Logica predicativa Con la logica proposizionale ci siamo occupati di relazioni logiche tra proposizioni (il contenuto espresso dalle frasi). Ad esempio, la frase complessa “Marco gioca e Stefania pettina la bambola” può essere resa nel nostro linguaggio logico con “p & q”. Le variabili proposizionali p e q sono dei pacchetti integri e non ulteriormente analizzabili, e con questo qualsiasi frase che sia costituita da un solo verbo può essere rappresentata sempre solo da una singola lettera. Nell’esempio dato, “Marco gioca” e “Stefania pettina la bambola” hanno una struttura interna molto diversa, eppure nella logica proposizionale risultano entrambe rappresentate allo stesso modo, ad esempio p o q: lettere che ci rendiamo conto subito che possono essere intercambiabili, perché avremmo tranquillamente potuto, al contrario di come abbiamo fatto sopra, rappresentare la prima delle due frasi con q e la seconda con p. In questo modo, la logica proposizionale “non vede” le differenze interne alla frase. In questa situazione, ci perdiamo delle possibili inferenze che non dipendono dalle relazioni tra frasi, ma dalle relazioni tra termini interni alla frase. Ad esempio, se dico come premesse 1) “Gli zoologi studiano solo animali”, 2) “Marvin è uno zoologo”, 3) “Lucilla è una pianta”, mi perdo la possibilità di dedurre come conclusione “Marvin non studia Lucilla”, che è un’inferenza del tutto legittima. Infatti in logica proposizionale dovrei tradurre (1) con p, (2) con q, (3) con r (visto che sono tutte frasi diverse) e la conclusione con s, e s non segue affatto necessariamente da p & q & r (la congiunzione delle tre premesse). Occorrono dunque altre lenti, che consentano di avere uno sguardo più raffinato all’interno della frase: lenti nuove che, attenzione!!!, devono essere montate su quelle vecchie della logica proposizionale, altrimenti non possono stare in piedi. In altre parole, la logica predicativa è un’estensione della logica proposizionale, la quale, con il suo alfabeto e le sue regole, le sue tavole di verità, rimane sempre alla base della formalizzazione e del calcolo logico predicativi. Fuor di metafora, in che cosa consistono queste “nuove lenti”? Sono un’estensione dell’alfabeto proposizionale in modo che il nuovo alfabeto esteso così ottenuto riesca a leggere all’interno della frase (intesa come proposizione). Per poter eseguire il calcolo logico proposizionale, infatti, bisognava tradurre le frasi in un alfabeto particolare, l’insieme di tutti i simboli della logica proposizionale, costituito da variabili proposizionali e connettivi. In particolare avevamo simboli per: Variabili proposizionali: o p, q, r, …. Connettivi logici: o ¬ ( = “non”), o & ( = “e”, simbolo di congiunzione), o V ( = “o”, simbolo di disgiunzione inclusiva), o ( = “se… alllora…”/ “…implica…” simbolo di implicazione) Questi simboli hanno tutti significato fisso, e sono detti per questo “simboli logici”. Vedremo che in logica predicativa oltre a nuovi simboli logici, ci si avvarrà anche di “simboli extralogici”, simboli cioè il cui significato varierà da contesto a contesto, da problema a problema. Cominciamo ora ad entrare dentro la frase per cercare il nostro armamentario simbolico necessario. Prendiamo una frase molto semplice: “Giovanni cammina”. Se eseguiamo la normale analisi logica che ci hanno insegnato a scuola, vediamo innanzitutto che essa è composta da un predicato (costituito dal verbo “cammina”). Senza questo predicato, la frase sarebbe completamente priva di costrutto: il predicato infatti è la principale componente del messaggio che vogliamo trasmettere, perché di qualcuno vogliamo dire che cammina. Ora, non ci può sfuggire che questo predicato vuole dire “cammina” per