cenni storici su pavia - la compagnia del pedale

Per coloro che sono interessati al sapere aggiungo alcune pagine
contenenti informazioni generali sulla città di Pavia e qualche cenno
storico tratti dai siti internet e riassunti.
Città di Pavia
Capoluogo di Regione Lombardia, è a 77 m. s.l.m. e conta circa 71.500 abitanti.
Patrono: San Siro (9 dicembre)
Cap: 27100
Prefisso Telefonico: 77
Posta sulle rive del Ticino, poco a nord dalla confluenza di questo nel Po, 35 km a sud di Milano,
affonda le sue origini all'epoca dei Romani, dai quali fu fondata con il nome di Ticinum. Divenne la
capitale del regno longobardo. Dal Medioevo Pavia è sede di una delle più antiche università
italiane. La città era fortificata fino al 1872, quando gli antichi bastioni furono distrutti per
realizzare viali e giardini pubblici.; gran parte delle mura, però, sopravvisse fino al 1901, quando
fu abbattuta per costruire i viali di circonvallazione.
Pavia è collocata in una posizione strategica per i flussi commerciali con il Nord Europa. Il clima
pavese è mediterraneo, con inverni freddi ed estati calde. È una città prettamente turistica e la
vocazione industriale è scarsa.
Le origini antiche e un passato di grande importanza hanno lasciato a Pavia un patrimonio artistico
notevole. Tra le attrazioni turistiche principali ci sono: il Museo situato nel Castello Visconteo, San
Pietro in Ciel d'Oro, la Pinacoteca Malaspina, il Duomo, Santa Maria del Carmine, San Michele
Maggiore, San Teodoro ed il famoso Ponte Coperto sul Ticino, oltre che il Palazzo Bottigella. A
pochi chilometri dalla città è situata la Certosa di Pavia.
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Pavia è il capoluogo di una fertile provincia dedicata soprattutto all'agricoltura: viticoltura,
risicoltura e cerealicoltura. Poche sono le industrie; le principali attività della città sono l'Università
e il Policlinico San Matteo. Pavia è una delle tappe importanti sulla via Francigena, cammino di
pellegrinaggio per Roma. A Pavia, in via Ugo Foscolo, 11 (casa Cornazzani) abitò per circa un anno
(nel 1894) il quindicenne Albert Einstein con la sua famiglia.
La storia di Pavia ha inizio in epoca preromana quando un insediamento fu fondato dalle tribù della
Gallia transpadana sulle rive del fiume Ticino poco distante dalla confluenza con il fiume Po. Plinio
scrisse che fu fondata dalle tribù liguri dei Levi e dei Marici, mentre Claudio Tolomeo la attribuì
agli Insubri.
Ticinum
La città assunse importanza al tempo dei Romani, con il nome di Ticinum, dopo che fu raggiunta da
un'estensione della Via Emilia, nel 187 a.C. Poco è noto di Ticinum: era un municipium, nella città
venne eretto un arco di trionfo in onore di Augusto. Il centro storico di Pavia, un quadrato di circa 1
km², ha ancora oggi la tipica pianta derivata dal castrum, l'accampamento militare romano, dotato
di due assi perpendicolari, il cardo e il decumano. La conservazione della pianta della città è stata
permessa dal fatto che la città non è mai stata distrutta completamente.
Invasioni barbare e Regno Longobardo
La città venne saccheggiata da Attila nel 452 e da Odoacre nel 476. Crebbe di importanza come
centro militare nel periodo delle invasioni dei Goti. Teodorico fece costruire un palazzo, dei bagni,
un anfiteatro e nuove mura. Narsete riconquistò Ticinum per l'Impero Romano d'Oriente, ma dopo
un lungo assedio la dovette cedere ai Longobardi nel 572.
La città divenne, con il nome Papia, da cui il moderno "Pavia", la capitale del Regno longobardo e
come tale una delle più importanti città italiane. Con la conquista di Pavia e la cattura di Desiderio
nel 774, Carlo Magno distrusse definitivamente la supremazia longobarda.
Periodo carolingio
La città continuò ad essere il centro del potere carolingio in Italia e fu costruita una residenza reale
nelle vicinanze (a Corteolona). Nella chiesa di San Michele Maggiore a Pavia, Berengario I del
Friuli e i suoi successori fino a Berengario II e Adalberto II, furono incoronati Re d'Italia. Sotto il
regno di Berengario la città fu saccheggiata e incendiata dagli Ungari e il vescovo fu ucciso. Nel
951 si celebrò a Pavia il matrimonio tra Ottone I e Adelaide, che esercitarono un'importante
influenza sulle relazioni tra l'impero e l'Italia. Ma, quando la successione alla corona d'Italia venne
contesa tra l'imperatore Enrico II e Arduino d'Ivrea, la città appoggiò il secondo. La città fu quindi
distrutta da Enrico, che fu attaccato dai cittadini nella notte dopo la sua incorazione nel 1004.
Nell'XI e XII secolo Pavia viene chiamata la seconda Roma.
Ducato di Milano
La gelosia tra Pavia e Milano si trasformò in una guerra nel 1056 e Pavia chiamò gli odiati
imperatori. Non prese però probabilmente parte alla battaglia di Legnano e in gran parte rimase
schierata con il partito ghibellino fino alla fine del XIV secolo. Nei primi decenni del Trecento la
forza militare di Pavia era tutt'altro che trascurabile. Opicino de Canistris affermava che Pavia
poteva mobilitare circa 2.000-3.000 cavalieri e più di 15.000 fanti, una quantità abbastanza elevata
per l’epoca, anche se tali numeri sembrano rispecchiare effettivamente la realtà, soprattutto se alle
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forze cittadine venivano sommati i contingenti del contado. Dal 1360, quando Galeazzo fu
nominato vicario imperiale da Carlo IV, Pavia cadde in pratica sotto la dominazione della famiglia
Visconti e parte del Ducato di Milano. Dovette pagare una terribile multa nel 1500 per via
dell'insurrezione contro la guarnigione francese nel 1499 e nel 1512, dopo la vittoria di Ravenna,
Pavia presentò a Luigi XII, come segno di fedeltà uno stendardo magnifico, che fu però rubato da
mercenari svizzeri e spedito a Fribourg come trofeo di guerra (oggi distrutto).
Occupazioni straniere
La città fu fortificata da Carlo V e così poté porre resistenza a Francesco I di Francia, che fu
disastrosamente sconfitto nelle vicinanze. Si tratta della famosa battaglia di Pavia (1525), tra i
francesi e gli Imperiali, vinta da questi ultimi, perché il capitano di ventura forlivese Cesare
Hercolani, ferendo il cavallo del re Francesco I di Francia, ne permise la cattura, meritandosi il
soprannome di vincitore di Pavia e la gratitudine dell'Imperatore Carlo V d'Asburgo. Legata a
questa vicenda è la storia della "Zuppa alla pavese", semplice zuppa con pane secco, uova,
formaggio e burro cucinata da una contadina al re appena fatto prigioniero. Si racconta che al re
piacque così tanto da farla inserire nel menù di corte con il nome di "soupe à la pavoise".
Tuttavia due anni più tardi i francesi, guidati da Lautrec, sottomisero la città ad un saccheggio di
sette giorni; durante l'assedio, il Castello Visconteo perse l'ala nord - la più bella, perché conteneva
gli appartamenti ducali, con stanze affrescate dal Pisanello - e le due torri di nordovest e nordest, le
campagne attorno alla città furono devastate ed alcune chiese suburbane, o vicine alle mura, furono
distrutte o talmente danneggiate da non essere più utilizzabili. Terminato il saccheggio, i francesi
scesero verso Piacenza, diretti a Roma. All'Hercolani non andò molto meglio: fu assassinato, in casa
sua, da sicari guelfi nel 1534.
Nel 1655 il principe Tommaso I di Savoia attaccò Pavia con un'armata di 20 mila soldati francesi,
ma dovette ritirarsi dopo un assedio durato 52 giorni.
Pavia fu in seguito sotto diverse dominazioni straniere. Nel 1706 fu occupata dagli austriaci, nel
1733 dai francesi, nel 1743 da francesi e spagnoli; nel 1746 dagli austriaci, nel maggio 1796 da
Napoleone, che la punì per un'insurrezione condannandola ad un saccheggio di tre giorni. Nel 1814
tornò sotto gli austriaci.
