Editoriale Sergio Marino Direttore Generale ARPA Sicilia Presi dalle incombenze di routine, a tutti coloro che coprono ruoli istituzionali può capitare di farsi coinvolgere nei problemi quotidiani e di perdere di vista il continuo evolversi delle situazioni che si governano, per le quali oltre a informazioni costantemente aggiornate, occorrono modelli interrogativi e interpretativi sempre più sofisticati e precisi. Il rischio non è di poco conto perché si può arrivare alla cristallizzazione di procedure la cui obsolescenza è sempre in agguato e la cui utilità, di conseguenza, decade in breve tempo. Per tali motivi, diamo notevole importanza alla ricerca e riteniamo che valorizzarla non sia necessario solo a trovare nuove strade, ma anche a mantenere sempre efficiente e sotto tensione le prassi consolidate che hanno ottenuto risultati rilevanti. Con questo spirito intendiamo intervenire su uno dei principali problemi che affligge il mondo della ricerca, a parte la cronica mancanza di risorse finanziarie, dando modo di accedere ad una sufficiente e valida visibilità, che consenta di convogliare gli stakeholder verso i propri studi e, a cascata, anche finanziamenti e collaborazioni. Riteniamo infatti che ogni soggetto che amministra la cosa pubblica con l’intenzione di indirizzare e governare lo sviluppo socio-economico-ambientale, debba impegnarsi a dare spazio alla ricerca e a diffonderne i risultati, con la consapevolezza che in ogni caso si produrrà una ricaduta positiva nel proprio settore di pertinenza, per il solo fatto di aver catalizzato l’attenzione dei soggetti interessati ed aperto possibili spazi per nuove partnership. In questa prospettiva, e adempiendo ai propri compiti istituzionali di fornire dati al sistema decisionale e ai cittadini, ARPA Sicilia sceglie, con questo numero speciale, di pubblicare i risultati delle ricerche su cui ha investito riguardo ai temi specifici del settore ambientale, nonché quelli delle ricerche connesse ai temi della salute correlati alle particolari configurazioni del sistema ambientale del territorio. Ciò che pubblichiamo dimostra ancora una volta che l’analisi e la presentazione dei dati non sono operazioni fredde, avulse dal contesto e libere da preconcetti o da influenze trasversali, e che ognuno può costruire la propria interpretazione incrociando i dati nel modo più articolato possibile così da riuscire a separare le informazioni dall’effetto alone della comunicazione. In questo numero non si è dato spazio all’intervista mensile, ma proponiamo una nuova rubrica volta a presentare un diverso angolo visuale rispetto alle tematiche ambientali, dove sono valorizzati i nessi tra lo sviluppo e la tutela dell’ambiente con i fondamenti culturali del territorio sperando così di aprire una nuova direzione per ulteriori approfondimenti. Progetto di ricerca I paesaggi a terrazze in Sicilia: Metodologie per l’analisi, la tutela e la valorizzazione 2 Giuseppe Barbera Dipartimento Colture Arboree Università di Palermo Il progetto di ricerca, stipulato tramite convenzione tra l’ARPA Sicilia ed il Dipartimento di Colture Arboree dell’Università di Palermo, dal titolo “I paesaggi a terrazze in Sicilia: metodologie per l’analisi, la tutela e la valorizzazione”, ha avuto la finalità di conoscere lo stato attuale dei sistemi terrazzati regionali, attraverso lo studio dei tipici elementi agronomico-paesaggistici che da secoli li caratterizzano e delle condizioni ambientali e delle vicissitudini socio-economiche che li hanno generati. In particolare obbiettivi del progetto sono stati: 1) creare un inventario delle aree terrazzate della Sicilia; 2) individuare i sistemi di terrazzamento omogenei a scala regionale, in relazione a caratteristiche geografiche, morfologiche, litologiche e costruttivo-strutturali; 3) studiare, attraverso casi studio, argomenti specifici Fig. 1 – Carta delle aree dei Sistemi di Terrazzamento Omogenei (STO) della Sicilia Sistema delle terrazze della catena settentrionale dei Monti Peloritani; Sistema delle terrazze del vulcano etneo; Sistema delle terrazze calcaree del tavolato e dei rilievi costieri e perimetrali iblei; Sistema delle terrazze dei rilievi dei monti Erei e dei rilievi del Calatino; Sistema delle terrazze collinari e costiere dell’Agrigentino e del Nisseno; Sistema delle terrazze dei monti di Palermo e dei rilievi costieri della Sicilia Nord-occidentale; Sistema delle terrazze dei rilievi costieri dei Monti Madonie e Nebrodi; Sistema delle terrazze delle isole minori. Nel progetto sono state incluse ed analizzate le strutture costruite che evolvono direttamente dai semplici allineamenti di pietra in quel continuum paesaggistico di grande fascino costituito da colture e opere in pietra a secco 3 connessi con il paesaggio terrazzato, in particolare l’evoluzione storica dei processi colturali e di abbandono, le diverse tipologie del sistema insediativo in pietra a secco (manufatti e infrastrutture) e le loro trasformazioni, i processi di insediamento della vegetazione, la gestione della vegetazione naturale e la conservazione della biodiversità dopo l’abbandono; 4) individuare strategie comuni per contrastare l’abbandono di queste aree; 5) tracciare le linee guida per una loro valorizzazione. Oggetto del presente progetto sono state tutte le aree regionali caratterizzate dalla presenza di terrazzamenti tradizionali in pietra a secco, con un dettaglio inventarariale di superficie minima cartografata di 0,5 ha; sono state così incluse ed analizzate anche le tante strutture costruite che evolvono direttamente dai semplici allineamenti di pietra in quel continuum paesaggistico di grande fascino costituito da colture e opere in pietra a secco, queste ultime presupposto e parte integrante dell’attività agricola tradizionale. Si tratta in particolare degli elementi di raccordo tra terrazze, come scale, rampe e percorsi, oltre ai dispositivi per la captazione e la raccolta dell’acqua e ad altri elementi in pietra di supporto alle attività rurali – le infrastrutture – e di tutti gli edifici, più o meno com- plessi, per il ricovero o altra funzione, a loro volta spesso strettamente interdipendenti – i manufatti. Dall’inventario cartografico è emersa una superficie regionale terrazzata complessiva di 69.604 ha (il 2,71 % dell’intera Regione), con una distribuzione notevolmente eterogenea da provincia a provincia (fig.1). Le province con la più alta percentuale di terrazzamenti risultano Ragusa, Catania, Siracusa e Messina, mentre nelle province di Trapani e Palermo le terrazze sono relativamente poche, concentrandosi quasi esclusivamente lungo le aree costiere e subcostiere. Sulla base della loro concentrazione in principali aree territoriali (Sistemi di Terrazzamento Omogenei - STO) è stata fatta una attenta ed approfondita caratterizzazione territoriale sull’uso attuale delle aree terrazzate, sul loro stato di conservazione (stato delle coltivazioni agrarie / processi di abbandono) e, sulla base di esperienze e progetti internazionali, sono state tracciate delle linee guida per una loro recupero e conservazione in seno ai principali tipi di paesaggio agro-forestali tradizionali che li contengono. I riferimenti bibliografici ed eventuali dati supplementari possono essere richiesti agli autori Fig. 2 Paesaggio terrazzato tradizionale dei seminativi della Sicilia Sud-Orientale (Monti Iblei - SR) Organismi unicellulari “spie” dell’inquinamento dell’ambiente marino 4 Il progetto di ricerca ha avuto come scopo la valutazione dell’inquinamento da metalli del golfo di Palermo ed il suo possibile monitoraggio tramite l’uso di un gruppo di organismi marini (foraminiferi) correlati alla concentrazione di metalli. M. Brai S. Basile A. Caruso C. Cosentino L. Tranchina Dipartimento di Fisica e Tecnologie Relative Università di Palermo Fig. 1 I Foraminiferi sono un gruppo di organismi unicellulari, comparsi sulla terra nel Cambriano (Paleozoico), dotati di un guscio carbonatico agglutinante e/o organico. Sono presenti in tutti gli ambienti acquatici, sia in acque dolci che in ambienti di acque marine. Le forme bentoniche, proprio a causa del loro stile di vita, sono fortemente influenzate dalla batimetria, dalla granulometria del substrato in cui vivono, dalle variazioni dei parametri ambientali e chimico-fisici, sia dell’acqua al fondo che del substrato; molto importanti per la loro vita sono la presenza o l’assenza di sostanza organica, la quantità di ossigeno disciolto e la salinità delle acque, il pH, l’abbondanza di nutrienti, etc. L’interazione di tutti questi fattori, chiamati infatti fattori limitanti, determina il fatto che ogni area è caratterizzata da una ben precisa associazione di specie che hanno le stesse esigenze ecologiche. Nonostante la grande quantità di lavori pubblicati, non è ancora abbastanza chiaro in che misura e soprattutto con quali modalità e processi la presenza di inquinanti possa influenzare la vita di questi organismi. Corsi d’acqua e principali scarichi che si immettono nel Golfo di Palermo L’indagine all’interno del progetto ha previsto il campionamento di sedimenti marini superficiali in tre siti: il golfo di Palermo (GP), che è stato scelto come oggetto dello studio in quanto posizionato ai margini di un’area fortemente urbanizzata con la presenza di numerose piccole e medie industrie; la zona occidentale del golfo di Termini (GT), che costituisce un’area meno antropizzata e l’isola di Lampedusa (LAMP), che rappresenta un sito nel quale sono quasi inesistenti quelle fonti di possibile inquinamento antropico che caratterizzano la maggior parte delle aree marino costiere. Potrebbero esserci relazioni tra alte concentrazioni di metalli pesanti nei sedimenti marini superficiali e la presenza di alte percentuali di foraminiferi bentonici deformati 5 Lo studio si è proposto di mettere a punto metodi e strumenti finalizzati alla valorizzazione e salvaguardia delle aree indagate e caratterizzate da diverso impatto antropico. Le metodiche messe a punto consentono inoltre la datazione di eventi chimico-fisici (tramite i profili in carote di sedimenti di metalli e radionuclidi) “memorizzati” nei sedimenti e nel biota. Per ottenere una fitta maglia di campionamento che coprisse l’intera area del golfo di Palermo sono stati individuati 24 transetti perpendicolari alla linea di costa; lungo la maggior parte dei transetti sono stati prelevati tre campioni a differenti batimetrie (-10, -20, -30 m). Sui campioni sono state effettuate misure per la determinazione di 6 elementi metallici (Cr, Cu, Fe, Hg, Pb e Zn). Inoltre su una parte dei campioni si è effettuata la valutazione della radioattività naturale. Lo stesso tipo di analisi è stata fatta per una carota di sedimento prelevata a circa 800 m dalla costa, di fronte la foce del fiume Oreto a -21 m di profondità; quest’ultima è stata datata sfruttando il decadimento del 210Pb ed ha consentito una ricostruzione temporale delle variazioni ecologiche verificatesi nel golfo di Palermo negli ultimi 50-60 anni. I risultati ottenuti hanno consentito una ricostruzione spazio-temporale della situazione ecologica (per i parametri valutati) per l’area marino - costiera studiata. Si è valutata l’influenza di alcuni elementi metallici sia sulla distribuzione di alcune specie di foraminiferi nelle associazioni sia nell’insorgenza di deformazioni nei gusci di individui della specie Cibicides lobatulus. Per ottenere dati uniformi e paragonabili tra loro sulle concentrazioni dei metalli nei sedimenti provenienti da siti differenti si è deciso di indagare la frazione di sedimento minore di 63 µm; ciò consente infatti di confrontare risultati ottenuti dalla misurazione di sedimenti che originariamente possedevano una differente composizione granulometrica. La frazione di sedimento da noi indagata, inoltre, è la principale responsabile dell’accumulo dei metalli nei sedimenti. Dalle analisi realizzate si osserva che Cu, Hg, Pb e Zn sono maggiormente presenti, con livelli talvolta preoccupanti, soprattutto nelle stazioni di campionamento comprese tra il porto industriale e la foce del fiume Oreto, ed in particolare nel campione prelevato dentro la Cala. In questo sono state ritrovate le concentrazioni maggiori di rame, piom- bo, zinco e mercurio ed i livelli misurati sono molto superiori ai limiti fissati dalla normativa italiana in merito alle quantità massime ammissibili di metalli nei sedimenti marini (DL 367/2003). 6 Nei campioni provenienti dalle stazioni di Lampedusa i valori sono inferiori, tali differenze variano tra 0.5 e 2 ordini di grandezza. Le differenze tra i siti sono state ulteriormente messe in evidenza utilizzando le più comuni analisi statistiche. - mercurio il valore medio nei sedimenti di Palermo è di 438 µg kg-1 contro i 130 µg kg-1 di Termini e i 30 µg kg-1 di Lampedusa. Il valore medio di 438 µg kg-1 è al di sopra di quello di 300µg kg-1 fissato dal DL n°367/2003 anche se risulta inferiore al valore di 1000 µg kg-1 indicato dall’US EPA. - rame si ha un valore medio, nei siti più vicini alla zona portuale, di 203 mg kg-1 contro i 34.0 mg kg-1 misurati nel restante Golfo di Palermo e i 24.8 mg kg-1 del Golfo di Termini e i 4.02 mg kg-1 dei campioni di Lampedusa (escludendo il campione portuale). Il valore medio di concentrazione determinato per l’area portuale di Palermo deve fare considerare come molto inquinata da rame questa porzione del Golfo, secondo i valori suggeriti dall’US EPA (> 50 mg kg-1). La restante porzione del Golfo di Palermo è da considerarsi da non inquinata a moderatamente inquinata (> 25 mg kg-1) mentre il Golfo di Termini e Lampedusa sono da considerarsi come zone incontaminate da questo elemento (< 25 mg kg-1). - piombo la media per il Golfo di Palermo è di 37.0 mg kg-1, per Termini è di 22.5 mg kg-1 e per Lampedusa è di 10.3 mg kg-1. Il valore medio del Golfo di Palermo risulta di poco superiore al massimo valore consentito dalla normativa italiana di 30 mg kg-1 anche se, in questo caso, poiché la frazione da noi considerata per l’analisi è solo quella < di 63 ?m e la differenza tra il valore medio ed il valore della normativa è molto piccola, non è possibile definire come fuori norma per il piombo il valore medio di concentrazione riscontrato. Superiori alla norma risultano comunque i valori di concentrazione di piombo misurati nei campioni della Cala. - zinco la media dei campioni dell’area portuale di Palermo è di 254 mg kg-1, nella restante parte del Golfo di Palermo si ha una media di 87.7 mg kg-1, nelle stazioni di Termini la media è risultata essere di 108 mg kg-1 ed a Lampedusa di 23.0 mg kg-1. Confrontando i nostri valori medi con quelli definiti dall’US EPA si può affermare che la zona della Cala è molto inquinata da zinco (> 200 mg kg-1) mentre le restanti zone non sono inquinate da questo elemento. Foraminiferi bentonici e correlazioni con i livelli dei metalli pesanti In merito allo studio dei foraminiferi bentonici svolto nell’ambito di questo progetto, è di grande importanza sottolineare il fatto che uno studio di questo tipo non era mai stato effettuato né all’interno del Golfo di Palermo e nemmeno, più in generale, lungo le coste siciliane; inoltre, per alcune specie è stato riconosciuto il genere a cui appartengono ma, nonostante la consultazione di libri e cataloghi specialistici, non è stata ancora individuata la specie. Questo potrebbe suggerire che si tratta di specie non ancora note in letteratura e che quindi dovranno essere studiate a fondo e, probabilmente, istituite come specie nuove. 