DEL POPOLO
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il pentagramma
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De gustibus obscenis et de gloriis futuris
di Patrizia Venucci Merdžo
Gentilissimi,
l’estate se n’è andata e con essa le calure, i suoi clangori...ed i suoi “suonatori di strada”. Per modo di dire. Perché i
nostri musicanti urbani non sono come
quei menestrelli che si possono incontrare sui vecchi ponti di Praga, nelle calli di
Montmartre, per le strade della Alt Wien
- complessini suggestivi di chitarra, fisarmonica, violino, contrabbasso, flauto
ecc, con i loro repertori di evergreen o di
vecchie canzoni locali - o nella metropolitana di Milano, dove l’orchestra da camera del Conservatorio teneva concerto
per i tanti passanti e curiosi.
Da noi no; da noi, in Corso c’è il
“tulum”, il tulum da discoteca; il “tulum
che è un’istituzione; perché da noi vige
la sacrosanta e la santasacra equazione
einstainiana “fracasso = allegria”. Allegriaaa ! Allegriaaa ! Dunque, c’è un
disgraziato alla chitarra elettrica, con
tanto di amplificatori a 150 decibel, che
ti violenta i timpani e la psiche dal polo
nord al polo sud del Corso. Mettici i lavori in centrocittà (naturalmente bisogna
farli in estate; quando sennò?!!) con le
“mitragliatrici” pneumatiche, mettici il
traffico, mettici la calura infernale...! Insomma, si salvi chi può ! Decisamente,
dovrà passarci di acqua sotto i ponti dell’Eneo per superare la paleolitica mentalità del “tulum”!
Per non parlare della Perla del Quarnero!, della Nizza austriaca!, della Montecarlo dell’Adriatico!, della Regina di
Saba (oops!), tutta fiocchetti, merletti,
lungomare e parchetti viennesi... e, la
sera, “impreziosita e valorizzata” con
un sottofondo musicale da fiera paesana. Tra “ribarske noći“ a 500 decibel,
e il “sublime“ repertorio delle terrazze
abbaziane in prevaricante contrappunto con le musiche vivaldiane della Scena estiva, siamo veramente al massimo
della „goduria“. Ma io mi chiedo, carissimi, un turista italiano, austriaco, tedesco, magari di una certa età e di un livello appena decente - inclusa la gente no-
musica
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Mercoledì, 26 sette
strana- , in che misura si riconosce nelle
„nenie“ dalmuše o peggio nelle involute
cacofonie delle „stars“ nazionali croate? Dico, almeno in certi ambienti un repertorio più variato, più internazionale,
anche più classico, di un certo livello ce
lo potremmo aspettare. Eh, ce ne vorrà
di tempo per affinare i gusti ed i criteri
musicali.
Ma non è il caso di disperare!; infatti in questo paesaggio di desolazione,
in questa brughiera di ottusità spirituale, in questo mare di miseranda grosso-
lanità (novella emula di Geremia, tsh!),
un certo conforto ci viene dalla trascorsa
seconda edizione del Festival di Musica
da Camera di Fiume (genere totalmente
ignorato nelle Notti estive fiumane) che
ha offerto non solo nomi di valenti musicisti stranieri, ma ha pure messo in luce
le giovani forze nostrane rivelatesi non
inferiori rispetto ai colleghi esteri e regolarmente seguite con massima attenzione
da un numeroso pubblico.
Un altro raggio di luce e di vita (!)
ci viene pure dal quel Faro di Cultura (così almeno dovrebbe essere) che si
appella Teatro NC Ivan de Zajc, il quale dopo quattro anni di esperimenti lirici moderni disgraziati (e costosissimi)
e di frustrante mutismo sinfonico, “sta
risorgendo dalle ceneri come una Fenice”! Sostituito il Capitano pure la rotta si sta invertendo; e di trecentosessanta
gradi. Amen.
Dunque; quattro prime d’opera, sei
concerti sinfonici, i concerti d’occasione, due balletti, tra i quali due “classici”,
(Romeo e Giulietta e il Mandarino meraviglioso) dopo un quadriennio di danza
limitata al repertorio moderno, il quale
di certo non ha determinato una crescita
nel Corpo di ballo. Era ora. Tutto sommato un programma – nell’ambito delle nostre possibilità – del tutto rispettabile che si spera, riporterà al recupero di
quella considerazione e reputazione delle
quali il Teatrale NAZIONALE di Fiume
quasi sempre ha goduto.
Speranzosamente Vostra
2 musica
Mercoledì, 26 settembre 2007
IL PERSONAGGIO Conversazione con Cristina Miatello, una delle prime interpreti
Cantare il barocco significa libr
di Alessandro Boris Amisich
C
onosco Cristina Miatello da
tanti anni. “Da troppi!” aggiunge lei, sorridendo. Probabilmente scherza; in effetti lo fa
spesso: è una donna di spirito e dotata di molta ironia. O forse è proprio stufa di conoscermi! E magari
ha ragione. Ci siamo diplomati al
Conservatorio “Pollini” di Padova
nello stesso anno, il 1979.
“Sì, mi sono diplomata in Canto
- ramo didattico, e infatti - aggiunge subito - non mi sembra assoluta-
mento che avevo studiato ai corsi
pomeridiani dell’istituto magistrale e poi anche per un anno privatamente, al fine di preparare l’esame
di ammissione al Conservatorio. La
commissione mi riconobbe buone doti musicali, ma mi sconsigliò
decisamente lo strumento, essendo
troppo ‘vecchiotta’ per cominciare
un percorso serio a livello professionale. Così finii per studiare canto, ma, devo confessare, con poco
amore per l’opera lirica e con pa-
Ogni concerto vive di una sua
emozione particolare, ma non
posso dimenticare l’emozione
di aver cantato nelle antiche
chiese delle missioni gesuitiche,
nella foresta boliviana, durante
il festival Misiones des Chiquitos,
con un pubblico di indios arrivati
a piedi da chissà dove, spesso
scalzi, compresi i bambini
mente un caso la mia passione e dedizione all’insegnamento”.
Approfondiamo subito questo
aspetto della sua attività, che lei
non considera assolutamente un ripiego: “Ho sempre insegnato, anche se è molto faticoso unire la professione concertistica con l’attività
didattica”.
Mi incuriosisce sapere come
è arrivata al canto, dapprima, e al
canto barocco poi.
“Non posso nascondere di essere partita dal pianoforte, stru-
recchia esperienza corale alle spalle, (anche come direttrice). Il mio
primo insegnante di canto, il M°
Sante Rosolen, di origine istriana,
che aveva studiato a Vienna, cambiò radicalmente la mia idea della voce, e mi aprì al mondo della
musica cameristica e soprattutto
all’idea fondamentale che, per lavorare, non si dovesse cantare solo
l’opera lirica. E così in effetti fu.
Il barocco e la liederistica furono
e sono il mio passato, il presente
e… il futuro, spero! Mi sono per-
l’Ensemble vocale veneto, il gruppo di solisti composto
dalla Miatello (prima a sinistra)
fezionata con Elisabeth Schwarzkopf, prima ai corsi alla Radio di
Trieste, e poi a casa sua a Zurigo.
L’emozione più grande la provai un
giorno che, mentre cantavo il duetto della lettera dalle “Nozze di Figaro” di Mozart, nella parte di Susanna, lei cominciò ad accennare la
parte della Contessa; le gambe mi
cedevano: stavo cantando insieme
a quello che era il mio idolo incontrastato…”.
D’accordo. Ma “cantare il barocco” che significato ha? Con
che spirito, con che approccio ci
si avvicina a questo vasto repertorio, così lontano dal nostro tempo e dalla nostra estetica (sempre
che oggi si possa dire di avere
un’estetica…)?
