Autore: G. Francesco Tartarelli E-mail: [email protected] Documentario: 15 minuti nella vita dell’elettrone Clip del documentario Da 24:23 a 26:35 Regista: Luis Mariano Sesé Sánchez, José Antonio Tarazaga Blanco Produzione: UNED (Spain) Scientific level – Spiegazione per insegnanti Ci sono fenomeni che sono associate a onde, come le onde sonore o le onde nell’acqua. Esempi sono la diffrazione e l’interferenza. Quando questi stessi fenomeni furono osservati (e correttamente interpretati) anche per la luce, fu stabilita la natura ondulatoria della luce. Era l’inizio del diciannovesimo secolo (grazie al lavoro di T. Young, A. Fresnel), anche se la teoria ondulatoria della luce era stata proposta molto prima (R. Hooke and C. Huygens, intorno al 1660). La luce e’ un onda particolare. Siamo soliti associare le onde a qualcosa che oscilla: per un onda sonora quello che oscilla e’ il mezzo (per esempio, aria) nel quale il suono si propaga. Per la luce oscillano campi elettrici e magnetici. Infatti, la luce e’ un onda elettromagnetica (J. C. Maxwell, 1862). Se la sua lunghezza d’onda e’ tra 400 e 700 nm, abbiamo la luce visibile. Se la lunghezza d’onda dell’onda elettromagnetica e’ piu’ corta, abbiamo raggi ultravioletti, X e . Se e’ maggiore otteniamo onde infrarosse, microonde e onde radio. Inoltre la luce si puo’ propagare nel vuoto. E la sua velocita’ di propagazione nel vuoto, circa 300000 km/s, rappresenta la velocita’ limite in natura: niente si puo’ propagare piu’ veloce della luce. Tuttavia all’inizio del ventesimo secolo, studiando l’interazione della luce con la materia, l’interpretazione dei fenomeni della emissione della luce da un corpo nero (M. Planck, 1900), l’effetto fotoelettrico (A. Einstein, 1905, descritto nel documentario) e piu’ tardi l’urto Compton (A. H. Compton, 1923), forzarono gli scienziati ad ammettere che l’energia delle luce si manifesta in quantita’ discrete, chiamate “quanti” di luce o “fotoni”. In altre parole un fascio di luce e’ un fascio di particelle chiamate fotoni: se la luce ha frequenza , l’energia trasportata da ogni fotone e’ E=h (dove h=6.6260693x10−34 J s e’ chiamata costante di Planck). Questo potrebbe anche apparire divertente, perche’ all’inizio gli scienziati (incluso Newton nel 1660) pensavano che la luce fosse fatta di particelle: con questa assunzione era semplice spiegare alcuni fenomeni come per esempio la riflessione della luce. Tuttavia, non e’ stato per niente un ritorno al passato. Fenomeni come l’effetto fotoelettrico e la loro interpretazione hanno richiesto idee completamente nuove e hanno gettato le basi per lo sviluppo della fisica quantistica. Come riconciliare tutte queste osservazioni sulla natura della luce? E’ onda o particelle? Dobbiamo accettare che e’ entrambe le cose. In particolare dobbiamo accettare che la luce si propaga come un’onda e interagisce (scambia energia con qualcos’altro: per esempio quando la luce e’ emessa o assorbita) come una particella. Questo e’ il dualismo onda-particella. Questo dualismo, e in generale la meccanica quantistica, e’ stato verificato da innumerevoli esperimenti. Se questo vi sembra difficile da digerire e pensate che potete accettare questa teoria solo perche’ la luce e’ un oggetto cosi’ strano e perche’ alla fine i fotoni, essendo senza massa, non sembrano poi “vere” particelle, siate preparati per dell’altro. Nel 1924 Luis de Broglie postulo’ che non solo la luce ma ogni cosa si comporta sia come una particella che come un’onda. Se un oggetto ha una quantita’ di moto p, la sua lunghezza d’onda e’ =h/p dove h e’ di nuovo la costante di Planck. Questa semplice e potente equazione collega le proprieta’ ondulatorie e corpuscolari di un oggetto. E’ chiaro che, piu’ pesante e’ e piu’ velocemente si muove un oggetto, piu’ piccola sara’ la sua lunghezza d’onda. Anche prendendo un piccolo 1 oggetto di massa 10-6 g che si muova alla velocita’ di 10-6 km/h, la sua lunghezza d’onda sarebbe di circa 2.4x10-18 m. E’ una lunghezza d’onda estremamente piccola. Invero per