2 Indice Bibliografia 2 Premessa 3 1. Vocaboli e concetti del

Indice
Bibliografia
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Premessa
3
1. Vocaboli e concetti del termine misericordia
3
2. Dio fedele alla sua paternità
4
3. Padre sempre pronto a perdonare
5
4. Gesù attua ed esercita la misericordia
7
Conclusione
9
Bibliografia

ANCILLI E., Misericordia e peccato, in M. J. SARAIVA (Ed.), Dives in misericordia.
Commento d’enciclica di Giovanni Paolo II, Brescia 1981, 305-312.

CAMBIER J., LEON-DUFOUR X., Misericordia, in X. LEON-DUFOUR, Dizionario
di teologia biblica, Torino 1972, 699-705.

DEDEN D., L’amore di Dio e la risposta dell’uomo nella Bibbia, Bari 1971.

DOGLIO C., Canterò in eterno la misericordia del Signore, Cinisello Balsamo 2000.

GHIDELLI C., Peccato dell’uomo e misericordia di Dio, Roma 1983.

HONINGS, B., Misericordia: fedeltà di Dio e dignità dell’uomo, in M. J. SARAIVA
(Ed.), Dives in misericordia. Commento d’enciclica di Giovanni Paolo II, Brescia 1981,
273-284.

PANNACCHINI B., La parabola della misericordia, in M. J. SARAIVA (Ed.), Dives
in misericordia. Commento d’enciclica di Giovanni Paolo II, Brescia 1981, 59-82.
2

SISTI A., Misericordia, in P. ROSSANO – G. RAVASI – A. GIRLANDA (Eds.),
Nuovo dizionario di teologia biblica, Cinisello Balsamo 1988, 978-984.

VIRGULIN S., La misericordia nell’Antico Testamento, in G. CONCETTI (Ed.), Dio,
ricco di Misericordia, Roma 1980, 29-39.
Premessa
Tutta la storia della salvezza non fa che dimostrare come l’amore misericordioso di
Dio prevalga sul peccato e sull’infedeltà dell’uomo. Fin dalla prima caduta, il Padre Eterno
cerca di liberare l’uomo dalla condizione di morte e di peccato, mettendolo in grado di
vivere il progetto originale che Egli ha stabilito per lui. Dio non ha mai abbandonato le sue
creature nonostante la loro iniquità e infedeltà; anzi, Egli per primo si è chinato sull’uomo
per rialzarlo. Tutta la Bibbia racconta come il Padre Eterno, essendo fedele al suo amore
verso l’uomo, fa di tutto perché egli si converta.
Il mio scopo non è presentare tutto ciò che la Bibbia racchiude sotto il termine
misericordia. Vorrei far emergere solo alcuni aspetti di questa realtà – cioè la misericordia
di Dio - quelli che, a mio parere, sono più significativi. A questo scopo, prenderò in
considerazione alcuni brani sia dell’Antico sia del Nuovo Testamento, premettendo però
alcune considerazioni sui vocaboli con cui la Bibbia esprime la misericordia di Dio.
1. Vocaboli e concetti del termine misericordia
Prima di parlare della misericordia di Dio rivelata nella Bibbia, è opportuno
soffermarsi sul linguaggio che usano le lingue originali per esprimerla.
Il primo termine dell’Antico Testamento che indica la misericordia è rehamîm,
“viscere”: con questa parola, si allude al sentimento intimo e profondo che lega due esseri
per ragioni di sangue e di cuore, come avviene nel rapporto d’amore fra genitori e figli, o in
quello tra fratelli.1 Questo amore tutto gratuito corrisponde ad una necessità interiore, ad
un’esigenza del cuore.
Il secondo termine hesed designa “bontà”, “pietà”, “compassione”, “perdono” e ha
per fondamento la fedeltà:2 Dio è fedele a se stesso e mantiene la parola nonostante tutto. A
questi vocaboli se ne devono aggiungere altri tre, spesso usati accanto a rehamîm: hanan,
cioè “mostrare grazia, essere clemente”; hamal, che vuol dire “compiangere”, “sentire
Cf A. SISTI, Misericordia, in P. ROSSANO – G. RAVASI – A. GIRLANDA, Nuovo dizionario di teologia
biblica, Cinisello Balsamo 1988, 978.
2
Cf ibid.
