Logica predicativa – alfabeto e quadrato aristotelico

Logica predicativa
Con la logica proposizionale ci siamo occupati di relazioni logiche tra proposizioni (il contenuto
espresso dalle frasi). Ad esempio, la frase complessa “Marco gioca e Stefania pettina la bambola”
può essere resa nel nostro linguaggio logico con “p & q”. Le variabili proposizionali p e q sono dei
pacchetti integri e non ulteriormente analizzabili, e con questo qualsiasi frase che sia costituita da
un solo verbo può essere rappresentata sempre solo da una singola lettera. Nell’esempio dato,
“Marco gioca” e “Stefania pettina la bambola” hanno una struttura interna molto diversa, eppure
nella logica proposizionale risultano entrambe rappresentate allo stesso modo, ad esempio p o q:
lettere che ci rendiamo conto subito che possono essere intercambiabili, perché avremmo
tranquillamente potuto, al contrario di come abbiamo fatto sopra, rappresentare la prima delle due
frasi con q e la seconda con p. In questo modo, la logica proposizionale “non vede” le differenze
interne alla frase. In questa situazione, ci perdiamo delle possibili inferenze che non dipendono dalle
relazioni tra frasi, ma dalle relazioni tra termini interni alla frase. Ad esempio, se dico come premesse
1) “Gli zoologi studiano solo animali”, 2) “Marvin è uno zoologo”, 3) “Lucilla è una pianta”, mi perdo
la possibilità di dedurre come conclusione “Marvin non studia Lucilla”, che è un’inferenza del tutto
legittima. Infatti in logica proposizionale dovrei tradurre (1) con p, (2) con q, (3) con r (visto che sono
tutte frasi diverse) e la conclusione con s, e s non segue affatto necessariamente da p & q & r (la
congiunzione delle tre premesse). Occorrono dunque altre lenti, che consentano di avere uno
sguardo più raffinato all’interno della frase: lenti nuove che, attenzione!!!, devono essere montate
su quelle vecchie della logica proposizionale, altrimenti non possono stare in piedi. In altre parole,
la logica predicativa è un’estensione della logica proposizionale, la quale, con il suo alfabeto e le sue
regole, le sue tavole di verità, rimane sempre alla base della formalizzazione e del calcolo logico
predicativi.
Fuor di metafora, in che cosa consistono queste “nuove lenti”? Sono un’estensione dell’alfabeto
proposizionale in modo che il nuovo alfabeto esteso così ottenuto riesca a leggere all’interno della
frase (intesa come proposizione). Per poter eseguire il calcolo logico proposizionale, infatti,
bisognava tradurre le frasi in un alfabeto particolare, l’insieme di tutti i simboli della logica
proposizionale, costituito da variabili proposizionali e connettivi.
In particolare avevamo simboli per:


Variabili proposizionali:
o p, q, r, ….
Connettivi logici:
o ¬ ( = “non”),
o & ( = “e”, simbolo di congiunzione),
o V ( = “o”, simbolo di disgiunzione inclusiva),
o  ( = “se… alllora…”/ “…implica…” simbolo di implicazione)
Questi simboli hanno tutti significato fisso, e sono detti per questo “simboli logici”. Vedremo che in
logica predicativa oltre a nuovi simboli logici, ci si avvarrà anche di “simboli extralogici”, simboli cioè
il cui significato varierà da contesto a contesto, da problema a problema.
Cominciamo ora ad entrare dentro la frase per cercare il nostro armamentario simbolico necessario.
Prendiamo una frase molto semplice: “Giovanni cammina”. Se eseguiamo la normale analisi logica
che ci hanno insegnato a scuola, vediamo innanzitutto che essa è composta da un predicato
(costituito dal verbo “cammina”). Senza questo predicato, la frase sarebbe completamente priva di
costrutto: il predicato infatti è la principale componente del messaggio che vogliamo trasmettere,
perché di qualcuno vogliamo dire che cammina. Ora, non ci può sfuggire che questo predicato vuole
dire “cammina” per l’appunto di qualcuno, e quindi crea una posizione che entra nel suo raggio di
azione: è la posizione che a scuola ci hanno detto essere quella del soggetto, in questo caso
costituito dal nome proprio “Giovanni”. In effetti è Giovanni che cammina, nella frase sopra
riportata, e cioè “cammina” viene detto di Giovanni. Possiamo quindi provare a dare rilievo al
predicato (il quale: organizza la frase, genera il posto del soggetto ed è la principale componente
del messaggio) rappresentandolo con una lettera, ad esempio “C” per “cammina”. Per dire che chi
cammina è Giovanni, avremo bisogno anche di un simbolo per il nome proprio, ad esempio “g”
dall’iniziale. Formalizzeremo così “Giovanni cammina” in “C(g)”1.
Ora, però, ci accorgiamo che con lo stesso predicato possiamo generare altre frasi simili, ma diverse,
come ad esempio “Rossella cammina”, “Antonio cammina”, “Eleonora cammina”. A questo punto,
formalizzando i nomi propri sempre con le singole iniziali, possiamo tradurre le diverse frasi
rispettivamente con "C(r)”, “C(a)”, “C(e)”. Cominciamo ad intravedere che ci stiamo fabbricando un
nuovo modo di raccogliere somiglianze e differenze delle singole frasi: quelle che in logica
proposizionale sarebbero state rappresentate semplicemente con lettere proposizionali diverse (ad
esempio g, r, a, e, ecc., sacrificando così gli elementi comuni delle frasi, in questo caso il predicato)
in logica predicativa vengono rappresentate in modo più articolato e raffinato in modo da mettere
in evidenza i costituenti delle frase, evidenziando così le parti comuni. Possiamo dunque cominciare
a fare due aggiunte al nostro alfabeto iniziale di tipo proposizionale.
Alfabeto del nostro linguaggio logico:
Simboli logici

Variabili proposizionali:
o p, q, r, ….

Connettivi logici:
o ¬ ( = “non”),
o & ( = “e”, simbolo di congiunzione),
o V ( = “o”, simbolo di disgiunzione inclusiva),
o  ( = “se… alllora…”/ “…implica…” simbolo di implicazione)
Simboli extra-logici


