Scheda di sala

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I
C O N C E R T I
2 0 1 6 - 2 0 1 7
MARCO ANGIUS
DIRETTORE
ORCHESTRA
DEL TEATRO REGIO
MERCOLEDÌ 22 FEBBRAIO 2017 – ORE 20.30
TEATRO REGIO
Marco Angius (foto Silvia Lelli)
Marco Angius direttore
Chiara Muti voce
Martina Pelusi voce bianca
Orchestra del Teatro Regio
Azio Corghi (1937)
…sotto l’ombra che il bambino solleva
per voce recitante/cantante e orchestra
dal poema L’anno mille993 di José Saramago (1999)
(traduzione di Domenico Corradini Broussard)
In occasione dell’80° compleanno di Azio Corghi
Gustav Mahler (1860-1911)
Sinfonia n. 4 in sol maggiore (1899-1900)
I.
Bedächtig. Nicht eilen - Recht gemächlich - Frisch - Plötzlich langsam und bedächtig
(Molto meno mosso) - Wieder wie zu Anfang. Sehr gemächlich, behaglich - Wild Wieder plötzlich langsam und bedächtig (Molto meno mosso) - Langsam
(Riflessivo. Non affrettato - Molto calmo - Vivace - Improvvisamente lento
e misurato - Di nuovo come all’inizio. Molto calmo, comodo - Selvaggio Di nuovo improvvisamente lento e riflessivo - Lento)
II.
Im gemächlicher Bewegung. Ohne Hast - Etwas gemächlicher - Tempo I - Wieder
gemächlicher - Sich noch mehr ausbreitend - Gehalten - Tempo I
(In un tempo moderato. Senza fretta - Un po’ più calmo - Tempo I - Di nuovo
più calmo - Allargando sempre più - Sostenuto - Tempo I)
III.Ruhevoll (Poco adagio) - Viel langsamer - Etwas drängend. Leidenschaftlich - Wieder
langsam - Anmutig bewegt - Langsam - Leidenschaftlich und etwas drängend Andante - Allegro subito - Andante subito - Pesante - Sehr zart und innig
(Tranquillo - Molto più lento - Alquanto stringendo. Appassionato - Di nuovo lento Mosso, con grazia - Lento - Appassionato e sempre stringendo - Andante Allegro subito - Andante subito - Pesante - Molto delicato e intimo)
IV. Das himmlische Leben. Sehr behaglich - Plötzlich frisch bewegt - Tempo I Wieder lebhaft - Tempo I. Sehr zart und geheimnisvoll bis zum Schluss
(La vita celeste. Molto comodo - Improvvisamente animato e vivace - Tempo I Di nuovo vivace - Tempo I. Molto delicato e misterioso sino alla fine)
In memoria di Henry-Louis de LaGrange (1924-2017)
Musicologo francese, ha dedicato l’esistenza allo studio della vita e dell’opera di Gustav Mahler
PROGETTO MAHLER
Restate in contatto con il Teatro Regio:
Azio Corghi
… sotto l’ombra che il bambino solleva
L’arte, l’amicizia, la generosità di Azio Corghi hanno apportato al disegno della mia
esistenza una ricchezza cui, da solo, io non sarei mai giunto. Grazie ad Azio Corghi,
l’ordito di parole che ho creato è divenuto musica, è divenuto canto. È stato un felice
incontro il nostro. Credo che valga la pena di guardare l’arazzo che siamo, lui ed io.
Così, nel 1995, José Saramago rievocava il suo incontro artistico e umano con il
musicista italiano. La loro collaborazione era iniziata alla fine degli anni Ottanta,
quando Corghi aveva deciso di comporre un’opera ispirata al romanzo Memorial
do convento: Blimunda, andata in scena al Teatro Lirico di Milano il 20 maggio
1990 (e due anni più tardi anche al Regio).
Da quel momento, la ricerca artistica di Corghi è stata scandita da un costante
confronto con lo scrittore portoghese che ha dato luogo a una serie di capolavori:
le opere teatrali Divara (1993), dal dramma In nomine Dei, e Il dissoluto assolto
(2005), provocatoria riscrittura del Don Giovanni mozartiano; le cantate La morte di Lazzaro (1995), per voce recitante, coro misto, coro di voci bianche, ottoni e
percussioni, e Cruci-verba (2001), per voce recitante e orchestra, ispirate entrambe al romanzo O Evangelho segundo Jesus Cristo; il brano sinfonico-corale De paz
e de guerra (2003), composto su una lirica tratta da Os poemas possíveis (Le poesie
possibili); infine il poema per voce recitante/cantante e orchestra …sotto l’ombra
che un bambino solleva (1999).
Alla base di questo straordinario dialogo è stata la condivisione di uno stesso
orizzonte etico e intellettuale e di un medesimo sguardo sul mondo: comune ai
due artisti è la visione tragica della Storia, la riflessione sui grandi temi dell’esistenza umana e sulle loro implicazioni filosofiche e metafisiche, l’impegno morale
e civile, sostenuto da un umanesimo radicale e visionario, disincantato e provocatorio. In ciascuna delle opere citate, tali posizioni sono declinate in modi di
volta in volta diversi sulla scorta dei testi di Saramago, reimpaginati in funzione
della traduzione musicale; …sotto l’ombra che un bambino solleva, composta su
commissione di Rai Radio3 e dell’Orchestra Regionale della Toscana, deriva da
O ano de mille993 (L’anno mille993), un insieme di poemi legati da un preciso filo
narrativo: «Ho cercato di esprimere in questi poemi – scriveva Saramago nella
Prefazione alla raccolta, pubblicata nel 1975 – l’angoscia, la paura e anche la speranza di un popolo oppresso che a poco a poco vince la rassegnazione e organizza
la resistenza fino alla battaglia decisiva e alla ripresa della vita, pagata al prezzo di
migliaia di morti».
In L’anno mille993 lo scrittore non rinunzia comunque al piacere dell’affabulazione ma lo traduce in un itinerario lirico, reso con immagini vivide ed accese: il
«popolo di un paese mai nominato, immagine di quanti hanno subito e subiscono
la tirannide», rivive le sempre uguali vicende della sopraffazione e del terrore in
una società del presente, segnata da nuove e sofisticate forme di controllo delle
coscienze. Ma «un’aerea e delicata musica per clavicembalo», che «vola sopra i
campi devastati», e una «canzone», che gli oppressi riescono a salvare nella memoria, preservano la speranza e restituiscono la forza di lottare per la felicità: con
il «canto» di «un’estatica melodia», che raccoglie «il lungo e singhiozzato sospiro
della vita», e con «lo sguardo» che «un uomo e una donna» si scambiano «sul
sentiero stretto», illuminato dall’arcobaleno.