Cantare il barocco è, per me,
anche una liberazione della fantasia. Essendo un periodo storico
vasto e lontano dalla nostra sensibilità, tra la fine del ‘500 e la fine
del ‘700, mi piace immergermi in
tutto ciò che può aiutarmi a capirlo
di più, e quindi di conseguenza anche a cantare meglio. Leggo, vado
alle mostre, al cinema (quando è
buono), a vedere film in costume
(ma non solo), possibilmente basati
su fedeli ricostruzioni di ambienti,
luoghi, ecc. Ovviamente mi piace
viaggiare, Italia e fuori, e scoprire
quei bei borghi pieni d’arte, magari
senza tanti turisti in giro. Mi piace
andare a piedi con calma e curiosità, guardarmi intorno, immergermi
in quei luoghi.
Quindi stiamo parlando di un
periodo piuttosto ampio, e certamente non omogeneo.
Hai ragione: a me piace il Seicento perché è un secolo pieno di
passioni e di contrasti. E anche nella musica tutto ciò è molto evidente. Il Settecento invece è una sfida
dell’intelletto.
Veniamo alla carriera concertistica; una carriera brillante, intensa, ricca di tappe importanti.
La carriera professionale mi ha
riservato grandi soddisfazioni. Ho
fatto concerti ovunque in Europa,
nei maggiori festivals, ho registrato
per radio e televisioni di vari paesi,
ho partecipato all’incisione di una
quarantina di CD, alcuni dei quali
hanno avuto premi internazionali
della critica discografica.
Soddisfazioni, certo. Anche
fatica? Stress?
Non mancano mai, nella nostra professione, i picchi positivi e
negativi: i viaggi intercontinentali
sono faticosi e a volte, cambiando
anche i ritmi sonno-veglia, clima
e alimentazione, la voce non dimostra contentezza e arrendevolezza, ma si vendica ferocemente,
soprattutto cercando ad esempio
Che sensazioni si provano in
un momento del genere?
Allora mi parve di essere schiava del mio lavoro, che non mi permette nemmeno di stare male in
pace e di curarmi senza preoccupazioni. Ma se io non avessi cantanto,
quella sera, sarebbe saltato il concerto per tutti.
Passiamo a qualche ricordo
particolarmente ricco sul piano
emotivo…
Ogni concerto vive di una sua
emozione particolare, ma non posso dimenticare l’emozione di aver
cantato nelle antiche chiese delle
missioni gesuitiche, nella foresta
boliviana, durante il festival Misiones des Chiquitos, con un pubblico
di indios arrivati a piedi da chissà dove, spesso scalzi, compresi i
bambini.
Cosa hai pensato in quella situazione?
Che l’Europa civilizzata oramai
non si emoziona più per nulla…”.
Torniamo al barocco. Oggi
sono in tanti a fare il barocco, ma
quando sei uscita dal Conservatorio tu…
Penso veramente di essere sempre stata una pioniera, e lo dico senza alcuna falsa modestia; quando
Partitura dell’Orfeo di Monteverdi (1607)
di riposare quando tu la vorresti far
lavorare!
Anche delusioni? Episodi negativi?
Inevitabili, in tanti anni di attività: ad esempio capita, dopo aver
tanto studiato, di fare un concerto con un pubblico di 20 persone.
Frontespizio dell’Orfeo
di Monteverdi
Succede anche questo.
Ricordo di aver cantato con una
fifa blu alla sala Verdi del Conservatorio di Milano, reduce da una
colica per calcoli alla colicisti. E i
risultati naturalmente non furono
dei migliori.
ho cominciato a cantare barocco, in
Italia eravamo giusto due o tre, non
di più, e sono stata la prima ad avere un vero insegnamento di canto
barocco in una istituzione scolastica, la ex Scuola Civica di Milano,
ora Accademia Internazionale della
Musica, dove poi ho anche insegnato per quasi 15 anni. Ora insegno al
Conservatorio di Verona e di Padova, sempre nei corsi sperimentali di
1° e 2° livello di strumenti antichi.
Penso che l’apertura dei Conservatori al barocco sia arrivata un po’
troppo tardi, quando già il più interessante era accaduto, ma soprattutto in un momento di crisi generale della musica, come occasione di
farne la propria professione.
Parlami ancora di che cosa
significhi cantare barocco. Ieri
come oggi?, o qualcosa è cambiato?
Dedicarsi al barocco, soprattutto per un cantante, voleva dire, ieri
più di oggi, criticare anche l’atteggiamento esteriore (noi eravamo i
“frichettoni”, quelli che facevano
i concerti in camicia…..), nonché
la preparazione di base e la cultura generale di chi affrontava altri
repertori, più classici. E soprattutto aveva il senso di riequilibrare i
repertori eseguiti, richiamando il
rispetto e l’attenzione del pubblico
nei confronti di un’epoca storica in
cui l’Italia era stata proprio gran-
musica 3
Mercoledì, 26 settembre 2007
del repertorio barocco in Italia
arsi sulle ali della fantasia
de, molto più grande che nei secoli
successivi. Tutti, in quei secoli, venivano in Italia per imparare, tutte le
corti europee, e non solo, volevano
gli italiani…Come si poteva pensare di continuare a trascurare tutto
co, duttile, dominandola e piegandola a tutte le necessità della linea
vocale e del testo. Soprattutto per la
musica del Seicento si nota quanto un cantante lirico possa restare
spiazzato dalla mancanza della li-
Quest’anno, in occasione del
4° centenario dell’Orfeo di
Monteverdi ho concepito una
ricostruzione della storia di
Euridice e del suo infelice amante,
attraverso la musica di due
opere, una di Luigi Rossi e l’altra
di Antonio Sartorio, composte
entrambe nel Seicento avanzato
ciò? Poi anche il barocco è diventato di moda: da un lato è stato un
bene, ma dall’altro ha anche troppo
annacquato quel bell’istinto verso lo
studio serio e la ricerca, che era stato la base di tutto il risveglio degli
anni ‘80. A proposito del lavoro di
fantasia di cui ti accennavo prima,
certo non si può dire che nessuno
abbia la verità in tasca sulla filologia del barocco, ma esistono trattati, documenti, cronache dell’epoca,
e da queste fonti possiamo cercare
di ricavare un’idea abbastanza prossima al reale. Ma il mercato comunque ha le sue leggi, e premia, tendenzialmente, ma questo non vale
solo per l’epoca antica, chi sa ammaliare il pubblico, al di là delle
sue reali qualità, o della serietà di
ricerca. Mi sembra che, mai come
in questo momento, ciò sia profondamente vero.
Rimaniamo su questa contrapposizione tra chi faceva barocco e chi repertorio lirico…
C’è stato un periodo in cui si
erano creati quasi due bacini a cui
attingere, i cantanti lirici e quelli barocchi. E i due mondi si guardavano
magari con un po’ di sospetto reciproco, quando non anche di ostilità.
Oggi il limite non è più così tracciato. Potendo, tutti fanno tutto, anche
per necessità di lavoro. Sono tempi
abbastanza grami: se ti propongono
qualcosa da fare, è meglio prenderlo, senza star a guardare troppo per
il sottile…E comunque quando si fa
un’opera barocca in un grande teatro, certe voci, magari meno grandi,
ma più specialistiche e curate, non
bastano più. Comunque in Italia abbiamo anche davvero dei bravi cantanti, se escludiamo qualche “fenomeno”, che si vende bene, ma che è
più fumo che arrosto.
Ti propongo un altro argomento: insegnamento. Hai già
detto che dedichi molte delle tue
energie in campo didattico. Mi
piacerebbe sapere che differenze
trovi tra gli allievi barocchi puri
e i lirici?
