funzione e architettura della casa di terza probazione dei gesuiti a

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FUNZIONE E ARCHITETTURA DELLA CASA DI TERZA PROBAZIONE DEI
GESUITI A PALERMO
Alexander Grönert
Il complesso edilizio della cosiddetta terza probazione
dei Gesuiti a Palermo è noto soprattutto per la sua
splendida chiesa dedicata a S. Francesco Saverio.
Dell’annessa casa, invece, demolita nel 1958 per far
posto a un edificio adibito ad alloggio per studenti,
si è persa quasi la memoria1. Esistono, in realtà, alcune foto della scomparsa casa, finora inedite, che qui
si presentano; si vuole inoltre chiarire come il complesso della terza probazione fosse inserito nel contesto urbano del quartiere. Riteniamo, infine, che
l’analisi dell’edificio, che si intravede nelle foto,
possa ampliare le nostre conoscenze sull’architetto e
scultore Angelo Italia (Licata 1628 - Palermo 1700)2,
al quale va attribuito non solo il progetto per la chiesa, realizzato tra il 1680 e il 1684, ma anche quello per
l’annessa casa.
Fino alla soppressione della Compagnia di Gesù nel
1773 (in Sicilia già nel 1767) le case di terza probazione erano una sorta di scuola di perfezionamento spirituale per giovani coadiutori che aspiravano alle
cariche maggiori nella gerarchia dell’ordine.
Superata la prima e la seconda probazione il giovane
gesuita pronunciava i voti semplici di povertà, castità e ubbidienza. Successivamente, chi era destinato
allo studio, si trasferiva in uno dei collegi per diventare coadiutore spirituale formatus. Finiti gli studi il
coadiutore, di solito, rimaneva nel collegio per almeno altri tre anni svolgendo il compito di insegnante.
Già dopo il terzo anno di studio veniva ordinato
prete, e soltanto in quel momento, dopo circa dieci
anni d’appartenenza all’ordine, egli finalmente poteva aspirare al titolo di patre o professus. L’elevazione al
rango di patre presupponeva, però, la professione di
un quarto voto, quello d’ubbidienza al Papa, specifico
dei Gesuiti; perciò prima di poterlo professare il coadiutore spirituale doveva trascorrere un anno di
riflessione con esercizi religiosi e spirituali, un secondo noviziato quindi, la cosiddetta terza probazione3.
Nei primi tempi, per sistemare i novizi della terza
probazione, si ricorreva alle case costruite per il
primo noviziato4. Ben presto, però, la forte differenza sia d’età che d’istruzione che contraddistingueva
i due tipi di novizi si rivelò problematica per la
comune convivenza. La soluzione auspicata dalla
congregazione generale fu quindi quella di costruire
case appositamente destinate alla terza probazione5.
In realtà di queste case ne furono fondate pochissime
e, di fatto, la prassi della convivenza tra i novizi di
seconda e terza probazione continuò a persistere fino
alla soppressione dell’ordine6.
Le prime due case di terza probazione furono aperte
nel 1634 in Sicilia, rispettivamente a Messina e a
Palermo. Questo fatto da solo è indicativo dell’importanza rivestita dalla provincia siciliana nell’ambito dell’ordine dei Gesuiti7.
La fondazione della casa palermitana fu resa possibile grazie a Donna Giovanna Beatrice d’Aragona e
Ventimiglia, marchesa di Giarratana, donatrice nel
1633 di venticinquemila scudi, erogati in parte subito e in parte a rate dopo il 16378. Nel 1633 una parte
dei soldi fu utilizzata per l’acquisto di un terreno
situato nel quartiere dell’Albergheria: gli edifici presenti su questo terreno non furono abbattuti, ma soltanto adattati alla nuova destinazione e utilizzati,
quindi, come abitazione dei novizi; l’unica costruzione nuova fu una piccola chiesa che, secondo la
volontà della fondatrice, venne dedicata a S.
Francesco Saverio, recentemente canonizzato. Fu
aperta al culto il 25 marzo del 1634 dal vescovo di
Palermo, cardinale Giannettino Doria9. Da allora la
casa di terza probazione funzionò per circa trent’anni, ospitando nel 1650 ventitré novizi10.
Nel 1669, tuttavia, il generale dell’ordine, padre
Giovanni Paolo Oliva (1664-1681), ordinò la chiusura della casa, dopo aver appreso dal nuovo procuratore di S. Francesco Saverio, padre Lanfranco
Odoino, che l’introito annuo ammontava a soli trecentotrentatré scudi, molto meno di quanto aveva
dichiarato il predecessore di Odoino e troppo poco
per mantenere la casa stessa. Padre Castelletti, al
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quale era stato affidato l’incarico di verificarne la
situazione economica, dichiarò la quasi totale dispersione del patrimonio ereditato dalla marchesa di
Giarratana11; forse per questo la casa di terza probazione aveva effettivamente smesso di funzionare già
nel 166112. Non sappiamo come, nel giro di un anno,
i Gesuiti siciliani siano riusciti a convincere il generale Oliva non solo a revocare la chiusura della casa,
ma a consentire persino la costruzione di abitazioni
e chiesa nuove. Sta di fatto che il 10 agosto del 1670
un progetto per la nuova casa di terza probazione,
mandato a Roma da Palermo per essere approvato,
non venne respinto. Fu però criticato, sia per la grandezza eccessiva della casa, sia per le proporzioni
della chiesa, ritenuta troppo lunga o troppo stretta13.
Nonostante il permesso di costruire, però, per molto
tempo nessun altro disegno fu mandato a Roma,
forse perché la situazione economica della casa di S.
Francesco Saverio, in ogni modo, non avrebbe consentito l’avvio dei lavori.
Le prime notizie di un nuovo progetto, che doveva
tenere conto delle critiche esposte in precedenza
dalla procura romana, risalgono soltanto al 168014.
