I C O N C E R T I 2 0 1 6 - 2 0 1 7 MARCO ANGIUS DIRETTORE ORCHESTRA DEL TEATRO REGIO MERCOLEDÌ 22 FEBBRAIO 2017 – ORE 20.30 TEATRO REGIO Marco Angius (foto Silvia Lelli) Marco Angius direttore Chiara Muti voce Martina Pelusi voce bianca Orchestra del Teatro Regio Azio Corghi (1937) …sotto l’ombra che il bambino solleva per voce recitante/cantante e orchestra dal poema L’anno mille993 di José Saramago (1999) (traduzione di Domenico Corradini Broussard) In occasione dell’80° compleanno di Azio Corghi Gustav Mahler (1860-1911) Sinfonia n. 4 in sol maggiore (1899-1900) I. Bedächtig. Nicht eilen - Recht gemächlich - Frisch - Plötzlich langsam und bedächtig (Molto meno mosso) - Wieder wie zu Anfang. Sehr gemächlich, behaglich - Wild Wieder plötzlich langsam und bedächtig (Molto meno mosso) - Langsam (Riflessivo. Non affrettato - Molto calmo - Vivace - Improvvisamente lento e misurato - Di nuovo come all’inizio. Molto calmo, comodo - Selvaggio Di nuovo improvvisamente lento e riflessivo - Lento) II. Im gemächlicher Bewegung. Ohne Hast - Etwas gemächlicher - Tempo I - Wieder gemächlicher - Sich noch mehr ausbreitend - Gehalten - Tempo I (In un tempo moderato. Senza fretta - Un po’ più calmo - Tempo I - Di nuovo più calmo - Allargando sempre più - Sostenuto - Tempo I) III.Ruhevoll (Poco adagio) - Viel langsamer - Etwas drängend. Leidenschaftlich - Wieder langsam - Anmutig bewegt - Langsam - Leidenschaftlich und etwas drängend Andante - Allegro subito - Andante subito - Pesante - Sehr zart und innig (Tranquillo - Molto più lento - Alquanto stringendo. Appassionato - Di nuovo lento Mosso, con grazia - Lento - Appassionato e sempre stringendo - Andante Allegro subito - Andante subito - Pesante - Molto delicato e intimo) IV. Das himmlische Leben. Sehr behaglich - Plötzlich frisch bewegt - Tempo I Wieder lebhaft - Tempo I. Sehr zart und geheimnisvoll bis zum Schluss (La vita celeste. Molto comodo - Improvvisamente animato e vivace - Tempo I Di nuovo vivace - Tempo I. Molto delicato e misterioso sino alla fine) In memoria di Henry-Louis de LaGrange (1924-2017) Musicologo francese, ha dedicato l’esistenza allo studio della vita e dell’opera di Gustav Mahler PROGETTO MAHLER Restate in contatto con il Teatro Regio: Azio Corghi … sotto l’ombra che il bambino solleva L’arte, l’amicizia, la generosità di Azio Corghi hanno apportato al disegno della mia esistenza una ricchezza cui, da solo, io non sarei mai giunto. Grazie ad Azio Corghi, l’ordito di parole che ho creato è divenuto musica, è divenuto canto. È stato un felice incontro il nostro. Credo che valga la pena di guardare l’arazzo che siamo, lui ed io. Così, nel 1995, José Saramago rievocava il suo incontro artistico e umano con il musicista italiano. La loro collaborazione era iniziata alla fine degli anni Ottanta, quando Corghi aveva deciso di comporre un’opera ispirata al romanzo Memorial do convento: Blimunda, andata in scena al Teatro Lirico di Milano il 20 maggio 1990 (e due anni più tardi anche al Regio). Da quel momento, la ricerca artistica di Corghi è stata scandita da un costante confronto con lo scrittore portoghese che ha dato luogo a una serie di capolavori: le opere teatrali Divara (1993), dal dramma In nomine Dei, e Il dissoluto assolto (2005), provocatoria riscrittura del Don Giovanni mozartiano; le cantate La morte di Lazzaro (1995), per voce recitante, coro misto, coro di voci bianche, ottoni e percussioni, e Cruci-verba (2001), per voce recitante e orchestra, ispirate entrambe al romanzo O Evangelho segundo Jesus Cristo; il brano sinfonico-corale De paz e de guerra (2003), composto su una lirica tratta da Os poemas possíveis (Le poesie possibili); infine il poema per voce recitante/cantante e orchestra …sotto l’ombra che un bambino solleva (1999). Alla base di questo straordinario dialogo è stata la condivisione di uno stesso orizzonte etico e intellettuale e di un medesimo sguardo sul mondo: comune ai due artisti è la visione tragica della Storia, la riflessione sui grandi temi dell’esistenza umana e sulle loro implicazioni filosofiche e metafisiche, l’impegno morale e civile, sostenuto da un umanesimo radicale e visionario, disincantato e provocatorio. In ciascuna delle opere citate, tali posizioni sono declinate in modi di volta in volta diversi sulla scorta dei testi di Saramago, reimpaginati in funzione della traduzione musicale; …sotto l’ombra che un bambino solleva, composta su commissione di Rai Radio3 e dell’Orchestra Regionale della Toscana, deriva da O ano de mille993 (L’anno mille993), un insieme di poemi legati da un preciso filo narrativo: «Ho cercato di esprimere in questi poemi – scriveva Saramago nella Prefazione alla raccolta, pubblicata nel 1975 – l’angoscia, la paura e anche la speranza di un popolo oppresso che a poco a poco vince la rassegnazione e organizza la resistenza fino alla battaglia decisiva e alla ripresa della vita, pagata al prezzo di migliaia di morti». In L’anno mille993 lo scrittore non rinunzia comunque al piacere dell’affabulazione ma lo traduce in un itinerario lirico, reso con immagini vivide ed accese: il «popolo di un paese mai nominato, immagine di quanti hanno subito e subiscono la tirannide», rivive le sempre uguali vicende della sopraffazione e del terrore in una società del presente, segnata da nuove e sofisticate forme di controllo delle coscienze. Ma «un’aerea e delicata musica per clavicembalo», che «vola sopra i campi devastati», e una «canzone», che gli oppressi riescono a salvare nella memoria, preservano la speranza e restituiscono la forza di lottare per la felicità: con il «canto» di «un’estatica melodia», che raccoglie «il lungo e singhiozzato sospiro della vita», e con «lo sguardo» che «un uomo e una donna» si scambiano «sul sentiero stretto», illuminato dall’arcobaleno. Corghi apre e chiude la sua composizione con una Introduzione e una Conclusione riprese da questa Prefazione e le affida alla voce dello scrittore, che in occasione della prima esecuzione, al Teatro Goldoni di Firenze l’8 giugno 