Il flusso coronarico è pulsatile - Digilander

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CARDIOLOGIA
Lunedì 23/04/07
Ore 14:00-17:00
Prof. Rebuzzi
IL FLUSSO CORONARICO
Il flusso coronarico è pulsatile. Le coronarie partono dall’interno della valvola
atrioventricolare e ricevono il flusso principale in diastole, elemento fisiologicamente
funzionale perché: - se il flusso andasse in sistole, sarebbe poco in quanto le coronarie
verrebbero quasi ricoperte dalla valvola; - in diastole non c’è contrazione delle camere
cardiache, quindi non c’è tensione del muscolo cardiaco e i vasi, a livello intramiocardico,
non sono compressi. In realtà, le grandi arterie coronarie sono epicardiche, dunque
indipendenti sia dalla sistole che dalla diastole, ma le arteriole e i capillari che seguono stanno
all’interno del muscolo.
La tensione è il motivo per cui, negli ipertesi, si possono avere angina o infarto a coronarie
integre. Vi sono tre elementi che supportano questa tesi:
- gli ipertesi, che spesso sono anche diabetici (e viceversa), hanno una sclerosi dei piccoli
vasi, ossia di capillari e precapillari, che così hanno una minore tendenza a dilatarsi e a
restringersi;
- nell’iperteso, la quantità di tessuto da irrorare, essendovi un’ipertrofia del muscolo cardiaco,
è maggiore; e, naturalmente, i vasi epicardici non aumentano, la quantità di sangue all’interno
delle coronarie rimane quasi la stessa, è solo il muscolo che subisce un ispessimento;
- quando dai vasi epicardici ci si sposta verso l’interno, nel muscolo i capillari e i precapillari
trovano una tensione muscolare maggiore. Ecco perché gli ipertesi possono andare incontro
ad episodi ischemici pur avendo integri quei vasi che osserviamo attraverso la coronarografia.
In realtà, con la coronarografia, esploriamo anche il microcircolo, ma tramite una misura
indiretta e un po’ grossolana, quella del blush grade.
Blush grade: quando si inietta del mdc in una coronaria, si osserva prima la coronaria stessa;
dopo un po’ di tempo, compare un colore grigiastro, proprio del muscolo, se la coronaria lo
irrora in modo adeguato; non compare nulla se il muscolo non è ben irrorato. Questo è un
indice indiretto di stenosi coronarica.
Quando si verifica, in rarissimi casi, un danno da ischemia-riperfusione, iniettando poi il mdc,
si assiste ad un infarcimento massivo di sangue nel muscolo, con conseguente asistolìa e
morte. In tal caso, si dice “a posteriori” che sarebbe stato meglio non procedere con la
riperfusione in seguito all’ischemia, ma, non essendo prevedibile il danno postriperfusionale,
non ci si esime mai dall’adottare questa procedura!
Il flusso necessario a riposo è pari a 1,5 ml/min/100 grammi, al fine di una buona
ossigenazione del tessuto miocardico.
Il flusso necessario in seguito a sforzo è pari a 8-15 ml/min/100 grammi, quindi circa 10
volte maggiore. Questo è il motivo per cui i pazienti con sospetta angina vengono sottoposti al
test da sforzo, per far in modo cha la domanda aumenti, e dunque anche il flusso. Le
coronarie, all’aumento della domanda, rispondono con una produzione endoteliale di diverse
sostanze, tra cui il nitrossido (NO), vasodilatatore. Quando c’è un danno alle coronarie, una
delle conseguenze è la riduzione della produzione di sostanze vasodilatatrici.
Dunque, le coronarie stenotiche perdono tale capacità vasodilatatoria, che normalmente fa sì
che la coronaria compensi, con un aumento del suo diametro, l’aumento della necessità di
flusso. Il fatto che le arterie sclerotiche riducano la produzione endoteliale di NO, proprio
quando ve ne è più bisogno, è il primo segno della presenza di una placca che causa stenosi.
Fattori di rischio che portano a riduzione della vasodilatazione endotelio-dipendente sono:
dislipidemia, ipertensione, diabete, fumo, menopausa (età), iperomocisteinemia, storia
familiare di problemi cardiovascolari. Essendo l’endotelio meno responsivo riguardo al
rilascio di vasodilatatori, ne consegue un aumento della sclerosi coronarica.
Determinanti della domanda di ossigeno:
* Frequenza cardiaca: il meccanismo principe con cui il cuore facilita l’ossigenazione è
l’aumento della frequenza perché, a parità di quantità di sangue espulso in sistole,
raddoppiando la frequenza cardiaca si raddoppia la quantità d’ossigeno trasportata. Tale
1
aumento richiede però un maggior consumo di energia da parte del muscolo, quindi un
maggiore apporto di ossigeno a livello coronarico.
