Editoriale - Arpa Sicilia

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Editoriale
Sergio Marino
Direttore Generale
ARPA Sicilia
Presi dalle incombenze di routine, a tutti coloro che coprono ruoli istituzionali
può capitare di farsi coinvolgere nei problemi quotidiani e di perdere di vista il continuo evolversi delle situazioni che si governano, per le quali oltre a informazioni
costantemente aggiornate, occorrono modelli interrogativi e interpretativi sempre
più sofisticati e precisi.
Il rischio non è di poco conto perché si può arrivare alla cristallizzazione di procedure la cui obsolescenza è sempre in agguato e la cui utilità, di conseguenza,
decade in breve tempo. Per tali motivi, diamo notevole importanza alla ricerca e
riteniamo che valorizzarla non sia necessario solo a trovare nuove strade, ma anche
a mantenere sempre efficiente e sotto tensione le prassi consolidate che hanno ottenuto risultati rilevanti.
Con questo spirito intendiamo intervenire su uno dei principali problemi che
affligge il mondo della ricerca, a parte la cronica mancanza di risorse finanziarie,
dando modo di accedere ad una sufficiente e valida visibilità, che consenta di convogliare gli stakeholder verso i propri studi e, a cascata, anche finanziamenti e collaborazioni.
Riteniamo infatti che ogni soggetto che amministra la cosa pubblica con l’intenzione di indirizzare e governare lo sviluppo socio-economico-ambientale, debba impegnarsi a dare spazio
alla ricerca e a diffonderne i risultati, con la consapevolezza che in ogni caso si produrrà una
ricaduta positiva nel proprio settore di pertinenza, per il solo fatto di aver catalizzato l’attenzione dei soggetti interessati ed aperto possibili
spazi per nuove partnership.
In questa prospettiva, e adempiendo ai propri
compiti istituzionali di fornire dati al sistema
decisionale e ai cittadini, ARPA Sicilia sceglie,
con questo numero speciale, di pubblicare i
risultati delle ricerche su cui ha investito riguardo ai temi specifici del settore
ambientale, nonché quelli delle ricerche connesse ai temi della salute correlati alle
particolari configurazioni del sistema ambientale del territorio.
Ciò che pubblichiamo dimostra ancora una volta che l’analisi e la presentazione
dei dati non sono operazioni fredde, avulse dal contesto e libere da preconcetti o
da influenze trasversali, e che ognuno può costruire la propria interpretazione incrociando i dati nel modo più articolato possibile così da riuscire a separare le informazioni dall’effetto alone della comunicazione.
In questo numero non si è dato spazio all’intervista mensile, ma proponiamo una
nuova rubrica volta a presentare un diverso angolo visuale rispetto alle tematiche
ambientali, dove sono valorizzati i nessi tra lo sviluppo e la tutela dell’ambiente con
i fondamenti culturali del territorio sperando così di aprire una nuova direzione per
ulteriori approfondimenti.
Progetto di ricerca
I paesaggi a terrazze in Sicilia: Metodologie
per l’analisi, la tutela e la valorizzazione
2
Giuseppe Barbera
Dipartimento
Colture Arboree
Università di Palermo
Il progetto di ricerca, stipulato tramite convenzione tra l’ARPA Sicilia ed
il Dipartimento di Colture Arboree dell’Università di Palermo, dal titolo “I
paesaggi a terrazze in Sicilia: metodologie per l’analisi, la tutela e la valorizzazione”, ha avuto la finalità di conoscere lo stato attuale dei sistemi terrazzati regionali, attraverso lo studio dei tipici elementi agronomico-paesaggistici che da secoli li caratterizzano e delle condizioni ambientali e delle
vicissitudini socio-economiche che li hanno generati. In particolare obbiettivi del progetto sono stati: 1) creare un inventario delle aree terrazzate della
Sicilia; 2) individuare i sistemi di terrazzamento omogenei a scala regionale, in relazione a caratteristiche geografiche, morfologiche, litologiche e
costruttivo-strutturali; 3) studiare, attraverso casi studio, argomenti specifici
Fig. 1 – Carta delle aree dei Sistemi di Terrazzamento Omogenei (STO) della Sicilia
Sistema delle terrazze della catena settentrionale dei Monti Peloritani;
Sistema delle terrazze del vulcano etneo;
Sistema delle terrazze calcaree del tavolato e dei rilievi costieri e perimetrali iblei;
Sistema delle terrazze dei rilievi dei monti Erei e dei rilievi del Calatino;
Sistema delle terrazze collinari e costiere dell’Agrigentino e del Nisseno;
Sistema delle terrazze dei monti di Palermo e dei rilievi costieri della Sicilia Nord-occidentale;
Sistema delle terrazze dei rilievi costieri dei Monti Madonie e Nebrodi;
Sistema delle terrazze delle isole minori.
Nel progetto sono state incluse ed analizzate le strutture costruite che
evolvono direttamente dai semplici allineamenti di pietra in quel continuum
paesaggistico di grande fascino costituito da colture e opere in pietra a secco
3
connessi con il paesaggio terrazzato, in particolare l’evoluzione storica dei processi colturali e di abbandono, le diverse tipologie del sistema insediativo in pietra a secco
(manufatti e infrastrutture) e le loro
trasformazioni, i processi di insediamento della vegetazione, la gestione della vegetazione naturale e la
conservazione della biodiversità
dopo l’abbandono; 4) individuare
strategie comuni per contrastare
l’abbandono di queste aree; 5) tracciare le linee guida per una loro
valorizzazione.
Oggetto del presente progetto
sono state tutte le aree regionali
caratterizzate dalla presenza di terrazzamenti tradizionali in pietra a
secco, con un dettaglio inventarariale di superficie minima cartografata di 0,5 ha; sono state così incluse ed analizzate anche le tante strutture costruite che evolvono direttamente dai semplici allineamenti di
pietra in quel continuum paesaggistico di grande fascino costituito da
colture e opere in pietra a secco,
queste ultime presupposto e parte
integrante dell’attività agricola tradizionale. Si tratta in particolare
degli elementi di raccordo tra terrazze, come scale, rampe e percorsi, oltre ai dispositivi per la captazione e la raccolta dell’acqua e ad
altri elementi in pietra di supporto
alle attività rurali – le infrastrutture –
e di tutti gli edifici, più o meno com-
plessi, per il ricovero o altra funzione, a loro volta
spesso strettamente interdipendenti
– i manufatti.
Dall’inventario cartografico è
emersa una superficie regionale terrazzata complessiva di 69.604 ha (il
2,71 % dell’intera Regione), con
una distribuzione notevolmente eterogenea da provincia a provincia
(fig.1). Le province con la più alta
percentuale di terrazzamenti risultano Ragusa, Catania, Siracusa e
Messina, mentre nelle province di
Trapani e Palermo le terrazze sono
relativamente poche, concentrandosi quasi esclusivamente lungo le
aree costiere e subcostiere. Sulla
base della loro concentrazione in
principali aree territoriali (Sistemi di
Terrazzamento Omogenei - STO) è
stata fatta una attenta ed approfondita caratterizzazione territoriale
sull’uso attuale delle aree terrazzate, sul loro stato di conservazione
(stato delle coltivazioni agrarie /
processi di abbandono) e, sulla base
di esperienze e progetti internazionali, sono state tracciate delle linee
guida per una loro recupero e conservazione in seno ai principali tipi
di paesaggio agro-forestali tradizionali che li contengono.
I riferimenti bibliografici ed eventuali dati supplementari possono essere richiesti agli autori
Fig. 2
Paesaggio terrazzato tradizionale dei seminativi della
Sicilia Sud-Orientale
(Monti Iblei - SR)
Organismi unicellulari “spie”
dell’inquinamento dell’ambiente marino
4
Il progetto di ricerca ha avuto come scopo la valutazione dell’inquinamento da metalli del golfo di Palermo ed il suo possibile monitoraggio tramite l’uso di un gruppo di organismi marini (foraminiferi) correlati alla concentrazione di metalli.
M. Brai
S. Basile
A. Caruso
C. Cosentino
L. Tranchina
Dipartimento di Fisica e
Tecnologie Relative
Università di Palermo
Fig. 1
I Foraminiferi sono un gruppo di organismi unicellulari, comparsi sulla
terra nel Cambriano (Paleozoico), dotati di un guscio carbonatico agglutinante e/o organico. Sono presenti in tutti gli ambienti acquatici, sia in
acque dolci che in ambienti di acque marine. Le forme bentoniche, proprio a causa del loro stile di vita, sono fortemente influenzate dalla batimetria, dalla granulometria del substrato in cui vivono, dalle variazioni dei
parametri ambientali e chimico-fisici, sia dell’acqua al fondo che del substrato; molto importanti per la loro vita sono la presenza o l’assenza di
sostanza organica, la quantità di ossigeno disciolto e la salinità delle
acque, il pH, l’abbondanza di nutrienti, etc. L’interazione di tutti questi fattori, chiamati infatti fattori limitanti, determina il fatto che ogni area è
caratterizzata da una ben precisa associazione di specie che hanno le stesse esigenze ecologiche.
Nonostante la grande quantità di lavori pubblicati, non è ancora abbastanza chiaro in che misura e soprattutto con quali modalità e processi la
presenza di inquinanti possa influenzare la vita di questi organismi.
Corsi d’acqua e principali scarichi
che si immettono nel Golfo di Palermo
L’indagine all’interno del progetto ha
previsto il campionamento di sedimenti marini superficiali in tre siti: il golfo
di Palermo (GP), che è stato scelto
come oggetto dello studio in quanto
posizionato ai margini di un’area fortemente urbanizzata con la presenza di
numerose piccole e medie industrie; la
zona occidentale del golfo di Termini
(GT), che costituisce un’area meno
antropizzata e l’isola di Lampedusa
(LAMP), che rappresenta un sito nel
quale sono quasi inesistenti quelle fonti
di possibile inquinamento antropico
che caratterizzano la maggior parte
delle aree marino costiere.
Potrebbero esserci relazioni tra alte concentrazioni di metalli
pesanti nei sedimenti marini superficiali e la presenza di
alte percentuali di foraminiferi bentonici deformati
5
Lo studio si è proposto di mettere
a punto metodi e strumenti finalizzati alla valorizzazione e salvaguardia delle aree indagate e caratterizzate da diverso impatto antropico.
Le metodiche messe a punto consentono inoltre la datazione di
eventi chimico-fisici (tramite i profili in carote di sedimenti di metalli e
radionuclidi) “memorizzati” nei
sedimenti e nel biota.
Per ottenere una fitta maglia di
campionamento che coprisse l’intera area del golfo di Palermo sono
stati individuati 24 transetti perpendicolari alla linea di costa; lungo la
maggior parte dei transetti sono stati
prelevati tre campioni a differenti
batimetrie (-10, -20, -30 m).
Sui campioni sono state effettuate
misure per la determinazione di 6
elementi metallici (Cr, Cu, Fe, Hg,
Pb e Zn). Inoltre su una parte dei
campioni si è effettuata la valutazione della radioattività naturale. Lo
stesso tipo di analisi è stata fatta per
una carota di sedimento prelevata a
circa 800 m dalla costa, di fronte la
foce del fiume Oreto a -21 m di profondità; quest’ultima è stata datata
sfruttando il decadimento del
210Pb ed ha consentito una ricostruzione temporale delle variazioni
ecologiche verificatesi nel golfo di
Palermo negli ultimi 50-60 anni.
I risultati ottenuti hanno consentito una ricostruzione spazio-temporale della situazione ecologica (per i
parametri valutati) per l’area marino
- costiera studiata.
Si è valutata l’influenza di alcuni
elementi metallici sia sulla distribuzione di alcune specie di foraminiferi nelle associazioni sia nell’insorgenza di deformazioni nei gusci di
individui della specie Cibicides
lobatulus.
Per ottenere dati uniformi e paragonabili tra loro sulle concentrazioni dei metalli nei sedimenti provenienti da siti differenti si è deciso di
indagare la frazione di sedimento
minore di 63 µm; ciò consente
infatti di confrontare risultati ottenuti dalla misurazione di sedimenti
che originariamente possedevano
una differente composizione granulometrica. La frazione di sedimento
da noi indagata, inoltre, è la principale responsabile dell’accumulo dei
metalli nei sedimenti.
Dalle analisi realizzate si osserva
che Cu, Hg, Pb e Zn sono maggiormente presenti, con livelli talvolta
preoccupanti, soprattutto nelle stazioni di campionamento comprese
tra il porto industriale e la foce del
fiume Oreto, ed in particolare nel
campione prelevato dentro la Cala.
In questo sono state ritrovate le concentrazioni maggiori di rame, piom-
bo, zinco e mercurio ed i livelli misurati sono molto superiori ai limiti fissati dalla normativa italiana in merito alle quantità massime ammissibili di
metalli nei sedimenti marini (DL 367/2003).
6
Nei campioni provenienti dalle stazioni di Lampedusa i valori sono inferiori, tali differenze variano tra 0.5 e 2 ordini di grandezza. Le differenze tra
i siti sono state ulteriormente messe in evidenza utilizzando le più comuni
analisi statistiche.
- mercurio il valore medio nei sedimenti di Palermo è di 438 µg kg-1 contro i 130 µg kg-1 di Termini e i 30 µg kg-1 di Lampedusa. Il valore medio di
438 µg kg-1 è al di sopra di quello di 300µg kg-1 fissato dal DL n°367/2003
anche se risulta inferiore al valore di 1000 µg kg-1 indicato dall’US EPA.
- rame si ha un valore medio, nei siti più vicini alla zona portuale, di 203
mg kg-1 contro i 34.0 mg kg-1 misurati nel restante Golfo di Palermo e i
24.8 mg kg-1 del Golfo di Termini e i 4.02 mg kg-1 dei campioni di
Lampedusa (escludendo il campione portuale). Il valore medio di concentrazione determinato per l’area portuale di Palermo deve fare considerare
come molto inquinata da rame questa porzione del Golfo, secondo i valori
suggeriti dall’US EPA (> 50 mg kg-1). La restante porzione del Golfo di
Palermo è da considerarsi da non inquinata a moderatamente inquinata (>
25 mg kg-1) mentre il Golfo di Termini e Lampedusa sono da considerarsi
come zone incontaminate da questo elemento (< 25 mg kg-1).
- piombo la media per il Golfo di Palermo è di 37.0 mg kg-1, per Termini
è di 22.5 mg kg-1 e per Lampedusa è di 10.3 mg kg-1. Il valore medio del
Golfo di Palermo risulta di poco superiore al massimo valore consentito
dalla normativa italiana di 30 mg kg-1 anche se, in questo caso, poiché la
frazione da noi considerata per l’analisi è solo quella < di 63 ?m e la differenza tra il valore medio ed il valore della normativa è molto piccola, non
è possibile definire come fuori norma per il piombo il valore medio di concentrazione riscontrato. Superiori alla norma risultano comunque i valori di
concentrazione di piombo misurati nei campioni della Cala.
