La fotografia nella rappresentazione del paesaggio: uno strumento

annuncio pubblicitario
INFORMAZIONE
TERRITORIO.
LETTURA CRITICA DEI MATERIALI RACCOLTI NEGLI ARCHIVI ICONOGRAFICI IN SARDEGNA
Questo articolo vuole essere occasione di riflessione sulla fotografia e sul ruolo
determinante che negli ultimi anni ha avuto nella percezione e rappresentazione
dell’ambiente antropico, oltre che della sua pianificazione. D’altra parte, l’accento
sul problema percettivo è posto dal concetto su cui si basa la Convenzione Europea,
che definisce il paesaggio come una parte di territorio così come è percepito dalle
popolazioni che lo abitano. A questo aspetto si lega quello relativo alla crisi dei
tradizionali strumenti di rappresentazione di fronte alla crescente complessità del
territorio: già negli anni Novanta gli studi di Stefano Boeri e di Andrée Corboz mettevano in risalto come gli schemi utilizzati sin dagli anni Sessanta per analizzare la
città europea (basati sulle dicotomie città/campagna, centro/periferia…) siano stati
sostituiti da nuovi concetti come quelli di “ipercittà”, “moltitudine” o “dinamiche
pulviscolari”.
La visione zenitale e distaccata delle carte topografiche non è più sufficiente a
rendere la complessità del territorio (tanto quello sfrangiato e polverizzato delle
grandi città quanto quello vuoto e ricco di stratificazioni della nostra regione) ed è
dunque necessario introdurre nuove procedure d’indagine.
Le capacità descrittive della fotografia fanno di questo medium uno strumento
per guardare, raffigurare e scoprire nuove possibilità di percezione, oltre che un
indispensabile strumento di indagine territoriale. Questo forte legame tra rappresentazione fotografica, pianificazione e paesaggio è messo in evidenza dalle numerose esperienze di committenza pubblica realizzate durante gli ultimi venti anni del
XX secolo, con una particolare attenzione alla scena italiana e alle più importanti
esperienze di committenze pubbliche condotte in Europa. Inoltre, gli esiti di queste
esperienze (mostre, pubblicazioni di cataloghi e creazione di archivi) mostrano come
la fotografia sia uno strumento prezioso per rendere accessibile ad un’ampia parte
della popolazione le problematiche della salvaguardia del patrimonio culturale, grazie al suo essere mezzo riconoscibile dalla generalità delle persone. Infine, il confronto tra gli obiettivi delle campagne fotografiche e quelli dei moderni strumenti di
pianificazione mette in risalto una comunione di intenti, volta alla tutela in senso
ampio e ad evitare la perdita di una identità culturale collettiva.
A questo proposito che si volge lo sguardo sulla situazione nella nostra regione, domandandosi quali attività passate, presenti e future nel campo della fotografia
siano state portate avanti, con quali risultati o con quali aspettative. Partendo dai
contenuti della Digital Library, si è effettuata una lettura critica degli archivi iconografici,
considerando un arco temporale che comprende gli estremi della storia fotografica
della Sardegna con l’obiettivo di descrivere contemporaneamente un “storia della
visione” e una “storia visiva dell’isola” e di definire un’immagine del paesaggio che
consenta di progettarne correttamente una nuova.
L’AUTORE.
L’ing. Stefano Ferrando è laureato
in Ingegneria Edile-Architettura
e si occupa della rappresentazione
fotografica dell’architettura e del
paesaggio.
telefono: 348.5955786
e-mail: [email protected]
La fotografia in Sardegna
Susan Sontag, nel suo Sulla Fotografia, ricorda che “nel 1897 Sir Benjamin
Stone, ricco industriale e deputato conservatore di Birmingham, fondò la National
Photographic Record Association, al fine di documentare le tradizionali cerimonie
inglesi e le feste rurali che andavano scomparendo. «Ogni villaggio – scriveva – ha
una sua storia che può essere conservata grazie alla macchina fotografica»”1 .
