Natale Speciale Le origini della data DEL NATALE Perché cade il 25 dicembre? di Laura Di Palma I n epoca pagana veniva cele‑ brata una festa il 25 dicembre giorno in cui, secondo la riforma del calendario attuata da Giulio Cesare cadeva il solstizio d’inverno; in quel giorno, il sole finisce di calare e ricomincia a crescere, portando con sé la rinascita della vita e della natura. Proprio in quella giornata, dunque si festeggiava la nascita del nuovo sole e la rinascita della natura e si celebra‑ vano anche le divinità che al sole legavano il proprio culto, ad esempio il dio Mitra, che essendo divinità solare veniva ricordato proprio il 25 dicembre. Essendo largamente diffusi in varie cultu‑ re i festeggiamenti legati al cambio delle sta‑ gioni, la maggior parte delle persone arrivò alla conclusione che, cadendo il 25 dicembre, il Natale celasse in realtà questa festa pagana. Il fatto che nel Vangelo non si parlasse di un momento preciso, di una stagione, di un giorno o di un anno per la nascita del Salvatore e che fosse poi stata scelta la data del 25 dicembre, aiutò molto la diffusione dell’idea che il Natale cristiano andasse in realtà a coprire, e ad offuscare, la preceden‑ te festa pagana che cadeva proprio in quel giorno, e si diffuse l’idea che la Chiesa avesse scelto proprio questa data per permettere che la Natività del Signore andasse a coprire la festività pagana di minor importanza. In realtà, ci sono molti studi sull’origine dell’anno liturgico che dimostrano come il Natale sia realmente una festa di origine cristiana e che, dunque, non abbia nulla da spartire con il paganesimo. Per capire il motivo per cui Natale cade proprio il 25 dicembre, è necessario soffer‑ marsi un po’ su tutto il calendario. Il calendario cristiano è costruito sui sol‑ stizi e gli equinozi di due personaggi impor‑ tanti: Gesù Cristo e Giovanni il Battista. I Vangeli ci narrano come Giovanni il Battista fu concepito 6 mesi prima di Cristo: non a caso la Chiesa festeggia la sua natività il 24 giugno, giorno del solstizio d’estate. In quel periodo dell’anno, il sole comincia a decadere, e questo può richiamare alla memoria le parole del Battista, il quale dice: “Occorre che io diminuisca perché Lui cresca”. A livello astronomico, infatti, nel pe‑ riodo che va da dicembre a giugno, il sole è alto, come alto è Gesù Cristo. La data scelta per il Natale è strettamente connessa con gli eventi della salvezza. Secondo il calendario solare giuliano, il 25 marzo, giorno dell’equi‑ nozio di primavera, cadrebbe il giorno della morte di Gesù. Un problema sorge però dal fatto che la comunità ebraica ha un calendario lunare, mentre il calendario giuliano è appunto solare. Tra i due cicli, quello solare e quello lunare, c’è una differenza di circa 12 giorni. Quando la comunità ebraico‑cristiana si spo‑ sta da un sistema astronomico all’altro c’è una specie di traduzione che calcola la data della morte di Cristo al 25 marzo. In realtà, secondo un’antica tradizione, la Pasqua, che dovrebbe essere celebrata tre giorni più tardi, diviene una festa mobile, che varia cioè di anno in anno pur che cada tra il 22 marzo ed il 25 aprile legata dunque agli eventi lunari; di contro alla tradizione della Pasqua mobile si pone una corrente conservatrice che proponeva di fissare la Pasqua sempre il 25 marzo. Tuttavia prevalse la prima corrente e anche se la Pasqua è per noi una festività mobile, il 25 marzo, la Chiesa ricorda la morte di Gesù, ma anche, dal punto di vista liturgico, il giorno dell’Annunciazione, e cioè il giorno in cui Cristo divenne carne e fu concepito. Calcolando nove mesi, la data che otteniamo è proprio quella del Natale, ossia del 25 dicembre. Il 25 marzo, dunque ricordiamo tre incar‑ nazioni, la morte dell’uomo vecchio, Adamo, che sarebbe anche stato concepito in questo giorno e del quale ritroviamo simbolica‑ mente il teschio sotto la croce di Cristo, la nascita dell’Uomo nuovo, che coincide con la morte di Gesù e il germogliare della nuova vita, dove la croce è nuovo albero, e la sua incarnazione nel grembo della Vergine Maria. 