osservare un fenomeno ondulatorio come per esempio la diffrazione, la lunghezza d’onda deve essere comparabile alla dimensione dell’ostacolo (una fenditura, un bordo,...). Tenendo presente che il diametro di un nucleo e’ di circa 10-15 m, e’ chiaro che le proprieta’ ondulatorie di un tale oggetto non possono essere osservate. Abbiamo bisogno di oggetti piu’ piccoli, come quelli che si trovano all’interno di un atomo. Infatti, la natura ondulatoria della materia ha avuto una conferma molto importante quando nel 1927, in due diversi esperimenti, C.J. Davisson e L.H. Germer ai Bell Labs e G.P. Thomson, osservarono diffrazione e interferenza di elettroni. Gli elettroni costituiscono, insieme con i protoni e i neutroni, gli atomi. Hanno una massa di circa 9.1x10−31 kg e una carica negativa di circa 1.6x10−19 C. Piu’ tardi, proprieta’ ondulatorie sono state misurate anche per oggetti piu’ pesanti come per esampio i neutroni. Il dualismo onda-particella ha anche applicazioni pratiche come viene descritto nell’esempio che segue. Come “vediamo” le cose? Funziona cosi’. Dobbiamo esporre un oggetto ad una sorgente di luce. Se siamo all’aperto, la sorgente di luce ci e’ fornita gratuitamente dal sole. Quando la luce colpisce gli atomi di cui e’ fatto l’oggetto, possono accadere varie cose. La luce puo’ essere assorbita, riflessa o trasmessa dagli atomi. Il comportamento dipende dalla natura del materiale e dalla frequenza della luce incidente. Se un po’ della luce e’ riflessa o trasmessa, raggiungera’ la retina nei nostrio occhi, che e’ sensibile alla luce, e poi inviata come impulsi al nostro cervello. Poiche’ la luce del sole e’ una miscela di varie frequenze, alcune frequenze saranno assorbite mentre altre saranno riflesse o trasmesse dall’oggetto. Questo rende gli oggetti colorati: frequenze che non sono assorbite determineranno il colore degli oggetti. Se vogliamo vedere oggetti piccolissimi o osservare piccoli dettagli di un oggetto dobbiamo aiutare i nostri occhi con un microscopio. Un microscopio ottico si basa sullo stesso principio di una lente d’ingrandimento. Tuttavia, per ottenere prestazioni ottimali un microscopio usa parecchie lenti e ha bisogno di una attenta progettazione dei percorsi di luce e di una buona accuratezza nella costruzione. Le caratteristiche principali di un microscopio sono il suo potere d’ingrandimento e la sua risoluzione. Il potere d’ingrandimento esprime quante volte le dimensioni dell’immagine di un oggetto appaiono piu’ grandi: un ottimo microscopio puo’ superare un ingrandimento 1000x usando una serie di accorgimenti. La risoluzione e’ la capacita’ di risolvere dettagli nell’immagine ingrandiata. Se si continua a ingrandire un oggetto, ad un certo punto l’immagine comincera’ a perdere dettagli e a diventare confusa. Questo e’ dovuto al fatto che la luce passando nell’apertura dell’obbiettivo e’ soggetta alla diffrazione (e’ la natura ondulatoria della luce che entra in gioco qui) e cosi’ quello che dovrebbbe apparire, per esempio, come un oggetto puntiforme diventerebbe offuscato da una serie di dischi d’interferenza. Un criterio (per esempio, il criterio di Rayleigh) puo’ essere definito per quantificare la distanza alla quale due punti possono ancora essere ben separati. Questo definisce il potere risolutivo di un microscopio come d=/2N.A., dove e’ la lunghezza d’onda della luce utilizzate e N.A. e’ l’apertura numerica del sistema di lenti. Nell’aria N.A. non puo’ superare 1 (corrispondente a un angolo di apertura dell’obbiettivo di 180o),il limite teorico: in pratica, una N.A. di circa 0.95 puo’ essere ottenuta. E ? Dalla formula si puo’ dedurre che piu’ piccola e’ la lunghezza d’onda della luce, un migliore potere risolutivo e’ ottenibile. Come abbiamo gia’ detto la luce visibile ha una lunghezza d’onda tra 400 e 700 nm. Anche prendendo la parte piu’ bassa dello spettro (e assumendo che altri fattori come aberrazioni delle lenti, qualita’ dell’illuminazione,... siano sotto controllo), il potere risolutivo non puo’ essere meglio di 