1999, lesse dal vivo i propri versi. Il musicista riprende fedelmente, ma con diversi tagli, il testo dei vari poemi letterari e rispetta la successione degli eventi immaginata da Saramago con la sola eccezione di due «immagini poetiche», che sono estrapolate dalla loro collocazione originaria (rispettivamente nel primo e nell’ultimo poema) e vengono associate a corrispondenti figure musicali. Sono immagini insieme collegate e contrapposte, perché alla violenza disperante dell’una – «Un’ombra stretta e lunga tocca il dito che raschia nella polvere e comincia a divorarlo» – fa da contraltare nell’altra il gesto di un bambino, che «con innocenza» solleva quell’ombra, minacciosa e distruttiva, e disvela il nulla che essa nasconde, smascherando il volto stesso, banale e sterile, del male. Le figure musicali correlate alle due immagini sono molto diverse: la prima è affidata allo Sprechgesang e ha risonanze espressioniste, l’altra è consegnata al canto di una melodia di ispirazione popolare, sostenuta dal timpano piccolo su un ritmo di danza. Esse ricorrono nel corso dell’opera intrecciandosi con altre cinque figure, sulla base di una parabola poetico-musicale che assume valenza simbolica: l’effigie dell’ombra vorace ritorna incombente nella prima parte, mentre il ritratto infantile compare in quella centrale e si impone nell’ultima, isolando e infine cancellando la cupa immagine iniziale e facendosi metafora della finale liberazione. Non è dunque un caso che la figura musicale associata all’immagine luminosa che dà il titolo al poema sia sottratta alle violente tensioni che attraversano la partitura, e che sono prodotte dall’applicazione di azioni antitetiche: le linee melodiche, sovrapposte polifonicamente, procedono in direzioni divergenti (ascendentediscendente) e analogo trattamento ricevono le dinamiche, il ritmo e il metro, sottoposti a interventi rispettivamente di intensificazione e riduzione sonora, di aumentazione e diminuzione ritmica, di accelerazione e decelerazione temporale. Anche la tessitura della trama orchestrale è investita di spinte tensive, per l’alternarsi di processi di condensazione e rarefazione, e non meno irrequieto è il decorso della voce che – amplificata ed elettronicamente trattata – si dispiega dal parlato al glissando ondulato, dallo Sprechgesang al canto non impostato. E tuttavia la drammaticità generata dai contrasti della scrittura è disciplinata da una rigorosa costruzione formale, retaggio della formazione strutturalista del compositore: non solo le sette figure musicali si succedono sulla base di calcolate disposizioni simmetriche, ma l’ultima parte si contrappone specularmente alla prima per l’adozione di procedimenti retrogradi e a specchio, sì da restituire musicalmente il tragitto simbolico immaginato da Saramago. La figura collegata al verso «sotto l’ombra che il bambino solleva» non è la sola “area” musicale che appare affrancata dalle contrapposizioni del materiale sonoro. L’accenno di Saramago alla musica clavicembalistica di Bach induce Corghi alla citazione integrale dell’Invenzione a 3 voci in fa minore del compositore barocco, che affiora per frammenti in diversi momenti del percorso compositivo; il richiamo bachiano condensa la funzione utopistica che Saramago assegna alla musica sin dal Memorial do convento, dove è associata alla nobile figura di Domenico Scarlatti, e alla fine dell’opera trascolora nell’evocazione degli esercizi scarlattiani eseguiti al clavicembalo dalla principessa Maria Barbara a inizio e a chiusura di Blimunda. È questo un altro aspetto della stratificata strategia compositiva di Corghi: la rete di relazioni interne che egli sempre intesse tra le proprie opere, con il riproporsi di materiali musicali che assumono la valenza di immagini archetipiche. Come le note dell’incipit del monteverdiano Lamento di Arianna (e della sua parafrasi sacra, il Lamento della Madonna), già impiegate nella “cantata drammatica” Fero dolore (1993) e qui nascostamente evocate dai timpani; o come la costellazione degli armonici del re bemolle su cui si dispiegava il finale di Divara e che in …sotto l’ombra che il bambino solleva riverbera l’apparire dell’arcobaleno sulla terra affrancata dalla tirannide. Graziella Seminara Graziella Seminara insegna Drammaturgia musicale presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania. All’interesse per il teatro musicale ha affiancato quello per la musica del XX secolo e ha scritto monografie su Jean-Philippe Rameau (L’Epos 2001), su Alban Berg (L’Epos 2012), sul teatro musicale di Azio Corghi e José Saramago (Lo sguardo obliquo, Ricordi-Lim 2015). Azio Corghi Nato nel 1937 a Cirié, in provincia di Torino, fino al 1950 ripartisce i suoi studi tra la pittura e la musica. Nel 1956 si iscrive al Conservatorio di Torino, dove frequenta le classi di Pianoforte sotto la guida di Mario Zanfi e di Storia della musica con Massimo Mila. Si trasferisce nel 1962 a Milano per frequentare al Conservatorio i corsi di Composizione, Musica corale, Direzione di coro e d’orchestra, Composizione polifonica vocale, rispettivamente sotto la guida di Bruno Bettinelli, Amerigo Bortone, Antonino Votto e Guido Farina. Nel 1967 vince il concorso Ricordi-Rai con Intavolature, che viene eseguito alla Fenice di Venezia. Insegna prima al Conservatorio di Torino e poi al Conservatorio di Milano. Nel 1973 la Fondazione Rossini di Pesaro e Casa Ricordi gli affidano la realizzazione dell’edizione critica dell’Italiana in Algeri di Rossini. Il 2 maggio 1984 il Teatro Regio tiene a battesimo la sua prima opera lirica, Gargantua, su libretto di Augusto Frassinetti da François Rabelais. Per la Stagione 1989-1990 della Scala va in scena Blimunda, opera su libretto del compositore stesso e di José Saramago. Una giuria presieduta da Goffredo Petrassi gli assegna il Premio “Omaggio a Massimo Mila” per la sua attività didattica. In occasione del bicentenario rossiniano compone Suite dodo, da Péchés de vieillesse di Rossini; viene intanto eseguito a Pesaro – e trasmesso in diretta in mondovisione – il balletto Un petit train de plaisir. Il 31 ottobre 1993 a Münster va in scena Divara (“Wasser und Blut”), dramma musicale su libretto proprio e di Saramago. È nominato accademico di Santa Cecilia, coordinatore dei corsi e docente di Composizione all’Accademia Petrassi. Su invito del II Concorso foto Roberto Masotti © Casa Ricordi, Milano Pianistico Internazionale “Umberto Micheli” compone lo studio da concerto “...