Natale
Speciale
Le origini della data DEL NATALE
Perché cade
il 25 dicembre?
di Laura Di Palma
I
n epoca pagana veniva cele‑
brata una festa il 25 dicembre
giorno in cui, secondo la
riforma del calendario attuata
da Giulio Cesare cadeva il
solstizio d’inverno; in quel
giorno, il sole finisce di calare e ricomincia a
crescere, portando con sé la rinascita della
vita e della natura. Proprio in quella giornata,
dunque si festeggiava la nascita del nuovo
sole e la rinascita della natura e si celebra‑
vano anche le divinità che al sole legavano
il proprio culto, ad esempio il dio Mitra, che
essendo divinità solare veniva ricordato
proprio il 25 dicembre.
Essendo largamente diffusi in varie cultu‑
re i festeggiamenti legati al cambio delle sta‑
gioni, la maggior parte delle persone arrivò
alla conclusione che, cadendo il 25 dicembre,
il Natale celasse in realtà questa festa pagana.
Il fatto che nel Vangelo non si parlasse
di un momento preciso, di una stagione, di
un giorno o di un anno per la nascita del
Salvatore e che fosse poi stata scelta la data
del 25 dicembre, aiutò molto la diffusione
dell’idea che il Natale cristiano andasse in
realtà a coprire, e ad offuscare, la preceden‑
te festa pagana che cadeva proprio in quel
giorno, e si diffuse l’idea che la Chiesa avesse
scelto proprio questa data per permettere
che la Natività del Signore andasse a coprire
la festività pagana di minor importanza.
In realtà, ci sono molti studi sull’origine
dell’anno liturgico che dimostrano come
il Natale sia realmente una festa di origine
cristiana e che, dunque, non abbia nulla da
spartire con il paganesimo.
Per capire il motivo per cui Natale cade
proprio il 25 dicembre, è necessario soffer‑
marsi un po’ su tutto il calendario.
Il calendario cristiano è costruito sui sol‑
stizi e gli equinozi di due personaggi impor‑
tanti: Gesù Cristo e Giovanni il Battista.
I Vangeli ci narrano come Giovanni il
Battista fu concepito 6 mesi prima di Cristo:
non a caso la Chiesa festeggia la sua natività
il 24 giugno, giorno del solstizio d’estate.
In quel periodo dell’anno, il sole comincia
a decadere, e questo può richiamare alla
memoria le parole del Battista, il quale dice:
“Occorre che io diminuisca perché Lui
cresca”. A livello astronomico, infatti, nel pe‑
riodo che va da dicembre a giugno, il sole è
alto, come alto è Gesù Cristo. La data scelta
per il Natale è strettamente connessa con gli
eventi della salvezza. Secondo il calendario
solare giuliano, il 25 marzo, giorno dell’equi‑
nozio di primavera, cadrebbe il giorno della
morte di Gesù.
Un problema sorge però dal fatto che
la comunità ebraica ha un calendario lunare,
mentre il calendario giuliano è appunto
solare. Tra i due cicli, quello solare e quello
lunare, c’è una differenza di circa 12 giorni.
Quando la comunità ebraico‑cristiana si spo‑
sta da un sistema astronomico all’altro c’è
una specie di traduzione che calcola la data
della morte di Cristo al 25 marzo. In realtà,
secondo un’antica tradizione, la Pasqua, che
dovrebbe essere celebrata tre giorni più
tardi, diviene una festa mobile, che varia cioè
di anno in anno pur che cada tra il 22 marzo
ed il 25 aprile legata dunque agli eventi lunari;
di contro alla tradizione della Pasqua mobile
si pone una corrente conservatrice che
proponeva di fissare la Pasqua sempre il 25
marzo.
Tuttavia prevalse la prima corrente e
anche se la Pasqua è per noi una festività
mobile, il 25 marzo, la Chiesa ricorda la
morte di Gesù, ma anche, dal punto di vista
liturgico, il giorno dell’Annunciazione, e cioè
il giorno in cui Cristo divenne carne e fu
concepito. Calcolando nove mesi, la data che
otteniamo è proprio quella del Natale, ossia
del 25 dicembre.
Il 25 marzo, dunque ricordiamo tre incar‑
nazioni, la morte dell’uomo vecchio, Adamo,
che sarebbe anche stato concepito in questo
giorno e del quale ritroviamo simbolica‑
mente il teschio sotto la croce di Cristo, la
nascita dell’Uomo nuovo, che coincide con la
morte di Gesù e il germogliare della nuova
vita, dove la croce è nuovo albero, e la sua
incarnazione nel grembo della Vergine Maria.