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compassione”, “risparmiare”; e, infine, hus che significa “essere commosso”, “avere
misericordia”, “risparmiare”.3
Nel testo greco, troviamo vocaboli che riflettono i concetti dell’originale ebraico,
sebbene il loro significato non sia sempre perfettamente identico, a causa della ricchezza
semantica della lingua ebraica. Il termine più usato sia nel LXX sia nel Nuovo Testamento
è eléo, traduzione di hesed. Secondo Doglio, eléo, che significa “aver misericordia” e “agire
con misericordia”, allude a Dio che usa pietà nei confronti degli uomini.4 Altra parola del
testo greco è oiktirmòs (“compianto”, “commiserazione”), che sottolinea l’aspetto esterno
del sentimento di compassione. Questo termine rende l’ebraico rehamîm e anche i vocaboli
che significano “grazie” e “favore”. Deve, infine, essere ricordato ancora un vocabolo,
anche se di uso ridotto, cioè splanchna, che letteralmente equivale a rehamîm: esso esprime
amore, tenerezza, simpatia e benignità, ma anche misericordia e compassione.5
2. Dio fedele al suo amore paterno
Veramente alla luce della Parola di Dio la prima cosa che il credente comprende è il
suo amore, fatto di bontà e di misericordia. Proprio nella misura in cui egli percepisce
l’opera dell’amore di Dio, ritroverà anche il senso del peccato, della conversione e,
soprattutto, il fondamento della sua fede.
Dio, creando l’uomo a sua immagine e somiglianza, l’ha chiamato a entrare in
contatto speciale con sé. Infatti, il Creatore vuole condividere con lui la vita e l’amore che
lo pervade. Dio realizza questa sua intenzione nonostante il peccato dell’uomo e la sua
ribellione al piano del Creatore (Cf Gn 3). E’ inoltre il Signore a cercare per primo il
peccatore, per offrirgli la sua salvezza. 6 La paternità divina spinge Dio a circondare di un
amore misericordioso tutti gli uomini: per questo Egli sceglie alcune persone e poi la
nazione d’Israele, con cui stringere il suo patto di alleanza. Il Signore stesso si obbliga ad
amare l’uomo e ad essere fedele alle sue promesse. Tutta la storia d’Israele è un racconto
della fedeltà di Dio, nonostante le infedeltà e i tradimenti del popolo eletto.
Nel testo di Isaia 43,22-28, osserviamo il problema della fedeltà di Dio e
dell’infedeltà del popolo. Il brano proposto fa parte di un discorso più completo, che tratta
3
Cf. ibid.
C. DOGLIO, Canterò in eterno la misericordia del Signore, Cinisello Balsamo, 2000, 18.
5
Cf A. SISTI, Misericordia, 979.
6
Nota Stefano Virgulin nel suo articolo: “perché già mediante la creazione Dio si è legato alle creature con un
amore particolare. Ora l’amore esclude, per natura, l’odio ed il desiderio di fare del male a coloro, ai quali Dio
ha dato se stesso una volta in dono.” S. VIRGULIN, La misericordia nell’Antico Testamento, in G.
CONCETTI, Dio, ricco di Misericordia, Roma 1980, 38.
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4
proprio del peccato umano e del perdono di Dio. Il nostro passo si presenta come una
discussione fra Dio e il suo popolo, nella quale il Signore ricorda le colpe da lui commesse,
offrendogli, nel contempo, la possibilità di parlare per giustificarsi. Anzi, l’accusa è subito
seguita da una promessa di salvezza: “Io, io cancello i tuoi misfatti, per riguardo a me non
ricordo più i tuoi peccati” (Is 43,25). Dio rimane quindi fedele, nonostante l’infedeltà del
popolo e il suo amore non viene meno, non cade, poiché è più grande del peccato. Dio, per
riguardo a se stesso, s’impegna a perdonare la nazione eletta. 7
Osea esprime in forma eccezionale l’amore di Dio verso Israele, presentandoci il
Signore come l’innamorato per eccellenza del suo popolo e ricorrendo a diverse metafore
per descriverne i sentimenti verso l’uomo. Nel capitolo undici, Osea accosta il rapporto di
Dio con Israele a quello di un Padre verso il figlio:8 il Signore - Padre tenta di dare il cibo al
figlio capriccioso, sollevandolo fino alla guancia per farlo mangiare; lo prende poi per
mano, insegnandogli a muovere i primi passi per la strada. Ma il figlio non solo non
riconosce la bontà del Padre, anzi si allontana sempre più da lui, fino a far sorgere nel
Signore il desiderio di castigarlo. Però il discorso sul castigo all’improvviso si interrompe,
e, come se Dio ricordasse il suo amore paterno, trasforma il suo linguaggio in un linguaggio
di grande tenerezza. Il Padre Eterno non può comportarsi diversamente, avendo scelto
Israele come suo figlio, non può più negargli il suo amore: non può distruggerlo! Egli è
Dio, del tutto diverso dall’uomo (v. 9c); è santo (v. 9d), infinitamente buono e giusto
nell’agire: non può operare impulsivamente.9
L’amore di Dio verso l’Israele può assumere anche i caratteri dell’amore sponsale.
In un altro luogo del libro di Osea (Os 2,16-25), Dio – sposo tradito riprende l’iniziativa di
strappare Israele – sua sposa infedele - da tutti i suoi amanti. Il Signore la condurrà nel
deserto e parlerà al suo cuore (Cf v. 16). L’amata ritornerà, si celebrerà un nuovo
fidanzamento che annulli tutto il passato di miserie e di adulteri. Qui, vediamo che Osea,
volendo esprimere la totalità e l’assolutezza dell’amore di Dio per il popolo, non ha paura
di usare la metafora dell’amore coniugale.