Nel 1684, finalmente, si poté porre la prima pietra15.
Per contenere la spesa, in un primo momento, fu
avviata soltanto la costruzione della chiesa, che fu
eretta a pianta centrale, secondo il disegno di Angelo
Italia16. Dopo un’interruzione dei lavori di sette anni,
nel 1697 una nuova donazione, da parte del facoltoso
padre gesuita Michele Bassani, ne consentì la ripresa17.
Nel 1700, quando Italia morì, la chiesa era quasi ultimata. Era ancora senza la finitura in stucco interna e
mancava il secondo ordine della facciata, ma, essendo già sul posto il materiale edilizio, il prospetto
della chiesa poté essere terminato entro il 170218. La
cupola fu innalzata dopo il 170319. Quando la nuova
chiesa di S. Francesco Saverio fu aperta al culto, il 24
novembre del 1711, i lavori di costruzione erano
ormai terminati20.
L’edificazione della residenza prese inizio circa un
quinquennio dopo la chiesa. Al disegno di Italia per
le abitazioni si riferisce una lettera del 9 novembre
1689 che padre Francesco Guarini, visitatore dei
Gesuiti in Sicilia, indirizzò a padre Giuseppe Maria
Aprile, provinciale dell’ordine a Palermo21. Guarini
scrisse da Polizzi Generosa, dove si era recato per
vedere il cantiere del nuovo collegio di questa città,
progettato anch’esso da Italia. Nella lettera il padre
visitatore esprimeva la sua piena soddisfazione
riguardo al disegno che Italia aveva predisposto per
le abitazioni di S. Francesco Saverio, ordinando al
provinciale di mettere «la mano all’opera per subito
finirla»22. Appena un anno dopo, però, quando ormai
era diventato più che evidente che la costruzione
delle abitazioni sarebbe stata rinviata, visto che la
casa di S. Francesco Saverio non era più in grado di
sostenere neppure la spesa della costruenda chiesa,
Guarini si adoperò per imporre che il disegno di
Italia, approvato a Roma, venisse rispettato quando i
lavori di costruzione sarebbero effettivamente iniziati23. Terminus post quem per la costruzione della casa è
dunque il 1690, ma, probabilmente, fu iniziata non
prima della metà degli anni novanta24. È certo che il
pianterreno doveva essere ultimato entro il 169825.
Nel 1700 la casa di S. Francesco Saverio riprese a funzionare, nonostante fosse ancora in costruzione26.
Finora la più antica rappresentazione conosciuta
della casa di S. Francesco Saverio era quella contenuta nel quadro intitolato «Descrizione del distretto
della parrocchia di S. Nicolò dell’Albergaria fatta
l’anno 1749»27. Nel quadro, dettagliato ma non del
tutto fedele, si vede il fronte lungo via Albergheria,
un edificio alto tre piani con un piano ammezzato tra
il primo e il secondo. Dietro questo edificio s’intravedono la chiesa e altre parti della casa tra cui i tre cortili, ognuno di forma diversa. Altri particolari ancora
si possono individuare in due fotografie in bianco e
nero, ritrovate nella fototeca della Bibliotheca
Hertziana a Roma e nell’archivio della
Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di
Palermo28. Altre due foto riferite al complesso sono
custodite presso l’Archivio di Stato di Roma. Nella
foto dell’Hertziana la casa è ripresa da ovest, dal
palazzo Reale [fig. 1]. Come nel quadro, nella foto si
vede il fianco che corre lungo via Albergheria con la
torre campanaria e la cupola della chiesa che spuntano da dietro. Dieci fasce verticali di pietra raggruppano i sedici assi di finestre in sette gruppi da due, in
maniera che i rimanenti due assi inquadrino la facciata ai lati. A metà altezza la facciata è percorsa orizzontalmente da una fascia marcapiano che separa la
parte inferiore, con pianterreno e piano ammezzato,
dal secondo e terzo piano. Nella foto della
Soprintendenza, in più, si riesce a vedere che i campi
di muro ritagliati dalle fasce verticali e orizzontali
sono inquadrati da cornici di pietra leggermente
rientranti rispetto allo stesso piano delle fasce. Nella
parte superiore della facciata un’altra fascia di pie-
53
Fig. 1. Palermo, veduta del volume della casa di S. Francesco Saverio
(Bibliotheca Hertziana, Roma).
tra, tesa tra queste cornici, separa le finestre del
secondo da quelle del terzo piano.
Dal punto di vista formale la facciata appena descritta si inserisce nella lunga serie di opere che ripetono,
per lo più in modo semplificato e con qualche
variante, la facciata del Collegio Romano29, ma Italia
non attinse probabilmente da questo prototipo, bensì
dalla facciata del Collegio Massimo di Palermo, dove
era stato adottato per la prima volta, già nel 1588,
l’esempio del Collegio Romano. In seguito, la facciata del Collegio Romano trovò il suo maggiore successo proprio presso i Gesuiti siciliani30.
Nelle due foto citate sono visibili tra l’altro, anche
una parte delle sedici botteghe citate da diverse
fonti, nonché le rispettive abitazioni dei bottegai al
piano ammezzato, contraddistinte, queste ultime, da
finestre con ringhiera31. La creazione di botteghe va
intesa come rimedio alla mancanza di mezzi finanziari, che oppresse in continuazione la casa di S.
Francesco Saverio durante tutto il Seicento.