1
Simboli di predicato:
o P, Q, R, T, C…. (lettere grandi che stanno per il verbo di una frase)
Costanti individuali:
Non parleremo in modo formale e compiuto delle parentesi, ma ci accontentiamo di dire in modo intuitivo che esse
raggruppano al loro interno ciò che fa gruppo a sé, e che ciò che è raggruppato è così connesso, a seconda delle
circostanze con un simbolo di predicato, con un connettivo logico, eccetera. In questo caso il gruppo a sé è quello degli
“argomenti” del predicato, cioè l’insieme degli oggetti raggiunti dal predicato “cammina”, che nella nostra frase è
costituito solo da “g”, cioè “Giovanni”.
o a, b, c,…. (lettere piccole che stanno al posto dei nomi propri di una frase, e che
designano singoli individui)
Vengono chiamati simboli extra-logici perché il loro significato varia da contesto a contesto. Per
esempio, nel nostro caso “C” significa “cammina”, ma in un altro caso potrebbe significare “corre”
oppure “è rosso” (il fatto che una lettera predicativa coincida con la prima lettera del predicato
significato è solo una convenzione d’opportunità)2.
Arrivati fino a qui, possiamo fare un passo in avanti. Abbiamo detto che le nostre varie “Giovanni
cammina”, “Rossella cammina”, “Antonio cammina”, “Eleonora cammina”, tradotte
rispettivamente nella forma “C(g)”, "C(r)”, “C(a)”, “C(e)” mettono in evidenza l’elemento comune
del predicato “C”. Ma possiamo avviarci ad un successivo livello di astrazione, cercando di mettere
in luce la struttura logica comune alle quattro frasi, la quale è dettata dal predicato. Parlando in
Italiano, questa struttura logica consiste nel dire che “Qualcuno cammina”, o meglio ancora3 “Lui/lei
cammina”. Che senso ha in logica questa espressione? In realtà ha un senso limitato. In logica
predicativa, come in quella proposizionale, le frasi valgono per essere vere o false. Ma di questa
frase, senza altre indicazioni, non possiamo dire vero o falso, perché in un dominio qualsiasi (il
dominio è l’ambito degli oggetti del nostro discorso), non è indicato a chi si riferisca. “Lui/lei
cammina” sarà, per esempio, vera se riferita a Giovanni, e sarà magari falsa se riferita Erika. L’intero
valore della frase dunque può variare a seconda che l’espressione messa al posto del soggetto
(“Lui/lei”) si riferisca a questa persona o a quella. Che funzione ha questo tipo di espressione? Essa
ha il compito di mostrare di quanti oggetti si possa occupare un predicato (detti “argomenti di un
predicato”). Normalmente ad ogni predicato è associato almeno un argomento (che di solito in
Italiano fa da soggetto), come nel caso di “cammina” o “è rosso”, ma può non essere associato
nessun argomento (come nel caso di “piove” o “nevica”) o più di uno, come nel caso di “Luca guarda
il cane” o di “Lucia dà una penna a Dario” (in questi casi gli argomenti sono il soggetto ed uno/due
complementi dell’analisi logica che facevamo a scuola). Al posto di ogni argomento possiamo
mettere espressioni come “Lui/lei/esso/a”, che possono variare in quanto all’oggetto che di volta in
volta indicano (detto “referente” o “riferimento”), ed in grado dunque di far variare il valore di
verità della frase a seconda del fatto che indichino questo o quell’oggetto. In concreto, la prima
frase può diventare “Lui guarda esso” ed è vera se (ponendo che nella realtà dei fatti Luca guardi il
cane) al posto di “lui” mettiamo “Luca” e di “esso” mettiamo “il cane”, ed è falsa se al posto di “Lui”
mettiamo “Gennaro” e sempre “il cane” al posto di “esso” (ponendo che Gennaro guardi altro).
Simile ragionamento possiamo fare per “Lucia dà una penna a Dario”, che diventa “Lei dà questo a
lui”. In logica, queste espressioni dal referente variabile si chiamano “variabili individuali” e vengono
solitamente designate con singole lettere in corsivo come x, y, z, ecc.; le frasi che noi abbiamo in
modo arzigogolato riscritto con pronomi personali o dimostrativi vengono dunque in modo
immediato rappresentate con “x cammina”, “x guarda y”, “x dà y a z”, o più esattamente con “C(x)”,
G(x,y) e con D(x,y,z), dove il primo è un predicato ad un argomento, il secondo a due, il terzo a tre.
I predicati ad un argomento sono di solito detti “proprietà”, quelli a più di un argomento “relazioni”.
2
Si faccia caso che la logica, a differenza dell’analisi logica della scuola, non fa distinzione tra predicato “verbale” e
predicato “nominale”.
3
“Qualcuno cammina” sembra equivalere di più a “C’è qualcuno che cammina”, e questa non sembra solo la struttura
logica di una frase, ma un enunciato che si prenda l’impegno di dire qualcosa di vero o falso. In “Lui/lei cammina” questo
impegno sembra essere assente o di gran lunga inferiore, e valgono meglio dunque le considerazioni che seguono nel
testo.
I predicati assumono senso compiuto solo se vengono considerati in tutti i loro argomenti, cioè se
al posto di ogni variabile che fa da argomento viene messa un’espressione dal referente preciso
(come ad esempio un nome proprio). Solo così essi costituiranno un “enunciato”, cioè una frase vera
o falsa.
Riassumendo questo passaggio, dobbiamo inserire altri due elementi nel nostro alfabeto: i simboli
di variabile individuale, che andranno definitivamente a sostituire quelli di variabile proposizionale
(potevamo eliminarli anche prima), e il numero di argomenti di un predicato, detto “arietà”.
Alfabeto del nostro linguaggio logico:
Simboli logici

Variabili individuali:
o x, y, z, ….