Corghi apre e chiude la sua composizione con una Introduzione e una Conclusione riprese da questa Prefazione e le affida alla voce dello scrittore, che in
occasione della prima esecuzione, al Teatro Goldoni di Firenze l’8 giugno 1999,
lesse dal vivo i propri versi. Il musicista riprende fedelmente, ma con diversi tagli,
il testo dei vari poemi letterari e rispetta la successione degli eventi immaginata da
Saramago con la sola eccezione di due «immagini poetiche», che sono estrapolate
dalla loro collocazione originaria (rispettivamente nel primo e nell’ultimo poema) e vengono associate a corrispondenti figure musicali. Sono immagini insieme
collegate e contrapposte, perché alla violenza disperante dell’una – «Un’ombra
stretta e lunga tocca il dito che raschia nella polvere e comincia a divorarlo» –
fa da contraltare nell’altra il gesto di un bambino, che «con innocenza» solleva
quell’ombra, minacciosa e distruttiva, e disvela il nulla che essa nasconde, smascherando il volto stesso, banale e sterile, del male.
Le figure musicali correlate alle due immagini sono molto diverse: la prima
è affidata allo Sprechgesang e ha risonanze espressioniste, l’altra è consegnata al
canto di una melodia di ispirazione popolare, sostenuta dal timpano piccolo su un
ritmo di danza. Esse ricorrono nel corso dell’opera intrecciandosi con altre cinque
figure, sulla base di una parabola poetico-musicale che assume valenza simbolica:
l’effigie dell’ombra vorace ritorna incombente nella prima parte, mentre il ritratto
infantile compare in quella centrale e si impone nell’ultima, isolando e infine cancellando la cupa immagine iniziale e facendosi metafora della finale liberazione.
Non è dunque un caso che la figura musicale associata all’immagine luminosa
che dà il titolo al poema sia sottratta alle violente tensioni che attraversano la partitura, e che sono prodotte dall’applicazione di azioni antitetiche: le linee melodiche, sovrapposte polifonicamente, procedono in direzioni divergenti (ascendentediscendente) e analogo trattamento ricevono le dinamiche, il ritmo e il metro,
sottoposti a interventi rispettivamente di intensificazione e riduzione sonora, di
aumentazione e diminuzione ritmica, di accelerazione e decelerazione temporale.
Anche la tessitura della trama orchestrale è investita di spinte tensive, per l’alternarsi di processi di condensazione e rarefazione, e non meno irrequieto è il
decorso della voce che – amplificata ed elettronicamente trattata – si dispiega dal
parlato al glissando ondulato, dallo Sprechgesang al canto non impostato. E tuttavia
la drammaticità generata dai contrasti della scrittura è disciplinata da una rigorosa costruzione formale, retaggio della formazione strutturalista del compositore:
non solo le sette figure musicali si succedono sulla base di calcolate disposizioni
simmetriche, ma l’ultima parte si contrappone specularmente alla prima per l’adozione di procedimenti retrogradi e a specchio, sì da restituire musicalmente il
tragitto simbolico immaginato da Saramago.
La figura collegata al verso «sotto l’ombra che il bambino solleva» non è la sola
“area” musicale che appare affrancata dalle contrapposizioni del materiale sonoro.
L’accenno di Saramago alla musica clavicembalistica di Bach induce Corghi alla
citazione integrale dell’Invenzione a 3 voci in fa minore del compositore barocco,
che affiora per frammenti in diversi momenti del percorso compositivo; il richiamo bachiano condensa la funzione utopistica che Saramago assegna alla musica
sin dal Memorial do convento, dove è associata alla nobile figura di Domenico
Scarlatti, e alla fine dell’opera trascolora nell’evocazione degli esercizi scarlattiani
eseguiti al clavicembalo dalla principessa Maria Barbara a inizio e a chiusura di
Blimunda.
È questo un altro aspetto della stratificata strategia compositiva di Corghi: la
rete di relazioni interne che egli sempre intesse tra le proprie opere, con il riproporsi di materiali musicali che assumono la valenza di immagini archetipiche.
Come le note dell’incipit del monteverdiano Lamento di Arianna (e della sua parafrasi sacra, il Lamento della Madonna), già impiegate nella “cantata drammatica”
Fero dolore (1993) e qui nascostamente evocate dai timpani; o come la costellazione degli armonici del re bemolle su cui si dispiegava il finale di Divara e che in
…sotto l’ombra che il bambino solleva riverbera l’apparire dell’arcobaleno sulla terra affrancata dalla tirannide.
Graziella Seminara
Graziella Seminara insegna Drammaturgia musicale presso il Dipartimento di Scienze
Umanistiche dell’Università di Catania. All’interesse per il teatro musicale ha affiancato quello
per la musica del XX secolo e ha scritto monografie su Jean-Philippe Rameau (L’Epos 2001),
su Alban Berg (L’Epos 2012), sul teatro musicale di Azio Corghi e José Saramago (Lo sguardo
obliquo, Ricordi-Lim 2015).
Azio Corghi
Nato nel 1937 a Cirié, in provincia di Torino, fino al 1950 ripartisce i suoi studi tra
la pittura e la musica. Nel 1956 si iscrive al Conservatorio di Torino, dove frequenta
le classi di Pianoforte sotto la guida di Mario Zanfi e di Storia della musica con
Massimo Mila. Si trasferisce nel 1962 a Milano per frequentare al Conservatorio i
corsi di Composizione, Musica corale, Direzione di coro e d’orchestra, Composizione
polifonica vocale, rispettivamente sotto la guida di Bruno Bettinelli, Amerigo Bortone,
Antonino Votto e Guido Farina.
Nel 1967 vince il concorso Ricordi-Rai con Intavolature, che viene eseguito alla Fenice
di Venezia. Insegna prima al Conservatorio di Torino e poi al Conservatorio di Milano.
Nel 1973 la Fondazione Rossini di Pesaro e Casa Ricordi gli affidano la realizzazione
dell’edizione critica dell’Italiana in Algeri di Rossini. Il 2 maggio 1984 il Teatro
Regio tiene a battesimo la sua prima opera lirica, Gargantua, su libretto di Augusto
Frassinetti da François Rabelais. Per la Stagione 1989-1990 della Scala va in scena
Blimunda, opera su libretto del compositore stesso e di José Saramago. Una giuria
presieduta da Goffredo Petrassi gli assegna il Premio “Omaggio a Massimo Mila”
per la sua attività didattica. In occasione del bicentenario rossiniano compone Suite
dodo, da Péchés de vieillesse di Rossini; viene intanto eseguito a Pesaro – e trasmesso
in diretta in mondovisione – il balletto Un petit train de plaisir. Il 31 ottobre 1993
a Münster va in scena Divara (“Wasser und Blut”), dramma musicale su libretto
proprio e di Saramago. È nominato accademico di Santa Cecilia, coordinatore dei
corsi e docente di Composizione all’Accademia Petrassi. Su invito del II Concorso
foto Roberto Masotti
© Casa Ricordi, Milano
Pianistico Internazionale “Umberto Micheli” compone lo studio da concerto “...ça ira!”.
Nel quadro delle celebrazioni per il centenario donizettiano gli viene commissionata la
trascrizione delle ariette da Nuits d’été à Pausilippe. Su commissione del Teatro alla
Scala, scrive Tat’jana, dramma lirico da Čechov.