7 Complessivamente, sono state riconosciute circa 100 specie; le forme più frequenti sono quelle appartenenti ai seguenti generi: Ammonia spp., Bulimina spp., Cassidulina spp., Cibicides spp., Elphidium spp., Globobulimina spp., Rosalina spp., Quinqueloculina spp. Tra queste forme, soprattutto alcune hanno dato delle ottime indicazioni dal punto di vista ecologico. Ad esempio, gli andamenti delle percentuali di abbondanza di Ammonia spp, mostrano chiaramente come queste forme siano dominanti nei siti più “stressati” (zona portuale, foce Oreto e zona Aspra alla foce dell’Eleuterio); è noto in letteratura, infatti, che le Ammonie possono tollerare variazioni anche importanti di salinità e pH. Una ulteriore valutazione è stata effettuata confrontando l’abbondanza relativa del gruppo Ammonia spp. (resistente a condizioni ambientali “stressate”) con le concentrazioni di alcuni degli elementi metallici misurati nei campioni di sedimento, da cui si evince chiaramente che Ammonia spp. ben tollera anche alte concentrazioni di elementi metallici. Più precisamente si può affermare che quando le concentrazioni di rame diventano tali da impedire lo sviluppo degli altri Fig. 2 foraminiferi, il gruppo Ammonia spp., ben tollerante, prende il sopravvento sulle altre specie, andando a formare, per esempio nel campione prelevato nella zona portuale, dove la concentrazione di Cu sfiora i 350 mg kg-1 e quella di Zn i 300 mg kg-1, il 40% dell’associazione a foraminiferi. Invece, gli individui appartenenti al genere Quinqueloculina spp., generalmente frequenti nei campioni esaminati, mostrano un andamento completamente opposto a quello di Ammonia spp., dato che la loro abbondanza tende a diminuire drasticamente, fino a scomparire del tutto, via via che il sedimento considerato si arricchisce di metalli; questo suggerisce che questi organismi siano sensibili ad un aumento delle concentrazioni dei metalli esaminati. individui di Ammonia spp 8 Come già accennato precedentemente, dai dati in nostro possesso sembra che ci siano delle relazioni tra alte concentrazioni di alcuni metalli e metalli pesanti nei sedimenti marini superficiali e la presenza di alte percentuali di foraminiferi bentonici deformati, soprattutto della specie Cibicides lobatulus. Questa specie potrebbe, quindi, essere utilizzata come bio-indicatore dell’inquinamento da metalli in ambiente marino-costiero. Le analisi condotte per la realizzazione del progetto hanno consentito di ottenere una “fotografia” delle attuali concentrazioni degli elementi metallici all’interno dei sedimenti del Golfo di Palermo, Golfo di Termini e Isola di Lampedusa. In particolare si sono potuti evidenziare i siti di maggior accumulo di inquinanti. Questa “fotografia” è da riferirsi alla situazione presente nel Golfo di Palermo prima della messa in funzione del collettore fognario, provvisto di impianto di depurazione. Nella figura che segue è mostrato l’andamento temporale del piombo nei sedimenti del golfo di Palermo posto in correlazione con la vendita di benzine e le relative concentrazioni di piombo nelle stesse (figura3). Il clock interno è riferito al profilo di Pb radioattivo naturale e al Cs da fallout. I riferimenti bibliografici ed eventuali dati supplementari possono essere richiesti agli autori Abbattimento di Inquinanti Organici Resilienti nei Reflui Liquidi di Natura Civile ed Industriale 9 Il programma di ricerca realizzato nell’ambito della Convenzione tra ARPA Sicilia e il DCIIM-UNIME è stato finalizzato alla messa a punto di una nuova classe di catalizzatori solidi, a base di ossidi metallici, per il processo di Ossidazione Catalitica in Fase Liquida con Aria (Catalytic Wet Air Oxidation, CWAO) di inquinanti tossici e/o refrattari presenti negli effluenti di origine industriale e civile. Francesco Arena Dipartimento di Chimica Industriale e Ingegneria dei Materiali Università di Messina L’attività di ricerca è stata incentrata sullo studio della reazione di CWAO del fenolo, preso come composto modello giacché rappresentativo di una classe di inquinanti tra i più tossici e refrattari, diffusamente presente nei reflui di origine industriale (raffinerie, industrie agro-alimentari, etc.). La sua elevata tossicità, oltre a rappresentare una minaccia per l’ecosistema, lo rende incompatibile con i convenzionali metodi di depurazione biologica. Sebbene alcuni esempi di processi CWAO siano già operativi in Giappone e USA (Tab. 1), l’uso di catalizzatori a base di metalli nobili unitamente alle elevate temperature di reazione rendono economicamente poco conveniente la loro applicazione su vasta scala. I risultati raggiunti nell’ambito del progetto hanno quindi una considerevole valenza scientifica e applicativa. La comprensione degli aspetti chiave del meccanismo di reazione ha, infatti, consentito il progetto di catalizzatori MnCeOx in Tabella 1 Esempi di tecnologie CWAO basate sull’impiego di catalizzatori eterogenei. grado di promuovere la reazione di CWAO del fenolo con elevata attività, selettività e stabilità in condizioni operative piuttosto blande (T<150°C; P<15 bar). Grazie alla messa a punto di una nuova metodica di sintesi (redox-precipitazione), sono stati ottenuti catalizzatori molto più efficienti degli omologhi sistemi ottenuti per co-precipitazione e degli stessi catalizzatori a base di metalli nobili (Fig. 1). I riferimenti bibliografici ed eventuali dati supplementari possono essere richiesti agli autori Valutazione intergrata dei processi dinamici dei litorali sabbiosi e progettazione di interventi di ripristino ambientale 10 Nell’ambito del tema trattato sono stati presi in considerazione tre tipi di aree con caratteristiche diverse correlando, in maggiore o minore misura, bacini idrografici, fascia costiera e piattaforma continentale antistante. Quanto sopra attraverso l’aggregazione di competenze e professionalità interdisciplinari, in un quadro quanto più possibile variegato dei processi biologici ed abiologici e degli aspetti geologico – litologici, meteomarini, morfologici, sedimentologici, biocenotici, ecc. C. Amore dipartimento Scienze Geologiche Università di Catania Nell’ambito del versante orientale della Sicilia sono stati presi in considerazione: la foce del fiume Simeto, sede dell’Oasi omonima, in un’area pesantemente squilibrata da interventi di bonifica idraulica e dalla realizzazione di quattro invasi nell’ambito del bacino idrografico sotteso; l’area di Vendicari, pregevole esempio di zona umida confinata tra falesie e piattaforme rocciose; il sistema Marzamemi – Capo Passero, soggetto ad un pesante impatto determinato dalla realizzazione di impianti di acquacoltura e di strutture alberghiere, con relative infrastrutture. La Foce del fiume Simeto presenta le seguenti caratteristiche: Fig. 1 Esempi di tecnologie CWAO basate sull’impiego di catalizzatori eterogenei. Apparato fociale del F. Simeto nel Settembre 2006. Versante destro. è ubicata al centro di un litorale di circa 20 km, intaccato da strutture antropiche, taglio del sottobosco e distruzione dei cordoni dunari; precipitazioni e temperature medie annue sono di 482,4 mm e 18,2 °C rispettivamente: il settore di traversia è compreso tra le direttrici 20° - 140° dei Capi Mulini e S.Croce, con un fetch massimo di 1700 km in direzione di Gaza; i venti provengono principalmente da Est e Nord Est, con altezze d’onda significative di 5,2 m e tempi di ritorno di circa 10 anni; correnti e drift litoraneo efficace sono diretti verso Nord; Nell’ambito del versante orientale della Sicilia sono stati presi in considerazione la foce del fiume Simeto, l’area di Vendicari ed il sistema Marzamemi 11 nel bacino idrografico sotteso, pari a 4.200 kmq circa, i terreni sedimentari e vulcanici concorrono al carico solido fluviale, la cui componente pelitica si disperde in nuvole torbide verso il largo una volta arrivata al mare, mentre la componente grossolana - per circa 1.300.000 mc/anno - resta intrappolata negli invasi di Ancipa, Pozzillo, Ogliastro e Nicoletti, innescando un pesante processo erosionale che ha interessato in particolare modo la banchinatura a protezione dell’apice deltizio e tutto l’apparato fociale; l’area sommersa raggiunge la profondità di 160 m a circa 6 km dalla costa, con fondali più o meno acclivi e con diverse rotture di pendio; la zona a barre ha un’ampiezza massima di 520 m con due ordini di strutture; tra le isobate -15 e -30 m sono presenti le testate di due canyons corrispondenti alle posizioni dell’apparato fociale del 1800 e del 1867; i sedimenti sono distribuiti secondo: una facies litorale, con sabbie fine ben classate; una facies di deltafront, fino all’isobata di -25/-30m, con sabbie molto fini ben classate e limi grossi; una facies di prodelta, tra le isobate -25/-80m, con limi medi e fini mal classati; la composizione dei sedimenti riflette la litologia del bacino, con quarzo e plagioclasi delle sequenze arenacee, carbonati della Serie Gessoso – Solfifera e minerali pesanti delle vulcaniti etnee; - le comunità vegetali sono estremamente ridotte e degradate con zone a Salsolo Cakiletum, ed a Sporobolo Agropyretum juncei e con un’abnorme abbondanza di Otanthus maritimus; la presenza, inoltre, di estesi rimboschimenti impedisce una significativa ripresa della vegetazione di macchia, con un’accentuazione dei processi erosivi resa evidente dalla moria degli alberi piantumati. Vendicari Nell’area di Vendicari, dal 1981 Riserva Naturale Orientata, è stata prevista una serie di interventi mirati alla conservazione ed alla prote- Fig. 2 Spiaggia di Vendicari . Settore meridionale. 12 Fig. 3 Marzamemi – Capo Passero. La pocket beach di Vulpiglia. zione del sistema dunare mediante cannicciate, viminate, ecc., atte a favorire la formazione di dune incipienti. Caratteristiche dell’area sono la morfologia a tombolo cuspidato, le dune naturali e antropizzate, in erosione nel settore settentrionale ed in avanzamento in quello meridionale, in una zona umida destinata a scomparire per interrimento da apporti marini, eolici e fluviali. La precipitazione e la temperatura media annue sono di circa 380 mm e 18°C rispettivamente; i venti principali sono Maestrale e Ponente, con velocità superiori a 10 m/sec, con un fetch effettivo massimo di circa 700 km; all’interno della baia influenti sono anche Grecale, Levante, Scirocco; le altezze d’onda significative sono di 5,2 m per il I° quadrante e di 6 m per il II°, con tempi di ritorno di circa 10 anni. Nel sistema dunare, ricadente all’interno di un’area protetta, l’ampiezza della spiaggia è raramente superiore ai 60m, i varchi sono di tipo stradale, l’antropizzazione riguarda l’area di una cava di sabbia dimessa; nella spiaggia sommersa si hanno pendenze del 1-2%, con una profondità massima di 14 m e con barre di 1° ordine rese discontinue dalle mattes di Posidonia oceanica e secondariamente di Cymodocea nodosa e Zostera noltii. I pantani – Piccolo, Grande, Roveto, Sichilli e Scirbia - comunicano con il mare attraverso un’unica apertura costituita dalla foce Sichilli; la loro alimentazione è legata alle precipitazioni dirette, alle portate delle diverse “saie”, all’ingressione di acque marine ed alle risorgive di acque dolci in concomitanza con eventi piovosi. Gli apporti solidi dei bacini idrografici sottesi, a composizione marnoso – sabbioso – calcarenitica di età pliopleistocenica ed olocenica, con sedimenti pelitici derivanti dal dilavamento dei suoli, determinano un tasso di interrimento di 2,6 cm/anno nei Pantani Roveto, Sichilli e Scirbia e di 1,6 cm/anno nei Pantani Piccolo e Grande. I sedimenti sono costituiti: nei pantani, da peliti con frazioni sabbiose indicative di una fase di colmamento; nel duneto, da sabbie fini da moderatamente a ben classate; nella spiaggia emersa, da sabbie medie e fini da poco a moderatamente ed a ben classate; nella spiaggia sommersa, da sabbie fini moderatamente classate. La frazione sabbiosa è composta da tritume organogeno, clasti carbonatici e granuli di quarzo. La vegetazione può essere inquadrata nelle zone a Macchia mediterranea a gariga, con associazioni vegetali a Crithmo – Limonietea, a Arthrocnemum glaucum e Juncus subulatus, a Cakiletum, a Ginepro coccolone, Imperato – Juncetum tommasinii, ecc. Soggette ad una intensa dinamica sono le spiagge emerse, in cui il processo di stabilizzazione ad opera della vegetazione erbacea viene sistematicamente interrotto e scompaginato ed ogni inizio di stagione balneare per far posto a strutture e infrastrutture turistiche. Anche le associazioni vegetali a Salsolo – Cakiletum maritimae e Sporobolo Agropyretum juncei risultano impoverite dal calpestio diffuso, dalla movimentazione della sabbia ed ancora da discariche di rifiuti che contribuiscono a mantenerne e ad incrementarne il degrado. Marzamemi - Capo Passero Lungo la fascia costiera prevalentemente calcarenitica, è presente una serie di pocket beaches - S. Lorenzo, Spinazza, Calafarina, Vulpiglia, Morghelle - di lunghezza compresa tra 250 e 800 m e larghezza tra 20 e 100 m, fortemente antropizzate e degradate da spianamenti, impianti di piscicoltura, prelievi di acque marine e scarico di acque reflue, con una pesante frequentazione e passaggio di mezzi meccanici nel periodo estivo. I sedimenti rientrano nel campo delle sabbie fini moderatamente classate, con linee di riva mantenute stabili dalla disposizione a cul de sac di baie e rade, dalla chiusura laterale da parte di speroni calcarenitici e dalle mareggiate