200 nm. Dato che la lunghezza d’onda della luce e’ il fattore limitante e’ chiaro che ci si puo’ chiedere se questa puo’ essere ridotta. La luce con una lunghezza d’onda di 400 nm e’ luce violetta, se riduciamo ulteriormente la lunghezza d’onda otteniamo luce 2 ultravioletta. I microscopi a luce ultravioletta esistono e usano luce ultravioletta per avere un migliore potere risolutivo. Ottiche di quarzo, per esempio, devono essere utilizzate poiche’ il vetro non trasmette la radiazione ultravioletta. Inoltre, dato che questa radiazione e’ invisibile all’occhio umano, l’immagine ingrandita deve essere resa visibile con tecniche speciali come fluorescenza, fotografia e acquisizione digitale dell’immagine. Possiamo andare ancora piu’ giu’ in lunghezza d’onda? Se lo facciamo, entriamo nella parte dei raggi X dello spettro. Uno dei problemi qui e’ la difficolta’ di disporre di ottiche per una tale radiazione. In un comune microscopio i percorsi di luce sono creati piegando la luce con lenti che sfruttano il fenomeno della rifrazione. La rifrazione e’ la proprieta’ della luce di cambiare direzione quando passa da un mezzo ad un altro. Tuttavia, la rifrazione e’ molto piccola per i raggi X e questo complica molto le cose. La soluzione per andare a lunghezze d’onda piu’ corte del visibile e’ di usare gli elettroni, sfruttando il loro comportamento ondulatorio. Questo ha portato all’invenzione del microscopio elettronico (nel senso di microscopio “ad elettroni”) negli anni 30. Come funziona un microscopio elettronico? Prima di tutto se ci ricordiamo della relazione di de Broglie, per ottenere una piccola lungheza d’onda dobbiamo dare una grossa quantita’ di moto all’elettrone. Poiche’ gli elettroni sono particelle cariche questo puo’ essere ottenuto accelerando gli elettroni (emessi da una sorgente di elettroni) usando un potenziale elettrico. Per un potenziale di 60 kV puo’ essere ottenuta una lunghezza d’onda di 0.005 nm = 5 pm. Per direzionare e focalizzare gli elettroni non possono essere usate le lenti convenzionali. Bisogna usare campi magnetici per manipolare il fascio di elettroni e fargli colpire il campione da osservare. Poiche’ gli elettroni sono scatterati dalle molecole di un gas, inclusa l’aria, il microscopio elettronico deve essere tenuto sotto vuoto spinto. Il fascio urta il campione e interagisce con esso. Gli effetti di queste interazioni sono usati per ottenere una immagine ingrandita del campione. I due tipi principali di microscopi elettronici sono: il microscopio elettronico a trasmissione (Transmission Electron Microscope o TEM) e quello a scansione (Scanning Electron Microscope o SEM) che fanno un uso diverso dell’interazione elettroni-campione. Nel TEM, gli elettroni che passano attraverso il campione vengono utilizzati per creare un’immagine ingrandita del campione. Questo implica che il campione deve essere molto sottile. L’immagine ingrandita e’ rivelata usando un apparato dedicato come uno schermo fluorescente. Il TEM ha il potere risolutivo migliore che puo’ arrivare fino a 1 Angstrom (0.1 nm) che e’ comunque piu’ grande del valore teorico principalmente perche’ i campi magnetici non possono manipolare gli elettroni cosi’ bene come le lenti moderne possono fare con la luce. Questo potere risolutivo e’ abbastanza per vedere sino a livello molecolare e anche atomico. Nel SEM, un fascio di elettroni molto focalizzato e’ utilizzato per fare una scansione del campione in varie posizioni. Ad ogni posizione gli elettroni che sono scatterati all’indietro dalla superficie del campione o che sono emessi come elettroni secondari sono raccolti e contati. Facendo una mappatura del segnale con la posizione del fascio, l’immagine ingrandita del campione puo’ essere ricostruita su uno schermo. I microscopi SEM hanno una risoluzione peggiore dei microscopi TEM: tuttavia questi hanno il vantaggio che il campione non deve essere necessariamente sottile e che l’immagine ricostruita ha informazione tridimensionale (mentre le immagini TEM sono bidimensionali). 3