ça ira!”. Nel quadro delle celebrazioni per il centenario donizettiano gli viene commissionata la trascrizione delle ariette da Nuits d’été à Pausilippe. Su commissione del Teatro alla Scala, scrive Tat’jana, dramma lirico da Čechov. Intraprende nel 2000 la composizione di Amori incrociati, dal Decameron di Boccaccio nella versione di Aldo Busi, commissione dell’Orchestra della Rai. Nel 2001 scrive per gli Städtische Bühnen Münster Cruci-Verba, lettura e commento dal Vangelo secondo Gesù di Saramago sopra la Via Crucis di Liszt. In occasione del centenario belliniano scrive ...malinconia, ninfa gentile per il Teatro Bellini di Catania. L’Accademia di Santa Cecilia presieduta da Luciano Berio gli commissiona De paz e de guerra, su testo di Saramago. L’8 luglio 2004 va in scena al Teatro dei Rozzi di Siena, su commissione dell’Accademia Chigiana, ¿Pia?, dialogo drammatico-musicale liberamente tratto dal Dialogo nella palude di Marguerite Yourcenar. Nel 2005 scrive Il dissoluto assolto, teatro musicale in un atto su libretto proprio e di Saramago, coproduzione del Teatro São Carlos di Lisbona e del Teatro alla Scala di Milano. In occasione del 25° anniversario della fondazione della Filarmonica della Scala, l’orchestra gli commissiona Poema sinfonico, brano la cui prima assoluta, diretta da Riccardo Chailly, è avvenuta il 29 gennaio 2007. L’Ensemble Punto It, per i 500 anni dalla nascita del Palladio, gli commissiona nel 2008 Giocasta: l’opera, su libretto di Maddalena Mazzocut-Mis, è una rilettura in chiave moderna dell’Edipo tiranno di Sofocle, tragedia che, con le musiche di Andrea Gabrieli, fu rappresentata nel 1585 all’inaugurazione del Teatro Olimpico, dove l’opera viene rappresentata il 19 giugno 2009. Per il bicentenario verdiano il Teatro Regio di Parma gli commissiona Madreterra, «dialogo sacro» fra Verdi e Pasolini, eseguito in prima assoluta il 9 ottobre 2013 nell’ambito del Festival Verdi. Per l’inaugurazione della 71a Settimana Musicale Senese (10 luglio 2014) scrive Blanquette per voce recitante e orchestra da camera, tratto da La chèvre de Monsieur Seguin di Alphonse Daudet. In occasione delle manifestazioni per il quarantennale della morte di Pier Paolo Pasolini, il Teatro Verdi di Pordenone gli commissiona Tra la carne e il cielo da testi di Pasolini (prima assoluta il 2 novembre 2015). Ha appena terminato di scrivere Arie virtuose per fagotto e orchestra, «rilettura in chiave di attualità» di frammenti musicali di opere liriche di Antonio Vivaldi, commissionatogli dal Teatro Petruzzelli di Bari, dove sarà presentato il 20 maggio 2017. Gustav Mahler Sinfonia n. 4 La Quarta è la sinfonia di Mahler che piace anche ai non mahleriani, attratti dalle dimensioni ridotte rispetto alle due che l’attorniano, da una semplicità più che altro presunta e da quello che a tanti è apparso come un richiamo al classicismo viennese, Haydn e Schubert in particolare. C’è qualche cosa di vero, naturalmente, ma in fondo è un’illusione: ci sono tali nessi tematici e ideali fra le nove sinfonie di Mahler, e fra queste e i cicli liederistici, da far pensare alla sua musica come al fluire di una smisurata teoria narrativa, ad un unico percorso che intende rivelare vita e mondo nel succedersi di momenti mai chiusi in stessi. Tracce evidenti di legami come questi sono, per la Quarta, la fanfara alle trombe che chiude il primo movimento e con cui si anticipa l’iniziale Marcia funebre della Quinta, il canto dell’oboe nel movimento lento, già presago nel tono dei prossimi Kindertotenlieder; per non ricordare, nel Lied finale, gli echi bambineschi dal quinto movimento della Terza, l’impertinente e terribile «Tre angeli cantavano». Iniziata nel 1899 e portata a conclusione nella quiete della sua residenza estiva l’anno dopo, la Quarta nasce in una fase di relativa tranquillità, mentre Mahler, con la nomina a direttore dell’Opera di Vienna e quindi a capo dell’Orchestra Filarmonica, si avvia a dominare la vita musicale della più musicale fra le capitali europee. Risale a cinque anni prima il progetto di una Humoreske sinfonica formata alternativamente da tre brani strumentali e tre Lieder; a un primo movimento intitolato, con piglio filosofico, tra Schopenhauer e Nietzsche, Il mondo come eterno presente, doveva seguire il raggelante Das hirdische Leben (La vita terrena), il Lied in cui un bimbo muore di fame fra le braccia della madre, poi confluito nella raccolta Des Knaben Wunderhorn. Alla fine, a compensare quella tragica mancanza di cibo, l’Humoreske si sarebbe chiusa nella “grande bouffe” dell’ultimo canto, Das himmlische Leben (La vita celeste, questa volta), l’unico brano che, una volta venuto meno il disegno iniziale, confluì nella sinfonia. Delle tante trasformazioni subite dal progetto si stupiva lo stesso Mahler: Per la verità volevo scrivere una Humoreske sinfonica ed ecco che n’è uscita una sinfonia di dimensioni normali, mentre quando mi proponevo di scrivere delle sinfonie normali mi venivano fuori opere che duravano il doppio e il triplo della regola. E in un’altra occasione aggiungeva: Nei primi tre movimenti si respira la serenità di un mondo più alto, a noi estraneo, una serenità che ha per noi qualcosa di spaventoso e terribile. Nell’ultimo movimento, Das himmlische Leben, il bambino, che fa già parte di questo mondo superiore, pur essendo ancora allo stato di crisalide, spiega il significato di tutto. Emil Orlík (1870 - 1932), Ritratto di Gustav Mahler. Vernice molle e puntasecca su pergamena, 1902. Meravigliosamente oscura, questa frase sembra