Regno di Sardegna
Il movimento rivoluzionario del Febbraio 1848 fu represso duramente dagli austriaci: nel mese
successivo per breve tempo le forze del Regno di Sardegna ne ottennero il controllo, perdendolo
però subito dopo, fino al 1859 quando Pavia divenne parte del regno insieme al resto della
Lombardia.
In molti periodi Pavia è stata il centro di grande attività intellettuale. Qui Severino Boezio scrisse il
De consolatione philosophiae. La scuola legale di Pavia fu resa celebre da Lanfranco, futuro
arcivescovo di Canterbury. Francesco Petrarca venne spesso qui a trovare l'amico Galeazzo II.
Cristoforo Colombo fu studente all'Università di Pavia intorno al 1465. Nel 1471 si introdusse la
stampa. Due dei vescovi di Pavia furono eletti al papato, Papa Giovanni XIV e Papa Giulio III.
Altro pavese illustre fu Luigi Porta, famoso anatomista.
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Carta turistica della città
Ufficio Informazione e Accoglienza Turistica - IAT
Palazzo del Broletto - Piazza della vittoria
Telefono: 0382 079943
Fax: 0382 399 244
Pavia è una città "a misura d'uomo" da visitare a piedi. Il
suo centro storico ha mantenuto l'impianto romano ed è
facile riscoprire le testimonianze più importanti della
Pavia capitale di regno. Meta di viaggiatori per un turismo
culturale e non solo, Pavia continua ad attirare i turisti non
solo per le sue ricchezze monumentali ma anche per i tanti
istituti culturali di pregio: l'Università, il teatro Fraschini, i
musei. Pavia offre inoltre al visitatore la possibilità di
scoprire il suo paesaggio di acqua e vegetazione.
Il verde compatto, le trasparenze azzurre del fiume, gli acquitrini, i canali formano scenari di forte
attrattiva e godibilità, e costituiscono "l'anima dei luoghi" intorno alla città.
Solo alcune delle centinaia di torri che ornavano il paesaggio cittadino
nel Medioevo sono sopravvissute fino ad oggi.
Il patrimonio monumentale, testimonianza delle stratificazioni
storiche a partire dalla fondazione in età romana, è stato, in questi
ultimi anni, oggetto di studio e di restauro.
La chiesa romanica di Santa Maria Gualtieri, nel cuore della “piazza grande”, dopo un complesso
intervento conservativo è ora utilizzata come sala polifunzionale per mostre, concerti da camera,
conferenze che il Settore Cultura organizza lungo tutto l’anno; anche il Teatro Fraschini, gioiello
d’architettura settecentesca, è stato da poco restaurato ed ospita una fitta stagione di musica, prosa e
di opera lirica.
Il Castello Visconteo, residenza della corte trecentesca ma poi a lungo caserma militare, è stato
completamente recuperato a fini culturali e ospita, nelle splendide sale affrescate, le varie sezioni
dei Musei Civici: dalla raccolta archeologica dei vetri romani alla sezione di scultura e oreficeria
longobarda, dal modello ligneo rinascimentale del Duomo ai dipinti di Bergognone, Antonello da
Messina, Gian Domenico Tiepolo e Francesco Hayez; la sua corte interna è nelle sere d’estate la
cornice suggestiva di concerti e rappresentazioni teatrali.
Il convento settecentesco di San Francesco da Paola da qualche anno ospita l’Istituto Musicale
Vittadini, una moderna scuola con oltre cinquanta insegnamenti di strumento e un’accademia di
alto perfezionamento, ed un altro convento, quello di Santa Chiara (del XV), da secoli in disuso,
sta per diventare un vitale centro culturale, ospitante la Biblioteca civica Bonetta, sale per
conferenze, filmoteche e nastroteche.
Dal giugno 1997 Pavia aderisce al “Circuito delle città d’arte della pianura padana”, primo
network italiano che ora raccoglie 5 città lombarde (Brescia, Cremona, Lodi, Mantova e Pavia), 4
emiliano-romagnole (Bologna, Modena, Piacenza e Reggio Emilia), una veneta (Verona) e dal 2003
anche una piemontese (Alessandria.)
L’adesione di Pavia al “Circuito delle città d’arte della pianura padana” è stata occasione per
riflettere sul ruolo e il destino di una città che sempre più riconosce, nella conservazione del proprio
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patrimonio monumentale e nella promozione dei suoi istituti e delle attività culturali, l’opportunità
per un rilancio anche economico e di occupazione per i giovani.
Pavia è caratterizzata da un impianto urbanistico di origine romana che si
è mantenuto quasi inalterato nei secoli. La "scacchiera" di isolati
quadrati ci restituisce, in prossimità dell'incrocio tra i due assi viari
principali, cardo e decumano , l'area dell'antico foro che riuniva in sè le
tre funzioni, politica, sociale e commerciale. Pavia fa parte del Circuito
Città d'Arte della Pianura Padana.
Duomo
Il Duomo di Pavia, intitolato a Santo Stefano, è uno dei più maestosi
monumenti della città. I lavori di edificazione iniziarono nel 1488
commissionati dal vescovo Ascanio Maria Sforza Visconti, fratello di
Ludovico il Moro, ma vennero protratti per secoli rimanendo
incompiuta fino a fine Ottocento quando finalmente il prospetto e la
cupola vennero terminate in base all’originario progetto di Giovanni
Antonio Amadeo. Fu eretta sull’area delle due cattedrali precedenti di
Santo Stefano e Santa Maria del Popolo, grazie all’architetto
Cristoforo Rocchi appoggiato fin da subito da Amadeo al quale è
attribuito il progetto complessivo, pur essendo presente una chiara
influenza del Bramante. Era prevista una struttura a tre navate con
nicchie semicircolari ai lati, inserita sulla parte centrale triabsidata e
sovrastata da un enorme cupola collegata attraverso pennacchi
triangolari alla forma ottagonale irregolare dei pilastri.
Fonte: Wikimedia Commons
L’intervento decisivo nel cantiere del Bramante, a cui si attribuiscono
Duomo – Pavia
il progetto della pianta generale, della cripta e della zona absidale, è
comunque attestato nell’agosto del 1488. Pur appoggiato dal 1498 da Gian Giacomo Dolcebuono,
Amadeo diresse i lavori autonomamente seguendo il modello ligneo del 1495 ideato da Rocchi e
Giovan Pietro Fugazza. Attualmente la possente costruzione rinascimentale, presenta una pianta a
croce greca non regolare, visto che il braccio d’ingresso, con la sua campata in più rispetto al
transetto e al presbiterio, si prolunga maggiormente nello spazio. La cupola, sorretta da otto colonne
connesse da archi, è a pianta ottagonale, alta ben 97 metri e di un peso di circa 20 mila tonnellate, al
terzo posto per dimensioni in Italia dopo San Pietro e la cattedrale di Firenze. A lato del Duomo si
trovava la Torre civica, risalente al XIV secolo, ma dopo il crollo avvenuto nel 1989 non fu più
ricostruita.
Castello Visconteo
Fonte: Wikimedia Commons
Castello Visconteo – Pavia
Il magnifico Castello della città di Pavia detto anche Castello
Visconteo, fu edificato fra il 1360 e il 1365 per desiderio di Galeazzo
II Visconti. Perfetto modello dell’equilibrio rinascimentale, il
massiccio maniero fu utilizzato più come dimora privata che come
roccaforte difensiva. Nella seconda metà' del XIV secolo, vi trovò
alloggio il poeta Francesco Petrarca invitato da Gian Galeazzo
Visconti affinché si dedicasse alla cura della preziosa raccolta di libri
della biblioteca, circa un migliaio attualmente andati perduti. Oggi
ospita la sede dei Musei Civici, in particolare la Pinacoteca Malaspina,
e nella stagione estiva, il giardino diventa attraente scenario per
spettacoli teatrali e concerti.
Gli studiosi d’arte hanno dibattuto parecchio rispetto all’autore del progetto e
i critici odierni tendono ad identificarlo nell’architetto Bernardo Da Venezia.