La fotografia dunque come documento, come mezzo per la conoscenza del
presente e la conservazione della memoria. L’immagine fotografica contiene infatti
una serie di informazioni oggettive di enorme valore e di importanza irrinunciabile
pagina
29
1) Cfr. Susan Sontag, Sulla fotografia. Realtà
e immagine nella nostra società, p. 50
116
La fotografia nella rappresentazione del paesaggio:
uno strumento per un’attenta pianificazione
116
INFORMAZIONE
Territorio
Vittorio Besso: il viadotto Perdas Elias,
sulla linea ferroviaria Isili-Sorgono.
2) Carlo Arturo Quintavalle, Messa a fuoco.
Studi sulla fotografia, Feltrinelli, Milano,
1994, p. 28
3) P. De Stefano, Fotografie per il paesaggio,
in Interpretazioni di paesaggio, pp. 325 - 333
4) Ibidem, p. 330
5) Caratteristiche alle quali aggiungerei
quella di essere un ipertesto. Se infatti un
testo è un insieme di paragrafi successivi,
stampati su carta, che abitualmente si
leggono dall’inizio alla fine, un ipertesto è
invece un insieme di dati registrati su un
supporto elettronico (cd, dvd o, come in
questo caso, internet) che ne consente una
lettura libera e non gerarchizzata dall’esterno.
per la conoscenza del passato e della cultura di un luogo e delle popolazioni che lo
abitano. Queste considerazioni rimandano alla definizione di paesaggio così come
viene espressa dalla Convenzione Europea e, di conseguenza, dal Piano Paesaggistico
della Regione Sardegna. Tra gli obiettivi strategici che il PPR si propone troviamo
infatti la tutela e la valorizzazione dell’identità culturale e ambientale del paesaggio
della Sardegna, azioni da perseguire e raggiungere attraverso una profonda conoscenza sia degli elementi materiali che di quelli immateriali che lo compongono.
Il Piano lavora su due “livelli temporali” distinti: uno rivolto al passato, che
porta all’individuazione dei beni paesaggistici e di quelli identitari; e uno rivolto al
futuro, che trova la sua applicazione nella definizione delle logiche progettuali, degli
indirizzi e delle linee strategiche per gli ambiti di paesaggio.
Riflessioni queste che portano a conclusioni che mettono in luce la molteplice
valenza temporale della fotografia. È Arturo Carlo Quintavalle a spiegare che per la
fotografia “esiste un tempo di riproduzione o, se si preferisce, di scrittura; esiste poi,
una volta prodotta l’immagine, uno specifico tempo d’uso, una sua specifica durata
che è stata programmata al momento stesso della sua organizzazione. Esiste poi il
tempo dell’uso dell’icona che resta quello chiave per la comprensione della questione nel suo
insieme. Ed infatti tempo dell’uso dell’immagine non è tempo stabile ma del tutto mobile, in
quanto legato alla situazione, al momento storico, dunque un tempo che non si stabilizza in
una interpretazione ma che ne propone altre” 2.
Si pongono quindi due questioni che una
volta di più sottolineano come la fotografia possa trovare una fertile connessione con il processo di pianificazione; come spiega l’architetto
Paolo De Stefano, “la prima questione riguarda
il valore di un archivio fotografico che documenti la realtà territoriale restituendo una lettura
critica delle modificazioni del territorio e della
società. Il valore risiede innanzitutto nel suo “essere” in quanto tale, cioè una rappresentazione
del paesaggio che costituisce un patrimonio sociale che, oltre l’innegabile valore documentario, potrà aiutare anche in futuro a capire come quello si trasformi, un patrimonio fatto di immagini” 3. La seconda questione affrontata da De Stefano riguarda “la
possibilità che progetti di documentazione possano contribuire alla diffusione/
rifondazione di una cultura del paesaggio e diventare strumento fondamentale di
ricompaginazione del paesaggio inteso come bene culturale diffuso” 4.