suggerire come segreto protagonista una immagine infantile, di cui sorprende la vicinanza alla visione dell’infanzia che apparterrà molti anni dopo a Paul Klee. Nella versione compiuta della sinfonia, il tema del cibo perde i suoi elementi più realistici e tragici. Il bambino, che allo stato di crisalide è già appartenuto a questo mondo superiore, guarda con occhi non assuefatti e ancora capaci di libertà e stupore quel mondo tra la terra e il cielo che nella sinfonia si anima delle sue fantasie: il gioco, la danza, gli strumenti giocattolo, la fame pantagruelicamente soddisfatta. In pieno clima Humoreske è il tintinnare dei sonagli con cui si apre il primo movimento, simile all’incedere svelto di una slitta che fa il suo ingresso in un mondo fiabesco, da non prendere troppo sul serio. E così infatti ammonisce Adorno: «è un campanello birbone, che, quasi senza dirlo, vuol dire: “Non c’è niente di vero in ciò che state ascoltando”». In questo nitido riquadro, così poco riguardoso, nella sua ironia, della dignità sinfonica, entra ai violini il tema principale, formulato in una sorta di ricreazione dello stile galante. Per quanto la freschezza dell’invenzione porti a un fiorire continuo di motivi, il movimento è in regolare forma sonata, con l’ampia arcata cantabile di un soggetto secondario ai violoncelli e una terza idea a oboe e fagotto che fa pensare a un rudimentale passatempo fra musicanti. Una straussiana figura ai violoncelli dagli estesi intervalli precede lo sviluppo, avviato dal tema coi sonagli e cifrato ben presto da un motivo in la maggiore ai quattro (sic!) flauti all’unisono, che sventola come un vessillo sul pennone più alto. Accolta fra le immagini infantili che popolano la Quarta, questa sonorità da favola ne diventa la sigla. Capriccioso e bizzarro, il secondo movimento ci conduce fra le robuste cadenze di un ballo di campagna; il suono sghembo di un violino un tono sopra, «stridulo e crudo, come se fosse la morte a suonarlo», con piatti e grancassa a ricreare atmosfere da folclore est-europeo, aggiunge al gioco e alle danze un sapore di grottesco. Così, di tanto in tanto, può davvero accadere che vi occhieggi la morte di cui parla Mahler. Ma non c’è d’allarmarsi, né da credere che il bambino le faccia caso: se ne sta lì immobile, affascinato da un luccicante carillon che a ogni giro genera un suono acutissimo e incantato. Nella forma, è uno Scherzo-Rondò in minore, col motivo sgraziato del violino in qualità di tema principale e un Trio ai legni in forma di Ländler. La scrittura cameristica trae da un’orchestra limitata un’estrema varietà di colori; toni rustici trapassano nelle sonorità più delicate degli archi, oscurità di corni e fagotti nelle acidule asprezze – una firma mahleriana – dei clarinetti. Unico nelle sinfonie di Mahler, e modellato non meno che sul tempo lento della Nona di Beethoven, il Tranquillo è nella forma del tema con variazioni; costruito, appunto, non su uno ma su due soggetti tematici, già ampiamente variati nel corso della loro esposizione. Il suo respiro si distende per cinque sezioni e prende avvio da un lungo motivo cantabile dei violoncelli, su misteriosi, solenni rintocchi dei contrabbassi, che riascolteremo nel paradiso goethiano dell’Ottava Sinfonia. Il tono affettuoso presta una voce ancora più intensa al secondo tema, più dolente, all’oboe; «lamentoso» scrive Mahler, carico di presagi, come di un mondo destinato a scomparire. Si procede più per mutazioni che per variazioni in senso beethoveniano, in una intensificazione di contenuti che nell’ultima sezione sembra capovolgere il clima, guidandoci al paradossale punto d’arrivo di una festosa allegria. La felicità celeste si avvicina: preceduto da lunghi accordi pianissimo, ecco irrompere un radioso accordo di mi maggiore con trombe e corni sollevate ad annunciare il tema dell’ultimo movimento. Ma tanto sfolgora di luce questo paradiso allo spalancarsi delle sue porte, quanto terreni si sveleranno ben presto i piaceri e le gioie che contiene. Il Lied che dà forma all’ultimo movimento è il cuore della Quarta, la pagina che la ispira, già composta quasi dieci anni prima ma non inclusa nella raccolta dei Wunderhorn-Lieder. Entriamo, e ci accoglie un’atmosfera di francescana letizia, con qualche nota di sana allegria. Ma nel momento in cui tornano i sonagli, ecco che il paradiso si rivela per quello che veramente è, un paese di cuccagna, così poco francescano, dove si beve e ci si abboffa d’ogni sorta di bendiddio, i santi macellano senza farsi scrupoli e Santa Marta, la cuoca, dà la propria benedizione; su un ritardando armonizzato in modo arcaico con cui conclude ogni strofa, la terza e la quarta tenute assieme. La parabola infantile sembra così chiudersi con la ripresa della musica tintinnante del primo movimento, e qui chiamata a un ruolo d’intercalare fra gli interventi del soprano, «infantili e sereni, sempre senza parodia», come richiede la partitura. Ma l’ultima strofa, nel ritrovare la dolcezza di un canto che si lascia alle spalle quell’improbabile paradiso, invita a socchiudere gli occhi sugli accenti materni di una ninna-nanna. Ernesto Napolitano Ernesto Napolitano ha insegnato Storia della musica moderna e Storia della musica contemporanea al Dams dell’Università di Torino (dopo aver insegnato, nello stesso Ateneo, Istituzioni di Fisica teorica alla Facoltà di Scienze). È stato per dieci anni critico musicale per le pagine torinesi della «Repubblica». Ha pubblicato saggi su compositori del secondo dopoguerra (Cage, Xenakis, Ligeti, Stockhausen, Maderna) e curato una nuova edizione del Mahler di Adorno (Einaudi 2006), per il quale ha scritto anche un saggio introduttivo. È autore di due libri su Mozart: Una favola per la ragione. Miti e storia nel «Flauto magico» (insieme a Renato Musto, Feltrinelli 1982, Bibliopolis 2006) e Mozart. Verso il «Requiem». Frammenti di felicità e di morte (Einaudi 2004; trad. fr. Delatour 2013). Nel 2015, presso Edt, ha visto la luce il suo Debussy, la bellezza e il