Non solo nel libro di Osea troviamo l’immagine dell’amore sponsale: anche negli
altri libri dell’Antico Testamento scopriamo passi in cui il Signore assume il tipico
atteggiamento dello sposo verso la sposa. In questo caso, lo scopo degli autori sacri è
Cf S. VIRGULIN, La misericordia nell’Antico Testamento, 37.
Nello stesso modo esprimono rapporto fra Dio e Israele i profeti Geremia, Isaia e anche libro di Esodo (per
esempio Ger 31,20; Is 63,16; Es 4,22). Cf C. GHIDELLI, Peccato dell’uomo e misericordia di Dio, Roma
1983, 87.
9
Cf D. DEDEN, L’amore di Dio e la risposta dell’uomo nella Bibbia, Bari 1971, 24.
7
8
5
affermare, nella maniera più forte e più chiara possibile, la fedeltà di Jahvè nel suo amore
verso l’uomo. Nessun comportamento del popolo può fare perdere a Dio l’amore per lui.10
3. Padre sempre pronto a perdonare
L’esperienza che il popolo dell’Antico Testamento ha di Dio è quella di un Dio
indulgente che, amando il suo popolo esercita continuamente la propria grazia tanto verso
gli individui quanto verso l’intera nazione. La sua misericordia, che vuole perdo nare e
dimenticare le colpe, è più potente di ogni peccato, come leggiamo nel Salmo 130: “Se
considererai le colpe, Signore, chi potrà sussistere? Ma presso di te è il perdono perciò
avremo il tuo timore” (Sal 130,3-4).
Sa bene questa verità il profeta Michea, che lamenta la corruzione del suo popolo,
pur essendo, d’altra parte, consapevole che Jahvé è più potente di tutte le miserie umane (Cf
Mic 7,2-7; 18-20). Il profeta, guardando la sua nazione non vi trova nulla di “pio” né di
“giusto” (Mic 7,2): nessuno rispetta il diritto del proprio fratello, mentre giudici e
funzionari badano più ai loro interessi che alla verità e alla giustizia di cui sono
responsabili. Ma, anche in questa situazione, Michea non perde fiducia nella fedeltà di Dio
e, terminando la lista dei peccati di Israele, afferma: “Ma io volgo lo sguardo al Signore,
spero nel Dio della mia salvezza, il mio Dio m’esaudirà.” (Mic 7,7). Questo brano si
conclude con un inno al Dio fedele e misericordioso, in cui Michea è certo che Dio
perdonerà tutte le colpe del suo popolo perché è fedele alle promesse fatte ad Abramo. 11
Anche nella vicenda di Davide (2Sam 11-12) possiamo intravedere l’ineffabilità del
perdono di Dio. Davide si è comportato come un criminale per i suoi peccati di adulterio e
di omicidio. La parabola del povero e della sua pecora raccontata da Natan vuole scuotere il
re per metterlo sulla strada del pentimento. Dopo la parabola, segue l’elenco dei vari
benefici che Dio ha concesso a Davide: tutto questo per fare emergere la gravità del suo
peccato. Lo scopo è stato raggiunto: il re si apre totalmente a Dio confessando la propria
colpa senza superflui commenti: “Ho peccato contro il Signore!” (2Sam 12,13). Il
pentimento di Davide rende subito disponibile il perdono: “Il Signore ha perdonato i tuoi
peccati; tu non morirai” (2Sam 12,13). Va subito notato che, qui, l’iniziativa del perdono
scaturisce da Dio stesso. E’ stato, infatti, Lui ad aver mandato presso Davide il profeta
Natan. Solo alla luce della Parola di Dio il re può riconoscere la propria colpa.
Sull’intervento di Dio nel processo di riconciliazione si incentra anche l’altro brano
biblico che voglio prendere in considerazione: si tratta della pericope del libro di Ezechiele
10
11
Cf C. GHIDELLI, Peccato dell’uomo e misericordia di Dio, 88.
Cf S. VIRGULIN, La misericordia nell’Antico Testamento, 34.