Ho sempre pensato che ci sia
innanzitutto necessità di buoni insegnanti, soprattutto per un repertorio che, dal punto di vista tecnico
e musicale, era tutto una scoperta
da fare. C’è molto interesse (la mia
classe a Verona è sempre piena di
allievi e con una bella lista di domande d’ammissione) e penso che,
ancora oggi, chi si dedica a questo
studio lo faccia anche per avere
un’alternativa alla solita “opera lirica”, dove ormai rimane poco da
scoprire di nuovo. Noto che una
delle prerogative forse più importanti che caratterizzano la tecnica
barocca è la capacità di usare la
voce in modo estremamente elasti-
nea melodica, alla quale si sostituisce più facilmente il recitativo
o l’arioso. E naturalmente anche lo
scopo di avere sempre una quantità
di suono ragguardevole, per riempire un teatro, rende inevitabilmente
meno flessibile anche l’emissione
vocale. Mi è successo spesso, soprattutto negli ultimi anni, di tenere
corsi anche ad allievi di canto lirico,
e li ho visti affascinati, molto spesso, proprio dalla novità del repertorio e da ciò che si chiede alla voce.
E poi la diffusione dei concerti ha
creato anche una maggiore apertura
mentale nei riguardi delle alternative. Aggiungo che oggi si guarda a
repertori diversi anche come buone occasioni di lavoro supplemen-
Scenografia per Il pomo d’oro di Marcantonio Cesti, rappresentato a Vienna nel 1666
pertorio antico abbiamo la distinzione tra musica da camera, da
chiesa e da teatro.
E quindi?
Quindi non è detto che una
voce possa o debba affrontare tut-
Costume del ’600 di L. Burnacini
tare, e si è imparato a non snobbare come minore nessuna occasione.
Questo vale anche per gli insegnanti, benchè resista ancora il concetto
(pregiudizio) che si debbano dedicare al barocco solo quegli allievi
che hanno la voce piccola, oppure
che non ce la fanno a sostenere la
fatica del teatro. Ma anche nel re-
to ciò. E comunque si dovrebbe
scegliere, in base alle caratteristiche vocali di ciascuno.
La lirica ti è rimasta un mondo estraneo?
Non dico questo; non posso cioè
dire che io la lirica l’abbia, alla fine,
disdegnata, ma ho sempre amato
(ed ero più a mio agio, sia vocal-
mente che psicologicamente) maggiormente il ‘700, fino a Mozart, incontestabilmente il beneamato. Ho
cantato Vivaldi, Cimarosa e Rossini, ma non mi sono mai lanciata
più oltre, se non verso il contemporaneo, saltando a piè pari tutto l’ottocento.
Una scelta convinta? Un caso?
Una scelta. Penso sia stata una
scelta saggia. Oltre tutto, questo mi
ha permesso di essere qualcuno nel
mio ambito, piutosto che un’ennesima comprimaria, dove tanti – ne
sono ben consapevole - hanno una
voce più adatta della mia al gran
teatro.
Mettiamo che non ti fosse possibile fare la cantante o la musicista…
In realtà ciò che mi è sempre stato chiaro è che, se non avessi fatto
la cantante, mi sarebbe piaciuto fare
l’attrice, e infatti sono attirata da tutti quei repertori dove il testo è fondamentale (liederistica, con Goethe, Schiller e tutti gli altri, madrigali con Petrarca, Guarini, ecc.), e
dove la voce si possa usare in modo
più libero e meno codificato, cioè la
musica moderna o contemporanea.
Che cos’altro ti piace? Puoi
andare a ruota libera...
Mi piace la danza moderna; il
balletto classico lo trovo un po’
stucchevole e troppo formale! Amo
cantare “insieme”: mi è rimasto dal
coro il desiderio di compartecipazione, mi diverto di più, anche se
canto molto spesso come solista.
Quindi il repertorio madrigalistico
resta forse, per quanto riguarda il
barocco, il mio preferito. Ho cantato in vari Ensemble, e dal ’97 ne
ho anche fondato uno, che si chiama Ensemble Vocale Veneto, con
cui abbiamo fatto e facciamo vari
programmi di musica italiana”.
Qualche progetto particolarmente stimolante?
Sì: nel 2007 il nostro progetto più ambizioso riguarda musiche
dedicate ad Orfeo. Infatti nel 1607
Monteverdi compose il suo, che
venne messo in scena a Mantova, all’interno di Palazzo Ducale. Poiché
il mito di Orfeo dura da secoli, ininterrottamente celebrato, quest’anno,
in occasione del 4° centenario della
prima opera musicale a lui dedicata,
ho concepito una ricostruzione della
storia di Euridice e del suo infelice
amante, attraverso la musica di due
opere, una di Luigi Rossi e l’altra
di Antonio Sartorio, composte entrambe nel Seicento avanzato. E’ un
programma bellissimo, che spero di
replicare in vari luoghi. Per il momento abbiamo concerti in Spagna,
Polonia e qualcosa in Italia. Mi piacerebbe lavorare anche un po’ più a
casa mia, ma, si sa,” nemo propheta
in patria!”
Ecco una connotazione negativa. Devi spararmene altre?
Noi tutti musicisti penso viviamo oggi un momento di difficoltà,
soprattutto per aspettative deluse,
non tanto e non solo, per la diminuzione del lavoro, ma per la sensazione che abbiamo dedicato tanto tempo ed energia di studio a qualcosa
che, almeno a livello istituzionale,
interessa a pochi. Il pubblico, nella
maggioranza dei casi, c’è. Quello
che manca è la volontà politica, ma,
sappiamo che i problemi sono altri.
Spero solo, prima di andare in pensione, di togliermi ancora qualche
soddisfazione, e di smettere di insegnare quando mi sarà passata la voglia, per evitare di annoiare per primi i miei allievi, oltre che me stessa.
Ho spesso idealizzato il mondo della musica, pensando che fossimo dei
puri. Ho sbagliato: l’arrivismo e la
sete di potere si scatenano dovunque
e ci vorrebbero dei bei denti da coccodrillo per sopravvivere.
Beh, ma non concluderemo
mica con un pensiero negativo,
vero?
No di certo: l’età mi ha reso più
saggia, in questo senso, ma la delusione di avere dato fiducia a certe persone, che non la meritavano e che non l’hanno ricambiata,
mi rimane sempre dentro come un
nodo irrisolto. E comunque continuo a guardare avanti. Spero di avere sempre la curiosità e la voglia di
pensare a qualcosa di nuovo, a progetti positivi e stimolanti: è il più
bell’augurio che mi posso fare per il
futuro, sia dal punto di vista umano
che professionale”.
Lascia che io sottoscriva il tuo
augurio, Cristina.
4
musica
Mercoledì, 26 settembre 2007
Mercoledì, 26 settembre 2007
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MUSICAUSTERITY
Celebrazioni per la Callas ma riflettori su Big Luciano
di Fabio Vidali
I
l 16 novembre 1977 si spegneva
prematuramente a Parigi Maria
Callas e da tempo si preparavano le celebrazioni di questo trenten-
che, pettegolezzi ed “esclusive” sulla stampa e le onde dell’etere. Ciò in
conformità con i fasti della vigente
“civiltà informatica” del sensazionalismo “usa e getta”.
A chi coltiva la Cabala sarà dif-
la e all’Opera di Roma, per poi spiccare il volo in tutto il mondo, sempre
però accompagnata dagli strali dei
“tradizionalisti” legati a convenzioni
di origine settecentesca circa le varie “categorie vocali”, prescriventi
I “tradizionalisti” ritenevano inammissibile che la stessa
cantante interpretasse “Norma” e “Sonnambula” (lo
facevano tranquillamente la Pasta e la Malibran) e lo fece
la Callas che si impegnava alternativamente in “Walkiria”
e “Puritani”, in “Norma” e “Tristano”, in “Traviata” ed
in “Anna Bolena” ecc.
nale. La Scala, in tale giornata, ha
disposto la presentazione, in prima
assoluta gratuita per i suoi abbonati,
del documentario a lei dedicato dal
regista francese Philippe Kohly, che
vi sarà proiettato tre volte e successivamente andrà in onda su Sky Clas-
ficile non sottolineare la strana assonanza dei numeri 6, 9 e 7 coincidenti
con le due morti, magari per concludere che il mese di settembre pare
infausto ai miti dell’Opera Lirica.
Anche se si tratta di pure coincidenze. Ma coincidenza non è il lascito di
“timbri omogenei” e “carezzevoli”
e repertori circoscritti e delimitati
secondo le dette ed invalicabili “categorie”.