2012
TRA CRISTIANESIMO E PAGAnesimo
Babbo Natale
P
er parlare di Natale, mi sof‑
fermerei su una figura semi
pagana del periodo, quale Bab‑
bo Natale. Il termine “Babbo
Natale” è però una traduzione
italiana dell’originale Santa
Claus.
Il 6 dicembre di ogni anno è la festa di San
Nicola di Bari, ossia proprio di Santa Claus,
il cui corpo, si narra fosse stato trafugato
dall’Oriente, per essere portato in Occidente
nel periodo delle Crociate ed è tuttora ogget‑
to di una grande venerazione. Questo Santo
divenne celebre anche perché tra i vari suoi
patronati, c’era quello legato alla protezione dei
bambini, ed in particolare, dei bambini e dei ra‑
gazzi studenti. Nel Medioevo, dunque, l’usanza
del 6 dicembre era quella che prevedeva che i
bambini ed i ragazzi si astenessero dalle lezioni
scolastiche, ma non solo: durante quella giorna‑
ta, in cui veniva festeggiato San Nicola, i bambinì
ed i ragazzi erano al centro dell’attenzione,
sfilavano per le strade e ricevevano regali. Nel
periodo prima della Controriforma, la figura di
San Nicola era rappresentata in abito da vesco‑
vo, con una cavallo bianco e accompagnato da
tristi figuri, mostri che spaventavano i bambini.
Questi mostri venivano poi sconfitti dal Santo,
che premiava i piccoli con bellissimi doni. In
seguito, la figura di San Nicola ha subìto una
trasformazione, anche se in alcune zone della
Germania e dell’Alto Adige, permane questa
antica tradizione.
La trasformazione avvenne nel periodo
della Controriforma ed era legata a una finalità
didattica: San Nicola avrebbe portato i doni
soltanto ai bambini più buoni, mentre avrebbe
lasciato ai mostri quelli più cattivi. Coloro che
rispondevano esattamente alle domande sulla
dottrina che lui poneva loro, venivano premiati
mentre i bambini più “discoli”, non ricevevano
alcun dono. In Francia, la figura del “mostro
cattivo” è una specìe di uomo nero che si chia‑
ma “padre fustígatore”, mentre Babbo Natale
si chiama “Père Noel”. E padre fustigatore, nel
giorno di San Nicola usciva con lui facendo
domande agli studenti e bacchettando quelli
che non rispondevano adeguatamente.
Nell’area protestante, dove i Santi erano
stati messi da parte, era tuttavia rimasta nell’im‑
maginario comune l’idea di questo vescovo che
portava i doni ai bambini. La trasformazione
definitiva avvenne poi nell’Ottocento, dove
la sua figura fu in parte decattolicizzata e si
trasformò in quella del vecchio dispensatore
di regali vestito di rosso e con la barba bianca.
E bianco era un ricordo del colore dell’abito
pontificale, mentre il rosso indicava, secondo
l’antica tradizione pagana, il sole ed il suo
sorgere. Dunque Babbo Natale divenne un
portatore di doni con qualità cristiane e pagane
secondo le quali si narra che il vecchio veniva
dal nord e dal freddo. Freddo e neve richiamano
un’idea di morte, contrastata dal calore del sole
e della vita. Quando arriva l’inverno e il sole
sta per morire, l’attività degli uomini è quanto
più possibile legata ad atti di vita. L’idea che i
bambini ricevano i doni a Natale, è legata ad
un substrato psicologico connesso con la festa
dei morti; nell’antichità, infatti, si pensava che
il giorno dei morti, le anime ritornassero sulla
terra per portar via con loro tutti quanti non le
trattavano bene; ora, la prima donazione avvie‑
ne proprio il giorno dei morti, in cui i bambini
si vestono da creature dell’aldilà impersonando
le anime dei morti che tornano e chiedono di
essere trattate bene: se sono trattati bene, se
ne andranno, in caso contrario, combineranno
guai. Inizialmente dunque i bambini ricevevano
i doni, che chiedevano direttamente, il giorno
dei morti, cosa che ancora oggi succede in al‑
cune zone della Sicilia, per esempio. Poi, furono
introdotte una serie di figure sostitutive ed
intermedie che facevano da mediatori perché
i bambini ricevessero i loro doni: tra queste
Santa Lucia, Babbo Natale, la Befana, Gesù
Bambino ed i Re Magi. Dunque, nella tradizio‑
ne natalizia c’è in parte religiosità ed in parte,
senza dubbio, paganesimo.