* Contrattilità miocardica: più la pompa cardiaca agisce con vigore, più la cellula si sforza,
più è necessario l’ossigeno. Nel test da sforzo, per valutare l’entità dello sforzo stesso, si
calcola il “doppio prodotto”, ossia Pressione x Frequenza.
* Ormoni: di fronte ad uno stato di agitazione o di paura o provando una forte emozione, si
rilascia Adrenalina, che aumenta la frequenza e la pressione.
* Farmaci: volendo aumentare l’inotropismo cardiaco, usiamo la Dopamina, l’Adrenalina,
con conseguente aumento di frequenza e pressione.
REGOLAZIONE DELL’AUMENTO DI O2 NEL MIOCARDIO
Avviene attraverso i seguenti meccanismi:
- Assunzione e trasporto dell’O2 = grande importanza assumono il polmone ed il tratto
respiratorio in senso lato. Se c’è un problema alveolare (BPCO, edema polmonare) e si forma
del trasudato, viene ostacolato lo scambio di O2, come pure se c’è un ostacolo alle vie di
trasporto dell’O2, dalla bocca al sangue e pure all’interno del sangue (anemia,
emoglobinopatie).
- Regolazione del flusso e della resistenza coronarica = ci sono tre tipi di vasi:
° vasi epicardici coronarici, che esploriamo bene con la coronarografia. Un’ostruzione a
livello coronarico porta ad una riduzione del flusso; questa riduzione può essere sia fissa
(placca) che mobile (spasmo). E’ buona norma, in questi casi, fare 1 cc di nitrati e poi
valutare la stenosi, perché spesso la placca si accompagna alla produzione di sostanze
vasocostrittrici. Allora, con i nitrati, la stenosi si potrebbe anche ridurre perché, se la placca è
mobile, viene meno la componente dello spasmo. Mentre i vasi epicardici sono sensibili
all’azione vasodilatatrice dei nitrati, le arteriole precapillari ed i capillari non lo sono;
° arteriole precapillari, che sono responsive all’adenosina e al dipiridamòlo;
° capillari.
Un’occlusione coronarica trattata con l’introduzione di uno stent può portare o alla ripresa
normale del flusso o, raramente, a un danno da ischemia-riperfusione o, ancor più raramente,
al “no reflow”, un danno del microcircolo valutabile con ecocontrastografia: inietto nella
coronaria un mdc e questo si ferma lì senza espandersi verso il microcircolo. Secondo alcuni,
esso è dovuto a microtrombi che raggiungono il microcircolo; secondo altri, al fatto che, in
presenza del danno, si produce un edema microvascolare, che causa un aumento di pressione
e quindi impossibilità per il sangue di fluire. Può essere contrastato con iniezioni
intracoronariche di adenosina, cui rispondono le arteriole precapillari, che dovrebbero essere
quelle interessate da questo fenomeno.
ISCHEMIA MIOCARDICA: DIFFERENZE TRA APPORTO E NECESSITA’ DI O2
Possiamo avere due tipi di ischemia: da ridotto apporto e da aumentata richiesta.
Quelle da ridotto apporto vengono dette ischemie a basso flusso. Il ridotto apporto può essere
secondario a vasospasmo o a trombosi dei vasi epicardici. Nell’angina instabile e nell’infarto,
si presentano entrambe le condizioni. Se il trombo si forma e poi si scioglie, si riforma e si
riscioglie più volte, si parla di angina instabile; se il trombo rimane permanentemente, si ha
l’infarto (l’entità della placca, in acuto, non ha importanza, è determinante il trombo che nasce
in seguito a disfacimento della placca; invece in cronico, nell’angina cronica stabile, la placca
non si rompe, ma cresce gradualmente e l’entità della placca stessa assume ora la sua
valenza). Non giungendo un flusso adeguato, arriveranno più metaboliti e meno O2, ci sarà
una ridotta performance sistolica (arriva meno sangue), un’aumentata performance diastolica
e una maggiore distensibilità (dovute alle sostanze dannose, più difficilmente espulse dal seno
coronarico per il ridotto flusso).
Quelle da aumentata richiesta sono tipiche delle ostruzioni croniche (angina da sforzo) e sono
dette ischemie ad alto flusso. Si evidenziano maggiormente con un test da sforzo. Sono
secondarie a tachicardia o esercizio fisico.