2012 TRA CRISTIANESIMO E PAGAnesimo Babbo Natale P er parlare di Natale, mi sof‑ fermerei su una figura semi pagana del periodo, quale Bab‑ bo Natale. Il termine “Babbo Natale” è però una traduzione italiana dell’originale Santa Claus. Il 6 dicembre di ogni anno è la festa di San Nicola di Bari, ossia proprio di Santa Claus, il cui corpo, si narra fosse stato trafugato dall’Oriente, per essere portato in Occidente nel periodo delle Crociate ed è tuttora ogget‑ to di una grande venerazione. Questo Santo divenne celebre anche perché tra i vari suoi patronati, c’era quello legato alla protezione dei bambini, ed in particolare, dei bambini e dei ra‑ gazzi studenti. Nel Medioevo, dunque, l’usanza del 6 dicembre era quella che prevedeva che i bambini ed i ragazzi si astenessero dalle lezioni scolastiche, ma non solo: durante quella giorna‑ ta, in cui veniva festeggiato San Nicola, i bambinì ed i ragazzi erano al centro dell’attenzione, sfilavano per le strade e ricevevano regali. Nel periodo prima della Controriforma, la figura di San Nicola era rappresentata in abito da vesco‑ vo, con una cavallo bianco e accompagnato da tristi figuri, mostri che spaventavano i bambini. Questi mostri venivano poi sconfitti dal Santo, che premiava i piccoli con bellissimi doni. In seguito, la figura di San Nicola ha subìto una trasformazione, anche se in alcune zone della Germania e dell’Alto Adige, permane questa antica tradizione. La trasformazione avvenne nel periodo della Controriforma ed era legata a una finalità didattica: San Nicola avrebbe portato i doni soltanto ai bambini più buoni, mentre avrebbe lasciato ai mostri quelli più cattivi. Coloro che rispondevano esattamente alle domande sulla dottrina che lui poneva loro, venivano premiati mentre i bambini più “discoli”, non ricevevano alcun dono. In Francia, la figura del “mostro cattivo” è una specìe di uomo nero che si chia‑ ma “padre fustígatore”, mentre Babbo Natale si chiama “Père Noel”. E padre fustigatore, nel giorno di San Nicola usciva con lui facendo domande agli studenti e bacchettando quelli che non rispondevano adeguatamente. Nell’area protestante, dove i Santi erano stati messi da parte, era tuttavia rimasta nell’im‑ maginario comune l’idea di questo vescovo che portava i doni ai bambini. La trasformazione definitiva avvenne poi nell’Ottocento, dove la sua figura fu in parte decattolicizzata e si trasformò in quella del vecchio dispensatore di regali vestito di rosso e con la barba bianca. E bianco era un ricordo del colore dell’abito pontificale, mentre il rosso indicava, secondo l’antica tradizione pagana, il sole ed il suo sorgere. Dunque Babbo Natale divenne un portatore di doni con qualità cristiane e pagane secondo le quali si narra che il vecchio veniva dal nord e dal freddo. Freddo e neve richiamano un’idea di morte, contrastata dal calore del sole e della vita. Quando arriva l’inverno e il sole sta per morire, l’attività degli uomini è quanto più possibile legata ad atti di vita. L’idea che i bambini ricevano i doni a Natale, è legata ad un substrato psicologico connesso con la festa dei morti; nell’antichità, infatti, si pensava che il giorno dei morti, le anime ritornassero sulla terra per portar via con loro tutti quanti non le trattavano bene; ora, la prima donazione avvie‑ ne proprio il giorno dei morti, in cui i bambini si vestono da creature dell’aldilà impersonando le anime dei morti che tornano e chiedono di essere trattate bene: se sono trattati bene, se ne andranno, in caso contrario, combineranno guai. Inizialmente dunque i bambini ricevevano i doni, che chiedevano direttamente, il giorno dei morti, cosa che ancora oggi succede in al‑ cune zone della Sicilia, per esempio. Poi, furono introdotte una serie di figure sostitutive ed intermedie che facevano da mediatori perché i bambini ricevessero i loro doni: tra queste Santa Lucia, Babbo Natale, la Befana, Gesù Bambino ed i Re