Collocandole nell’ala nord-occidentale dell’edificio, i
Gesuiti cercarono di sfruttare a loro vantaggio il fatto
che, da quella parte, il terreno della casa confinasse
con la strada più importante del quartiere, la via
Alberghiera che collegava porta Montalto a sudovest con la piazza S. Maria del Carmine, l’odierna
piazza del Ballarò, non lontano dalla quale sorgeva
anche la casa Professa dei Gesuiti. La casa di terza
probazione, con le sue botteghe, si trovava al di sotto
di quel punto dove, a metà strada tra porta Montalto
e piazza Ballarò, la chiesa del Crocifisso, sporgendo
1
2
Fig. 2. G. Lazzara, pianta della città di Palermo, 1703, particolare
dell’area dell’Albergheria. È evidenziato il complesso della casa di S.
Francesco Saverio; 1) Piazza Ballarò, 2) Casa Professa dei Gesuiti.
nello spazio della via, creava una strettoia che separava la parte superiore di via Albergheria da quella
inferiore, più popolata e più propriamente intesa
come «Bergheria»32.
La destinazione della casa alla terza probazione,
incentrata su una vita piuttosto ritirata dal mondo,
senza funzione pubblica, si rifletteva sulla scelta dell’architetto di collocare gli ingressi principali sia
della casa, sia della chiesa, disposti abitualmente
nello stesso fronte, in posizione più riparata nell’ala
nord-orientale del complesso33. In questa posizione,
la facciata principale della casa era rivolta, comunque, verso il cuore del quartiere.
A questo punto bisogna spiegare, però, perché mai
Italia, avendo a sua disposizione tutto il terreno
acquistato nel 1633, abbia collocato la chiesa proprio
nell’estremo angolo orientale dell’area fabbricabile,
in maniera tale da dover ricorrere persino alla deformazione planimetrica di una delle cappelle angolari
per sistemare l’interno della chiesa dietro la sua facciata34. Una soluzione alternativa alla deformazione
della cappella sarebbe stata ovviamente quella di
spostare la chiesa e la facciata per qualche metro
verso nord-ovest; ma questo, a quanto sembra, non
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Fig. 3. Palermo, casa di S. Francesco Saverio, cortile (Archivio di
Stato di Roma).
trovò il favore dell’architetto. Evidentemente egli
cercava di sistemare l’ingresso della chiesa in asse
con una piccola strada che, da nord-est, giungeva
perpendicolarmente alla prospetto principale del
complesso, in modo da esaltare scenograficamente la
facciata della chiesa35 [fig. 2].
Come in un collegio o una casa professa, dall’ingresso principale della casa di terza probazione di S.
Francesco Saverio si entrava in un’ampia corte di
forma quadrata. Come mostra una delle due foto
dell’Archivio di Stato di Roma, questo cortile era circondato da porticati formati da colonne in pietra di
Billiemi sostenenti archi a tutto sesto36 [fig. 3]. Sopra
le colonne, tra i pennacchi delle arcate, mensole
capovolte sostenevano frammenti di fregi e cornici,
facenti da base a fasce di pietra che ripartivano verticalmente la superficie delle facciate dei dormitori
nei due piani superiori37. Nella foto si intravedono
anche fasce marcapiano e cornici di pietra che inquadrano campi di parete intonacati.
Mentre per le facciate dei piani superiori Italia adottò lo stesso linguaggio architettonico della facciata in
via Albergheria, cioè una variante semplificata del
prototipo romano, il modello architettonico e decorativo che scelse per i porticati del pianterreno va
ricercato, invece, nel cortile della casa Professa di
Palermo [fig. 4]. Da questo cortile derivano la soluzione d’angolo con le due colonne addossate ad un
pilastro quadrato e altri particolari, come le punte di
diamante inserite nei pennacchi degli archi o i rombi
che ornano i piedestalli delle colonne.
Fig. 4. Palermo, casa Professa dei Gesuiti, cortile.
Fig. 5. Palermo, collegio dei Gesuiti, scalone del primo cortile
(Bibliotheca Hertziana, Roma).
55
Fig. 6. Palermo, cortile della casa di S. Francesco Saverio, portale
(Archivio di Stato di Roma).
Fig. 7. Studio per un portale, XVII secolo (dall'album di Talman,
fol.1, Sotheby’s Picture Library).
Complessivamente, però, le arcate della terza probazione erano più semplici di quelle che circondano il
cortile della casa Professa. Le singole forme sono più
grossolane, il chiaroscuro è più intenso, il tutto
dominato da un verticalismo più accentuato38. Le
stesse caratteristiche si riconoscono anche in altre
opere di Italia che furono realizzate durante lo stesso periodo, per esempio nella scala monumentale del
primo cortile del Collegio Massimo39 [fig. 5].
Particolarmente interessante è il portale che si vede
nella seconda delle due foto rinvenute presso
l’Archivio di Stato di Roma [fig. 6]. Per spiegare le
scelte artistiche di Italia, che Blunt forse avrebbe
visto come ulteriore prova della presunta arretratezza dell’architettura siciliana rispetto al barocco
romano40, sembra invece molto appropriato la considerazione di Boscarino il quale ricorda come nella
«civiltà architettonica» siciliana i fatti architettonici
«non sono dovuti soltanto alle élites culturali egemoni, ma anche all’attività, che poi è la più vasta e più
importante, delle maestranze locali»41. A questo
riguardo va ricordato, soprattutto, la formazione di
Italia come intagliatore nella bottega paterna a Licata
e a Mazzarino. Lì, come pure in altre città siciliane,
che si trovavano lontane dai principali centri di cultura isolani, scultori e architetti continuarono ancora
per molto tempo a elaborare le stesse forme, approdate in Sicilia nell’ultimo quarto del Cinquecento42
[figg. 7-8-9].