Fino a quando esisteranno cristiani, Babbo
Natale non avrà mai la supremazia sulla Nati‑
vità di Gesù. Anzi, il rischio paradossalmente
è proprio il contrario. Coloro i quali hanno
avuto modo d leggere i giornali in questi giorni,
hanno potuto vedere come in Inghilterra sia
in corso una sorta di celebrazione del Natale
politicamente corretta, dove, sono stati tolti
molti dei simboli natalizi tipici, per rispetto nei
confronti di altre culture e religioni. Sono stati
tolti di mezzo tra le altre i vari Babbi Natale, e
le scritte Merry Christmas, cercando di lavo‑
rare più sull’idea di una festa legata al freddo,
all’invemo e alle luci in una maniera più neutra.
Da una parte dunque ci sarebbe un ritorno
al paganesimo, dall’altra parte il problema è le‑
gato al fatto che si vuole mantenere la festività
natalizia, tipicamente legata al cristianesimo,
cercando di non offendere le altre religioni.
L’accoglienza di una cosa simile in realtà
è stata negativa anche da parte dalle stesse
comunità islamiche che hanno affermato, at‑
traverso i loro rappresentanti, che ogni uomo
deve essere libero di celebrare le proprie feste
religiose.
Senza dubbio, la festività natalizia è for‑
temente legata al commercio, all’aspetto
commerciale della spesa per regali e orpelli
vari e quindi occorrono le figure neutre di
Babbo Natale e gli addobbi per incentivare
il commercio e la spesa, che vanno contro in
tutto e per tutto all’idea cristiana di Natale:
non possiamo dimenticare infatti che Cristo,
il Re dei Re, nasce in una grotta, nella miseria
più totale.
l.d.p.
II
Natale
Racconto
Il IlRacconto
di Orazio Tognozzi
da “Acqua che sbalza”
A
ccortasi della mia soli‑
tudine, Maria chiese ai
genitori di due fratellini
che abitavano in un piccolo
borgo vicino denominato
“In Fondo alla Scesa” di permettere ai loro
figli di farmi visita.
Erano un maschietto forte e tranquillo,
ed una bambina della mia età, dalla carnagio‑
ne bianca, i capelli castani, il corpo snello. Si
chiamava Luciana. Di modi graziosi, ciarliera.
Accompagnava le parole con il sorriso, e con
gesti rotondi delle mani. Avevano già avuto
i gattoni, e perciò non c’era il timore del
contagio.
La prima, fu una visita di presentazione.
Giunsero insieme alla loro mamma, si fer‑
marono poco oltre la porta, mi salutarono,
s’impegnarono a tornare e ad insegnarmi a
giocare a carte. M’accorsì che mi guardavano
dubbiosi. Non dovevo essere brillante, con
la febbre alta, la testa fasciata da una sciarpa,
la faccia gonfia, impacciato da quel ronzio
negli orecchi che, apparso in occasione della
malattia, mi ha tormentato poi tutta la vita!
Ebbì paura di non rivederli.
Ritornarono alcuni giorni dopo. Spo‑
starono una sedia ciascuno collocandola
accanto al mio letto, si sedettero, incomin‑
ciarono ad insegnarmi i giochi delle carte,
usando un mazzo donato dal Lotti, il botte‑
gaio del loro minuscolo borgo. Sfogliammo
poi un giornalino dell’”Uomo Mascherato”
che il maschietto m’aveva portato in regalo.
Il protagonista del fumetto, mi piacque per
l’aspetto marziale, il mistero della maschera
nera intorno agli occhi, il costume nero che
ne metteva in risalto la muscolatura, le due
fondine con le pistole di tipo militare.
La Luciana, che era la prima della classe
e stava cominciando ad imparare a leggere,
sillabava per me i fumetti. Imparai a ricono‑
scere le carte, ed a giocare a rubamazzo e
all’uomo nero. Scoppiavano delle belle risate,
quando a qualcuno di noì ora dipinto un
segno sopra la fronte con il carbone, come
penitenza per esser rimasto in possesso dei
fante di picche.
La tramontana faceva cadere le ultime
foglie dalle querce ed infilava degli spifferi
gelati fin dentro il lettone. Un braciere rifor‑
nito frequentemente di carboni vivi, era stato
collocato dalla Maria al contro dello spazio
fra il gettone e la porta d’ingresso. L’unico
risultato tangibile di questo provvedimento,
era l’odore di fumo che pervadeva la stanza.
Dopo alcuni giorni, i due fratellini interrup‑
pero le loro visite. Ne fui molto rattristato.
Insistei con la Maria perché si recasse a
chiederne notizie. Seppi che a casa c’era solo
Luciana.
Erano andati a trovare gli zii, i quali
avevano trattenuto il maschietto. Convinsi
Maria ad insistere, perché la piccola amica mi
venisse a trovare.