Questi “tradizionalisti” ritenevano inammissibile che la stessa cantante interpretasse “Norma” e “Sonnambula” (lo facevano tranquillamente la Pasta e la Malibran) e lo
fece la Callas che si impegnava alternativamente in “Walkiria” e “Puritani”, in “Norma” e “Tristano”, in
“Traviata” ed in “Anna Bolena” ecc.
Era invece ammissibile, per questi
signori, che soprani tutti ciccia e gemiti e tenori panciuti ed obesi centellinassero accenti di eroismo e di
passione. Donde la deriva del Melodramma (Scala compresa) declassato e spettacolo per soli béceri, al
quale il pubblico più “intellettuale”
si guardava bene dall’assistere.
Anche la “prima” Callas, in verità, non era proprio un “figurino” e lei
stessa si definiva “pingue e sgraziata”. Ma, in uno con l’assiduo studio
vocale e drammatico, si sottopose a
feroci cure dimagranti fino a divenire aitante e snella come una star del
cinema.
Ciò non fu solo “cura di immagine” ma esigenza interiore di “costruirsi” secondo un “ideale” aspetto, adatto ai suoi ruoli d’artista che
teneva a fare un tutt’uno di vita ed
arte. Un’autotrasformazione faticosa
della quale, però, Maria andava orgogliosissima.
Soccorre, al proposito, un gustoso e poco noto aneddoto che appresi
da chi ne fu coinvolto. In un istitu-
to di bellezza, una giovane magrissima signora appassionata fan della
Callas, riuscì ad avvicinare Maria
per ottenerne un autografo. Maria la
squadrò con superbia e le disse: “La
sua snellezza è chiaramente costituzionale e d’essa lei non ha alcun merito. Io invece me la sono duramente
guadagnata ed è solo merito mio”.
Quale la caratteristica unica che
fece della Callas e della sua esigenza
di donna un personaggio “mito” sulle scene ed anche nella vita? L’innata
drammaticità del carattere, il suo privilegiare la “sostanza” sulla “forma”
ripulita d’una generica vocalità fino
a rimanerne posseduta anche nella
quotidianità dove continuò a rappre-
rockettari “veri”. Ma, malgrado tali
accomodamenti, non risulta che statisticamente il pubblico dell’Opera
sia significativamente aumentato.
Nemmeno i “Vincerò” mondiali ed
olimpionici sono riusciti ad insegnare ai “massificati” che provengono
da un’Opera di Puccini.
sentare integralisticamente il “personaggio” che recitava sulle scene. E
ne fu umanamente distrutta, fino al
suicidio. Per lei il Teatro e la Vita furono la stessa cosa. E morì abbandonata, povera e sola.
I suoi irriducibili detrattori le
rimproveravamo di non possedere
“una voce” ma “tante voci” perché
mirava al sodo dell’espressione, riuscendo a rendere drammaticamente
espressive anche quelle che tradizionalmente si ritenevano solo “vocalizzazioni virtuosistiche” di astratta
“bravura”. I suoi estimatori considerarono (giustamente) ciò un suo
esclusivo merito tale da originare un
vero e proprio “movimento cultura-
Intonazione e calibrature perfet-
A differenza della Callas, non
Come Norma alla Scala, il 7 dicembre 1955. Dietro alle quinte succes- possibilità di averlo per più di due
se un furibondo litigio con Del Monaco per l’applauso finale
serate, fatto che avrebbe imbufalito
le” che rese “attuali” i tesori d’un re- cistica scandalistica internazionale gli abbonati esclusi. Mi si disse dipertorio, prima di lei confinato nelle per la sua disastrosa vicenda priva- sponibile per un concerto (anche col
soffitte e negli archivi, come la “Me- ta con Onassis, Pavarotti entrò nello solo pianoforte), da collocarsi fuori
dea” di Cherubini, tanto Donizetti e “star system” già quando, negli Anni abbonamento. Ma anche tale ripieRossini “serio”. Ed ispirò gestualità Sessanta, sostituì inaspettatamente go qui fu scartato dai responsabili
e “riletture” registiche come quelle Giuseppe Di Stefano al Covent Gar- del Teatro. Fu però, pochi anni fa,
di Visconti e Zeffirelli. Fu regista lei den. Non innescò alcun “movimento all’Arena di Pola e a Lubiana. Occastessa (con Di Stefano) al Regio di culturale” ma “restaurò” l’immagine sioni che Trieste non seppe sfruttare.
del “tenore italiano” (alla Gigli e Ta- Eppure vi avrebbe cantato volentieri
Torino (1973).
Conformemente all’antica sa- gliavini). Sangue romagnolo, padre dato che aveva in grande stima Triepienza dei vignaioli, Maria privile- tenore corista, lui stesso, agli inizi, ste ed il suo pubblico e questa “piazgiò la consistenza dei grappoli alla corista e chierichetto nel Duomo di za” mancava al suo carnet. Non revisualità dei pampini (virtuosismi) Modena, incarnò tosto il ruolo del sta che rimpiangerlo fra le occasioni
“tenore italiano d’esportazione” dal- perdute. E ricordarlo per la cordialiche crescono a discapito dell’uva.
Se l’attore di prosa si misura sul- la voce tornita e rotonda come l’O tà e la generosità di cui sempre detla ricchezza di voci ed inflessioni di di Giotto, tutto buoni sentimento ed te prova.
cui è capace, perché molti non volle- acuti e sopracuti lunghissimi ed irreI bagni di folla
ro riconoscere ciò come pregio alla sistibili. Se ne fregò degli intellettuali, “riabilitando” la tradizionale figuCallas?
Pavarotti, già quand’era al verTrieste l’osannò due volte: nel ra del tenore pinguamente obeso cui
1951 in un concerto di arie d’ope- si “perdona” l’impacciata figura per tice del successo e della popolarità
ra e nel 1953 in “Norma”, (diretto- l’eccellenza dei suoni vocali. Fece come cantante lirico, comprese che
re Votto, con Corelli e Christoff). Ma anzi di più: riuscì a fare anche della il suo obiettivo di “allargare il publa critica locale brillò per prudenti
riserve.
La restaurazione
di «Lucianone»
Memorabile Tosca con Tito Gobbi al Covent Garden di Londra.
Gobbi disse di lei:”La Callas era Floria Tosca”
Se Maria Callas divenne un mito
mediatico proprio negli anni in cui
diradò la sua attività sulle scene e divenne goloso boccone della pubbli-
Quella voce aspra, demoniaca e fenomenale
Da ciabattona grassa e sgraziata a silfide affascinante
sica. Nel Foyer dello stesso teatro è
allestita la mostra “Maria Callas alla
Scala”, visitabile fino al prossimo 31
gennaio. Torino ha ricordato la diva
con un convegno al Conservatorio.
Case editrici affollano le librerie con
nuove pubblicazioni sul tema Callas,
dalle immagini alle sue ricette di cucina, e vanno a ruba nei negozi le sue
registrazioni.
Quasi a rompere le uova nel paniere di tanto impegno mediatico e
commerciale callassiano, il 6 novembre 2007 si spegneva un altro
mito dell’Opera Lirica, il tenore Luciano Pavarotti. Il triste evento, pur
prevedibile, dato il male che rodeva “Big Luciano”, ha creato nella
pubblicistica internazionale un’onda anomala così potente da quasi
azzittire le a lungo covate celebrazioni callassiane. Assalto ai negozi
per assicurarsi il possesso di qualche
sua registrazione, alluvione di crona-
queste due eminenti personalità nell’ambito del Teatro Musicale. Due
personalità diversissime, addirittura
spesso agli antipodi, delle quali, al
di là dei servili encomii e dei codardi
oltraggi, potrà essere utile approfondire il portato storico.
La «rivoluzione»
di Maria Callas
La vocalità di Maria Callas non
fu mai accettata dai “tradizionalisti”.