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La costruzione, contornata da un fosso profondo e messo al riparo da rivellini e ponti levatoi, ha una
pianta quadrilatera con torrioni ai quattro angoli. La parte esterna, ornata dai tipici merli, è
completamente in cotto e contraddistinta da una serie di stupende bifore. Nel porticato del giardino
e nella loggia superiore, decorata con splendide quadrifore di gusto veneziano, il cotto si alterna alla
pietra d’Angera e d’Ornavasso.
Ponte Coperto
Il centro storico di Pavia, ed il bellissimo Borgo Ticino, siti sulle rive
opposte del fiume Ticino, sono collegati dal Ponte Coperto, noto
anche come Ponte Vecchio.
Costruito nel XIV secolo e danneggiato durante l’ultimo conflitto
mondiale, il ponte è stato abbattuto nel dopoguerra. La ricostruzione
che ne è stata fatta è solo parzialmente fedele all’originale. Sotto al
ponte moderno è possibile vedere alcune tracce della struttura
trecentesca.
A cinque arcate, il ponte ha due portali coperti alle estremità, ed una cappella nella parte centrale.
In epoca romana, nel periodo di Augusto, sul luogo era stato costruito un primo ponte, del quale
oggi resta un pilone, visibile durante la magra. La posizione del pilone lascia intendere che la
corrente del fiume fosse diversa, all’epoca. Il ponte sostitutivo del ponte romano risale al 1351, su
progetto di Giovanni da Ferrara e di Jacopo da Cozzo.
Orto Botanico
L’orto botanico di Pavia, struttura museale dell’Università di Pavia, è stato fondato alla fine del
XVIII secolo, per opera del monaco vallombrosiano Fulgenzio Witman. Già qualche decennio dopo
la sua fondazione, l’orto botanico di Pavia aveva un’importanza tale da poter competere con i più
grandi orti botanici italiani.
Diverse sono le collezioni presenti all’interno dell’Orto Botanico: l’arboreto, di cui alcuni esemplari
sono stati piantati durante la direzione Scopoli, che ha contribuito a rendere la struttura un punto di
riferimento nel panorama italiano. Importante è anche la raccolta degli erbari, ed i due gruppi di
azalee. Il roseto è diviso in tre settori: uno raccoglie le rose selvatiche, un altro le rose antiche e
l’ultimo gruppo raccoglie gli ibridi moderni. Oltre ad altre numerose varietà di piante, all’interno
dell’orto botanico di Pavia sono conservati anche gli strumenti tecnici e scientifici utilizzati nel
corso della storia dell’Orto Botanico.
Palazzo del Broletto
Il più antico palazzo della Lombardia è sito a Pavia. Si tratta di Palazzo Broletto, costruito nel 1100,
su commissione del Vescovo San Damiano, per farne la sede vescovile. L’area prescelta per
costruire l’edificio conteneva resti di antichi insediamenti romani. In pianta l’edificio oggi è
quadrato, mentre un tempo era a ferro di cavallo. Il lato aperto è stato chiuso dal Duomo. Il
monumento si sviluppa attorno ad un cortile con portici, che risalgono al XIX secolo.
Oggi il Broletto è sede di mostre ed esposizioni.
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Palazzo Malaspina
Tra gli edifici storici di Pavia bisogna ricordare senz’altro Palazzo Malaspina. Formato da due parti
distinte, l’edificio è composto da una parte settecentesca, ed una neoclassica. La parte settecentesca
è oggi adibita a sede di rappresentanza della Prefettura. Sono presenti, al suo interno, sale con
stucchi molto interessanti, e sono conservati gli arredi originali. La parte neoclassica è stata
disegnata dal marchese Luigi Malaspina. Tre bassorilievi in marmo decorano la facciata. Oggi
Palazzo Malaspina è di proprietà del Comune di Pavia.
Piazza della Vittoria e Mercato Coperto
Tra le piazze più note di Pavia c’è Piazza della Vittoria, nota anche come Piazza Grande. La Piazza
ha forma lunga e stretta. Al di sotto della Piazza c’è un particolare mercato coperto, sotterraneo,
istituito nel 1958. Piazza della Vittoria, a pochi passi dal Duomo cittadino, è sede della vita
mondana locale, luogo di ritrovo per gustarsi un aperitivo circondati dalla storia cittadina.
Questa piazza sorge sul foro romano, ed è stata allargata per opera dei visconti nel XIV secolo.
Chiesa dei Santi Gervasio e Protasio
Probabilmente l’edificio sacro più antico di Pavia, la Chiesa dedicata a San Gervasio e a San
Protasio ha ospitato per secoli il corpo di San Siro. Alcune testimonianze riportano l’esistenza della
chiesa già a partire dall’età paleocristiana, nell’area cimiteriale. Ciò lascia presumere che l’edificio
fosse, un tempo, la cattedrale. Nel XII secolo l’edificio è stato gestito da un gruppo di benedettini,
mentre l’intervento dei francescani, tra il 1712 ed il 1718, ha dato all’edificio l’aspetto attuale, con
l’orientamento invertito rispetto all’edificio originario. Molto interessante è il ciclo di affreschi
rinvenuto nella cappella di San Siro, il cui restauro è stato completato solo nel 2009.
Una volta a botte copre l’edificio. Nei pressi delle aperture, la volta è unghiata.
Chiesa di Santa Maria del Carmine
La chiesa più bella di Pavia, esempio meglio riuscito di gotico lombardo, è la Chiesa di Santa Maria
del Carmine. A commissionarne la costruzione, nel 1374, fu Gian Galeazzo Visconti. Il progetto è
stato attribuito a Bernardo da Venezia. La costruzione dell’edificio fu lenta, tanto che ultimò solo
nel 1461. gli ultimi restauri risalgono al periodo che va dal 2006 al 2010. La facciata riprende
motivi romanici, come testimonia la forma a capanna. Sei pilastri dividono la facciata in cinque
parti, all’interno delle quali si trovano i tre portali d’ingresso, realizzati nell’Ottocento da Giuseppe
Marchesi. Molto suggestivo è l’interno della Chiesa di Santa Maria del Carmine, caratterizzato da
una particolare penombra. Tre sono le navata in cui è suddiviso l’edificio. Le cappelle laterali sono
ricche di affreschi e dipinti. Da vedere sono il trittico ligneo di Bernardino Lanzano, con Madonna
in trono tra Sant’Agostino e San’Ambrogio. Nel transetto si possono ammirare affreschi
quattrocenteschi, e nella sacrestia sono presenti stucchi barocchi. Il campanile è alto più di 70 metri,
ed è il più bello e significativo presente all’interno della città.
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Basilica di San Teodoro
La Basilica di San Teodoro, una delle più antiche costruzioni religiose di Pavia, è stata costruita
intorno al VIII secolo. La sua collocazione è tra Piazza Vittoria e il foro romano.
La facciata del monumento è in cotto lombardo. L’interno è suddiviso in tre navate. La cripta
interna sulla quale è rialzato il presbiterio, fu realizzata dopo la struttura, nel XIII secolo. L’aspetto
dell’edificio, così come si presenta alla vista dei visitatori oggi, risente dei restauri del secolo
scorso, durante i quali la navata è stata rialzata, e la facciata è stata rimaneggiata per assumere un
aspetto romanico, con facciata a capanna. I restauri del Novecento hanno anche ripristinato la
galleria, ed aperta la trifora, al posto del rosone realizzato nel Cinquecento. Molto interessante,
all’interno dell’edificio, è l’affresco, noto come “La Veduta di Pavia”, del pittore Bernardino
Lanzani. La città è rappresentata a volo d’uccello, con San Siro, San Teodoro e Sant’Agostino,
mentre proteggono dall’alto la città assediata dai francesi, evento storico che ha avuto luogo nel
1522. All’interno dell’edificio sono anche conservati affreschi di Bartolomeo Suardi, noto come il
Bramantino. Interessanti sono gli affreschi con le storie di Sant’Agnese e San Teodoro, nella testata
del transetto sinistro, probabilmente realizzati dal Lanzani. Recenti scavi hanno portato in luce parte
del mosaico che una volta ricopriva il pavimento dell’edificio. Una curiosità riguarda l’edificio di
fronte alla Basilica di San Teodoro: oggi una residenza signorile, un tempo un bordello.