- zinco la media dei campioni dell’area portuale di Palermo è di 254 mg
kg-1, nella restante parte del Golfo di Palermo si ha una media di 87.7 mg
kg-1, nelle stazioni di Termini la media è risultata essere di 108 mg kg-1 ed
a Lampedusa di 23.0 mg kg-1. Confrontando i nostri valori medi con quelli definiti dall’US EPA si può affermare che la zona della Cala è molto inquinata da zinco (> 200 mg kg-1) mentre le restanti zone non sono inquinate
da questo elemento.
Foraminiferi bentonici e correlazioni con i livelli dei metalli pesanti
In merito allo studio dei foraminiferi bentonici svolto nell’ambito di questo
progetto, è di grande importanza sottolineare il fatto che uno studio di questo tipo non era mai stato effettuato né all’interno del Golfo di Palermo e
nemmeno, più in generale, lungo le
coste siciliane; inoltre, per alcune
specie è stato riconosciuto il genere
a cui appartengono ma, nonostante
la consultazione di libri e cataloghi
specialistici, non è stata ancora individuata la specie. Questo potrebbe
suggerire che si tratta di specie non
ancora note in letteratura e che
quindi dovranno essere studiate a
fondo e, probabilmente, istituite
come specie nuove.
7
Complessivamente, sono state
riconosciute circa 100 specie; le
forme più frequenti sono quelle
appartenenti ai seguenti generi:
Ammonia spp., Bulimina spp.,
Cassidulina spp., Cibicides spp.,
Elphidium spp., Globobulimina spp.,
Rosalina spp., Quinqueloculina spp.
Tra queste forme, soprattutto alcune
hanno dato delle ottime indicazioni
dal punto di vista ecologico.
Ad esempio, gli andamenti delle
percentuali di abbondanza di
Ammonia spp, mostrano chiaramente come queste forme siano dominanti nei siti più “stressati” (zona
portuale, foce Oreto e zona Aspra
alla foce dell’Eleuterio); è noto in
letteratura, infatti, che le Ammonie
possono tollerare variazioni anche
importanti di salinità e pH.
Una ulteriore valutazione è stata
effettuata confrontando l’abbondanza relativa del gruppo Ammonia
spp. (resistente a condizioni
ambientali “stressate”) con le concentrazioni di alcuni degli elementi
metallici misurati nei campioni di
sedimento, da cui si evince chiaramente che Ammonia spp. ben tollera anche alte concentrazioni di elementi metallici. Più precisamente si
può affermare che quando le concentrazioni di rame diventano tali
da impedire lo sviluppo degli altri
Fig. 2
foraminiferi, il gruppo Ammonia
spp., ben tollerante, prende il
sopravvento sulle altre specie,
andando a formare, per esempio nel
campione prelevato nella zona portuale, dove la concentrazione di Cu
sfiora i 350 mg kg-1 e quella di Zn i
300 mg kg-1, il 40% dell’associazione a foraminiferi. Invece, gli individui
appartenenti
al
genere
Quinqueloculina spp., generalmente
frequenti nei campioni esaminati,
mostrano un andamento completamente opposto a quello di Ammonia
spp., dato che la loro abbondanza
tende a diminuire drasticamente,
fino a scomparire del tutto, via via
che il sedimento considerato si
arricchisce di metalli; questo suggerisce che questi organismi siano sensibili ad un aumento delle concentrazioni dei metalli esaminati.
individui di Ammonia spp
8
Come già accennato precedentemente, dai dati in nostro possesso sembra
che ci siano delle relazioni tra alte concentrazioni di alcuni metalli e metalli pesanti nei sedimenti marini superficiali e la presenza di alte percentuali
di foraminiferi bentonici deformati, soprattutto della specie Cibicides lobatulus. Questa specie potrebbe, quindi, essere utilizzata come bio-indicatore
dell’inquinamento da metalli in ambiente marino-costiero.
Le analisi condotte per la realizzazione del progetto hanno consentito di
ottenere una “fotografia” delle attuali concentrazioni degli elementi metallici all’interno dei sedimenti del Golfo di Palermo, Golfo di Termini e Isola
di Lampedusa. In particolare si sono potuti evidenziare i siti di maggior
accumulo di inquinanti. Questa “fotografia” è da riferirsi alla situazione presente nel Golfo di Palermo prima della messa in funzione del collettore
fognario, provvisto di impianto di depurazione.
Nella figura che segue è mostrato l’andamento temporale del piombo nei
sedimenti del golfo di Palermo posto in correlazione con la vendita di benzine e le relative concentrazioni di piombo nelle stesse (figura3). Il clock
interno è riferito al profilo di Pb radioattivo naturale e al Cs da fallout.
I riferimenti bibliografici ed eventuali dati supplementari possono essere richiesti agli autori
Abbattimento di Inquinanti Organici Resilienti
nei Reflui Liquidi di Natura Civile ed Industriale
9
Il programma di ricerca realizzato nell’ambito della Convenzione tra
ARPA Sicilia e il DCIIM-UNIME è stato finalizzato alla messa a punto di una
nuova classe di catalizzatori solidi, a base di ossidi metallici, per il processo di Ossidazione Catalitica in Fase Liquida con Aria (Catalytic Wet Air
Oxidation, CWAO) di inquinanti tossici e/o refrattari presenti negli effluenti di origine industriale e civile.
Francesco Arena
Dipartimento di Chimica
Industriale e Ingegneria
dei Materiali
Università di Messina
L’attività di ricerca è stata incentrata sullo studio della reazione di CWAO
del fenolo, preso come composto modello giacché rappresentativo di una
classe di inquinanti tra i più tossici e refrattari, diffusamente presente nei
reflui di origine industriale (raffinerie, industrie agro-alimentari, etc.). La sua
elevata tossicità, oltre a rappresentare una minaccia per l’ecosistema, lo
rende incompatibile con i convenzionali metodi di depurazione biologica.
Sebbene alcuni esempi di processi CWAO siano già operativi in
Giappone e USA (Tab. 1), l’uso di catalizzatori a base di metalli nobili unitamente alle elevate temperature di reazione rendono economicamente
poco conveniente la loro applicazione su vasta scala.
I risultati raggiunti nell’ambito del progetto hanno quindi una considerevole valenza scientifica e applicativa. La comprensione degli aspetti chiave
del meccanismo di reazione
ha, infatti, consentito il progetto
di catalizzatori MnCeOx in
Tabella 1
Esempi di tecnologie CWAO basate sull’impiego di catalizzatori eterogenei.
grado di promuovere la reazione di CWAO del fenolo con
elevata attività, selettività e stabilità in condizioni operative
piuttosto blande (T<150°C;
P<15 bar). Grazie alla messa a
punto di una nuova metodica
di sintesi (redox-precipitazione), sono stati ottenuti catalizzatori molto più efficienti degli
omologhi sistemi ottenuti per
co-precipitazione e degli stessi
catalizzatori a base di metalli
nobili (Fig. 1).
I riferimenti bibliografici ed eventuali dati supplementari possono essere richiesti agli autori
Valutazione intergrata dei processi dinamici
dei litorali sabbiosi e progettazione
di interventi di ripristino ambientale
10
Nell’ambito del tema trattato sono stati presi in considerazione tre tipi di
aree con caratteristiche diverse correlando, in maggiore o minore misura,
bacini idrografici, fascia costiera e piattaforma continentale antistante.
Quanto sopra attraverso l’aggregazione di competenze e professionalità
interdisciplinari, in un quadro quanto più possibile variegato dei processi
biologici ed abiologici e degli aspetti geologico – litologici, meteomarini,
morfologici, sedimentologici, biocenotici, ecc.
C. Amore
dipartimento
Scienze Geologiche
Università di Catania
Nell’ambito del versante orientale della Sicilia sono stati presi in considerazione:
la foce del fiume Simeto, sede dell’Oasi omonima, in un’area pesantemente squilibrata da interventi di bonifica idraulica e dalla realizzazione di
quattro invasi nell’ambito del bacino idrografico sotteso;
l’area di Vendicari, pregevole esempio di zona umida confinata tra falesie
e piattaforme rocciose;
il sistema Marzamemi – Capo Passero, soggetto ad un pesante impatto
determinato dalla realizzazione di impianti di acquacoltura e di strutture
alberghiere, con relative infrastrutture.
La Foce del fiume Simeto presenta le seguenti caratteristiche:
Fig. 1
Esempi di tecnologie CWAO basate sull’impiego di catalizzatori eterogenei.
Apparato fociale del F. Simeto nel Settembre 2006. Versante destro.
è ubicata al centro di un litorale di
circa 20 km, intaccato da strutture
antropiche, taglio del sottobosco e
distruzione dei cordoni dunari; precipitazioni e temperature medie annue
sono di 482,4 mm e 18,2 °C rispettivamente: il settore di traversia è compreso tra le direttrici 20° - 140° dei
Capi Mulini e S.Croce, con un fetch
massimo di 1700 km in direzione di
Gaza; i venti provengono principalmente da Est e Nord Est, con altezze
d’onda significative di 5,2 m e tempi
di ritorno di circa 10 anni; correnti e
drift litoraneo efficace sono diretti
verso Nord;
Nell’ambito del versante orientale della Sicilia sono stati presi in considerazione
la foce del fiume Simeto, l’area di Vendicari ed il sistema Marzamemi
11
nel bacino idrografico sotteso,
pari a 4.200 kmq circa, i terreni
sedimentari e vulcanici concorrono
al carico solido fluviale, la cui componente pelitica si disperde in
nuvole torbide verso il largo una
volta arrivata al mare, mentre la
componente grossolana - per circa
1.300.000 mc/anno - resta intrappolata negli invasi di Ancipa, Pozzillo,
Ogliastro e Nicoletti, innescando un
pesante processo erosionale che ha
interessato in particolare modo la
banchinatura a protezione dell’apice deltizio e tutto l’apparato fociale;
l’area sommersa raggiunge la profondità di 160 m a circa 6 km dalla
costa, con fondali più o meno acclivi e con diverse rotture di pendio; la
zona a barre ha un’ampiezza massima di 520 m con due ordini di strutture; tra le isobate -15 e -30 m sono
presenti le testate di due canyons
corrispondenti alle posizioni dell’apparato fociale del 1800 e del
1867;
i sedimenti sono distribuiti secondo: una facies litorale, con sabbie
fine ben classate; una facies di deltafront, fino all’isobata di -25/-30m,
con sabbie molto fini ben classate e
limi grossi; una facies di prodelta,
tra le isobate -25/-80m, con limi
medi e fini mal classati;
la composizione dei sedimenti
riflette la litologia del bacino, con
quarzo e plagioclasi delle sequenze
arenacee, carbonati della Serie
Gessoso – Solfifera e minerali
pesanti delle vulcaniti etnee;
- le comunità vegetali sono
estremamente ridotte e degradate con zone a Salsolo Cakiletum, ed a Sporobolo Agropyretum juncei e con
un’abnorme abbondanza di
Otanthus maritimus; la presenza, inoltre, di estesi rimboschimenti impedisce una significativa ripresa della vegetazione di
macchia, con un’accentuazione
dei processi erosivi resa evidente dalla moria degli alberi piantumati.
Vendicari
Nell’area di Vendicari, dal 1981
Riserva Naturale Orientata, è stata
prevista una serie di interventi mirati alla conservazione ed alla prote-
Fig. 2
Spiaggia di Vendicari .
Settore meridionale.
12
Fig. 3
Marzamemi – Capo Passero.
La pocket beach di Vulpiglia.
zione del sistema dunare mediante cannicciate, viminate, ecc., atte a favorire la formazione di dune incipienti.
Caratteristiche dell’area sono la morfologia a tombolo cuspidato, le dune
naturali e antropizzate, in erosione nel settore settentrionale ed in avanzamento in quello meridionale, in una zona umida destinata a scomparire per
interrimento da apporti marini, eolici e fluviali.
La precipitazione e la temperatura media annue sono di circa 380 mm e
18°C rispettivamente; i venti principali sono Maestrale e Ponente, con velocità superiori a 10 m/sec, con un fetch effettivo massimo di circa 700 km;
all’interno della baia influenti sono anche Grecale, Levante, Scirocco; le
altezze d’onda significative sono di 5,2 m per il I° quadrante e di 6 m per il
II°, con tempi di ritorno di circa 10 anni.
Nel sistema dunare, ricadente all’interno di un’area protetta, l’ampiezza
della spiaggia è raramente superiore ai 60m, i varchi sono di tipo stradale,
l’antropizzazione riguarda l’area di una cava di sabbia dimessa; nella spiaggia sommersa si hanno pendenze del 1-2%, con una profondità massima di
14 m e con barre di 1° ordine rese discontinue dalle mattes di Posidonia
oceanica e secondariamente di Cymodocea nodosa e Zostera noltii.
I pantani – Piccolo, Grande, Roveto, Sichilli e Scirbia - comunicano con il
mare attraverso un’unica apertura costituita dalla foce Sichilli; la loro alimentazione è legata alle precipitazioni dirette, alle portate delle diverse “saie”,
all’ingressione di acque marine ed alle risorgive di acque dolci in concomitanza con eventi piovosi.
Gli apporti solidi dei bacini idrografici sottesi, a composizione marnoso –
sabbioso – calcarenitica di età pliopleistocenica ed olocenica, con sedimenti
pelitici derivanti dal dilavamento dei suoli, determinano un tasso di interrimento di 2,6 cm/anno nei Pantani Roveto, Sichilli e Scirbia e di 1,6 cm/anno nei
Pantani Piccolo e Grande.
I sedimenti sono costituiti: nei
pantani, da peliti con frazioni sabbiose indicative di una fase di colmamento; nel duneto, da sabbie fini
da moderatamente a ben classate;
nella spiaggia emersa, da sabbie
medie e fini da poco a moderatamente ed a ben classate; nella spiaggia sommersa, da sabbie fini moderatamente classate. La frazione sabbiosa è composta da tritume organogeno, clasti carbonatici e granuli di
quarzo.
La vegetazione può essere inquadrata nelle zone a Macchia mediterranea a gariga, con associazioni
vegetali a Crithmo – Limonietea, a
Arthrocnemum glaucum e Juncus
subulatus, a Cakiletum, a Ginepro
coccolone, Imperato – Juncetum
tommasinii, ecc.
Soggette ad una intensa dinamica
sono le spiagge emerse, in cui il processo di stabilizzazione ad opera
della vegetazione erbacea viene
sistematicamente interrotto e scompaginato ed ogni inizio di stagione
balneare per far posto a strutture e
infrastrutture turistiche. Anche le
associazioni vegetali a Salsolo –
Cakiletum maritimae e Sporobolo Agropyretum juncei risultano impoverite dal calpestio diffuso, dalla
movimentazione della sabbia ed
ancora da discariche di rifiuti che
contribuiscono a mantenerne e ad
incrementarne il degrado.
Marzamemi - Capo Passero
Lungo la fascia costiera prevalentemente calcarenitica, è presente
una serie di pocket beaches - S.
Lorenzo, Spinazza, Calafarina,
Vulpiglia, Morghelle - di lunghezza
compresa tra 250 e 800 m e larghezza tra 20 e 100 m, fortemente
antropizzate e degradate da spianamenti, impianti di piscicoltura, prelievi di acque marine e scarico di
acque reflue, con una pesante frequentazione e passaggio di mezzi
meccanici nel periodo estivo.