Magi. Dunque, nella tradizio‑ ne natalizia c’è in parte religiosità ed in parte, senza dubbio, paganesimo. Fino a quando esisteranno cristiani, Babbo Natale non avrà mai la supremazia sulla Nati‑ vità di Gesù. Anzi, il rischio paradossalmente è proprio il contrario. Coloro i quali hanno avuto modo d leggere i giornali in questi giorni, hanno potuto vedere come in Inghilterra sia in corso una sorta di celebrazione del Natale politicamente corretta, dove, sono stati tolti molti dei simboli natalizi tipici, per rispetto nei confronti di altre culture e religioni. Sono stati tolti di mezzo tra le altre i vari Babbi Natale, e le scritte Merry Christmas, cercando di lavo‑ rare più sull’idea di una festa legata al freddo, all’invemo e alle luci in una maniera più neutra. Da una parte dunque ci sarebbe un ritorno al paganesimo, dall’altra parte il problema è le‑ gato al fatto che si vuole mantenere la festività natalizia, tipicamente legata al cristianesimo, cercando di non offendere le altre religioni. L’accoglienza di una cosa simile in realtà è stata negativa anche da parte dalle stesse comunità islamiche che hanno affermato, at‑ traverso i loro rappresentanti, che ogni uomo deve essere libero di celebrare le proprie feste religiose. Senza dubbio, la festività natalizia è for‑ temente legata al commercio, all’aspetto commerciale della spesa per regali e orpelli vari e quindi occorrono le figure neutre di Babbo Natale e gli addobbi per incentivare il commercio e la spesa, che vanno contro in tutto e per tutto all’idea cristiana di Natale: non possiamo dimenticare infatti che Cristo, il Re dei Re, nasce in una grotta, nella miseria più totale. l.d.p. II Natale Racconto Il IlRacconto di Orazio Tognozzi da “Acqua che sbalza” A ccortasi della mia soli‑ tudine, Maria chiese ai genitori di due fratellini che abitavano in un piccolo borgo vicino denominato “In Fondo alla Scesa” di permettere ai loro figli di farmi visita. Erano un maschietto forte e tranquillo, ed una bambina della mia età, dalla carnagio‑ ne bianca, i capelli castani, il corpo snello. Si chiamava Luciana. Di modi graziosi, ciarliera. Accompagnava le parole con il sorriso, e con gesti rotondi delle mani. Avevano già avuto i gattoni, e perciò non c’era il timore del contagio. La prima, fu una visita di presentazione. Giunsero insieme alla loro mamma, si fer‑ marono poco oltre la porta, mi salutarono, s’impegnarono a tornare e ad insegnarmi a giocare a carte. M’accorsì che mi guardavano dubbiosi. Non dovevo essere brillante, con la febbre alta, la testa fasciata da una sciarpa, la faccia gonfia, impacciato da quel ronzio negli orecchi che, apparso in occasione della malattia, mi ha tormentato poi tutta la vita! Ebbì paura di non rivederli. Ritornarono alcuni giorni dopo. Spo‑ starono una sedia ciascuno collocandola accanto al mio letto, si sedettero, incomin‑ ciarono ad insegnarmi i giochi delle carte, usando un mazzo donato dal Lotti, il botte‑ gaio del loro minuscolo borgo. Sfogliammo poi un giornalino dell’”Uomo Mascherato” che il maschietto m’aveva portato in regalo. Il protagonista del fumetto, mi piacque per l’aspetto marziale, il mistero della maschera nera intorno agli occhi, il costume nero che ne metteva in risalto la muscolatura, le due fondine con le pistole di tipo militare. La Luciana, che era la prima della classe e stava cominciando ad imparare a leggere, sillabava per me i fumetti. Imparai a ricono‑ scere le carte, ed a giocare a rubamazzo e all’uomo nero. Scoppiavano delle belle risate, quando a qualcuno di noì ora dipinto un segno sopra la fronte con il carbone, come penitenza per esser rimasto in possesso dei fante di picche. La tramontana faceva cadere le ultime foglie dalle querce ed infilava degli spifferi gelati fin dentro il lettone. Un braciere rifor‑ nito frequentemente di carboni vivi, era stato collocato dalla Maria al contro dello spazio fra il gettone e la porta d’ingresso. L’unico risultato tangibile di questo provvedimento, era l’odore di fumo