M’apparve sulla soglia della camera con
in mano un giornalino nuovo dell’“Uomo
Mascherato”. Prendemmo a giocare imitando
i personaggi della storia. Avvicinandosi per
darmi modo di vedere lo scritto, si mise a
sillabare le frasi contenute nei fumetti. La sua
mamma, quando venne a riprenderla, ci trovò
addormentati. Lei sopra la sedia con il capo
appoggiato al guanciale, io dentro il letto
della quarantena.
Giunse il Santo Natale. L’ultimo di guerra.
Le bombe ed i tedeschi, erano ormai lontani.
Per riprendere una vita normale, ci sareb‑
bero volute molto fatiche, e per avere un
raccolto pieno, avremmo dovuto attendere
due estati. Eravamo però convinti, che in
fondo al tunnel ci aspettasse il sole. La sera
della Vigilia, le sorelle costruirono un piccolo
presepe con figurine disegnate su cartone,
ritagliato in modo da lasciarvi alla base una
striscia che serviva di sostegno.
Molti valligiani iniziarono il giorno della
Natività partecipando alla messa di mez‑
zanotte nella chiesa di S. Romano. Un Don
Ciro deciso e segaligno, celebrò il sacro rito
in un latino sonoro. Questo mi raccontarono
le sorelle, che vi si erano recate insieme alla
mamma. Mi fu consentito di raggiungere il
babbo e la nonna accanto al fuoco. Il babbo
Quel Natale
mi raccontò la storia di un Natale di guerra
sul fronte del Carso. Al termine del racconto,
la nonna guidò la recita del Rosario. Dopo la
prima sfilza d’Ave, mi raggiunse il sonno.
Il giorno di Natale, in paese si commenta‑
va la presenza di soldati inglesi ed americani
alla Santa Messa, la recita da parte loro delle
preghiere in latino, il ricevere la Santa Co‑
munione, ed il salutare la gente con il porger
della mano.
Mi fu dato il permesso di sedermi a
tavola. Entrato nella stanza riscaldata, vidi con
meraviglia un piccolo pino che il babbo aveva
tolto dal bosco, completo di barbe, e interra‑
to in un conchino da bucato vìcino alla porta
d’ingresso. Una novità che aveva imparato dai
militari inglesi, i quali avevano alzato un abete
enorme nel piazzate della stazione, illuminan‑
dolo con lampade colorate.
Vanna e Maria, avevano addobbato l’al‑
berello con batuffoli di cotone, a significare
fiocchi di neve. Sopra alcuno pigne, dopo
avervi praticato un foro con il succhio, il bab‑
bo aveva infisso delle candeline con la base
avvolta nella carta stagnola tolta dalle stecche
di cioccolato dono della zia Olimpia. Erano
accese di sera con precauzione, durante la
recita del Rosario. Appesi ai rami con fili di
refe, vi erano delle noci, dei fichi secchi, delle
mele ed alcuni mandarini.
Al piede dell’albero, trovai un astuccio di
legno a due ripiani, con quattro scanalature
nella parte inferiore, dove erano disposti i
lapis, i cannucci delle penne, le gomme e i
pennini. Una piccola nicchia semicircolare
che conteneva un temperamatite, ora scavata
al principio dell’anta superiore, la quale ora
completata da una parte mobile suddivisa in
quattro scanalature, contenenti delle matite
Fila. Questo piccolo capolavoro, terminava
con un coperchio estraibile. Al centro del co‑
perchio, ora inserita un’asticciola sopra della
quale, attraverso incisioni verniciato di nero,
era riprodotto il doppio decimetro. Le parti
laterali ed il coperchio dell’astuccio, erano
ricoperti da uno strato di vernice trasparen‑
te, e abbelliti con festoni di foglie e di fiori
finemente incisi, dipinti con colori vivaci.
Alla domanda su dove lo avesse acqui‑
stato, il babbo rispose che ora epera di Luigi
Maffucci, falegname in Valdibrana. Ritornando
insieme in bicicletta dal mercato, “Gigino”
manifestò la volontà di ricompensare il
babbo, per l’assistenza al parto di una mucca.
Gli fu chiesto un astuccio per me. Niente di
più facile, per il discendente da una famiglia
d’artigiani che tramandava di padre in figlio
l’abilità del lavorare il legno, e costruirvi dalla
casa all’infisso, dal soprammobile al mobile.
Mentre osservavo il prezioso dono,
avvertii nell’aria i profumi del pane e della
schiacciata all’olio. La mamma e le sorelle
misero il pranzo in tavola. Mangiammo la
schiacciata calda e croccante. Consumammo
lietamente la minestra di castagne, la carne in
scatola con la polenta fritta.