6
36,16-38, dove il profeta parla della restaurazione d’Israele, che dovrebbe ristabilire l’onore
del Nome di Jahvè di fronte a tutte le genti. Questa restaurazione sarà essenzialmente
interiore: Dio stesso purificherà il popolo dai suoi peccati, infonderà il suo spirito, principio
di vita nuova, e sostituirà il cuore di pietra, reso duro dal peccato, con un cuore giusto e
fedele. Notiamo che a Dio non basta perdonare, togliere i suoi dalla situazione di
lontananza da Lui, ma desidera entrare in un rapporto nuovo che porrà la loro vita
individuale e comunitaria in piena sintonia con i voleri divini. Intravediamo qui una grande
restaurazione del popolo eletto, che ai tempi di Ezechiele si trovava in esilio e aspettava la
liberazione. Ma, insieme con un discorso consolatorio, il profeta fa apparire il progetto del
perdono escatologico,12 perdono che avrà il carattere dell’universalità, poiché tutti gli
uomini ne hanno bisogno, trovandosi in stato di colpa. Questo perdono unirà le genti che il
peccato ha diviso, sarà definitivo ed eterno e restaurerà l’armonia primitiva. 13
4. Gesù attua ed esercita la misericordia
Nell’Antico Testamento, gli annunciatori della misericordia di Dio erano i profeti.
Essi ricordavano al popolo d’Israele tutto il bene che Dio aveva fatto per il suo eletto e
annunziavano la sua misericordia. Nei loro scritti, la storia d’Israele è presentata proprio
come una tensione continua fra l’infedeltà degli uomini e la misericordiosa fedeltà di Dio.
Ma, nell’Antico Testamento, la misericordia di Dio era anche annunciata come prossimo
bene messianico: il bene che verrà portato dal Messia e che comporterà una trasformazione
completa e radicale dell’uomo. Alla luce del Nuovo Testamento, riconosciamo in Gesù
Cristo il Messia che porta il perdono in forma definitiva. 14 Tutta la vita di Gesù è
caratterizzata dalla solidarietà e dall’accoglienza verso i peccatori. L’amore di Cristo verso
tutti i peccatori trova il suo vertice nella morte in Croce.
Il comportamento di Gesù era contrario agli insegnamenti comuni dei rabbini, che
raccomandavano di non andare in compagnia dell’empio.15 Invece Cristo, non solo sta in
compagnia di un peccatore, ma anche si fa invitare a casa sua, come nel caso di Matteo (Mt
9,9-13), e di Zaccheo (Lc 19,1-10). Ambedue erano pubblicani, cioè peccatori pubblici: non
a caso, la confidenza dimostrata da Gesù verso di loro provoca le maldicenze della gente.
Questo perdono escatologico assicurano anche Geremia ed Isaia. Cf C. GHIDELLI, Peccato dell’uomo e
misericordia di Dio, 29.
13
Cf ibid., 29-31.
14
Cf E. ANCILLI, Misericordia e peccato, in M. J. SARAIVA (Ed.), Dives in misericordia. Commento
d’enciclica di Giovanni Paolo II, Brescia 1981, 312.
15
Cf B. PANNACCHINI, La parabola della misericordia, in M. J. SARAIVA (Ed.), Dives in misericordia.
Commento d’enciclica di Giovanni Paolo II, Brescia 1981, 68.
12
7
Nel caso di Matteo, mormorano solo i farisei, ma quando Gesù va a casa di Zaccheo, Luca
nota che “tutti mormoravano.” Infatti, per i giudei, il comportamento di Cristo verso i
pubblicani era assurdo, perché ritenevano che Dio avesse in odio tutti i peccatori. Ma Gesù
non condivide la loro maniera di ragionare: egli sa bene che “non è venuto a chiamare i
giusti, ma i peccatori” (Mt 9,13) e che è venuto “a cercare e a salvare ciò che era
perduto”(Lc 19,10). La sua missione è esattamente quella di portare la riconciliazione del
Padre a chi si è allontanato da Lui. Tutta l’attività di Cristo è in funzione della lotta al
peccato e della liberazione dalla schiavitù.16
Prendo ora in considerazione un brano in cui Cristo manifesta il suo potere di
concedere il perdono, nella fattispecie la guarigione del paralitico (Mt 9,1 -8): prima di
guarire fisicamente quell’uomo, Gesù gli rimette tutti i peccati. Questo fatto suscita subito
la reazione degli scribi, che sanno bene che un simile potere appartiene solo a Dio, in nome
e al posto del quale Gesù dichiara di agire. Cristo, rimettendo i peccati, fa camminare il
paralitico: in tal modo, Egli può proclamare, anche con le parole, il proprio potere sopr a il
peccato: “Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere in terra di rimettere i
peccati…” (v. 6). L’atteggiamento di Gesù suscita controversie, poiché i suoi gesti di
misericordia e di perdono sono nettamente contrari ai comuni insegnamenti dei rabbini, che
concepivano un Dio molto severo verso i peccatori; è proprio per questo che Gesù spesso si
trova nella necessità di giustificare il suo comportamento.17 A tale scopo ricorre ad alcune
parabole, come, per esempio, le tre riportate da Luca nel capitolo 15. Questo testo si trova
nella parte centrale del suo vangelo a dimostrazione dell’importanza assegnata
dall’evangelista all’annunzio della misericordia divina. La parabola del buon pastore che va
in cerca della pecora perduta (v. 3-7)18 mette in luce la gioia di Dio che perdona e ricerca il
cuore dell’uomo. La parabola della donna preoccupata per la dracma smarrita (v. 8-10)
sottolinea la provvidenza paterna di Dio, che si prende cura anche di un solo peccatore.