Se la carriera lirica di Maria Kalogeropulos appena quindicenne iniziò
con “Cavalleria rusticana” ad Atene
nel 1938, solo nel 1947 in “Gioconda” all’Arena di Verona, la Kalogeropulos iniziò a trasformarsi in Callas. E fu una trasformazione lunga
e sofferta. Ancora tre anni dopo, al
Còlon di Buenos Aires e alla Scala
passò quasi inosservata. I suoi primi
successi li ottenne nel 1951 alla Sca-
Maria Callas? Uno dei personaggi più complessi, turbolenti e discussi nel firmamento dell’arte lirica del Novecento; un’artista che al suo
passaggio – al pari di una cometa – lasciava
strascichi di osannanti entusiasmi e acri polemiche, rivalità feroci, scandali mondani e tenere
amicizie...Ma al di là delle apparenze, dei luoghi comuni delle facili ed ingenue deificazioni
ed edulcorate esagerazioni, l’”enigma Callas”,
dalla sua meteorica e breve ascesa, alla sua infelice parabola artistica e personale discendente, chi era?
Al pari di tanti altri grandi scienziati ed artisti nel corso della storia – da Leonardo a Michelangelo, da Einstein a Marie Curie - questa
Musa della lirica aveva una tremenda e tormentosa coscienza dei propri limiti, della propria imperfezione, che erano causa di profonda sofferenza psicologica: “Nel canto vorrei che la voce
mi obbedisse sempre, come voglio io... l’organo
vocale è ingrato e non rende come vorrei, non
vuole essere dominato...e io soffro... il pubblico
mi applaude... Serafin è arcicontento della mia
‘Norma’ ma.. io non lo sono per niente...sono
convinta di poter fare cento volte di più...sono
pessimista e ogni cosa mi affligge... arrivo al
punto da invocare la morte per liberarmi dai tormenti e dalle angosce...” confessava in una lettera al marito la grande artista.
tra folle di paparazzi e mobilitazione
di media internazionali. Salutato anche dalle “Frecce tricolori”.
Alla “divina” Callas, grazie alla
quale la classe intellettuale “scoperse” l’Opera, fu fatto ben più squallido affronto “post mortem”. La RAI
dei miliardari “quiz spazzatura” te-
Maria Callas ebbe voce bellissima? Nemmeno per sogno. Non aveva gli splendori, il cristallo e la potenza della Tebaldi, della Simionato,
della Cigna. Non era una “voce italiana”; aveva
un timbro nasale, gli acuti striduli e affetti da un
vibrato eccessivo, i suoni bassi spesso ruvidi, e
all’inizio sudò sangue per affermarsi. Toscanini - sebbene la cosa non andò in porto - la volle come lady Mac Beth perché aveva finalmente trovato una voce “diabolica, aspra, soffocata”, come la voleva Verdi. La Callas aveva una
voce interessante, ma soprattutto... “fenomenale”! Una voce “ottocentesca”, paragonabile per
duttilità ed estensione (tre ottave) a quelle della
della Malibran, della Pasta le quali cantavano
sia da soprano che da mezzosoprano. La specializzazione in soprano drammatico, lirico e leggero è posteriore.
Maria Callas con il suo grande virtuosismo
vocale, la sua intelligenza musicale superiore e
straordinaria versatilità, l’eccezionale e raffinatissima personalità scenica e il suo grande animo, contribuì in maniera decisiva alla rinascita della fulgida tradizione belcantistica nel Novecento, affermandosi clamorosamente pure in
ruoli romantici e oltre. Norma, Medea, Tosca...
scivolò, misteriosamente, nell’inesorabile abancora oggi sono sinonimi di Maria Callas.
La Callas perse la voce? Perse soprattutto la braccio della Morte.
Patrizia Venucci Merdžo
gioia di vivere, e dalla morsa della depressione
Pavarotti a Pola
Forse se ne rese conto quando la
sua giornata era agli sgoccioli e fra
le sue ultime volontà, chiese d’essere
levisivi distrusse, per micragnosa
“economia” sui nastri magnetici,
l’ultima intervista della “divina”.
Pavarotti incarnò tosto il ruolo
del “tenore italiano d’esportazione”
dalla voce tornita e rotonda come
l’O di Giotto, tutto buoni sentimento
ed acuti e sopracuti lunghissimi
ed irresistibili. Se ne fregò degli
intellettuali, “riabilitando” la
tradizionale figura del tenore
pinguamente obeso cui si “perdona”
l’impacciata figura per l’eccellenza
dei suoni vocali
ricordato come “cantante d’Opera”.
Cioè per quello che è stato veramente. Un’estrema ammissione di sconfitta che commuove.
Ma sarebbe stato diverso se avesse suscitato, come la Callas, un “mo-
E se ne accorsero appena recentemente, quando il regista francese
Kohly la richiese per inserirla nel
suo documentario “Callas Assoluta”. L’Italia ha scoperto finalmente
l’austerity. Del resto anche il presi-
Pavarotti e Bono
sua stazza fisica un marchio di successo sottolineandone con bizzarrie
d’abbigliamento la poderosità: lenzuola per fazzoletto, sciarpe come
copriletti. I suoi atteggiamenti sempre pii e timorati, da buon cattolico.
La Callas, invece, ebbe la spocchia di contraddire anche Sua Santità Papa Pio XII, che le rimproverò
l’eresia di cantare Wagner in italiano: gli rispose che, per comprendere a fonda la musica, è indispensabile capire il senso delle parole che
si cantano. Quell’udienza avvenne
nel 1954.
Pavarotti fu, coreografie e “clameur” a parte, una natura istintiva
musicalissima ed un autentico Mae-
blico dell’Opera a strati sempre più
vasti” non poteva essere realizzato,
in assenza d’un “movimento culturale” che lo assecondasse come avvenne per la Callas. Così pensò di prendere le folle per il loro verso optando
per eventi musicali di massa da ospitarsi in stadii, arene, luoghi aperti vastissimi. La formula dei “Tre Tenori”
non poteva protrarsi in eterno. Occorreva lo “zuccherino” del rock per
un più vasto richiamo dei renitenti
alla Lirica. A questi dedicò gli ultimi anni della sua attività. Richiamò
numeri favolosi di persone che, attirate dal rock, si mostrarono disponibili ad ascoltare anche le sue canzoni
e romanze, meglio se in “due” con i
Il Lucianissimo
vimento culturale”? Temiamo di no,
se non per pochissimi.
Lui non è morto povero, ma multimiliardario. Non è morto solo, ma
dente Napolitano ha soppresso i tradizionali Concerti del Quirinale per
ragioni d’economia. Siamo finalmente… sulla buona strada.
6 musica
Mercoledì, 26 settembre 2007
IL PROFILO Beppe Gambetta, virtuoso coerente alla tradizione americana
Fare del vagabondaggio un’arte
di Lucio Vidotto
«C
edere alla tentazione
di suonare delle cover
come quelle dei Beatles mi renderebbe sicuramente più
semplice il compito di trovare lavoro. Comunque sia, non intendo
cedere. Non ho mai suonato quello che non mi piace suonare e non
intendo farlo in futuro»; ci ha raccontato Beppe Gambetta, chitarrista
genovese, cittadino del mondo e padrone di un’arte raffinata. Quest’anno lo abbiamo potuto seguire in più
frangenti dalle nostre parti, tra Fiume, Abbazia, Dramalj, e quindi a
Čakovec e Zagabria. Da quindici
anni, poi, lo ritroviamo in agosto ad
Ambrož pod Krvavcem, un paesino
di montagna in Slovenia, scelto da
Poi c’è la Slovenia dove ho trovato
il posto giusto per il mio workshop,
diventato un appuntamento tradizionale che mi fa conoscere tanti
amici. Il mio primo viaggio verso
l’America, curiosamente, è iniziato
a Zagabria. Era l’86 e avevo i soldi
contati. Cercavo il modo di risparmiare qualcosa e ho scoperto che mi
sarebbe costato meno volare con la
JAT, compagnia di bandiera dell’ex
Jugoslavia”.