Basilica di San Michele Maggiore
La Basilica di San Michele Maggiore, situata in pieno centro storico, è
considerato il più antico monumento religioso di Pavia. Stupendo esempio
di stile romanico lombardo, la prima costruzione, intitolata a san Michele
Arcangelo, fu edificata in epoca longobarda sul sito della cappella del
Palazzo Reale con il supporto anche dei monaci di san Colombano di
Bobbio, ma venne distrutta da un incendio nel 1004. L’odierno edificio (in
particolare la cripta, il coro e i transetti) fu eretto a cavallo tra l’XI secolo
e il XII secolo e portato a termine nel 1155. Questa chiesa custodisce
numerose tracce di quando la città di Pavia era capitale del regno italico,
infatti qui si tennero sontuose celebrazioni ed incoronazioni di re e impeFonte: Wikimedia Commons
ratori tra cui quella di Enrico II nel 1004 e quella di Federico I
Basilica di San Michele
Barbarossa nel 1155. Con pianta a croce latina e tre navate a a cui
corrispondono i tre portali sul prospetto, la basilica è lunga 55 metri e larga 38 all’altezza del
transetto. Le volte della navata principale, larga il doppio delle laterali, furono rifatte da Agostino
da Candia verso la fine del Quattrocento utilizzando un modello di quattro campate di forma
rettangolare. Sul fronte a capanna della Basilica di San Michele si trovano cinque piccole bifore, tre
monofore e una croce inclusa tra due occhi di bue come da rifacimento ottocentesco. Abbelliti,
inoltre, da una piccola loggia formata da ventidue arcatelle e dai contrafforti con pilastri a fascio, i
tre portali e le fasce parallele sono coperti da bassorilievi che rappresentano esseri umani, animali e
creature mostruose.
San Pietro in Ciel D'oro
La Basilica di S.Pietro in Ciel d'Oro, situata nell’omonima piazza
della città di Pavia, sembra far derivare il suo curioso nome dalla
primitiva copertura composta da capriate lignee dorate. La prima
edificazione di questa chiesa è probabilmente legata al martirio e la
tumulazione di Severino Boezio, consigliere Romano, fatto uccidere
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dal re ostrogoto Teodorico nel 524, altri documenti la collegano al VII secolo ed ai monaci di San
Colombano. La costruzione odierna in stile romanico, menzionata da Dante, Boccaccio e Petrarca,
presumibilmente risale al 1132. Costituita da pianta a 3 navate, suddivisa in quattro campate, tre
delle quali con volte a crociera, dopo l’arco trionfale troviamo il transetto che, come il presbiterio,
termina con absidi. Il catino dell’abside principale è affrescato dal secolo scorso e richiama un
antico mosaico. Il prospetto a capanna, modulato da due contrafforti, risulta diviso in tre zone
corrispettive alle navate interne mentre nella parte superiore è chiuso da un piccola loggia cieca. La
cripta corrisponde a tutto lo spazio del presbiterio e del coro ed è un rifacimento del XIX secolo.
Oltre ai resti di Severino Boezio e la tomba di Gian Galeazzo Visconti, la chiesa alloggia il sepolcro
del re longobardo Liutprando in una colonna della navata destra e i resti di Sant'Agostino giunti
dalla Sardegna. Quest’ultimi sono custoditi nella marmorea Arca di Sant'Agostino sull'altar
maggiore, opera dei Maestri Campionesi del 1362, decorata da circa 150 tra statue e bassorilievi.
Esternamente rivestita di piastrelle di maiolica, la Basilica di S. Pietro in Ciel d’Oro non ha
campanile perché distrutto dalle truppe napoleoniche.
La Certosa di Pavia Gra-Char (Gratiarum Chartusia)
E’ un monastero cistercense e Santuario della Beata Vergine Maria Madre delle Grazie, situato
nell'omonimo comune distante circa 8 km a Nord di Pavia. Il monumento, risalente al XIV secolo,
venne edificato nel periodo tardo-gotico italiano.
Storia
Il 7 luglio 1866 il monastero fu dichiarato monumento nazionale italiano diventando così di
proprietà del Regno d'Italia prima e dello stato italiano in seguito. Sono posti sotto vincolo
demaniale anche tutti i beni artistici ed ecclesiastici in esso contenuti. Gli edifici che fanno parte del
complesso monumentale attualmente ospitano al loro interno la sede del Museo della Certosa di
Pavia e la locale stazione dei Carabinieri.
La costruzione della Certosa di Pavia fu voluta da Gian Galeazzo
Visconti, che inaugurò i lavori il 27 agosto 1396, ponendo la prima
pietra del cantiere, e donò alla Chiesa anche le cittadine di Binasco,
Magenta, Boffalora e San Colombano, nel 1397 anche Selvanesco e
Marcignago, e nel 1400 anche Vigano. Durante la prima fase dei
lavori, i monaci risiedettero nell'antico castello di Torre del Mangano
e nel Castello di Carpiano (o Grangia), uno dei tanti territori lasciati ai
monaci da Gian Galeazzo, per poi occupare gli ambienti conventuali, i
primi ad essere edificati. Secondo l'ipotesi di Luca Beltrami i primi
sostegni dei chiostri in attesa di più dignitose soluzioni architettoniche
L'interno della Certosa
furono dei piloni quadrati in laterizio. Le funzioni religiose venivano
provvisoriamente celebrate nel refettorio, l'unico ambiente dalle dimensioni adatte per accogliere
l'intera comunità dei Certosini, fatta di monaci e fratelli conversi. La attuale struttura più grande la
dobbiamo alle forti modifiche (1520-1550) di Guiniforte Solari, detto il Gobbo (in realtà l'interno
del monastero contiene opere d'arte di ben quattro secoli, XV, XVI, XVII, XVIII secolo). E' di
questo periodo (1520), ad esempio, la sostituzione del vecchio altare, per uno molto più grande, con
decorazioni in pietre dure e marmi. Quello vecchio fu donato alla Chiesa di San Martino, vescovo
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della vicina cittadina di Carpiano. La chiesa, destinata a divenire mausoleo dinastico dei Duchi di
Milano, era stata progettata con dimensioni superiori a quelle che erano state sinora realizzate, con
una struttura a tre navate, che non era mai stata utilizzata dall'Ordine Certosino e fu edificata per
ultima. La navata fu progettata in stile gotico, e la sua costruzione fu completata nel 1465. Tuttavia,
l'influenza del primo Rinascimento era divenuta importante in Italia e il resto della chiesa, con le
sue gallerie ad archi e i pinnacoli (inclusa la piccola cupola), e i chiostri furono riprogettati da
Guiniforte Solari, che guidò i lavori tra il 1453 e il 1481, con dettagli in terracotta. In seguito,
Giovanni Antonio Amadeo li continuò tra il 1481 e il 1499. Il 3 maggio 1497 la Chiesa venne
consacrata, ma la parte inferiore della facciata fu completata solo nel 1507.
Il Monastero certosino maschile (1396 - 1782)
I monaci certosini che vi abitarono furono inizialmente dodici, in totale vita di clausura, e legati da
un contratto che prevedeva l'uso di parte dei loro proventi (campi, terreni, rendite ecc.) per la
costruzione del monastero stesso. Nel XVIII secolo il monastero diventò proprietario dei latifondi
dei paesi vicini, quali Badile, Battuda, Bernate, Binasco, Boffalora, Borgarello, Carpiano,
Carpignano, Milano, Giovenzano, Graffignana, Landriano, Magenta, Marcignago, Opera, Pairana,
Pasturago, San Colombano, Torre del Mangano, Trezzano S.N., Velezzo, Vidigulfo, Vigentino,
Villamaggiore, Villanterio, Villareggio e Zeccone. Nel 1560, il Priore Generale dei certosini tal
Piero Sarde autorizzò l'installazione delle attrezzature idonee per la stampa di messali e di corali,
ed in data 28 agosto invitò tutte le certose d'Italia a rifornirsi esclusivamente dei prodotti della
nuova stamperia (il primo libro "Breviarium Carthusiensis" fu stampato nel 1561.