Andrebbe spiegato, inoltre, perché Italia per la chiesa di S. Francesco Saverio, pare, abbia tenuto presente la chiesa di S. Lucia al Borgo a Palermo43. Sembra
che negli anni ottanta e novanta del Seicento le scelte stilistiche di Italia si inseriscano in un più vasto
movimento caratterizzato da un voluto ritorno a
modelli del «primo barocco siciliano»44. Proprio la
chiesa di S. Francesco Saverio è un’espressione tipica
di quel clima culturale che l’architetto Paolo Amato
aveva creato a Palermo sin dal 1679, quando, con i
suoi disegni per il S. Giuliano e il SS. Salvatore, elaborati sull’esempio delle due chiese palermitane di
S. Mattia e S. Carlo Borromeo, aveva riproposto il
cinquecentesco tema della pianta centrale con asse
principale allungato45.
Per comprendere meglio il significato delle scelte
formali, effettuate da Italia, è utile, ancora, indagare
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Fig. 8. Studio per un pilone di portale, XVII secolo (dall'album di
Talman, fol.23, Sotheby’s Picture Library).
Fig. 9. Studio per un portale, scuola fiorentina del Seicento
(collezione Umberto Osio, Bibliotheca Hertziana).
sulla sua attività come architetto della Compagnia di
Gesù, partendo dal contributo che questo architetto
aveva portato alla costruzione del Collegio dei
Gesuiti a Mazara, dove Italia era stato coinvolto, dal
1673-74 al 1677-78, come capo mastro46. In questa
funzione avrebbe dovuto eseguire il progetto che in
precedenza era stato approvato a Roma47. Come solitamente avveniva, il progetto consisteva nella sola
pianta dell’edificio, perciò Italia si sentì libero di
aggiungere rilievi e sculture alle cornici delle finestre
e al portale48 [fig. 10]. Questi ornamenti dimostrano
come egli, già allora, si indirizzò verso forme stilistiche radicate nella tradizione e ispirate soprattutto
alla scultura del manierismo nel centro d’Italia49.
Inoltre, Italia decise di alzare le arcate, che a Mazara
dovevano circondare il cortile delle scuole, su colonne, anziché su pilastri come previsto nel disegno
approvato50. Con questo cambiamento egli riusciva
efficacemente ad adeguare il disegno alla particolare
tradizione siciliana che sin dall’inizio fu presente
Fig. 10. Mazara, Collegio dei Gesuiti, portale.
57
all’interno del “modo nostro” dei Gesuiti. Come
abbiamo accennato sopra, questo specifico modo di
costruire dei Gesuiti siciliani si riconosceva nel
Collegio Massimo, progettato, tra il 1599 ed il 1619,
dall’architetto gesuita Natale Masuccio. Anche
Masuccio, a suo tempo, partì da un progetto approvato a Roma e firmato, intorno al 1592, dall’architetto ufficiale della compagnia, padre Giuseppe
Valeriano51. In conformità a questo disegno le arcate
nel cortile del Collegio Massimo avrebbero dovuto
presentare pilastri, come nel Collegio Romano, progettato da Giovanni Tristano e, per quanto riguarda
la facciata, dallo stesso Valeriano tra il 1560 ed il
1580. Masuccio, però, preferì colonne52. Con la sua
scelta Masuccio gettò le fondamenta per una tradizione siciliana del “modo nostro” dei Gesuiti.
L’opera di Italia a Mazara e Palermo si inserisce in
questa tradizione regionale53.
Le poche notizie sull’edificio sono così sintetizzate da Rosario La Duca: «casa gesuitica costruita dal 1636 al 1680. Casa di educazione della bassa gente (1778). Ospedale Militare (1800). Ospedale Civico (1852). Demolito per la costruzione di un pensionato universitario (1961)». R. LA DUCA, Repertorio bibliografico degli edifici pubblici e privati di Palermo. Parte prima: gli edifici entro le mura, Palermo
1994, p. 252.
2
Per Italia ci limitiamo a segnalare i contributi più recenti: L. SARULLO, Dizionario degli Artisti Siciliani, vol. I, Architettura, a cura di
M.C. Ruggieri Tricoli, Palermo 1993, p. 230; S. BOSCARINO, Sicilia barocca: architettura e città 1610 –1760, [Roma 1981], III ed. aggiornata a cura di M. R. Nobile, Roma 1997; F. GRINGERI PANTANO, La città esagonale, Palermo 1996; C. D’ARPA, Il contributo dell’architetto
Angelo Italia al cantiere della chiesa di Sant’Angelo di Licata, in «Lexicon», vol. 0 (2000), p. 39-52; ID., Il prospetto chiesastico a due campanili in area agrigentina nel tardo Settecento, in Dal tardobarocco ai neostili, a cura di G. Pagnano, atti della giornata di studio (Catania, 14
novembre 1997), Messina 2000, pp. 63-73.
3
Nova confirmatio instituti Societatis Jesu, cfr. Institutum Societas Iesu, vol. I, Firenze 1892, p. 92.
4
«Scolastici [...] tertium Probationis annum in Domibus Probationum peragant; quod si hoc commode fieri non possit, in Domibus
Professis vel in Collegiis, iuxta Regulas Novitiatus»; da Regulae Provincialis, Prov. n.68, in Institutum... cit., vol. III, p. 80.
5
«Domus tertia probationis in omnibus Provinciis erigendae»; da Congregatio Generalis 20, decretum 12, numero 7, in Institutum... cit.,
vol. II, p. 471.
6
Ordinationes Praepositorum Generalium, caput 3: De tertio anno probationis, in Institutum... cit., vol. III, p. 262.
7
Nel 1679 esistevano sette case destinate al secondo noviziato, e precisamente a Palermo (1633-34), Messina (1634), Telez (1655, provincia di Boemia), Ettlingen (1663), Gandia (provincia di Aragon), Lyre (provincia flandrobelga) e Alten Öttingen. Cfr. Catalogus
Provinciarum Societatis Iesu, Anno 1679; Archivum Romanum Societatis Jesu (da ora in poi ARSI), Sicula (da ora in poi Sic.) 134, ff.