Bisogna notare che la tematica di ambedue le parabole viene sviluppata secondo lo stesso
schema “perdere-cercare-trovare”, cui segue l’invito a far festa. Nella parabola del figlio
prodigo, chiamata più giustamente parabola del padre misericordioso (v. 11-32), Gesù
rivela l’infinita ricchezza della divina misericordia: il padre della parabola manifesta i
sentimenti di Dio Padre verso il peccatore che ritorna a lui. E’ infatti il padre che si mette a
correre incontro al figlio, lo abbraccia, lo bacia, non gli chiede nulla, ordina di vestirlo e
“Il peccatore per Gesù, si trova una situazione di tale povertà che attira la benevolenza e gli strappa gesti di
speciale predilezione.” C. GHIDELLI, Peccato dell’uomo e misericordia di Dio, 48.
17
Cf ibid., 49.
18
Unica parallelo sinottico si trova in Mt 18,12-14, che parla di una pecora sbandata. Questa parabola è
collocata in contesto ecclesiale riferito ai piccoli. Cf ibid., 39.
16
8
comincia a far festa. E tutto ciò lo fa “perché questo mio figlio era morto ed è tornato in
vita, era perduto ed è stato ritrovato” (v. 24).
Dopo aver esaminato brevemente le parabole del quindicesimo capitolo di San
Luca, possiamo confermare che Gesù intendeva soprattutto mettere a fuoco il rapporto tra i
peccatori e il Padre misericordioso, quel Padre che va incontro ai figli perduti per ritrovarli,
che fa festa quando si converte un peccatore.
Però la misericordia di Dio non si rivela soltanto nei gesti di solidarietà e perdono o
nell’insegnamento di Gesù, ma trova la sua massima espressione nel mistero della morte e
risurrezione di Cristo: Dio Padre ha amato il mondo fino a sacrificare il suo Figlio. Con la
passione e la morte in Croce, Cristo soddisfa quanto era richiesto per l’espiazione dei
peccati degli uomini di tutti i tempi. Dio Padre, per il sacrificio del suo Figlio, restituisce
all’uomo la sua dignità, stringe una nuova alleanza e rimane fedele al suo amore
misericordioso verso l’uomo “chiamato in qualità di figlio adottivo a comunicare con la
vita stessa di Dio: Padre, Figlio, e Spirito Santo.”19 La morte e la risurrezione di Gesù
Cristo, come rivelazione estrema della misericordia Dio Padre, si trova al centro
dell’annunzio evangelico degli Apostoli. Possiamo leggere fra altro: “E’ stato Dio infatti a
riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a
noi la parola della riconciliazione” (2Cor 5, 19) e ancora: “Ma Dio mostra il suo amore
verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi”(Rm 5,8).
Conclusione
Il Dio di cui parla la Sacra scrittura è un Signore partecipe della vicenda del suo
popolo. Egli ama Israele e soffre tutte le volte in cui esso si allontana da lui, mettendosi in
azione per portargli soccorso. Dio vuole che Israele faccia esperienza di Lui come di un Dio
più grande delle umane debolezze, capace di muoversi continuamente a misericordia.
L’essere misericordioso di Dio fa parte di lui stesso, nasce dall’esigenza del suo cuore e si
manifesta nella sua libera, gratuita, unilaterale e stabile disposizione benevola nei nostri
confronti. Dio è misericordioso perché è fedele al suo amore paterno, alla sua alleanza.
Tutte le caratteristiche di Dio misericordioso dell’Antico Testamento si manifestano
pienamente nella persona del suo Figlio. E’ Dio stesso, allora, che entra nella dimensione
umana e partecipa pienamente alla vita dell’uomo, alla sua miseria. Va a cercare i peccatori,
B. HONINGS, Misericordia: fedeltà di Dio e dignità dell’uomo, in M. J. SARAIVA (Ed.), Dives in
misericordia. Commento d’enciclica di Giovanni Paolo II, Brescia 198, 283.
19
9
siede con loro a tavola e li chiama ad essere i suoi discepoli. Percepire questa realtà può
suscitare nell’uomo un desiderio di vera conversione e di fedeltà alla sua vocazione.
Per tali ragioni, ho scelto questo tema come oggetto del mio elaborato, pur nella
consapevolezza di non aver potuto esaurire un argomento tanto vasto, anche perché ho
approfondito solo due dei numerosi aspetti della misericordia divina. Ma ciò mi ha
permesso di sottolineare l’amore di Dio verso ogni l’uomo, amore che si manifesta
soprattutto nella sua misericordia.