che pervadeva la stanza. Dopo alcuni giorni, i due fratellini interrup‑ pero le loro visite. Ne fui molto rattristato. Insistei con la Maria perché si recasse a chiederne notizie. Seppi che a casa c’era solo Luciana. Erano andati a trovare gli zii, i quali avevano trattenuto il maschietto. Convinsi Maria ad insistere, perché la piccola amica mi venisse a trovare. M’apparve sulla soglia della camera con in mano un giornalino nuovo dell’“Uomo Mascherato”. Prendemmo a giocare imitando i personaggi della storia. Avvicinandosi per darmi modo di vedere lo scritto, si mise a sillabare le frasi contenute nei fumetti. La sua mamma, quando venne a riprenderla, ci trovò addormentati. Lei sopra la sedia con il capo appoggiato al guanciale, io dentro il letto della quarantena. Giunse il Santo Natale. L’ultimo di guerra. Le bombe ed i tedeschi, erano ormai lontani. Per riprendere una vita normale, ci sareb‑ bero volute molto fatiche, e per avere un raccolto pieno, avremmo dovuto attendere due estati. Eravamo però convinti, che in fondo al tunnel ci aspettasse il sole. La sera della Vigilia, le sorelle costruirono un piccolo presepe con figurine disegnate su cartone, ritagliato in modo da lasciarvi alla base una striscia che serviva di sostegno. Molti valligiani iniziarono il giorno della Natività partecipando alla messa di mez‑ zanotte nella chiesa di S. Romano. Un Don Ciro deciso e segaligno, celebrò il sacro rito in un latino sonoro. Questo mi raccontarono le sorelle, che vi si erano recate insieme alla mamma. Mi fu consentito di raggiungere il babbo e la nonna accanto al fuoco. Il babbo Quel Natale mi raccontò la storia di un Natale di guerra sul fronte del Carso. Al termine del racconto, la nonna guidò la recita del Rosario. Dopo la prima sfilza d’Ave, mi raggiunse il sonno. Il giorno di Natale, in paese si commenta‑ va la presenza di soldati inglesi ed americani alla Santa Messa, la recita da parte loro delle preghiere in latino, il ricevere la Santa Co‑ munione, ed il salutare la gente con il porger della mano. Mi fu dato il permesso di sedermi a tavola. Entrato nella stanza riscaldata, vidi con meraviglia un piccolo pino che il babbo aveva tolto dal bosco, completo di barbe, e interra‑ to in un conchino da bucato vìcino alla porta d’ingresso. Una novità che aveva imparato dai militari inglesi, i quali avevano alzato un abete enorme nel piazzate della stazione, illuminan‑ dolo con lampade colorate. Vanna e Maria, avevano addobbato l’al‑ berello con batuffoli di cotone, a significare fiocchi di neve. Sopra alcuno pigne, dopo avervi praticato un foro con il succhio, il bab‑ bo aveva infisso delle candeline con la base avvolta nella carta stagnola tolta dalle stecche di cioccolato dono della zia Olimpia. Erano accese di sera con precauzione, durante la recita del Rosario. Appesi ai rami con fili di refe, vi erano delle noci, dei fichi secchi, delle mele ed alcuni mandarini. Al piede dell’albero, trovai un astuccio di legno a due ripiani, con quattro scanalature nella parte inferiore, dove erano disposti i lapis, i cannucci delle penne, le gomme e i pennini. Una piccola nicchia semicircolare che conteneva un temperamatite, ora scavata al principio dell’anta superiore, la quale ora completata da una parte mobile suddivisa in quattro scanalature, contenenti delle matite Fila. Questo piccolo capolavoro, terminava con un coperchio estraibile. Al centro del co‑ perchio, ora inserita un’asticciola sopra della quale, attraverso incisioni verniciato di nero, era riprodotto il doppio decimetro. Le parti laterali ed il coperchio dell’astuccio, erano ricoperti da uno strato di vernice trasparen‑ te, e abbelliti con festoni di foglie e di fiori finemente incisi, dipinti con colori vivaci. Alla domanda su dove lo avesse acqui‑ stato, il babbo rispose che ora epera di Luigi Maffucci, falegname in Valdibrana. Ritornando insieme in bicicletta dal mercato, “Gigino” manifestò la volontà di ricompensare il babbo, per l’assistenza al parto di una mucca. Gli