Fu un Natale di speranza, che terminam‑
mo recitando il Rosario stretti intorno al
fuoco.
Il salmodiare cadenzato di tutte le voci
della famiglia, mi procurò come al solito il
sonno. La notte, sognai d’essere ritornato
nella casa sotto la stazione.Vagabondavo per
il bosco, alla ricerca del capanno di frasche
dove mi rifugiavo a fantasticare.
Dopo Natale, vi fu una settimana di piog‑
gia. Ancora rintanato nel lettone, ascoltavo lo
scrosciare dell’acqua sopra le lastre dell’aia.
L’Epifania portò doni d’arance, di mandarini,
di dolci fatti in casa con lo zucchero e la
farina tolti dai tesori della zia Olimpia.
Verso la metà di gennaio la pioggia cessò.
La tramontana spazzò velocemente le nubi, il
sole prese a brillare gelido e chiaro.
sulla linea gotica
di Cirano Andreini
L
a Linea Gotica da Marina di
Massa a Pesaro. E il ‘Bando’
affisso anche al Ponte alla
Dogana sull’Appennino era
fin troppo eloquente. Svastica
in testata, era diviso in due scansioni. Nella
prima diceva “Achtung achtung” ed era tutto
in tedesco. La seconda diceva “Attenzione
attenzione” ed era tutto in italiano. “Per la
popolazione intera di questa zona promulga‑
zione di assoluto coprifuoco dalle ore 19 alle
ore 8 del giorno successivo.
Quanti, durante questo intervallo, saran‑
no sorpresi in strada o comunque all’aperto,
oppure in ambito non loro, saranno consi‑
derati banditi e pertanto passibili anche di
fucilazione e vista. Firmato Albert Kesserlring
comandante in capo dell’esercito tedesco del
III Reich per il fronte italiano.”
Cosicché il Bambin Gesù a nascere
avrebbe dovuto dar retta a Hitler nel ‘44,
cioe non essere deposto nella paglia del‑
la mangiatoia del chiesino di Dogana alla
mezzanotte del 25 dicembre come d’uso da
secoli e secoli. Ma il giorno prima o quello
dopo? Sì proprio così. Oppure non nascere
affatto. Come avrebbe consigliato il terrore,
fresco di pochi giorni prima, dei sei freddati
dal mitragliatore esse-esse lì in uno slargo
nei pressi senza sapere perché.
Giù al ponte sul fiume, nella garitta c’era
SEGUE IN PAGINA III
Le Poesie
la postazione fissa con mitraglia, piazzata
e un esse-esse truce con elmetto e mitra
spianato che guatava fissamente non solo le
arcate già minate, ma anche chi vi passava
e la zona circostante su fino al paesino. E
disponeva di rice- trasmittente. Premere il
grilletto, o lanciare una bomba a mano di
quelle che aveva al cinturione, non gli costava
niente. Né di fatica né di rimorso, che per
quelli come lui la parola ‘dovere’ copriva
tutto.
Al chiesino di Dogana, col suo campanili‑
no che pur piccolo sporgeva un poco da un
mucchietto di tetti d’ardesia, ci stava un frate
anziano che con tenerezza veniva detto fra‑
teciabatta; un pò per assonanza del cognome,
che faceva Battani, e molto perché strasci‑
cava un piede fin dalla nascita. Scarso di sta‑
tura quasi digiuno di latino e figuriamoci di
teologia da non essere ‑lui consapevole‑ mai
stato pensabile potesse fare il prete. Eppure
eppure era lì ‑assurdo nel ‘44‑ ad esercitare
la presenza cristiana. A far suonare l’unica
campana, a dire e far dire il rosario delle
sette della sera e a vivere di castagne. Ed era
anche cocciuto, piccoso. “Ah no, no davvero...
io quel Bambino di coccio lo depongo nella
paglia della cesta a mezzanotte. Kasserlring
io neanche so chi sia.”
E la campana proibita suonò. Nel chiesino
non vennero che sette o otto vecchiarelle,
ché gli uomini erano o soldati o priginieri o
morti, oppure intanati in qualche buca della
foresta alta. Deposto nella cesta il Bambin
Gesu e fatta la genuflessione frateciabatta
andò all’armonium e intonò ‘Tu scendi dalle
stelle o Dio del cielo’. Ne uscì un coro
miserevole, stento, stonato. Eppure suonò di
trascendenza incommensurabile. E dire che
era nel possibilissimo che il tuono di una
bomba a mano scagliata della porta potesse
far tacere quel canto clandestino. Del resto
non era forse già successo,e li vicino, che in
una chiesa piena di gente una bomba.?. Ma
lì a Dogana non successe niente di negativo.