Intraprende nel 2000 la composizione di Amori incrociati, dal Decameron di
Boccaccio nella versione di Aldo Busi, commissione dell’Orchestra della Rai. Nel
2001 scrive per gli Städtische Bühnen Münster Cruci-Verba, lettura e commento
dal Vangelo secondo Gesù di Saramago sopra la Via Crucis di Liszt. In
occasione del centenario belliniano scrive ...malinconia, ninfa gentile per il Teatro
Bellini di Catania. L’Accademia di Santa Cecilia presieduta da Luciano Berio gli
commissiona De paz e de guerra, su testo di Saramago. L’8 luglio 2004 va in scena
al Teatro dei Rozzi di Siena, su commissione dell’Accademia Chigiana, ¿Pia?, dialogo
drammatico-musicale liberamente tratto dal Dialogo nella palude di Marguerite
Yourcenar. Nel 2005 scrive Il dissoluto assolto, teatro musicale in un atto su libretto
proprio e di Saramago, coproduzione del Teatro São Carlos di Lisbona e del Teatro alla
Scala di Milano. In occasione del 25° anniversario della fondazione della Filarmonica
della Scala, l’orchestra gli commissiona Poema sinfonico, brano la cui prima assoluta,
diretta da Riccardo Chailly, è avvenuta il 29 gennaio 2007. L’Ensemble Punto It, per
i 500 anni dalla nascita del Palladio, gli commissiona nel 2008 Giocasta: l’opera, su
libretto di Maddalena Mazzocut-Mis, è una rilettura in chiave moderna dell’Edipo
tiranno di Sofocle, tragedia che, con le musiche di Andrea Gabrieli, fu rappresentata
nel 1585 all’inaugurazione del Teatro Olimpico, dove l’opera viene rappresentata il 19
giugno 2009. Per il bicentenario verdiano il Teatro Regio di Parma gli commissiona
Madreterra, «dialogo sacro» fra Verdi e Pasolini, eseguito in prima assoluta il 9
ottobre 2013 nell’ambito del Festival Verdi. Per l’inaugurazione della 71a Settimana
Musicale Senese (10 luglio 2014) scrive Blanquette per voce recitante e orchestra da
camera, tratto da La chèvre de Monsieur Seguin di Alphonse Daudet. In occasione
delle manifestazioni per il quarantennale della morte di Pier Paolo Pasolini, il Teatro
Verdi di Pordenone gli commissiona Tra la carne e il cielo da testi di Pasolini (prima
assoluta il 2 novembre 2015). Ha appena terminato di scrivere Arie virtuose per
fagotto e orchestra, «rilettura in chiave di attualità» di frammenti musicali di opere
liriche di Antonio Vivaldi, commissionatogli dal Teatro Petruzzelli di Bari, dove sarà
presentato il 20 maggio 2017.
Gustav Mahler
Sinfonia n. 4
La Quarta è la sinfonia di Mahler che piace anche ai non mahleriani, attratti
dalle dimensioni ridotte rispetto alle due che l’attorniano, da una semplicità più
che altro presunta e da quello che a tanti è apparso come un richiamo al classicismo viennese, Haydn e Schubert in particolare. C’è qualche cosa di vero, naturalmente, ma in fondo è un’illusione: ci sono tali nessi tematici e ideali fra le nove
sinfonie di Mahler, e fra queste e i cicli liederistici, da far pensare alla sua musica
come al fluire di una smisurata teoria narrativa, ad un unico percorso che intende
rivelare vita e mondo nel succedersi di momenti mai chiusi in stessi. Tracce evidenti di legami come questi sono, per la Quarta, la fanfara alle trombe che chiude
il primo movimento e con cui si anticipa l’iniziale Marcia funebre della Quinta,
il canto dell’oboe nel movimento lento, già presago nel tono dei prossimi Kindertotenlieder; per non ricordare, nel Lied finale, gli echi bambineschi dal quinto
movimento della Terza, l’impertinente e terribile «Tre angeli cantavano».
Iniziata nel 1899 e portata a conclusione nella quiete della sua residenza estiva
l’anno dopo, la Quarta nasce in una fase di relativa tranquillità, mentre Mahler,
con la nomina a direttore dell’Opera di Vienna e quindi a capo dell’Orchestra Filarmonica, si avvia a dominare la vita musicale della più musicale fra le capitali europee. Risale a cinque anni prima il progetto di una Humoreske sinfonica formata
alternativamente da tre brani strumentali e tre Lieder; a un primo movimento
intitolato, con piglio filosofico, tra Schopenhauer e Nietzsche, Il mondo come eterno presente, doveva seguire il raggelante Das hirdische Leben (La vita terrena), il
Lied in cui un bimbo muore di fame fra le braccia della madre, poi confluito nella
raccolta Des Knaben Wunderhorn. Alla fine, a compensare quella tragica mancanza di cibo, l’Humoreske si sarebbe chiusa nella “grande bouffe” dell’ultimo canto,
Das himmlische Leben (La vita celeste, questa volta), l’unico brano che, una volta
venuto meno il disegno iniziale, confluì nella sinfonia.
Delle tante trasformazioni subite dal progetto si stupiva lo stesso Mahler:
Per la verità volevo scrivere una Humoreske sinfonica ed ecco che n’è uscita una sinfonia di dimensioni normali, mentre quando mi proponevo di scrivere delle sinfonie
normali mi venivano fuori opere che duravano il doppio e il triplo della regola.
E in un’altra occasione aggiungeva:
Nei primi tre movimenti si respira la serenità di un mondo più alto, a noi estraneo,
una serenità che ha per noi qualcosa di spaventoso e terribile. Nell’ultimo movimento,
Das himmlische Leben, il bambino, che fa già parte di questo mondo superiore, pur
essendo ancora allo stato di crisalide, spiega il significato di tutto.
Emil Orlík (1870 - 1932), Ritratto di Gustav Mahler. Vernice molle e puntasecca su pergamena, 1902.
Meravigliosamente oscura, questa frase sembra suggerire come segreto protagonista una immagine infantile, di cui sorprende la vicinanza alla visione dell’infanzia che apparterrà molti anni dopo a Paul Klee. Nella versione compiuta della
sinfonia, il tema del cibo perde i suoi elementi più realistici e tragici. Il bambino,
che allo stato di crisalide è già appartenuto a questo mondo superiore, guarda con
occhi non assuefatti e ancora capaci di libertà e stupore quel mondo tra la terra e il
cielo che nella sinfonia si anima delle sue fantasie: il gioco, la danza, gli strumenti
giocattolo, la fame pantagruelicamente soddisfatta.