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Nell’ambito delle sindromi coronariche, vanno ricordati due fenomeni:
* MIOCARDIAL STUNNING
Tipico di IMA, è una prolungata disfunzione della contrattilità miocardica, prodotta da un
breve episodio di severa ischemia. Può essere determinato da un trombo che causa occlusione
e poi si scioglie. E si assiste ad un graduale ritorno alla normale contrattilità quando cessa
l’ischemia. Nei pazienti con IMA, lo stunning riguarda i bordi della zona infartuata, che sono
le zone in cui si può avere la rottura di cuore, in quanto persiste il contrasto tra la porzione
ischemica, che non si contrae più e tende a portarsi all’esterno (generalmente, nel tempo, qui
si forma un aneurisma), e la parte non infartuata, che si contrae maggiormente, per il rilascio
di Adr, e tende ad andare verso l’interno, aumentando la pressione della camera cardiaca
interessata (spt ventricolo sinistro). L’acinesìa si osserverà in una zona più estesa rispetto a
quella infartuata, poiché l’ischemia fa sì che ai bordi della lesione manchi la contrazione. Ciò
è dovuto proprio allo stunning. Dunque, quando si valuta ecograficamente un infarto acuto,
molto probabilmente si ha una sovrastima e la zona interessata dall’infarto è più piccola
rispetto a ciò che vediamo “fermo” (per l’assenza di contrazione).
Ventricolo sx
zona infartuata (assenza di
contrazione)
zona non infartuata
(aumento della
contrazione)
rottura di cuore
acinesìa
* IBERNAZIONE MIOCARDICA
E’ tipica di circa 1/3 dei pazienti cronici (angina cronica stabile). Consiste in una ridotta
funzionalità del ventricolo sinistro, dovuta a riduzione cronica del flusso coronarico, che può
essere migliorata con la rivascolarizzazione. Il miocardio riduce la sua contrattilità per
consumare meno O2 e meglio preservare la sua vitalità di fronte al diminuito afflusso
coronarico. Il tempo di ripresa dopo la rivascolarizzazione, procedura attraverso cui si elimina
totalmente l’ibernazione, è variabile.
L’ibernazione viene valutata con metodi non invasivi (eco, scintigrafia, risonanza).
Esempio pratico: una zona che all’eco appare ipocinesica è indicativa di una stenosi
coronarica, che costringe il muscolo a muoversi di meno. Facendo un’angioplastica, però, per
riaversi dall’ibernazione, il tempo di ripresa della contrattilità sarà graduale.
Dal punto di vista metabolico, ciò che conta è la diminuzione della funzionalità, quindi
l’effetto inotropo negativo, mentre è di minore interesse la riduzione della frequenza cardiaca,
ossia l’effetto cronotropo negativo, che può essere presente ma non è l’elemento essenziale.
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INFARTO
(Il prof. aveva cominciato la trattazione dell’infarto nella precedente lezione!)
E’ importantissima la diagnosi, perché oggi il 4% dei pazienti con IMA è mandato a casa, ma
la mortalità di questo gruppo è del 23% nelle prime 72 ore, contro il 12% di mortalità dei
pazienti ricoverati in toto. Un protocollo di valutazione adeguato può ridurre anche dell’11%
il numero di falsi negativi, evitando di non accorgersi di ciò che invece c’è!
Uno studio piuttosto vecchio riguarda:
** dolore associato alla probabilità che si tratti di un infarto
SINTOMO
PROBABILITA’ %
- Oppressione, senso di morte imminente
24
- Dolore e vomito
13
- Dolore acuto posizionale
5-7
- Irradiazione a mascella-braccio sinistro, alla spalla o
19
dietro o sotto, verso lo stomaco (infarto inferiore)
- Riprodotto da una pressione
1-4
- Assenza di storia di dolori anginosi
-2 (probabilità a favore)
Altro studio:
**ECG associato alla probabilità d’infarto
ECG
PROBABILITA’ %
- Sovraslivellamento ST o onde Q in più di due derivazioni
76
- Sottoslivellamento ST o nuova ischemia in più di
38
due derivazioni
- Altre alterazioni ST o T recenti
21
- Pregresso IMA (l’ECG mostrerà già onde Q)
8
- Alterazioni aspecifiche
5
- Normale
2
Il tratto ST è altamente indicativo; non si sbaglia la diagnosi se è alterato, l’unica diagnosi
differenziale riguarda l’angina di Prìnzmetal, nella quale c’è l’occlusione, ma determinata da
uno spasmo, non dal trombo. E’ buona norma, prima di iniziare la terapia, dare 1 cc di nitrati
o del Carvasin sublinguale o endovena, così, se c’è uno spasmo, questo passa (l’angina di
Prìnzmetal è curabile con i nitrati), se c’è un trombo, i nitrati non hanno alcun effetto
(infarto). Non c’è mai diagnosi di certezza, nulla può darla.
Altro studio:
** Enzimi e probabilità d’infarto
VALORE
SENSIBILITA’ %
SPECIFICITA’ %
(indica patologie)
(indica una particolare patologia)
- CK
38
80
- CK + MB > 5%
34
88
- CK + MB > 9%
21
98
- TT
70
80-85
Gli enzimi vanno sempre richiesti in caso di sintomatologia che faccia sospettare un infarto.