fu chiesto un astuccio per me. Niente di più facile, per il discendente da una famiglia d’artigiani che tramandava di padre in figlio l’abilità del lavorare il legno, e costruirvi dalla casa all’infisso, dal soprammobile al mobile. Mentre osservavo il prezioso dono, avvertii nell’aria i profumi del pane e della schiacciata all’olio. La mamma e le sorelle misero il pranzo in tavola. Mangiammo la schiacciata calda e croccante. Consumammo lietamente la minestra di castagne, la carne in scatola con la polenta fritta. Fu un Natale di speranza, che terminam‑ mo recitando il Rosario stretti intorno al fuoco. Il salmodiare cadenzato di tutte le voci della famiglia, mi procurò come al solito il sonno. La notte, sognai d’essere ritornato nella casa sotto la stazione.Vagabondavo per il bosco, alla ricerca del capanno di frasche dove mi rifugiavo a fantasticare. Dopo Natale, vi fu una settimana di piog‑ gia. Ancora rintanato nel lettone, ascoltavo lo scrosciare dell’acqua sopra le lastre dell’aia. L’Epifania portò doni d’arance, di mandarini, di dolci fatti in casa con lo zucchero e la farina tolti dai tesori della zia Olimpia. Verso la metà di gennaio la pioggia cessò. La tramontana spazzò velocemente le nubi, il sole prese a brillare gelido e chiaro. sulla linea gotica di Cirano Andreini L a Linea Gotica da Marina di Massa a Pesaro. E il ‘Bando’ affisso anche al Ponte alla Dogana sull’Appennino era fin troppo eloquente. Svastica in testata, era diviso in due scansioni. Nella prima diceva “Achtung achtung” ed era tutto in tedesco. La seconda diceva “Attenzione attenzione” ed era tutto in italiano. “Per la popolazione intera di questa zona promulga‑ zione di assoluto coprifuoco dalle ore 19 alle ore 8 del giorno successivo. Quanti, durante questo intervallo, saran‑ no sorpresi in strada o comunque all’aperto, oppure in ambito non loro, saranno consi‑ derati banditi e pertanto passibili anche di fucilazione e vista. Firmato Albert Kesserlring comandante in capo dell’esercito tedesco del III Reich per il fronte italiano.” Cosicché il Bambin Gesù a nascere avrebbe dovuto dar retta a Hitler nel ‘44, cioe non essere deposto nella paglia del‑ la mangiatoia del chiesino di Dogana alla mezzanotte del 25 dicembre come d’uso da secoli e secoli. Ma il giorno prima o quello dopo? Sì proprio così. Oppure non nascere affatto. Come avrebbe consigliato il terrore, fresco di pochi giorni prima, dei sei freddati dal mitragliatore esse-esse lì in uno slargo nei pressi senza sapere perché. Giù al ponte sul fiume, nella garitta c’era SEGUE IN PAGINA III Le Poesie la postazione fissa con mitraglia, piazzata e un esse-esse truce con elmetto e mitra spianato che guatava fissamente non solo le arcate già minate, ma anche chi vi passava e la zona circostante su fino al paesino. E disponeva di rice- trasmittente. Premere il grilletto, o lanciare una bomba a mano di quelle che aveva al cinturione, non gli costava niente. Né di fatica né di rimorso, che per quelli come lui la parola ‘dovere’ copriva tutto. Al chiesino di Dogana, col suo campanili‑ no che pur piccolo sporgeva un poco da un mucchietto di tetti d’ardesia, ci stava un frate anziano che con tenerezza veniva detto fra‑ teciabatta; un pò per assonanza del cognome, che faceva Battani, e molto perché strasci‑ cava un piede fin dalla nascita. Scarso di sta‑ tura quasi digiuno di latino e figuriamoci di teologia da non essere ‑lui consapevole‑ mai stato pensabile potesse fare il prete. Eppure eppure era lì ‑assurdo nel ‘44‑ ad esercitare la presenza cristiana. A far suonare l’unica campana, a dire e far dire il rosario delle sette della sera e a vivere di castagne. Ed era anche cocciuto, piccoso. “Ah no, no davvero... io quel Bambino di coccio lo depongo nella paglia della cesta a mezzanotte. Kasserlring io neanche so chi sia.” E la campana proibita suonò. Nel chiesino non vennero che sette o otto vecchiarelle, ché gli uomini erano o soldati o priginieri o morti, oppure intanati in qualche buca della foresta