Un mosaico
personale
di suoni e sapori
Ci sono tanti modi per tracciarne
un profilo artistico e non solo quello. Gira continuamente per il mondo, assieme alla moglie, e continua
a divertire e a divertirsi: “È il mio
In un mondo dominato dalle
logiche del mercato e in cui
a imperversare è la musica
“plastificata”, tutta glamour e look,
così fashion e trendy, Gambetta
propone la sua musica, intimamente
sentita e vissuta, fatta di emozioni,
immediatezza comunicativa, ricerca
timbrica, sobrietà
lui per un workshop internazionale
frequentato da chitarristi di tutto il
mondo. Ora è negli States dove “rivende” con successo la tradizione
americana. Per chi non avesse avuto l’occasione di ascoltarlo, possiamo assicurare che presto tornerà da
noi. In primavera è stato coinvolto e
apprezzato nell’ambito della “Hal’s
all star guitar summit”, che nella sua
seconda edizione ha portato ancora
una volta nomi prestigiosi della musica internazionale.
“Ho dei legami con queste terre – dice Gambetta – con un nonno
nato a Imotski e una nonna triestina.
lavoro e per vivere devo pur guadagnare, ma quello che mi dà una
grande soddisfazione è il poter conoscere tanta gente e di continuare
a fare nuove amicizie un po’ dovunque”.
Il filo dell’orizzonte come sfida e irresistibile richiamo, Beppe
Gambetta ha fatto del vagabondaggio un’arte, componendo il suo personale mosaico di suoni e sapori. In
giovanile pellegrinaggio lungo le
mitiche “blue highways” della profonda America cantate da Woody
Guthrie, quel giovane chitarrista genovese sulle tracce del country e del
bluegrass, ne ha macinata, è proprio
il caso di dirlo, di strada. Virtuoso
dello stile “flatpicking” consacrato,
ormai, a livello internazionale, autore di dieci dischi, quattro libri di-
–, Gambetta nel corso della sua carriera ha avuto l’opportunità di suonare con i più grandi artisti della
scena folk internazionale, quali, per
citarne alcuni, Doc Watson, Tony
Virtuoso dello stile “flatpicking”
consacrato, ormai, a livello
internazionale, autore di dieci
dischi, quattro libri didattici, tre
video e un DVD, Gambetta è oggi
considerato dagli stessi maestri
americani un loro pari, degno
continuatore di una tradizione
musicale sempre viva e rinnovantesi
dattici, tre video e un DVD, Gambetta è oggi considerato dagli stessi
maestri americani un loro pari, degno continuatore di una tradizione
musicale sempre viva e rinnovantesi. Di casa negli States (è di quattro mesi, in media, la sua permanenza annuale in terra americana),
una fama consolidata grazie alle
numerose tournée, alle partecipazioni ai più prestigiosi festival, dal
Walnut Valley Festival di Winfield
in Kansas al Merlefest di Wilkesboro in North Carolina, da quello
di Chico in California ai Festivals
canadesi di Edmonton e Winnipeg,
e all’attività didattica nell’ambito
di seguitissimi workshop – uno su
tutti: lo Steve Kaufman Flatpicking
Camp di Maryville nel Tennessee
Trischka, Gene Parsons, Norman
Blake, David Grisman. E, naturalmente, Dan Crary, Tony McManus e Don Ross, membri insieme a
Beppe dei Men of Steel, il fantastico quartetto chitarristico che più cosmopolita non si può – Usa, Scozia,
Canada, Italia sono infatti le nazioni
di provenienza di questi “fab four”
delle sei corde – e che ha mietuto
unanimi consensi di pubblico e critica in tutto il mondo.
Una koinè
musicale...
interattiva
In un mondo dominato dalle logiche del mercato e in cui a imperversare è la musica “plastificata”,
tutta glamour e look, così fashion
e trendy (ma chi parla male, parafrasando qualcuno, ascolta male),
Gambetta propone la sua musica,
intimamente sentita e vissuta, fatta
di emozioni, immediatezza comunicativa, ricerca timbrica, sobrietà. Una musica ispirata, ma quasi
pudica nello svelare sino in fondo i
più riposti moti dell’animo, refrattaria a quelle ostentazioni virtuosistiche fini a sé stesse che costituiscono una tentazione in costante
agguato a tali livelli di eccellenza
tecnica: ad altri, non a lui, meticoloso artigiano dei sentimenti, i funambolici esercizi “a miracol mostrare”.
L’America nel cuore, le radici
tra il sole e gli ulivi del Mediterraneo, è con estrema naturalezza che
Gambetta riesce a saldare le sponde dei due continenti, creando, alla
faccia di quell’oceano frapposto lì
in mezzo, una “koinè” musicale in
cui country e tradizione ligure, canti
dell’emigrazione e ballate popolari,
mandolini e chitarre-arpa non solo
coesistono ma vanno a interagire,
intrecciando un fitto dialogo, ignaro
di ogni rigida (e supponente) classificazione. Musica popolare in cammino, fiera del suo passato ma con
lo sguardo rivolto al futuro, capace
di parlare al nostro presente perché
radicata nella storia di generazioni di uomini e donne così diversi e
così uguali a noi.
Musica girovaga, insofferente
di frontiere e passaporti, esclusioni
e ossessioni. Musica vitale, appassionata, sobria. Che ci fa un cenno.
Seguiamola.
musica 7
Un festival e un’Accademia Musicale
per il leggendario Dino Ciani
Mercoledì, 26 settembre 2007
L’
Associazione Dino Ciani ha organizzato a Cortina d’Ampezzo (BL),
nell’agosto scorso una serie di
eventi finalizzati a promuovere il
Festival e Accademia Dino Ciani
che qui prenderanno piede a partire da quest’anno con una frequenza annuale. Nati per tenere
viva la memoria del grande pianista di origini fiumane Dino Ciani,
scomparso prematuramente nel
1974 all’età di 32 anni, il Festival
e Accademia Dino Ciani aprono
un’innovativa e inedita sfida musicale per gli anni a venire. Dino
era particolarmente affezionato a
Cortina e alle sue montagne: qui
veniva per riprendere energia, ristorarsi a contatto con la natura e
studiare nuovi repertori. Cortina
d’Ampezzo, la regina delle Dolomiti, per la sua posizione strategica e la sua particolare bellezza,è
la sede più adatta ad accogliere
un’iniziativa ambiziosa come il
festival dedicato a uno dei più importanti interpreti degli ultimi cinquant’anni.
Il direttore artistico del Festival e Accademia Dino Ciani
è Jeffrey Swann, che fu anche il
primo vincitore nel 1975 del Concorso Internazionale per Giovani
Pianisti “Dino Ciani” Teatro alla
Scala .
Il calendario dell’anno zero ha
visto la partecipazione della grande Martha Argerich (pianoforte),
che, dopo aver generosamente accettato di inaugurare la manifestazione in ricordo della sua
A compimento del programma
musicale di quest’anno, hanno fatto
seguito un concerto dedicato ai giovani talenti con il duo formato da
Victor e Luis Del Valle; una tavola
rotonda aperta al pubblico e dedicata a Dino Ciani con amici e musicologi; una serata di ascolto guidato di alcune registrazioni di Ciani,
diverse della quali inedite.
Il Festival e Accademia Dino
Ciani ha un duplice intento.Il primo, rivolto più direttamente al pubblico dei residenti e degli ospiti di
Cortina, consiste nel creare un festival di musica classica di altissimo rilievo, nazionale e internazionale, capace di attirare un pubblico
esigente attraverso la partecipazione di artisti di grande fama; in secondo luogo l’Associazione Dino
Ciani si rivolge alla formazione e
alla valorizzazione di giovani artisti attraverso il progetto dell’Accademia Musicale, che ha come
obiettivo quello di organizzare
“masterclasses” tenuti da maestri
di altissima esperienza, di allestire
conferenze e mostre su temi musicali, infine di offrire la possibilità
a molti giovani e dotati pianisti di
esibirsi in concerto.