In pieno clima Humoreske è il tintinnare dei sonagli con cui si apre il primo movimento, simile all’incedere svelto di una slitta che fa il suo ingresso in un mondo
fiabesco, da non prendere troppo sul serio. E così infatti ammonisce Adorno: «è
un campanello birbone, che, quasi senza dirlo, vuol dire: “Non c’è niente di vero in
ciò che state ascoltando”». In questo nitido riquadro, così poco riguardoso, nella
sua ironia, della dignità sinfonica, entra ai violini il tema principale, formulato in
una sorta di ricreazione dello stile galante. Per quanto la freschezza dell’invenzione porti a un fiorire continuo di motivi, il movimento è in regolare forma sonata,
con l’ampia arcata cantabile di un soggetto secondario ai violoncelli e una terza
idea a oboe e fagotto che fa pensare a un rudimentale passatempo fra musicanti. Una straussiana figura ai violoncelli dagli estesi intervalli precede lo sviluppo,
avviato dal tema coi sonagli e cifrato ben presto da un motivo in la maggiore ai
quattro (sic!) flauti all’unisono, che sventola come un vessillo sul pennone più
alto. Accolta fra le immagini infantili che popolano la Quarta, questa sonorità da
favola ne diventa la sigla.
Capriccioso e bizzarro, il secondo movimento ci conduce fra le robuste cadenze
di un ballo di campagna; il suono sghembo di un violino un tono sopra, «stridulo
e crudo, come se fosse la morte a suonarlo», con piatti e grancassa a ricreare atmosfere da folclore est-europeo, aggiunge al gioco e alle danze un sapore di grottesco.
Così, di tanto in tanto, può davvero accadere che vi occhieggi la morte di cui parla
Mahler. Ma non c’è d’allarmarsi, né da credere che il bambino le faccia caso: se ne
sta lì immobile, affascinato da un luccicante carillon che a ogni giro genera un suono acutissimo e incantato. Nella forma, è uno Scherzo-Rondò in minore, col motivo sgraziato del violino in qualità di tema principale e un Trio ai legni in forma
di Ländler. La scrittura cameristica trae da un’orchestra limitata un’estrema varietà
di colori; toni rustici trapassano nelle sonorità più delicate degli archi, oscurità di
corni e fagotti nelle acidule asprezze – una firma mahleriana – dei clarinetti.
Unico nelle sinfonie di Mahler, e modellato non meno che sul tempo lento della
Nona di Beethoven, il Tranquillo è nella forma del tema con variazioni; costruito,
appunto, non su uno ma su due soggetti tematici, già ampiamente variati nel corso della loro esposizione. Il suo respiro si distende per cinque sezioni e prende
avvio da un lungo motivo cantabile dei violoncelli, su misteriosi, solenni rintocchi
dei contrabbassi, che riascolteremo nel paradiso goethiano dell’Ottava Sinfonia.
Il tono affettuoso presta una voce ancora più intensa al secondo tema, più dolente, all’oboe; «lamentoso» scrive Mahler, carico di presagi, come di un mondo
destinato a scomparire. Si procede più per mutazioni che per variazioni in senso
beethoveniano, in una intensificazione di contenuti che nell’ultima sezione sembra capovolgere il clima, guidandoci al paradossale punto d’arrivo di una festosa
allegria. La felicità celeste si avvicina: preceduto da lunghi accordi pianissimo,
ecco irrompere un radioso accordo di mi maggiore con trombe e corni sollevate
ad annunciare il tema dell’ultimo movimento. Ma tanto sfolgora di luce questo
paradiso allo spalancarsi delle sue porte, quanto terreni si sveleranno ben presto i
piaceri e le gioie che contiene.
Il Lied che dà forma all’ultimo movimento è il cuore della Quarta, la pagina che
la ispira, già composta quasi dieci anni prima ma non inclusa nella raccolta dei
Wunderhorn-Lieder. Entriamo, e ci accoglie un’atmosfera di francescana letizia,
con qualche nota di sana allegria. Ma nel momento in cui tornano i sonagli, ecco
che il paradiso si rivela per quello che veramente è, un paese di cuccagna, così
poco francescano, dove si beve e ci si abboffa d’ogni sorta di bendiddio, i santi
macellano senza farsi scrupoli e Santa Marta, la cuoca, dà la propria benedizione;
su un ritardando armonizzato in modo arcaico con cui conclude ogni strofa, la
terza e la quarta tenute assieme. La parabola infantile sembra così chiudersi con la
ripresa della musica tintinnante del primo movimento, e qui chiamata a un ruolo
d’intercalare fra gli interventi del soprano, «infantili e sereni, sempre senza parodia», come richiede la partitura. Ma l’ultima strofa, nel ritrovare la dolcezza di un
canto che si lascia alle spalle quell’improbabile paradiso, invita a socchiudere gli
occhi sugli accenti materni di una ninna-nanna.
Ernesto Napolitano
Ernesto Napolitano ha insegnato Storia della musica moderna e Storia della musica contemporanea
al Dams dell’Università di Torino (dopo aver insegnato, nello stesso Ateneo, Istituzioni di Fisica
teorica alla Facoltà di Scienze). È stato per dieci anni critico musicale per le pagine torinesi della
«Repubblica». Ha pubblicato saggi su compositori del secondo dopoguerra (Cage, Xenakis,
Ligeti, Stockhausen, Maderna) e curato una nuova edizione del Mahler di Adorno (Einaudi
2006), per il quale ha scritto anche un saggio introduttivo. È autore di due libri su Mozart: Una
favola per la ragione. Miti e storia nel «Flauto magico» (insieme a Renato Musto, Feltrinelli 1982,
Bibliopolis 2006) e Mozart. Verso il «Requiem». Frammenti di felicità e di morte (Einaudi 2004;
trad. fr. Delatour 2013). Nel 2015, presso Edt, ha visto la luce il suo Debussy, la bellezza e il
Novecento. «La Mer» e le «Images».
Mahler a Torino: la Quarta Sinfonia
Tenendo da parte il caso particolare dell’ancora austroungarica Trieste, dove
Gustav Mahler diresse la Quinta e la Prima nel 1905 e 1907, furono senza dubbio Roma e Torino le città più attive nella primissima fase della lenta diffusione
italiana dei suoi lavori sinfonici. Infatti, a cura della Regia Accademia di Santa
Cecilia, la Prima e la Quarta furono presentate nella Capitale all’Augusteo, rispettivamente il 31 marzo 1912 da Bruno Walter e il 19 aprile 1914 da Willem
Mengelberg, vale a dire le maggiori bacchette mahleriane del tempo. Quindi, per
quasi vent’anni, nessuna delle altre sinfonie di Mahler fu eseguita integralmente
nelle nostre sale, fino alla Settima che Rito Selvaggi propose il 28 aprile 1933 nella
stagione pubblica dell’Eiar al Teatro di Torino: una scelta senz’altro coraggiosa
alla luce della complessità del lavoro, della quale va reso merito all’oggi dimenticato musicista pugliese.
La più agevole Quarta i torinesi poterono ascoltarla solo a partire dal 1° febbraio 1946, al Conservatorio, diretta da Mario Rossi e con la voce del soprano veneziano Ginevra Vivante, raffinata specialista monteverdiana cresciuta alla scuola
di Giacomo Benvenuti. Per dare un’idea di quanto fosse difficile per la musica
di Mahler arrivare al pubblico italiano, è significativo sapere che, tra l’esecuzione
romana e quella torinese di questa sinfonia, se ne tenne solo un’altra, ad opera di
Arthur Nikisch, alla Scala nel 1914. Con Mengelberg, solista per Das himmlische
Leben era stata Alessandra Kropivnitsky: un soprano, secondo la previsione della
partitura, inequivocabile e rispettata nella prassi esecutiva.