Due possibili campi d’azione quindi si aprono di fronte alle amministrazioni
pubbliche: uno relativo all’attività di archivio e uno relativo all’analisi mirata dello
stato di fatto del territorio. Negli anni Ottanta e Novanta, molte Regioni ed Enti locali
italiani si sono mossi in questa direzione, progettando di loro iniziativa delle campagne fotografiche o raccogliendo le analisi e i problemi sollevati dai fotografi durante
ricerche autonome ma di interesse collettivo. È lecito quindi chiedersi quali siano le
strategie adottate dalla Regione Sardegna in queste direzioni.
Nei primi anni del nuovo secolo alcune considerazioni di carattere generale
sulla fotografia, oltre che su altri mezzi di comunicazione, hanno portato l’Amministrazione regionale ad avviare il progetto della Digital Library, un grande archivio
telematico continuamente aggiornato di documenti multimedial provenienti dagli archivi “fisici” dell’Istituto Luce, dell’ISRE, della RAI, dell’ESIT e dell’ERSAT, oltre che
da contributi individuali di fotografi sardi.
Attraverso questo progetto, e sfruttando le potenzialità offerte dal web, la Regione prosegue la sua politica di valorizzazione del patrimonio sardo, sancito e ribadito dal Piano Paesaggistico. La costruzione di un archivio con queste caratteristiche
di infinita espansibilità e globale fruizione 5 rende il patrimonio culturale sardo accessibile a tutti, dall’amministrazione regionale ai cittadini, perseguendo così uno
degli obiettivi primari indicati dalla Convenzione Europea: la sensibilizzazione di una
pagina
30
INFORMAZIONE
116
parte più ampia possibile della popolazione sui problemi relativi alla tutela e alla
valorizzazione dei beni, paesaggistici e culturali.
All’interno della Digital Library sono conservati un gran numero e una gran
varietà di documenti fotografici, differenti per tema, anno di produzione, autore. Tra
le tante fotografie, si trovano anche quelle che si possono considerare come il punto
di partenza e uno dei punti di arrivo della “storia visiva” della Sardegna: da una parte
le immagini dei fotografi ottocenteschi come Delessert, Besso e i fratelli Sella, che
per primi posarono il loro sguardo sull’isola, mettendone in risalto diversi aspetti;
dall’altra le fotografie dei giovani autori che nel 2006 presero parte a Menotrentuno.
Tourism revolution, un progetto collettivo che ha per tema il paesaggio generato dal
turismo di massa, curato da Su Palatu, associazione culturale nata dalla volontà di
Salvatore Ligios (direttore del museo di Villanova Monteleone, oltre che editore e
fotografo) che ormai riveste un ruolo guida nella promozione della cultura fotografica contemporanea dell’isola e nell’isola.
Tra Ottocento e Novecento: la messa in scena della modernità
Il motivo della scelta di iniziare l’analisi dei documenti fotografici relativi alla
Sardegna da un punto così lontano nel tempo risiede nell’individuazione da parte
dell’ingegner Antonello Sanna e dell’antropologo Gulio Angioni 6 del “grado zero”
della forma del territorio regionale e della sua costruzione antropica proprio in un
momento risalente a più di centocinquanta anni fa. A metà dell’Ottocento infatti la
Sardegna attraversa una fase di cambiamento, iniziata nel 1823 con l’Editto delle
chiudende 7 e proseguita con “l’avvio di una politica sistematica delle opere pubbliche, almeno in materia di ponti e strade” 8 che introducono “rilevanti cambiamenti
nell’armatura territoriale dell’isola” 9.
È un periodo in cui “la Sardegna viene percorsa in lungo e in largo (e per la
prima volta nella sua storia post-romana) non solo dai pastori, dai commercianti o
dalle truppe, ma da viaggiatori, cartografi, studiosi, operatori tecnici delle sezioni di
strade e ponti del Genio” 10, i quali “fungono da notai di questo momento di passaggio: proprio chi progetta il nuovo in Sardegna, descrive e ci consegna la storia passata dell’insediamento che è ancora, in quella fase, il presente dell’habitat rurale e
popolare” 11. Sanna sottolinea come “su questo quadro di sfondo è d’obbligo tuttora
collocare qualunque lettura dei segni e dei processi storici che riguardano il territorio
regionale” 12 .
