beghin, Dott. Francesco Zanetti,
Prof. Enrico Marello, Dott. Oliviero Drigani;
***
Per quanto riguarda i prossimi mesi del 2016 i convegni e le attività ANTI previsti sono i seguenti:
– incontro di approfondimento “L’attuazione della
delega fiscale” organizzato dalla Sez. Campania il 20 ottobre 2016 a Mercato San Severino (SA) presso San Severino Park Hotel & Spa sul tema: “Le nuove sanzioni
tributarie”. Relatore Prof. Avv. Gaetano Ragucci;
– convegno di studi organizzato dalla Sez. Friuli
Venezia Giulia per l’11 novembre 2016 ad Udine
presso il Salone del Parlamento del Castello sul tema:
CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DOPPIO BINARIO
“IVA fra detraibilità e detrazione: aspetti amministrativi
e penali”. Relatori: Dott. Roberto Lunelli, Prof. Avv.
Gianni Marongiu, Prof. Adriano Di Pietro, Prof. Enrico Fazzini, Dott. Mario Cicala, Dott. Giovanni
Spalletta, Prof. Giovanni Flora, Dott. Vieri Ceriani,
Prof. Livia Salvini;
– incontro di approfondimento “L’attuazione della
delega fiscale” organizzato dalla Sez. Campania per il
18 novembre 2016 a Mercato San Severino (SA) presso San Severino Park Hotel & Spa sul tema: “La nuova
disciplina degli interpelli e la nuova conciliazione giudiziale”. Relatore: Prof. Avv. Marco Versiglioni;
– Convegno Nazionale Anti organizzato per il 25
novembre 2016 a Roma, Piazza della Pilotta n. 4 sul
CONVEGNI ED ATTIVITÀ ANTI
tema: “L’evoluzione dello Statuto dei diritti del contribuente dal contraddittorio endo-procedimentale ed altri
traguardi”. Relatori: Prof. Avv. Gianni Marongiu,
Prof. Avv. Gaetano Ragucci, Avv. Roberto Iaia, Prof.
Avv. Giuseppe Vanz, Prof. Avv. Massimo Basilavecchia, Prof. Avv. Francesco Tesauro, Prof. Avv. Salvatore Muleo, Prof. Avv. Giuseppe Zizzo, Prof. Avv. Francesco Moschetti, Prof. Avv. Augusto Fantozzi;
– incontro di approfondimento “L’attuazione della
delega fiscale” organizzato dalla Sez. Campania per il
16 dicembre 2016 a Mercato San Severino (SA) presso San Severino Park Hotel & Spa sul tema: “Il contenzioso tributario tra legge delega e decreto delegato”.
Relatore Prof. Avv. Gianni Marongiu.
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L’A.N.T.I. Associazione Nazionale Tributaristi Italiani è stata costituita
il 13 giugno 1949 e, nella sua lunghissima storia, ha avuto illustri Presidenti
quali: Giovanni Battista Adonnino, Ernesto D’Albergo, Epicarmo Corbino,
Ignazio Manzoni, Victor Uckmar, Giuseppe De Angelis e Mario Boidi.
Attualmente è presieduta dal Prof. Gianni Marongiu. L’Associazione,
che ha sezioni in tutta Italia, si propone, attraverso incontri di studio,
convegni e pubblicazioni, di approfondire le tematiche fiscali, sotto il
profilo scientifico, ma attenta anche alle applicazioni professionali. Essa
tiene, altresì, contatti con Governo e Parlamento collaborando quando
richiesto allo studio e alla formazione delle leggi. L’A.N.T.I. è socia della
Confédération Fiscale Européenne, l’unico raggruppamento Europeo di
consulenti tributari che opera a livello Comunitario e nell’anno 2004 è
stato presieduto dal Prof. Mario Boidi.
SEDE LEGALE
Viale delle Milizie, 14 • 00192 Roma • Tel. 06.3215084 • Fax 06.32507485
Sito Internet: www.associazionetributaristi.it
PRESIDENZA
Via Roma, 11 • 16121 Genova • Tel 010.29117911 • Fax 010.29117912
E-mail: [email protected]
SEGRETERIA NAZIONALE E TESORERIA NAZIONALE
Viale delle Milizie, 14 • 00192 Roma • Tel. 06.3215084 • Fax 06.32507485
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