Sul punto, peraltro, una questione esiste: per quanto senza un supporto documentale forte, è stato sostenuto che Mahler avesse vagheggiato l’utilizzo di una
voce bianca per il movimento finale della sinfonia, optando poi per una strada
meno insolita, anche per evidenti ragioni pratiche; un’idea sicuramente suggestiva, oltre che coerente con la sostanza poetica del testo tratto dal Corno magico
del fanciullo e con l’ispirazione dell’intera composizione. Né si possono trascurare le parole collocate là dove il canto inizia – «Singstimme mit kindlich heiterem Ausdruck» – ossia l’indicazione della necessità di un tono fanciullesco e gaio
nell’espressione vocale: una preoccupazione autorale più imperiosa di una semplice esortazione, nella quale, se si vuole, si può anche cogliere la sopravvivenza
ansiosa del desiderio di una soluzione vocale utopica. Che non mancò di tentare
qualche interprete. Il primo a ricorrere a una voce bianca fu, nel 1983, il direttore inglese Benjamin Zander, con l’undicenne James ( Jamie) Westman, a Boston
e poi in una tournée europea che toccò anche Vienna. Lo stesso fece, ancora a
Vienna l’anno successivo, Leonard Bernstein, con i Wiener Philarmoniker e Allan Bergius del Tölzer Knabenchor. E fu proprio Bernstein a proporre in Italia
questa singolare versione della Quarta, il 23 e 24 giugno 1984 al Teatro alla Scala
di Milano, alla guida della Filarmonica della Scala (solisti Tobias Eiwanger e poi
Bergius). L’esperimento, visto a posteriori, risulta circoscritto a quegli anni, come
testimoniato anche dalle uniche incisioni discografiche ufficiali: una di Bernstein
del 1987 con l’Orchestra del Concertgebouw di Amsterdam e un terzo giovanissimo membro del Tölzer Knabenchor, Helmut Wittek; l’altra, del 1988, diretta
da Anton Nanut con l’Orchestra di Ljubljana e la voce di Max Emanuel Cenčić,
oggi apprezzato controtenore. Chi sia interessato ad approfondire l’argomento,
troverà un frammento dell’esecuzione di Zander con Westman e la New England
Conservatory Youth Philarmonic di Boston unito (a scopo “didattico”) alla Quarta realizzata in studio (con un soprano) dallo stesso Zander, mentre su YouTube
è agevolmente rintracciabile l’emozionante live del concerto scaligero di Bernstein
con lo straordinario Allan Bergius.
La numerosa serie delle esecuzioni torinesi fino a oggi non ha deviato dalla
regola, fatto salvo il caso dell’ultima delle memorabili interpretazioni mahleriane
locali di Claudio Abbado, quando la scelta cadde sulla voce mediosopranile (ma
chiara e leggera) di Monica Bacelli. Questa sera la proposta della voce bianca non
è semplicemente una seconda eccezione, ma anche, dopo la recente programmazione di Blumine, un’ulteriore opportunità offerta dal Progetto Mahler del Teatro
Regio di un ascolto rarissimo ma con radici illustri nella storia esecutiva del compositore austriaco.
Giorgio Rampone
Cronologia delle esecuzioni a Torino
1946
1 febbraio
Conservatorio
«G. Verdi»
Mario Rossi; Ginevra Vivante, soprano;
Orchestra Sinfonica di Torino della Radiotelevisione Italiana
[Stagione Sinfonica Rai]
1960
8 gennaio
Auditorium Rai
Frieder Weissmann; Margherita Kalmus, soprano;
Orchestra Sinfonica di Torino della Radiotelevisione Italiana
[Stagione Sinfonica Rai]
1961
7 dicembre
Auditorium Rai
Massimo Pradella; Margherita Kalmus, soprano;
Orchestra Sinfonica di Torino della Radiotelevisione Italiana
[Stagione Sinfonica Rai]
1966
4 febbraio
Auditorium Rai
Theodore Bloomfield; Gundula Janowitz, soprano;
Orchestra Sinfonica di Torino della Radiotelevisione Italiana
[Stagione Sinfonica Rai]
1966
9 novembre
Conservatorio
«G. Verdi»
Kurt Sanderling; Nelly Ailakowa, soprano;
Dresdner Staatskapelle
[Unione Musicale]
1978
17 febbraio
Auditorium Rai
Lukas Foss; Anastasia Tomaszewska, soprano;
Orchestra Sinfonica di Torino della Radiotelevisione Italiana
[Stagione Sinfonica Rai]
1981
30 gennaio
Auditorium Rai
Michel Tabachnik; Rosmary Landry, soprano;
Orchestra Sinfonica di Torino della Radiotelevisione Italiana
[Stagione Sinfonica Rai]
1983
10 e 11 febbraio
Auditorium Rai
Wolfgang Scheidt; Ursula Reinhardt-Kiss, soprano;
Orchestra Sinfonica di Torino della Radiotelevisione Italiana
[Stagione Sinfonica Rai]
1984
29 giugno
Teatro Regio
Milan Horvat; Ursula Reinhardt-Kiss, soprano;
Orchestra del Teatro Regio
[I Concerti del Teatro Regio]
1984
Auditorium Rai
20 e 21 dicembre
Rudolf Barshai; Barbara Martig-Tüller, soprano;
Orchestra Sinfonica di Torino della Radiotelevisione Italiana
[Stagione Sinfonica Rai]
1990
11 e 12 ottobre
Auditorium Rai
Guido Maria Guida; Audrey Michael, soprano;
Orchestra Sinfonica di Torino della Rai
[Stagione Sinfonica Rai]
1994
23 giugno
Auditorium Rai
Dennis Russell Davies; Gemma Bertagnolli, soprano;
Orchestra Sinfonica di Torino della Rai
[Stagione Sinfonica Rai]
1998
3 settembre
Auditorium
«G. Agnelli»
Roger Norrington; Lynne Dawson, soprano;
Philarmonia Orchestra
[Settembre Musica]
2000
7 e 8 dicembre
Auditorium
«G. Agnelli»
Eliahu Inbal; Maria Orán, soprano;
Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
[Stagione Sinfonica Rai]
2003
6 e 7 febbraio
Auditorium
«G. Agnelli»
Jeffrey Tate; Elizabeth Norberg-Schulz, soprano;
Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
[Stagione Sinfonica Rai]
2004
28 gennaio
Auditorium
«G. Agnelli»
Daniel Harding; Dorothea Röschmann, soprano;
Mahler Chamber Orchestra
[Progetto “Sintonie”]
2006
29 aprile
Auditorium
«G. Agnelli»
Claudio Abbado; Monica Bacelli, mezzosoprano;
Gustav Mahler Jugendorchester
[I Concerti del Lingotto]
2006
25, 26 e 27
ottobre
Auditorium Rai
Lothar Zagrosek; Christiane Oelze, soprano;
Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
[Stagione Sinfonica Rai e Giornate delle Nazioni Unite (25/10)]
2007
29 gennaio
Teatro Regio
Gianandrea Noseda; Svetla Vassileva, soprano;
Filarmonica ’900 del Teatro Regio
[I Concerti del Teatro Regio]
2007
15 ottobre
Auditorium
«G. Agnelli»
Philippe Herreweghe; Carolyn Sampson, soprano;
Orchestre des Champs-Elysées
[Unione Musicale]
2011
24 e 25 marzo
Auditorium Rai
«A. Toscanini»
Christian Arming; Bernarda Bobro, soprano;
Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
[Stagione Sinfonica Rai]
2017
22 febbraio
Teatro Regio
Marco Angius; Martina Pelusi, voce bianca;
Orchestra del Teatro Regio
[I Concerti del Teatro Regio]
Cronologia a cura di Giorgio Rampone
Un particolare ringraziamento per la cortese collaborazione prestata a Laura Brucalassi (Unione
Musicale), Gabriele Montanaro (Orchestra Filarmonica di Torino), Luca Mortarotti (Lingotto
Musica), Paolo Robotti (Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai) e Alberto Scioldo.