174v-199v. Per Palermo cfr. anche nota 9.
8
Cfr. ARSI, Sic. 200, II, doc. II, f. 391-394. Cfr. la copia del testamento della marchesa (ARSI, Sic. 200, II, doc. III, ff.395r-406v) e la relazione De fundatione Domus tertiae Probationis Panormitane Comentarius, 1633 (ARSI, Sic. 200, II, doc. I, ff. 387-390), noché i relativi documenti dell’Archivio di Stato di Palermo (da ora in poi ASP) citati in A. I. LIMA, Architettura e urbanistica della Compagnia di Gesù in
Sicilia: secoli XVI-XVIII, fonti e documenti inediti, Palermo 2001, p. 44. Per altre donazioni minori vedi ARSI, Sic. 200, II, ff. 544r-v, f.
545v; cfr. nota seguente.
9
«Ora in quest’anno 1633 si vide aggiunta una quarta casa destinata alla Terza Probazione de’ Nostri, che forse fu la prima in tutta
la Comp[agni]a che fosse eretta a tal fine [...] D. Giovanna Beatrice Aragona, e Ventigmiglia, Marchesa di Cerratana [...] determinò
di fondarla in vita, spogliandosi della somma di 25. mila scudi, che di presente offerse. Vi contribuì anche del suo altri 14. mila scudi
il nostro P. Carlo Maria Ventimiglia, cugino di lei. Parte di tutta somma si impiegò subito nella compera di una casa ben’ampia, accomodata al numero de’ soggetti, nel quartiere detto l’Alberghería, di aria salubre: e per que’ primi tempi vi si fabbricò una mediocre
chiesa sotto titolo di S. Fran[ces]co Saverio, la quale si aprì con molta solennità nel 1634. a 25. di Marzo, quando vi si esposero per 4.
giorni le 40. Ore della Città, e venne a celebrarvi la prima messa solenne l’Arcivescovo di Palermo P. Gioannettino Doria Cardinale»;
Historia Collegiorum, ARSI, Hist. Soc. 134, f. 145-146. Cfr. ARSI, Sic. 200, II, doc. I, De fundatione Domus teritae Probationis Panormitane
Comentarius, 1633, f. 387r-v.
10
Cfr. ARSI, Sic. 134, f. 165v.
11
Cfr. la relazione di padre Castelletti della casa Professa di Palermo (ARSI, Sic. 200, II, ff. 540v-550r). Alla relazione di Castelletti si
riferisce una lettera del generale Mercuriano (Roma, 1669?): «Havendo letto la relatione mandata dal P.re Provinciale intorno al temporale della casa di terza Probatione di Palermo, ritrovo essere in malissimo stato, per gli’impieghi mal fatti nel principio della fondatione, parte nelle Case gettate per il sito, che è convenuto pagarli oltre il prezzo, per le grosse spese fatte nelle liti, e principalm.te
per la mala amministratione dè Proc.ri; onde stimo non sia in stato di riaprirsi, ma ben sì porre in esecutione i ripieghi proposti, et
1
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58
approvati nella consulta della Provincia, sin che piaccia à Dio si rimetta in stato migliore»; ARSI, Sic. 200, II, f. 540r.
12
In una lettera padre Niccolò Bugio riferisce al gernerale Oliva che «[la casa di] S. Saverio, dove p[er]che sta in fabrica non vi stanno de n[ost]ri, ma un Capellano, che neanche dimora in casa…»; ARSI, Fondo Gesuitico, Epistolarum Colectio, vol. 703, fascicolo I.
13
«La pianta mandata da Sicilia rappresenta un’abitazione assai comoda per 25 o vero 30 persone ma quando non fosse per un collegio tanto numeroso, non veggo a che effetto si faccia una fabbrica tanto ampia. Circa la Chiesa, mi pare che sarebbe più proportionata se fosse più corta o vero più larga». Il brano è riportato in A. MANGANARO, La chiesa di S. Francesco Saverio in Palermo ed il suo
architetto, Palermo 1940, doc. III, p. 81.
14
Ivi, p. 18 e doc. IV, pp. 82-83.
15
Ivi, doc. XI, p. 100.
16
Per i riferimenti bibliografici sulla chiesa di S. Francesco Saverio si rimanda a: S. BOSCARINO, Sicilia... cit., pp. 121-123; E. DI GRISTINA,
E. PALAZZOTTO e S. PIAZZA, Le chiese di Palermo, Palermo 1998, pp. 89-94; La Chiesa di San Francesco Saverio: arte, storia e teologia, a cura
di C. Scordato, Palermo 1999; La Chiesa di San Francesco Saverio: dalla fabbrica alla suppellettile, a cura di C. Scordato, Palermo 2003.
17
Cfr. ASP, Fondo Corporazioni Soppresse, casa S. Saverio, serie O, vol. 244, cautele dell’eredità di padre Bassano; indicazione riportata in A. MANGANARO, La chiesa... cit., p. 29.
18
«Nota di Benefici fatti alla casa di S.to Xav.o di Pal.mo in tempo del Padre Carlo Nicolò Biancardi [...] Hà speso [Onze] 565.23.3 in fare
la nova affacciata della nova chiesa [...] Padre Carlo Nicolò Biancardi. Padre Girolamo Indico Rett.e.»; ARSI, Fondo Gesuitico, Bd. 500, ff.
493v-r.
19
Cfr. A. MANGANARO, La chiesa... cit., pp. 30-31. L’attuale cupola di S. Francesco Saverio non corrisponde al progetto originale. Per
la cupola prevista da Italia si veda la raffigurazione della chiesa nella pianta di Gaetano Lazzara del 1703 [fig. 2] e la soluzione adoperata dallo stesso architetto per la chiesa di S. Girolamo a Polizzi Generosa.