Negli anni in cui Alberto La Marmora ci restituiva la prima rappresentazione
cartografica dell’isola curata in modo scientifico 13, oltre a burocrati e tecnici, numerosi viaggiatori-fotografi “continentali” svolgono delle vere e proprie campagne di
documentazione del territorio: Edouard Delessert, Vittorio Besso, Vittorio Alinari e i
fratelli Sella riprendono e fissano con le loro macchine fotografiche “l’essenza del
paesaggio, i segni del travaglio della storia, le testimonianze di un patrimonio culturale esplorato negli aspetti archeologici e artistici, e le condizioni che sollecitavano
l’interesse economico e imprenditoriale” 14.
Come propone l’antropologo Francesco Faeta 15 le fotografie di questi autori,
nonostante siano frutto di committenze, intenti, posizioni culturali e sociali differenti,
possono essere lette in maniera unitaria se considerate come “un potente mezzo
per entrare o uscire a piacere dalla modernità” 16. Per meglio comprendere questa
affermazione credo sia necessario spiegare quali siano le ipotesi da cui parte Faeta
per l’analisi di queste immagini. I punti di partenza dell’analisi sono i due testi fondamentali dell’antropologia culturale e sociale dell’ultimo trentennio (E. Said,
Orientalism, 1978; J. Fabian, Time and The Other, 1983), testi secondo i quali “lo
sguardo che l’Occidente ha rivolto sulle realtà sociali, politiche, culturali e religiose
esterne ad esso, attraverso le tecniche dell’allontanamento nello spazio (orientalismo)
e nel tempo (allocronia), ha obbedito all’esigenza di fondo del costruire, e rafforzare,
la propria identità” 17 .
In altre parole, Said sostiene che attraverso l’orientalismo “i sistemi di conoscenza occidentale si sono tradotti in un processo complessivo di indifferenziazione
culturale, premessa di un generalizzato approccio esotico”18 nei confronti delle altre
culture, mentre Fabian spiega come “l’Altro sia stato, attraverso le scienze sociali,
pagina
31
6) G. Angioni, A. Sanna, L’architettura
popolare in Italia. Sardegna, Laterza, Bari,
1988
7) Più precisamente, “Regio editto sopra le
chiudende, sopra i terreni comuni e della
Corona, e sopra i tabacchi, nel Regno di
Sardegna”, provvedimento legislativo
emanato il 6 ottobre 1820 dal re di Sardegna
Vittorio Emanuele I e pubblicato nel 1823
8) Cfr. A. Sanna, L’architettura del territorio,
in G. Angioni, A. Sanna, L’architettura
popolare in Italia. Sardegna, p. 13
9) Ibidem, p. 13
10) Ibidem, p. 7
11) Ibidem, p. 13
12) Ibidem, p. 13
13) La “Carta dell’isola di Sardegna”, in scala
1:250.000, venne stampata a Parigi nel 1845
14) Cfr. M. L. Di Felice, Sardegna contemporanea (1854-1939). Continuità e trasformazioni nella società e nella identità collettiva, in La
fotografia in Sardegna. Lo sguardo esterno
1854-1939, p. 39
15) F. Faeta, Immagini di Sardegna. Strategie
per entrare, e uscire, dalla modernità, in La
fotografia in Sardegna. Lo sguardo esterno
1854-1939, p. 29-36
16) Ibidem, p. 30
17) Ibidem, p. 29
18) Ibidem, p. 29
116
INFORMAZIONE
Territorio
Vittorio Besso: Monteponi, panorama
da Bellavista (1893).