Sinfonia n. 4
Das himmlische Leben
La vita celeste
Wir genießen die himmlischen Freuden,
drum tun wir das Irdische meiden.
Kein weltlich Getümmel
hört man nicht im Himmel!
Lebt alles in sanftester Ruh’!
Godiamo le gioie celesti,
fuggiamo tutto ciò che è terrestre.
Il fragore caratteristico del mondo
non si ode qui in cielo!
Tutto vive nella dolce pace!
Wir führen ein englisches Leben!
Sind dennoch ganz lustig daneben!
Wir tanzen und springen,
wir hüpfen und singen!
Sankt Peter im Himmel sieht zu!
Viviamo una vita di angeli!
E pur tuttavia siamo felici!
Danziamo e saltiamo,
balziamo e cantiamo!
San Pietro nel cielo ci guarda!
Johannes das Lämmlein auslasset,
der Metzger Herodes drauf passet!
Wir führen ein geduldig’s,
unschuldig’s, geduldig’s,
ein liebliches Lämmlein zum Tod!
Giovanni lascia libero l’agnello,
Erode il macellaio ci fa caso!
Che portiamo un paziente,
un innocente, un paziente,
un amabile agnellino alla morte!
Sankt Lukas den Ochsen tut schlachten
ohn’ einig’s Bedenken und Achten,
der Wein kost’ kein Heller
im himmlischen Keller,
die Engel, die backen das Brot.
San Luca uccide il bue al macello
senza farci caso, senza scrupoli,
il vino non costa un quattrino
nelle cantine celesti,
e gli angeli cuociono il pane.
Gut’ Kräuter von allerhand Arten,
die wachsen im himmlischen Garten!
Gut’ Spargel, Fisolen,
und was wir nur wollen!
Ganze Schüssel voll sind uns bereit.
Buone erbe di ogni specie,
crescono nel giardino celeste!
Buoni asparagi, fagioli
tutto ciò che vogliamo!
Tutti i vassoi sono pieni e pronti!
Gut Äpfel, gut’ Birn’ und gut’ Trauben!
die Gärtner, die alles erlauben!
Willst Rehbock, willst Hasen?
Auf offener Strassen
zur Küche sie laufen herbei!
Buone mele, buone pere, uva buona!
I giardinieri permettono tutto!
I caprioli, le lepri, li vuoi?
Vengono dalla strada
di corsa!
Sollt’ ein Fasttag etwa kommen,
alle Fische gleich mit Freuden
angeschwommen!
Dort läuft schon Sankt Peter
mit Netz und mit Köder
zum himmlischen Weiher hinein.
Sankt Martha die Köchin muss sein!
Dovesse poi venire un giorno di magro,
tutti i pesci verrebbero con gioia a galla!
Kein’ Musik ist ja nicht auf Erden,
die uns’rer verglichen kann werden.
Elftausend Jungfrauen
zu tanzen sich trauen!
Sankt Ursula selbst dazu lacht!
Nessuna musica c’è sulla terra,
che possa paragonarsi alla nostra.
Undicimila vergini
hanno il coraggio di danzare!
Sant’Orsola stessa ne ride!
Cäcilia mit ihren Verwandten,
sind treffliche Hofmusikanten.
Die englischen Stimmen
ermuntern die Sinnen!
Dass alles für Freuden erwacht.
Cecilia e i suoi parenti
sono ottimi musicanti!
Le voci celesti
esortano i sensi!
A risvegliarsi alla gioia.
(da Des Knaben Wunderhorn)
Già San Pietro pesca
con la rete e con l’esca
dentro lo stagno celeste.
Santa Marta dev’esser la cuoca!
Traduzione di Ugo Duse
Marco Angius ha diretto Ensemble Intercontemporain, London Sinfonietta, Tokyo Philharmonic,
Orchestra Nazionale della Rai di Torino, Orchestra
del Teatro La Fenice, Maggio Musicale Fiorentino,
Teatro Comunale di Bologna, Orchestra Haydn di
Trento e Bolzano, Orchestra Verdi, Orchestra della
Svizzera Italiana, Orchestre de Lausanne, Orchestre de Nancy, Orchestra della Toscana, I Pomeriggi
Musicali, Luxembourg Philharmonie, Muziekgebouw/Bimhuis di Amsterdam.
Ha ottenuto il Premio Amadeus per Mixtim
di Ivan Fedele (2007), compositore del quale ha
inciso tutta l’opera per violino e orchestra con
l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai; vanta
inoltre una ricca discografia con titoli come Luci
mie traditrici (Euroarts/Stradivarius), Cantare con
silenzio e Stagioni artificiali di Salvatore Sciarrino,
Die Kunst der Fuge di Bach, L’imbalsamatore di
Giorgio Battistelli, Pierrot lunaire di Schönberg,
Risonanze erranti di Luigi Nono. Con l’Ensemble
Intercontemporain ha inciso musiche di Ondřej
Adámek per l’etichetta Wergo.
Nel teatro musicale si ricordano le sue esecuzioni
di Aspern di Sciarrino, Jakob Lenz di Wolfgang
Rihm, Don Perlimplin di Bruno Maderna, La volpe
astuta di Janácek, L’Italia del destino di Luca Mosca,
Il suono giallo di Alessandro Solbiati, Alfred Alfred di
Franco Donatoni. Nel novembre 2016 ha inaugurato
la stagione operistica del Teatro La Fenice con la
prima mondiale di Aquagranda di Filippo Perocco,
con la regia di Damiano Michieletto.
Già direttore principale dell’Ensemble Bernasconi
dell’Accademia Teatro alla Scala, dal settembre
2015 è stato nominato Direttore musicale e artistico
dell’Orchestra di Padova e del Veneto. Tra i suoi
libri: Come avvicinare il silenzio (Rai Eri 2007), Del
suono estremo (Aracne 2014).