La Misericordia nell’Antico Testamento
Normalmente nell’Antico testamento troviamo il termine hesed per indicare l’agire di Dio
in quanto espressione della sua fedeltà soccorritrice. Esso quindi rimanda al contesto
dell’alleanza che, a sua volta, è espressa dai temi nuziali come in Os, 2,21: «Ti farò mia
sposa per sempre nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza (hesed) e nell’amore
(rahamim), ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore». Nella Dives in
Misericordia Giovanni Poalo II considera centrale la rivelazione di Dio avvenuta
nell’esperienza del vitello d’oro: «Su tale gesto di rottura dell’alleanza il Signore stesso
trionfò, quando si dichiarò solennemente a Mosé come “Il Signore, il Signore, Dio
misericordioso e benigno, lento all’ira e ricco di misericordia e di fedeltà” (Es 34,6). È in
questa rivelazione centrale che il popolo eletto e ciascuno dei suoi componenti troveranno,
dopo ogni colpa, la forza e la ragione per rivolgersi al Signore, per ricordargli ciò che egli
aveva esattamente rivelato di se stesso e per implorarne il perdono (DM 4). Il peccato del
popolo non sta nell’aver scelto un dio diverso ma nell’essersi fatta una sua immagine di lui.
È un tradimento questo dell’identità dell’Altro che si sta rivelando all’uomo. Mosé può
però intercedere per il popolo in nome della fedeltà che Dio deve a se stesso all’alleanza
che ha offerto quando ha fatto uscire il popolo dall’Egitto. Mosé ricorda a Dio che Israele è
il suo popolo: «Ricordati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per
te stesso e hai detto: Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo e tutto
questo paese, di cui ho parlato, lo darò ai tuoi discendenti, che lo possederanno per sempre»
(Es 32,14).
Quindi il primo significato del termine hesed sta proprio in questa fedeltà all’amicizia e a se
stesso da parte di Dio. Mosé invocando l’alleanza, scommette sull’amicizia che lega Dio ad
Abramo. Hesed quindi non indica un sentimento ma l’attaccamento tranquillo e profondo di
un cuore leale. L’amicizia, però da parte del popolo è stata tradita. Dio non può più essere
in mezzo al suo popolo come prima. È Mosé che, solidale al suo popolo, entra in
un’intimità particolare con il Signore che scriverà una seconda volta le tavole della legge.
Questo rinnovo dell’alleanza però non si basa solo sulla fedeltà di Dio ma sulla sua grazia.
L’espressione “mostrami la tua gloria” sgorga dal cuore di Mosé che, alle prese con la
contraddizione assoluta in cui si trova a causa del grande peccato del popolo si sente spinto
a una richiesta estrema costringendo quasi Dio a prendere posizione di fronte a quel
peccato. Mosé proclama, invocando il nome di Dio: “Signore”, e il Signore proclama il
contenuto di questo nome. Per Giovanni Paolo II questa è una rivelazione centrale.
All’amicizia e alla lealtà che Mosé già conosce di Dio si aggiungono due aggettivi:
misericordioso (rahoum) e benigno (hannoun). Mosé scopre che c’è in Dio più della fedeltà
e dell’amicizia e della stessa grazia: c’è la misericordia; scopre quindi che se egli – e
10
attraverso lui il popolo – ha trovato grazia agli occhi di Dio, è perché è misericordioso. Da
quel momento in poi la fedele amicizia divina esprime la sua misericordia e benignità.
Giovanni Paolo II sottolineava un fatto importantissimo: «Nel compimento escatologico la
misericordia si rivelerà come amore, mentre nella temporaneità, nella storia umana, che è
insieme storia di peccato e di morte, l'amore deve rivelarsi soprattutto come misericordia ed
anche attuarsi come tale». Mosé continua la sua richiesta: «Il Signore cammini in mezzo a
noi. Sì è un popolo dalla dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa
di noi la tua eredità» (Es 34,9). Il perdono soltanto autorizza Dio a tornare a camminar e in
mezzo al suo popolo. Ora Mosé consoce il Signore come colui che perdona.. Il perdono
permette di uscire dalla contraddizione! «Hesed cessando di essere obbligo giuridico,
svelava il suo aspetto più profondo: si manifestava ciò che era al principio, cioè come
amore che dona, amore più potente del tradimento, grazia più forte del peccato» (DM nota
52). Anche il profeta Isaia canta la misericordia di Dio che non dimentica il suo popolo:
«Giubilate, o cieli, rallégrati, o terra, gridate di gioia, o monti, perché il Signore consola il
suo popolo e ha misericordia dei suoi poveri. Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato,
il Signore mi ha dimenticato». Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non
commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece
non ti dimenticherò mai. Ecco, sulle palme delle mie mani ti ho disegnato, le tue mura sono
sempre davanti a me» (Is 49,13-15). La donna non dimentica i momenti attraverso i quali
dà progressivamente la vita al suo bambino. Essi iniziano nell’istante che fonda tutti gli
altri: la gioia e l’emozione prodotte dal primo annuncio di un bambino vivente nel suo
grembo. Ormai non può più vivere senza questa generazione permanente in qualche modo
impressa dentro di lei. Il termine rahamin indica l’essere femminile nella sua relazione
materna – spirituale e sensibile – con il suo bambino.