I sedimenti rientrano nel campo
delle sabbie fini moderatamente
classate, con linee di riva mantenute stabili dalla disposizione a cul de
sac di baie e rade, dalla chiusura
laterale da parte di speroni calcarenitici e dalle mareggiate provenienti da quadranti orientali che determinano il rimaneggiamento dei
sedimenti all’interno delle stesse
insenature non permettendone la
fuoriuscita.
I riferimenti bibliografici ed eventuali dati supplementari possono essere richiesti agli autori
13
Indagini sulla qualità ambientale
con l’uso delle briofite in Sicilia
14
Nonostante siano note da tempo alla comunità scientifica internazionale
la validità e l’alta predittività delle briofite come biosensori, nell’area mediterranea la ricerca briologica applicata al biomonitoraggio ambientale ha
avuto uno sviluppo piuttosto recente.
Maria Giovanna Dia
Patrizia Campisi
Dipartimento
Biologia Cellulare
e dello Sviluppo
Università di Palermo
Fig. 1
Gli studi briofloristici condotti in Sicilia negli ultimi decenni hanno permesso, tramite l’acquisizione di dati sul comportamento di diverse specie,
il riconoscimento sia di taxa sensibili, più o meno strettamente legati agli
ambienti naturali o seminaturali, sia di briofite più tolleranti capaci di penetrare nelle città e in generale in aree ad elevato impatto antropico.
E’ verso queste ultime che è stata focalizzata l’attenzione di una ricerca
finanziata da ARPA Sicilia e condotta da ricercatori delle Università di
Palermo e Catania, con lo scopo di affinare e ottimizzare il biomonitoraggio tramite le briofite soprattutto all’interno delle aree urbane della regione
mediterranea, tramite uno studio specifico e una verifica e sperimentazione
di metodi.
Piante sporificate di Orthotrichum. diaphanum Schrad ex Brid.
muschio epifita altamente diffuso nelle aree urbane..
Le indagini, che sono state condotte in 77
aree campione ricadenti nelle province di
Palermo, Caltanissetta, Siracusa e Ragusa ed
hanno preso in esame singolarmente i diversi
microhabitat briofitici in differenti contesti
urbani ed extraurbani, hanno permesso di:
individuare precise correlazioni tra i caratteri
delle brioflore e delle specie e le condizioni
ambientali; riconoscere più specificatamente
il grado di tolleranza alle alterazioni ambientali dei taxa delle flore urbiche nei differenti
settori urbani e formulare, pertanto, un Indice
di Sensibilità idoneo per quantificare il livello
di impatto antropico nelle aree urbane. Sulla
base della sperimentazione effettuata si può
affermare, inoltre, che la diversità specifica
costituisce un indice significativo del livello di
alterazione all’interno delle aree urbane, mentre non può essere asserito che essa in generale sia misura del grado di antropizzazione del
territorio, dal momento che il suo valore tende
ad essere più elevato nelle aree rurali e ad
La ricerca, finanziata da ARPA Sicilia e condotta dalle Università di Palermo e
Catania in 77 aree campione, ha lo scopo di affinare e ottimizzare il biomonitoraggio
tramite le briofite soprattutto all’interno delle aree urbane della regione mediterranea
15
impatto antropico moderato, rispetto
alle aree naturali. I rapporti epatiche/muschi (E/M) e, con riferimento
alle life form, quello weft/short turf
(W/St) risultano essere indicatori di
habitat relativamente poco disturbati.
Gli indici sperimentati, insieme ad
altri parametri (spettri tassonomici,
dei biotipi, indici di termofitismo,
igrofitismo e fotofitismo) sono stati
poi applicati in aree urbane di differenti tipologie delle città di Palermo
e di Caltanissetta e in centri minori.
I risultati ottenuti sono stati oggetto
di pubblicazioni su riviste scientifiche e potranno essere utilizzati per
il monitoraggio di queste aree. In
particolare in Tabella 1 si riportano
con riferimento ai principali indici i
risultati relativi a cinque aree rappresentative di superficie equivalente: due settori della città di Palermo
(uno più centrale e a carattere prevalentemente commerciale, l’altro
periferico e caratterizzato da densità edilizia più bassa e traffico autoveicolare più moderato), i centri
minori di Belmonte Mezzagno (PA)
e Lentini (SR) e un’area seminaturale con funzione di area controllo.
Infine è stata verificata l’applicabilità in area mediterranea di metodiche di bioindicazione sulla qualità
dell’aria basate sulla biodiversità
briofitica epifitica da affiancare a
quelle che utilizzano i licheni. I
risultati sono stati soddisfacenti e
hanno consentito l’elaborazione e
la pubblicazione di mappe della
qualità dell’aria nell’area urbana di
Palermo e in aree extraurbane situate nel Bacino del fiume Oreto, che
rispecchiano il grado di antropizzazione nel territorio.
Tabella 1
Valori dei principali indici briofloristici in alcune aree indagate
I riferimenti bibliografici ed eventuali dati supplementari possono essere richiesti agli autori
La biodegradazione: metodo all’avanguardia
per bonificare i siti contaminati
16
L’idea del presente progetto è nata da un accurato esame delle priorità di
intervento in campo ambientale sul territorio siciliano, una delle quali è
risultata essere la presenza sul territorio regionale di siti industriali contaminati e/o dismessi. Le dimensioni del problema hanno assunto nel tempo una
gravità tale da influire negativamente sulle previsioni di qualità del suolo e
delle acque sotterranee sottostanti i siti stessi.
Il Progetto ha sviluppato alcuni punti chiave inerenti la problematica della
bonifica dei siti contaminati da Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), quali:
V. Librando
Dipartimento
Scienze Chimiche
Università di Catania
Progettazione, tramite tecniche di modellistica molecolare, di enzimi
modificati proponibili per la degradazione di IPA.
Tests in vitro di biodegradazione enzimatica di IPA tramite utilizzo di un
ceppo batterico (Stenotrophomonas maltophilia) e fungino (Rigidoporus
lignosus)
Tests pre-applicativi in situ dei processi di biodegradazione enzimatica su
campioni di suolo contaminato da IPA.
Il primo punto ha consentito di valutare, tramite simulazione computazionale, le modalità di interazione tra una macromolecola enziamtica
quale la naftalene diossigenasi (NDO) e il suo ligando
(fig.1). Attraverso queste simulazioni di docking, è
stato possibile ricercare tutte le possibili configurazioni energeticamente favorevoli all’interfaccia tra ligando e sito attivo, simulando l’ambiente chimico-fisico nel quale il sistema si
trova ad interagire.
É stata inoltre prodotta una rottura “in
silico” della catena enzimatica NDO
mediante la serie di enzimi proteolitici,
l’analisi dei risultati ha riguardato la
selezione di tutte le strutture più stabili,
mediante la valutazione di parametri
energetici e strutturali in previsione di
configurazioni riscontrabili sperimentalmente.
Il Progetto ha sviluppato alcuni punti chiave inerenti la problematica della bonifica
dei siti contaminati da Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), quali la progettazione
di enzimi, e la realizzazione di test in vitro ed in situ di biodegradazione
17
I test sperimentali di biodegradazione hanno consentito di verificare in vitro la capacità dei sistemi
enzimatici di due microrganismi di
ossidare IPA con e senza l’ausilio di
mediatori e surfattanti che si sono
dimostrati in alcuni casi indispensabili nel mediare tale ossidazione.
I risultati ottenuti in vitro con i due
ceppi sono stati ottimi, portando in
pochi giorni la completa degradazione degli idrocarburi.
Infine è stata anche testata la
capacità dell’enzima laccasi estratto
e purificato dal ceppo fungino di
degradare in vitro gli IPA in soluzione e dispersi nel terreno, ottenendo
per alcuni campioni notevoli rese
degradative.
Nella parte sperimentale sono
stati impiegati estrattori soxhlet ed
HPLC con detector a fluorescenza.
Per la modellistica molecolare è
stato utilizzato un SGI FUEL workstation con software Accelerys.
Successivamente alla conclusione
del contratto di ricerca, tutti gli
esperimenti sono stati riprodotti con
l’ausilio di strumentazioni nel frattempo acquisite e cioè: Estrattore in
fase supercritica per la estrazione
degli IPA dai campioni di suolo
(Estrattore ASE 200-ed SFE 7073) e
HPLC-MS (fig.2) per la caratterizzazione degli estratti.
Il lavoro svolto ha permesso di valutare l’efficacia degradativa del ceppo
fungino Rigidoporus lignosus e di
quello batterico Stenotrophomonas
maltophilia, dimostrando anche la
capacità della laccasi di trasformare
diversi idrocarburi presenti in una
miscela sintetica.
Inoltre le caratteristiche emerse
durante gli esperimenti in vitro con
l’enzima laccasi puro, quali la larga
specificità di substrato insieme alle
intrinseche proprietà cinetiche,
combinate con la relativamente elevata produzione e purificazione che
si riescono ad ottenere il laboratorio, suggeriscono una grande varietà di applicazioni industriali e
ambientali dell’enzima, quali ad
esempio l’immobilizzazione di quest’ultimo in sistemi utilizzabili come
biosensori per monitorare la presenza di molecole inquinanti oppure in
bioreattori che provvedono alla biotrasformazione delle molecole tossiche in intermedi innocui.
I riferimenti bibliografici ed eventuali dati supplementari possono essere richiesti agli autori
Indagini ecotossicologiche e biomonitoraggio
su macrofauna bentonica di ambienti costieri
18
S. Fasulo
G. Lo Paro
A. Mauceri
N. Crescenti
N. Spanò
V. Parrino
M. Maisano
A. Giannetto
F. Gennuso*
Dipartimento di
Biologia animale ed
Ecologia marina,
Università di Messina
*ARPA Sicilia
Tavola 1
Epitelio branchiale di esemplari campionati rispettivamente a Marinello (A) e a
Milazzo (B). Presenza di
numerosi mucociti acidi e
neutri negli esemplari di
Marinello (C) rispetto a quelli
di Milazzo in cui sono evidenti solo mucociti di tipo
acido (D). Sono evidenti
poche cellule 5HT- e calbindina -immunopositivie (F, H)
nell’epitelio branchiale degli
esemplari di Milazzo rispetto
agli esemplari di controllo (E,
G). Bar, 20 ?m.
Il progetto è stato orientato al monitoraggio di aree costiere siciliane caratterizzate da diversi gradi di contaminazione ambientale. Per effettuare tale
indagine sono stati utilizzati organismi acquatici bioindicatori ed analizzate le risposte biologiche (biomarkers) che tali organismi hanno fornito. La
scelta dei siti da monitorare è stata legata ai potenziali fattori di impatto
negativo sulle popolazioni e sulla rete trofica. Sono stati monitorati due siti
nell’area del Golfo di Milazzo (ME), influenzati da attività industriale di trasformazione, individuando il teleosteo Coris julis come specie bioindicatrice che presenta un medio Home Range. A seguito di un presurvey ecologico si è, poi, scelta come area di controllo quella prospiciente la Riserva di
Marinello che presenta caratteristiche geomorfologiche ed una macrofauna
bentonica paragonabili a quelle del Golfo di Milazzo ma con un livello
minimo di antropizzazione. Su esemplari provenienti da Marinello e dai
due siti di Milazzo, sono state effettuate indagini istomorfologiche, istochimiche, immunoistochimiche e molecolari sull’epitelio branchiale ed altre
indagini ecotossicologiche su campioni di sangue ed encefalo.
Le analisi istomorfologiche ed istochimiche hanno mostrato, negli esemplari campionati a Milazzo, rilevanti alterazioni tissutali ed iperproduzione
di muco acido ricco di sostanze antibiotiche rispetto agli individui di controllo. Le indagini
immunoistochimiche, mediante uso di
anticorpi specifici,
hanno testato la presenza di biomarkers
da
stress
come
Calbindina, proteina
legante il calcio e
Serotonina (5HT),
amina biogena con
attività vasocostrittrice (inserire TAV. 1),
di recupero quali
Metallotioneine
(MT), proteine leganti metalli, Heat Shock
Proteins 70 (HSP70),
prodotte in risposta a
vari stimoli, forma
Le analisi istomorfologiche ed istochimiche hanno mostrato, negli esemplari
campionati a Milazzo, rilevanti alterazioni tissutali ed iperproduzione di muco
acido ricco di sostanze antibiotiche rispetto agli individui di controllo
19
inducibile dell’Ossido Nitrico
Sintetasi (iNOS), coinvolta nei meccanismi di riparazione cellulare,
(inserire TAV. 2) e Antigene
Nucleare di Proliferazione Cellulare
(PCNA), che regola l’attività proliferativa, proteina FAS e Caspasi (inserire Tav. 3) che, rispettivamente,
innescano e attivano l’apoptosi. La
Calbindina, e la 5HT, risultano
notevolmente inibite negli organismi di Milazzo rispetto ai campioni
di controllo indicando una compromissione delle principali funzioni
branchiali. Le MTs, le HSP70, e la
iNOS risultano espresse negli epiteli respiratori degli organismi di
Milazzo mentre non vi è alcuna
positività negli organismi di
Marinello. L’espressione
delle MTs è stata confermata mediante amplificazione in PCR. Negli
organismi prelevati dai
siti inquinati si riscontra
un’aumentata capacità
di turn-over cellulare
risultando elevato il
numero di cellule immunopositive agli anticorpi
anti-PCNA, anti-FAS ed
anti-caspasi. Biomarkers
genotossici sono stati
saggiati
mediante
“Comet assay” per valutare il danno indotto al
DNA delle singole cellule; tale test ha evidenziato la presenza di numerose cellule a cometa
nel sangue degli esemplari prelevati
a Milazzo rispetto ai controlli.
L’analisi del sistema delle
Monossigenasi a funzione mista
(MFO), l’ethoxyresorufina (EROD),
Benzopirene Monossigenasi (BPMO)
e dei metaboliti degli Idrocarburi
Policiclici Aromatici (IPA), hanno
confermato le indagini di tipo istologico ed immunoistochimico, evidenziando in tutti gli individui provenienti da Milazzo, una induzione del
sistema detossificante delle MFO,
legata ad una aumentata attività enzimatica (EROD e BPMO), in risposta
ad una contaminazione da IPA.
Tavola 2
Cellule MT- immunopositive
nell’epitelio branchiale degli
esemplari di Milazzo (B, frecce) assenti nell’epitelio degli
organismi prelevati dall’ambiente non contaminato (A).
Differenza
evidenziabile
anche su gel d’agarosio dei
rispettivi prodotti PCR. Non si
notano cellule positive agli
anticorpi anti HSP70 ed iNOS
negli individui di Marinello (C,
E) mentre sono presenti cellule
HSP70-immunopositive lungo
le lamelle (D, frecce) e numerose cellule iNOS- immunopositive lungo il filamento branchiale (F, frecce) degli esemplari campionati a Milazzo.
Bar, 20 ?m.