20
Cfr. l’iscrizione nella parete sinistra del vestibolo della chiesa e F. LO PICCOLO, Diari palermitani inediti (1557-1760), Palermo 1999, p.
88. Secondo Gaspare Palermo la chiesa sarebbe stata benedetta il 27 novembre 1710 dal rettore della casa di “terza probazione”,
padre Antonio Lancella, e aperta al pubblico tre giorni dopo; cfr. G. DI MARZO FERRO, Guida istruttiva per Palermo e suoi dintorni.
Riprodotta su quella del Cav. D. Gaspare Palermo, Palermo 1858, rist. an. Palermo 1984, p. 423.
21
ASP, Fondo Corporazioni Soppresse, casa S. Saverio, serie O, vol. 244; cit. in A. MANGANARO, La chiesa... cit., doc. LV, p. 154.
22
«Ho parlato appieno col fratello Angelo intorno alla abitazione da farsi per questo tempo in S. Francesco e molto mi piace il disegno di detto fratello e tanto più acconsento quanto sarà cosa durevole e della stessa spesa con più comodità e sicurezza di clausura.
Egli col suo ritorno [da Polizzi Generosa] comunicherà alla S. V. il tutto e Lei metterà la mano all’opera per subito finirla se pure non
ci avrà ella cosa in contrario. Con che mi raccomando a Santi Sacrifici»; ASP, Fondo Corporazioni Soppresse, casa S. Saverio, serie O,
vol. 244; cit. in A. MANGANARO, La chiesa... cit., p. 154, doc. LV.
23
Da una lettera del 10 luglio 1690 di padre Guarini rivolta al provinciale Aprile: «Farà S.V. registrare negli ordini quanto qui soggiongo per ordine di N.ro P.re il quale comanda in virtù di S.ta Ubidienza e sotto peccato mortale che non si possino mutare neppure in parte quei disegni delle fabriche delle nostre Case e Chiese che sono stati approvati in Roma...»; ASP, Fondo Corporazioni
Soppresse, casa S. Saverio, serie O, vol. 244; cit. in A. MANGANARO, La chiesa... cit., p. 133, doc.XXXI.
24
Cfr. nota precedente e anche Collegium S.ti Xaverij Parnorm.: est suspensum, donec aedificetur; ARSI, Sic. 163 (catalogus brevis, 1691), f. 253v.
25
Nel 1698 la casa di S. Francesco Saverio iniziò a ricavare affitti dalle botteghe ed appartamenti che erano stati allestiti al pianterreno e al piano ammezzato nell’ala di via Albergheria. Nel 1699 questi affitti ammontavano a quasi un quinto delle entrate complessive della casa: «Stato del Coll.o di S. Saverio di Pal.o [...] introito [...] dal p.mo [settem]bre 1698 p[er] tutti li 31 Agosto 1699 [...] Da
locri di case, e botteghe p[er] l’an[no] 1699 [onze] 413»; ARSI, Fondo Gesuitico 486, f. 118v.
26
«Domus 3.a Prob.is Panorm.: Alit ex nostris sex [...] habet redditus [onze] 3728 qua summa deducenda sunt [onze] 1622 ab annuus
census [...] sed aedifari debet ecclesia, et domus»; ARSI, Sic. 94 (catalogus triennalis tertius, 1700), f. 47. Nel 1721 divenne la residenza
dei dodici missionari gesuiti attivi in Sicilia e con loro anche il fondo per la missione siciliana pervenne alla casa di “terza probazione”; ARSI, Fondo Gesuitico 1605, fasc. 126.
27
Il quadro è conservato al museo Diocesano di Palermo. Per una sua riproduzione cfr. A. I.LIMA, Architettura... cit., p. 48, fig. 37. Cfr.
il disegno del «Prospetto principale dell’Ospedale dei Militari in S. Francesco Saverio...»; 1824 ca., Galleria Regionale della Sicilia,
Gabinetto di Disegni e Stampe, n. inv. 1148.
28
Roma, Fototeca della Bibliotheca Hertziana, U.PI.D 56867 (fotografo Schwarz) e Regione Siciliana, Soprintendenza BB. CC. AA. di
Palermo.
29
Per la facciata del Collegio Romano ci limitiamo a segnalare P. PIRRI, Giovanni Tristano e i primordi dell’architettura gesuitica, Roma
1955, pp. 268-285; E. BELTRAME QUATTROCCHI, Il Palazzo del Collegio Romano e il suo autore, in «Quaderni di storia dell’arte», IV, Roma
1956; R. BÖSEL, Jesuitenarchitektur in Italien, 1540-1573, Vienna 1985, pp.182-188; N. KADIRI, Un progetto per il Collegio Romano, in Dieci
tesi di restauro (1982-1985), Roma 1987; S. BENEDETTI, La prima architettura gesuitica a Roma: note sulla chiesa dell’Annunziata e sul Collegio
Romano, in L’architettura della Compagnia di Gesù in Italia XVI-XVIII secolo, atti del convegno a cura di L. Patetta e S. Della Torre
59
(Milano 24-27 ottobre 1990), Genova 1992, pp. 57-67.
30
Si vedano in merito le facciate dei collegi di Trapani, Salemi, Sciacca ed Alcamo. Cfr. R. BÖSEL, Typus und Tradition in der Baukultur
gegenreformatorischer Orden, in Römische Historische Mitteilungen, vol. 31 (1989), p. 243; ID., Tipologie e tradizioni architettoniche nell’edilizia della Compagnia di Gesù, in L’architettura della Compagnia di Gesù... cit., p. 14.
31
«Relat[io]ne della fabrica [...] nella parte della strada maestra del SS.mo Crocifisso» fascicolo legato in ASP, Fondo Corporazioni
Soppresse, casa S. Saverio, Serie O, Vol. 244. Cfr. anche l’elenco dei possedimenti della casa di S. Francesco Saverio nel 1778 in F.