alta. Deposto nella cesta il Bambin Gesu e fatta la genuflessione frateciabatta andò all’armonium e intonò ‘Tu scendi dalle stelle o Dio del cielo’. Ne uscì un coro miserevole, stento, stonato. Eppure suonò di trascendenza incommensurabile. E dire che era nel possibilissimo che il tuono di una bomba a mano scagliata della porta potesse far tacere quel canto clandestino. Del resto non era forse già successo,e li vicino, che in una chiesa piena di gente una bomba.?. Ma lì a Dogana non successe niente di negativo. Anzi. Uscendo quelle sette o otto anime si spaurirono lietamente. Dietro la porta, fermo impalato spalle al muro, sguardo fisso al mitra e all’elmetto deposti a terra c’era la sentinella della garitta al ponte. Pregava? Mah! Di sicuro non aveva eseguito: non aveva tirato la bomba, non doveva aver usato la trasmittente. Aveva cioè disobbedito a Hitler. Per ultimo lo vide il frate quando andò a chiudere il portone. Le braccia ciondoloni, nella penombra, era lì come ebete. Il frate capì di botto. Anche l’esse-esse capì che lui aveva capito e rimase lì impietrito. E disse l’unica parola ita‑ liana che sapeva: “Asilo!” E guardando ora il presepe gli si rigarono le gote. “Nicht nicht”. Rimandò il frate, dopo rapidissima ela‑ borazione sua interna: “I suoi commilitoni se non lo vedono più crederanno al rapimento, alla sua eliminazione da parte dei banditi; con certezza teutonica sarebbe stata seguita la legge marziale dei 10 civili, presi a caso, e fucilati per ogni loro milite mancante. Cioè una ennesima strage d’innocenti”. “Nicht no, nicht!” Raccolse da terra mitra e elmetto e glieli rimise ìn mano accarezzandogli la faccia e tracciandogli il segno della croce sulla fronte. Lacrimava anche lui. Anch’ora per il misterico linguaggio non verbale il tedesco capì. E abbracciato in tremito frateciabatta e inginocchiatosi a quel Neonato di coccio sparì nel nero della notte. Tornò alla garitta del ponte. Appena in tempo per rispondere in cuffia, alla chiamata radio del quartier generale. “Jawohl, signore, qui il fronte tace... nes‑ suna nuova.” Invece non era, esattamente così: un esse‑esse aveva udito la campana di Ponte alla Dogana e aveva pianto sul neonato Gesù. Un’enormità. III La fiaba dell ’antica notte incantata Natale, tu sei davvero l’Amore, quell’amore che fedele a se stesso, ostinato, vuole vivere con noi anche se non lo vogliamo. Quell’amore che sempre più affamato delle nostre avare briciole d’amore, paziente, tenta di insegnarci la gioia di amarlo, di credere in lui, tenta di insegnare ai nostri cuori, la gioia di diventare bambini. Quell’Amore che fa ritornare per me l’antica notte incantata. Così lontana e ancora così presente. Immersi nel silenzio stellato di quella notte, insieme agli amici tenendoci per mano, andavamo per la strada che portava al convento andavamo dal Bambino che ci aspettava su quella povera paglia, quel Bambino venuto da tanto lontano in questa nostra fredda terra sconosciuta, sperduto ci tendeva le sue piccole mani, si affidava a noi, coi suoi vagiti implorava quella tenerezza d’amore che ogni giorno perdutamente ci chiede dal corso dei secoli… Ma ecco che mentre andavamo, tutte le Sue creature si mettevano a cantare l’amore per lui. Cantavano le stelle lucenti e la luna splendente sui boschi di Policoro, cantavano le rocce a strapiombo sulle scogliere dei mari e cantava il vento che fischiava dal monte Pollino dove il Suo lupo sognava di cantare. Sentivamo risuonare laggiù sulla piana tra le macchie di mirto la zampogna di Nicola, il vecchio pastore che andava al presepio a suonare davanti al bambino… Ma più di tutto cantavano nel buio le finestre illuminate dalla luna e le scintille che volavano dal focolare nella povera casa della mia nonna… Come eri bella antica notte incantata. Da allora hai illuminato e ancora illumini la mia vita, da allora hai aiutato il mio cuore a rimanere bambino per gioire con te. Anna Tassitano Fine anno 2011 Farmi sua alunna. Nel punto più sottile Avvolta nel gelo