Novecento. «La Mer» e le «Images». Mahler a Torino: la Quarta Sinfonia Tenendo da parte il caso particolare dell’ancora austroungarica Trieste, dove Gustav Mahler diresse la Quinta e la Prima nel 1905 e 1907, furono senza dubbio Roma e Torino le città più attive nella primissima fase della lenta diffusione italiana dei suoi lavori sinfonici. Infatti, a cura della Regia Accademia di Santa Cecilia, la Prima e la Quarta furono presentate nella Capitale all’Augusteo, rispettivamente il 31 marzo 1912 da Bruno Walter e il 19 aprile 1914 da Willem Mengelberg, vale a dire le maggiori bacchette mahleriane del tempo. Quindi, per quasi vent’anni, nessuna delle altre sinfonie di Mahler fu eseguita integralmente nelle nostre sale, fino alla Settima che Rito Selvaggi propose il 28 aprile 1933 nella stagione pubblica dell’Eiar al Teatro di Torino: una scelta senz’altro coraggiosa alla luce della complessità del lavoro, della quale va reso merito all’oggi dimenticato musicista pugliese. La più agevole Quarta i torinesi poterono ascoltarla solo a partire dal 1° febbraio 1946, al Conservatorio, diretta da Mario Rossi e con la voce del soprano veneziano Ginevra Vivante, raffinata specialista monteverdiana cresciuta alla scuola di Giacomo Benvenuti. Per dare un’idea di quanto fosse difficile per la musica di Mahler arrivare al pubblico italiano, è significativo sapere che, tra l’esecuzione romana e quella torinese di questa sinfonia, se ne tenne solo un’altra, ad opera di Arthur Nikisch, alla Scala nel 1914. Con Mengelberg, solista per Das himmlische Leben era stata Alessandra Kropivnitsky: un soprano, secondo la previsione della partitura, inequivocabile e rispettata nella prassi esecutiva. Sul punto, peraltro, una questione esiste: per quanto senza un supporto documentale forte, è stato sostenuto che Mahler avesse vagheggiato l’utilizzo di una voce bianca per il movimento finale della sinfonia, optando poi per una strada meno insolita, anche per evidenti ragioni pratiche; un’idea sicuramente suggestiva, oltre che coerente con la sostanza poetica del testo tratto dal Corno magico del fanciullo e con l’ispirazione dell’intera composizione. Né si possono trascurare le parole collocate là dove il canto inizia – «Singstimme mit kindlich heiterem Ausdruck» – ossia l’indicazione della necessità di un tono fanciullesco e gaio nell’espressione vocale: una preoccupazione autorale più imperiosa di una semplice esortazione, nella quale, se si vuole, si può anche cogliere la sopravvivenza ansiosa del desiderio di una soluzione vocale utopica. Che non mancò di tentare qualche interprete. Il primo a ricorrere a una voce bianca fu, nel 1983, il direttore inglese Benjamin Zander, con l’undicenne James ( Jamie) Westman, a Boston e poi in una tournée europea che toccò anche Vienna. Lo stesso fece, ancora a Vienna l’anno successivo, Leonard Bernstein, con i Wiener Philarmoniker e Allan Bergius del Tölzer Knabenchor. E fu proprio Bernstein a proporre in Italia questa singolare versione della Quarta, il 23 e 24 giugno 1984 al Teatro alla Scala di Milano, alla guida della Filarmonica della Scala (solisti Tobias Eiwanger e poi Bergius). L’esperimento, visto a posteriori, risulta circoscritto a quegli anni, come testimoniato anche dalle uniche incisioni discografiche ufficiali: una di Bernstein del 1987 con l’Orchestra del Concertgebouw di Amsterdam e un terzo giovanissimo membro del Tölzer Knabenchor, Helmut Wittek; l’altra, del 1988, diretta da Anton Nanut con l’Orchestra di Ljubljana e la voce di Max Emanuel Cenčić, oggi apprezzato controtenore. Chi sia interessato ad approfondire l’argomento, troverà un frammento dell’esecuzione di Zander con Westman e la New England Conservatory Youth Philarmonic di Boston unito (a scopo “didattico”) alla Quarta realizzata in studio (con un soprano) dallo stesso Zander, mentre su YouTube è agevolmente rintracciabile l’emozionante live del concerto scaligero di Bernstein con lo straordinario Allan Bergius. La numerosa serie delle esecuzioni torinesi fino a oggi non ha deviato dalla regola, fatto salvo il caso dell’ultima delle memorabili interpretazioni mahleriane locali di Claudio Abbado, quando la scelta cadde sulla voce mediosopranile (ma chiara e leggera) di Monica Bacelli. Questa sera la proposta della voce bianca non è semplicemente una seconda eccezione, ma anche, dopo la recente programmazione di Blumine, un’ulteriore opportunità offerta dal Progetto Mahler del Teatro Regio di un ascolto rarissimo ma con radici illustri nella storia esecutiva del compositore austriaco. Giorgio Rampone Cronologia delle esecuzioni a Torino 1946 1 febbraio Conservatorio «G. Verdi» Mario Rossi; Ginevra Vivante, soprano; Orchestra Sinfonica di Torino della Radiotelevisione Italiana [Stagione Sinfonica Rai] 1960 8 gennaio Auditorium Rai Frieder Weissmann; Margherita Kalmus, soprano; Orchestra Sinfonica di Torino della Radiotelevisione Italiana [Stagione Sinfonica Rai] 1961 7 dicembre Auditorium Rai Massimo Pradella; Margherita Kalmus, soprano; Orchestra Sinfonica di Torino della Radiotelevisione Italiana [Stagione Sinfonica Rai] 1966 4 febbraio Auditorium Rai Theodore Bloomfield; Gundula Janowitz, soprano; Orchestra Sinfonica di Torino della Radiotelevisione Italiana [Stagione Sinfonica Rai] 1966 9 novembre Conservatorio «G. Verdi» Kurt Sanderling; Nelly Ailakowa, soprano; Dresdner Staatskapelle [Unione Musicale] 1978 17 febbraio Auditorium Rai Lukas Foss; Anastasia Tomaszewska, soprano; Orchestra Sinfonica di Torino della Radiotelevisione Italiana [Stagione Sinfonica Rai] 1981 30 gennaio Auditorium Rai Michel Tabachnik; Rosmary Landry, soprano; Orchestra Sinfonica di Torino della Radiotelevisione Italiana [Stagione Sinfonica Rai] 1983 10 e 11 febbraio Auditorium Rai Wolfgang Scheidt; Ursula Reinhardt-Kiss, soprano; Orchestra Sinfonica di Torino della Radiotelevisione Italiana [Stagione Sinfonica Rai] 1984 29 giugno Teatro Regio Milan Horvat; Ursula Reinhardt-Kiss, soprano; Orchestra del Teatro Regio [I Concerti del Teatro Regio] 1984 