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Sorrentino
settembre 2, 2015
Intervistiamo a Giuseppe Mortelliti vincitore del Solo Performance Award al San Diego Fringe Festival con 84
Gradini.
Il giovane attore, già premiato al Roma Fringe Festival 2014, ha visto il suo spettacolo, di cui è ideatore e
performer, ottenere riconoscimenti importanti all’interno del circuito internazionale Fringe Festival. In questa
occasione ci parla della sua esperienza a San Diego, del lavoro affrontato, delle sue sensazioni e di come ha
sperimentato il teatro americano.
Dopo il premio Special Off al Roma Fringe Festival cosa ha significato arrivare al San Diego Fringe
Festival e trovarsi in un contesto internazionale?
Giuseppe Mortelliti: «È stato molto gratificante. Il Roma Fringe ci ha aperto delle porte che ci hanno ripagato di
molti anni di dedizione e sacrifici. 84 Gradini era soltanto un’idea 3 anni fa e mi riempie d’orgoglio sapere che,
qualcosa che tempo fa esisteva solo come idea nella mia testa, sia stata apprezzata oltreoceano».
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84 Gradini è un inno alla vita, con le sue gioie e sofferenze, proveniente dalla metafora La vita è fatta
a scale. C’è chi scende, c’è chi sale, come ha tradotto questa metafora per il pubblico d’oltreoceano?
Anche la scenografia composta da cubi (i gradini) rappresenta la traduzione tangibile di questa
metafora. È riuscito a far passare il messaggio visivo?
GM: «Il proverbio italiano della “vita fatta a scale” è stata la prima cosa che abbiam tradotto, ma sfortunatamente
non credo ci sia un’equivalente inglese del modo di dire. Abbiamo risolto con un semplice: Life is made of stairs:
someone climbs up and someone climbs down (La vita è fatta di scale: qualcuno le sale e qualcuno le scende). La
scenografia di Simone Martino è un fattore vitale per lo spettacolo. I cubi colorati danno un’idea di gioco che
contrasta fortemente con la drammaturgia affrontata in scena. A San Diego hanno apprezzato molto la
componente scenografica e il significato del messaggio visivo».
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In sintesi, come ha svolto il lavoro di riadattamento e traduzione e quali sono state le difficoltà
riscontrate durante tale percorso?
GM: «Per la traduzione mi sono rivolto a Michela Ferranti e Federica Russo. Essendo la drammaturgia originale
opera mia, abbiamo deciso che la soluzione ottimale fosse quella di tradurre insieme il testo. In modo da trovare la
traduzione che si sposasse maggiormente coi movimenti scenici e che fosse per me più masticabile possibile. Così,
un gradino alla volta, abbiamo tradotto il tutto trovando maggiori difficoltà nelle parti in versi, che ovviamente
richiedevano più tempo. Con cadenza settimanale, ci sono voluti due mesi, tra un bicchiere di vino e l’altro».
In 84 Gradini colpisce la capacità mimica e istrionica, il lungo, intenso e ritmato monologo. Una
performance forte sia fisicamente sia verbalmente. Qual è stata nello specifico la reazione di pubblico
e critica californiani?
GM: «Il pubblico californiano ha reagito con entusiasmo allo spettacolo. Hanno apprezzato maggiormente l’energia
che cerco ogni sera di mettere in scena. La critica ci ha dato ottimi feedback all’interno delle recensioni,
apprezzando principalmente la capacità di raccontare la storia con ogni mezzo attoriale, soprattutto col corpo».
Il pathos, la sofferenza e la passione che mette nello spettacolo rispecchia la tua idea di arte?
GM: «Sì. Credo che non sia possibile un teatro dove l’interprete è disinteressato all’atto scenico che sta
compiendo. C’è bisogno che l’attore si doni al pubblico con generosità e doni la propria vita e le proprie esperienze
alla storia che va a raccontare. L’unico modo che conosco per far questo è utilizzare il corpo come mezzo di
narrazione».
Come attore cosa significa per la sua carriera e la sua crescita professionale vincere il Solo
Performance Award?
GM: «Una grandissima soddisfazione. Questo riconoscimento è la prova che i sacrifici fatti durante gli anni, a lungo
termine, significano molto. Professionalmente, al San Diego Fringe Festival abbiamo avuto modo di conoscere
tante belle realtà, anche molto diverse dalla nostra, che ci permettono di crescere a livello artistico più di quanto
possiamo immaginare. Lo scambio è importante nel teatro, come nella vita».
A tal proposito, rispetto alla scena artistica italiana che ruota intorno al Roma Fringe Festival, in cosa
differisce quella internazionale di San Diego? In questo senso ha avuto altre e ulteriori influenze
artistiche?
GM: «Sì. Il modo di vivere il teatro è molto diverso in California. Ho avuto come l’impressione che gli americani
avessero meno “insicurezza artistica”. Hanno un istinto innato allo show e mettono in scena il proprio lavoro senza
alcuna paura di non piacere o timore che lo spettacolo non sia eccellente. Gli americani giocano e questo modo di
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vivere l’atto performativo è visibile anche nel pubblico: notavo che la platea partecipava sempre in maniera molto
energica e divertita».
Durante le rassegne di Fringe si è parlato di “esportare cultura” (dalle parole del direttore artistico
Davide Ambrogi) quale pensa sia il suo contributo a riguardo e l’immagine complessiva del teatro
italiano all’estero?
GM: «Spero di essere riuscito a presentare un bel lavoro: era molto importante per me dare una bella immagine
del teatro italiano in una realtà così distante dalla nostra».
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Insieme ad altri, cito i Vucciria Teatro anch’essi premiati al San Diego Fringe Festival, siete la
dimostrazione che il teatro italiano continua a vivere e a far sentire la sua presenza anche all’estero.
Quali pensi siano i suoi orientamenti per il futuro?
GM: «Son contento di questo collegamento che c’è tra gruppi teatrali sparsi nel mondo. Il Fringe Festival è una
grandissima idea e una realtà splendida, che fa ben sperare e dà una grande energia a livello teatrale. Spero che in
futuro sempre più spettacoli ben fatti abbiano la possibilità di essere esportati. In Italia a volte pecchiamo di
presunzione, ma altre volte non crediamo abbastanza sulla validità del nostro lavoro».
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Quali nuovi progetti per il futuro ha in cantiere?
GM: «Sono già al lavoro su altre idee per il prossimo anno, insieme ad amici e colleghi attori con cui mi trovo molto
bene a livello creativo. Tra qualche mese sarà pronto un nuovo spettacolo. Parallelamente continuo anche il lavoro
pedagogico, insegnando sia ad adulti che a bambini di ogni fascia d’età. Finite le vacanze ci si rimette al lavoro!».
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