fa capolino timida l’alba… Notte Santa Maria Grazia Frisina Nel proscenio futuro l’ore sian petali nel sacrario d’ogni cuore ho da imparare Dal germe ho da imparare quella lezione di natività muta. Nell’opaco tramonto l’anno affoga… Dal germe Così felici di sì allegro fine d’anno più fulgida e ridente sia la bella aurora e di gioia irrori i giorni che verranno. Giovanni Burchietti Profumo di Natale Girotondo di abeti l’aria colorata profuma di luci. Le vetrine in abito da sera. Voci festose si rincorrono e si acquietano nella pace della Chiesa. Scenografia di Presepi Illumina la notte Respiro d’inverno sui volti Il prodigio di Magi e Pastori Armonie di corali penombre fumanti d’incenso Gli Angeli custodi di cattedrali scolpite nel tempo. La voce delle stelle: è nato il Signore. Buon Natale! Notte Santa, che illumini i secoli, raccogli ogni soffio di Dio Creatore. Raccogli ogni voce che parla di cielo, raccogli ogni stella che conduce a Betlemme. Raccogli ogni giorno che da te rifiorisce, perché sorga infinito un canto di gioia. Perché sorga la vita da ogni grembo materno, come segno di luce del Messia che vien. Il dono Roberto Luconi. Volevo farvi un dono, Un piccolo dono, Che vi recasse gioia, allegria e festa. Ed ho guardato le vetrine, Le belle e luccicanti cosine Che fanno Natale. Ma poi ho pensato Che ci son tante persone Costrette a vivere in scatole di cartone. Lalla Calderoni Ricordi d’inverno Il manto gelido dell’inverno con la sua neve fumante di pensieri mi avvolge mentre vago per le strade dei ricordi. Quando da piccolo restavo sveglio davanti al camino a sognare un Natale che scaldasse il cuore di tutti gli uomini senz’amore per se stessi. Simone Magli Nessuno che li aiuti, Non hanno niente, anzi, Riescono a vivere coi nostri avanzi. Su ogni banconota a voi destinata, Ho scritto il vostro nome, e poi l’ho donata. Con pochi soldi, miei cari amici, Un po’ di persone Abbiam reso felici. E in questo Natale un poco diverso, Potremo sognare di avere un cuore, che sia soltanto pieno d’amore. Natale 2003 Marisa Gerini Il Racconto I Libri IV Giordano Frosini Aldo Maria Valli Edb, anno 2011, euro 33 Ritratto di Carlo Maria Martini Ancora, anno 2011, euro 16,00 Dio il cosmo l’uomo: exitus-reditus C on l’espres‑ sione éxi‑ tus‑rédi‑ tus/usci‑ ta‑ritorno il pensiero cristiano ha indicato, fin dall’an‑ tichità, il rapporto dell’uomo e del cosmo con Dio: éxitus a Deo e réditus ad Deum. L’uomo viene da Dio e deve tornare a Dio. La stessa immagine di uscita e ritorno, ma con altre parole, ricorre nei padri della Chiesa per indicare il significato ultimo dell’incarnazione: Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventasse Dio. Per san Massimo il Confessore l’in‑ tera storia umana è racchiusa tra la discesa di Dio verso l’uomo e la risalita di questi verso il suo principio. E anche le cose, come sospinte da una forza interiore comunicata loro dalla causa da cui sono uscite, ritorna‑ no al loro principio, alla loro fonte primordiale, cioè a Dio, attraverso la mediazione e la redenzione di Cristo. «L’evangeli­ata Giovanni nel Prologo contempla il Verbo dal suo stare presso Dio con sé la nostra stessa umanità, che egli ha assunto per sempre. In questo suo uscire dal Pa­dre e tornare a lui, egli si presenta a noi come il “Narratore” di Dio» (Benedetto XVI, in Verbum Domini). Sant’Agostino interpreterà in chiave personale questa dottrina. Il desiderio di Dio, il desiderio di infinito, che gia‑ ce nelle cellule più profonde dell’essere umano, è voluto da Dio. Nel cuore umano egli ha scavato un vuoto così profondo che niente e nessuno potranno mai riempire. Se c’é nell’uomo un desiderio di diventare come Dio, questo è una pura e semplice conseguenza di una radicale e insopprimibile vocazione divina. Il libro è da considerarsi come la sintesi aggiornata delle opere dell’autore: un aggiornamento che merita di essere ricercato e realizzato. BEATRICE IACOPINI SABINA MOSER Uno sguardo nuovo Il problema del male in Etty Hillesum e