Auditorium Rai 20 e 21 dicembre Rudolf Barshai; Barbara Martig-Tüller, soprano; Orchestra Sinfonica di Torino della Radiotelevisione Italiana [Stagione Sinfonica Rai] 1990 11 e 12 ottobre Auditorium Rai Guido Maria Guida; Audrey Michael, soprano; Orchestra Sinfonica di Torino della Rai [Stagione Sinfonica Rai] 1994 23 giugno Auditorium Rai Dennis Russell Davies; Gemma Bertagnolli, soprano; Orchestra Sinfonica di Torino della Rai [Stagione Sinfonica Rai] 1998 3 settembre Auditorium «G. Agnelli» Roger Norrington; Lynne Dawson, soprano; Philarmonia Orchestra [Settembre Musica] 2000 7 e 8 dicembre Auditorium «G. Agnelli» Eliahu Inbal; Maria Orán, soprano; Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai [Stagione Sinfonica Rai] 2003 6 e 7 febbraio Auditorium «G. Agnelli» Jeffrey Tate; Elizabeth Norberg-Schulz, soprano; Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai [Stagione Sinfonica Rai] 2004 28 gennaio Auditorium «G. Agnelli» Daniel Harding; Dorothea Röschmann, soprano; Mahler Chamber Orchestra [Progetto “Sintonie”] 2006 29 aprile Auditorium «G. Agnelli» Claudio Abbado; Monica Bacelli, mezzosoprano; Gustav Mahler Jugendorchester [I Concerti del Lingotto] 2006 25, 26 e 27 ottobre Auditorium Rai Lothar Zagrosek; Christiane Oelze, soprano; Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai [Stagione Sinfonica Rai e Giornate delle Nazioni Unite (25/10)] 2007 29 gennaio Teatro Regio Gianandrea Noseda; Svetla Vassileva, soprano; Filarmonica ’900 del Teatro Regio [I Concerti del Teatro Regio] 2007 15 ottobre Auditorium «G. Agnelli» Philippe Herreweghe; Carolyn Sampson, soprano; Orchestre des Champs-Elysées [Unione Musicale] 2011 24 e 25 marzo Auditorium Rai «A. Toscanini» Christian Arming; Bernarda Bobro, soprano; Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai [Stagione Sinfonica Rai] 2017 22 febbraio Teatro Regio Marco Angius; Martina Pelusi, voce bianca; Orchestra del Teatro Regio [I Concerti del Teatro Regio] Cronologia a cura di Giorgio Rampone Un particolare ringraziamento per la cortese collaborazione prestata a Laura Brucalassi (Unione Musicale), Gabriele Montanaro (Orchestra Filarmonica di Torino), Luca Mortarotti (Lingotto Musica), Paolo Robotti (Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai) e Alberto Scioldo. Sinfonia n. 4 Das himmlische Leben La vita celeste Wir genießen die himmlischen Freuden, drum tun wir das Irdische meiden. Kein weltlich Getümmel hört man nicht im Himmel! Lebt alles in sanftester Ruh’! Godiamo le gioie celesti, fuggiamo tutto ciò che è terrestre. Il fragore caratteristico del mondo non si ode qui in cielo! Tutto vive nella dolce pace! Wir führen ein englisches Leben! Sind dennoch ganz lustig daneben! Wir tanzen und springen, wir hüpfen und singen! Sankt Peter im Himmel sieht zu! Viviamo una vita di angeli! E pur tuttavia siamo felici! Danziamo e saltiamo, balziamo e cantiamo! San Pietro nel cielo ci guarda! Johannes das Lämmlein auslasset, der Metzger Herodes drauf passet! Wir führen ein geduldig’s, unschuldig’s, geduldig’s, ein liebliches Lämmlein zum Tod! Giovanni lascia libero l’agnello, Erode il macellaio ci fa caso! Che portiamo un paziente, un innocente, un paziente, un amabile agnellino alla morte! Sankt Lukas den Ochsen tut schlachten ohn’ einig’s Bedenken und Achten, der Wein kost’ kein Heller im himmlischen Keller, die Engel, die backen das Brot. San Luca uccide il bue al macello senza farci caso, senza scrupoli, il vino non costa un quattrino nelle cantine celesti, e gli angeli cuociono il pane. Gut’ Kräuter von allerhand Arten, die wachsen im himmlischen Garten! Gut’ Spargel, Fisolen, und was wir nur wollen! Ganze Schüssel voll sind uns bereit. Buone erbe di ogni specie, crescono nel giardino celeste! Buoni asparagi, fagioli tutto ciò che vogliamo! Tutti i vassoi sono pieni e pronti! Gut Äpfel, gut’ Birn’ und gut’ Trauben! die Gärtner, die alles erlauben! Willst Rehbock, willst Hasen? Auf offener Strassen zur Küche sie laufen herbei! Buone mele, buone pere, uva buona! I giardinieri permettono tutto! I caprioli, le lepri, li vuoi? Vengono dalla strada di corsa! Sollt’ ein Fasttag etwa kommen, alle Fische gleich mit Freuden angeschwommen! Dort läuft schon Sankt Peter mit Netz und mit Köder zum himmlischen Weiher hinein. Sankt Martha die Köchin muss sein! Dovesse poi venire un giorno di magro, tutti i pesci verrebbero con gioia a galla! Kein’ Musik ist ja nicht auf Erden, die uns’rer verglichen kann werden. Elftausend Jungfrauen zu tanzen sich trauen! Sankt Ursula selbst dazu lacht! Nessuna musica c’è sulla terra, che possa paragonarsi alla nostra. Undicimila vergini hanno il coraggio di danzare! Sant’Orsola stessa ne ride! Cäcilia mit ihren Verwandten, sind treffliche Hofmusikanten. Die englischen Stimmen ermuntern die Sinnen! Dass alles für Freuden erwacht. Cecilia e i suoi parenti sono ottimi musicanti! Le voci celesti esortano i sensi! A risvegliarsi alla gioia. (da Des Knaben Wunderhorn) Già San Pietro pesca con la rete e con l’esca dentro lo stagno celeste. Santa Marta dev’esser la cuoca! Traduzione di Ugo Duse Marco Angius ha diretto Ensemble Intercontemporain, London Sinfonietta, Tokyo Philharmonic, Orchestra Nazionale della Rai di Torino, Orchestra del Teatro La Fenice, Maggio Musicale Fiorentino, Teatro Comunale di Bologna, Orchestra Haydn di Trento e Bolzano, Orchestra Verdi, Orchestra della Svizzera Italiana, Orchestre de Lausanne, Orchestre de Nancy, Orchestra della Toscana, I Pomeriggi Musicali, Luxembourg Philharmonie, Muziekgebouw/Bimhuis di Amsterdam. Ha ottenuto il Premio Amadeus per Mixtim di Ivan Fedele (2007), compositore del quale ha inciso tutta l’opera per violino e orchestra con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai; vanta inoltre una ricca discografia con titoli come Luci mie traditrici (Euroarts/Stradivarius), Cantare con silenzio e Stagioni artificiali di Salvatore Sciarrino, Die Kunst der Fuge di Bach, L’imbalsamatore di Giorgio Battistelli, Pierrot lunaire di Schönberg, Risonanze erranti