20
In conclusione si può affermare
che questo studio interdisciplinare,
complesso ed articolato, ha permesso di valutare lo stato di qualità dell’ecosistema ed il rischio tossicologico della concentrazione di composti
xenobiotici, attraverso un approccio
basato sulle reazioni strutturali e
funzionali che gli organismi interessati attivano in presenza di uno
stress ambientale. Auspichiamo che
tale ricerca condotta con parametri
innovativi, anche di tipo molecolare, atti a evidenziare danni precoci
su organismi acquatici possa essere
utilizzata, almeno per i test di più
facile riproducibilità, nel monitoraggio della qualità delle acque marine
costiere anche mediante l’impiego
di altri organismi sentinella (Bivalvi).
Tavola 3
Poche cellule PCNA-immunopositive presenti nell’epitelio dei campioni provenienti
da Marinello (A) e numerose
cellule immunopositive in
quelli di Milazzo (B, frecce).
Situazione analoga si nota per
le cellule Fas-immunopositive
(C, D) e Caspasi –immunopositive (E, F).
Bar, 20 ?m.
I riferimenti bibliografici ed eventuali dati supplementari possono essere richiesti agli autori
Elettrosmog:
nuove tecniche per monitorare Messina
21
S. Magazù
Dipartimento di Fisica
Università di Messina
L’inquinamento da campi elettromagnetici costituisce uno dei fattori che maggiormente contribuisce al degrado urbano ed al deterioramento della qualità della vita
e, recentemente, ha indirizzato le istituzioni ad analizzare il problema su base sia
scientifica che normativa.
Il tema rappresenta una questione prioritaria per due principali motivi: a) l’esposizione è in aumento esponenziale; b) Il numero di studi epidemiologici a lungo termine è limitato.
E tuttavia si riscontra che, a fronte di un aumento dell’esposizione, i dati statistici
e scientifici non sono sufficientemente consolidati per poter operare delle scelte normative.
E’ in questo quadro di riferimento che si pone l’esigenza di monitorare i livelli di
campo elettromagnetico e di assicurare alla popolazione adeguati livelli di conoscenza per la gestione del rischio.
Tecnologie avanzate per l’acquisizione dei dati abbinate all’uso di Sistemi
Informativi Territoriali (Geographic Informative Systems, GIS), si rivelano un potente strumento per l’elaborazione, l’analisi e la trasposizione multimediale di parametri relativi a campi elettromagnetici. L’utilizzo di rilevatori di ultima generazione,
insieme alla possibilità di assemblaggio degli strumenti con sonde mobili consente
di individuare i siti più idonei per il rilevamento puntuale delle sorgenti (quali linee
di alimentazione elettrica, antenne dei servizi radiotelevisivi, impianti di telefonia
cellulare, linea elettrica del tram, ecc.), all’interno di aree più vaste predefinite allo
scopo di ottenere un mappatura sufficientemente omogenea del territorio provinciale. Questa metodologia, inoltre, rende possibile un confronto con i risultati ottenuti
attraverso reti di stazioni fisse eventualmente già presenti sul territorio.
Le campagne di rilevamenti dell’intensità dei campi elettrico e magnetico sono
oggi realizzate seguendo diversificate procedure di monitoraggio e di analisi articolate nei seguenti punti:
- Determinazione dei siti di rilevamento mediante analisi planimetrica della città,
altimetrica degli edifici e delle sorgenti emittenti; procedure GIS di overlay a maglia
su mappa topografica e misure esplorative “in situ”; successivo assembiamento dei
tematismi topografico-informativi e delle glosse completive ad essa connessi.
- Campionamento dei valori di campo su banda larga e banda stretta, a tempo di
integrazione costante e a numero di conteggi costante, nei siti in precedenza individuati.
- Analisi, trasposizione multimediale dei parametri georeferenziati e impiego di
modelli previsionali per la creazione di mappe applicando metodi geostatistici di
kriging per l’interpolazione.
I riferimenti bibliografici ed eventuali dati supplementari possono essere richiesti agli autori
Impatto della qualità dell’aria sulla qualità
della vita: monitoraggio chimico e biologico
di un’area urbana ad elevato traffico veicolare
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Lo scopo del nostro studio è stato quello di valutare l’impatto della qualità dell’aria sulla qualità della vita mediante il monitoraggio chimico e
biologico di un’area urbana ad elevato traffico veicolare del comune di
Messina.
La zona presa in considerazione è l’asse viario del torrente Boccetta, in
quanto è facilmente prevedibile che ci sia una notevole concentrazione di
inquinanti, a causa dell’elevatissimo traffico veicolare e della peculiare
caratteristica a Street Canyon del viale.
Saija
Dipartimento
Farmaco-Biologico
Università di Messina
Sono stati individuati quattro siti di campionamento lungo tutto il viale
Boccetta (Sito 1: svincolo autostrada; Sito 2: fontana Arena; Sito 3: chiesa
Immacolata; Sito 4: incrocio viale Boccetta-via Garibaldi). I campionamenti sono stati eseguiti con cadenza bimestrale dal maggio 2005 al maggio 2006.
Monitoraggio chimico: Facendo riferimento alle linee guida della
Comunità Europea (“Guidance Report on Preliminary Assessment under EC
Air Quality Directives” 1998) e alle metodiche NIOSHI e OSHA è stata
applicata la tecnica del campionamento mediante aspirazione forzata dell’aria, utilizzando una pompa “Personal” a flusso variabile e gli opportuni
sistemi di filtraggio/adsorbimento. Sono stati così determinati: gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) analizzati in HPLC; il Pb, analizzato mediante
spettrofotometria di assorbimento atomico; il benzene, analizzato in
GC/MS. Inoltre è stato effettuato il campionamento del PM10 mediante
l’uso di un frazionatore di particelle (PEM: Personal Environmental Monitor,
SKC®) e di filtri in teflon.
Monitoraggio biologico: E’ stata studiata la tossicità del PM10 su leucociti umani incubati in vitro a concentrazioni corrispondenti a 0,5 - 0,25 – 0,1
– 0,05 m3 di aria campionata.
I leucociti, separati da sangue intero prelevato da volontari sani, sono stati
incubati con differenti diluizioni di PM10. La vitalità cellulare è stata deter-
minata mediante colorazione con Trypan Blue; la presenza di DNA frammentato (indice di attivazione dell’apoptosi) è stata osservata mediante elettroforesi orizzontale.
Risultati: nel mese di gennaio 2006, i livelli di benzene registrati superavano, anche se di poco, il limite di esposizione annuo previsto dalle Linee
Guida dell’OMS (10 µg/m3) per la qualità dell’aria. Invece, nel maggio
I risultati ottenuti esponendo linfociti umani isolati a concentrazioni del PM10
crescenti ne evidenziano la capacità di indurre un significativo,
dose-dipendente, effetto citotossico, ed in particolare, genotossico.
23
2006, i livelli di benzene risultano
molto al di sotto dei limiti previsti e
i valori di Pb erano addirittura pari a
0. Ciò è in relazione al fatto che dal
mese di marzo 2006 il traffico di
veicoli commerciali non transita più
sul viale Boccetta.
grado di indurre apoptosi perchè
estremamente citotossico, mentre
quello prelevato nelle altre due
postazioni, meno fortemente citotossico, era in grado di indurre l’attivazione del processo apoptotico.
Anche nel caso del PM10, diverse
misurazioni hanno fatto registrare
un livello di inquinante che supera i
limiti giornalieri riportati nelle Linee
Guida dell’OMS per la qualità dell’aria (50 µg/m3). Il PM10 rappresenta sicuramente uno degli inquinanti più pericolosi per la salute
umana vista la sua complessa composizione; infatti sul particolato
possono adsorbirsi parecchi inquinanti.
Fig. 1
Fig. 1
Livelli di PM10 nei diversi
siti di campionamento. I
risultati sono espressi come
media±D.S. di tre analisi.
1 = Svincolo Autostradale;
2 = Fontana Arena;
3 = Chiesa Immacolata;
4 = Incrocio viale Boccetta
- via Garibaldi
Fig. 2
Vitalità cellulare (media±D.S.)
di linfociti umani esposti in
vitro a concentrazioni crescenti di estratto di PM10.
Fig. 2
Ogni risultato rappresenta la
media di tre esperimenti
1 = Svincolo Autostradale;
2 = Fontana Arena;
3 = Chiesa Immacolata;
4 = Incrocio viale Boccetta
- via Garibaldi
Fig. 3
DNA frammentato in leucociti umani esposti a differenti concentrazioni di PM10
Fig. 3
A conferma di ciò, i risultati ottenuti esponendo linfociti umani isolati a concentrazioni crescenti del
PM10 da noi isolato ne evidenziano
la capacità di indurre un significativo, dose-dipendente, effetto citotossico, ed in particolare, genotossico.
In particolare, il particolato proveniente da 2 postazioni non era in
I riferimenti bibliografici ed eventuali dati supplementari possono essere richiesti agli autori
(0,05 e 0,1 m3, espresse
come m3/1.000.000 cellu-
le). Come controllo positivo
è stata utilizzata la camptotecina (CAM; 2 e 4 µg/ml).
P = Svincolo Autostradale;
Q = Fontana Arena;
R = Chiesa Immacolata;
S = incrocio viale Boccetta
- via Garibaldi
L’uso di piante mediterranee per salvare
i suoli marginali o a rischio desertificazione
24
Paola Quatrini
Massimiliano Cardinale
Angela Lanza
Anna Maria Puglia
Fig. 1
Noduli radicali sulle radici
della Ginestra di Spagna.
Le leguminose arbustive mediterranee costituiscono un grande potenziale
per il recupero dei suoli marginali semi-aridi degli ecosistemi Mediterranei
poiché stabiliscono simbiosi radicali mutualistiche tripartite con funghi
micorrizici-arbuscolari (funghi AM) e con batteri azotofissatori (rizobi). I
rizobi sono batteri del suolo in grado di indurre nelle radici delle leguminose la formazione di noduli radicali nei quali avviene la fissazione dell’azoto atmosferico (Fig.1). Questa proprietà conferisce alle Fabaceae nodulate
proprietà pioniere e la capacità di arricchire il suolo con composti azotati.
La simbiosi leguminosa-rizobio mostra in genere un elevato grado di specificità basato sullo scambio di segnali chimici tra i due partner. I funghi
micorrizici sono simbionti radicali che contribuiscono all’autosufficienza
delle piante rispetto ai fabbisogni nutrizionali ed idrici. In suoli poveri di
nutrienti entrambe le simbiosi benefiche agiscono sinergicamente. Tra i
suoli a rischio desertificazione, quelli fortemente antropizzati delle discariche in fase di post-chiusura mancano di una normale attività microbica e
quindi anche di propaguli micorrizici e di popolazioni di rizobi naturali
capaci di instaurare spontaneamente le simbiosi benefiche. La reintroduzione di piante inoculate con simbionti microbici selezionati può migliorare il
tasso di recupero di tali ecosistemi degradati. Al fine di contribuire alla conoscenza dei rizobi simbionti delle leguminose
legnose mediterranee abbiamo costituito la prima collezione di
rizobi del Mediterraneo con finalità ambientali.
La collezione RHIMEL (Rhizobia from Mediterranean Legumes)
raccoglie più di 100 isolati da sette specie di leguminose legnose
mediterranee (Tab.1). Gli isolati, identificati mediante tecniche
molecolari, hanno rivelato un elevatissimo livello di biodiversità.
La maggior parte dei simbionti delle Genisteae è filogenenticamente correlata con diverse specie di Bradyrhizobium.
L’anagiride (Anagyris foetida, Thermopsideae) presenta una straordinaria promiscuità poiché stabilisce simbiosi con ceppi appartenenti a ben quattro generi diversi di rizobi. L’elevata diversità
suggerisce la possibilità di selezionare le più efficienti combinazioni leguminose-rizobi e la collezione RHIMEL costituisce una
fonte di biodiversità da cui attingere per i successivi progetti di
rinaturalizzazione della nostra regione.
Alcuni nuovi ceppi di rizobi della collezione sono stati inoculati sulla Ginestra di Spagna (Spartium junceum) e sull’anagiride
che sono state trapiantate in impianti pilota di rinaturalizzazione
Tra i suoli a rischio desertificazione, quelli fortemente antropizzati
mancano di una normale attività microbica e di rizobi naturali.
La reintroduzione di piante inoculate con simbionti microbici selezionati
può migliorare il tasso di recupero di tali ecosistemi degradati.
25
nelle vasche chiuse nella discarica
municipale di Bellolampo (Palermo)
(Fig.2). I risultati del monitoraggio
nel lungo periodo hanno mostrato
che gli inoculi con i rizobi specifici
e funghi micorrizici hanno contribuito in modo statisticamente significativo a migliorare sia la crescita
che la sopravvivenza di S. junceum
(Fig.3) e, in minor misura, anche di
A. foetida. In un altro impianto, realizzato interamente nell’ambito del
progetto ARPA, sono stati valutati
gli effetti di diversi isolati di rizobi,
in presenza ed in assenza della simbiosi micorrizica, sulla crescita di S.
junceum. La capacità di competizione dei singoli ceppi di rizobi nel
nodulare la pianta ospite varia da
ceppo a ceppo, anche in funzione
della presenza del simbionte micorrizico. I risultati confermano che la
selezione è indispensabile per ottenere le migliori combinazioni pianta-rizobio-fungoAM da utilizzare in
contesti ambientali diversi.
In agricoltura l’uso di inoculi
microbici è stato rivalutato come pratica sostenibile utile al mantenimento
della produttività e della fertilità dei
suoli. Questo progetto ha dimostrato
che lo stesso approccio biotecnologico è applicabile con successo nel
recupero ambientale di suoli di discariche in fase di post-chiusura e getta
le basi per nuove applicazioni nel
recupero di suoli marginali e a rischio
di desertificazione.
I riferimenti bibliografici ed eventuali dati supplementari possono essere richiesti agli autori
Tab. 1
Fig. 2
Impianti pilota con leguminose legnose inoculate nella discarica di Bellolampo a Palermo. a)
Particolare del substrato della vasca chiusa
della discarica, come si presentava al momento
del secondo impianto; b) ginestre di tre anni; c)
il boschetto di ginestre ed acacie del primo
impianto pilota (in primo piano) a sette anni
dall’impianto. Le piante sono state trapiantate
senza aggiunta di terriccio fertile in buca e non
sono mai state fertilizzate.
Fig. 3
La Collezione RHIMEL
(Rhizobia
from
Mediterranean Legumes)
contiene un centinaio di
nuovi ceppi di rizobi isolati
da sette specie di leguminose legnose mediterranee in
Sicilia. aI siti di provenienza
dei campioni di piante e
suolo sono identificati con
la sigla della provincia. bGli
isolati sono stati assegnati a
diverse unità tassonomiche
operative (OTU) e successivamente identificati utilizzando metodi molecolari
basati sull’analisi dell’operone ribosomale.
Fig. 3
Crescita e sopravvivenza
della Ginestra di Spagna dopo
cinque anni dall’impianto in
una vasca chiusa della discarica di Bellolampo. Le piante
erano state inoculate alla
semina con uno dei rizobi
della collezione RHIMEL
(Bradyrhizobium Sj9) e con il
fungo micorrizico arbuscolare
Glomus constrictum; altre
piante sono state lasciate non
inoculate e mantenute nelle
stesse condizioni..