Questo termine può essere tradotto con “viscere femminili” perché esprime tutte le
vibrazioni della madre per il suo bambino, chiamate nella Bibbia “misericordie”. Il legame
con il bambino è la nuova identità di una dona divenuta madre. Ella non dimentica, nel
senso che la procreazione continua a costituirla come madre e a trasmetterle una particolare
pienezza che essa vede nascere in lei. Il mistero della procreazione e del legame che essa
stabilisce fra la donna e il suo bambino esprime qualcosa del mistero di Dio e del suo
legame con il suo popolo. Accanto ad hesed viene posto spesso il termine rahamim che
indica le viscere materne e più precisamente l’utero (rehem) che si commuove sotto la
spinta di un profonda emozione del cuore.
Anche nel Nuovo testamento vi sono echi di questa terminologia attraverso la parola eleos
riferita a hesed e splagchna riferita a rehamim. Maria canta la misericordia di Dio perché ha
sperimentato il suo agire di padre e di madre. Ella è la prima beneficiaria della misericordia
divina offerta per noi dal cuore di Dio. Come una madre consola un figlio così io vi
consolerò; in Gerusalemme sarete consolati. Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore, le
vostre ossa saranno rigogliose come erba fresca (Is 66, 13-14)
Un’altra espressione della misericordia è la compassione. Il termine che la indica nell’AT è
hus e ricorre soprattutto nel libro di Neemia, in Isaia ed Ezechiele. In quest’ultimo profeta
appare che Dio non agisca tanto solo per fedeltà alla sua alleanza ma per fedeltà al suo
stesso nome.
La sua compassione cioè dipende solo dal suo nome, cioè da lui stesso. (cf Ez 20,14.22.44).
Isaia usa piuttosto il verbo hamal. Questo verbo indica che Dio “si lascia piegare”, “si
ammorbidisce” dinanzi al suo popolo. Giovanni Paolo II spiega che il verbo hamal significa
“risparmiare (il nemico sconfitto)”, ma anch manifestare pietà e compassione e, di
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conseguenza, perdono e remissione della colpa: «Voglio ricordare i benefici del Signore, le
glorie del Signore, quanto egli ha fatto per noi.
Egli è grande in bontà per la casa d’Israele. Egli ci trattò secondo la sua misericordia,
secondo la grandezza della sua grazia. Disse: «Certo, essi sono il mio popolo, figli che non
deluderanno», e fu per loro un salvatore in tutte le loro tribolazioni. Non un inviato né un
angelo, ma egli stesso li ha salvati; con amore e compassione li ha riscattati, li ha sollevati e
portati su di sé, tutti i giorni del passato. Ma essi si ribellarono e contristarono il suo santo
spirito.(…) … Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti…»
(Is 63,7-9.19)
La Misericordia nel Nuovo Testamento
La misericordia, nel Nuovo Testamento, esprime il modo con cui Dio si rivolge all’uomo,
lo ama e lo giustifica in Cristo Nell’Antico Testamento il termine hesed indica l’agire di
Dio nella sua amicizia e fedeltà soccorritrice. Esso rimanda al contesto dell’alleanza e
quindi ai temi nuziali come in Os, 2,21.
Accanto ad hesed viene posto spesso il termine rahamim che indica le viscere materne e più
precisamente l’utero (rehem) che si commuove sotto la spinta di un profonda emozione del
cuore. Anche nel N.T. vi sono echi di questa terminologia attraverso la parola eleos riferita
a hesed e splagchna riferita a rehamim.. Essa, come ha affermato Giovanni Paolo II,
possiede la forma interiore dell’Agápe Cf Giovanni Paolo II. Dives in Misericordia. , n. 6)
che perdona, riconcilia, guarisce e rigenera l’uomo, attraverso il mistero pasquale,
rendendolo “ciò che è chiamato ad essere”: figlio nel Figlio di Dio.
Essa è la rivelazione radicale del Padre, ricco di misericordia (Ef 2,4), il Suo essere reso
presente nella vita terrena di Gesù Cristo e, in modo del tutto particolare, di sua madre
Maria: nella pro-esistenza; nella compassione e nell’amore per l’uomo a partire dai piccoli
e dai poveri, dai sofferenti e dagli esclusi ; nel perdono che salva tutto l’uomo; nell’offerta
di sé e nel sacrificio di espiazione e di amore per l’uomo (Cf Bordoni M. Gesù di Nazareth,
Signore e Cristo. Saggio di Cristologia sistematica, vol II: "Gesù al fondamento della
Cristologia". Perugia 1982, Herder-Università Lateranense, pp. 65-69; 85-95; 133-151;
206-224; 492-512).