Nel 1565, con i vari ampliamenti architettonici quali la costruzione del chiostro grande, i certosini
che vi abitarono passarono almeno al doppio di numero (24), da cui le 24 celle di preghiera grandi a
due piani e provviste anche di piccolo giardino interno. Il monastero di Santa Maria delle Grazie
viene soppresso il giorno 16 dicembre 1782.
Il Monastero cistercense maschile (1784 - 1798)
I monaci certosini furono espulsi nel 1782 dall'imperatore Giuseppe II, che incamerò i beni di tutti
gli ordini contemplativi dei suoi possedimenti. Il monastero cistercense di Santa Maria delle Grazie
viene istituito nel 1784, due anni dopo la soppressione del monastero certosino . Il monastero viene
definitivamente soppresso nel 1798, quando il direttorio esecutivo della repubblica cisalpina,
autorizzato dalla legge 19 fiorile anno VI, richiamò alla nazione i beni e gli effetti appartenenti ai
cistercensi della Certosa di Pavia.
Carmelitani, certosini e di nuovo cistercensi (dal 1798 fino a oggi)
Il monastero passò quindi nel 1798 ai carmelitani, subendo la violenta devastazione operata dalle
truppe napoleoniche, che razziarono e distrussero alcune ricchezze artistiche. Nel 1810 venne infine
chiuso, fino al 1843 quando i certosini rientrarono nel monastero. Con la legge 3036 del 7 luglio
1866, il monastero fu dichiarato monumento nazionale italiano ed i beni ecclesiastici diventarono
proprietà del Regno d'Italia, ma fino al 1880 alcuni certosini continuarono ad abitare il monastero.
Prima della Prima guerra mondiale iniziarono dei lavori di ristrutturazione. Il 9 ottobre 1930 papa
Pio XI decise di riaffidare il luogo ai certosini. Durante il fascismo, il monastero fu visitato una sola
volta da Benito Mussolini, il 31 ottobre 1932. Le cronache inoltre riportarono anche l'avvenimento
del ritrovamento dei resti del cadavere dello stesso duce, avvolti in dei sacchi di tela, circa un anno
dopo la sua fucilazione, il 12 agosto 1946, proprio dentro la Certosa. L'anno successivo i certosini
abbandonarono quindi la struttura, sia per mancanza di vocazioni sia per lo scandalo del
ritrovamento delle cadavere del duce. Il monastero rimase chiuso fino al 1949, quando vi si
insediarono nuovamente i carmelitani fino al 1961. Dopo il Concilio Vaticano II, il Vaticano decise
di riaffidare il monastero nuovamente ai cistercensi della congregazione Casamariensis (provenienti
dall'Abbazia di Casamari), che vi si insediò il 10 ottobre 1968. Oggi, la gestione é dei monaci
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cistercensi del Priorato della Beata Maria Vergine della Certosa Ticinese, sotto la guida del Priore
Celestino Parente. Qui svolgono vita monastica, occupandosi anche delle visite guidate ed alla
vendita di articoli sacri e prodotti tipici.
Nei locali adiacenti il monastero si trova invece il Museo della Certosa di Pavia che, da maggio
2008 è invece gestito direttamente dalla Sovraintendenza per i beni storici artistici ed
etnoantropologici di Milano.Come dentro la Chiesa, anche qui possimo trovare delle opere tra le più
famose del Rinascimento lombardo, per cui spiccano il Bergognone e il Vincenzo Foppa.
Informazioni sulle visite guidate al Museo si possono avere contattando direttamente l'associazione
Pavia Musei. Ulteriori fotografie del monumento sono visibili sul sito dei monaci Cistercensi
La chiesa
Facciata
Il portale della Certosa
un dettaglio della facciata
L'interno e il coro
La facciata, realizzata sovrapponendo semplici rettangoli, è rivestita da decorazioni, tipico
procedimento dell'architettura lombarda. Il portale è opera di collaborazione tra l'Amadeo e il suo
allievo Benedetto Briosco (1501) ed è caratterizzato da colonne binate e bassorilievi con Storie
della Certosa. Fra gli scultori attivi sulla facciata Cristoforo Mantegazza e Giovanni Antonio
Amadeo che dopo l'esecuzione dei bassorilievi della parte destra dello zoccolo della facciata dal
1473 al 1476 tornò nel 1492 quale direttore del cantiere, responsabile dell'esecuzione della facciata
fino al secondo ordine; il coronamento venne terminato con la collaborazione di Cristoforo Solari
detto il Gobbo.
La pianta della Certosa ha lo stesso impianto della Chiesa di Santa Maria del Carmine (Pavia), ma
la supera in dimensioni in quanto dotata di una campata in più in corrispondenza del presbiterio e di
ciascun braccio del transetto. Elemento originale del tracciato della navata è costituito da un terzo
quadrato "diagonale" che si aggiunge al doppio quadrato di base della pianta. Con questo disegno
sovrapposto, si ottiene il tracciato della stella a otto punte o ottogramma (in tedesco acht-uhr o achtort, otto ore o otto luoghi), che si ritrova effigiato dappertutto, come simbolo della Madonna delle
Grazie e della Certosa, con la sigla Gra-Car (Gratiarum Carthusia), persino nelle piastrelle dei
pavimenti.
L'altare maggiore è posto all'interno del presbiterio e, attualmente non è utilizzato per le
celebrazioni religiose che si svolgono nella navata centrale, davanti alla cancellata. La navata del
presbiterio è chiusa alla vista dei fedeli come nella tradizione delle Chiese Ortodosse ed é, lungo il
suo perimetro sino all'abside, interamente occupata dagli stalli lignei riservati al clero celebrante. I
materiali utilizzati per la costruzione è misto: i pilastri e le parti basse dei muri sono in pietra da
taglio, cui si sovrappongono le parti alte e le volte in laterizio. La tecnica di costruzione delle volte
è a crociera gotica. Le volte delle navate laterali risultano dalla combinazione di cinque spicchi di
crociera e si aprono come "cuffie" verso lo spazio centrale.
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Interni
Bergognone, Pala di Sant'Ambrogio
La chiesa ha pianta a croce latina divisa in tre navate con abside e transetto, coperta da volte a
crociera su archi a sesto acuto, ispirata, seppure in scala ridotta, alle proporzioni del Duomo di
Milano. Le volte esapartite sono dipinte alternativamente con motivi geometrici e con un cielo
stellato. Singolari sono le terminazioni dei transetti e della cappella maggiore, costituiti da cappelle
a pianta quadrata chiuse su tre lati da absidi semicircolari, secondo una soluzione trilobata di
probabile ispirazione classica. La prima soluzione della facciata, più sobria e di forme
genuinamente gotiche, progettata da Boniforte Solari, è visibile in un affresco di Bergognone. Sono
presenti opere realizzate in materiale ligneo intagliato e intarsiato: i paliotti posti sopra degli altari
delle cappelle poste sui lati della navata centrale e i quarantadue stalli lignei dei monaci, posti su tre
lati del perimetro del presbiterio, decorati con immagini sacre intagliate ed intarsiate su disegni del
Bergognone. All'interno si segnalano alcune opere pittoriche dello stesso Bergognone, come la pala
di Sant'Ambrogio (1490), quella di San Siro (1491) e la Crocifissione (1490). Altre pale dello stesso
artista sono ora disperse tra musei e collezioni private: si segnalano qui il trittico con i Santi
Cristoforo e Giorgio, ora a Budapest, la pala delle due Ss. Caterine (1490 circa); Londra, National
Gallery) e il Cristo portacroce e certosini della Pinacoteca Malaspina di Pavia (1493 circa). La
chiesa contiene numerose altre opere d'arte, tra cui il Padre Eterno, unico pannello rimasto in
Certosa del polittico di Perugino, pale del Cerano, del Morazzone, del Guercino, di Francesco Cairo
e, nel presbiterio, un ciclo di affreschi di Daniele Crespi.
Nell'abside di destra del transetto è collocato un affresco di
Bergognone con Gian Galeazzo Visconti che presenta alla
vergine il modello della Certosa tra Filippo Maria Visconti,
Galeazzo Maria Sforza e Gian Galeazzo Sforza, eseguito tra il
1490-1495.