provenienti da quadranti orientali che determinano il rimaneggiamento dei sedimenti all’interno delle stesse insenature non permettendone la fuoriuscita. I riferimenti bibliografici ed eventuali dati supplementari possono essere richiesti agli autori 13 Indagini sulla qualità ambientale con l’uso delle briofite in Sicilia 14 Nonostante siano note da tempo alla comunità scientifica internazionale la validità e l’alta predittività delle briofite come biosensori, nell’area mediterranea la ricerca briologica applicata al biomonitoraggio ambientale ha avuto uno sviluppo piuttosto recente. Maria Giovanna Dia Patrizia Campisi Dipartimento Biologia Cellulare e dello Sviluppo Università di Palermo Fig. 1 Gli studi briofloristici condotti in Sicilia negli ultimi decenni hanno permesso, tramite l’acquisizione di dati sul comportamento di diverse specie, il riconoscimento sia di taxa sensibili, più o meno strettamente legati agli ambienti naturali o seminaturali, sia di briofite più tolleranti capaci di penetrare nelle città e in generale in aree ad elevato impatto antropico. E’ verso queste ultime che è stata focalizzata l’attenzione di una ricerca finanziata da ARPA Sicilia e condotta da ricercatori delle Università di Palermo e Catania, con lo scopo di affinare e ottimizzare il biomonitoraggio tramite le briofite soprattutto all’interno delle aree urbane della regione mediterranea, tramite uno studio specifico e una verifica e sperimentazione di metodi. Piante sporificate di Orthotrichum. diaphanum Schrad ex Brid. muschio epifita altamente diffuso nelle aree urbane.. Le indagini, che sono state condotte in 77 aree campione ricadenti nelle province di Palermo, Caltanissetta, Siracusa e Ragusa ed hanno preso in esame singolarmente i diversi microhabitat briofitici in differenti contesti urbani ed extraurbani, hanno permesso di: individuare precise correlazioni tra i caratteri delle brioflore e delle specie e le condizioni ambientali; riconoscere più specificatamente il grado di tolleranza alle alterazioni ambientali dei taxa delle flore urbiche nei differenti settori urbani e formulare, pertanto, un Indice di Sensibilità idoneo per quantificare il livello di impatto antropico nelle aree urbane. Sulla base della sperimentazione effettuata si può affermare, inoltre, che la diversità specifica costituisce un indice significativo del livello di alterazione all’interno delle aree urbane, mentre non può essere asserito che essa in generale sia misura del grado di antropizzazione del territorio, dal momento che il suo valore tende ad essere più elevato nelle aree rurali e ad La ricerca, finanziata da ARPA Sicilia e condotta dalle Università di Palermo e Catania in 77 aree campione, ha lo scopo di affinare e ottimizzare il biomonitoraggio tramite le briofite soprattutto all’interno delle aree urbane della regione mediterranea 15 impatto antropico moderato, rispetto alle aree naturali. I rapporti epatiche/muschi (E/M) e, con riferimento alle life form, quello weft/short turf (W/St) risultano essere indicatori di habitat relativamente poco disturbati. Gli indici sperimentati, insieme ad altri parametri (spettri tassonomici, dei biotipi, indici di termofitismo, igrofitismo e fotofitismo) sono stati poi applicati in aree urbane di differenti tipologie delle città di Palermo e di Caltanissetta e in centri minori. I risultati ottenuti sono stati oggetto di pubblicazioni su riviste scientifiche e potranno essere utilizzati per il monitoraggio di queste aree. In particolare in Tabella 1 si riportano con riferimento ai principali indici i risultati relativi a cinque aree rappresentative di superficie equivalente: due settori della città di Palermo (uno più centrale e a carattere prevalentemente commerciale, l’altro periferico e caratterizzato da densità edilizia più bassa e traffico autoveicolare più moderato), i centri minori di Belmonte Mezzagno (PA) e Lentini (SR) e un’area seminaturale con funzione di area controllo. Infine è stata verificata l’applicabilità in area mediterranea di metodiche di bioindicazione sulla qualità dell’aria basate sulla biodiversità briofitica epifitica da affiancare a quelle che utilizzano i licheni. I risultati sono stati soddisfacenti e hanno consentito l’elaborazione e la pubblicazione di mappe della qualità dell’aria nell’area urbana di Palermo e in aree extraurbane situate nel Bacino del fiume Oreto, che rispecchiano il grado di antropizzazione nel territorio. Tabella 1 Valori dei principali indici briofloristici in alcune aree indagate I riferimenti bibliografici ed eventuali dati supplementari possono essere richiesti agli autori La biodegradazione: metodo all’avanguardia per bonificare i siti contaminati 16 L’idea del presente progetto è nata da un accurato esame delle priorità di intervento in campo ambientale sul territorio siciliano, una delle quali è risultata essere la presenza sul territorio regionale di siti industriali contaminati e/o dismessi. Le dimensioni del problema hanno assunto nel tempo una gravità tale da influire negativamente sulle previsioni di qualità del suolo e delle acque sotterranee sottostanti i siti stessi. Il Progetto ha sviluppato alcuni punti chiave inerenti la problematica della bonifica dei siti contaminati da Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), quali: V. Librando Dipartimento Scienze Chimiche Università di Catania Progettazione, tramite tecniche di modellistica molecolare, di enzimi modificati proponibili per la degradazione di IPA. Tests in vitro di biodegradazione enzimatica di IPA tramite utilizzo di un ceppo batterico (Stenotrophomonas maltophilia) e fungino (Rigidoporus lignosus) Tests pre-applicativi in situ dei processi di biodegradazione enzimatica su campioni di suolo contaminato da IPA. Il primo punto ha consentito di valutare, tramite simulazione computazionale, le modalità di interazione tra una macromolecola enziamtica quale la naftalene diossigenasi (NDO) e il suo ligando (fig.1). Attraverso queste simulazioni di docking, è stato possibile ricercare tutte le possibili configurazioni energeticamente favorevoli all’interfaccia tra ligando e sito attivo, simulando l’ambiente chimico-fisico nel quale il sistema si trova ad interagire. É stata inoltre prodotta una rottura “in silico” della catena enzimatica NDO mediante la serie di enzimi proteolitici, l’analisi dei risultati ha riguardato la selezione di tutte le strutture più stabili, mediante la valutazione di parametri energetici e strutturali in previsione di configurazioni riscontrabili sperimentalmente. Il Progetto ha sviluppato alcuni punti chiave inerenti la problematica della bonifica dei siti contaminati da Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), quali la progettazione di enzimi, e la realizzazione di test in vitro ed in situ di biodegradazione 17 I test sperimentali di biodegradazione hanno consentito di verificare in vitro la capacità dei sistemi enzimatici di due microrganismi di ossidare IPA con e senza l’ausilio di mediatori e surfattanti che si sono dimostrati in alcuni casi indispensabili nel mediare tale ossidazione. I risultati ottenuti in vitro con i due ceppi sono stati ottimi, portando in pochi giorni la completa degradazione degli idrocarburi. Infine è stata anche testata la capacità dell’enzima laccasi estratto e purificato dal ceppo fungino di degradare in vitro gli IPA in soluzione e dispersi nel terreno, ottenendo per alcuni campioni notevoli rese degradative. Nella parte sperimentale sono stati impiegati estrattori soxhlet ed HPLC con detector a fluorescenza. Per la modellistica molecolare è stato utilizzato un SGI FUEL workstation con software Accelerys. Successivamente alla conclusione del contratto di ricerca, tutti gli esperimenti sono stati riprodotti con l’ausilio di strumentazioni nel frattempo acquisite e cioè: Estrattore in fase supercritica per la estrazione degli IPA dai campioni di suolo (Estrattore ASE 200-ed SFE 7073) e HPLC-MS (fig.2) per la caratterizzazione degli estratti. Il lavoro svolto ha permesso di valutare l’efficacia degradativa del ceppo fungino Rigidoporus lignosus e di quello batterico Stenotrophomonas maltophilia, dimostrando anche la capacità della laccasi di trasformare diversi idrocarburi presenti in una miscela sintetica. Inoltre le caratteristiche emerse durante gli esperimenti in vitro con l’enzima laccasi puro, quali la larga specificità di substrato insieme alle intrinseche proprietà cinetiche, combinate con la relativamente elevata produzione e purificazione che si riescono ad ottenere il laboratorio, suggeriscono una grande varietà di applicazioni industriali e ambientali dell’enzima, quali ad esempio l’immobilizzazione di quest’ultimo in sistemi utilizzabili come biosensori per monitorare la presenza di molecole inquinanti oppure in bioreattori che provvedono alla biotrasformazione delle molecole tossiche in intermedi innocui. I riferimenti bibliografici ed eventuali dati supplementari possono essere richiesti agli autori Indagini ecotossicologiche e biomonitoraggio su macrofauna bentonica di ambienti costieri 18 S. Fasulo G. Lo Paro A. Mauceri N. Crescenti N. Spanò V. Parrino M. Maisano A. Giannetto F. Gennuso* Dipartimento di Biologia animale ed Ecologia marina, Università di Messina *ARPA Sicilia Tavola 1 Epitelio branchiale di esemplari campionati rispettivamente a Marinello (A) e a Milazzo (B). Presenza di numerosi mucociti acidi e neutri negli esemplari di Marinello (C) rispetto a quelli di Milazzo in cui sono evidenti solo mucociti di tipo acido (D). Sono evidenti poche cellule 5HT- e calbindina -immunopositivie (F, H) nell’epitelio branchiale degli esemplari di Milazzo rispetto agli esemplari di controllo (E, G). Bar, 20 ?m. Il progetto è stato orientato al monitoraggio di aree costiere siciliane caratterizzate da diversi gradi di contaminazione ambientale. Per effettuare tale indagine sono stati utilizzati organismi acquatici bioindicatori ed analizzate le risposte biologiche (biomarkers) che tali organismi hanno fornito. La scelta dei siti da monitorare è stata legata ai potenziali fattori di impatto negativo sulle popolazioni e sulla rete trofica. Sono stati monitorati due siti nell’area del Golfo di Milazzo (ME), influenzati da attività industriale di trasformazione, individuando il teleosteo Coris julis come specie bioindicatrice che presenta un medio Home Range. A seguito di un presurvey ecologico si è, poi, scelta come area di controllo quella prospiciente la Riserva di Marinello che presenta caratteristiche geomorfologiche ed una macrofauna bentonica paragonabili a quelle del Golfo di Milazzo ma con un livello minimo di antropizzazione. Su esemplari provenienti da Marinello e dai due siti di Milazzo, sono state effettuate indagini istomorfologiche, istochimiche, immunoistochimiche e molecolari sull’epitelio branchiale ed altre indagini ecotossicologiche su campioni di sangue ed encefalo. Le analisi istomorfologiche ed istochimiche hanno mostrato, negli esemplari campionati a Milazzo, rilevanti alterazioni tissutali ed iperproduzione di muco acido ricco di sostanze antibiotiche rispetto agli individui di controllo. Le indagini immunoistochimiche, mediante uso di anticorpi specifici, hanno testato la presenza di biomarkers da stress come Calbindina, proteina legante il calcio e Serotonina (5HT), amina biogena con attività vasocostrittrice (inserire TAV. 1), di recupero quali Metallotioneine (MT), proteine leganti metalli, Heat Shock Proteins 70 (HSP70), prodotte in risposta a vari stimoli, forma Le analisi istomorfologiche ed istochimiche hanno mostrato, negli esemplari campionati a Milazzo, rilevanti alterazioni tissutali ed iperproduzione di muco acido ricco di sostanze antibiotiche rispetto agli individui di controllo 19 inducibile dell’Ossido Nitrico Sintetasi (iNOS), coinvolta nei meccanismi di riparazione cellulare, (inserire TAV. 2) e Antigene Nucleare di Proliferazione Cellulare (PCNA), che regola l’attività proliferativa, proteina FAS e Caspasi (inserire Tav. 3) che, rispettivamente, innescano e attivano l’apoptosi. La Calbindina, e la 5HT, risultano notevolmente inibite negli organismi di Milazzo rispetto ai campioni di controllo indicando una compromissione delle principali funzioni branchiali. Le MTs, le HSP70, e la iNOS risultano espresse negli epiteli respiratori degli organismi di Milazzo mentre non vi è alcuna positività negli organismi di Marinello. L’espressione delle MTs è stata confermata mediante amplificazione in PCR. Negli organismi prelevati dai siti inquinati si riscontra un’aumentata capacità di turn-over cellulare risultando elevato il numero di cellule immunopositive agli anticorpi anti-PCNA, anti-FAS ed anti-caspasi. Biomarkers genotossici sono stati saggiati mediante “Comet assay” per valutare il danno indotto al DNA delle singole cellule; tale test ha evidenziato la presenza di numerose cellule a cometa nel sangue degli esemplari prelevati a Milazzo rispetto ai controlli. L’analisi del sistema delle Monossigenasi a funzione mista (MFO), l’ethoxyresorufina (EROD), Benzopirene Monossigenasi (BPMO) e dei metaboliti degli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), hanno confermato le indagini di tipo istologico ed immunoistochimico, evidenziando in tutti gli individui provenienti da Milazzo, una induzione del sistema detossificante delle MFO, legata ad una aumentata attività enzimatica (EROD e BPMO), in risposta ad una contaminazione da IPA. Tavola 2 Cellule MT- immunopositive nell’epitelio branchiale degli esemplari di Milazzo (B, frecce) assenti nell’epitelio degli organismi prelevati dall’ambiente non contaminato (A). Differenza evidenziabile anche su gel d’agarosio dei rispettivi prodotti PCR. Non si notano cellule positive agli anticorpi anti HSP70 ed iNOS negli individui di Marinello (C, E) mentre sono presenti cellule HSP70-immunopositive lungo le lamelle (D, frecce) e numerose cellule iNOS- immunopositive lungo il filamento branchiale (F, frecce) degli esemplari campionati a Milazzo. Bar, 20 ?m. 20 In conclusione si può affermare che questo studio interdisciplinare, complesso ed articolato, ha permesso di valutare lo stato di qualità dell’ecosistema ed il rischio tossicologico della concentrazione di composti xenobiotici, attraverso un approccio basato sulle reazioni strutturali e funzionali che gli organismi interessati attivano in presenza di uno stress ambientale. Auspichiamo che tale ricerca condotta con parametri innovativi, anche di tipo molecolare, atti a evidenziare