Anzi. Uscendo quelle sette o otto anime
si spaurirono lietamente. Dietro la porta,
fermo impalato spalle al muro, sguardo fisso
al mitra e all’elmetto deposti a terra c’era
la sentinella della garitta al ponte. Pregava?
Mah! Di sicuro non aveva eseguito: non aveva
tirato la bomba, non doveva aver usato la
trasmittente. Aveva cioè disobbedito a Hitler.
Per ultimo lo vide il frate quando andò a
chiudere il portone.
Le braccia ciondoloni, nella penombra,
era lì come ebete. Il frate capì di botto.
Anche l’esse-esse capì che lui aveva capito e
rimase lì impietrito. E disse l’unica parola ita‑
liana che sapeva: “Asilo!” E guardando ora il
presepe gli si rigarono le gote. “Nicht nicht”.
Rimandò il frate, dopo rapidissima ela‑
borazione sua interna: “I suoi commilitoni se
non lo vedono più crederanno al rapimento,
alla sua eliminazione da parte dei banditi;
con certezza teutonica sarebbe stata seguita
la legge marziale dei 10 civili, presi a caso, e
fucilati per ogni loro milite mancante. Cioè
una ennesima strage d’innocenti”. “Nicht no,
nicht!” Raccolse da terra mitra e elmetto e
glieli rimise ìn mano accarezzandogli la faccia
e tracciandogli il segno della croce sulla
fronte. Lacrimava anche lui.
Anch’ora per il misterico linguaggio
non verbale il tedesco capì. E abbracciato in
tremito frateciabatta e inginocchiatosi a quel
Neonato di coccio sparì nel nero della notte.
Tornò alla garitta del ponte. Appena in tempo
per rispondere in cuffia, alla chiamata radio
del quartier generale.
“Jawohl, signore, qui il fronte tace... nes‑
suna nuova.”
Invece non era, esattamente così: un
esse‑esse aveva udito la campana di Ponte
alla Dogana e aveva pianto sul neonato Gesù.
Un’enormità.
III
La fiaba
dell ’antica
notte incantata
Natale, tu sei davvero l’Amore,
quell’amore
che fedele a se stesso,
ostinato, vuole vivere con noi
anche se non lo vogliamo.
Quell’amore
che sempre più affamato
delle nostre avare briciole d’amore,
paziente,
tenta di insegnarci la gioia
di amarlo, di credere in lui,
tenta di insegnare ai nostri cuori,
la gioia
di diventare bambini.
Quell’Amore
che fa ritornare per me
l’antica notte incantata.
Così lontana
e ancora così presente.
Immersi nel silenzio stellato
di quella notte,
insieme agli amici tenendoci per mano,
andavamo
per la strada che portava al convento
andavamo dal Bambino
che ci aspettava
su quella povera paglia,
quel Bambino venuto da tanto lontano
in questa nostra fredda terra sconosciuta,
sperduto
ci tendeva le sue piccole mani,
si affidava a noi,
coi suoi vagiti implorava
quella tenerezza d’amore
che ogni giorno perdutamente
ci chiede
dal corso dei secoli…
Ma ecco che mentre andavamo,
tutte le Sue creature
si mettevano a cantare
l’amore per lui.
Cantavano le stelle lucenti
e la luna splendente
sui boschi di Policoro,
cantavano le rocce a strapiombo
sulle scogliere dei mari
e cantava il vento
che fischiava
dal monte Pollino
dove il Suo lupo sognava di cantare.
Sentivamo risuonare laggiù
sulla piana
tra le macchie di mirto
la zampogna di Nicola, il vecchio pastore
che andava al presepio a suonare
davanti al bambino…
Ma più di tutto cantavano nel buio
le finestre illuminate dalla luna
e le scintille che volavano
dal focolare
nella povera casa
della mia nonna…
Come eri bella antica notte incantata.
Da allora hai illuminato
e ancora illumini la mia vita,
da allora hai aiutato il mio cuore
a rimanere bambino
per gioire con te.
Anna Tassitano
Fine anno
2011
Farmi sua alunna.
Nel punto più sottile
Avvolta nel gelo
fa capolino
timida
l’alba…
Notte Santa
Maria Grazia Frisina
Nel proscenio futuro
l’ore
sian petali nel sacrario d’ogni cuore
ho da imparare
Dal germe ho da imparare
quella lezione di natività muta.
Nell’opaco tramonto
l’anno affoga…
Dal germe
Così
felici di sì allegro
fine d’anno
più fulgida e ridente
sia la bella aurora
e di gioia irrori
i giorni che verranno.