Simone Weil San Paolo, anno 2009, euro 14,00 D evi venire a capo dei fatti di questo mondo; in nessu‑ na situazione puoi chiudere gli occhi, devi “confrontarti” con questi tempi orribili, e cercare una risposta alle numero‑ se questioni di vita e di morte che essi ti pongono. E allora forse troverai una risposta ad alcune di esse, non solo per te ma anche per gli altri. Etty Hillesum Poiché l’universo è bello e noi possiamo amarlo, esso è una patria, la nostra unica patria in questo mondo... Amia‑ mo la patria terrena... E’ lei che Dio ci ha dato da amare; e ha voluto che ciò fosse difficile, ma possibile. Simone Weil Storia di un uomo «V iviamo in una società di orfani, e in una scuola della vita nella quale i maestri sono rari quando non assenti. Ci sentiremmo più soli e disorientati, an‑ cora più orfani e sperduti, se non avessimo trovato lungo il nostro cammino ‑ io, Aldo Maria Valli, cui si deve questo viaggio cosi profondo e partecipato, e tanti altri ‑ la luce intensa di un padre spirituale, dal rigore pari alla dolcezza, di Carlo Maria Martini». (dalla prefazione di Ferruccio de Bortoli) Maria Cristina BarTolomei Turoldo Educare alla libertà umana e cristiana La scuola, anno 2011, euro 9,00 I l volume presenta la figura di Padre David M. Turoldo (1916-1992): poeta, teo‑ logo, voce profetica nella Chiesa italiana, a servizio dell’attuazione del Conci‑ lio, del cammino ecume‑ nico, dell’impegno per la pace, la giustizia, la difesa e liberazione di poveri e oppressi. L’antologia propone sia scritti di esplicita fina‑ lità formativa sia testi che illustrano i temi costituenti per Turoldo il fondamento, l’orizzonte e i contenuti dell’educazione umana e cristiana di giovani e adulti. A ciò corrisponde lo stile educativo proposto e praticano, improntato al colloquio, all’accompagnamento rispettoso, alla franchezza, nella condivisione della comune umanità e nell’amicizia. Erri De Luca I pesci non chiudono gli occhi Feltrinelli, anno 2011, euro 12,00 «I l mio corpo non mi sta a cuore e non mi piace. È infantile e io non sono più così. Lo so da un anno, io cresco e il corpo no. Rimane indietro. Perciò pure se si rompe, non importa. Anzi, se si rompe, da lì dovrà venire fuori il corpo nuovo». Dominique Torrès Libero! Amsy, 12 anni, schiavo tra i tuareg, per la prima volta conosce il mondo degli uomini liberi San Paolo, anno 2010, euro 10,00 N el Niger di oggi, Amsy e i suoi ge‑ nitori sono gli schiavi di una famiglia tuareg. Una mattina, mentre raccoglie la legna, il ragazzo incontra uno sconosciuto che gli propone di andare con lui in città, dove potrà vivere libero. E se fosse l’occa‑ sione buona per ritrovare sua sorella, che è stata venduta? E i suoi genitori? Verranno liberati anche loro? Comunque vada, Amsy dovrà lottare, perché è dura, la strada verso la libertà per chi nella vita ha imparato solo a tacere e a obbedire... Antoine De Saint-Exupeéry Il Piccolo Principe Con le illustrazioni dell’autore Bompiani, edizione 2010, euro 7,90 «S ei anni fa ebbi un incidente coi mio aeropla‑ no nel deserto del Sahara. Qualche cosa si era rotto nel motore, e siccome non avevo con me né un meccanico, né dei passegge‑ ri, mi accinsi da solo a cercare di riparare il guasto. Era una questione di vita o di morte, perché avevo acqua da bere soltanto per una settimana... Potete immaginare il mio stupore di essere svegliato all’albo da uno strano vocetto: “Mi disegni, per favore, una pecora?”... E fu così che feci la conoscenza del piccolo principe.» A cinquant’anni dalla pubblicazione negli Stati Uniti del libro, Il Piccolo Principe è divenuto un long seller internazionale, un testo‑chiave di formazione. Antoine de Saint‑Exupéry, il suo autore, era un aviatore e un umanista: adorava volare e s’interessava agli uomini. Qualche mese dopo l’apparizione del suo capolavoro, scomparve in aereo sul Mar Mediterraneo. Ma la favola del ragazzino coi capelli d’oro continua. Tutti i grandi sono stati bambini una volta. (Ma pochi di essi se ne ricordano.)