danni precoci su organismi acquatici possa essere utilizzata, almeno per i test di più facile riproducibilità, nel monitoraggio della qualità delle acque marine costiere anche mediante l’impiego di altri organismi sentinella (Bivalvi). Tavola 3 Poche cellule PCNA-immunopositive presenti nell’epitelio dei campioni provenienti da Marinello (A) e numerose cellule immunopositive in quelli di Milazzo (B, frecce). Situazione analoga si nota per le cellule Fas-immunopositive (C, D) e Caspasi –immunopositive (E, F). Bar, 20 ?m. I riferimenti bibliografici ed eventuali dati supplementari possono essere richiesti agli autori Elettrosmog: nuove tecniche per monitorare Messina 21 S. Magazù Dipartimento di Fisica Università di Messina L’inquinamento da campi elettromagnetici costituisce uno dei fattori che maggiormente contribuisce al degrado urbano ed al deterioramento della qualità della vita e, recentemente, ha indirizzato le istituzioni ad analizzare il problema su base sia scientifica che normativa. Il tema rappresenta una questione prioritaria per due principali motivi: a) l’esposizione è in aumento esponenziale; b) Il numero di studi epidemiologici a lungo termine è limitato. E tuttavia si riscontra che, a fronte di un aumento dell’esposizione, i dati statistici e scientifici non sono sufficientemente consolidati per poter operare delle scelte normative. E’ in questo quadro di riferimento che si pone l’esigenza di monitorare i livelli di campo elettromagnetico e di assicurare alla popolazione adeguati livelli di conoscenza per la gestione del rischio. Tecnologie avanzate per l’acquisizione dei dati abbinate all’uso di Sistemi Informativi Territoriali (Geographic Informative Systems, GIS), si rivelano un potente strumento per l’elaborazione, l’analisi e la trasposizione multimediale di parametri relativi a campi elettromagnetici. L’utilizzo di rilevatori di ultima generazione, insieme alla possibilità di assemblaggio degli strumenti con sonde mobili consente di individuare i siti più idonei per il rilevamento puntuale delle sorgenti (quali linee di alimentazione elettrica, antenne dei servizi radiotelevisivi, impianti di telefonia cellulare, linea elettrica del tram, ecc.), all’interno di aree più vaste predefinite allo scopo di ottenere un mappatura sufficientemente omogenea del territorio provinciale. Questa metodologia, inoltre, rende possibile un confronto con i risultati ottenuti attraverso reti di stazioni fisse eventualmente già presenti sul territorio. Le campagne di rilevamenti dell’intensità dei campi elettrico e magnetico sono oggi realizzate seguendo diversificate procedure di monitoraggio e di analisi articolate nei seguenti punti: - Determinazione dei siti di rilevamento mediante analisi planimetrica della città, altimetrica degli edifici e delle sorgenti emittenti; procedure GIS di overlay a maglia su mappa topografica e misure esplorative “in situ”; successivo assembiamento dei tematismi topografico-informativi e delle glosse completive ad essa connessi. - Campionamento dei valori di campo su banda larga e banda stretta, a tempo di integrazione costante e a numero di conteggi costante, nei siti in precedenza individuati. - Analisi, trasposizione multimediale dei parametri georeferenziati e impiego di modelli previsionali per la creazione di mappe applicando metodi geostatistici di kriging per l’interpolazione. I riferimenti bibliografici ed eventuali dati supplementari possono essere richiesti agli autori Impatto della qualità dell’aria sulla qualità della vita: monitoraggio chimico e biologico di un’area urbana ad elevato traffico veicolare 22 Lo scopo del nostro studio è stato quello di valutare l’impatto della qualità dell’aria sulla qualità della vita mediante il monitoraggio chimico e biologico di un’area urbana ad elevato traffico veicolare del comune di Messina. La zona presa in considerazione è l’asse viario del torrente Boccetta, in quanto è facilmente prevedibile che ci sia una notevole concentrazione di inquinanti, a causa dell’elevatissimo traffico veicolare e della peculiare caratteristica a Street Canyon del viale. Saija Dipartimento Farmaco-Biologico Università di Messina Sono stati individuati quattro siti di campionamento lungo tutto il viale Boccetta (Sito 1: svincolo autostrada; Sito 2: fontana Arena; Sito 3: chiesa Immacolata; Sito 4: incrocio viale Boccetta-via Garibaldi). I campionamenti sono stati eseguiti con cadenza bimestrale dal maggio 2005 al maggio 2006. Monitoraggio chimico: Facendo riferimento alle linee guida della Comunità Europea (“Guidance Report on Preliminary Assessment under EC Air Quality Directives” 1998) e alle metodiche NIOSHI e OSHA è stata applicata la tecnica del campionamento mediante aspirazione forzata dell’aria, utilizzando una pompa “Personal” a flusso variabile e gli opportuni sistemi di filtraggio/adsorbimento. Sono stati così determinati: gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) analizzati in HPLC; il Pb, analizzato mediante spettrofotometria di assorbimento atomico; il benzene, analizzato in GC/MS. Inoltre è stato effettuato il campionamento del PM10 mediante l’uso di un frazionatore di particelle (PEM: Personal Environmental Monitor, SKC®) e di filtri in teflon. Monitoraggio biologico: E’ stata studiata la tossicità del PM10 su leucociti umani incubati in vitro a concentrazioni corrispondenti a 0,5 - 0,25 – 0,1 – 0,05 m3 di aria campionata. I leucociti, separati da sangue intero prelevato da volontari sani, sono stati incubati con differenti diluizioni di PM10. La vitalità cellulare è stata deter- minata mediante colorazione con Trypan Blue; la presenza di DNA frammentato (indice di attivazione dell’apoptosi) è stata osservata mediante elettroforesi orizzontale. Risultati: nel mese di gennaio 2006, i livelli di benzene registrati superavano, anche se di poco, il limite di esposizione annuo previsto dalle Linee Guida dell’OMS (10 µg/m3) per la qualità dell’aria. Invece, nel maggio I risultati ottenuti esponendo linfociti umani isolati a concentrazioni del PM10 crescenti ne evidenziano la capacità di indurre un significativo, dose-dipendente, effetto citotossico, ed in particolare, genotossico. 23 2006, i livelli di benzene risultano molto al di sotto dei limiti previsti e i valori di Pb erano addirittura pari a 0. Ciò è in relazione al fatto che dal mese di marzo 2006 il traffico di veicoli commerciali non transita più sul viale Boccetta. grado di indurre apoptosi perchè estremamente citotossico, mentre quello prelevato nelle altre due postazioni, meno fortemente citotossico, era in grado di indurre l’attivazione del processo apoptotico. Anche nel caso del PM10, diverse misurazioni hanno fatto registrare un livello di inquinante che supera i limiti giornalieri riportati nelle Linee Guida dell’OMS per la qualità dell’aria (50 µg/m3). Il PM10 rappresenta sicuramente uno degli inquinanti più pericolosi per la salute umana vista la sua complessa composizione; infatti sul particolato possono adsorbirsi parecchi inquinanti. Fig. 1 Fig. 1 Livelli di PM10 nei diversi siti di campionamento. I risultati sono espressi come media±D.S. di tre analisi. 1 = Svincolo Autostradale; 2 = Fontana Arena; 3 = Chiesa Immacolata; 4 = Incrocio viale Boccetta - via Garibaldi Fig. 2 Vitalità cellulare (media±D.S.) di linfociti umani esposti in vitro a concentrazioni crescenti di estratto di PM10. Fig. 2 Ogni risultato rappresenta la media di tre esperimenti 1 = Svincolo Autostradale; 2 = Fontana Arena; 3 = Chiesa Immacolata; 4 = Incrocio viale Boccetta - via Garibaldi Fig. 3 DNA frammentato in leucociti umani esposti a differenti concentrazioni di PM10 Fig. 3 A conferma di ciò, i risultati ottenuti esponendo linfociti umani isolati a concentrazioni crescenti del PM10 da noi isolato ne evidenziano la capacità di indurre un significativo, dose-dipendente, effetto citotossico, ed in particolare, genotossico. In particolare, il particolato proveniente da 2 postazioni non era in I riferimenti bibliografici ed eventuali dati supplementari possono essere richiesti agli autori (0,05 e 0,1 m3, espresse come m3/1.000.000 cellu- le). Come controllo positivo è stata utilizzata la camptotecina (CAM; 2 e 4 µg/ml). P = Svincolo Autostradale; Q = Fontana Arena; R = Chiesa Immacolata; S = incrocio viale Boccetta - via Garibaldi L’uso di piante mediterranee per salvare i suoli marginali o a rischio desertificazione 24 Paola Quatrini Massimiliano Cardinale Angela Lanza Anna Maria Puglia Fig. 1 Noduli radicali sulle radici della Ginestra di Spagna. Le leguminose arbustive mediterranee costituiscono un grande potenziale per il recupero dei suoli marginali semi-aridi degli ecosistemi Mediterranei poiché stabiliscono simbiosi radicali mutualistiche tripartite con funghi micorrizici-arbuscolari (funghi AM) e con batteri azotofissatori (rizobi). I rizobi sono batteri del suolo in grado di indurre nelle radici delle leguminose la formazione di noduli radicali nei quali avviene la fissazione dell’azoto atmosferico (Fig.1). Questa proprietà conferisce alle Fabaceae nodulate proprietà pioniere e la capacità di arricchire il suolo con composti azotati. La simbiosi leguminosa-rizobio mostra in genere un elevato grado di specificità basato sullo scambio di segnali chimici tra i due partner. I funghi micorrizici sono simbionti radicali che contribuiscono all’autosufficienza delle piante rispetto ai fabbisogni nutrizionali ed idrici. In suoli poveri di nutrienti entrambe le simbiosi benefiche agiscono sinergicamente. Tra i suoli a rischio desertificazione, quelli fortemente antropizzati delle discariche in fase di post-chiusura mancano di una normale attività microbica e quindi anche di propaguli micorrizici e di popolazioni di rizobi naturali capaci di instaurare spontaneamente le simbiosi benefiche. La reintroduzione di piante inoculate con simbionti microbici selezionati può migliorare il tasso di recupero di tali ecosistemi degradati. Al fine di contribuire alla conoscenza dei rizobi simbionti delle leguminose legnose mediterranee abbiamo costituito la prima collezione di rizobi del Mediterraneo con finalità ambientali. La collezione RHIMEL (Rhizobia from Mediterranean Legumes) raccoglie più di 100 isolati da sette specie di leguminose legnose mediterranee (Tab.1). Gli isolati, identificati mediante tecniche molecolari, hanno rivelato un elevatissimo livello di biodiversità. La maggior parte dei simbionti delle Genisteae è filogenenticamente correlata con diverse specie di Bradyrhizobium. L’anagiride (Anagyris foetida, Thermopsideae) presenta una straordinaria promiscuità poiché stabilisce simbiosi con ceppi appartenenti a ben quattro generi diversi di rizobi. L’elevata diversità suggerisce la possibilità di selezionare le più efficienti combinazioni leguminose-rizobi e la collezione RHIMEL costituisce una fonte di biodiversità da cui attingere per i successivi progetti di rinaturalizzazione della nostra regione. Alcuni nuovi ceppi di rizobi della collezione sono stati inoculati sulla Ginestra di Spagna (Spartium junceum) e sull’anagiride che sono state trapiantate in impianti pilota di rinaturalizzazione Tra i suoli a rischio desertificazione, quelli fortemente antropizzati mancano di una normale attività microbica e di rizobi naturali. La reintroduzione di piante inoculate con simbionti microbici selezionati può migliorare il tasso di recupero di tali ecosistemi degradati. 25 nelle vasche chiuse nella discarica municipale di Bellolampo (Palermo) (Fig.2). I risultati del monitoraggio nel lungo periodo hanno mostrato che gli inoculi con i rizobi specifici e funghi micorrizici hanno contribuito in modo statisticamente significativo a migliorare sia la crescita che la sopravvivenza di S. junceum (Fig.3) e, in minor misura, anche di A. foetida. In un altro impianto, realizzato interamente nell’ambito del progetto ARPA, sono stati valutati gli effetti di diversi isolati di rizobi, in presenza ed in assenza della simbiosi micorrizica, sulla crescita di S. junceum. La capacità di competizione dei singoli ceppi di rizobi nel nodulare la pianta ospite varia da ceppo a ceppo, anche in funzione della presenza del simbionte micorrizico. I risultati confermano che la selezione è indispensabile per ottenere le migliori combinazioni pianta-rizobio-fungoAM da utilizzare in contesti ambientali diversi. In agricoltura l’uso di inoculi microbici è stato rivalutato come pratica sostenibile utile al mantenimento della produttività e della fertilità dei suoli. Questo progetto ha dimostrato che lo stesso approccio biotecnologico è applicabile con successo nel recupero ambientale di suoli di discariche in fase di post-chiusura e getta le basi per nuove applicazioni nel recupero di suoli marginali e a rischio di desertificazione. I riferimenti bibliografici ed eventuali dati supplementari possono essere richiesti agli autori Tab. 1 Fig. 2 Impianti pilota con leguminose legnose inoculate nella discarica di Bellolampo a Palermo. a) Particolare del substrato della vasca chiusa della discarica, come si presentava al momento del secondo impianto; b) ginestre di tre anni; c) il boschetto di ginestre ed acacie del primo impianto pilota (in primo piano) a sette anni dall’impianto. Le piante sono state trapiantate senza aggiunta di terriccio fertile in buca e non sono mai state fertilizzate. Fig. 3 La Collezione RHIMEL (Rhizobia from Mediterranean Legumes) contiene un centinaio di nuovi ceppi di rizobi isolati da sette specie di leguminose legnose mediterranee in Sicilia. aI siti di provenienza dei campioni di piante e suolo sono identificati con la sigla della provincia. bGli isolati sono stati assegnati a diverse unità tassonomiche operative (OTU) e successivamente identificati utilizzando metodi molecolari basati sull’analisi dell’operone ribosomale. Fig. 3 Crescita e sopravvivenza della Ginestra di Spagna dopo cinque anni dall’impianto in una vasca chiusa della discarica di Bellolampo. Le piante erano state inoculate alla semina con uno dei rizobi della collezione RHIMEL (Bradyrhizobium Sj9) e con il fungo micorrizico arbuscolare Glomus constrictum; altre piante sono state lasciate non inoculate e mantenute nelle stesse condizioni.. La qualità dell’aria ai piedi dell’Etna 26 Salvatore Lo Nigro Dipartimento di Fisica e Astronomia Università di Catania E’ stato condotto uno studio della qualità dell’aria in ambiente outdoor e indoor in una vasta area del versante orientale dell’Etna (zona delle Timpe) in un territorio caratterizzato da forte