19) Ibidem, p. 29
20) Ibidem, p. 29
21) Per un maggior approfondimento sulle
fonte citate, vedasi in F. Faeta, Immagini di
Sardegna. Strategie per entrare, e uscire, dalla
modernità, in La fotografia in Sardegna. Lo
sguardo esterno 1854-1939, p. 30-33
22) Ibidem, p. 33
23) Ibidem, p. 33
24) Ibidem, p. 9
25) Cfr. F. Faeta, Immagini di Sardegna.
Strategie per entrare, e uscire, dalla modernità, in La fotografia in Sardegna. Lo sguardo
esterno 1854-1939, p. 24
26) Cfr. M. Miraglia, Lo sguardo fotografico
dell’Occidente, tra tradizione e modernità, in
La fotografia in Sardegna. Lo sguardo esterno
1854-1939, p. 9
costantemente distanziato nel tempo, rispetto all’osservatore occidentale, primitivizzato,
posto in una condizione che egli definisce di allocronia” 19; i due meccanismi hanno
concorso alla definizione dell’identità occidentale nella prospettiva del dominio e
dell’assoggettamento di una parte del mondo sulle altre. In questa prospettiva la
fotografia (soprattutto quella a cavallo tra Ottocento e Novecento) ha avuto la funzione fondamentale di “identificare il diverso e renderlo riconoscibile, in base alla
definizione di stereotipi rappresentativi e di convenzioni visive, agli occhi di coloro
che si riconoscono in un comune progetto di fondazione di uno Stato-nazione e di
una sua espansione coloniale” 20.
Secondo gli studi precedenti di Faeta, questo schema di pensiero è applicabile
al Meridione continentale, primitivizzato dalla cultura borghese egemone del Nord
Italia, ma analizzando le immagini realizzate dai fotografi prima nominati, queste
sue ipotesi iniziali non trovano conferma per quanto riguarda la Sardegna. Nonostante infatti molti testi, soprattutto di autori italiani 21,
mettano in risalto l’essere “Altro” dei sardi, lo sguardo
di questi fotografi “nega l’arcaismo e l’allocronia che
le fonti letterarie costruiscono” 22, mirando invece ad
una descrizione moderna della Sardegna. Faeta a questo proposito sottolinea come “l’atteggiamento moderno
della fotografia non si esplica soltanto nella descrizione di oggetti convenzionalmente descritto come moderni (o non arcaici: il treno, il ponte, la diga, la miniera, la fabbrica), ma soprattutto nell’atteggiamento culturale dell’autore di fronte alla realtà, aderente alle
istanze della contemporaneità” 23.
Per fare un esempio, le fotografie di Vittorio Besso
mettono in scena la modernità legata all’inizio delle
trasformazioni nella direzione industriale dell’isola: il
suo lavoro si concentra sulla fase di realizzazione delle
Ferrovie Secondarie Sarde e sulla realtà mineraria di
Monteponi, all’epoca considerata come punto di riferimento tra tutte le strutture minerarie della Sardegna.
Avendo già realizzato una serie fotografica dedicata
alle Ferrovie Economiche Biellesi, il fotografo piemontese riceve alla fine dell’Ottocento l’incarico di fotografare durante la sua realizzazione il tratto ferroviario che da Cagliari porta a Sorgono (terminato nel 1889) dagli ingegneri Alfredo Cottrau e Giovanni Marsaglia.
Come fa notare Miraglia, “facendosi interprete altissimo dell’orgoglio tecnologico
dei due ingegneri, Besso riprende, da punti di vista adeguati per magnificarle al
massimo, le complesse costruzioni ingegneristiche e costruttive del tracciato ferroviario, documentando soprattutto l’ardito scavalcamento dei corsi d’acqua e di vallate di alcuni ponti, oppure il traforo di alcuni monti che l’orografia del territorio aveva
reso quanto mai difficile” 24.