La qualità dell’aria ai piedi dell’Etna
26
Salvatore Lo Nigro
Dipartimento di Fisica
e Astronomia
Università di Catania
E’ stato condotto uno studio della qualità dell’aria in ambiente outdoor e
indoor in una vasta area del versante orientale dell’Etna (zona delle Timpe)
in un territorio caratterizzato da forte dinamismo vulcanico e sismico.
Obiettivo dell’indagine era quello di correlare la emissione di gas Radon
alla presenza di zone caratterizzate da faglie attive in un periodo in cui si
sono verificati numerosi fenomeni sismogenetici e vulcanici spesso accompagnati da processi di emissioni ceneritiche di notevole importanza. Questi
fenomeni hanno suggerito l’opportunità di studiare il particolato atmosferico, concentrando l’attenzione proprio in una zona che risente abitualmente degli effetti di queste emissioni di cenere vulcanica.
Sono state effettuate misure di diverse grandezze con metodologie diversificate data la complessità e varietà dei parametri oggetto dell’indagine.
Le misure di Radon indoor sono state eseguite con tecniche attive e passive. Nel primo caso (tecniche attive) ci si è avvalsi di strumenti commerciali come l’Alphaguard, che fornisce il valore istantaneo della concentrazione di Radon, assieme ai valori dei parametri meteoclimatici del sito (temperatura, pressione, umidità).
Le misure con tecniche passive sono state condotte con canestri di carbone attivo, esposti per 48 ore con metodologia “ciclica” (esposizione
per 2 gg con misure ripetute ogni 2 gg fino a 15 gg). Inoltre, in alcuni siti
sono state effettuate misure con dosimetri CR39, con esposizione di durata 3 mesi.
Le misure di radon indoor sono state condotte in ambienti antropici di territori del vulcano Etna in cui prevalgono differenti fenomenologie: i terremoti (faglie sismogenetiche) ed il creep asismico. Le aree scelte sono state:
1) Acicatena, ubicata nel basso versante sud-orientale del vulcano, dove
prevalenti sono le fratturazioni al suolo da creep asismico e faglie al
momento non attive; 2) Santa Venerina, che insiste in un’area interessata da
faglie sismogenetiche responsabili di numerosissimi terremoti del versante
orientale dell’Etna alle quote medie; 3) Aree della Timpa di Acireale; 4)
Ambienti adibiti ad attività scolastiche (anche di Scuole Superiori) dislocati
in vari comuni della Provincia di Catania.
A titolo di esempio si riportano i risultati delle misure eseguite ad
Acicatena in 32 locali seminterrati, 72 locali posti a piano terra e 46 locali
a livelli di elevazione superiore, confrontati con i dati di precedenti misure
effettuate a Catania. Si nota una chiara dipendenza del potenziale di esala-
I valori rilevati risultano entro i limiti di legge.
Tuttavia, la concentrazione di Piombo misurata a livello del piano stradale
risulta di un fattore 100 più alta del valore registrato a 12 metri di quota
27
zione del Radon dall’assetto strutturale del territorio, tipico della zona
in cui insiste l’abitato di Acicatena.
Il particolato atmosferico è stato
studiato mediante due stazioni di
campionamento ed analizzando il
deposito dopo filtraggio di 80 m3 di
aria al giorno attraverso filtri di cellulosa con porosità 0,8 ?m. Le due
stazioni di prelevamento erano
posizionate a diversa quota (una a
due metri dal piano stradale e l’altra
a 12 metri) nello stesso sito scelto
nella città di Acireale, con orientamento favorevole a raccogliere
eventuali emissioni ceneritiche
dall’Etna.
Le misure sono state effettuate nei
periodi maggio-agosto 2005 e
novembre 2005 – giugno 2006,
durante i quali, peraltro, non sono
stati osservati fenomeni di emissione di cenere vulcanica.
Sul particolato depositato sui filtri
sono state effettuate le seguenti
misure: a) quantità totale di deposito in ?g/m3; b) radioattività beta
totale; c) composizione elementale
con la tecnica dell’assorbimento
atomico (AAS) per determinare la
concentrazione di elementi pesanti
come Pb, Ni, Cd, Cr. I valori di
Particolato Totale Sospeso (PTS)
ottenuti con la determinazione gravimetrica sono mediamente dell’ordine di 143 ìg/m3 per la postazione
2, a 12 m dal piano stadale, mentre
sono di 309 ìg/m3 per la postazione
1, a 2 metri dal piano stradale e,
pertanto, superiori, al limite di 150
ìg/m3 fissato dalla Legge. Il valore
medio di attività beta rilevata risulta
invece di (0,62 ± 0,06) mBq/m3 per
la postazione 1 e di (0,52 ± 0,05)
mBq/m3 per la postazione 2, in
entrambi i casi più basso rispetto al
limite derivato di concentrazione di
attività pari a 0,74 mBq/m3, previsto in base alla normativa italiana.
I risultati ottenuti per le concentrazioni di elementi pesanti sono raccolti nelle tabelle allegate. I valori
rilevati risultano entro i limiti di
legge. Tuttavia, si osserva come la
concentrazione di Piombo misurata
a livello del piano stradale risulti di
un fattore 100 più alta del valore
registrato a 12 metri di quota (vedasi Fig. 2).
Fig. 1
Istogramma relativo al confronto tra la campagna di
misure di Radon indoor
effettuata a Catania e quella
effettuata ad Acicatena.
28
Figura 2
Confronto delle concentrazioni di Piombo rilevate
nelle due postazioni di prelievo relativamente al primo
periodo di campionamento.
Tabelle 1 e 2
Tabelle riassuntive in cui, per
ciascun elemento pesante,
sono riportati il valore massimo, il valore minimo, la
media e la deviazione standard delle concentrazioni
rilevate, distinti per i due
diversi periodi di campionamento.
Tabella 1
Tabella 2
Una grande porzione del territorio delle Timpe è stata monitorata anche
con tecnica non convenzionale, basata sull’uso delle “briofite”. Nel nostro
caso le briofite sono state utilizzate come “bioindicatori di sensibilità”.
L’area indagata è stata tutta la parte pedemontana del versante orientale
del vulcano Etna, compresa tra Acireale e Piedimonte Etneo, in cui sono
state individuate 10 stazioni di monitoraggio.
L’analisi dei vari indici esaminati nello studio delle briofite ha permesso
di individuare n°6 stazioni in cui è presente un maggiore inquinamento
rispetto alla restante parte del territorio, dove risulta una buona qualità
dell’aria.
I riferimenti bibliografici ed eventuali dati supplementari possono essere richiesti agli autori
Studio sulle capacità sequestranti di sedimenti
verso ioni metallici, composti organo-metallici
e sostanze tossiche organiche
29
Silvio Sammartano
Dipartimento di
Chimica Inorganica
Chimica analitica
Chimica Fisica
Università di Messina
Fig. 1
Campionamento
L’attività di ricerca nell’ambito del progetto finanziato da ARPA Sicilia è
stata articolata nelle seguenti fasi: a) campionamento ed analisi di sedimenti in siti di diverse località siciliane, caratterizzati da potenziale attività
antropica ed analisi chemiometrica dei risultati ottenuti, per valutare il livello di contaminazione e spiegarne la capacità di assorbimento e/o rilascio,
poiché negli ecosistemi acquatici la disponibilità dei contaminanti è regolata dai sedimenti; b) studi di speciazione chimica (interazioni di ioni metallici ed organometallici con leganti i cui gruppi funzionali sono largamente
rappresentativi della sostanza organica naturale (OM) presente nell’acqua di
mare e nei sedimenti), allo scopo di definire la disponibilità delle sostanze
tossiche ed essenziali nell’ambiente marino, mediante l’utilizzo e la messa
a punto di modelli chimici.
Per quanto riguarda il punto a) sono state scelte due località siciliane
diverse tra di loro: lo stagnone di Marsala e il Golfo di Milazzo. L’attività di
ricerca effettuata sui sedimenti dello Stagnone di Marsala ha riguardato la
determinazione degli IPA e l’ottimizzazione delle condizioni di estrazione
e analisi1. Il monitoraggio nel Golfo e nel Porto di Milazzo ha previsto il
campionamento di sedimenti in 19 stazioni per quattro campagne stagionali (Figura 1). Le stazioni sono state scelte per valutare l’impatto, che il polo
industriale e le attività portuali, hanno sulla qualità dei sedimenti marini,
mediante la determinazione di IPA2, PCB e metalli3. Le concentrazioni
totali di IPA nei campioni considerati sono comprese tra 11 e
7402 µg/Kg di peso secco di
sedimento. Le concentrazioni
maggiori sono state riscontrate
in alcune stazioni dentro il
Porto e in altre vicine alla zona
industriale. Su tutti i campioni
analizzati la concentrazione di
PCB è risultata minore del limite di rivelabilità. I congeneri utilizzati sono considerati traccianti per l’intera classe: la
mancata rivelazione di questi
assicura, in buona approssimazione, l’assenza degli altri.
Su tutti i campioni analizzati nelle località scelte
la concentrazione di PCB è risultata minore del limite di rilevabilità
30
Tabella 1
Valori di Raca) per i metalli considerati
I metalli sono stati determinati per ICP-MS e sono stati estratti dai sedimenti ottimizzando la procedura di estrazione sequenziale di Tessier, che
consente di studiarne la speciazione. Per alcuni metalli è stato determinato
il fattore RAC (Risk Assesment Code). Nella Tab. 1 si può notare per Cd ed
Pb un elevato rischio tossicologico, mentre si ha un rischio medio-alto per
Cu, Ni, Zn, As. Il rischio è statisticamente costante nelle 4 campagne.
Lo studio dell’interazione di composti di organostagno4 con leganti
mono-esa carbossilici (che sono i siti di coordinazione più comuni delle
sostanze organiche naturali, NOM) e di 3 metalli di grande interesse
ambientale, quali Hg, Cd e V, ha portato ad interessanti considerazioni nel
campo della speciazione chimica in soluzione.
I riferimenti bibliografici ed eventuali dati supplementari possono essere richiesti agli autori
Inquinamento ambientale e qualità della vita
“Biomonitoraggio su uomo e vegetali”
31
R. Acquaviva
L. Iauk
F. Savoca
C. Di Giacomo
V. Sorrenti
F. Mazza
Vanella L.
Vanella A.
Dipartimento di
Chimica Biologica
Chimica Medica
e Biologia Molecolare
Università di Catania
Fig. 1
Espressione di HSP 70,
HO-1 e CuZnSOD
in foglie di Pinus Pinaster L.
I riferimenti bibliografici ed
eventuali dati supplementari possono essere richiesti
agli autori
Nella presente ricerca sono state eseguite indagini ecotossicologiche sia nell’uomo che nelle piante in diverse areee
(Priolo-Melilli-Augusta) ad elevato rischio
ambientale per la presenza di insediamenti industriali.
Nel plasma umano di volontari sani è
stato monitorato il rapporto tra “status”
antiossidante e markers di stress ossidativo (lipidi idroperossidi, gruppi tiolici,
nitriti e nitrati); su estratti vegetali di Pinus
Fig. 1
pinaster L. è stata valutata, mediante
“Western blotting”, l’espressione di alcune proteine da stress quali le Heat shock protein (Hsp 70), Heme Oxygenase (HO1) e Superossido Dismutasi (CuZnSOD) indotte da diversi fattori (metalli pesanti);
come controllo è stata utilizzata la stessa pianta proveniente da zone urbane prive
di insediamenti industriali. Inoltre è stata valutata la vitalità del polline.
I risultati ottenuti dimostrano una “over-expression” di Hsp70, HO-1 e di
CuZnSOD (Fig. 1) in accordo con l’accumulo di metalli pesanti (Cd, Hg, Pb, Cr)
riscontrato nei campioni in esame; inoltre è stata evidenziata una diminuzione della
vitalità del polline nella stessa area studiata.
I soggetti provenienti dall’area Priolo-Melilli-Augusta presentavano una diminuzione dei gruppi tiolici non proteici plasmatici ed un aumento dei markers di stress ossidativo (lipidi idroperossidi e di nitriti e nitrati) rispetto ai soggetti provenienti da zone
urbane prive di insediamenti industriali (Fig. 2).
Tali dati dimostrano una relazione tra “status” antiossidante ed inquinamento
industriale che nelle piante viene messo in evidenza con una over-expression delle
proteine da stress; questi risultati possono essere messi in relazione all’elevata incidenza di forme neoplastiche e di malformazioni neonatali che si registrano nella
zona Priolo-Melilli-Augusta.
Livelli plasmatici di LOOH e GSH; ciascun valore rappresenta la media + D.S. di 20 soggetti
Il valore economico
del paesaggio agrario siciliano
32
Giovanni Signorello
Professore ordinario di
Estimo territoriale ed
ambientale
Laboratorio di
Valutazione Ambientale
(ENVALAB)
Dipartimento di Scienze
Economico-Agrarie ed
Estimative
Università di Catania
Nei nuovi paradigmi che si vanno affermando per affrontare e risolvere
la complessa questione della tutela e gestione del paesaggio, la dimensione economico-estimativa assume sempre più rilievo. Non soltanto livello
di riflessione teorico-disciplinare, laddove il paesaggio è sempre più considerato un costrutto sociale, e perciò espressione di percezioni e giudizi
di valore individuali diffusi, comuni, di vario genere, trai quali appunto
quelli di carattere economico la cui misurazione, peraltro, segue principi e
schemi operativi coerenti con la “irrudicibile soggettività” che contraddistingue i nuovi approcci di analisi. Ma anche a livello politico-amministrativo, laddove sta emergendo un sistema di tutela e gestione che oltre al
riconoscimento di valori soggettivi, che riflettono sempre più in modo
significativo bisogni economici ed identitari, incomincia a prendere in
considerazione anche obiettivi di efficienza allocativa.
Dal paesaggio la collettività riceve numerosi benefici, sia d’uso che di
non uso, il cui valore economico però non viene direttamente segnalato
dal mercato. Sapere quanto valgono questi benefici non serve soltanto a
soddisfare una mera curiosità scientifica; né può essere ritenuto da qualcuno come il maldestro tentativo degli economisti di aggiungere il loro sapere e il loro mestiere per contendersi il paesaggio. Conoscere il valore economico del paesaggio è invece utile per chi ha la responsabilità politica
ed amministrativa della tutela e della gestione del paesaggio. Per esempio,
per dare una giustificazione economica all’intervento pubblico, di cui talvolta sono noti solo i costi indiretti e diretti connessi ai vincoli e divieti
imposti dai tradizionali strumenti di regolamentazione e agli incentivi economici erogati a favore dei produttori di paesaggio
agrario. Per applicare l’analisi costi-benefici
al fine di giudicare se la tutela di un determinato paesaggio sia economicamente valida
per l’intera collettività, Per stabilire eventuali priorità nell’allocazione dei fondi pubblici, sia a livello territoriale che a livello di
obiettivi. Per individuare incentivi economici declinati non solo in funzione dei costi e
dell’avversione al rischio dei singoli produttori di paesaggio ma anche in funzione dei
benefici sociali effettivamente prodotti. Per
sperimentare ed attuare politiche di tutela
33
innovative basate per esempio su
schemi di contrattazione negoziata,
di tipo coasiano, tra beneficiari e
produttori di paesaggio, oppure su
strumenti di tipo pigouviano, cioè
sul principio “chi inquina paga”,
oppure ancora su strumenti di contribuzione privata in ossequio al
principio “chi riceve i benefici
paga”. Infine, per armonizzare la
pianificazione paesistico-territoriale con le volontà e le preferenze
espresse dalle comunità locali.