Gian Galeazzo dona alla Madonna la Certosa
Altri affreschi (oculi con santi e profeti) si devono ad un gruppo di ignoti maestri di ascendenza
bramantesca, tra cui il giovanissimo Bernardo Zenale. Nell'abside di sinistra un altro affresco di
Bergognone con l'Incoronazione di Maria tra Francesco Sforza e Ludovico il Moro, con cui
quest'ultimo voleva celebrare la propria successione dinastica, ottenuta non senza polemiche dopo
la morte del nipote Gian Galeazzo Sforza.
Dal 1477 al 1478 l'Amadeo è attivo di nuovo alla Certosa ove esegue un'"acquasantiera", "il
portale della sagrestia vecchia", per l'altare della Sala del Capitolo dei Fratelli scolpisce la "statua
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di San Giovanni Battista", un "giovane santo" e, per il tiburio della chiesa, due "medaglioni con i
Dottori della Chiesa", tra cui un "San Gregorio" e varie "sculture" per i pennacchi.
Monumenti funebri
tomba di Gian Galeazzo Visconti
tomba (vuota) di Ludovico il Moro e Beatrice d'Este
Nella parte destra del transetto si trova la tomba del fondatore della Certosa, Gian Galeazzo
Visconti; la figura di Galeazzo, sorvegliato da angeli si trova sotto una canapa di marmo, con la
Madonna in una nicchia al di sopra, fu iniziata nel 1494-1497 da Giovanni Cristoforo Romano e
Benedetto Briosco, ma non fu finita fino al 1562. Nella parte sinistra del transetto si trova il
monumento funebre di Ludovico il Moro e di sua moglie Beatrice d'Este; queste statue sono opera
di Cristoforo Solari. Fu lo stesso Ludovico il Moro a commissionarne l'esecuzione dopo la morte
della moglie nel 1497; le sculture furono inizialmente sistemate nella chiesa milanese di Santa
Maria delle Grazie, ma, nel 1564, vennero acquistate dai monaci e portate nella Certosa per
preservarne la distruzione. Le tombe però sono sempre state inutilizzate, anche perché il Moro morì
in Francia. Attualmente è sepolto in Francia nella Chiesa dei Padri Domenicani di Tarascona,
mentre Beatrice è sepolta nella Chiesa dei Padri Domenicani di S. Maria delle Grazie in Milano.
Vetrate, oreficerie, arti minori
Particolare del coro
La certosa possiede anche un importante (e poco studiato) corpus di vetrate, realizzate su cartoni di
maestri attivi nel XV secolo in Lombardia, quali Zanetto Bugatto, Vincenzo Foppa, Bergognone e il
savoiardo Hans Witz.
L'altare maggiore, risalente al tardo XVI secolo, è intarsiato con bronzi e con diverse qualita' di
marmi e di pietre dure, realizzato da diversi artisti tra cui Cristoforo Solari.
Nella sacrestia vecchia è conservato un trittico in avorio e osso, opera del fiorentino Baldassarre di
Simone di Aliotto, appartenente alla famiglia degli Embriachi (Baldassarre degli Embriachi),
donato alla Certosa da Gian Galeazzo Visconti. L'opera misura alla base 2,45 metri per una altezza
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massima, riferita ai pinnacoli laterali, di 2,54 m È composto di minute composizioni e adorno di
piccoli tabernacoli con dentro statuine di santi; nello scomparto centrale accoglie 26 formelle
illustranti la leggenda dei Re Magi secondo i vangeli apocrifi; nello scomparto di destra e in quello
di sinistra 36 bassorilievi (18 per parte) sono raccontati gli episodi della vita di Cristo e della
Vergine. Nella cuspide mediana, dentro un tondo sostenuto da angeli, domina il Padre eterno in una
gloria angelica, mentre la base del trittico presenta una pietà, fiancheggiata da 14 edicole con
altrettante statuine di Santi decorate. Vi sono anche due pilastrini esterni poligonali composti da 40
piccoli tabernacoli adorni di statuette.
Il Trittico fu trafugato dal monastero nell'agosto del 1984 e recuperato nell'ottobre 1985. Sottoposto
a restauro negli anni tra il 1986 e il 1989 presso l’Istituto Centrale per il Restauro, l'opera fu
ricomposta con ancoraggio alla struttura portante delle parti asportate, tenendo conto del diverso
comportamento chimico-fisico dei materiali di cui è composta l’opera (legno, osso e avorio).
Sono presenti anche opere di scultura bronzea, come i candelabri di Annibale Fontana e la
cancellata che divide la chiesa dei monaci da quella dei fedeli (XVII secolo).
I Chiostri
Il Chiostro piccolo
il chiostro
La chiesa vista dal chiostro piccolo
Un portale decorato all'interno con sculture realizzate dai fratelli Cristoforo e Antonio Mantegazza
ed all'esterno da Giovanni Antonio Amadeo, conduce dalla chiesa al chiostro piccolo al cui centro
si trova un giardino.
Il chiostro piccolo era il luogo in cui si svolgeva gran parte della vita comunitaria dei padri: questo
collegava, con i suoi portici, ambienti come la chiesa, la sala capitolare, la biblioteca ed il refettorio.
Da esso si vede il fianco ed il transetto della chiesa, con le guglie, le loggette in stile "neoromanico"
ed il tiburio. Un tempo tutti i tetti erano ricoperti di rame, sequestrato durante le guerre
napoleoniche per la costruzione di cannoni.
Sul portale d’accesso al chiostro piccolo si legge la firma del pavese Giovanni Antonio Amadeo
(1447-1522). Gli ornamenti in terracotta che sormontano i sottili pilastri di marmo sono stati
eseguiti dal maestro cremonese Rinaldo de Stauris nel 1466 che, in collaborazione con i fratelli
Cristoforo e Antonio Mantegazza, realizzo' anche quelli del chiostro grande nel 1478. Alcune delle
arcate, decorate dagli affreschi di Daniele Crespi, sono oggi in parte illeggibili.
All'interno del chiostro piccolo vi è il lavabo in pietra e terracotta, con la rappresentazione della
scena della Samaritana al pozzo (terzo quarto del XV secolo).
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Il Chiostro grande
le celle e il chiostro grande
Decorazioni simili, opera degli stessi scultori, sono presenti anche nel chiostro grande, lungo circa
125 metri e largo circa 100. In origine le celle erano 23. Interventi strutturali nel 1514 ne
aumenteranno il numero, che passarono a 36. Oggi si affacciano sul chiostro grande 24 celle o
casette, abitazioni dei monaci, ognuna costituita da tre stanze e un giardino. Di fianco all'ingresso
delle celle, siglate da lettere dell'alfabeto, è collocata una piccola apertura entro cui il monaco
riceveva il suo pasto giornaliero nei giorni feriali, in cui era prescritta la solitudine. Per i pasti
comunitari, ammessi solo nei giorni festivi, ci si riuniva nel refettorio. Le colonne delle arcate,
decorate da elaborate ghiere in cotto, con tondi e statue di santi, profeti ed angeli, sono
alternativamente in marmo bianco e marmo rosa di Verona.
Sono, invece, scomparsi i dipinti con profetis [...] et certis altris figuris, che ornavano un tempo il
chiostro, per cui Vincenzo Foppa fu pagato nel 1463.
Altri ambienti
La cosiddetta Sagrestia Nuova, l'antica sala capitolare, contiene un ciclo di affreschi con colori
vivaci dei fratelli Sorri, tardi esponenti del manierismo senese. Alle pareti sono appesi dipinti di
artisti come Francesco Cairo, Camillo Procaccini, il Passignano e Giulio Cesare Procaccini. Da
ricordare anche, sempre nella Sacrestia Nuova, la pala d'altare di Andrea Solario (1524), terminata
cinquant'anni dopo da Bernardino Campi. Va ricordato anche il grande refettorio, che nei primi anni
del cantiere fu utilizzato come chiesa, e che conserva un affresco con l´Ultima Cena (1567), opera
di Ottavio Semino e, nella volta una Madonna con Bambino (completata da Profeti nelle lunette) di
Bergognone.