Il pianista Dino Ciani di origini fiumane venuto a mancare
tragicamente nel 1974
grande amicizia con Dino, ha in- Andrea Lucchesini (pianoforte),
terpretato, assieme all’Orchestra vincitore, quest’ultimo, del predi Padova e del Veneto, il Concer- mio Ciani nel 1983. Il duo ha eseto per pianoforte e orchestra n.1 guito un programma con brani di
in Do maggiore di Ludwig Van Bach–Busoni, Johannes Brahms,
Beethoven. Hanno fatto segui- Robert Schumann e di Sergej Rato Mario Brunello (violocello) e chmaninov.
giro giro tondo quanto canta e danza il mondo
TEATRO LA SCALA
PRIME DI OPERA
E BALLETTO
Richard Wagner - Tristan und
Isolde
P.I. Čajkovskij - Il lago dei cigni
Gala Čajkovskij
Gaetano Donizetti - Maria Stuarda
Franco Alfano - Cyrano de Bergerac
Sergej Prokofjev - Romeo e Giulietta
Alban Berg - Wozzeck
Giacomo Puccini - Il Tabarro,
Suor Angelica, Gianni Schicchi
Cyrano de Bergerac
ALTRI SPETTACOLI
IN CARTELLONE
Mediterranea - serata di danza
Giuseppe Verdi - Macbeth
Lorin Maazel - 1984
Luigi Dallapiccola - Il prigioniero
Béla Bartók - Il castello del duca
Barbablù
Umberto Giordano - Andrea
Chénier
Sergej Prokofjev - Il giocatore
Giacomo Puccini - La bohème
Serata di danza - Serata Petit
L’Arlésienne
Le Jeune homme et la Mort
Carmen
La Dame aux camélias (balletto)
Wolfgang Amadeus Mozart - Le
nozze di Figaro
Franz Lehár - Die lustige Witwe
WIENER STAATOPER
STAGIONE LIRICA
E DI BALLETTO
Lo Schiaccianoci - P. Čajkovskij
La Dama di di Picche - P.I.
Čajkovskij
L’anello del Nibelungo - R. Wagner
La Walkiria - R. Wagner
La forza del destino - G. Verdi
Gran Galà di balletto
Sigfrido - R. Wagner
Capriccio - R. Strauss
Foyer del Teatro di Vienna
TEATRO NAZIONALE
DI ZAGABRIA
PRIME D’OPERA
BERGAMO - Il Festival Organistico Internazionale “Città
di Bergamo” (5-11 ottobre) taglia il nastro della quindicesima edizione: tre lustri di grande musica sugli organi più pre-
Giuseppe Verdi - Traviata
Giuseppe Verdi - Nabucco
Gioacchino Rossini - Il barbiere
di Sivigflia
Wolfgang Amadeus Mozart Don Giovanni
Giuseppe Verdi - Un ballo in maschera
Francis Poulenc - I dialoghi delle
carmelitane
PRIME DI BALLETTO
Sergej Sergejevič Prokofjev - Cenerentola
Marjan Nekak - Staša Zurovac Danse Macabre
Nacho Duato, Vasco Wellenkamp, Leo Mujić - Serata
d’autore
ALTRI SPETTACOLI
DI DANZA IN CARTELLONE
Fran Lhotka - Il diavolo nel villaggio
Petar Iljič Čajkovski - Lo schiaccianocir
Petar Iljič Čajkovski - La bella
addormentata
Adolphe Adam - Giselle
Leo Delibes - Youri Vamos Coppélia a Montmartre
Gustav Mahler - Milko
Šparemblek - Canti d’amore e
di morte
Georges Bizet - Carmen
Giacomo Puccini - Il Trittico
Josip Mandić - Mirjana
Claudio Monteverdi - Orfeo
ALTRI SPETTACOLI
LIRICI IN CARTELLONE
Wolfgang Amadeus Mozart - Il
flauto magico
Appuntamento organistico
internazionale Città di Bergamo
La bella addormentata
Chiesa di S.Alessandro della
Croce in Pignolo.Organo Serassi n° 659 (1860)
stigiosi della città, onorati da un
crescendo Rossiniano di consensi, con il supporto di alcune
fra le più autorevoli istituzioni
del territorio e l’amicizia di primarie aziende.
L’importante traguardo verrà
festeggiato in due modi diversi.
Il primo, con l’allestimento
d’un cartellone di straordinaria
qualità, rinnovando le caratteristiche peculiari e distintive della rassegna che privilegiano la
messa a fuoco della personalità
degli interpreti, il loro carisma,
la loro ‘vis’ comunicativa, con
particolare enfasi per l’arte dell’improvvisazione organistica.
Il secondo, con la stampa dell’intero libretto di sala anche in
lingua inglese, al fine di rendere le serate più fruibili ed accoglienti ai numerosissimi ospiti
stranieri che ormai abitualmente frequentano il Festival.
Come noto, il Festival si
svolge su cinque degli strumenti più significativi della città,
coprendo più di tre secoli d’arte organaria. Si va da un por-
tativo seicentesco per giungere
all’organo tardo romantico della Basilica di S.Maria Maggiore
o quello ceciliano delle Grazie,
passando dalle migliori espressioni costruttive delle botteghe
storiche del territorio: i Bossi
ed i Serassi.
Della ricca programmazione di quest’anno va segnalata la
presenza di due musicisti a tutto tondo del calibro di Michael
Radulescu e David Briggs, entrambi non solo organisti, ma
direttori d’orchestra e compositori, con i rispettivi omaggi a
Dietrich Buxtehude e Jean Langlais; le preziosissime e raffinate scelte dell’ensemble Accordone, con l’affascinante voce
di Marco Beasley e la sapienza tastieristica di Guido Morini; la novità di un autore novecentesco come Franz Schmidt e
l’esecuzione della sua poderosa
misconosciuta Ciaccona; l’intri-
Basilica di S.Maria Maggiore.
Organo Vegezzi Bossi 1915 Ruffatti 1948
gante proposta della poliedrica jazzista Barbara Dennerlein.
Tutti i concerti sono ad ingresso
libero e gratuito.
8 musica
Mercoledì, 26 settembre 2007
aneddoti...aneddoti...aneddoti...aneddoti
Rossini e il nipote
di Meyerbeer
In occasione della morte dell’illustre musicista G. Mayerbeer,
un suo nipote scrisse una marcia
funebre ed ebbe l’idea di chiedere a Rossini che cosa ne pensasse.
Il celebre Maestro, con aria compunta, gli disse: “Vedete, caro
mio, sarebbe stato meglio che foste morto voi, e che la marcia funebre l’avesse scritta vostro zio”.
Il primo incontro
di due Geni
Ludovico van Beethoven, ancora ragazzo, fu condotto da alcuni amici a Vienna da Mozart
per l’audizione. Il futuro astro
fu bene accolto dall’illustre Maestro, il quale gentilmente lo invitò
ad improvvisare sul pianoforte.
Finito di suonare Beethoven attese con ansia il responso: “Buona,
non c’è male – poi Mozart soggiunse – non mi venga a dire che
questa musica è improvvisata. Si
tratta evidentemente di una fal-
sa improvvisazione: di un brano
composto chi sa con quanta fatica
e imparato a memoria”. Beethoven, risentito, prega il Maestro di
assegnarli un tema. Mozart accondiscendendo glielo assegna.
Il musicista novellino improvvisa così magnificamente che Mozart ne rimane sbalordito e, dopo
averlo abbracciato e chiesto scusa, annuncia ai presenti: “Attenti
a costui, perché farà parlare di se
il mondo”.