La valutazione economica del
paesaggio agrario adotta una prospettiva sociale e si basa essenzialmente sugli assunti e sui principi
dell’economia neoclassica e dell’economia del benessere. Pertanto,
se si vogliono valutare gli effetti di
un intervento pubblico volto a
migliorare o preservare un determinato assetto paesaggistico di un territorio occorre conoscere le preferenze individuali per le diverse
configurazioni che potrebbe assumere il paesaggio con o in assenza
dell’intervento in questione. La
valutazione economica adotta
quindi uno schema democratico
(bottom-up) che contrasta con lo
schema paternalistico (top-down)
che tuttora caratterizza molte delle
discipline che studiano oggi il paesaggio. Nella valutazione economi-
ca gli esperti sono gli individui. Il
valutatore deve solo misurare le
loro preferenze, che in base al
paradigma concettuale del valore
economico totale (VET), possono
riferirsi sia ad una domanda di fruizione diretta e indiretta, attuale e
potenziale, mossa dal classico principio egoistico, che ad una domanda di non uso (valore di esistenza)
ancorata invece ad un altruismo di
tipo kantiano
Esistono diversi metodi valutazione economica del paesaggio. Il progetto di ricerca svolto col contributo dell’ARPA-Sicilia ha permesso di
analizzare lo status questionis, di
approfondire ed estendere i metodi
34
di valutazione esistenti verificandoli anche empiricamente con applicazioni
significative, per contenuto e svolgimento, ad ambiti paesaggistici siciliani.
Come ha dimostrato la rassegna ragionata della letteratura, i metodi di
valutazione che hanno sinora ricevuto le maggiori applicazioni in ambito
paesaggistico sono stati il metodo del costo del viaggio, la valutazione contingente, e il metodo degli esperimenti di scelta. Col metodo del costo del
viaggio si misurano i valori d’uso diretto (ricreativo) del paesaggio analizzando le spese sostenute per raggiungere il sito di interesse. Con la valutazione contingente e gli esperimenti di scelta si misurano sia i valori d’uso
che di non uso analizzando i comportamenti individuali in contesti appositamente simulati. Il progetto di ricerca ha previsto l’esecuzione di quattro applicazioni. La prima ha riguardato la stima della domanda di fruizione per fini ricreativi dei parchi regionali. Per tenere conto dei possibili
effetti di sostituzione e di correlazione trai i diversi siti ricreativi è stato formulato ed implementato un innovativo approccio di stima basato su un
sistema di equazioni di domanda assumendo per la componente a “conteggio” della funzione di domanda una distribuzione Poisson composta. Le
altre tre applicazioni hanno riguardato la misura della percezione sociale
e la stima il valore economico totale di altri assetti paesaggistici. Col metodo degli esperimenti di scelta sono state misurate le preferenze monetarie
per il paesaggio dei conetti vulcanici pedemontani etnei. La stima si è
basata su una simulazione di un piano di tutela e gestione paesaggistica
modulato in funzione di sei attributi con livelli differenziati in relazione
alla destinazione e utilizzazione del suolo, al controllo delle cause di possibile degrado paesaggistico, e al contributo monetario dei residenti per la
eventuale attuazione del piano simulato. Col metodo della valutazione
contingente sono state invece misurate le attitudini e le preferenze della
comunità ragusano nei confronti dell’installazione di un parco eolico in
35
un’area dell’altopiano ibleo. I favorevoli all’impianto eolico sono stati
chiamati ad esprimere la loro “disponibilità a pagare” per ridurre le emissioni di gas ad effetto serra. Analogamente, i contrari al parco eolico sono
stati chiamati ad esprimere la loro “disponibilità a pagare” per evitare l’installazione del parco eolico e quindi per la salvaguardia paesaggistica di
quel tratto di territorio ibleo. Infine, nell’ultima applicazione si è mostrato
come i metodi degli esperimenti di scelta possano essere utilmente impiegati a supporto delle politiche a favore dei produttori di paesaggio agrario.
Nell’applicazione è stato simulato un insieme di buone pratiche agricole
eco-compatibili più vincolanti rispetto a quelle attualmente previste dalle
norme sulla eco-condizionalità per la coltivazione dei seminativi. L’analisi
dei dati rilevati ha permesso di quantificare non solo il valore della compensazione richiesta per l’adozione delle pratiche agricole individuate
nella simulazione ma anche il valore marginale di ciascuno degli obiettivi
proposti per la tutela del paesaggio dei seminativi nelle aree interne della
Sicilia.
I risultati ottenuti in tutte le applicazioni svolte sono apparsi interessanti
non solo sotto l’aspetto metodologico ma anche per il loro contenuto
empirico perché mostrano che il paesaggio siciliano è una risorsa economica che entra in modo significativo nella funzione di benessere delle
nostre comunità locali.
I riferimenti bibliografici ed eventuali dati supplementari possono essere richiesti agli autori
I programmi di screening
delle patologie polmonare e tiroidea
su popolazioni di aree a rischio
36
ARPA Sicilia, nell’ambito delle attività di promozione della ricerca, offre,
in queste pagine, spazio alla pubblicazione di interessanti progetti di ricerca
condivisi con l’Assessorato Regionale
Territorio ed Ambiente.
I progetti nascono da un gruppo di
operatori sanitari sensibili alle proble-
matiche dell’impatto delle pressioni
ambientali sulla qualità della vita e
della salute dei soggetti residenti in
particolari aree a rischio ambientale,
consentendo l’attuazione di programmi di screening delle neoplasie del
polmone e della tiroide, in collaborazione con i servizi sanitari territoriali.
Sconfiggere il tumore ai polmoni
grazie alla diagnosi precoce
37
Introduzione
F. Scaffidi Abbate
G. Sunseri
P. Scarantino
M. G. Randisi
A. Paladino
Azienda Ospedaliera
S.Elia
Caltanissetta
Il tumore polmonare rappresenta a tutt’oggi una delle principali cause di
decesso per patologia neoplastica. Infatti è la principale causa di morte per
tumore nei maschi (83 decessi ogni 100.000 abitanti ), e la terza nelle femmine (12 ogni 1000.000). colpisce 118 abitanti ogni 100.000, pari a 32.000
nuovi casi all’anno in Italia:in Sicilia lo scorso anno sono stati diagnosticati 1.873 nuovi casi di tumore polmonare tra gli uomini e 384 tra le donne,
per tale motivo la Sicilia è la sesta regione italiana per incidenza di neoplasie polmonari.
La diffusione è in aumento perché il vizio del fumo (ritenuto la principale
causa di malattia) continua a diffondersi fra i giovani e resta molto diffuso
fra gli adulti, inoltre il crescente inquinamento atmosferico,soprattutto in
località più industrializzate, agisce come fattore di rischio aggiuntivo.
L’incidenza quindi rimarrà ancora alta per almeno due decenni,prima che i
risultati della lotta al fumo ed all’inquinamento si manifestino.
Complessivamente, solo il 5% dei malati di cancro al polmone è vivo a 5
anni dalla diagnosi: la percentuale di guarigione per i tumori polmonari
operati al primo stadio è intorno al 70% a 5 anni, purtroppo, per i casi avanzatile possibilità di sopravvivenza a lungo termine, con qualsiasi modalità
terapeutica, sono molto ridotte:7 – 15% per i pazienti in stadio IIIA e 3 – 5%
per lo stadio IIIB e IV, a seconda delle varie casistiche.
La grande maggioranza di questi pazienti non sopravvive oltre i due anni
dall’esordio clinico di malattia. Si pone, pertanto,indispensabile l’esigenza
e la necessità di una diagnosi precoce del tumore polmonare, soprattutto
nelle popolazioni a rischio, attraverso l’applicazione di varie metodiche
prevalentemente non invasive per giungere alla diagnosi del tumore polmonare e sottoporre il paziente a chirurgia radicale con alta possibilità di guarigione. A tal fine il ruolo della radiologia e delle tecniche endoscopiche
assumono una primaria importanza nell’attuare programmi di screening in
ampie popolazioni…
Oggi del tumore polmonare conosciamo e possiamo vedere:
1. i fattori di rischio:fumo di sigaretta
2. le condizioni aggravanti tali fattori di rischio: l’ostruzione bronchiale
3. le condizioni genetiche predisponesti al tumore (terreno predisposto)
4. le alterazioni genetiche precoci predittive dell’inizio di oncogenesi
38
5. le alterazioni cito-morfologiche bronchiali precoci predittive dell’inizio di oncogenesi
6. le alterazioni macroscopiche precoci polmonari (noduli polmonari di 3 mm)
Obiettivi dello studio:
1. ridurre la mortalità per cancro polmonare nella popolazione interessata (con confronto con i dati storici)
2. prevenire il tumore trattando le lesioni precancerose
3. fare diagnosi precoce di tumore polmonare (1° stadio)
4. fare diagnosi precoce di ostruzione bronchiale (prevenzione di BPCO)
5. studiare un panel di marcatori genetici (su ispettorato e/o siero) predettivi di cancro polmonare da usare su larga scala in studi di prevenzione su fumatori sani
Soggetti a rischio da arruolare
1. Soggetti di 50 –74 anni; fumatori di 20 sigarette/dì da almeno 20 anni, o
ex fumatori da < di 10 anni; senza storia di tumori maligni precedenti;
2. Lavoratori in miniera, per almeno 10 anni, fumatori anche con <20
sigarette al dì, con eventuale diagnosi accertata di pneumoconiosi o
evidenti esiti fibrosclerotici da pregressa TBC
Protocollo dello studio
Metodi:
A – Selezione dei soggetti a rischio
Firmato il consenso informato, i soggetti vengono sottoposti a visita
pneumologica, spirometria, ossimetria transcutanea e si individuano i
soggetti a rischio che entrano nel protocollo di studio
B – Monitoraggio strumentale
1. Si raccoglie quantità idonea di espettorato indotto per analisi
citogenetiche
2. Si esegue Tac spirale del torace a basso dosaggio
Se uno dei tre esami risulta alterato :
3. Si propone la broncoscopia ad autoflorescenza
Se presenti alterazioni pleuriche osospette tali:
La diffusione di questa patologia è in aumento perchè il vizio del fumo
(ritenuto la principale causa di malattia) continua a diffondersi tra i giovani
e resta diffuso tra gli adulti, inoltre il crescente inquinamento atmosferico,
soprattutto in località industrializzate, agisce come fattore di rischio aggiuntivo.
39
4. Si sottopone il soggetto anche ad
ecografia toracica, eventuale toracentesi e/o toracoscopia;
C - Trattamento dei pazienti “altamente
sospetti”
- I soggetti che presentano lesioni
bronchiali precancerose, vengono
trattati endoscopicamente e/o seguiti
nel tempo.
- I soggetti che presentano alla Tac
noduli > 5mm, vengono seguiti e rivisti a breve; se alla tac noduli > a
10mm si esegue la Pet
- Una volta individuata la lesione della
mucosa Bronchiale, a seconda del livello di reversibilità che questa ha raggiunto, si può fare l’exeresi chirurgica, la si
può bruciare con un elettrocoagulatore
o con altri mezzi, o seguire nel tempo.
Materiali :
La Tac a bassa radiazone è una metodica radiologica che consente, con una quantità minima di radiazioni, simile a quella dell’ Rx standard del torace, di
vedere delle lesioni polmonari di 3 mm di diametro
(mediamente i soggetti che arrivano alla osservazione
in ospedale perché sintomatici, hanno lesioni >3cm!
2°/4° stadio). Dimensioni di questo livello consentono diagnosi precoci al 1° stadio ( la sopravvivenza a
5 anni al 1° stadio è intorno al 70%; al 4° stadio scende al 10 %).
Saranno utilizzate le TAC dell’A.O. S. Elia e dell’
ASL n. 2
Esame citologico dell’ espettorato e analisi citogenetiche: ricerca di alterazioni morfologiche e genetiche nell’ espettorato:sembrano associarsi ad una
isposizione alla malattia. Alcune sono dosate a parti-
re da un campione di sangue, altre dall’ espettorato o
dalle urine. Ne sono state individuate diverse, al
momento, la strada più promettente sembra quella
dell’analisi, a partire da un prelievo di sangue, del
danno genetico globale: maggiori sono le alterazioni
presenti, maggiore è il rischio. Il dosaggio di questi
marcatori consentirà di selezionare le persone che
hanno davvero bisogno della TAC spirale, ( se si sottopongono all’ esame tutti i forti fumatori oltre i 50
anni, si scopre un cancro ai polmoni ogni 100 esami.
Se invece si consiglia la TAC solo ai forti fumatori che
hanno un danno genetico consistente, si può arrivare
a scoprire 5-10 tumori ogni 100 esami eseguiti).
Spirometria ed ossimetria transcutanea: metodi,
non invasivi per la misurazione della funzionalità
respiratoria, in regime ambulatoriale, che indicano
iniziali alterazioni, anche asintomatiche, della funzionalità respiratoria, in particolare dell’ ostruzione
bronchiale.
Ecografia toracica: metodo non invasivo per la
visualizzazione di modeste quantità di liquido pleurico o ispessimento pleurico sospetto di eventuali iniziali lesioni; molto utie per la toracentesi guidata
Broncoscopia ad autoflorescenza:endoscopia
bronchiale con la possibilità di individuare precocemente lesioni “in situ” precancerose o già neoplastiche
Toracoscopia: metodo invasivo, da eseguire in
regime di day hospital, per evidenziare lesioni pleuriche ed eventuali exeresi di lesioni localizzate
Screening sulla patologia tiroidea
nell’area di rischio a Gela
40
Il VI programma d’azione in materia di ambiente deliberato dal Consiglio
Europeo, nel quale sono individuate per lo sviluppo sostenibile identifica tra le
priorità la salute pubblica e le risorse naturali. È in ossequio a questo atto, che
i soggetti promotori dello screening sulle patologie tiroidee hanno proposto il
programma all’attenzione delle autorità competenti.
F. Scaffidi Abbate
M.G. Randisi,
A. M. Paladino,
Azienda Ospedaliera
S.Elia
Caltanissetta
E’ cosa nota che l’inquinamento atmosferico, i cibi, lo stato del suolo ed il
conseguente ciclo dell’acque hanno notevoli ripercursioni sui nostri organismi
determinando modificazioni della prevalenza e della storia naturale delle patologie più disparate e di quella neoplastica in particolare. Ed ancora i media
descrivono una sempre maggiore attenzione del popolo italiano rispetto al proprio stato salute a cui di conseguenza corrisponde un sempre maggiore interesse e coinvolgimento nei temi che riguardano territorio ed ambiente in cui si
lavora e si vive.