Faeta sottolinea come Besso, attraverso le sue fotografie, dimostri il “desiderio
di svecchiamento […] condiviso da progettisti, finanziatori, maestranze, popolazioni
locali, tesi verso l’affermazione di una Sardegna nuova, costruita in immagine oltre
che sul territorio” 25. La presenza in molte immagini degli operai, oltre che dei dirigenti, enfatizza questo spirito e sottolinea, con il rapporto di scala con i manufatti
rappresentati, la grandiosità delle opere e il loro contrasto con il paesaggio
incontaminato. Il tema centrale di questa serie di immagini è dunque la conquista e
il dominio del territorio e ricalca quello dei fotografi americani come O’Sullivan che
negli stessi anni portavano avanti le campagne fotografiche di rilevamento del West.
È bene ricordare che, dopo l’apertura della Carlo Felice, la strada che unisce Cagliari
e Porto Torres (realizzata tra il 1823 e il 1829), il tragitto ferroviario ripreso da
Besso “rappresenta un’importante fase intermedia di valorizzazione e di conquista
civile e commerciale dell’Isola che vedrà il passo successivo nelle bonifiche e nei
lavori idraulici della prima metà del Novecento” 26.
La campagna fotografica che il fotografo biellese dedica alla miniera di
pagina
32
Se le fotografie appena analizzate appartengono alla dimensione temporale
del passato, quelle che fanno parte del progetto Menotrentuno. Tourism revolution
sono invece calate nel presente, affrontando un tema - quello del turismo di massa
e delle degenerazioni che comporta - di stretta attualità. La rassegna fotografica
nasce dalla collaborazione tra Su Palatu e FotoGrafia, il Festival Internazionale di
fotografia di Roma, con l’intenzione di raccogliere i lavori di giovani fotografi provenienti da diversi paesi europei che, in diversi modi, hanno declinato il tema del turismo. Gli autori 30 sono stati selezionati dai curatori 31 della rassegna e sei tra i quindici totali hanno sviluppato i loro ragionamenti lavorando sulla Sardegna, considerata terreno adatto per delle riflessioni sulla rivoluzione epocale del turismo di massa.
La presenza delle fotografie di Menotrentuno nella Digital Library mostra come
la Regione abbia sentito la necessità di storicizzare un’esperienza di documentazione fotografica recentissima, con un approccio nuovo a problemi contemporanei e
significativi per la realtà dell’Isola.
Una conferma quindi della validità del percorso intrapreso da Salvatore Ligios,
ideatore di un altro progetto fotografico dedicato al paesaggio contemporaneo
della Sardegna: l’oggetto della ricerca è la strada statale 131. Nell’introduzione al catalogo La strada felice. Fotografia e paesaggio contemporaneo 32 è lo stesso Ligios a spiegare che “il progetto ambisce a realizzare una serie di campagne fotografiche sul territorio della Sardegna
coinvolgendo nell’iniziativa, oltre ai
fotografi, architetti, antropologi, economisti e operatori culturali” 33 .
L’obiettivo è quindi quello di “realizzare una capillare campagna fotografica sulla geografia della Sardegna, con la raccolta di un vasto archivio del paesaggio contemporaneo
isolano” 34.
I motivi che hanno portato Ligios alla definizione di un’operazione di questo
tipo sono diversi: da un lato la volontà di iniziare un processo di storicizzazione della
storia della fotografia locale, manifestata e resa esplicita “riservando” la partecipazione al progetto solamente a fotografi sardi; dall’altro, la ricerca di una “ridefinizione
per immagini dell’idea di Sardegna” 35 volta a scardinare quei topoi vedutistici sui
quali “a partire dai primi anni Sessanta, lo sguardo dei fotografi si è irrigidito […]
diventando sempre più privo di contenuti, quasi esclusivamente impegnato a cele-
pagina
33
Salvatore Ligios: il cementificio
a Scala di Giocca, lungo la statale 131.
116
Gli anni Duemila: la definizione di una nuova immagine
27) Cfr. A. Pieroni, Leggere la fotografia.