Giovanni Burchietti
Profumo
di Natale
Girotondo di abeti
l’aria colorata
profuma di luci.
Le vetrine in abito da sera.
Voci festose
si rincorrono
e si acquietano
nella pace della Chiesa.
Scenografia di Presepi
Illumina la notte
Respiro d’inverno sui volti
Il prodigio di Magi e Pastori
Armonie di corali
penombre fumanti d’incenso
Gli Angeli custodi
di cattedrali
scolpite nel tempo.
La voce delle stelle:
è nato il Signore.
Buon Natale!
Notte Santa,
che illumini i secoli,
raccogli ogni soffio
di Dio Creatore.
Raccogli ogni voce
che parla di cielo,
raccogli ogni stella
che conduce a Betlemme.
Raccogli ogni giorno
che da te rifiorisce,
perché sorga infinito
un canto di gioia.
Perché sorga la vita
da ogni grembo materno,
come segno di luce
del Messia che vien.
Il dono
Roberto Luconi.
Volevo farvi un dono,
Un piccolo dono,
Che vi recasse gioia, allegria e festa.
Ed ho guardato le vetrine,
Le belle e luccicanti cosine
Che fanno Natale.
Ma poi ho pensato
Che ci son tante persone
Costrette a vivere in scatole di cartone.
Lalla Calderoni
Ricordi
d’inverno
Il manto gelido dell’inverno
con la sua neve fumante di pensieri
mi avvolge mentre vago per le strade dei ricordi.
Quando da piccolo restavo sveglio davanti al
camino
a sognare un Natale che scaldasse il cuore
di tutti gli uomini senz’amore per se stessi.
Simone Magli
Nessuno che li aiuti,
Non hanno niente, anzi,
Riescono a vivere coi nostri avanzi.
Su ogni banconota a voi destinata,
Ho scritto il vostro nome,
e poi l’ho donata.
Con pochi soldi, miei cari amici,
Un po’ di persone
Abbiam reso felici.
E in questo Natale un poco diverso,
Potremo sognare di avere un cuore,
che sia soltanto pieno d’amore.
Natale 2003
Marisa Gerini
Il Racconto
I Libri
IV
Giordano Frosini
Aldo Maria Valli
Edb, anno 2011, euro 33
Ritratto di Carlo Maria Martini
Ancora, anno 2011, euro 16,00
Dio il cosmo l’uomo:
exitus-reditus
C
on
l’espres‑
sione éxi‑
tus‑rédi‑
tus/usci‑
ta‑ritorno
il pensiero cristiano
ha indicato, fin dall’an‑
tichità, il rapporto
dell’uomo e del cosmo
con Dio: éxitus a Deo
e réditus ad Deum.
L’uomo viene da Dio e
deve tornare a Dio.
La stessa immagine
di uscita e ritorno,
ma con altre parole,
ricorre nei padri della Chiesa per indicare il significato
ultimo dell’incarnazione: Dio si è fatto uomo perché
l’uomo diventasse Dio. Per san Massimo il Confessore l’in‑
tera storia umana è racchiusa tra la discesa di Dio verso
l’uomo e la risalita di questi verso il suo principio.
E anche le cose, come sospinte da una forza interiore
comunicata loro dalla causa da cui sono uscite, ritorna‑
no al loro principio, alla loro fonte primordiale, cioè a
Dio, attraverso la mediazione e la redenzione di Cristo.
«L’evangeli­ata Giovanni nel Prologo contempla il Verbo dal
suo stare presso Dio con sé la nostra stessa umanità, che
egli ha assunto per sempre. In questo suo uscire dal Pa­dre
e tornare a lui, egli si presenta a noi come il “Narratore”
di Dio» (Benedetto XVI, in Verbum Domini).
Sant’Agostino interpreterà in chiave personale questa
dottrina. Il desiderio di Dio, il desiderio di infinito, che gia‑
ce nelle cellule più profonde dell’essere umano, è voluto
da Dio. Nel cuore umano egli ha scavato un vuoto così
profondo che niente e nessuno potranno mai riempire. Se
c’é nell’uomo un desiderio di diventare come Dio, questo
è una pura e semplice conseguenza di una radicale e
insopprimibile vocazione divina.
Il libro è da considerarsi come la sintesi aggiornata delle opere dell’autore: un aggiornamento
che merita di essere ricercato e realizzato.
BEATRICE IACOPINI
SABINA MOSER
Uno sguardo nuovo
Il problema del male
in Etty Hillesum e Simone Weil
San Paolo, anno 2009, euro 14,00
D
evi
venire a
capo dei
fatti di
questo
mondo; in nessu‑
na situazione puoi
chiudere gli occhi, devi
“confrontarti” con
questi tempi
orribili, e cercare una
risposta alle numero‑
se questioni di vita e
di morte che essi ti
pongono.