Connettivi logici:
o ¬ ( = “non”),
o & ( = “e”, simbolo di congiunzione),
o V ( = “o”, simbolo di disgiunzione inclusiva),
o  ( = “se… alllora…”/ “…implica…” simbolo di implicazione)
Simboli extra-logici


Simboli di predicato n-ario (con “n” = numero di argomenti del predicato):
o Predicati 0-ari ( leggi: “zero-ari”): P, Q, R, T, C… (“costanti proposizionali” lettere
grandi a zero argomenti, che stanno o per un predicato zero-ario come nevica o per
una frase il cui valore di verità non dipende dai termini)
o Predicati 1-ari (leggi “unari”): P, Q, R, T, C….4 (lettere grandi che stanno per il verbo
di una frase che esprime la proprietà di un soggetto)
o Predicati 2-ari (leggi “binari”): P, Q, R, T, C…. (lettere grandi che stanno per un verbo
di una frase che esprime una relazione tra due oggetti, ad esempio: “essere maggiore
di”, “somigliare”, “guardare”, ec.)
o Predicati 3-ari (leggi “ternari”): P, Q, R, T, C…. (lettere grandi che stanno per un verbo
di una frase che esprime una relazione tra tre oggetti, ad esempio: “dare”, “prestare”,
“regalare”, ec.)
o Predicati di arietà maggiore di 3…..
Costanti individuali:
o a, b, c,…. (lettere piccole che stanno al posto dei nomi propri di una frase, e che
designano singoli individui)
Le variabili sono sempre individuali e stanno quindi al posto di un oggetto per volta, vale a dire che
possono essere sostituite solo da nomi di singoli oggetti. Per ciò che riguarda i predicati, è
importante notare che, pur non avendo un significato fisso da contesto a contesto, devono avere
4
OVVIAMENTE SE ABBIAMO SCELTO UNA LETTERA PER UN PREDICATO DI UN CERTO “n” NON SCEGLIEREMO LA STESSA
LETTERA PER UN PREDICATO DI n DIVERSO! Ad esempio, se abbiamo scelto “P” per un predicato unario, non la
risceglieremo per un predicato binario (cioè con due argomenti).
un significato fisso una volta fissato il contesto: se ad esempio diciamo che “R” è un predicato
ternario che sta per “ridare”, esso dovrà rimanere costantemente tale, verrà rappresentato con
“R(x,y,z)” e bisognerà badare che tutte e tre i suoi argomenti espressi da variabili vengano sostituiti
con espressioni dal significato fisso in quel contesto (processo denominato “saturazione”). In altre
parole le lettere di predicato sono delle costanti e non delle variabili.
Con queste aggiunte al nostro alfabeto, se riprendiamo da capo il nostro esempio iniziale, “Marco
gioca e Stefania pettina la bambola”, ci accorgiamo che solo una traduzione molto dozzinale può
rappresentare le due frasi di questa congiunzione allo stesso modo, del tipo “G(m)” e “P(s)” (con
“G” = “gioca” e “P” = “pettina la bambola”), perché in realtà pettina è un predicato binario a due
posti, del tipo P(x,y).
Ad ogni modo, noi ora ci occuperemo solo di predicati unari, in modo da rendere più leggibili le altre
nostre considerazioni. Infatti, data un’espressione del tipo “C(x)” – con “C” predicato unario
generico –, sappiamo che essa di per sé non è né vera né falsa. Un modo per renderla vera o falsa è
quello di “saturare” la variabile, ossia mettere al suo posto un nome proprio. In questo modo il
referente è chiaro, e si può valutare la verità e la falsità dell’enunciato così ottenuto. Analoghi
processi di saturazione si possono ottenere mettendo al posto della variabile espressioni che non
sono nomi propri, ma che contengono il riferimento ad un unico oggetto possibile (descrizioni
definite): ad esempio “L’attuale regina di Inghilterra” o più modestamente “La zia di Maria” (lo
studio di queste descrizioni è piuttosto complicato e non lo affronteremo qui).
Ci sono tuttavia altri modi, diversi dalla saturazione, per trasformare una generica frase del tipo
“C(x)” in un enunciato (cioè una frase valutabile come vera o falsa): si tratta di “vincolarla”. Il vincolo
ricorre ai pronomi (o agli aggettivi) indefiniti (o espressioni complesse, ma con ruolo simile), e lavora
in modo contrario della saturazione. Mentre la saturazione passa da un generico “x” ad un oggetto
denotato in modo chiaro e distinto, il vincolo crea un riferimento ad una genericità di oggetti. In
particolare, il vincolo quantifica la variabile, asserendo in modo generico quanta parte di un gruppo
di oggetti in contesto gode di una certa proprietà. Ad esempio, posso passare da “x cammina” a “La
maggior parte degli x cammina”, dove, mentre la prima, anche fissato un contesto, non è né vera
né falsa, la seconda invece, se si è fissato il contesto, è vera o falsa. Gli aggettivi/pronomi indefiniti
in italiano sono molti: “alcuni”, “molti”, “tanti”, “ogni”, “altro”, “qualunque”, “qualche”, “troppi”…
troppi per la logica! Diciamo che molti di essi, come ad esempio “molti” o “troppi” sono nozioni
complesse e ricche di sfumature sfuggenti, che andrebbero al limite definite in termini di nozioni
più semplici. I più semplici sembrano essere quelli che quantificano sul tutto o su una parte: i primi
sono “ogni”, “tutti”, “qualsiasi”, ecc. ; i secondi sono “qualche”, “qualcuno”, ecc.
L’espressione generica “C(x)” può essere dunque vincolata quantificandola in due modi: o dicendo
“Per qualsiasi x, C(x)”, o dicendo “Esiste (almeno) un x tale che C(x)” (equivalente a “Qualche x
cammina”, se “C” vuol dire “cammina”; occorre però ricordarsi sempre che con “qualche” la logica
intende “almeno uno” e non un gruppetto). In simboli logici si ha:


“Qualsiasi x cammina” = “Per qualsiasi x, C(x)” = “x C(x)”
“Qualche x cammina” = “Esiste un x tale che C(x)” = “x C(x)”
Dobbiamo dunque aggiungere altri due simboli, logici, al nostro alfabeto: “”, detto “quantificatore
universale” e “”, “quantificatore esistenziale”.
Alfabeto del nostro linguaggio logico:
Simboli logici

Variabili individuali:
o x, y, z, ….

Connettivi logici:

o ¬ ( = “non”),
o & ( = “e”, simbolo di congiunzione),
o V ( = “o”, simbolo di disgiunzione inclusiva),
o  ( = “se… alllora…”/ “…implica…” simbolo di implicazione)
Quantificatori:
o Universale: x (qualsiasi x)
o Esistenziale: x (esiste un x tale che)
Simboli extra-logici


Simboli di predicato n-ario (con “n” = numero di argomenti del predicato):
o Predicati 0-ari ( leggi: “zero-ari”): P, Q, R, T, C… (“costanti proposizionali” lettere
grandi a zero argomenti, che stanno o per un predicato zero-ario come nevica o per
una frase il cui valore di verità non dipende dai termini)
o Predicati 1-ari (leggi “unari”): P, Q, R, T, C…. (lettere grandi che stanno per il verbo di
una frase che esprime la proprietà di un soggetto)
o Predicati 2-ari (leggi “binari”): P, Q, R, T, C…. (lettere grandi che stanno per un verbo
di una frase che esprime una relazione tra due oggetti, ad esempio: “essere maggiore
di”, “somigliare”, “guardare”, ec.)
o Predicati 3-ari (leggi “ternari”): P, Q, R, T, C…. (lettere grandi che stanno per un verbo
di una frase che esprime una relazione tra tre oggetti, ad esempio: “dare”, “prestare”,
“regalare”, ec.)
o Predicati di arietà maggiore di 3…..
Costanti individuali:
o a, b, c,…. (lettere piccole che stanno al posto dei nomi propri di una frase, e che
designano singoli individui)
Con questo il nostro alfabeto si può dire completo5.
5
Mancherebbero i simboli di funzione, anch’essi extra-logici e costanti dato un contesto, come “il padre di…” Sono
una sorta di via di mezzo tra costanti individuali e simboli di predicato, ma in questo momento non serve trattarli.
Quadrato aristotelico
A questo punto possiamo constatare che tra quantificatore esistenziale e quantificatore universale
esistono delle importanti relazioni che sono state rappresentate per la prima volta da Aristotele nel
cosiddetto “quadrato di opposizioni” o “aristotelico”. In sostanza, dato un contesto (il nostro
“dominio”), poniamo un cortile scolastico, posso essere interessato a riscontrare se tutti corrono, o
solo una parte, e qualcuno non corre o nessuno corre. In particolare, io potrei in primo luogo
accorgermi che qualcuno corre. In questo modo mi troverei a dire che “Esiste almeno un x tale che
x corre”, cioè x C(x) (l’angolo in basso a sinistra del quadrato). A questo punto ho due possibilità: o
corrono tutti, o qualcuno non corre. Se corrono tutti, allora lo esprimerò così: x C(x) (l’angolo in
alto a sinistra); se qualcuno non corre, lo esprimerò così: x ¬C(x). Se invece mi fossi trovato in una
situazione in cui nessuno corre, avrei potuto esprimerlo così: x ¬C(x).
“x C(x)” / “¬x¬C(x)”