G. Rossini fu stimato moltissimo anche da Napoleone III. Una
Durante la rappresentazione sera l’imperatore, che assisteva dal
della “Sonnambula” in un teatro suo palco allo spettacolo dell’opedi Londra mentre la Malibran, ra, vide seduto in platea il Rossini.
celebre soprano, cantava l’aria Mandò un suo aiutante di campo
“Ah, mi abbraccia!” un giovane a dirgli che salisse a fargli visita.
da un palco, al colmo dell’entu- L’illustre Maestro, che non era in
abito da cerimonia, ubbidì ugualsiasmo gridò: “Brava! Brava!”.
Il pubblico inglese che ascol- mente ed entrato nel palco dell’imtava in religioso silenzio prote- peratore si scusò di doversi presenstò vivacemente contro il distur- tare a quel modo; ma Napoleone,
senza lasciarlo finire, gli rispose:
batore.
- Fuori! Alla porta! Chi è co- “Sedete, sedete caro Maestro; fra
noi ‘Sovrani’ a queste cose non si
stui?
Subito si seppe chi era. Era bada”.
Vincenzo Bellini, autore del-
Fede – Speranza –
Carità
gno di una notte di mezza estate”
nel 1826, all’età di...
a) 17 anni
b) 20 anni
c) 25 anni
2. Il cantautore Don McLean
è l’autore di un delicato brano dedicato al grande pittore Vincent
Van Gogh. Il brano si intitola...
a) Starry night
b) Vincent
c) Van Gogh
3. In una delle versioni della
famosa opera rock “Jesus Christ
Superstar”, nel ruolo di Gesù Cristo troviamo una delle voci più
potenti della storia del rock, conosciuto come vocalist del gruppo britannico “Deep Purple”...
a) Freddie Mercury
b) David Bowie
c) Ian Gillan
Ian Gillan
4. Chi è l’autore del bellissimo brano “Imagine”, scritto negli Anni ’70?
a) John Lennon
b) Paul McCartney
c) George Harrison
5. Quale dei seguenti compositori, autore dell’opera “Orfeo”, è considerato capostipite
del barocco, avendo introdotto
nuovi elementi nel tessuto musicale dei suoi madrigali e melodrammi?
a) Domenico Scarlatti
b) Alessandro Stradella
c) Claudio Monteverdi
6. Uno dei geni del romanticismo, F.Mendelssohn-Bartholdy,
compose il suo capolavoro “Il so-
Gioacchino Rossini
e Napoleone III
Bellini e Malibran
QUIZ chissà chi lo sa?
1. Nel 1984 il celebre attore
americano F.Murray Abraham è
stato premiato con l’Oscar per
il ruolo di quale personaggio nel
grande successo cinematografico
“Amadeus” di Milos Forman?
a) Antonio Salieri
b) Leopold Mozart
c) W.A.Mozart
l’opera che si rappresentava. All’istante il pubblico cambiò umore:
furono applausi talmente fragorosi
che l’illustre Maestro dovette recarsi in palcoscenico e presentarsi
alla ribalta. A trascinarlo fu la Malibran che gettandogli le braccia al
collo ripetè: “Ah, mi abbraccia!”.
In occasione della prima rappresentazione dell’Opera “Silvano” di
P. Mascagni, un critico descrisse la
cronaca dell’insuccesso in questo
modo: “Prima che il sipario si alzasse, il pubblico applaudì l’autore
per un atto di fede. Calato il sipario
sul primo atto, il pubblico applaudì
ancora… per un atto di speranza,
sperando cioè che il secondo atto
fosse migliore del primo. Ma alla
fine del secondo ed ultimo atto, il
pubblico applaudì solo in parte, per
un atto… di carità”.
Nomi di prestigio per Giovani
interpreti e grandi maestri
TRIESTE - Giunto alla VI
edizione, il Festival Pianistico “Giovani Interpreti e Grandi Maestri” (1-11 ottobre) offrirà quest’anno, nella Sala Ridotto del Teatro Verdi di Trieste,
un prezioso valore aggiunto alla
consueta formula della manifestazione: è infatti previsto l’inserimento di due prestigiosissime
orchestre d’archi, una svizzera e
terpretazione di J.S.Bach e “messaggero” della pace nel mondo
attraverso la musica. Accanto a
loro la giovanissima russa Irina
Zahhrenkova, raffinata vincitrice
dell’ultimo Concorso Casagrande di Terni, e il grande maestro e
didatta brasiliano Arnaldo Cohen,
eccellente interprete del mondo di
Liszt e di Chopin, ora docente all’Università dell’Indiana oltre che
Arnaldo Cohen
l’altra italiana: il Festival String
Lucerne e I Virtuosi Italiani di Verona. Due realtà di altissimo profilo e di riconosciuta qualità, che
valorizzeranno, come nella cifra
stilistica del festival, la presenza
di pianisti giovani ma già acclamati dalla critica internazionale,
l’ormai celebre Roberto Plano,
ospite due anni fa della Chamber Music con un recital che ha
infiammato il pubblico triestino,
e l’altrettanto apprezzato Ramin
Bahrami, pianista iraniano originalissimo, “specialista” nell’in-
solista con le più importanti grandi orchestre americane. Vincitore
nel ’72 del Concorso Busoni da
allora è diventato una vera star
internazionale. Cohen si è esibito
con grandi orchestra e maestri di
prestigio; ogni sua esibizione viene salutata da critica e pubblico
per la naturalezza tecnica intrisa
di magica musicalità. Cohen terrà nei giorni 12 e 13 ottobre pure
una master class per 6 allievi pianisti, selezionati dai Conservatori
di Trieste e Udine e dalla Scuola
del Trio di Trieste di Duino.
DAL VECCHIO ALBUM
Felix B. Mendelssohn
7. Una delle scrittrici più famose e controverse del XIX secolo,
George Sand, ebbe un’appassonata relazione con uno dei maggiori
compositori del romanticismo...
a) Robert Schumann
b) Frederyk Chopin
c) Franz Liszt
Parazibum-zibum-zibum
Toh! Per tutte le trombe del
Giudizio! I baldi fanfaroni della Fanfara di Buie! Foto ricordo
in occasione dell’istituzione del
complesso avvenuta il 15 set-
tembre 1912; cioè esattamente 95
anni fa!
Il baffuto personaggio centrale
con il cappellaccio - sarà il Maestro probabilmente - pare piutto-
sto inbufalito. Che tutto questo po’
po’ di trombe e tromboni lo abbiano
assordato con qualche accordo dissonante? Pazienza Maestro; la vita
non è tutta armonia! (pvm)
8. Fu autore del balletto “Uccello di fuoco” e de “La sagra
di primavera”, si trasferì a Hollywood nel 1939, divenne cittadino americano e visse come una
stella cinematografica. In America
compose musica per la televisione.
Parliamo del compositore russo...
a) Sergej Prokofjev
b) Dmitrij Šostakovič
c) Igor Stravinski
9. Il compositore ceco Leoš
Janaček (1854-1928), autore di
nove opere e una serie di brani
strumentali, rimase completamente sconosciuto come autore prima
del suo...
a) settantesimo compleanno
b) cinquantesimo compleanno
c) sessantesimo compleanno
10. Il compositore francese
François Couperin (1668-1733) è
considerato il “padre” della musica per strumenti a tastiera, come
pure uno dei più grandi musicisti
barocchi. È autore di addirittura
230 composizioni per ...
a) pianoforte
b) clavicembalo (clavecin)
c) organo
Anno III / n. 5 26 settembre 2007
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina
Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat
edizione: MUSICA
Redattore esecutivo: Patrizia Venucci Merdžo / Impaginazione: Andrea Malnig
Collaboratori: Alessandro Boris Amisich, Fabio Vidali, Lucio Vidotto e Helena Labus
Foto: Lucio Vidotto
Il presente supplemento viene realizzato nell’ambito del Progetto EDIT Più in esecuzione della Convenzione MAE-UPT n.1868
del 22 dicembre 1992 Premessa 8, supportato finanziariamente dall’UI-UPT e dal Ministero Affari Esteri della Repubblica italiana.
b).
Soluzioni: 1. a), 2. b), 3. c), 4. a), 5. c), 6. a), 7. b), 8. c), 9. b), 10.