E’ per questo motivo che le figure istituzionalmente deputate a farlo, non possono dare episodiche e momentanee risposte, bensì hanno il dovere di elaborare precisi piani d’azione finalizzati ad individuare strategie prioritarie da adottare nei settori più a rischio (ad es. rifiuti, energia, mobilità, agricoltura, campi elettromagnetici) al fine di ridurre l’impatto sull’ambiente degli agenti inquinanti.
E’ in questo contesto che trova giustificazione uno screening sulla patologia
tiroidea condotto sulla popolazione dell’area a rischio di Gela dove sono rappresentati gli ambiti più disparati (coste, regione montana, aree minerarie, agricolture tradizionali e tecnologicamente avanzata, industrie ad alto impatto
ambientale).
E’ certo che un tale studio, in maniera molto efficace, consentirebbe, di valutare, sulla popolazione oggetto dello screening la storia naturale e la prevalenza della patologia tiroidea, constatando così le eventuali variazioni verificate
nei vari ambiti territoriali ed anche in seguito a possibili modifiche delle abitudini alimentari differenti.
Inoltre è noto che i distruttori endocrini rappresentano un gruppo di contaminanti dell’ambiente e degli alimenti in grado di interferire con l’omeostasi endocrina, soprattutto degli ormoni sessuali steroidei e degli ormoni tiroidei.
La definizione più comune accettata riporta: “un distruttore endocrino è una
sostanza esogena, o una miscela che altera la funzionalità del sistema endocrino, causando effetti avversi sulla salute dell’organismo, oppure della sua progenie o di una popolazione.
Le figure istituzionali hanno il dovere di elaborare precisi piani d’azione
finalizzati ad individuare strategie prioritarie da adottare nei settori più a rischio
41
I principali distruttori endocrini
sono costituiti da contaminati organici
persistenti ( ad es. policlorobifenili),
diversi pesticidi biocidi (ad es. gli ftalati e i ritardanti di fiamma polibromurati) e recentemente suscitano attenzione gli effetti endocrini di alcuni
metalli come i coposti dell’arsenico.
I meccanismi d’azione dei distruttori endocrini comprendono interazioni
recettoriali, interazioni con enzimi e
con il trasporto degli ormoni, influenze sull’asse ipotalamo ipofisario.
E’ dunque evidente una molteplicità di usi con una conseguente, potenziale esposizione multipla nell’ambiente, negli alimenti, in ambiente
lavorativo e/o domestico, ed inoltre,
una varietà di meccanismi con bersagli ed effetti molteplici.
La tiroide è una ghiandola endocrina posta nella regione anteriore del
collo. E’ in grado di sintetizzare e produrre l’ormone tiroideo sotto forma di
Tiroxina (T4) e Triiodiotironina
(T3);quest’ultima è la forma attiva dell’
ormone. Le azioni sono estremamente
ampie e vanno dallo sviluppo del
sistema nervoso centrale, all’accrescimento corporeo, al controllo di numerose funzioni metaboliche. Possiamo
dire che la tiroide regola il numero di
giri di numerosi motori del nostro
organismo.
L’apporto di quantità adeguate di
iodio rappresenta un requisito essen-
ziale per la normale produzione di
ormone tiroideo.
Lo iodio è un elemento raro ed è
presente negli alimenti e nelle acque
in quantità variabile a seconda di
quello che viene definito il tenore
iodico dell’ambiente.La carenza iodica nel suolo e di conseguenza negli
alimenti costituisce un fattore predisponente alla patologia tiroidea.Lo
iodio è un elemento essenziale per la
crescita e lo sviluppo umano ed il
gozzo endemico rappresenta una
malattia da adattamento, conseguente alla stimolazione cronica della
ghiandola tiroide da parte della tireotropina.
Nella popolazione esposta a carenza di iodio si possono avere anche
altre manifestazioni, quali aumento
degli aborti, aumento natimortalità,
ipotiroidismo neonatale quasi sempre
transitorio, deficit neuropsicologici e
cognitivi fino al cretinismo, disturbi
definiti come disordini da carenza
iodica.
Il gozzo è normalmente più frequente nelle zone collinose e montane
dove i livelli di iodio nel suolo sono
bassi.
L’Italia è un paese ad elevata endemia gozzigena (10% della popolazione). La presenza di noduli tiroidei è
elevata, intorno al 4-5%; in determinate aree geografiche tale percentuale
si innalza fortemente (è questo il caso
delle aree a rischio di Gela).
42
Il 95% dei noduli tiroidei sono benigni; nel restante 5% dei casi il nodulo
tiroideo singolo o prevalentemente in un gozzo multunodulare è costituito da
un tumore maligno, è perciò fondamentale dal punto di vista diagnostico, riconoscere i noduli maligni dai benigni.
L’applicazione di un corretto inquadramento diagnostico ( storia del paziente, visita ecografia, scintigrafia, dosaggio ormonale comprensivo della valutazione della calcitonina e di eventuali anticorpi) consente di individuare i tumori maligni e di distinguerli da modularità benigne; la scelta della terapia medica, radiante o chirurgica è ovvia dipendenza della diagnostica.
Da studi effettuati sulla popolazione dell’area a rischio di gela si evidenzia un
elevata frequenza della patologia tiroidea ed in relazione a quello già sottolineato è probabile che molte delle patologie gozzigene nodulari ritenute per anni
esclusivamente benigne possano nascondere variazioni neoplastiche maligne.
I promotori dello screening ritengono che dopo avere ricevuto informazioni
dai medici di famiglia sulla storia naturale dei familiari dei singoli pazienti da
inserire nello studio li sottopongono a visita chirurgica e successiva valutazione
diagnostica (dosaggi ormonali, ecografia tiroidea ed agoaspirato) da effettuare in
regime di Day hospital presso l’Unità di Chirurgia Generale.
Igiene ambientale,
la tariffa determinata dagli A.T.O.
43
Recentemente, la giurisprudenza amministrativa siciliana ha affrontato la
questione relativa alla competenza in materia di determinazione della tariffa di igiene ambientale (d’ora in poi T.I.A) negli ambiti territoriali ottimali, a
seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 152/2006 recante
“Norme in materia ambientale”.1
a cura di
Gaetano Armao
Chiara Castellana
Alessandro Cucchiara
Giuseppe Fragapani
avvocati amministrativisti
Il Giudice amministrativo è stato chiamato a sindacare la conformità alla
normativa vigente del procedimento di determinazione del regime tariffario
del servizio di gestione integrata dei rifiuti, attuato da una società d’ambito
operante nel territorio della Regione siciliana, per gli anni 2006 e 2007.
In particolare, nel caso in commento, veniva richiesto l’annullamento, da
parte del giudice amministrativo, della deliberazione della società d’ambito
di approvazione della T.I.A poiché ritenuta in contrasto con le previsioni
legislative vigenti (art. 238 del d.lgs. n. 152/2006 e s.m.i.), sotto il profilo
della titolarità del potere di determinazione della tariffa negli ambiti territoriali e delle concrete modalità di determinazione ed attuazione della stessa.
Veniva, in sostanza, asserito che l’attribuzione alla società (rectius autorità)
d’ambito del potere di determinazione della tariffa non poteva trovare applicazione in quanto non risultava ancora approvato, sul piano normativo, il
regolamento recante i criteri generali e di definizione delle componenti della
T.I.A., con la conseguenza che la determinazione della tariffa avrebbe dovuto effettuarsi, secondo la normativa previgente, da parte dei singoli Comuni.
Si tratta, pertanto, di stabilire se, nella Regione siciliana, la competenza in
ordine alla determinazione della T.I.A. spetti ai Comuni o alle Autorità d’ambito.
Alla stregua della ricostruzione operata dal giudice amministrativo, appare
opportuno ripercorrere le tappe fondamentali dell’evoluzione legislativa in
materia.
Il decreto legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997, e succ. mod. e int, - noto
come decreto Ronchi - ha introdotto la tariffa rifiuti, in sostituzione della
tassa rifiuti solidi urbani (TARSU), normata dal d.lgs. 507/93.
Riguardo alla determinazione della stessa, l’art. 49, comma ottavo, del
d.lgs. 22/1997 s.m.i. ha previsto che “la tariffa è determinata dagli enti locali, anche in relazione al piano finanziario degli interventi relativi al servizio”.
Il successivo comma nono, inoltre, ha precisato che “la tariffa è applicata
dai soggetti gestori nel rispetto della convenzione e del relativo disciplinare”.
1
Tar Sicilia Catania, sez. III int,, 4 gennaio 2008, n. 52
Il Commissario regionale per l’emergenza rifiuti ha individuato
gli ambiti territoriali ottimali, approvando le linee guida per la gestione
integrata dei rifiuti, con allegati gli atti per la costituzione delle Società d’ambito.
44
In Sicilia, tuttavia, le vicende
concernenti il sistema rifiuti
hanno subito delle particolari
conseguenze a seguito della
dichiarazione dello stato di
emergenza.
Si rammenta, infatti, che, con
ordinanza della Presidenza del
Consiglio dei Ministri Dipartimento della Protezione
Civile n. 2983 del 31 maggio
1999, il Presidente della
Regione siciliana è stato nominato “commissario delegato per
la predisposizione e adozione
del piano di gestione dei rifiuti e
delle bonifiche delle aree inquinate, di cui all’articolo 22 della
Legge 5 febbraio 1997, n° 22, di
un piano di interventi d’emergenza per la gestione dei rifiuti
urbani nonché per la realizzazione degli interventi necessari
per far fronte alla situazione
d’emergenza”, inaugurandosi,
pertanto, nel territorio una
gestione commissariale durata,
a seguito di varie proroghe, fino
al 31 maggio 2006.
Al fine di attuare quanto previsto dalla normativa nazionale, il
Commissario regionale per
l’emergenza
rifiuti,
con
Ordinanza n. 280 del 19 aprile
2001, ha individuato gli ambiti
territoriali ottimali, approvando,
con successiva ordinanza commissariale n. 488 dell’11 giugno
2002, le linee guida per la
gestione integrata dei rifiuti, con
allegati gli atti per la costituzione delle Società d’ambito.
Pertanto, in ossequio alle previsioni dell’art. 23 del d. lgs. 5
febbraio 1997, n. 22 e s.m.i. e
dell’art. 2 bis dell’ordinanza di
protezione civile n. 2983/1999
e s.m.i., sono state costituite le
società d’ambito, individuate
quale forma obbligatoria di cooperazione tra enti locali ai fini
della gestione associata del servizio, alle quali è stata affidata
la gestione del ciclo integrato
dei rifiuti solidi urbani dell’ambito territoriale ottimale in conformità alla vigente normazione
in materia.
Alla stregua dell’assetto amministrativo e regolativo delineato
dal Commissario delegato in
Sicilia, una volta costituite le
società d’ambito, sono state ad
esse trasferite tutte le competenze relative alla gestione integrata dei rifiuti, prima di spettanza
degli enti locali (Comuni e
Provincia), ricadenti in tali
ambiti, nonché il potere di
approvazione del regolamento
per la determinazione della
tariffa d’ambito, in coerenza
con il regolamento-tipo adottato
dall’autorità
commissariale
approvato con
Ordinanza
dell’8 agosto 2003.
Con tale atto il Commissario
ha disposto l’adozione da parte
delle società d’ambito, entro il
10 settembre 2003, di un proprio regolamento per la determinazione della tariffa d’ambito
nella fase di avvio del sistema
integrato coerente con il regolamento tipo.
In conclusione, sulla
scorta del quadro normativo
delineato, la giurisprudenza
amministrativa in commento è
giunta, nel caso sottoposto al
suo esame, a ritenere infondata
la censura mossa avverso la
delibera della società d’ambito
di determinazione della tariffa
sotto il profilo della titolarità del
relativo potere, affermando che
le richiamate disposizioni “realizzano, invece, un vero e proprio trasferimento di funzioni
con relativo mutamento nella
titolarità del potere che dal
Comune trasla, in via amministrativa, in capo all’ente pubblico appositamente costituito”.
Il Tar è pervenuto a tale conclusione anche sulla scorta della
considerazione che la T.I.A.,
lungi dall’essere un tributo
ovvero un’imposta, rappresenta,
invece, il corrispettivo da pagare per il servizio di gestione integrata dei rifiuti negli ambiti ottimali.
Alieni e supereroi in campo:
la fantasia al servizio dell’ambiente
45
Alessandra Nobile
ARPA Sicilia
Le strategie per l’adattamento ai
cambiamenti climatici. E’ questo un
tema centrale nell’attività’ di comunicazione dell’arpa sicilia,che ha bandito un concorso per l’acquisizione di
“progetti mirati alla sensibilizzazione
alle tematiche ambientali”. Sei i progetti che hanno superato l’esame della
apposita
commissione.
Il
progetto”piantare i semi della speranza”, si occupa del rapporto tra l’orto e
il contadino. In pratica mette in
campo strategie comunicative indirizzate alla salvaguardia della biodiversita’.un altro progetto “gli alieni a
Palermo”,riguarda i cambiamenti climatici,con le conseguenze sul
suolo,sulla vegetazione,sulle componenti agroecosistemiche in genere e
sull’ambiente marino. Si propone un
originale autobus inglese double decker itinerante con pupazzi, pannelli,
disegni, caricature. ecc…. Sul tema
della coscienza ecologica un altro
progetto, prevede una campagna pubblicitaria basata sulla parodia del linguaggio sportivo. Obiettivo: fornire
rapidi spunti per sostituire la “cattiva
disciplina”con le principali buone
prassi ecologiche e civiche. Inoltre, un
progetto che punta ad informare il
“gioco delle carte”.Dunque rivolto sia
ad un pubblico adulto che ai bambini.
La proposta e’ di ripensare graficamente le carte siciliane con quattro
nuovi”semi”: il pomodoro, la goccia
d’acqua, la presa elettrica e il salvagente. Un modo per sensibilizzare
rispetto all’impatto dei mutamenti climatici sull’agricoltura, all’importanza
di un’adeguata gestione delle risorse
idriche,alla necessità di un risparmio
energetico, e di una messa in sicurezza delle coste. Un altro progetto”Mr.
Arp, il super eroe della natura”,propone un kit didattico(,si compone di
due manuali:uno per i bambini e uno
per l’insegnante) di educazione
ambientale sul riciclaggio dei rifiuti. E’
rivolto ai bambini di terza elementare
perché si prendano cura del proprio
ambiente. Si articola attraverso un
programma di fumetto e di giochi. Il.
Fumetto e’ ambientato nel mondo
delle favole i cui protagonisti sono vittima dell’inquinamento e delle cattive
abitudini che lo causano. mentre
attraverso il programma dei giochi,i
bambini faranno prove di creatività,di
ricerca,composizione,manipolazione
ed esperimenti come quello di
creare,insieme all’insegnante,la carta
riciclata. E per ultimo,una campagna
46
per le fonti di energia alternativa. Il titolo.” Sotto una luce diversa”. Si parla
tanto di fonti energicamente sostenibili,come l’energia solare e l’eolica. Il progetto prevede la realizzazione di un manifesto,di un opuscolo informativo e di
una postcard per una campagna che sensibilizzi la popolazione sui cambiamenti climatici e sulle soluzioni da adottare per evitare ripercussioni ambientali irreversibili. Ed e’ proprio quest’ultimo concetto il filo conduttore del bando
dell’ARPASicilia.