l’appunto di qualcuno, e quindi crea una posizione che entra nel suo raggio di azione: è la posizione che a scuola ci hanno detto essere quella del soggetto, in questo caso costituito dal nome proprio “Giovanni”. In effetti è Giovanni che cammina, nella frase sopra riportata, e cioè “cammina” viene detto di Giovanni. Possiamo quindi provare a dare rilievo al predicato (il quale: organizza la frase, genera il posto del soggetto ed è la principale componente del messaggio) rappresentandolo con una lettera, ad esempio “C” per “cammina”. Per dire che chi cammina è Giovanni, avremo bisogno anche di un simbolo per il nome proprio, ad esempio “g” dall’iniziale. Formalizzeremo così “Giovanni cammina” in “C(g)”1. Ora, però, ci accorgiamo che con lo stesso predicato possiamo generare altre frasi simili, ma diverse, come ad esempio “Rossella cammina”, “Antonio cammina”, “Eleonora cammina”. A questo punto, formalizzando i nomi propri sempre con le singole iniziali, possiamo tradurre le diverse frasi rispettivamente con "C(r)”, “C(a)”, “C(e)”. Cominciamo ad intravedere che ci stiamo fabbricando un nuovo modo di raccogliere somiglianze e differenze delle singole frasi: quelle che in logica proposizionale sarebbero state rappresentate semplicemente con lettere proposizionali diverse (ad esempio g, r, a, e, ecc., sacrificando così gli elementi comuni delle frasi, in questo caso il predicato) in logica predicativa vengono rappresentate in modo più articolato e raffinato in modo da mettere in evidenza i costituenti delle frase, evidenziando così le parti comuni. Possiamo dunque cominciare a fare due aggiunte al nostro alfabeto iniziale di tipo proposizionale. Alfabeto del nostro linguaggio logico: Simboli logici Variabili proposizionali: o p, q, r, …. Connettivi logici: o ¬ ( = “non”), o & ( = “e”, simbolo di congiunzione), o V ( = “o”, simbolo di disgiunzione inclusiva), o ( = “se… alllora…”/ “…implica…” simbolo di implicazione) Simboli extra-logici 1 Simboli di predicato: o P, Q, R, T, C…. (lettere grandi che stanno per il verbo di una frase) Costanti individuali: Non parleremo in modo formale e compiuto delle parentesi, ma ci accontentiamo di dire in modo intuitivo che esse raggruppano al loro interno ciò che fa gruppo a sé, e che ciò che è raggruppato è così connesso, a seconda delle circostanze con un simbolo di predicato, con un connettivo logico, eccetera. In questo caso il gruppo a sé è quello degli “argomenti” del predicato, cioè l’insieme degli oggetti raggiunti dal predicato “cammina”, che nella nostra frase è costituito solo da “g”, cioè “Giovanni”. o a, b, c,…. (lettere piccole che stanno al posto dei nomi propri di una frase, e che designano singoli individui) Vengono chiamati simboli extra-logici perché il loro significato varia da contesto a contesto. Per esempio, nel nostro caso “C” significa “cammina”, ma in un altro caso potrebbe significare “corre” oppure “è rosso” (il fatto che una lettera predicativa coincida con la prima lettera del predicato significato è solo una convenzione d’opportunità)2. Arrivati fino a qui, possiamo fare un passo in avanti. Abbiamo detto che le nostre varie “Giovanni cammina”, “Rossella cammina”, “Antonio cammina”, “Eleonora cammina”, tradotte rispettivamente nella forma “C(g)”, "C(r)”, “C(a)”, “C(e)” mettono in evidenza l’elemento comune del predicato “C”. Ma possiamo avviarci ad un successivo livello di astrazione, cercando di mettere in luce la struttura logica comune alle quattro frasi, la quale è dettata dal predicato. Parlando in Italiano, questa struttura logica consiste nel dire che “Qualcuno cammina”, o meglio ancora3 “Lui/lei cammina”. Che senso ha in logica questa espressione? In realtà ha un senso limitato. In logica predicativa, come