Prossimamente impegnato nel Prometeo di Luigi
Nono a Parma, ha debuttato in queste settimane
sul podio dell’Orchestra del Regio con l’opera Káťa
Kabanová di Leoš Janáček.
Attrice, cantante e regista, Chiara Muti ha
studiato alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo
Grassi e si è perfezionata alla Scuola del Piccolo
Teatro di Milano fondata e diretta da Giorgio
Strehler. Debutta in teatro nel 1995 nel ruolo di
Euridice nell’Orfeo di Claudio Monteverdi per
la regia di Micha van Hoecke; con il coreografo e
regista belga instaura un legame artistico che la
vedrà interprete e co-autrice di tre nuove creazioni
presentate al Festival di Ravenna: Pèlerinage del
1997; Salomè del 2008, su testi di Oscar Wilde e Le
Baccanti del 2009, su testi di Euripide.
Fruttuosa la sua collaborazione con il compositore
Azio Corghi per il quale è interprete principale in
quattro nuove composizioni: Pia (2005), su testi di
Marguerite Yourcenar con la regia di Valter Malosti
per il Teatro dell’Opera di Roma; Il dissoluto assolto
(2006), su testi di José Saramago con la regia di
Andrea De Rosa per il Teatro Nacional de São
Carlos di Lisbona, Giocasta (2009), su testi di
Maddalena Mazzocut-Mis con la regia di Riccardo
Canessa per il Teatro Olimpico di Vicenza; infine
Blanquette, concerto di apertura della 71a edizione
della Settimana Musicale Senese (2014).
È stata Tat’jana nell’Evgenij Onegin di Puškin
(Siena 1996), Jeanne d’Arc au bûcher di Honegger
(Spoleto 2000), Sherazade in Le due lune di Damiano
Giuranna (Roma e Algeri 2007); ha interpretato
alcuni Canti di Dante Alighieri sulle musiche della
Dante-Symphonie di Liszt (Perugia 2008 e Ravenna
2015), Elia di Giovanni Tamborrino (Bari 2008),
Passiuni di Giovanni Sollima (Ravenna 2008, diretta
da Riccardo Muti), Le Martyre de Saint Sébastien di
Debussy (Montpellier 2009).
Dal 2002 lavora a stretto contatto con lo scrittore
e regista Ruggero Cappuccio per il quale è interprete
principale nell’Orlando furioso, in Desideri mortali e
in Natura viva. Partecipa inoltre a progetti di musica
da camera interpretando Enoch Arden di Strauss con
il pianista Emanuele Arciuli (Bari 2005). Nel 2010
è protagonista di Medea di J.A. Benda (Bologna) e
interpreta Le ultime sette parole di Cristo sulla croce
di Haydn con il Quartetto Bernini e il Quartetto di
Cremona.
Per il teatro di prosa è stata Angelique ne La
madre confidente di Mariveaux (1995, regia di
Franco Però), Giulia in Liliom di Ferenc Molnár
(1996, Gigi dall’Aglio), Ifigenia ne Le erinni (1997,
Paolo Quintavalle) e Lady Macbeth in Macbeth
Clan (1997, Angelo Longoni per il Piccolo Teatro
di Milano). Nel 2001 ha ricoperto il ruolo della
Figliastra in Sei personaggi in cerca d’autore per
la regia di Maurizio Scaparro. Nel 2004 è stata
Francesca da Rimini, nel 2005 Teresa Guiccioli in
Ridono i sassi ancor della città (Elena Bucci). Dal
2004 al 2006 è protagonista dell’Antigone di Bertolt
Brecht per la regia di Federico Tiezzi.
Della sua intensa attività cinematografica
ricordiamo Rosa e Cornelia di Giorgio Treves, La
via degli angeli di Pupi Avati, Il partigiano Johnny di
Guido Chiesa, Musikanten di Franco Battiato.
Chiara Muti ha ricevuto nel 1996 il Premio
Anna Magnani e nel 1997 il Premio Eleonora Duse,
conferitole dalla critica teatrale italiana come miglior
attrice giovane. Nel 1999 vince La Grolla d’Oro
come migliore attrice per il film Rosa e Cornelia.
Debutta come regista nel 2007 con due spettacoli
di cui è anche autrice e attrice: Il regno di Rucken per
il Teatro Comunale di Salerno e Il sogno di Ludwig
per il Ravello Festival. Nel 2010 mette in scena
Cardo Rosso su testi di Maddalena Mazzocut-Mis
e musiche composte ed interpretate da Giovanni
Sollima.
Nel 2012 debutta nella regia d’opera con Sancta
Susanna di Hindemith, sul podio Riccardo Muti,
per il Ravenna Festival. Seguono nel 2013 Dido
and Aeneas di Purcell per il Teatro dell’Opera di
Roma, dove è stata riinvitata nel 2014 per Manon
Lescaut di Puccini. Nel 2013 ha messo in scena
Orfeo ed Euridice di Gluck all’Opéra national di
Montpellier e nel 2016 ha inaugurato la stagione del
Teatro Petruzzelli di Bari con la regia delle Nozze
di Figaro di Mozart, produzione che sarà ripresa dal
Teatro San Carlo di Napoli e dal Teatro Massimo di
Palermo nel 2018.
Martina Pelusi è cresciuta musicalmente nel
Coro di voci bianche del Teatro Regio e del Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Torino, di cui ha
fatto parte dalla Stagione 2005-2006 alla Stagione
2015-2016. In questa decade, oltre a partecipare ai
numerosi concerti (anche fuori regione) e ai numerosi interventi del Coro nella Stagione d’Opera del
Teatro Regio, ha ricoperto diverse parti solistiche:
Nina e il Musicista in Ciottolino di Luigi Ferrari
Trecate (2009), la Lumaca e un Gendarme in Pinocchio di Pierangelo Valtinoni (2011 e 2012), nella
Bohème di Giacomo Puccini (2012, 2013 e 2015),
Juliet Brook nel Piccolo spazzacamino di Benjamin
Britten (2013), Cam nell’Arca di Noé ancora di
Britten (2014), Primo fanciullo nel Flauto magico
di Wolfgang Amadeus Mozart (2014), Pepík nella
Piccola volpe astuta di Leoš Janáček (2016).
L’Orchestra del Teatro Regio è l’erede del complesso fondato alla fine dell’Ottocento da Arturo
Toscanini, sotto la cui direzione vennero eseguiti
numerosissimi concerti e molte storiche produzioni operistiche, quali la prima italiana del Crepuscolo
degli dèi di Wagner e le prime assolute di Manon Lescaut e La bohème di Puccini.