dinamismo vulcanico e sismico. Obiettivo dell’indagine era quello di correlare la emissione di gas Radon alla presenza di zone caratterizzate da faglie attive in un periodo in cui si sono verificati numerosi fenomeni sismogenetici e vulcanici spesso accompagnati da processi di emissioni ceneritiche di notevole importanza. Questi fenomeni hanno suggerito l’opportunità di studiare il particolato atmosferico, concentrando l’attenzione proprio in una zona che risente abitualmente degli effetti di queste emissioni di cenere vulcanica. Sono state effettuate misure di diverse grandezze con metodologie diversificate data la complessità e varietà dei parametri oggetto dell’indagine. Le misure di Radon indoor sono state eseguite con tecniche attive e passive. Nel primo caso (tecniche attive) ci si è avvalsi di strumenti commerciali come l’Alphaguard, che fornisce il valore istantaneo della concentrazione di Radon, assieme ai valori dei parametri meteoclimatici del sito (temperatura, pressione, umidità). Le misure con tecniche passive sono state condotte con canestri di carbone attivo, esposti per 48 ore con metodologia “ciclica” (esposizione per 2 gg con misure ripetute ogni 2 gg fino a 15 gg). Inoltre, in alcuni siti sono state effettuate misure con dosimetri CR39, con esposizione di durata 3 mesi. Le misure di radon indoor sono state condotte in ambienti antropici di territori del vulcano Etna in cui prevalgono differenti fenomenologie: i terremoti (faglie sismogenetiche) ed il creep asismico. Le aree scelte sono state: 1) Acicatena, ubicata nel basso versante sud-orientale del vulcano, dove prevalenti sono le fratturazioni al suolo da creep asismico e faglie al momento non attive; 2) Santa Venerina, che insiste in un’area interessata da faglie sismogenetiche responsabili di numerosissimi terremoti del versante orientale dell’Etna alle quote medie; 3) Aree della Timpa di Acireale; 4) Ambienti adibiti ad attività scolastiche (anche di Scuole Superiori) dislocati in vari comuni della Provincia di Catania. A titolo di esempio si riportano i risultati delle misure eseguite ad Acicatena in 32 locali seminterrati, 72 locali posti a piano terra e 46 locali a livelli di elevazione superiore, confrontati con i dati di precedenti misure effettuate a Catania. Si nota una chiara dipendenza del potenziale di esala- I valori rilevati risultano entro i limiti di legge. Tuttavia, la concentrazione di Piombo misurata a livello del piano stradale risulta di un fattore 100 più alta del valore registrato a 12 metri di quota 27 zione del Radon dall’assetto strutturale del territorio, tipico della zona in cui insiste l’abitato di Acicatena. Il particolato atmosferico è stato studiato mediante due stazioni di campionamento ed analizzando il deposito dopo filtraggio di 80 m3 di aria al giorno attraverso filtri di cellulosa con porosità 0,8 ?m. Le due stazioni di prelevamento erano posizionate a diversa quota (una a due metri dal piano stradale e l’altra a 12 metri) nello stesso sito scelto nella città di Acireale, con orientamento favorevole a raccogliere eventuali emissioni ceneritiche dall’Etna. Le misure sono state effettuate nei periodi maggio-agosto 2005 e novembre 2005 – giugno 2006, durante i quali, peraltro, non sono stati osservati fenomeni di emissione di cenere vulcanica. Sul particolato depositato sui filtri sono state effettuate le seguenti misure: a) quantità totale di deposito in ?g/m3; b) radioattività beta totale; c) composizione elementale con la tecnica dell’assorbimento atomico (AAS) per determinare la concentrazione di elementi pesanti come Pb, Ni, Cd, Cr. I valori di Particolato Totale Sospeso (PTS) ottenuti con la determinazione gravimetrica sono mediamente dell’ordine di 143 ìg/m3 per la postazione 2, a 12 m dal piano stadale, mentre sono di 309 ìg/m3 per la postazione 1, a 2 metri dal piano stradale e, pertanto, superiori, al limite di 150 ìg/m3 fissato dalla Legge. Il valore medio di attività beta rilevata risulta invece di (0,62 ± 0,06) mBq/m3 per la postazione 1 e di (0,52 ± 0,05) mBq/m3 per la postazione 2, in entrambi i casi più basso rispetto al limite derivato di concentrazione di attività pari a 0,74 mBq/m3, previsto in base alla normativa italiana. I risultati ottenuti per le concentrazioni di elementi pesanti sono raccolti nelle tabelle allegate. I valori rilevati risultano entro i limiti di legge. Tuttavia, si osserva come la concentrazione di Piombo misurata a livello del piano stradale risulti di un fattore 100 più alta del valore registrato a 12 metri di quota (vedasi Fig. 2). Fig. 1 Istogramma relativo al confronto tra la campagna di misure di Radon indoor effettuata a Catania e quella effettuata ad Acicatena. 28 Figura 2 Confronto delle concentrazioni di Piombo rilevate nelle due postazioni di prelievo relativamente al primo periodo di campionamento. Tabelle 1 e 2 Tabelle riassuntive in cui, per ciascun elemento pesante, sono riportati il valore massimo, il valore minimo, la media e la deviazione standard delle concentrazioni rilevate, distinti per i due diversi periodi di campionamento. Tabella 1 Tabella 2 Una grande porzione del territorio delle Timpe è stata monitorata anche con tecnica non convenzionale, basata sull’uso delle “briofite”. Nel nostro caso le briofite sono state utilizzate come “bioindicatori di sensibilità”. L’area indagata è stata tutta la parte pedemontana del versante orientale del vulcano Etna, compresa tra Acireale e Piedimonte Etneo, in cui sono state individuate 10 stazioni di monitoraggio. L’analisi dei vari indici esaminati nello studio delle briofite ha permesso di individuare n°6 stazioni in cui è presente un maggiore inquinamento rispetto alla restante parte del territorio, dove risulta una buona qualità dell’aria. I riferimenti bibliografici ed eventuali dati supplementari possono essere richiesti agli autori Studio sulle capacità sequestranti di sedimenti verso ioni metallici, composti organo-metallici e sostanze tossiche organiche 29 Silvio Sammartano Dipartimento di Chimica Inorganica Chimica analitica Chimica Fisica Università di Messina Fig. 1 Campionamento L’attività di ricerca nell’ambito del progetto finanziato da ARPA Sicilia è stata articolata nelle seguenti fasi: a) campionamento ed analisi di sedimenti in siti di diverse località siciliane, caratterizzati da potenziale attività antropica ed analisi chemiometrica dei risultati ottenuti, per valutare il livello di contaminazione e spiegarne la capacità di assorbimento e/o rilascio, poiché negli ecosistemi acquatici la disponibilità dei contaminanti è regolata dai sedimenti; b) studi di speciazione chimica (interazioni di ioni metallici ed organometallici con leganti i cui gruppi funzionali sono largamente rappresentativi della sostanza organica naturale (OM) presente nell’acqua di mare e nei sedimenti), allo scopo di definire la disponibilità delle sostanze tossiche ed essenziali nell’ambiente marino, mediante l’utilizzo e la messa a punto di modelli chimici. Per quanto riguarda il punto a) sono state scelte due località siciliane diverse tra di loro: lo stagnone di Marsala e il Golfo di Milazzo. L’attività di ricerca effettuata sui sedimenti dello Stagnone di Marsala ha riguardato la determinazione degli IPA e l’ottimizzazione delle condizioni di estrazione e analisi1. Il monitoraggio nel Golfo e nel Porto di Milazzo ha previsto il campionamento di sedimenti in 19 stazioni per quattro campagne stagionali (Figura 1). Le stazioni sono state scelte per valutare l’impatto, che il polo industriale e le attività portuali, hanno sulla qualità dei sedimenti marini, mediante la determinazione di IPA2, PCB e metalli3. Le concentrazioni totali di IPA nei campioni considerati sono comprese tra 11 e 7402 µg/Kg di peso secco di sedimento. Le concentrazioni maggiori sono state riscontrate in alcune stazioni dentro il Porto e in altre vicine alla zona industriale. Su tutti i campioni analizzati la concentrazione di PCB è risultata minore del limite di rivelabilità. I congeneri utilizzati sono considerati traccianti per l’intera classe: la mancata rivelazione di questi assicura, in buona approssimazione, l’assenza degli altri. Su tutti i campioni analizzati nelle località scelte la concentrazione di PCB è risultata minore del limite di rilevabilità 30 Tabella 1 Valori di Raca) per i metalli considerati I metalli sono stati determinati per ICP-MS e sono stati estratti dai sedimenti ottimizzando la procedura di estrazione sequenziale di Tessier, che consente di studiarne la speciazione. Per alcuni metalli è stato determinato il fattore RAC (Risk Assesment Code). Nella Tab. 1 si può notare per Cd ed Pb un elevato rischio tossicologico, mentre si ha un rischio medio-alto per Cu, Ni, Zn, As. Il rischio è statisticamente costante nelle 4 campagne. Lo studio dell’interazione di composti di organostagno4 con leganti mono-esa carbossilici (che sono i siti di coordinazione più comuni delle sostanze organiche naturali, NOM) e di 3 metalli di grande interesse ambientale, quali Hg, Cd e V, ha portato ad interessanti considerazioni nel campo della speciazione chimica in soluzione. I riferimenti bibliografici ed eventuali dati supplementari possono essere richiesti agli autori Inquinamento ambientale e qualità della vita “Biomonitoraggio su uomo e vegetali” 31 R. Acquaviva L. Iauk F. Savoca C. Di Giacomo V. Sorrenti F. Mazza Vanella L. Vanella A. Dipartimento di Chimica Biologica Chimica Medica e Biologia Molecolare Università di Catania Fig. 1 Espressione di HSP 70, HO-1 e CuZnSOD in foglie di Pinus Pinaster L. I riferimenti bibliografici ed eventuali dati supplementari possono essere richiesti agli autori Nella presente ricerca sono state eseguite indagini ecotossicologiche sia nell’uomo che nelle piante in diverse areee (Priolo-Melilli-Augusta) ad elevato rischio ambientale per la presenza di insediamenti industriali. Nel plasma umano di volontari sani è stato monitorato il rapporto tra “status” antiossidante e markers di stress ossidativo (lipidi idroperossidi, gruppi tiolici, nitriti e nitrati); su estratti vegetali di Pinus Fig. 1 pinaster L. è stata valutata, mediante “Western blotting”, l’espressione di alcune proteine da stress quali le Heat shock protein (Hsp 70), Heme Oxygenase (HO1) e Superossido Dismutasi (CuZnSOD) indotte da diversi fattori (metalli pesanti); come controllo è stata utilizzata la stessa pianta proveniente da zone urbane prive di insediamenti industriali. Inoltre è stata valutata la vitalità del polline. I risultati ottenuti dimostrano una “over-expression” di Hsp70, HO-1 e di CuZnSOD (Fig. 1) in accordo con l’accumulo di metalli pesanti (Cd, Hg, Pb, Cr) riscontrato nei campioni in esame; inoltre è stata evidenziata una diminuzione della vitalità del polline nella stessa area studiata. I soggetti provenienti dall’area Priolo-Melilli-Augusta presentavano una diminuzione dei gruppi tiolici non proteici plasmatici ed un aumento dei markers di stress ossidativo (lipidi idroperossidi e di nitriti e nitrati) rispetto ai soggetti provenienti da zone urbane prive di insediamenti industriali (Fig. 2). Tali dati dimostrano una relazione tra “status” antiossidante ed inquinamento industriale che nelle piante viene messo in evidenza con una over-expression delle proteine da stress; questi risultati possono essere messi in relazione all’elevata incidenza di forme neoplastiche e di malformazioni neonatali che si registrano nella zona Priolo-Melilli-Augusta. Livelli plasmatici di LOOH e GSH; ciascun valore rappresenta la media + D.S. di 20 soggetti Il valore economico del paesaggio agrario siciliano 32 Giovanni Signorello Professore ordinario di Estimo territoriale ed ambientale Laboratorio di Valutazione Ambientale (ENVALAB) Dipartimento di Scienze Economico-Agrarie ed Estimative Università di Catania Nei nuovi paradigmi che si vanno affermando per affrontare e risolvere la complessa questione della tutela e gestione del paesaggio, la dimensione economico-estimativa assume sempre più rilievo. Non soltanto livello di riflessione teorico-disciplinare, laddove il paesaggio è sempre più considerato un costrutto sociale, e perciò espressione di percezioni e giudizi di valore individuali diffusi, comuni, di vario genere, trai quali appunto quelli di carattere economico la cui misurazione, peraltro, segue principi e schemi operativi coerenti con la “irrudicibile soggettività” che contraddistingue i nuovi approcci di analisi. Ma anche a livello politico-amministrativo, laddove sta emergendo un sistema di tutela e gestione che oltre al riconoscimento di valori soggettivi, che riflettono sempre più in modo significativo bisogni economici ed identitari, incomincia a prendere in considerazione anche obiettivi di efficienza allocativa. Dal paesaggio la collettività riceve numerosi benefici, sia d’uso che di non uso, il cui valore economico però non viene direttamente segnalato dal mercato. Sapere quanto valgono questi benefici non serve soltanto a soddisfare una mera curiosità scientifica; né può essere ritenuto da qualcuno come il maldestro tentativo degli economisti di aggiungere il loro sapere e il loro mestiere per contendersi il paesaggio. Conoscere il valore economico del paesaggio è invece utile per chi ha la responsabilità politica ed amministrativa della tutela e della gestione del paesaggio. Per esempio, per dare una giustificazione economica all’intervento pubblico, di cui talvolta sono noti solo i costi indiretti e diretti connessi ai vincoli e divieti imposti dai tradizionali strumenti di regolamentazione e agli incentivi economici erogati a favore dei produttori di paesaggio agrario. Per applicare l’analisi costi-benefici al fine di giudicare se la tutela di un determinato paesaggio sia economicamente valida per l’intera collettività, Per stabilire eventuali priorità nell’allocazione dei fondi pubblici, sia a livello territoriale che a livello di obiettivi. Per individuare incentivi economici declinati non solo in funzione dei costi e dell’avversione al rischio dei singoli produttori di paesaggio ma anche in funzione dei benefici sociali effettivamente prodotti. Per sperimentare ed attuare politiche di tutela 33 innovative basate per esempio su schemi di contrattazione negoziata, di tipo coasiano, tra beneficiari e produttori di paesaggio, oppure su strumenti di tipo pigouviano, cioè sul principio “chi inquina paga”, oppure ancora su strumenti di contribuzione privata in ossequio al principio “chi riceve i benefici paga”. Infine, per armonizzare la