L'antica Foresteria, edificata tra il 1616 ed il 1667, è nota anche come Palazzo Ducale ed è opera di
Francesco Maria Richino. Negli ambienti interni vi è una gipsoteca che custodisce le copie in gesso
di varie sculture ed oggetti dei Visconti. Oltre alla presenza di calchi e frammenti scultorei
provenienti dalla Certosa, si segnalano alcuni ambienti affrescati (come lo Studiolo e l'Oratorio del
Priore) e dipinti di Vincenzo Campi (lo splendido Cristo inchiodato alla croce), Bernardino Campi,
Bartolomeo Montagna, il Bergognone, Bernardino Luini.
Sul retro della chiesa un alto muro di cinta delimita i terreni dove vengono coltivate erbe
medicinali. In questo spazio, dietro l'abside, si trova anche una grande peschiera in marmo decorato
che in passato serviva ai monaci per allevare pesci d'acqua dolce ed a conservarvi quelli pescati nei
canali circostanti.
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Notizie e cenni storici della Certosa tratti da un'altra fonte
Fonte: Wikimedia Commons
Certosa - Pavia
La famosa Certosa di Pavia Gra-Car (Gratiarum Chartusia) è il complesso comprendente il convento cistercense e
Santuario della Beata Vergine Maria Madre delle Grazie che si trova a circa 8km a Nord rispetto al centro di Pavia. La
costruzione della dimora dei frati certosini iniziò nel 1396 per volere di Gian Galeazzo Visconti nel contesto tardogotico italiano. Si intendeva destinare la chiesa a mausoleo della dinastia dei Duchi di Milano per questo il progetto
prevedeva una struttura a tre navate molto più grande rispetto a quelle finora edificate per l’Ordine Certosino: l’ultima
navata con elementi gotici fu terminata nel 1465. Intanto i segnali del primo Rinascimento si facevano sentire e il
rimanente della chiesa (gallerie ad archi, la cupoletta e i chiostri) fu rielaborato da Guiniforte Solari, che diresse i lavori
tra il 1453 e il 1481 poi sostituito da Giovanni Antonio Amadeo. Nel 1497 la chiesa venne legittimata e l’ultima parte
del prospetto terminata nel 1507. Nel 1866 il convento divenne monumento nazionale italiano e proprietà del Regno
d'Italia. Il convento, tuttora utilizzato dai frati, ospita il Museo della Certosa di Pavia. L’ecclesia presenta pianta a croce
latina suddivisa in tre navate con relativi abside e transetto con copertura a volte a crociera, dipinte in successione con
elementi geometrici e cielo stellato, su archi a sesto acuto. Internamente da segnalare i dipinti del Bergognone tra cui la
pala di Sant'Ambrogio (1490), l’affresco nell’abside destra con Gian Galeazzo Visconti che presenta alla vergine il
modello della Certosa e quello dell’abside sinistra con l'Incoronazione di Maria tra Francesco Sforza e Ludovico il
Moro. Inoltre, il Padre Eterno, unico pannello rimasto in Certosa del polittico di Perugino, e pale del Cerano, del
Morazzone, del Guercino. Come opere scultoree, invece, degne di nota quelle dell’Amadeo: l’acquasantiera, la statua di
San Giovanni Battista per l'altare della Sala del Capitolo dei Fratelli e i medaglioni con i Dottori della Chiesa. La
facciata è ricoperta di decorazioni con il portale contraddistinto fa colonne binate e bassorilievi.
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La Certosa di Pavia
Un accostamento di stili che trova equilibrio nelle bellezze dei marmi, delle pitture e delle
decorazioni che Gian Galeazzo Visconti fece innalzare a Pavia nel 1396 chiamando i più noti
architetti e artisti dell'epoca.
Il 27 agosto 1396 un folla esultante conveniva in un'area contigua al
parco di caccia del castello di Pavia in cui Gian Galeazzo Visconti e i
suoi tre figli ponevano la prima pietra della Certosa della Madonna
delle Grazie, un progetto nato da un voto della moglie Caterina e
subito concepito dal duca di Milano come grandiosa celebrazione
della dinastia viscontea.
Per molti anni, anche quando ai Visconti succedettero gli Sforza, nella fabbrica della Certosa di
Pavia, fervettero i lavori: il trapestio dei manovali, il vociare dei capimastri, il fracasso di badili e
carrucole turbavano il raccoglimento dei primi monaci certosini che, con le loro vesti bianche, si
aggiravano tra pozze di calce, cataste di legna e cumuli di porfidi, serizzi e marmi provenienti da
Candoglia e da Carrara. Ma quando fu finalmente tolta l'ultima impalcatura, la geometria della
Certosa nasceva da quella confusione come dal compasso di un artefice divino, come simbolo
armonico e rigoroso dell'ordine del cosmo e della regola certosina.
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Protetta com'era da una fitta muraglia boscosa, la Certosa appariva al pellegrino all'improvviso,
inondata d'oro dal sole o ovattata da una poetica coltre di nebbia, come una città incantata con la sua
selva di guglie, pinnacoli, torrette e camini fumanti sui tetti appuntiti.
Sul candore marmoreo della facciata, screziata di rosa e verde antico, schiere di scultori e architetti
hanno disegnato una preziosa pagina miniata di profili di angeli e monarchi, di formelle traboccanti
di plastiche figure, di statue di santi, patriarchi e profeti; hanno infilato lo scalpello anche dietro le
colonne e nelle pieghe più sottili dei pilastri ma hanno risparmiato il registro superiore per
ricamarvi ariose loggette che consentissero alla loro creatura di respirare.
Chi varca l'ingresso della Certosa ha la sensazione di entrare in un angolo di cielo, uno spicchio di
meraviglie rubato al paradiso e riprodotto nella pietra, negli affreschi, in ori, lacche e lapislazzuli.
Ad accogliere lo sguardo, istintivamente rivolto verso l'alto tra i candidi costoloni delle alte volte
della navata centrale della chiesa, sono magiche e intricate geometrie astrali e soprattutto le stelle:
dipinte nell'oro sul soffitto di cobalto, intarsiate nel cotto del pavimento della sagrestia vecchia,
raggianti nei colori caldi dei portali lignei o iscritte nella perfezione del cerchio sulle piastrelle del
presbiterio.
Ai due lati della navata comincia la suggestiva fuga delle piastrelle, ciascuna delle quali è un
piccolo scrigno di opere di rara bellezza, dai bassorilievi che decorano fittamente gli altari alla
raffinatezza dei motivi floreali intarsiati nei paliotti eseguiti nel '600 dai fratelli Sacchi di Pavia.
Con serena compostezza, il "Padre eterno benedicente" dipinto dal Perugino lascia il compito di
vegliare sul nostro passaggio ai Dottori della Chiesa, ai Santi e agli Evangelisti raffigurati dal
Bergognone nelle pale e nelle tavole delle cappelle. In questi dipinti la delicatezza degli accordi
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cromatici e l'espressione benevola dei volti, che sfumano dal rosa al grigio cinerino, crea subito un
clima di domestica confidenza con i personaggi sacri. Ma ci accorgiamo che a seguirci con lo
sguardo sono anche le figure dipinte dagli antichi Certosini che, secolari guardiani del loro tempio,
si affacciano dall'alto da finestre a trompe-l'oil, grazie a un'illusione ottica prospettica, ci appaiono
all'improvviso da una porta socchiusa tra gli affreschi delle cappelle. Un tintinnare di chiavi, il
cigolio dei cardine, dietro di noi, si chiude il cancello che separa la navata dal transetto che
custodisce i monumenti funebri dei due principali mecenati della Certosa:
a nord, le statue giacenti di Ludovico il Moro e Beatrice D'Este,
scolpite da Cristoforo Solari con tale realismo che ci si sorprende
a camminare lentamente, perché un' alito di vento sollevato dal
nostro passaggio non scompigli il morbido intreccio di canne e di
pieghe dei ricchi abiti modellati nel marmo; a sud, il
monumentale sepolcro di Gian Galeazzo Visconti, progettato da
Gian Cristoforo Romano. protetto da un sontuoso tabernacolo,
scolpito con gli episodi della sua vita, il corpo marmoreo del duca
riposa sicuro sotto lo sguardo amorevole delle statue della Fama e
della Vittoria, che tengono lontano gli estranei.