Nel corso della sua lunga storia ha dimostrato una
spiccata duttilità nell’affrontare il grande repertorio
così come molti titoli del Novecento, anche in prima assoluta, come Gargantua di Corghi e Leggenda
di Solbiati. L’Orchestra si è esibita con i solisti più
celebri e alla guida del complesso si sono alternati
direttori di fama internazionale come Roberto Abbado, Ahronovič, Bartoletti, Bychkov, Campanella,
Gelmetti, Gergiev, Hogwood, Luisi, Luisotti, Oren,
Pidò, Sado, Steinberg, Tate e infine Gianandrea
Noseda, che dal 2007 ricopre il ruolo di Direttore
musicale del Teatro Regio. Ha inoltre accompagnato
grandi compagnie di balletto come quelle del Bol’šoj
di Mosca e del Mariinskij di San Pietroburgo.
Numerosi gli inviti in festival e teatri stranieri;
negli ultimi anni è stata ospite, sempre con la direzione del maestro Noseda, in Germania, Spagna,
Austria, Francia e Svizzera. Nell’estate del 2010
ha tenuto una trionfale tournée in Giappone e
in Cina con La traviata e La bohème, un successo
ampiamente bissato nel 2013 con il “Regio Japan
Tour”. Nel 2014, dopo le tournée a San Pietroburgo ed Edimburgo, si è tenuto a dicembre il primo
tour negli Stati Uniti e in Canada con l’esecuzione
del Guglielmo Tell di Rossini. Tre gli importanti
appuntamenti internazionali nel 2016: i complessi
artistici del Teatro sono stati ospiti d’onore al 44°
Hong Kong Arts Festival con Simon Boccanegra,
due concerti e la Messa da Requiem di Verdi; a Parigi e a Essen con Lucia di Lammermoor in forma di
concerto, protagonista Diana Damrau; allo storico
Savonlinna Opera Festival con La bohème e Norma.
L’Orchestra e il Coro del Teatro hanno una intensa attività discografica, nell’ambito della quale si
segnalano diverse produzioni video di particolare
interesse: Medea, Edgar, Thaïs, Adriana Lecouvreur,
Boris Godunov, Un ballo in maschera, I Vespri siciliani,
Don Carlo, Faust e Aida. Tra le incisioni discografiche più recenti, tutte di­rette da Gianandrea Noseda,
figurano la Seconda Sinfonia di Mahler (Fonè), il cd
Fiamma del Belcanto con Diana Damrau (WarnerClassics/Erato), recensito dal «New York Times»
come uno dei 25 migliori dischi di musica classica
del 2015, due cd verdiani con Rolando Villazón e
Anna Ne­trebko e uno mozartiano con Ildebrando
D’Arcan­gelo (Deutsche Grammophon); Chandos
ha pubbli­cato Quattro pezzi sacri di Verdi e, nell’ambito della collana «Musica Italiana», due album dedicati a composizioni sinfonico-corali di Goffredo
Petrassi.
Il Regio è inoltre l’unico teatro italiano presente
su The Opera Platform, la piattaforma digitale europea dedicata all’opera.
Teatro Regio
Walter Vergnano, Sovrintendente
Gastón Fournier-Facio, Direttore artistico
Gianandrea Noseda, Direttore musicale
Orchestra
Violini primi
Stefano Vagnarelli *
Monica Tasinato
Claudia Zanzotto
Claudia Curri
Elio Lercara
Carmen Lupoli
Enrico Luxardo
Miriam Maltagliati
Paolo Manzionna
Alessio Murgia
Ivana Nicoletta
Luigi Presta
Laura Quaglia
Daniele Soncin
Giuseppe Tripodi
Roberto Zoppi
Violini secondi
Cecilia Bacci *
Tomoka Osakabe
Andrea Del Moro
Anna Rita Ercolini
Silvio Gasparella
Giorgia Grace Ghio
Ekaterina Gulyagina
Fation Hoxholli
Roberto Lirelli
Giulia Manfredini
Anselma Martellono
Sara Molinari
Paola Pradotto
Viole
Armando Barilli *
Alessandro Cipolletta
Martina Anselmo
Maria Elena Eusebietti
Alma Mandolesi
Franco Mori
Roberto Musso
Alessandro Sacco
Monica Vatrini
Giuseppe Zoppi
Ottavino
Roberto Baiocco
Violoncelli
Amedeo Cicchese *
Davide Eusebietti
Alberto Baldo
Amedeo Fenoglio
Alfredo Giarbella
Armando Matacena
Luisa Miroglio
Paola Perardi
Corno inglese
Alessandro Cammilli
Contrabbassi
Davide Ghio *
Atos Canestrelli
Fulvio Caccialupi
Andrea Cocco
Kaveh Daneshmand
Stefano Schiavolin
Flauti
Nicolò Manachino *
Maria Siracusa
Serena Zanette
(anche ottavino)
Oboi
João Barroso *
Stefano Simondi
Corni
Ugo Favaro *
Evandro Merisio
Fabrizio Dindo
Eros Tondella
Trombe
Ivano Buat *
Enrico Negro
Marco Rigoletti
Timpani
Ranieri Paluselli *
Clarinetti
Alessandro Dorella *
Antonio Duca
Percussioni
Paolo Bertoldo
Lavinio Carminati
Enrico Femia
Massimiliano Francese
Clarinetto piccolo
Diego Losero
Arpa
Elena Corni *
Clarinetto Basso
Edmondo Tedesco
Cembalo
Luca Brancaleon
Fagotti
Lorenzo Lumachi *
Niki Fortunato
Controfagotto
Paolo Dutto
* Prime parti
Si ringrazia la Fondazione Pro Canale di Milano per aver messo i propri strumenti a disposizione dei professori
Stefano Vagnarelli (violino Francesco Ruggeri, Cremona 1686) e Cecilia Bacci (violino Santo Serafino, Venezia 1725).
© Fondazione Teatro Regio di Torino
Prezzo: € 1
PROGETTO MAHLER
Giovedì 22 Gennaio 2015 ore 20.30
Nicola Luisotti direttore
Annely Peebo mezzosoprano
Claudio Fenoglio maestro dei cori
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Coro di voci bianche del Teatro Regio e del Conservatorio “G. Verdi”
Sinfonia n. 3 in re minore per contralto, coro femminile, coro di voci bianche e orchestra
_____________________________________________
Sabato 24 Ottobre 2015 ore 20.30
Gianandrea Noseda direttore
Regula Mühlemann soprano
Anna Maria Chiuri mezzosoprano
Claudio Fenoglio maestro del coro
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Sinfonia n. 2 in do minore per soli, coro e orchestra (Resurrezione)
_____________________________________________
Sabato 21 Gennaio 2017 ore 20.30
Nicola Luisotti direttore
Eva-Maria Westbroek soprano
Orchestra del Teatro Regio
Blumine
Lieder eines fahrenden Gesellen
Sinfonia n. 1 in re maggiore (Titano)
_____________________________________________
Mercoledì 22 Febbraio 2017 ore 20.30
Marco Angius direttore
Chiara Muti voce recitante
Martina Pelusi voce bianca
Orchestra del Teatro Regio
Sinfonia n. 4 in sol maggiore
(con Azio Corghi, …sotto l’ombra che il bambino solleva,
poema per voce e orchestra da Saramago)
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