in quella proposizionale, le frasi valgono per essere vere o false. Ma di questa frase, senza altre indicazioni, non possiamo dire vero o falso, perché in un dominio qualsiasi (il dominio è l’ambito degli oggetti del nostro discorso), non è indicato a chi si riferisca. “Lui/lei cammina” sarà, per esempio, vera se riferita a Giovanni, e sarà magari falsa se riferita Erika. L’intero valore della frase dunque può variare a seconda che l’espressione messa al posto del soggetto (“Lui/lei”) si riferisca a questa persona o a quella. Che funzione ha questo tipo di espressione? Essa ha il compito di mostrare di quanti oggetti si possa occupare un predicato (detti “argomenti di un predicato”). Normalmente ad ogni predicato è associato almeno un argomento (che di solito in Italiano fa da soggetto), come nel caso di “cammina” o “è rosso”, ma può non essere associato nessun argomento (come nel caso di “piove” o “nevica”) o più di uno, come nel caso di “Luca guarda il cane” o di “Lucia dà una penna a Dario” (in questi casi gli argomenti sono il soggetto ed uno/due complementi dell’analisi logica che facevamo a scuola). Al posto di ogni argomento possiamo mettere espressioni come “Lui/lei/esso/a”, che possono variare in quanto all’oggetto che di volta in volta indicano (detto “referente” o “riferimento”), ed in grado dunque di far variare il valore di verità della frase a seconda del fatto che indichino questo o quell’oggetto. In concreto, la prima frase può diventare “Lui guarda esso” ed è vera se (ponendo che nella realtà dei fatti Luca guardi il cane) al posto di “lui” mettiamo “Luca” e di “esso” mettiamo “il cane”, ed è falsa se al posto di “Lui” mettiamo “Gennaro” e sempre “il cane” al posto di “esso” (ponendo che Gennaro guardi altro). Simile ragionamento possiamo fare per “Lucia dà una penna a Dario”, che diventa “Lei dà questo a lui”. In logica, queste espressioni dal referente variabile si chiamano “variabili individuali” e vengono solitamente designate con singole lettere in corsivo come x, y, z, ecc.; le frasi che noi abbiamo in modo arzigogolato riscritto con pronomi personali o dimostrativi vengono dunque in modo immediato rappresentate con “x cammina”, “x guarda y”, “x dà y a z”, o più esattamente con “C(x)”, G(x,y) e con D(x,y,z), dove il primo è un predicato ad un argomento, il secondo a due, il terzo a tre. I predicati ad un argomento sono di solito detti “proprietà”, quelli a più di un argomento “relazioni”. 2 Si faccia caso che la logica, a differenza dell’analisi logica della scuola, non fa distinzione tra predicato “verbale” e predicato “nominale”. 3 “Qualcuno cammina” sembra equivalere di più a “C’è qualcuno che cammina”, e questa non sembra solo la struttura logica di una frase, ma un enunciato che si prenda l’impegno di dire qualcosa di vero o falso. In “Lui/lei cammina” questo impegno sembra essere assente o di gran lunga inferiore, e valgono meglio dunque le considerazioni che seguono nel testo. I predicati assumono senso compiuto solo se vengono considerati in tutti i loro argomenti, cioè se al posto di ogni variabile che fa da argomento viene messa un’espressione dal referente preciso (come ad esempio un nome proprio). Solo così essi costituiranno un “enunciato”, cioè una frase vera o falsa. Riassumendo questo passaggio, dobbiamo inserire altri due elementi nel nostro alfabeto: i simboli di variabile individuale, che andranno definitivamente a sostituire quelli di variabile proposizionale (potevamo eliminarli anche prima), e il numero di argomenti di un predicato, detto “arietà”. Alfabeto del nostro linguaggio logico: Simboli logici Variabili individuali: o x, y, z, …. Connettivi logici: o ¬ ( = “non”), o & ( = “e”, simbolo di congiunzione), o V ( = “o”, simbolo di disgiunzione inclusiva), o ( = “se… alllora…”/ “…implica…” simbolo di implicazione) Simboli extra-logici Simboli di predicato n-ario (con “n” = numero di argomenti del predicato): o Predicati 0-ari ( leggi: “zero-ari”): P, Q, R, T, C… (“costanti proposizionali” lettere grandi a zero argomenti, che stanno o per un predicato zero-ario come nevica o per una frase il cui valore di verità non dipende dai termini) o Predicati 1-ari (leggi “unari”): P, Q, R, T, C….4 (lettere grandi che stanno per il verbo di una frase che esprime la proprietà di un soggetto) o Predicati 2-ari (leggi “binari”): P, Q, R, T, C…. (lettere grandi che stanno per un verbo di una frase che esprime una relazione tra due oggetti, ad esempio: “essere maggiore di”, “somigliare”, “guardare”, ec.) o Predicati 3-ari (leggi “ternari”): P, Q, R, T, C…. (lettere grandi che stanno per un verbo di una frase che esprime una relazione tra tre oggetti, ad esempio: “dare”, “prestare”, “regalare”, ec.) o Predicati di arietà maggiore di 3….. Costanti individuali: o a, b, c,…. (lettere piccole che stanno al posto dei nomi propri di una frase, e che designano singoli individui) Le variabili sono sempre individuali e stanno quindi al posto di un oggetto per volta, vale a dire che possono essere sostituite solo da nomi di singoli oggetti. Per ciò che riguarda i predicati, è importante notare che, pur non avendo un significato fisso da contesto a contesto, devono avere 4 OVVIAMENTE SE ABBIAMO SCELTO UNA LETTERA PER UN PREDICATO DI UN CERTO “n” NON SCEGLIEREMO LA STESSA LETTERA PER UN PREDICATO DI n DIVERSO! Ad esempio, se abbiamo scelto “P” per un predicato unario, non la risceglieremo per un predicato binario (cioè con due argomenti). un significato fisso una volta fissato il contesto: se ad esempio diciamo che “R” è un predicato ternario che sta per “ridare”, esso dovrà rimanere costantemente tale, verrà rappresentato con “R(x,y,z)” e bisognerà badare che tutte e tre i suoi argomenti espressi da variabili vengano sostituiti con espressioni dal significato fisso in quel contesto (processo denominato “saturazione”). In altre parole le lettere di predicato sono delle costanti e non delle variabili. Con queste aggiunte al nostro alfabeto, se riprendiamo da capo il nostro esempio iniziale, “Marco gioca e Stefania pettina la bambola”, ci accorgiamo che solo una traduzione molto dozzinale può rappresentare le due frasi di questa congiunzione allo stesso modo, del tipo “G(m)” e “P(s)” (con “G” = “gioca” e “P” = “pettina la bambola”), perché in realtà pettina è un predicato binario a due posti, del tipo P(x,y). Ad ogni modo, noi ora ci occuperemo solo di predicati unari, in modo da rendere più leggibili le altre nostre considerazioni. Infatti, data un’espressione del tipo “C(x)” – con “C” predicato unario generico –, sappiamo che essa di per sé non è né vera né falsa. Un modo per renderla vera o falsa è quello di “saturare” la variabile, ossia mettere al suo posto un nome proprio. In questo modo il referente è chiaro, e si può valutare la verità e la falsità dell’enunciato così ottenuto. Analoghi processi di saturazione si possono ottenere mettendo al posto della variabile espressioni che non sono nomi propri, ma che contengono il riferimento ad un unico oggetto possibile (descrizioni definite): ad esempio “L’attuale regina di Inghilterra” o più modestamente “La zia di Maria” (lo studio di queste descrizioni è piuttosto complicato e non lo affronteremo qui). Ci sono tuttavia altri modi, diversi dalla saturazione, per trasformare una generica frase del tipo “C(x)” in un enunciato (cioè una frase valutabile come vera o falsa): si tratta di “vincolarla”. Il vincolo ricorre ai pronomi (o agli aggettivi) indefiniti (o