Fu sicuramente grazie al sostegno finanziario del duca che il priore
della Certosa nel 1400 poté sborsare ben 1000 fiorini d'oro per
commissionare un vero e proprio capolavoro a Baldassarre degli
Embriachi: un trittico che l'artista intagliò in legni pregiati, denti di
ippopotami, osso tinto a tartaruga. Conservato nella sagrestia Vecchia,
il trittico apre il sipario con tre archi a sesto acuto che riportano i
portali di una cattedrale gotica, su un dedalo di minutissime tarsie
profilate d'oro e affollate di architetture, uomini e paesaggini che
mettono in scena le storie della vita della Vergine, di Cristo,
dell'indovino Balaam e dei Re Magi.
Se nel divampare di una battaglia lo stemma dei Visconti fa capolino sullo scudo di un soldato, la
piccola Bibbia di osso raffigura in una formella la tavola preparata per l'Ultima cena, attorno alla
quale si dispongono stretti, stretti gli apostoli. Un tema che ricorre in proporzioni sempre più grandi
nell'universo biblico della Certosa, passando per i bassorilievi del presbiterio fino al grande affresco
del Cenacolo che domina il refettorio
In realtà, frugando con lo sguardo ogni nicchia e ogni parete, troviamo ovunque le Sacre Scritture :
un Creatore dalla lunga barba intento a plasmare il primo uomo, Adamo ed Eva che si guardano
come due teneri amanti e poi contorcono i loro corpi sotto il peso della condanna al dolore e alla
fatica; i Magi che si inchinano davanti al Bambino e la samaritana al pozzo sul lavabo in cotto del
Chiostro Piccolo.
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Tra le creature celesti che dimorano nella Certosa, gli angeli sono i più numerosi. C'è quello
birichino che mostra orgoglioso un mazzolino di fiori sulla volta della cappella di S. Caterina,
quello riccioluto che sorride dagli armadi della Sagrestia Nuova, quello che scala le nuvole o che
indossa elmo e armatura per combattere contro il drago nell'altare della cappella di S.Michele
arcangelo.
Intanto dietro l'altare maggiore il sole sfiora con caldi riflessi le città intarsiate sui dossali lignei del
coro e fa avvampare la vetrata, accendendo il caleidoscopio di colori degli smalti dell'assunzione di
Maria E' la più solenne delle aggraziate Madonne che gli artisti della Certosa hanno raffigurato in
atteggiamento quotidiano; dalla Vergine del Tappeto alla Madonna del Garofano, dalla Vergine in
adorazione dai lunghi capelli biondi alla Madonna del Latte racchiusa in un sole dorato
Appesi nella sagrestia Nuova, calici, tuniche, incensori e campanelli, come suggeriscono i fregi
sugli armadi, i monaci tornavano al loro spazio quotidiano. Il piccolo chiostro, con la sua oasi
verde, è solo un assaggio di pace e di silenzio.
E' sul Chiostro Grande infatti; opera di Guiniforte Solari, che si affacciano le porticine e le
finestrelle passavivande delle celle dei monaci, vere e proprie casette con le coperture a punta, una
stanza per pregare e studiare e un giardinetto dove seminare fiori e piane medicinali
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Era questo l'unico sguardo sul mondo consentito alla solitudine dei certosini: un rettangolo di cielo,
le ombre discrete degli archetti avvolti dalla bruma invernale e i fregi e le statue in terracotta che
giocavano nei giorni d'estate a riscaldare il chiostro con i loro colori terrosi.
Sono forse sgattaiolate in chiesa, da questo piccolo angolo di natura, farfalline, chioccioline,
libellule e rane dipinte qua e là negli affreschi o scolpite nei fregi mentre si arrampicano su tralci di
vite. Probabilmente si infilavano anche nello scriptorium per farsi ritrarre dal sottile pennello dei
monaci che lavoravano alacremente per trascrivere e miniare corali e codici liturgici. Restano solo
pochi esemplari dei preziosi manoscritti della biblioteca della Certosa, depredata dalla soldataglia
napoleonica che non risparmiò neanche il sepolcro di Gian Galeazzo.
Un ultimo sguardo alla chiesa per rendersi conto di come la
luce, rendendo opalescenti le sue strutture gotiche, fonda
l'accostamento di tanti stili diversi in un superiore equilibrio, e
infiliamo di nuovo il vestibolo che riporta nel mondo. Tutto
intorno la boscaglia si è diradata, i rumori della città sono più
vicini ma, mentre ci allontaniamo, continuiamo a sentire il
sussurro della Certosa, che sfidando i secoli, giunge fino a noi:
"Gra - Car", Gratiarum Carthusia.
Testo di Barbara Mazzoleni
per gentile concessione della rivista OROBIE
Museo della Certosa di Pavia
Aperto per la prima volta al pubblico nel 1911 e poi rimasto chiuso per quasi mezzo secolo, il
Museo della Certosa di Pavia raccoglie opere provenienti dal complesso monastico o a esso
strettamente collegate. La sua visita costituisce dunque un complemento indispensabile alla
conoscenza e all’apprezzamento del monumento e un’occasione unica per ammirare alcuni
capolavori non altrimenti visibili. Il Museo comprende due sezioni fondamentali. Al piano terreno è
conservata la Gipsoteca, nel recentissimo riallestimento curato dalla Soprintendenza per i Beni
Architettonici e il Paesaggio di Milano, nella quale sono esposti circa 200 calchi in gesso tratti dai
rilievi di facciata, dai chiostri e da altre parti del monastero,
nonché dal monumento sepolcrale di Gian Galeazzo Visconti,
fondatore della Certosa nel 1396. Al piano superiore si
trovano invece paramenti, dipinti e sculture originali, che
ragioni legate alla secolare evoluzione del complesso e alla
sua conservazione hanno via via privato di sede e funzione
originaria. Fra questi si segnalano la grande pala di
Bartolomeo Montagna e i dipinti su tavola, frammenti di
polittici, di Ambrogio Bergognone e Bernardino Luini,
recentemente restaurati sotto la direzione della Soprintendenza
per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico di
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Milano, e gli straordinari altorilievi marmorei con tracce di dorature e policromia realizzati da
Giovanni Antonio Amadeo, Cristoforo Mantegazza e Agostino Busti detto il Bambaja. Sempre al
piano superiore sono esposti ritratti sei e settecenteschi dei Visconti e degli Sforza, mecenati del
monastero, pitture murali staccate attribuite al pavese
Bernardino de’ Rossi e allo stesso Bergognone, dipinti di
Bernardino e Antonio Campi, e una serie di santi certosini. I
calchi in gesso del piano terreno, per la maggior parte opera
dei formatori milanesi Pietro ed Edoardo Pierotti (fine del
XIX secolo), offrono la possibilità di osservare da vicino le
peculiarità iconografiche e stilistiche delle sculture che ornano
la facciata e altre aree di chiesa e convento, nonché di
conoscere la forma del primitivo altar maggiore della chiesa,
oggi conservato nella parrocchiale di Carpiano. Il Museo è
allestito nelle antiche sale del cosiddetto Palazzo Ducale della
Certosa (XV - XVI secolo), già dimora dei duchi e foresteria per gli ospiti di rango. La sua visita
permette dunque di ammirare lo splendore di alcuni ambienti quali l’oratorio e la parete di fondo
della Gipsoteca, dipinti dai fratelli Fiammenghini, e il pregevole studiolo al piano nobile, affrescato
con decorazioni a grottesca del secondo Cinquecento, in cui scene bibliche e della storia romana si
inseriscono in una raffinatissima cornice illusivo-prospettica.
Indirizzo: Viale Monumento - Certosa di Pavia
Tel. 02.72263231 - Fax. 02.72001140
Orario di apertura:
Venerdì, sabato e domenica dalle 14.30 alle 17.45 L'accesso è consentito a
gruppi (massimo 30 persone), con visite guidate gratuite condotte da storiche dell'arte della
Cooperativa Dedalo.
Informazioni e prenotazioni:
[email protected]
tel. 0382 539 638 (Coop. Dedalo) 333 612 73 10
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