pianificazione paesistico-territoriale con le volontà e le preferenze espresse dalle comunità locali. La valutazione economica del paesaggio agrario adotta una prospettiva sociale e si basa essenzialmente sugli assunti e sui principi dell’economia neoclassica e dell’economia del benessere. Pertanto, se si vogliono valutare gli effetti di un intervento pubblico volto a migliorare o preservare un determinato assetto paesaggistico di un territorio occorre conoscere le preferenze individuali per le diverse configurazioni che potrebbe assumere il paesaggio con o in assenza dell’intervento in questione. La valutazione economica adotta quindi uno schema democratico (bottom-up) che contrasta con lo schema paternalistico (top-down) che tuttora caratterizza molte delle discipline che studiano oggi il paesaggio. Nella valutazione economi- ca gli esperti sono gli individui. Il valutatore deve solo misurare le loro preferenze, che in base al paradigma concettuale del valore economico totale (VET), possono riferirsi sia ad una domanda di fruizione diretta e indiretta, attuale e potenziale, mossa dal classico principio egoistico, che ad una domanda di non uso (valore di esistenza) ancorata invece ad un altruismo di tipo kantiano Esistono diversi metodi valutazione economica del paesaggio. Il progetto di ricerca svolto col contributo dell’ARPA-Sicilia ha permesso di analizzare lo status questionis, di approfondire ed estendere i metodi 34 di valutazione esistenti verificandoli anche empiricamente con applicazioni significative, per contenuto e svolgimento, ad ambiti paesaggistici siciliani. Come ha dimostrato la rassegna ragionata della letteratura, i metodi di valutazione che hanno sinora ricevuto le maggiori applicazioni in ambito paesaggistico sono stati il metodo del costo del viaggio, la valutazione contingente, e il metodo degli esperimenti di scelta. Col metodo del costo del viaggio si misurano i valori d’uso diretto (ricreativo) del paesaggio analizzando le spese sostenute per raggiungere il sito di interesse. Con la valutazione contingente e gli esperimenti di scelta si misurano sia i valori d’uso che di non uso analizzando i comportamenti individuali in contesti appositamente simulati. Il progetto di ricerca ha previsto l’esecuzione di quattro applicazioni. La prima ha riguardato la stima della domanda di fruizione per fini ricreativi dei parchi regionali. Per tenere conto dei possibili effetti di sostituzione e di correlazione trai i diversi siti ricreativi è stato formulato ed implementato un innovativo approccio di stima basato su un sistema di equazioni di domanda assumendo per la componente a “conteggio” della funzione di domanda una distribuzione Poisson composta. Le altre tre applicazioni hanno riguardato la misura della percezione sociale e la stima il valore economico totale di altri assetti paesaggistici. Col metodo degli esperimenti di scelta sono state misurate le preferenze monetarie per il paesaggio dei conetti vulcanici pedemontani etnei. La stima si è basata su una simulazione di un piano di tutela e gestione paesaggistica modulato in funzione di sei attributi con livelli differenziati in relazione alla destinazione e utilizzazione del suolo, al controllo delle cause di possibile degrado paesaggistico, e al contributo monetario dei residenti per la eventuale attuazione del piano simulato. Col metodo della valutazione contingente sono state invece misurate le attitudini e le preferenze della comunità ragusano nei confronti dell’installazione di un parco eolico in 35 un’area dell’altopiano ibleo. I favorevoli all’impianto eolico sono stati chiamati ad esprimere la loro “disponibilità a pagare” per ridurre le emissioni di gas ad effetto serra. Analogamente, i contrari al parco eolico sono stati chiamati ad esprimere la loro “disponibilità a pagare” per evitare l’installazione del parco eolico e quindi per la salvaguardia paesaggistica di quel tratto di territorio ibleo. Infine, nell’ultima applicazione si è mostrato come i metodi degli esperimenti di scelta possano essere utilmente impiegati a supporto delle politiche a favore dei produttori di paesaggio agrario. Nell’applicazione è stato simulato un insieme di buone pratiche agricole eco-compatibili più vincolanti rispetto a quelle attualmente previste dalle norme sulla eco-condizionalità per la coltivazione dei seminativi. L’analisi dei dati rilevati ha permesso di quantificare non solo il valore della compensazione richiesta per l’adozione delle pratiche agricole individuate nella simulazione ma anche il valore marginale di ciascuno degli obiettivi proposti per la tutela del paesaggio dei seminativi nelle aree interne della Sicilia. I risultati ottenuti in tutte le applicazioni svolte sono apparsi interessanti non solo sotto l’aspetto metodologico ma anche per il loro contenuto empirico perché mostrano che il paesaggio siciliano è una risorsa economica che entra in modo significativo nella funzione di benessere delle nostre comunità locali. I riferimenti bibliografici ed eventuali dati supplementari possono essere richiesti agli autori I programmi di screening delle patologie polmonare e tiroidea su popolazioni di aree a rischio 36 ARPA Sicilia, nell’ambito delle attività di promozione della ricerca, offre, in queste pagine, spazio alla pubblicazione di interessanti progetti di ricerca condivisi con l’Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente. I progetti nascono da un gruppo di operatori sanitari sensibili alle proble- matiche dell’impatto delle pressioni ambientali sulla qualità della vita e della salute dei soggetti residenti in particolari aree a rischio ambientale, consentendo l’attuazione di programmi di screening delle neoplasie del polmone e della tiroide, in collaborazione con i servizi sanitari territoriali. Sconfiggere il tumore ai polmoni grazie alla diagnosi precoce 37 Introduzione F. Scaffidi Abbate G. Sunseri P. Scarantino M. G. Randisi A. Paladino Azienda Ospedaliera S.Elia Caltanissetta Il tumore polmonare rappresenta a tutt’oggi una delle principali cause di decesso per patologia neoplastica. Infatti è la principale causa di morte per tumore nei maschi (83 decessi ogni 100.000 abitanti ), e la terza nelle femmine (12 ogni 1000.000). colpisce 118 abitanti ogni 100.000, pari a 32.000 nuovi casi all’anno in Italia:in Sicilia lo scorso anno sono stati diagnosticati 1.873 nuovi casi di tumore polmonare tra gli uomini e 384 tra le donne, per tale motivo la Sicilia è la sesta regione italiana per incidenza di neoplasie polmonari. La diffusione è in aumento perché il vizio del fumo (ritenuto la principale causa di malattia) continua a diffondersi fra i giovani e resta molto diffuso fra gli adulti, inoltre il crescente inquinamento atmosferico,soprattutto in località più industrializzate, agisce come fattore di rischio aggiuntivo. L’incidenza quindi rimarrà ancora alta per almeno due decenni,prima che i risultati della lotta al fumo ed all’inquinamento si manifestino. Complessivamente, solo il 5% dei malati di cancro al polmone è vivo a 5 anni dalla diagnosi: la percentuale di guarigione per i tumori polmonari operati al primo stadio è intorno al 70% a 5 anni, purtroppo, per i casi avanzatile possibilità di sopravvivenza a lungo termine, con qualsiasi modalità terapeutica, sono molto ridotte:7 – 15% per i pazienti in stadio IIIA e 3 – 5% per lo stadio IIIB e IV, a seconda delle varie casistiche. La grande maggioranza di questi pazienti non sopravvive oltre i due anni dall’esordio clinico di malattia. Si pone, pertanto,indispensabile l’esigenza e la necessità di una diagnosi precoce del tumore polmonare, soprattutto nelle popolazioni a rischio, attraverso l’applicazione di varie metodiche prevalentemente non invasive per giungere alla diagnosi del tumore polmonare e sottoporre il paziente a chirurgia radicale con alta possibilità di guarigione. A tal fine il ruolo della radiologia e delle tecniche endoscopiche assumono una primaria importanza nell’attuare programmi di screening in ampie popolazioni… Oggi del tumore polmonare conosciamo e possiamo vedere: 1. i fattori di rischio:fumo di sigaretta 2. le condizioni aggravanti tali fattori di rischio: l’ostruzione bronchiale 3. le condizioni genetiche predisponesti al tumore (terreno predisposto) 4. le alterazioni genetiche precoci predittive dell’inizio di oncogenesi 38 5. le alterazioni cito-morfologiche bronchiali precoci predittive dell’inizio di oncogenesi 6. le alterazioni macroscopiche precoci polmonari (noduli polmonari di 3 mm) Obiettivi dello studio: 1. ridurre la mortalità per cancro polmonare nella popolazione interessata (con confronto con i dati storici) 2. prevenire il tumore trattando le lesioni precancerose 3. fare diagnosi precoce di tumore polmonare (1° stadio) 4. fare diagnosi precoce di ostruzione bronchiale (prevenzione di BPCO) 5. studiare un panel di marcatori genetici (su ispettorato e/o siero) predettivi di cancro polmonare da usare su larga scala in studi di prevenzione su fumatori sani Soggetti a rischio da arruolare 1. Soggetti di 50 –74 anni; fumatori di 20 sigarette/dì da almeno 20 anni, o ex fumatori da < di 10 anni; senza storia di tumori maligni precedenti; 2. Lavoratori in miniera, per almeno 10 anni, fumatori anche con <20 sigarette al dì, con eventuale diagnosi accertata di pneumoconiosi o evidenti esiti fibrosclerotici da pregressa TBC Protocollo dello studio Metodi: A – Selezione dei soggetti a rischio Firmato il consenso informato, i soggetti vengono sottoposti a visita pneumologica, spirometria, ossimetria transcutanea e si individuano i soggetti a rischio che entrano nel protocollo di studio B – Monitoraggio strumentale 1. Si raccoglie quantità idonea di espettorato indotto per analisi citogenetiche 2. Si esegue Tac spirale del torace a basso dosaggio Se uno dei tre esami risulta alterato : 3. Si propone la broncoscopia ad autoflorescenza Se presenti alterazioni pleuriche osospette tali: La diffusione di questa patologia è in aumento perchè il vizio del fumo (ritenuto la principale causa di malattia) continua a diffondersi tra i giovani e resta diffuso tra gli adulti, inoltre il crescente inquinamento atmosferico, soprattutto in località industrializzate, agisce come fattore di rischio aggiuntivo. 39 4. Si sottopone il soggetto anche ad ecografia toracica, eventuale toracentesi e/o toracoscopia; C - Trattamento dei pazienti “altamente sospetti” - I soggetti che presentano lesioni bronchiali precancerose, vengono trattati endoscopicamente e/o seguiti nel tempo. - I soggetti che presentano alla Tac noduli > 5mm, vengono seguiti e rivisti a breve; se alla tac noduli > a 10mm si esegue la Pet - Una volta individuata la lesione della mucosa Bronchiale, a seconda del livello di reversibilità che questa ha raggiunto, si può fare l’exeresi chirurgica, la si può bruciare con un elettrocoagulatore o con altri mezzi, o seguire nel tempo. Materiali : La Tac a bassa radiazone è una metodica radiologica che consente, con una quantità minima di radiazioni, simile a quella dell’ Rx standard del torace, di vedere delle lesioni polmonari di 3 mm di diametro (mediamente i soggetti che arrivano alla osservazione in ospedale perché sintomatici, hanno lesioni >3cm! 2°/4° stadio). Dimensioni di questo livello consentono diagnosi precoci al 1° stadio ( la sopravvivenza a 5 anni al 1° stadio è intorno al 70%; al 4° stadio scende al 10 %). Saranno utilizzate le TAC dell’A.O. S. Elia e dell’ ASL n. 2 Esame citologico dell’ espettorato e analisi citogenetiche: ricerca di alterazioni morfologiche e genetiche nell’ espettorato:sembrano associarsi ad una isposizione alla malattia. Alcune sono dosate a parti- re da un campione di sangue, altre dall’ espettorato o dalle urine. Ne sono state individuate diverse, al momento, la strada più promettente sembra quella dell’analisi, a partire da un prelievo di sangue, del danno genetico globale: maggiori sono le alterazioni presenti, maggiore è il rischio. Il dosaggio di questi marcatori consentirà di selezionare le persone che hanno davvero bisogno della TAC spirale, ( se si sottopongono all’ esame tutti i forti fumatori oltre i 50 anni, si scopre un cancro ai polmoni ogni 100 esami. Se invece si consiglia la TAC solo ai forti fumatori che hanno un danno genetico consistente, si può arrivare a scoprire 5-10 tumori ogni 100 esami eseguiti). Spirometria ed ossimetria transcutanea: metodi, non invasivi per la misurazione della funzionalità respiratoria, in regime ambulatoriale, che indicano iniziali alterazioni, anche asintomatiche, della funzionalità respiratoria, in particolare dell’ ostruzione bronchiale. Ecografia toracica: metodo non invasivo per la visualizzazione di modeste quantità di liquido pleurico o ispessimento pleurico sospetto di eventuali iniziali lesioni; molto utie per la toracentesi guidata Broncoscopia ad autoflorescenza:endoscopia bronchiale con la possibilità di individuare precocemente lesioni “in situ” precancerose o già neoplastiche Toracoscopia: metodo invasivo, da eseguire in regime di day hospital, per evidenziare lesioni pleuriche ed eventuali exeresi di lesioni localizzate Screening sulla patologia tiroidea nell’area di rischio a Gela 40 Il VI programma d’azione in materia di ambiente deliberato dal Consiglio Europeo, nel quale sono individuate per lo sviluppo sostenibile identifica tra le priorità la salute pubblica e le risorse naturali. È in ossequio a questo atto, che i soggetti promotori dello screening sulle patologie tiroidee hanno proposto il programma all’attenzione delle autorità competenti. F. Scaffidi Abbate M.G. Randisi, A. M. Paladino, Azienda Ospedaliera S.Elia Caltanissetta E’ cosa nota che l’inquinamento atmosferico, i cibi, lo stato del suolo ed il conseguente ciclo dell’acque hanno notevoli ripercursioni sui nostri organismi determinando modificazioni della prevalenza e della storia naturale delle patologie più disparate e di quella neoplastica in particolare. Ed ancora i media descrivono una sempre maggiore attenzione del popolo italiano rispetto al proprio stato salute a cui di conseguenza corrisponde un sempre maggiore interesse e coinvolgimento nei temi che riguardano territorio ed ambiente in cui si lavora e si vive. E’ per questo motivo che le figure istituzionalmente deputate a farlo, non possono dare episodiche e momentanee risposte, bensì hanno il dovere di elaborare precisi piani d’azione finalizzati ad individuare strategie prioritarie da adottare nei settori più a rischio (ad