espressioni complesse, ma con ruolo simile), e lavora in modo contrario della saturazione. Mentre la saturazione passa da un generico “x” ad un oggetto denotato in modo chiaro e distinto, il vincolo crea un riferimento ad una genericità di oggetti. In particolare, il vincolo quantifica la variabile, asserendo in modo generico quanta parte di un gruppo di oggetti in contesto gode di una certa proprietà. Ad esempio, posso passare da “x cammina” a “La maggior parte degli x cammina”, dove, mentre la prima, anche fissato un contesto, non è né vera né falsa, la seconda invece, se si è fissato il contesto, è vera o falsa. Gli aggettivi/pronomi indefiniti in italiano sono molti: “alcuni”, “molti”, “tanti”, “ogni”, “altro”, “qualunque”, “qualche”, “troppi”… troppi per la logica! Diciamo che molti di essi, come ad esempio “molti” o “troppi” sono nozioni complesse e ricche di sfumature sfuggenti, che andrebbero al limite definite in termini di nozioni più semplici. I più semplici sembrano essere quelli che quantificano sul tutto o su una parte: i primi sono “ogni”, “tutti”, “qualsiasi”, ecc. ; i secondi sono “qualche”, “qualcuno”, ecc. L’espressione generica “C(x)” può essere dunque vincolata quantificandola in due modi: o dicendo “Per qualsiasi x, C(x)”, o dicendo “Esiste (almeno) un x tale che C(x)” (equivalente a “Qualche x cammina”, se “C” vuol dire “cammina”; occorre però ricordarsi sempre che con “qualche” la logica intende “almeno uno” e non un gruppetto). In simboli logici si ha: “Qualsiasi x cammina” = “Per qualsiasi x, C(x)” = “x C(x)” “Qualche x cammina” = “Esiste un x tale che C(x)” = “x C(x)” Dobbiamo dunque aggiungere altri due simboli, logici, al nostro alfabeto: “”, detto “quantificatore universale” e “”, “quantificatore esistenziale”. Alfabeto del nostro linguaggio logico: Simboli logici Variabili individuali: o x, y, z, …. Connettivi logici: o ¬ ( = “non”), o & ( = “e”, simbolo di congiunzione), o V ( = “o”, simbolo di disgiunzione inclusiva), o ( = “se… alllora…”/ “…implica…” simbolo di implicazione) Quantificatori: o Universale: x (qualsiasi x) o Esistenziale: x (esiste un x tale che) Simboli extra-logici Simboli di predicato n-ario (con “n” = numero di argomenti del predicato): o Predicati 0-ari ( leggi: “zero-ari”): P, Q, R, T, C… (“costanti proposizionali” lettere grandi a zero argomenti, che stanno o per un predicato zero-ario come nevica o per una frase il cui valore di verità non dipende dai termini) o Predicati 1-ari (leggi “unari”): P, Q, R, T, C…. (lettere grandi che stanno per il verbo di una frase che esprime la proprietà di un soggetto) o Predicati 2-ari (leggi “binari”): P, Q, R, T, C…. (lettere grandi che stanno per un verbo di una frase che esprime una relazione tra due oggetti, ad esempio: “essere maggiore di”, “somigliare”, “guardare”, ec.) o Predicati 3-ari (leggi “ternari”): P, Q, R, T, C…. (lettere grandi che stanno per un verbo di una frase che esprime una relazione tra tre oggetti, ad esempio: “dare”, “prestare”, “regalare”, ec.) o Predicati di arietà maggiore di 3….. Costanti individuali: o a, b, c,…. (lettere piccole che stanno al posto dei nomi propri di una frase, e che designano singoli individui) Con questo il nostro alfabeto si può dire completo5. 