di Luigi Nono. Con l’Ensemble Intercontemporain ha inciso musiche di Ondřej Adámek per l’etichetta Wergo. Nel teatro musicale si ricordano le sue esecuzioni di Aspern di Sciarrino, Jakob Lenz di Wolfgang Rihm, Don Perlimplin di Bruno Maderna, La volpe astuta di Janácek, L’Italia del destino di Luca Mosca, Il suono giallo di Alessandro Solbiati, Alfred Alfred di Franco Donatoni. Nel novembre 2016 ha inaugurato la stagione operistica del Teatro La Fenice con la prima mondiale di Aquagranda di Filippo Perocco, con la regia di Damiano Michieletto. Già direttore principale dell’Ensemble Bernasconi dell’Accademia Teatro alla Scala, dal settembre 2015 è stato nominato Direttore musicale e artistico dell’Orchestra di Padova e del Veneto. Tra i suoi libri: Come avvicinare il silenzio (Rai Eri 2007), Del suono estremo (Aracne 2014). Prossimamente impegnato nel Prometeo di Luigi Nono a Parma, ha debuttato in queste settimane sul podio dell’Orchestra del Regio con l’opera Káťa Kabanová di Leoš Janáček. Attrice, cantante e regista, Chiara Muti ha studiato alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi e si è perfezionata alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano fondata e diretta da Giorgio Strehler. Debutta in teatro nel 1995 nel ruolo di Euridice nell’Orfeo di Claudio Monteverdi per la regia di Micha van Hoecke; con il coreografo e regista belga instaura un legame artistico che la vedrà interprete e co-autrice di tre nuove creazioni presentate al Festival di Ravenna: Pèlerinage del 1997; Salomè del 2008, su testi di Oscar Wilde e Le Baccanti del 2009, su testi di Euripide. Fruttuosa la sua collaborazione con il compositore Azio Corghi per il quale è interprete principale in quattro nuove composizioni: Pia (2005), su testi di Marguerite Yourcenar con la regia di Valter Malosti per il Teatro dell’Opera di Roma; Il dissoluto assolto (2006), su testi di José Saramago con la regia di Andrea De Rosa per il Teatro Nacional de São Carlos di Lisbona, Giocasta (2009), su testi di Maddalena Mazzocut-Mis con la regia di Riccardo Canessa per il Teatro Olimpico di Vicenza; infine Blanquette, concerto di apertura della 71a edizione della Settimana Musicale Senese (2014). È stata Tat’jana nell’Evgenij Onegin di Puškin (Siena 1996), Jeanne d’Arc au bûcher di Honegger (Spoleto 2000), Sherazade in Le due lune di Damiano Giuranna (Roma e Algeri 2007); ha interpretato alcuni Canti di Dante Alighieri sulle musiche della Dante-Symphonie di Liszt (Perugia 2008 e Ravenna 2015), Elia di Giovanni Tamborrino (Bari 2008), Passiuni di Giovanni Sollima (Ravenna 2008, diretta da Riccardo Muti), Le Martyre de Saint Sébastien di Debussy (Montpellier 2009). Dal 2002 lavora a stretto contatto con lo scrittore e regista Ruggero Cappuccio per il quale è interprete principale nell’Orlando furioso, in Desideri mortali e in Natura viva. Partecipa inoltre a progetti di musica da camera interpretando Enoch Arden di Strauss con il pianista Emanuele Arciuli (Bari 2005). Nel 2010 è protagonista di Medea di J.A. Benda (Bologna) e interpreta Le ultime sette parole di Cristo sulla croce di Haydn con il Quartetto Bernini e il Quartetto di Cremona. Per il teatro di prosa è stata Angelique ne La madre confidente di Mariveaux (1995, regia di Franco Però), Giulia in Liliom di Ferenc Molnár (1996, Gigi dall’Aglio), Ifigenia ne Le erinni (1997, Paolo Quintavalle) e Lady Macbeth in Macbeth Clan (1997, Angelo Longoni per il Piccolo Teatro di Milano). Nel 2001 ha ricoperto il ruolo della Figliastra in Sei personaggi in cerca d’autore per la regia di Maurizio Scaparro. Nel 2004 è stata Francesca da Rimini, nel 2005 Teresa Guiccioli in Ridono i sassi ancor della città (Elena Bucci). Dal 2004 al 2006 è protagonista dell’Antigone di Bertolt Brecht per la regia di Federico Tiezzi. Della sua intensa attività cinematografica ricordiamo Rosa e Cornelia di Giorgio Treves, La via degli angeli di Pupi Avati, Il partigiano Johnny di Guido Chiesa, Musikanten di Franco Battiato. Chiara Muti ha ricevuto nel 1996 il Premio Anna Magnani e nel 1997 il Premio Eleonora Duse, conferitole dalla critica teatrale italiana come miglior attrice giovane. Nel 1999 vince La Grolla d’Oro come migliore attrice per il film Rosa e Cornelia. Debutta come regista nel 2007 con due spettacoli di cui è anche autrice e attrice: Il regno di Rucken per il Teatro Comunale di Salerno e Il sogno di Ludwig per il Ravello Festival. Nel 2010 mette in scena Cardo Rosso su testi di Maddalena Mazzocut-Mis e musiche composte ed interpretate da Giovanni Sollima. Nel 2012 debutta nella regia d’opera con Sancta Susanna di Hindemith, sul podio Riccardo Muti, per il Ravenna Festival. Seguono nel 2013 Dido and Aeneas di Purcell per il Teatro dell’Opera di Roma, dove è stata riinvitata nel 2014 per Manon Lescaut di Puccini. Nel 2013 ha messo in scena Orfeo ed Euridice di Gluck all’Opéra national di Montpellier e nel 2016 ha inaugurato la stagione del Teatro Petruzzelli di Bari con la regia delle Nozze di Figaro di Mozart, produzione che sarà ripresa dal Teatro San Carlo di Napoli e dal Teatro Massimo di Palermo nel 2018. Martina Pelusi è cresciuta musicalmente nel Coro di voci bianche del Teatro Regio e del Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Torino, di cui ha fatto parte dalla Stagione 2005-2006 alla Stagione 2015-2016. In questa decade, oltre a partecipare ai numerosi concerti (anche fuori regione) e ai numerosi interventi del Coro nella Stagione d’Opera del Teatro Regio, ha ricoperto diverse parti solistiche: Nina e il Musicista in Ciottolino di Luigi Ferrari Trecate (2009), la Lumaca e un Gendarme in Pinocchio di Pierangelo Valtinoni (2011 e 2012), nella Bohème di Giacomo Puccini (2012, 2013 e 2015), Juliet Brook nel Piccolo spazzacamino di Benjamin Britten (2013), Cam nell’Arca di Noé ancora di Britten (2014), Primo fanciullo nel Flauto magico di Wolfgang Amadeus Mozart (2014), Pepík nella Piccola volpe astuta di Leoš Janáček (2016). L’Orchestra del Teatro Regio è l’erede del complesso