es. rifiuti, energia, mobilità, agricoltura, campi elettromagnetici) al fine di ridurre l’impatto sull’ambiente degli agenti inquinanti. E’ in questo contesto che trova giustificazione uno screening sulla patologia tiroidea condotto sulla popolazione dell’area a rischio di Gela dove sono rappresentati gli ambiti più disparati (coste, regione montana, aree minerarie, agricolture tradizionali e tecnologicamente avanzata, industrie ad alto impatto ambientale). E’ certo che un tale studio, in maniera molto efficace, consentirebbe, di valutare, sulla popolazione oggetto dello screening la storia naturale e la prevalenza della patologia tiroidea, constatando così le eventuali variazioni verificate nei vari ambiti territoriali ed anche in seguito a possibili modifiche delle abitudini alimentari differenti. Inoltre è noto che i distruttori endocrini rappresentano un gruppo di contaminanti dell’ambiente e degli alimenti in grado di interferire con l’omeostasi endocrina, soprattutto degli ormoni sessuali steroidei e degli ormoni tiroidei. La definizione più comune accettata riporta: “un distruttore endocrino è una sostanza esogena, o una miscela che altera la funzionalità del sistema endocrino, causando effetti avversi sulla salute dell’organismo, oppure della sua progenie o di una popolazione. Le figure istituzionali hanno il dovere di elaborare precisi piani d’azione finalizzati ad individuare strategie prioritarie da adottare nei settori più a rischio 41 I principali distruttori endocrini sono costituiti da contaminati organici persistenti ( ad es. policlorobifenili), diversi pesticidi biocidi (ad es. gli ftalati e i ritardanti di fiamma polibromurati) e recentemente suscitano attenzione gli effetti endocrini di alcuni metalli come i coposti dell’arsenico. I meccanismi d’azione dei distruttori endocrini comprendono interazioni recettoriali, interazioni con enzimi e con il trasporto degli ormoni, influenze sull’asse ipotalamo ipofisario. E’ dunque evidente una molteplicità di usi con una conseguente, potenziale esposizione multipla nell’ambiente, negli alimenti, in ambiente lavorativo e/o domestico, ed inoltre, una varietà di meccanismi con bersagli ed effetti molteplici. La tiroide è una ghiandola endocrina posta nella regione anteriore del collo. E’ in grado di sintetizzare e produrre l’ormone tiroideo sotto forma di Tiroxina (T4) e Triiodiotironina (T3);quest’ultima è la forma attiva dell’ ormone. Le azioni sono estremamente ampie e vanno dallo sviluppo del sistema nervoso centrale, all’accrescimento corporeo, al controllo di numerose funzioni metaboliche. Possiamo dire che la tiroide regola il numero di giri di numerosi motori del nostro organismo. L’apporto di quantità adeguate di iodio rappresenta un requisito essen- ziale per la normale produzione di ormone tiroideo. Lo iodio è un elemento raro ed è presente negli alimenti e nelle acque in quantità variabile a seconda di quello che viene definito il tenore iodico dell’ambiente.La carenza iodica nel suolo e di conseguenza negli alimenti costituisce un fattore predisponente alla patologia tiroidea.Lo iodio è un elemento essenziale per la crescita e lo sviluppo umano ed il gozzo endemico rappresenta una malattia da adattamento, conseguente alla stimolazione cronica della ghiandola tiroide da parte della tireotropina. Nella popolazione esposta a carenza di iodio si possono avere anche altre manifestazioni, quali aumento degli aborti, aumento natimortalità, ipotiroidismo neonatale quasi sempre transitorio, deficit neuropsicologici e cognitivi fino al cretinismo, disturbi definiti come disordini da carenza iodica. Il gozzo è normalmente più frequente nelle zone collinose e montane dove i livelli di iodio nel suolo sono bassi. L’Italia è un paese ad elevata endemia gozzigena (10% della popolazione). La presenza di noduli tiroidei è elevata, intorno al 4-5%; in determinate aree geografiche tale percentuale si innalza fortemente (è questo il caso delle aree a rischio di Gela). 42 Il 95% dei noduli tiroidei sono benigni; nel restante 5% dei casi il nodulo tiroideo singolo o prevalentemente in un gozzo multunodulare è costituito da un tumore maligno, è perciò fondamentale dal punto di vista diagnostico, riconoscere i noduli maligni dai benigni. L’applicazione di un corretto inquadramento diagnostico ( storia del paziente, visita ecografia, scintigrafia, dosaggio ormonale comprensivo della valutazione della calcitonina e di eventuali anticorpi) consente di individuare i tumori maligni e di distinguerli da modularità benigne; la scelta della terapia medica, radiante o chirurgica è ovvia dipendenza della diagnostica. Da studi effettuati sulla popolazione dell’area a rischio di gela si evidenzia un elevata frequenza della patologia tiroidea ed in relazione a quello già sottolineato è probabile che molte delle patologie gozzigene nodulari ritenute per anni esclusivamente benigne possano nascondere variazioni neoplastiche maligne. I promotori dello screening ritengono che dopo avere ricevuto informazioni dai medici di famiglia sulla storia naturale dei familiari dei singoli pazienti da inserire nello studio li sottopongono a visita chirurgica e successiva valutazione diagnostica (dosaggi ormonali, ecografia tiroidea ed agoaspirato) da effettuare in regime di Day hospital presso l’Unità di Chirurgia Generale. Igiene ambientale, la tariffa determinata dagli A.T.O. 43 Recentemente, la giurisprudenza amministrativa siciliana ha affrontato la questione relativa alla competenza in materia di determinazione della tariffa di igiene ambientale (d’ora in poi T.I.A) negli ambiti territoriali ottimali, a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 152/2006 recante “Norme in materia ambientale”.1 a cura di Gaetano Armao Chiara Castellana Alessandro Cucchiara Giuseppe Fragapani avvocati amministrativisti Il Giudice amministrativo è stato chiamato a sindacare la conformità alla normativa vigente del procedimento di determinazione del regime tariffario del servizio di gestione integrata dei rifiuti, attuato da una società d’ambito operante nel territorio della Regione siciliana, per gli anni 2006 e 2007. In particolare, nel caso in commento, veniva richiesto l’annullamento, da parte del giudice amministrativo, della deliberazione della società d’ambito di approvazione della T.I.A poiché ritenuta in contrasto con le previsioni legislative vigenti (art. 238 del d.lgs. n. 152/2006 e s.m.i.), sotto il profilo della titolarità del potere di determinazione della tariffa negli ambiti territoriali e delle concrete modalità di determinazione ed attuazione della stessa. Veniva, in sostanza, asserito che l’attribuzione alla società (rectius autorità) d’ambito del potere di determinazione della tariffa non poteva trovare applicazione in quanto non risultava ancora approvato, sul piano normativo, il regolamento recante i criteri generali e di definizione delle componenti della T.I.A., con la conseguenza che la determinazione della tariffa avrebbe dovuto effettuarsi, secondo la normativa previgente, da parte dei singoli Comuni. Si tratta, pertanto, di stabilire se, nella Regione siciliana, la competenza in ordine alla determinazione della T.I.A. spetti ai Comuni o alle Autorità d’ambito. Alla stregua della ricostruzione operata dal giudice amministrativo, appare opportuno ripercorrere le tappe fondamentali dell’evoluzione legislativa in materia. Il decreto legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997, e succ. mod. e int, - noto come decreto Ronchi - ha introdotto la tariffa rifiuti, in sostituzione della tassa rifiuti solidi urbani (TARSU), normata dal d.lgs. 507/93. Riguardo alla determinazione della stessa, l’art. 49, comma ottavo, del d.lgs. 22/1997 s.m.i. ha previsto che “la tariffa è determinata dagli enti locali, anche in relazione al piano finanziario degli interventi relativi al servizio”. Il successivo comma nono, inoltre, ha precisato che “la tariffa è applicata dai soggetti gestori nel rispetto della convenzione e del relativo disciplinare”. 1 Tar Sicilia Catania, sez. III int,, 4 gennaio 2008, n. 52 Il Commissario regionale per l’emergenza rifiuti ha individuato gli ambiti territoriali ottimali, approvando le linee guida per la gestione integrata dei rifiuti, con allegati gli atti per la costituzione delle Società d’ambito. 44 In Sicilia, tuttavia, le vicende concernenti il sistema rifiuti hanno subito delle particolari conseguenze a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza. Si rammenta, infatti, che, con ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento della Protezione Civile n. 2983 del 31 maggio 1999, il Presidente della Regione siciliana è stato nominato “commissario delegato per la predisposizione e adozione del piano di gestione dei rifiuti e delle bonifiche delle aree inquinate, di cui all’articolo 22 della Legge 5 febbraio 1997, n° 22, di un piano di interventi d’emergenza per la gestione dei rifiuti urbani nonché per la realizzazione degli interventi necessari per far fronte alla situazione d’emergenza”, inaugurandosi, pertanto, nel territorio una gestione commissariale durata, a seguito di varie proroghe, fino al 31 maggio 2006. Al fine di attuare quanto previsto dalla normativa nazionale, il Commissario regionale per l’emergenza rifiuti, con Ordinanza n. 280 del 19 aprile 2001, ha individuato gli ambiti territoriali ottimali, approvando, con successiva ordinanza commissariale n. 488 dell’11 giugno 2002, le linee guida per la gestione integrata dei rifiuti, con allegati gli atti per la costituzione delle Società d’ambito. Pertanto, in ossequio alle previsioni dell’art. 23 del d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 e s.m.i. e dell’art. 2 bis dell’ordinanza di protezione civile n. 2983/1999 e s.m.i., sono state costituite le società d’ambito, individuate quale forma obbligatoria di cooperazione tra enti locali ai fini della gestione associata del servizio, alle quali è stata affidata la gestione del ciclo integrato dei rifiuti solidi urbani dell’ambito territoriale ottimale in conformità alla vigente normazione in materia. Alla stregua dell’assetto amministrativo e regolativo delineato dal Commissario delegato in Sicilia, una volta costituite le società d’ambito, sono state ad esse trasferite tutte le competenze relative alla gestione integrata dei rifiuti, prima di spettanza degli enti locali (Comuni e Provincia), ricadenti in tali ambiti, nonché il potere di approvazione del regolamento per la determinazione della tariffa d’ambito, in coerenza con il regolamento-tipo adottato dall’autorità commissariale approvato con Ordinanza dell’8 agosto 2003. Con tale atto il Commissario ha disposto l’adozione da parte delle società d’ambito, entro il 10 settembre 2003, di un proprio regolamento per la determinazione della tariffa d’ambito nella fase di avvio del sistema integrato coerente con il regolamento tipo. In conclusione, sulla scorta del quadro normativo delineato, la giurisprudenza amministrativa in commento è giunta, nel caso sottoposto al suo esame, a ritenere infondata la censura mossa avverso la delibera della società d’ambito di determinazione della tariffa sotto il profilo della titolarità del relativo potere, affermando che le richiamate disposizioni “realizzano, invece, un vero e proprio trasferimento di funzioni con relativo mutamento nella titolarità del potere che dal Comune trasla, in via amministrativa, in capo all’ente pubblico appositamente costituito”. Il Tar è pervenuto a tale conclusione anche sulla scorta della considerazione che la T.I.A., lungi dall’essere un tributo ovvero un’imposta, rappresenta, invece, il corrispettivo da pagare per il servizio di gestione integrata dei rifiuti negli ambiti ottimali. Alieni e supereroi in campo: la fantasia al servizio dell’ambiente 45 Alessandra Nobile ARPA Sicilia Le strategie per l’adattamento ai cambiamenti climatici. E’ questo un tema centrale nell’attività’ di comunicazione dell’arpa sicilia,che ha bandito un concorso per l’acquisizione di “progetti mirati alla sensibilizzazione alle tematiche ambientali”. Sei i progetti che hanno superato l’esame della apposita commissione. Il progetto”piantare i semi della speranza”, si occupa del rapporto tra l’orto e il contadino. In pratica mette in campo strategie comunicative indirizzate alla salvaguardia della biodiversita’.un altro progetto “gli alieni a Palermo”,riguarda i cambiamenti climatici,con le conseguenze sul suolo,sulla vegetazione,sulle componenti agroecosistemiche in genere e sull’ambiente marino. Si propone un originale autobus inglese double decker itinerante con pupazzi, pannelli, disegni, caricature. ecc…. Sul tema della coscienza ecologica un altro progetto, prevede una campagna pubblicitaria basata sulla parodia del linguaggio sportivo. Obiettivo: fornire rapidi spunti per sostituire la “cattiva disciplina”con le principali buone prassi ecologiche e civiche. Inoltre, un progetto che punta ad informare il “gioco delle carte”.Dunque rivolto sia ad un pubblico adulto che ai bambini. La proposta e’ di ripensare graficamente le carte siciliane con quattro nuovi”semi”: il pomodoro, la goccia d’acqua, la presa elettrica e il salvagente. Un modo per sensibilizzare rispetto all’impatto dei mutamenti climatici sull’agricoltura, all’importanza di un’adeguata gestione delle risorse idriche,alla necessità di un risparmio energetico, e di una messa in sicurezza delle coste. Un altro progetto”Mr. Arp, il super eroe della natura”,propone un kit didattico(,si compone di due manuali:uno per i bambini e uno per l’insegnante) di educazione ambientale sul riciclaggio dei rifiuti. E’ rivolto ai bambini di terza elementare perché si prendano cura del proprio ambiente. Si articola attraverso un programma di fumetto e di giochi. Il. Fumetto e’ ambientato nel mondo delle favole i cui protagonisti sono vittima dell’inquinamento e delle cattive abitudini che lo causano. mentre attraverso il programma dei giochi,i bambini faranno prove di creatività,di ricerca,composizione,manipolazione ed esperimenti come quello di creare,insieme all’insegnante,la carta riciclata. E per ultimo,una campagna 46 per le fonti di energia alternativa. Il titolo.” Sotto una luce diversa”. Si parla tanto di fonti energicamente sostenibili,come l’energia solare e l’eolica. Il progetto prevede la realizzazione di un manifesto,di un opuscolo informativo e di una postcard per una campagna che sensibilizzi la popolazione sui cambiamenti climatici e sulle soluzioni da adottare per evitare ripercussioni