RENDA, Dalle riforme al periodo costituzionale 1734-1816, in Storia della Sicilia, vol.VI, Napoli 1978, p. 378: «Numero 16 botteghe con
camere sopra, nel quartiero dell’Albergheria, stada maestra di essa, sotto il dormitorio della casa di S. Francesco Saverio...».
32
Nel Sei-Settecento il quartiere del Albergheria era quello con la maggiore densità popolare della città, come risulta anche dalla
«Numeratione dell’anime» del 1714: «... Matre Chiesa - n. 18.444, S. Nicolò l’Albergaria - n. 20.108, S. Antonio - n.7.500, S. Ippolito n. 11.064, S. Croce - n. 7.695, S. Giacomo - n. 7.540, la Calsa - n. 9.650, S. Margarita - n. 4.569, Burgo - n. 1.400 ...»; cfr. F. LO PICCOLO,
Diari... cit., p. 100. Per le antiche denominazioni dell’odierna via Alberghiera, cfr. N. BASILE, Palermo felicissima, vol. 3, Palermo 1978,
p. 146.
33
Cfr. la foto in G. DI BENEDETTO, Palermo tra Ottocento e Novecento. La città entro le mura, Palermo 2001, p. 49.
34
Ben visibile nei disegni di rilievo riportati in V. PALAZZOTTO, Angelo Italia e S. Francesco Saverio in Palermo, Palermo 1977.
35
Per questa strada, non più esistente, si rimanda alla cartografia storica di Palermo.
36
Sedici colonne e quattordici archi formavano i porticati di due lati di questo cortile. Al pianterreno dell’ala nordorientale, a destra
o a sinistra dell’ingresso, c’era la sala per la congregazione di S. Francesco Saverio. Cfr. Relatione... cit. alla nota 31.
37
L’unica planimetria dell’edificio che si conosce è un progetto di trasformazione in ospedale militare di Nicolò Puglia. Dai disegni
relativi a questo progetto non è possibile rilevare, però, se sopra i porticati c’erano stanze o piuttosto il corridoio. Cfr. A. I.LIMA,
Architettura... cit., p. 86, fig. 67.
38
È caratteristico del linguaggio artistico di Italia la trasformazione della trabeazione, che nel cortile di casa Professa gira al di sopra
delle arcate, in una linea spezzata di console sostenute da volute e frammenti di cornice. Altrettanto tipico è il tratto più lungo dello
stesso cornicione spezzato utilizzato da Italia come balcone; cfr. fig. 5.
39
Per la bibliografia sul collegio di Palermo si rimanda alla monografia più recente: V. SCUDERI, G. SCUDERI, Dalla Domus Studiorum
alla Biblioteca Centrale della Regione Siciliana. Il Collegio Massimo della Compagnia di Gesù a Palermo, Palermo 1995.
40
Cfr. A. BLUNT, Barocco siciliano, Milano 1968, pp. 8, 16.
41
«... Questi artefici erano certamente influenzati dai protagonisti e dalle opere realizzate nelle città più importanti e nelle quali erano
più riconoscibili i nuovi linguaggi, ma per esperienza giornaliera questi venivano verificati con quella che si può chiamare la loro
civiltà architettonica. Questa raggruppava quella somma di tradizioni e di elaborazioni tecniche e linguistiche, quasi idioma [...] le
quali affondavano le loro radici non soltanto nelle opere del Cinquecento, che le precedevano, ma ancora in quelle più lontane risalenti all’età medioevale ...». S. BOSCARINO, Sicilia... cit., 1997, pp. 12-13. Cfr. anche S. BOSCARINO, M. R. VITALE, L’architettura barocca in
Sicilia fra linguaggi colti ed espressioni dialettali, in «Annali del barocco in Sicilia», vol. 6 (1999), 2002, pp. 11-17.
42
Cfr. per esempio i festoni di frutta che nei due edifici ornano le cornici dei portali; cfr. figg. 4, 6. Per quanto riguarda il tipo di portale al quale Italia si riferisce cfr. per esempio la serie di disegni nel cosiddetto album di Talman, soprattutto fol. 1 (portale, Italia,
XVII secolo; foto: Sotheby’s, n. 3 M 95892) [fig. 7], fol. 23 (pilone di portale, Italia, XVII secolo; foto: Sotheby’s, n. 3 M 95904) [fig. 8];
e fol. 40 (portale, Italia, XVII secolo; foto: Sotheby’s, n.3 M10311); oppure il disegno per un portale pubblicato come «scuola fiorentina del Seicento (L. Cigoli?)» in G. FUSCONI, I disegni di architettura nella collezione Umberto Osio, in «Il disegno di architettura», n. 2122, ottobre 2000, pp. 26-33 [fig. 9]. In merito cfr. soprattutto i contributi di D. GARSTANG, Origin and early developement of marbeling in
Palermo, in «Antologia di belle arti», ns., vol. 52-55 (1996), pp. 80-99; ID., Marmi mischi a Palermo: dalla nascita del vernacolo all’abside di
casa Professa, in Splendori di Sicilia, a cura di M.C. Di Natale, catalogo della mostra, Palermo 2001, pp. 152-169.
43
Vincenzo Di Giovanni (1615 c.) suggerisce una datazione di questa chiesa nel periodo del viceré Maqueda, cioè tra il 1598 ed il 1601.
Cfr. V. DI GIOVANNI, Palermo restaurato, (ms. 1615 c.), a cura di M. Giorgianni e A. Santamaura, Palermo 1989, pp. 104-105. Della chiesa, oggi andata distrutta, esistono tre foto nell’archivio Cappellani di Palermo. Non conosco ancora le conclusioni alle quali è giunta, a
proposito della chiesa di S. Lucia al Borgo, la dott.ssa Anna Giordano dell’Università di Palermo nella sua recente tesi di dottorato.