fondato alla fine dell’Ottocento da Arturo Toscanini, sotto la cui direzione vennero eseguiti numerosissimi concerti e molte storiche produzioni operistiche, quali la prima italiana del Crepuscolo degli dèi di Wagner e le prime assolute di Manon Lescaut e La bohème di Puccini. Nel corso della sua lunga storia ha dimostrato una spiccata duttilità nell’affrontare il grande repertorio così come molti titoli del Novecento, anche in prima assoluta, come Gargantua di Corghi e Leggenda di Solbiati. L’Orchestra si è esibita con i solisti più celebri e alla guida del complesso si sono alternati direttori di fama internazionale come Roberto Abbado, Ahronovič, Bartoletti, Bychkov, Campanella, Gelmetti, Gergiev, Hogwood, Luisi, Luisotti, Oren, Pidò, Sado, Steinberg, Tate e infine Gianandrea Noseda, che dal 2007 ricopre il ruolo di Direttore musicale del Teatro Regio. Ha inoltre accompagnato grandi compagnie di balletto come quelle del Bol’šoj di Mosca e del Mariinskij di San Pietroburgo. Numerosi gli inviti in festival e teatri stranieri; negli ultimi anni è stata ospite, sempre con la direzione del maestro Noseda, in Germania, Spagna, Austria, Francia e Svizzera. Nell’estate del 2010 ha tenuto una trionfale tournée in Giappone e in Cina con La traviata e La bohème, un successo ampiamente bissato nel 2013 con il “Regio Japan Tour”. Nel 2014, dopo le tournée a San Pietroburgo ed Edimburgo, si è tenuto a dicembre il primo tour negli Stati Uniti e in Canada con l’esecuzione del Guglielmo Tell di Rossini. Tre gli importanti appuntamenti internazionali nel 2016: i complessi artistici del Teatro sono stati ospiti d’onore al 44° Hong Kong Arts Festival con Simon Boccanegra, due concerti e la Messa da Requiem di Verdi; a Parigi e a Essen con Lucia di Lammermoor in forma di concerto, protagonista Diana Damrau; allo storico Savonlinna Opera Festival con La bohème e Norma. L’Orchestra e il Coro del Teatro hanno una intensa attività discografica, nell’ambito della quale si segnalano diverse produzioni video di particolare interesse: Medea, Edgar, Thaïs, Adriana Lecouvreur, Boris Godunov, Un ballo in maschera, I Vespri siciliani, Don Carlo, Faust e Aida. Tra le incisioni discografiche più recenti, tutte di­rette da Gianandrea Noseda, figurano la Seconda Sinfonia di Mahler (Fonè), il cd Fiamma del Belcanto con Diana Damrau (WarnerClassics/Erato), recensito dal «New York Times» come uno dei 25 migliori dischi di musica classica del 2015, due cd verdiani con Rolando Villazón e Anna Ne­trebko e uno mozartiano con Ildebrando D’Arcan­gelo (Deutsche Grammophon); Chandos ha pubbli­cato Quattro pezzi sacri di Verdi e, nell’ambito della collana «Musica Italiana», due album dedicati a composizioni sinfonico-corali di Goffredo Petrassi. Il Regio è inoltre l’unico teatro italiano presente su The Opera Platform, la piattaforma digitale europea dedicata all’opera. Teatro Regio Walter Vergnano, Sovrintendente Gastón Fournier-Facio, Direttore artistico Gianandrea Noseda, Direttore musicale Orchestra Violini primi Stefano Vagnarelli * Monica Tasinato Claudia Zanzotto Claudia Curri Elio Lercara Carmen Lupoli Enrico Luxardo Miriam Maltagliati Paolo Manzionna Alessio Murgia Ivana Nicoletta Luigi Presta Laura Quaglia Daniele Soncin Giuseppe Tripodi Roberto Zoppi Violini secondi Cecilia Bacci * Tomoka Osakabe Andrea Del Moro Anna Rita Ercolini Silvio Gasparella Giorgia Grace Ghio Ekaterina Gulyagina Fation Hoxholli Roberto Lirelli Giulia Manfredini Anselma Martellono Sara Molinari Paola Pradotto Viole Armando Barilli * Alessandro Cipolletta Martina Anselmo Maria Elena Eusebietti Alma Mandolesi Franco Mori Roberto Musso Alessandro Sacco Monica Vatrini Giuseppe Zoppi Ottavino Roberto Baiocco Violoncelli Amedeo Cicchese * Davide Eusebietti Alberto Baldo Amedeo Fenoglio Alfredo Giarbella Armando Matacena Luisa Miroglio Paola Perardi Corno inglese Alessandro Cammilli Contrabbassi Davide Ghio * Atos Canestrelli Fulvio Caccialupi Andrea Cocco Kaveh Daneshmand Stefano Schiavolin Flauti Nicolò Manachino * Maria Siracusa Serena Zanette (anche ottavino) Oboi João Barroso * Stefano Simondi Corni Ugo Favaro * Evandro Merisio Fabrizio Dindo Eros Tondella Trombe Ivano Buat * Enrico Negro Marco Rigoletti Timpani Ranieri Paluselli * Clarinetti Alessandro Dorella * Antonio Duca Percussioni Paolo Bertoldo Lavinio Carminati Enrico Femia Massimiliano Francese Clarinetto piccolo Diego Losero Arpa Elena Corni * Clarinetto Basso Edmondo Tedesco Cembalo Luca Brancaleon Fagotti Lorenzo Lumachi * Niki Fortunato Controfagotto Paolo Dutto * Prime parti Si ringrazia la Fondazione Pro Canale di Milano per aver messo i propri strumenti a disposizione dei professori Stefano Vagnarelli (violino Francesco Ruggeri, Cremona 1686) e Cecilia Bacci (violino Santo Serafino, Venezia 1725). © Fondazione Teatro Regio di Torino Prezzo: € 1 PROGETTO MAHLER Giovedì 22 Gennaio 2015 ore 20.30 Nicola Luisotti direttore Annely Peebo mezzosoprano Claudio Fenoglio maestro dei cori Orchestra e Coro del Teatro Regio Coro di voci bianche del Teatro Regio e del Conservatorio “G. Verdi” Sinfonia n. 3 in re minore per contralto, coro femminile, coro di voci bianche e orchestra _____________________________________________ Sabato 24 Ottobre 2015 ore 20.30 Gianandrea Noseda direttore Regula Mühlemann soprano Anna Maria Chiuri mezzosoprano Claudio Fenoglio maestro del coro Orchestra e Coro del Teatro Regio Sinfonia n. 2 in do minore per soli, coro e orchestra (Resurrezione) _____________________________________________ Sabato 21 Gennaio 2017 ore 20.30 Nicola Luisotti direttore Eva-Maria Westbroek soprano Orchestra del Teatro Regio Blumine Lieder eines fahrenden Gesellen Sinfonia n. 1 in re maggiore (Titano) _____________________________________________ Mercoledì 22 Febbraio 2017 ore 20.30 Marco Angius direttore Chiara Muti voce recitante Martina Pelusi voce bianca Orchestra del Teatro Regio Sinfonia n. 4 in sol maggiore (con Azio Corghi, …sotto l’ombra che il bambino solleva, poema per voce e orchestra da Saramago)