La misericordia si è incarnata definitivamente nel Cristo pasquale per il quale l’amore
promuove il bene da tutte le forme di male e restituisce l’uomo a se stesso nella sua dignità
di persona umana Cf Giovani Paolo II. Dives in Misericordia, n. 6. Essa è quindi il ritorno,
grazie anche al dono della Madre Immacolata, alle “viscere di carità”, al grembo umano divino dal quale “rinascere dall’alto” (Gv 3,3) ed essere ri-generati in Cristo e vivere
nell’Amore (cf 1 Pt 1,3) Cf Cambier J., Léon- DufourX. Misericordia. In Leon-Dufour X.
dir. "Dizionario di Teologia Biblica". Torino 1976, V ed. Marietti, p. 699).
Essa diviene quindi la missione della Chiesa, che ripropone all’uomo, per opera dello
Spirito Santo, una “relazione di misericordia” in Cristo, di cui i sacramenti della
Riconciliazione e dell’Eucaristia sono il momento centrale di un’azione di rigenerazione
dell’umanità che trasfigura la giustizia. Guida, modello e costante riferimento alla Chiesa,
nel suo accostarsi all’uomo e piegarsi sulle sue ferite, è, in modo sommo, la Madre di
misericordia.
A Lei siamo stati affidati come figli dal Cristo Crocifisso. In questo modo, attraverso la
compassione, l’immedesimazione, il perdono e l’amore operante, per dono dello Spirito
Santo, ognuno può riscoprire il bene e la dignità di sé stessi e dell’altro, riconciliarsi essere
perdonato e perdonare; essere così ricondotto a se stesso e al suo mistero in Cristo e
ritrovare il senso della sua vita nell’amore e nel dono sincero di sé a Dio e al prossimo.
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La misericordia costituisce infine il contenuto fondamentale del messaggio messianico del
Salvatore espresso nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,18s) e sintetizzata nella frase: «Mi ha
mandato ad evangelizzare i poveri» e nella risposta data ai portavoce del Battista: «I poveri
sono evangelizzati» (Lc 7,22s) (Cf Giovani Paolo II. Dives in Misericordia, n.3).
Nel Vangelo di Luca la misericordia di Dio viene particolarmente espressa nella
commozione profonda che prende il padre del figliol prodigo allorché lo vede ritornare. Il
termine che viene utilizzato è splagchnizomai: essere commosso fino alle viscere. Luca lo
usa per indicare la commozione del padre, quella di Gesù dinanzi alla vedova di Nain e
quella del samaritano alla vista del suo prossimo in fin di vita.
Tutti contesti quindi in cui c’è uno sguardo sulla morte: “Questo tuo fratello era morto…”.
Questo sguardo suscita pietà e questa pietà spinge a ridare vita: il padre lo vide…
Nell’uomo più miserabile, Dio misericordioso vede la sua eminente dignità di figlio.
Questo sguardo opera una commozione profonda che spinge Dio a restituire l’uomo, che si
crede perduto, alla sua dignità di figlio prediletto. Giovanni Paolo II sottolinea, nella
parabola del figliol prodigo, la potenza della misericordia: «Tale amore è capace di chinarsi
su ogni figlio prodigo, su ogni miseria umana e, soprattutto, su ogni miseria morale, sul
peccato.
Quando ciò avviene, colui che è oggetto della misericordia non si sente umiliato, ma come
ritrovato e “rivalutato”. Il padre gli manifesta innanzitutto la gioia che sia stato «ritrovato»
e che sia «tornato in vita». Tale gioia indica un bene inviolato: un figlio, anche se prodigo,
non cessa di esser figlio reale di suo padre; essa indica inoltre un bene ritrovato, che nel
caso del figliol prodigo fu il ritorno alla verità su se stesso» (DM 4). In questo modo il
figlio minore non è più invitato a far valere le sue azioni, che sono ingiuste, ma a vedere se
stesso come lo vede il Padre. Solo in seguito può guardare alle sue azioni non conformi al
suo essere filiale «Alle volte, seguendo un tale modo di valutare, accade che avvertiamo
nella misericordia soprattutto un rapporto di diseguaglianza tra colui che la offre e colui che
la riceve. E, di conseguenza, siamo pronti a dedurre che la misericordia diffama colui che la
riceve, che offende la dignità dell'uomo.
La parabola del figliol prodigo dimostra che la realtà è diversa: la relazione di misericordia
si fonda sulla comune esperienza di quel bene che è l'uomo, sulla comune esperienza della
dignità che gli è propria. Questa comune esperienza fa sì che il figliol prodigo cominci a
vedere se stesso e le sue azioni in tutta verità (tale visione nella verità è un'autentica
umiltà); e per il padre, proprio per questo motivo, egli diviene un bene particolare: il padre
vede con così limpida chiarezza il bene che si è compiuto, grazie ad una misteriosa
irradiazione della verità e dell'amore, che sembra dimenticare tutto il male che il figlio
aveva commesso» (DM 4)
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