ambientali irreversibili. Ed e’ proprio quest’ultimo concetto il filo conduttore del bando dell’ARPASicilia. Lo stato di salute delle coste Siciliane? lo rivela il Coleottero 47 Il sistema delle Agenzie Regionali cui fa parte l’ARPA Sicilia costituisce uno strumento per coordinare azioni a livello nazionale ed europeo e confrontare dati ambientali relativi alle diverse regioni italiane. La selezione e la sperimentazione degli indicatori ambientali costituisce, in questo senso, un esempio pratico. Il monitoraggio ambientale e il confronto dei relativi parametri permette infatti di ottenere un quadro generale che consente di poter operare anche su vaste aree, a tutto vantaggio dei tempi e delle modalità di svolgimento dei lavori. Francesco Lapiana ARPA Sicilia Le Agenzie ambientali da tempo applicano alcuni protocolli che utilizzano la fauna minore come indice dello stato di conservazione dell’ambiente: ad esempio gli invertebrati bentonici per quanto riguarda i corsi d’acqua o i Coleotteri Carabidi per gli ambienti terrestri. Questo metodo di operare necessariamente procede insieme alla ricerca di base, in particolare ai suoi aspetti applicativi, che costituisce sempre un valido strumento di conoscenza volto alla protezione del territorio. In accordo a quanto detto, tra il 2007 e il 2008, la Struttura ST VII – Ecosistemi e Biodiversità dell’ARPA Sicilia ha avviato una ricerca sui Coleotteri che vivono sulle coste sabbiose della Sicilia; in particolare, si è cercato di individuare, tra le circa 600 specie tipiche di questi ambienti, quelli che meglio caratterizzano gli ambienti in buono stato di conservazione e che possono essere utilizzati come “spie” del disturbo antropico e del degrado dell’habitat. Le condizioni per l’insediamento di specie animali e vegetali in un qualunque habitat, sono dipendenti dai parametri ambientali (umidità, temperatura, ecc.), dalla disponibilità di cibo e ripari, dalle relazioni interspecifiche e da tutto ciò che può essere percepito da un essere vivente. Le specie, così, occupano le aree a loro più idonee. Quando si verifica un disturbo, ad esempio un insediamento antropico, l’avvento di una specie aliena fortemente competitiva o una degradazione dell’habitat, i presupposti per la sopravvivenza possono venire meno e una o più specie possono soccombere e scomparire. La componente faunistica connessa alle dune è caratteristica almeno quanto quella vegetazionale; molti invertebrati si sono adattati all’ambiente di duna e alla vegetazione tipica che vi si sviluppa, dando origine a strette relazioni ecologiche. Per questo motivo gli insetti, tra i quali i Coleotteri costituiscono una grossa percentuale, possono essere considerati uno spec- chio che riflette lo stato di salute dell’ambiente dunale. La loro presenza o assenza, quando non giustificata da motivazioni biogeografiche, è strettamente collegata ai fattori ambientali locali. Per di più, alcune specie di Coleotteri con specifiche preferenze ambientali hanno trovato una propria nicchia ecologica nei diversi microambienti che costituiscono l’ambiente psammo/alofilo costiero. Esse quindi caratterizzano una particolare fascia: l’arenile soggetto all’influenza diretta del mare, le dune con vegetazione psammofila specializzata, il retroduna con ricca copertura vegetale e gli ambienti umidi costieri. Per questa specializzazione ecologica è possibile valutare, tramite il popolamento dei coleotteri, lo stato di conservazione di ogni singola “fascia” ambientale. 48 Tuttavia solo alcune specie sono particolarmente adatte ad essere utilizzate come indicatori di qualità ambientale, pertanto in questa indagine sono state scelte le specie in grado di soddisfare questi cinque requisiti: 1) Almeno una fase del ciclo vitale legata agli ambienti dunali/litoranei 2) Vulnerabilità della popolazione in caso di stress ambientale 3) Facilità di identificazione 4) Disponibilità di dati bibliografici Fig. 1 Il Coleottero dunale Erodius siculus Solier, 1834 5) Specie ampiamente distribuite sul territorio In questo modo sono stati individuati 29 taxa (specie o sottospecie) che, in base a ricerche bibliografiche e di campo relative alla loro biologia, potevano “teoricamente” soddisfare quanto richiesto. In un secondo momento, il “comportamento” delle popolazioni di queste specie è stato testato in cinque biotopi siciliani caratterizzati da diversi livelli di degrado: foce del fiume Belice, Biviere di Gela, spiaggia di Balestrate, litorale di Buonfornello e spiaggia di Isola delle Femmine/Capaci. Da quanto osservato sulla distribuzione e abbondanza dei 29 taxa, all’interno dei siti indagati, è emerso che vi sono delle differenze significative tra i diversi biotopi. È stato osservato che nei siti di maggior pregio naturalistico (dune limitrofe alla foce del fiume Belice e Biviere di Gela) il numero delle specie trovate, tra i 29 Coleotteri selezionati, è alto, e le loro popolazioni sono composte da numerosi individui, anche riguardo le specie più sensibili ed esigenti. Lungo il litorale di Balestrate e sulla spiaggia di Buonfornello, dove sono più incisive le attività antropiche come la balneazione estiva o la costruzione di edifici ad uso civile ed industriale, la biodiversità delle comunità di Coleotteri ne risente in modo negativo; scompaiono molte delle specie più esigenti e quasi tutte le altre diminuiscono di abbondanza. In ultimo, nel biotopo di Isola delle Femmine-Capaci, evidentemente degradato, risulta la presenza di sole tre specie, mentre tutte le altre sono scomparse. 49 Fig. 2 Aspetti dunali prossimi alla foce del fiume Belice In sintesi, i risultati di quanto osservato sono stati che: - Alcune specie molto sensibili scompaiono già a livelli bassi di stress ambientale - Altre specie scompaiono gradualmente dall’ambiente man mano che cresce il livello di stress e di disturbo - La consistenza delle popolazioni di tutte le specie diminuisce all’aumentare dello stress ambientale Pertanto, la scelta accurata dei 29 taxa di Coleotteri ha portato a evidenziare una evidente relazione tra la ricchezza dei popolamenti dei Coleotteri e lo stato di conservazione dell’ambiente. Questi primi risultati ottenuti da una prima analisi sono sicuramente già di grande interesse, ma è necessario che nuovi studi approfondiscano meglio quanto osservato al fine di avere maggiore chiarezza sulle relazioni tra fauna ed ambiente. Le ricerche effettuate, oltre ad avere un interesse puramente biologico e naturalistico, offrono interessanti prospettive per il futuro. Il possibile utilizzo di un indice di qualità ambientale basato sui Coleotteri, potrà essere utile per elaborare e coordinare specifiche azioni di protezione negli ambienti costieri che più necessitano di interventi di tutela e, dal momento che spesso l’uomo non può avvertire in tempo il cambiamento delle condizioni ambientali, la scomparsa di alcuni Coleotteri da una determinata area, può servire da “campanello d’allarme”. A questo scopo la scelta delle specie è stata fatta anche in previsione di una possibile applicazione degli indicatori al di fuori dei confini siciliani; molte di esse infatti si trovano anche in Italia continentale o hanno corrispettive sottospecie con analoghe esigenze biologiche. Pertanto, il reale valore di aree umide costiere ad alta biodiversità può essere messo in evidenza utilizzando anche piccoli invertebrati sconosciuti alla maggior parte delle persone. L’avvio di simili ricerche apre la possibilità alla cooperazione con enti di ricerca esterni con i quali, mettendo le proprie esperienze a confronto, si possono raggiungere importanti risultati in termini di conoscenza e valorizzazione del territorio. Inoltre, sarà possibile fornire ai gestori delle aree protette delle coste della Sicilia utile materiale scientifico-informativo ed un protocollo per la cattura dei Coleotteri indicatori e per la successiva analisi dei dati, onde ottimizzare le azioni di tutela e di gestione di alcuni tra i biotopi maggiormente minacciati dell’isola. Ringraziamenti: Ignazio Sparacio per la preziosa collaborazione e per gli innumerevoli consigli offerti. Calogero Di Chiara e Giacomo Scalzo per la revisione del lavoro. Elogio del limone qualità e virtù del Re degli agrumi 50 Ancora oggi nei mercati l’arrivo sui banchi di vendita dei verdelli richiama l’attenzione del pubblico e non solo dei turisti che in genere affollano i meandri di questi mondi dall’atmosfera esotica e allusiva. Si , parliamo proprio dei bbastarduna, termine che in dialetto indica questi limoni di un verde intenso rubati alla natura in piena estate , quando il caldo siciliano aggiunge un che di violento a ogni cosa, soprattutto ai sapori e agli odori. Girolamo Cusimano Dipartimento beni culturali, storico-archeologico, socioantropologici e geografici Università di Palermo Tra gli agrumi il limone continua a occupare una posizione regale, a conservare nonostante la concorrenza di altri paesi produttori, una sicilianità inattaccabile. Un frutto che nelle sue varietà sta a tavola dall’inizio alla fine , ma che col cibo ha un rapporto intimo che comincia già in cucina e si espande anche a molti momenti gastronomici fuori della tavola. In Sicilia é onnipresente, verde o giallo ,rotondo o oblungo e con una marcata protuberanza sia in prossimità del picciolo che del punto diametralmente opposto, nelle tavole più eleganti dei ristoranti , come sul banco dei venditori di pane e panelle, sui precari ripiani dei venditori di stigghiola e quarume,nelle località di mare nelle bancarelle dei polipari, che lo offrono con le cozze, i ricci di mare, il polipo fatto a pezzettini e altro ancora, una sorta di viatico che rende tutto più leggero e digeribile. Tagliato in modo particolare a farne quattro pezzi e se necessario otto, ma non più, il limone vi offrirà i servigi della sua polpa ricca di un succo acidulo che sa sposarsi con gli altrui sapori,a volte ingentilendone i caratteri di marcata aggressività, o esaltandone la delicatezza,ma non raramente potenziandone la forza,come in certe insalate in cui gareggia con altri dominatori delle papille gustative, oli verdi e densi, aceti rossi e aromi invincibili ,menta, basilico e origano, tra pomodori , finocchi, cipolle e olive carnose. Lui , il limone , viene per ultimo, sua maestà appunto,nell’effimero momento di trionfo in cui, completamento del piatto, viene, col sapiente uso della forchetta, spremuto e poi buttato via. Tra gli agrumi il limone occupa una posizione regale conservando una sicilianità inattaccabile 51 Destinato elettivamente al pesce, il limone si usa anche con la carne,non sfugge al richiamo della pasticceria,con gli oli essenziali della sua buccia fragrante ,ma troneggia intero in versione di candito persino sulla barocca cassata siciliana. Nei gelati, sorbetti, granite, granulose raggiunge la perfezione donando refrigerio e sapori che dal palato trapassano nella memoria indelebile di un piacere che solo la Sicilia sa donare. Agricoltura Blu La via italiana dellagricoltura conservativa Principi, tecnologie e metodi per una produzione sostenibile A cura di Michele Pisante Edagricole, 2007 317 pp. 52 Paolo Inglese dipartimento colture arboree Università di Palermo Grande sorpresa il volume curato da Michele Pisante, Straordinario di Agronomia e Coltivazioni Erbacee nell’Università di Teramo. Il volume è ricco anche in termini di autori, che hanno contribuito a realizzarlo. Sono ben 26, tra docenti universitari provenienti da ben 12 diversi Atenei italiani e spagnoli, professionisti, rappresentanti di istituzioni internazionali. E’ ricco di sponsor e di patrocinatori, tra questi ultimi la SOI, a testimonianza di un interesse vivo per un tema di grande attualità. E’, infine, ricco di contenuti scientifici e tecnici, distribuiti in 7 capitoli di vasta e profonda natura. Oggetto del volume è l’Agricoltura conservativa, come sistema integrato di gestione agronomica che pone al centro del suo modo di intendere e praticare l’agricoltura, la salvaguardia delle risorse primarie: il suolo, l’acqua, in primo luogo. La parola d’ordine, testimoniata dalla varietà della formazione scientifica dei vari Autori, è “interdisciplinarietà”. Ricco di illustrazioni, di dati e di immagini, il volume fornisce al lettore un quadro il più possibile completo dei modelli di gestione agronomica conservativa, applicati a diversi sitemi agrari. Un volume utile a ricercatori e a studenti impegnati nello studio dell’agricoltura e nello sviluppo di conoscenze e competenze che, garantendone il profitto, siano capaci di valorizzarne il ruolo energetico e ambientale o, per dirlo con gli Autori, quello conservativo. Agli insetti piacciono le opere darte (esempi di degrado, salvaguardia e conservazione) di Giovanni Liotta Edimed sas. 2007, 213 pp Alla curiosità che già suscita il titolo, solo apparentemente provocatorio, ma in verità del tutto e semplicemente vero, segue lo stupore crescente che produce la lettura di un volume stupendo, che si pone come punto di riferimento prestigioso nella salvaguardia del patrimonio culturale. Qualsiasi lettore, specialista o meno del settore, viene travolto da una straordinaria profusione di informazioni scientifiche e tecniche presentate con grande cura e con il trasparente desiderio di trasmettere un patrimonio di conoscenze davvero straordinario. Con quest’opera, Giovanni Liotta, professore di Entomologia nell’Università di Palermo, lascia il segno del suo lungo magistero accademico, testimoniando, con una ricchezza di notizie, di dati e di incredibile iconografia non solo la continuità del suo essere ricercatore appassionato, ma la volontà di trasmettere e di porre la propia conoscenza al servizio della comunità, degli allievi, della tutela del patrimonio culturale del nostro Paese. Pagina dopo pagina, il lettore prende consapevolezza dell’etrema fragilità e del rischio cui sono sottoposti monumenti e manufatti di inestimabile valore culturale, ma poi, quasi con sollievo, scopre come è possibile prevenire, tutelare, risanare, facendo tesoro della conoscenza del ciclo biologico degli insetti e di una verità apparentemente banale: che non fanno altro che il loro “dovere” biologico di assicurare a se stessi e alla prole condizioni utili alla vita, che, spesso sono offerte proprio dall’incuria dei beni monumentali che divengono il loro habitat “naturale”. Un volume importante ma soprattutto un’opera “di servizio”, di grande valore scientifico, tecnico e culturale, che getta un seme che certamente germoglierà.