Osservazioni e analisi delle immagini
fotografiche, p. 27
28) Ibidem, p. 27
29) Cfr. G. Turroni, Guida alla critica
fotografica, p. 12
30) Hanno partecipato i fotografi Charlotte
Lyoeer (Belgio), Lucia Nimcova (Repubblica
Slovacca), Nanna Saarhelo (Finlandia),
Mindaugas Kavaliauskas (Lituania), Léa
Eouzan (Francia), Joakim Kocjancic (Svezia),
Marcus Hentotten (Finlandia), Joel Tettamanti
(Svizzera), Alix Laveau (Francia); e inoltre:
Luca Gabino (Lombardia), Riccardo Tenti
(Sardegna), Angelo Antolino (Campania),
Ivana Barbarito (Puglia), Marco Fiorillo
(Sardegna) e Giuliano Matteucci (Lazio), che
hanno lavorato sul territorio della Sardegna.
31) I curatori sono Marco Delogu, Giovanni
Chiaramonte, Piero Pala e la direzione di
Zone Attive, azienda nata nel 1999 per
iniziativa del Comune di Roma e della
Azienda Speciale Palaexpo per progettare
eventi di spettacolo ed arte contemporanea
32) S. Ligios (a cura di), La strada felice.
Fotografia e paesaggio contemporaneo, Soter
Editrice, 2005
33) Ibidem, p. 9
34) Ibidem, p. 9
35) Ibidem, p. 10
36) Ibidem, p. 9
INFORMAZIONE
Monteponi si inserisce nello stesso clima di modernità: come aveva già fatto per i
viadotti ferroviari, contestualizza le strutture minerarie nel paesaggio circostante per
poi passare ad una attenta descrizione delle diverse fasi produttive e del lavoro degli
operai. L’analisi di queste immagini mostra come le fotografie possano essere sia
“fatto simbolico, artefatto visivo e carico di senso” 27, sia “fatto carico di memoria,
sia per l’oggetto che è sia per quel che rappresenta” 28. Nel leggere queste fotografie si comprende come dietro l’immagine, oltre ai dati visivi di immediata comprensione, ci sia anche l’ideologia dei tempi di cui è figlia; infatti, “la fotografia non è
soltanto la visione di un singolo autore oltremodo dotato, ma anche il prodotto culturale di un’epoca, di una civiltà, di una esigenza collettiva” 29.
Ancora una volta emerge il valore documentario della fotografia, destinato
ad accrescere se si considera la dimensione di un archivio: la complessità e la
ricchezza delle informazioni ricavabili da una raccolta di immagini può essere sicuramente un valido supporto a quelle fasi del Piano che presuppongono la conoscenza del paesaggio su cui si opera (si pensi, nel caso del PPR, alla fase di
definizione dei tre “assetti”).
116
INFORMAZIONE
Territorio
37) Ibidem, p. 9
38) Il testo integrale del bando è consultabile
sul sito www.isresardegna.it, sezione Bandi e
gare
39) Ibidem
40) Ibidem
41) Cfr. G. Angioni, Per la prima volta
avanguardia ed esempio: la Sardegna ha
dettato la linea sul paesaggio come valore e
partecipazione, su www.altravoce.net, 10
dicembre 2007
42) Ibidem
brare il tempo perduto, a documentare le tracce del passato, le tracce delle tracce di
quello che era il passato” 36. Ligios individua in questo progetto un mezzo per “arricchire l’informazione e l’educazione dei cittadini, che favorisca lo scambio di conoscenze e che entri a far parte del bagaglio culturale che muove gli amministratori
pubblici e tutti i cittadini alla tutela e alla valorizzazione del proprio patrimonio ambientale” 37, raccogliendo così l’insegnamento delle campagne realizzate nei decenni precedenti nel continente e le indicazioni contenute nel Piano Paesaggistico Regionale per quanto riguarda la tutela e la valorizzazione.