44
Cfr. R. WITTKOWER, Art and Architecture in Italy 1600-1750, Harmondsworth/Middlesex 1958, n. ed. New Haven 1999, vol. I, p. VII.
Per Boscarino «la vicenda siciliana» del barocco iniziò tra il 1620 ed il 1630. Cfr. S. BOSCARINO, Sicilia... cit., pp. 12, 14 e 95; cfr. anche
S. BOSCARINO, M. R. VITALE, L’architettura... cit. Per le difficoltà metodologiche di definire epoche e stili cfr. J. A. SCHMOLL, gen.
Eisenwerth, Stilpluralismus statt Einheitszwang - Zur Kritik der Stilepochen-Kunstgeschichte, in Studien zur Kunst des 19. Jahrhunderts.
Beiträge zum Problem des Stilpluralismus, a cura di W. Hager e N. Knopp, (I ed. 1970) Monaco di Baviera 1977, pp. 9-19.
45
«Dopo una pausa di ‘silenzio’ di una generazione, alla fine degli anni settanta e nei primi anni ottanta del Seicento la riflessione
sugli spazi centrici cupolati raggiunse uno sviluppo intenso grazie soprattutto agli architetti Paolo Amato e Angelo Italia», da M. R.
NOBILE, Il noviziato dei Crociferi. Misticismo e retorica nella Palermo del Seicento, Palermo 1997, p. 27. Per questo argomento cfr. anche W.
Lexicon - n. 2/2006
60
LOTZ, Die ovalen Kirchenräume des ‘Cinquecento’, in «Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte», vol. 7, 1955, pp. 7-99.
46
Per la presenza di Italia a Mazara cfr. il Catalogus Primus eunte anno [1675]: «… qui morantur Mazariae, et Regalbuti Anno 1675: Angelus
Italia, Alicatetensis … Architectus et Sculptor»; ARSI, Sic. 71, f. 131, n. 2; cfr. inoltre ARSI, Sic. 74, p. 33 e Sic. 162, f. 43r; Sic. 162, ff. 82,
121; 1681 non indicatur; e Catalogus triennalis primus 1678, Coll. Panorm.: «... Angelus Italia ... Architectus»; ARSI, Sic. 74, p. 33, n. 157.
47
Cfr. J. VALLERY-RADOT, Le recueil de plans d’édifices de la Companie de Jésus conservé a la Bibliothèque Nationale de Paris, Roma 1960, n.
172-175. A nostro avviso, l’autore di questi disegni è l’architetto Michele Blasco (1628- 1685), perché lo stile grafico dei disegni somiglia molto a quello del disegno firmato «D. Michele Blasco», che Vallery-Radot pubblica con il n. 258, eseguito intorno a 1670. I disegni per il collegio di Mazara, invece, vanno datati tra il 1671 (fondazione del collegio; cfr. acceptatio e notitia in ARSI, Sic. 196,
Fundationes, vol. IV, I-M, ff. 114v-115r) e luglio 1674 (mancata approvazione del progetto; cfr. la lettera del generale del 18.08.1674 in
ARSI, Sic. 22, f. 173). Per il collegio di Sciacca cfr. A. I. LIMA, Architettura... cit., pp. 229-237 e 523. Per Blasco cfr. I. SCATURRO, Storia
della città di Sciacca, Napoli 1924-1926, vol. 2, pp. 253, 255; S. POLICASTRO, Grandi ed illustri Siciliani del passato dal VII secolo a.C. al 1968
d.C., Catania 1968, p. 67; S. BOSCARINO, Sicilia... cit., p.187; L. SARULLO, Dizionario... cit., p. 57.
48
ARSI, Sic. 23 I, f. 57r, f. 58v, f. 71v, f. 81v.
49
Cfr. per esempio gli atlanti inseriti nel portale principale del collegio [fig. 10] e le erme sui pilastri della cappella di S. Anna nella
chiesa del Gesù a Palermo (D. GARSTANG, Origin and early developement... cit., fig. 26, p. 92, 93). Per gli atlanti di Mazara cfr. inoltre la
cosiddetta fontana dell’organo di Pirro Ligorio nella Villa d’Este a Tivoli (1568), nonché la facciata esterna di Porta Nuova a Palermo.
50
Anche i portali e gli altri ornati nel cortile del collegio di Mazara sono da attribuire all’intervento di Italia; cfr. A. I.LIMA,
Architettura... cit., p. 422, figg. 472, 474; cfr. il portale di fronte al portale d’accesso al cortile (ivi p. 425, fig. 480) con quelli che nei cortili palermitani di casa Professa (ivi pp. 342-343, fig. 289) e della terza probazione [fig. 6] si trovano nella stessa posizione.
51
Il progetto di Valeriano corrisponde ai disegni riportati in J. VALLERY-RADOT, Le recueil... cit., n. 228, 229 e 230.
52
I porticati su colonne, che circondano il primo cortile del collegio, furono ultimati prima del 1619; ARSI, Sic. 61, f. 253; in A. I.LIMA,
Architettura... cit., p. 43. A differenza del centro d’Italia, i Gesuiti siciliani preferirono le arcate su colonne anche all’interno delle loro
chiese a pianta basilicale, secondo una lunga tradizione dell’isola che affonda le radici, come è stato più volte notato, nelle grandi
basiliche di epoca normanna.
53
Un altro esempio palese dell’affermazione, nell’opera di Italia, di una tradizione architettonica particolare dei Gesuiti siciliani è,
nel 1693, la riedificazione della chiesa del collegio catanese secondo la pianta realizzata dal suo predecessore, Tommaso Blandino,
nelle chiese collegiali di Trapani e Catania, rispettivamente tra il 1606 e il 1631 e nel 1623.