E allora forse troverai
una risposta ad alcune
di esse, non solo per
te ma anche per gli altri.
Etty Hillesum
Poiché l’universo è bello e noi possiamo amarlo, esso è
una patria, la nostra unica patria in questo mondo... Amia‑
mo la patria terrena... E’ lei che Dio ci ha dato da amare; e
ha voluto che ciò fosse difficile, ma possibile.
Simone Weil
Storia di un uomo
«V
iviamo
in una
società
di orfani,
e in una
scuola della vita nella quale
i maestri sono rari quando
non assenti. Ci sentiremmo
più soli e disorientati, an‑
cora più orfani e sperduti,
se non avessimo trovato
lungo il nostro cammino
‑ io, Aldo Maria Valli, cui si
deve questo viaggio cosi
profondo e partecipato, e
tanti altri ‑ la luce intensa
di un padre spirituale, dal
rigore pari alla dolcezza, di Carlo Maria Martini».
(dalla prefazione di Ferruccio de Bortoli)
Maria Cristina BarTolomei
Turoldo
Educare alla libertà umana
e cristiana
La scuola, anno 2011, euro 9,00
I
l volume
presenta
la figura
di Padre
David M.
Turoldo
(1916-1992): poeta, teo‑
logo, voce profetica nella
Chiesa italiana, a servizio
dell’attuazione del Conci‑
lio, del cammino ecume‑
nico, dell’impegno per la
pace, la giustizia, la difesa
e liberazione di poveri e
oppressi.
L’antologia propone sia
scritti di esplicita fina‑
lità formativa sia testi
che illustrano i temi costituenti per Turoldo il fondamento,
l’orizzonte e i contenuti dell’educazione umana e cristiana di
giovani e adulti. A ciò corrisponde lo stile educativo proposto
e praticano, improntato al colloquio, all’accompagnamento
rispettoso, alla franchezza, nella condivisione della comune
umanità e nell’amicizia.
Erri De Luca
I pesci non
chiudono
gli occhi
Feltrinelli, anno
2011, euro 12,00
«I
l mio
corpo
non mi
sta a
cuore e
non mi piace. È infantile e io
non sono più così. Lo so da un anno, io cresco e il corpo no.
Rimane indietro. Perciò pure se si rompe, non importa. Anzi,
se si rompe, da lì dovrà venire fuori il corpo nuovo».
Dominique Torrès
Libero!
Amsy, 12 anni, schiavo tra i tuareg, per la prima volta conosce il
mondo degli uomini liberi
San Paolo, anno 2010, euro 10,00
N
el
Niger
di oggi,
Amsy
e i suoi
ge‑
nitori sono gli schiavi di
una famiglia tuareg. Una
mattina, mentre raccoglie
la legna, il ragazzo incontra
uno sconosciuto che gli
propone di andare con lui
in città, dove potrà vivere
libero. E se fosse l’occa‑
sione buona per ritrovare
sua sorella, che è stata
venduta? E i suoi genitori?
Verranno liberati anche loro? Comunque vada, Amsy dovrà
lottare, perché è dura, la strada verso la libertà per chi nella
vita ha imparato solo a tacere e a obbedire...
Antoine De Saint-Exupeéry
Il Piccolo Principe
Con le illustrazioni dell’autore
Bompiani, edizione 2010, euro 7,90
«S
ei anni fa
ebbi un
incidente
coi mio
aeropla‑
no nel
deserto del Sahara. Qualche
cosa si era rotto nel motore, e
siccome non avevo con me né
un meccanico, né dei passegge‑
ri, mi accinsi da solo a cercare
di riparare il guasto. Era una
questione di vita o di morte,
perché avevo acqua da bere
soltanto per una settimana...
Potete immaginare il mio stupore di essere svegliato all’albo
da uno strano vocetto:
“Mi disegni, per favore, una pecora?”... E fu così che feci la
conoscenza del piccolo principe.»
A cinquant’anni dalla pubblicazione negli Stati Uniti
del libro, Il Piccolo Principe è divenuto un long seller
internazionale, un testo‑chiave di formazione.
Antoine de Saint‑Exupéry, il suo autore, era un aviatore
e un umanista: adorava volare e s’interessava agli uomini.
Qualche mese dopo l’apparizione del suo capolavoro,
scomparve in aereo sul Mar Mediterraneo.
Ma la favola del ragazzino coi capelli d’oro continua.
Tutti i grandi sono stati bambini una volta.
(Ma pochi di essi se ne ricordano.)