Lo stato di salute delle coste Siciliane?
lo rivela il Coleottero
47
Il sistema delle Agenzie Regionali cui fa parte l’ARPA Sicilia costituisce
uno strumento per coordinare azioni a livello nazionale ed europeo e confrontare dati ambientali relativi alle diverse regioni italiane. La selezione e
la sperimentazione degli indicatori ambientali costituisce, in questo senso,
un esempio pratico. Il monitoraggio ambientale e il confronto dei relativi
parametri permette infatti di ottenere un quadro generale che consente di
poter operare anche su vaste aree, a tutto vantaggio dei tempi e delle modalità di svolgimento dei lavori.
Francesco Lapiana
ARPA Sicilia
Le Agenzie ambientali da tempo applicano alcuni protocolli che utilizzano la fauna minore come indice dello stato di conservazione dell’ambiente: ad esempio gli invertebrati bentonici per quanto riguarda i corsi d’acqua
o i Coleotteri Carabidi per gli ambienti terrestri.
Questo metodo di operare necessariamente procede insieme alla ricerca
di base, in particolare ai suoi aspetti applicativi, che costituisce sempre un
valido strumento di conoscenza volto alla protezione del territorio.
In accordo a quanto detto, tra il 2007 e il 2008, la Struttura ST VII –
Ecosistemi e Biodiversità dell’ARPA Sicilia ha avviato una ricerca sui
Coleotteri che vivono sulle coste sabbiose della Sicilia; in particolare, si è
cercato di individuare, tra le circa 600 specie tipiche di questi ambienti,
quelli che meglio caratterizzano gli ambienti in buono stato di conservazione e che possono essere utilizzati come “spie” del disturbo antropico e del
degrado dell’habitat.
Le condizioni per l’insediamento di specie animali e vegetali in un qualunque habitat, sono dipendenti dai parametri ambientali (umidità, temperatura, ecc.), dalla disponibilità di cibo e ripari, dalle relazioni interspecifiche e da tutto ciò che può essere percepito da un essere vivente. Le specie,
così, occupano le aree a loro più idonee. Quando si verifica un disturbo, ad
esempio un insediamento antropico, l’avvento di una specie aliena fortemente competitiva o una degradazione dell’habitat, i presupposti per la
sopravvivenza possono venire meno e una o più specie possono soccombere e scomparire.
La componente faunistica connessa alle dune è caratteristica almeno
quanto quella vegetazionale; molti invertebrati si sono adattati all’ambiente
di duna e alla vegetazione tipica che vi si sviluppa, dando origine a strette
relazioni ecologiche. Per questo motivo gli insetti, tra i quali i Coleotteri
costituiscono una grossa percentuale, possono essere considerati uno spec-
chio che riflette lo stato di salute dell’ambiente dunale. La loro presenza o
assenza, quando non giustificata da motivazioni biogeografiche, è strettamente collegata ai fattori ambientali locali.
Per di più, alcune specie di Coleotteri con specifiche preferenze ambientali hanno trovato una propria nicchia ecologica nei diversi microambienti
che costituiscono l’ambiente psammo/alofilo costiero. Esse quindi caratterizzano una particolare fascia: l’arenile soggetto all’influenza diretta del
mare, le dune con vegetazione psammofila specializzata, il retroduna con
ricca copertura vegetale e gli ambienti umidi costieri. Per questa specializzazione ecologica è possibile valutare, tramite il popolamento dei coleotteri, lo stato di conservazione di ogni singola “fascia” ambientale.
48
Tuttavia solo alcune specie sono particolarmente adatte ad essere utilizzate come indicatori di qualità ambientale, pertanto in questa
indagine sono state scelte le specie in grado di
soddisfare questi cinque requisiti:
1) Almeno una fase del ciclo vitale legata agli
ambienti dunali/litoranei
2) Vulnerabilità della popolazione in caso di
stress ambientale
3) Facilità di identificazione
4) Disponibilità di dati bibliografici
Fig. 1
Il Coleottero dunale
Erodius siculus Solier, 1834
5) Specie ampiamente distribuite sul territorio
In questo modo sono stati individuati 29 taxa (specie o sottospecie) che,
in base a ricerche bibliografiche e di campo relative alla loro biologia, potevano “teoricamente” soddisfare quanto richiesto. In un secondo momento,
il “comportamento” delle popolazioni di queste specie è stato testato in cinque biotopi siciliani caratterizzati da diversi livelli di degrado: foce del
fiume Belice, Biviere di Gela, spiaggia di Balestrate, litorale di Buonfornello
e spiaggia di Isola delle Femmine/Capaci.
Da quanto osservato sulla distribuzione e abbondanza dei 29 taxa, all’interno dei siti indagati, è emerso che vi sono delle differenze significative tra
i diversi biotopi.
È stato osservato che nei siti di maggior pregio naturalistico (dune limitrofe alla foce del fiume Belice e Biviere di Gela) il numero delle specie trovate, tra i 29 Coleotteri selezionati, è alto, e le loro popolazioni sono composte da numerosi individui, anche riguardo le specie più sensibili ed esigenti. Lungo il litorale di Balestrate e sulla spiaggia di Buonfornello, dove sono
più incisive le attività antropiche come la balneazione estiva o la costruzione di edifici ad uso civile ed industriale, la biodiversità delle comunità di
Coleotteri ne risente in modo negativo; scompaiono molte delle specie più
esigenti e quasi tutte le altre diminuiscono di abbondanza. In ultimo, nel
biotopo di Isola delle Femmine-Capaci, evidentemente degradato, risulta la
presenza di sole tre specie, mentre tutte le altre sono scomparse.
49
Fig. 2
Aspetti dunali prossimi alla
foce del fiume Belice
In sintesi, i risultati di quanto
osservato sono stati che:
- Alcune specie molto sensibili scompaiono già a livelli bassi
di stress ambientale
- Altre specie scompaiono
gradualmente dall’ambiente
man mano che cresce il livello
di stress e di disturbo
- La consistenza delle popolazioni di tutte le specie diminuisce all’aumentare dello stress
ambientale
Pertanto, la scelta accurata
dei 29 taxa di Coleotteri ha portato a evidenziare una evidente
relazione tra la ricchezza dei
popolamenti dei Coleotteri e lo
stato di conservazione dell’ambiente.
Questi primi risultati ottenuti
da una prima analisi sono sicuramente già di grande interesse,
ma è necessario che nuovi studi
approfondiscano meglio quanto
osservato al fine di avere maggiore chiarezza sulle relazioni
tra fauna ed ambiente.
Le ricerche effettuate, oltre ad
avere un interesse puramente
biologico e naturalistico, offrono interessanti prospettive per il
futuro.
Il possibile utilizzo di un indice di qualità ambientale basato
sui Coleotteri, potrà essere utile
per elaborare e coordinare specifiche azioni di protezione
negli ambienti costieri che più
necessitano di interventi di tutela e, dal momento che spesso
l’uomo non può avvertire in
tempo il cambiamento delle
condizioni ambientali, la scomparsa di alcuni Coleotteri da
una determinata area, può servire da “campanello d’allarme”.
A questo scopo la scelta delle
specie è stata fatta anche in previsione di una possibile applicazione degli indicatori al di fuori
dei confini siciliani; molte di
esse infatti si trovano anche in
Italia continentale o hanno corrispettive sottospecie con analoghe esigenze biologiche.
Pertanto, il reale valore di
aree umide costiere ad alta biodiversità può essere messo in
evidenza utilizzando anche piccoli invertebrati sconosciuti alla
maggior parte delle persone.
L’avvio di simili ricerche apre
la possibilità alla cooperazione
con enti di ricerca esterni con i
quali, mettendo le proprie esperienze a confronto, si possono
raggiungere importanti risultati
in termini di conoscenza e valorizzazione del territorio.
Inoltre, sarà possibile fornire
ai gestori delle aree protette
delle coste della Sicilia utile
materiale scientifico-informativo ed un protocollo per la cattura dei Coleotteri indicatori e per
la successiva analisi dei dati,
onde ottimizzare le azioni di
tutela e di gestione di alcuni tra
i biotopi maggiormente minacciati dell’isola.
Ringraziamenti:
Ignazio
Sparacio per la preziosa collaborazione e per gli innumerevoli consigli offerti. Calogero Di
Chiara e Giacomo Scalzo per la
revisione del lavoro.
Elogio del limone
qualità e virtù del Re degli agrumi
50
Ancora oggi nei mercati l’arrivo sui banchi di vendita dei verdelli
richiama l’attenzione del pubblico e non solo dei turisti che in genere
affollano i meandri di questi mondi dall’atmosfera esotica e allusiva.
Si , parliamo proprio dei bbastarduna, termine che in dialetto indica
questi limoni di un verde intenso rubati alla natura in piena estate ,
quando il caldo siciliano aggiunge un che di violento a ogni cosa,
soprattutto ai sapori e agli odori.
Girolamo Cusimano
Dipartimento beni culturali,
storico-archeologico, socioantropologici e geografici
Università di Palermo
Tra gli agrumi il limone continua a occupare una posizione regale, a
conservare nonostante la concorrenza di altri paesi produttori, una
sicilianità inattaccabile. Un frutto che nelle sue varietà sta a tavola dall’inizio alla fine , ma che col cibo ha un rapporto intimo che comincia già in cucina e si espande anche a molti momenti gastronomici
fuori della tavola. In Sicilia é onnipresente, verde o giallo ,rotondo o
oblungo e con una marcata protuberanza sia in
prossimità del picciolo che del punto diametralmente opposto, nelle tavole più eleganti dei ristoranti , come sul banco dei venditori di pane e
panelle, sui precari ripiani dei venditori di stigghiola e quarume,nelle località di mare nelle bancarelle dei polipari, che lo offrono con le cozze, i
ricci di mare, il polipo fatto a pezzettini e altro
ancora, una sorta di viatico che rende tutto più
leggero e digeribile.
Tagliato in modo particolare a farne quattro
pezzi e se necessario otto, ma non più, il limone
vi offrirà i servigi della sua polpa ricca di un
succo acidulo che sa sposarsi con gli altrui sapori,a volte ingentilendone i caratteri di marcata
aggressività, o esaltandone la delicatezza,ma non
raramente potenziandone la forza,come in certe
insalate in cui gareggia con altri dominatori delle
papille gustative, oli verdi e densi, aceti rossi e
aromi invincibili ,menta, basilico e origano, tra
pomodori , finocchi, cipolle e olive carnose. Lui ,
il limone , viene per ultimo, sua maestà
appunto,nell’effimero momento di trionfo in cui,
completamento del piatto, viene, col sapiente uso
della forchetta, spremuto e poi buttato via.
Tra gli agrumi il limone occupa una posizione regale
conservando una sicilianità inattaccabile
51
Destinato elettivamente al
pesce, il limone si usa anche con
la carne,non sfugge al richiamo
della pasticceria,con gli oli
essenziali della sua buccia fragrante ,ma troneggia intero in
versione di candito persino sulla
barocca cassata siciliana.
Nei gelati, sorbetti, granite, granulose raggiunge la perfezione
donando refrigerio e sapori che
dal palato trapassano nella
memoria indelebile di un piacere
che solo la Sicilia sa donare.
Agricoltura Blu
La via italiana dell’agricoltura conservativa
Principi, tecnologie e metodi per una produzione
sostenibile
A cura di Michele Pisante
Edagricole, 2007 317 pp.
52
Paolo Inglese
dipartimento
colture arboree
Università di Palermo
Grande sorpresa il volume curato da Michele Pisante,
Straordinario di Agronomia e Coltivazioni Erbacee
nell’Università di Teramo. Il volume è ricco anche in termini di autori, che hanno
contribuito a realizzarlo. Sono ben 26, tra docenti universitari provenienti da ben 12
diversi Atenei italiani e spagnoli, professionisti, rappresentanti di istituzioni internazionali. E’ ricco di sponsor e di patrocinatori, tra questi ultimi la SOI, a testimonianza
di un interesse vivo per un tema di grande attualità. E’, infine, ricco di contenuti scientifici e tecnici, distribuiti in 7 capitoli di vasta e profonda natura. Oggetto del volume
è l’Agricoltura conservativa, come sistema integrato di gestione agronomica che pone
al centro del suo modo di intendere e praticare l’agricoltura, la salvaguardia delle
risorse primarie: il suolo, l’acqua, in primo luogo. La parola d’ordine, testimoniata
dalla varietà della formazione scientifica dei vari Autori, è “interdisciplinarietà”. Ricco
di illustrazioni, di dati e di immagini, il volume fornisce al lettore un quadro il più possibile completo dei modelli di gestione agronomica conservativa, applicati a diversi
sitemi agrari. Un volume utile a ricercatori e a studenti impegnati nello studio dell’agricoltura e nello sviluppo di conoscenze e competenze che, garantendone il profitto, siano capaci di valorizzarne il ruolo energetico e ambientale o, per dirlo con gli
Autori, quello conservativo.
Agli insetti piacciono le opere d’arte
(esempi di degrado, salvaguardia
e conservazione)
di Giovanni Liotta
Edimed sas. 2007, 213 pp
Alla curiosità che già suscita il titolo, solo apparentemente provocatorio, ma in verità del tutto e semplicemente vero, segue lo stupore crescente che produce la lettura di un volume stupendo, che si
pone come punto di riferimento prestigioso nella salvaguardia del patrimonio culturale.
Qualsiasi lettore, specialista o meno del settore, viene travolto da una straordinaria profusione di informazioni scientifiche e tecniche presentate con grande cura e con il trasparente desiderio di trasmettere un patrimonio di conoscenze davvero straordinario. Con quest’opera, Giovanni Liotta, professore di Entomologia nell’Università di Palermo, lascia il
segno del suo lungo magistero accademico, testimoniando, con una ricchezza di notizie, di
dati e di incredibile iconografia non solo la continuità del suo essere ricercatore appassionato, ma la volontà di trasmettere e di porre la propia conoscenza al servizio della comunità, degli allievi, della tutela del patrimonio culturale del nostro Paese. Pagina dopo pagina, il lettore prende consapevolezza dell’etrema fragilità e del rischio cui sono sottoposti
monumenti e manufatti di inestimabile valore culturale, ma poi, quasi con sollievo, scopre
come è possibile prevenire, tutelare, risanare, facendo tesoro della conoscenza del ciclo
biologico degli insetti e di una verità apparentemente banale: che non fanno altro che il loro
“dovere” biologico di assicurare a se stessi e alla prole condizioni utili alla vita, che, spesso sono offerte proprio dall’incuria dei beni monumentali che divengono il loro habitat
“naturale”. Un volume importante ma soprattutto un’opera “di servizio”, di grande valore
scientifico, tecnico e culturale, che getta un seme che certamente germoglierà.
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