5 Mancherebbero i simboli di funzione, anch’essi extra-logici e costanti dato un contesto, come “il padre di…” Sono una sorta di via di mezzo tra costanti individuali e simboli di predicato, ma in questo momento non serve trattarli. Quadrato aristotelico A questo punto possiamo constatare che tra quantificatore esistenziale e quantificatore universale esistono delle importanti relazioni che sono state rappresentate per la prima volta da Aristotele nel cosiddetto “quadrato di opposizioni” o “aristotelico”. In sostanza, dato un contesto (il nostro “dominio”), poniamo un cortile scolastico, posso essere interessato a riscontrare se tutti corrono, o solo una parte, e qualcuno non corre o nessuno corre. In particolare, io potrei in primo luogo accorgermi che qualcuno corre. In questo modo mi troverei a dire che “Esiste almeno un x tale che x corre”, cioè x C(x) (l’angolo in basso a sinistra del quadrato). A questo punto ho due possibilità: o corrono tutti, o qualcuno non corre. Se corrono tutti, allora lo esprimerò così: x C(x) (l’angolo in alto a sinistra); se qualcuno non corre, lo esprimerò così: x ¬C(x). Se invece mi fossi trovato in una situazione in cui nessuno corre, avrei potuto esprimerlo così: x ¬C(x). “x C(x)” / “¬x¬C(x)” “x ¬C(x)”/ “¬x C(x)” “x C(x)” / “¬x ¬C(x)” “x¬C(x)” / “¬x C(x)” Questi quattro tipi di proposizione vengono detti “proposizioni categoriche” (cioè che affermano o negano un predicato per un qualche oggetto x), la prima in alto a sinistra è detta “universale affermativa” (A), quella in basso a sinistra è detta “particolare affermativa” (I), quella in alto a destra “universale negativa” (E), quella in basso a destra “particolare negativa” (O). Le lettere sono di origine medioevale, e provengono dalle prime due vocali della parola latina “AdfIrmo” (= “affermo”) per le affermative, e dalle prime due vocali della parola latina “nego” per le negative. Dobbiamo però svolgere alcune considerazioni aggiuntive. Ad esempio: se nessuno corre, vuol dire che non esiste nessuno che corra, quindi “¬x C(x)”. Pertanto “x ¬C(x)” equivale a “¬x C(x)”. Allo stesso modo se tutti corrono, ciò significa che nessuno non corre, quindi che non esiste nessuno che non corra: “¬x¬C(x)”. Pertanto “x C(x)” equivale a “¬x¬C(x)”. A questo punto possiamo constatare che la universale affermativa (“qualsiasi x corre”, detta “A”) e la particolare negativa (“esiste almeno un x che non corre”, detta “O”), sono contraddittorie l’una con l’altra: vale a dire che la A è una non-O e viceversa. Quindi potremo vedere che la O potrà essere espressa non solo con “x¬C(x)”, ma anche con “¬x C(x)” (“Non per qualsiasi x, x corre”, che è la A con un “non” davanti). Allo stesso modo, l’universale negativa (“Per qualsiasi x, x non corre”, detta “E”) è la negazione della particolare affermativa (quest’ultima “esiste almeno un x tale che x corre”, detta “I”), per cui la E è una non-I e viceversa. Perciò la I si potrà esprimere anche con “¬x ¬ C(x)” (“Non ogni x non corre”, che è la E con il “non” davanti). Possiamo così vedere che la A e la O devono per forza essere una vera e l’altra falsa, e così anche la E la I. Le due universali A e E (contrarie) possono essere entrambe false, mentre le due particolari I ed O (subcontrarie) possono essere entrambe vere. Secondo Aristotele, inoltre, esisteva un rapporto di implicazione tra universali e rispettive particolari: perciò “A I” e “E O”. Nel linguaggio ordinario si accetta tranquillamente questa implicazione, anzi, la si ritiene scontata; nella logica moderna invece la si accetta escludendo un caso, e cioè quello in cui il dominio del discorso è vuoto: infatti se il dominio è vuoto, è vero che “non c’è un x che non corra” o che “tutti gli x corrono” (A). L’accento infatti viene posto sul quantificatore (è vero che sono tutti, perché tutti è uguale a zero; ed è vero che non ce ne è uno che non corra, perché non c’è nessuno). Per lo stesso ragionamento, risulta falso che “esiste un x che corre”, perché in effetti non esiste. Pertanto un implicazione con antecedente vero e conseguente falso è falsa. Si dice che in Aristotele (e nel nostro linguaggio ordinario) il quantificatore universale “ha portata” esistenziale, nella logica moderna no.