“x ¬C(x)”/ “¬x C(x)”
“x C(x)” / “¬x ¬C(x)”
“x¬C(x)” / “¬x C(x)”
Questi quattro tipi di proposizione vengono detti “proposizioni categoriche” (cioè che affermano o
negano un predicato per un qualche oggetto x), la prima in alto a sinistra è detta “universale
affermativa” (A), quella in basso a sinistra è detta “particolare affermativa” (I), quella in alto a destra
“universale negativa” (E), quella in basso a destra “particolare negativa” (O). Le lettere sono di
origine medioevale, e provengono dalle prime due vocali della parola latina “AdfIrmo” (= “affermo”)
per le affermative, e dalle prime due vocali della parola latina “nego” per le negative.
Dobbiamo però svolgere alcune considerazioni aggiuntive. Ad esempio: se nessuno corre, vuol dire
che non esiste nessuno che corra, quindi “¬x C(x)”. Pertanto “x ¬C(x)” equivale a “¬x C(x)”. Allo
stesso modo se tutti corrono, ciò significa che nessuno non corre, quindi che non esiste nessuno che
non corra: “¬x¬C(x)”. Pertanto “x C(x)” equivale a “¬x¬C(x)”. A questo punto possiamo
constatare che la universale affermativa (“qualsiasi x corre”, detta “A”) e la particolare negativa
(“esiste almeno un x che non corre”, detta “O”), sono contraddittorie l’una con l’altra: vale a dire
che la A è una non-O e viceversa. Quindi potremo vedere che la O potrà essere espressa non solo
con “x¬C(x)”, ma anche con “¬x C(x)” (“Non per qualsiasi x, x corre”, che è la A con un “non”
davanti). Allo stesso modo, l’universale negativa (“Per qualsiasi x, x non corre”, detta “E”) è la
negazione della particolare affermativa (quest’ultima “esiste almeno un x tale che x corre”, detta
“I”), per cui la E è una non-I e viceversa. Perciò la I si potrà esprimere anche con “¬x ¬ C(x)” (“Non
ogni x non corre”, che è la E con il “non” davanti). Possiamo così vedere che la A e la O devono per
forza essere una vera e l’altra falsa, e così anche la E la I. Le due universali A e E (contrarie) possono
essere entrambe false, mentre le due particolari I ed O (subcontrarie) possono essere entrambe
vere. Secondo Aristotele, inoltre, esisteva un rapporto di implicazione tra universali e rispettive
particolari: perciò “A  I” e “E  O”. Nel linguaggio ordinario si accetta tranquillamente questa
implicazione, anzi, la si ritiene scontata; nella logica moderna invece la si accetta escludendo un
caso, e cioè quello in cui il dominio del discorso è vuoto: infatti se il dominio è vuoto, è vero che
“non c’è un x che non corra” o che “tutti gli x corrono” (A). L’accento infatti viene posto sul
quantificatore (è vero che sono tutti, perché tutti è uguale a zero; ed è vero che non ce ne è uno che
non corra, perché non c’è nessuno). Per lo stesso ragionamento, risulta falso che “esiste un x che
corre”, perché in effetti non esiste. Pertanto un implicazione con antecedente vero e conseguente
falso è falsa. Si dice che in Aristotele (e nel nostro linguaggio ordinario) il quantificatore universale
“ha portata” esistenziale, nella logica moderna no.