In questo clima di rinnovamento culturale e di nuova e produttiva attenzione
alla fotografia, anche la Regione si è dimostrata consapevole dell’importanza del
mezzo fotografico come strumento per la lettura del paesaggio. Nel 2008 infatti
pubblica, attraverso l’Istituto Superiore Regionale Etnografico, un bando attraverso
il quale “si manifesta la volontà della Regione di dotarsi di un adeguato patrimonio
documentale fotografico di elevata qualità artistica e documentaria” 38, da destinare
al Centro Regionale del Catalogo con il fine di rappresentare “paesaggi storicoarcheologici, storico-architettonici, paesaggi naturali, luoghi, feste, tradizioni e mestieri” 39. Come si legge nel testo, il bando è rivolto a “fotografi di chiara fama e a
fotografi sardi maggiormente rappresentativi della fotografia isolana” 40, i quali devono presentare una proposta che comprenda la definizione del progetto culturale
perseguito e del tema trattato.
Dalle caratteristiche del bando emergono alcune considerazioni relative al confronto con le esperienze di committenza pubblica realizzate negli anni Ottanta e
Novanta in Italia e in Europa. La prima analogia con le altre campagne fotografiche
risiede nella volontà di unire al valore documentario delle immagini che costituiranno
il futuro archivio quello artistico: il richiamo a campagne come quella della DATAR è
immediato. Altri due aspetti sembrano rimandare all’esperienza francese degli anni
Ottanta: il coinvolgimento sia di fotografi locali che “stranieri” e la libertà lasciata ai
fotografi di definire il proprio progetto. Se quest’ultimo aspetto può essere sintomo
di una committenza senza alcuna esperienza in questo ambito (come d’altronde era
la DATAR), l’unione dei due può offrire grandi potenzialità al progetto.
Affiancare al lavoro dei fotografi isolani quello scaturito da “sguardi esterni”
può far emergere attraverso il loro confronto nuovi punti di vista e spunti di riflessione volti a riconsiderare e riscoprire realtà sociali o ambientali di cui i residenti, avendole sempre sotto gli occhi, hanno ridimensionato il reale valore. I temi individuati dai
fotografi e le diverse declinazioni che di essi daranno inoltre contribuiranno a creare
un corpus di immagini in cui convivono diversi livelli di lettura, restituendo così una
descrizione dei diversi aspetti di una medesima realtà.
Alcune considerazioni conclusive possono essere fatte sui possibili esiti del
bando. La natura progettuale della fotografia e di un bando così concepito può collegarsi in maniera proficua alle attività di pianificazione: se infatti si prende atto che
“le dimensioni dinamiche e processuali del paesaggio hanno aspetti oscuri e impliciti
[...] non meno importanti di quelli chiari ed espliciti dei vari specialismi abituati a
partire dalla rilevazione e dall’analisi per arrivare al progetto, al piano, alle norme e
alla sua applicazione” 41, si avverte anche la necessità di affrontare questi problemi
con forme e modalità diverse di costruzione della conoscenza. Il fotografo, con la sua
capacità di mettere ordine nelle tracce di segni di cui è stratificato il territorio, può
sicuramente contribuire alla “ricostruzione del modo di conoscere il territorio” 42 e
affiancarsi agli urbanisti e agli altri specialisti che lavorano per leggere, interpretare,
governare e infine progettare la processualità e la dinamicità del paesaggio.
Infine, l’imporsi attraverso il Piano dei temi ambientali e paesaggistici, nonché
del principio di partecipazione alla procedura, comporta un’integrazione dei linguaggi tradizionali che, soprattutto in termini di comunicazione, mostrano grandi limiti:
l’immagine fotografica può essere dunque una modalità semplice e diretta per la
diffusione degli obiettivi e del processo di pianificazione. Scegliendo delle corrette
modalità di comunicazione si può arrivare ad una maggiore diffusione e comprensione delle idee che stanno dietro al Piano, al fine di aumentare l’impegno di tutta la
comunità nel proteggere e potenziare un bene comune come il paesaggio.
Stefano Ferrando
pagina
34
Scarica