La Troponina può essere leggermente alta in pazienti con insufficienza renale (senza che vi
sia danno) e in chi fibrilla.
Ovviamente, il marker perfetto non esiste. Esso dovrebbe:
^ essere presente ad elevate concentrazioni nel miocardio e assente dal tessuto non miocardico
^ essere rapidamente rilasciato nel sangue dopo danno miocardico
^ essere liberato in quantità direttamente proporzionali all’estensione del danno miocardico
^ persistere nel sangue per tempi sufficienti per dosarlo
^ avere un basso costo
Oggi la Troponina è facilmente misurabile attraverso degli appositi stick.
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Esistono tantissimi markers per le sindromi coronariche acute (SCA), che riguardano
l’infiammazione o la destabilizzazione e la rottura della placca, o ancora che riguardano
l’ischemia o la necrosi. Il BNP riguarda invece la distruzione miocardica.
Markers di necrosi:
Mioglobina, CK-MB, alcuni isoenzimi dell’LDH, Troponine.
- La CK-MB è mediamente elevata nei pazienti con necrosi del muscolo cardiaco, ma può
esserlo anche nei macrodanni muscolari normali.
- La Mioglobina è ottima perché viene rilasciata subito, ma non è specifica, quindi non può
essere dosata da sola perché non possiamo sapere quale sia il muscolo leso; tuttavia, se il
dosaggio della Mioglobina è negativo, ci permette di escludere l’infarto.
- Le Troponine, quando furono scoperte, furono esaltate per sensibilità e specificità. Poiché
indicano una necrosi, se sono elevate si può parlare di infarto. Non sono utili nella
fibrillazione atriale e nell’insufficienza renale, nelle quali possono aumentare, ma sono indici
strettamente associati a danno e mortalità (più è alta la Troponina, più si muore). Dunque, la
Troponina è predittiva di prognosi. Alcuni hanno usato il termine di “infarto miocardico
minore” o “microinfarto” in caso di cTn + e CK-MB -.
La cTnT e la cTnI hanno uguali sensibilità e specificità.
Ritardo di inizio della terapia:
- Nello studio TAMI, si è osservato un tempo d’intervento più prolungato in pazienti con
tempo preospedaliero inferiore.
- Nello studio TIMI, un tempo più corto del 45% in pazienti trattati al DEA.
Dall’arrivo alla visita passano da 23 a 46 min, per fare l’ECG 15 min, per decifrare l’ECG 35
min, per iniziare la terapia altri 20 min. E con la trombolisi, tante vite in più si salvano quanto
prima si interviene.
ANGINA INSTABILE
Patologia caratterizzata dalla rottura della placca, con formazione di un trombo che si scioglie
e si riforma. La placca non deve essere necessariamente critica, e ciò che troviamo all’analisi
contrastografica è spesso un minus nella discendente anteriore prossimale, con un incrocio
(diramazione), in diagonale, chiuso. Sicuramente, qualche tramite in diagonale, che fa passare
il sangue, deve esserci, altrimenti si tratterebbe di occlusione. Poi la placca si rompe, le
piastrine in circolo si aggregano attraverso i recettori IIb/IIIa e si attivano, producono
Trombossano, si pongono sul vaso formando il trombo e chiudendolo totalmente. Ci sono
inibitori di questa aggregazione piastrinica, sia a livello iniziale (aspirina, clopidogrel,
ticlopidina), sia a livello finale (inibitori della glicoproteina IIb/IIIa, che si usano nella terapia
dell’angina instabile).
La classificazione dell’a. instabile più nota è la classificazione di Braunwald, che divide
l’angina instabile in base a severità e tipo.
* In base alla severità, distinguiamo:
I classe: angina di recente insorgenza
II classe: angina a riposo, con dolore nell’ultimo mese, ma non nelle ultime 48 ore
III classe: angina a riposo, con dolore nelle ultime 48 ore.
Quanto più la classe è alta, maggiore è la mortalità o la possibilità di avere infarto a 1 anno
(rispettivamente 7, 10, 11% per le 3 classi).
* In base alla clinica, distinguiamo:
A o angina secondaria: si manifesta in presenza di altre condizioni che possono scatenare
l’ischemia miocardica, come tachicardia, anemia…
B o angina primaria: si manifesta a riposo e in totale assenza di condizioni extracardiache.
C o angina postinfartuale: si manifesta dopo due settimane da un infarto miocardico.
La classe B è un indicatore prognostico negativo, la classe C lo è ancora di più ma spesso non
è molto considerata.
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Indicatori clinici di aumento del rischio in angina instabile o in IMA senza elevazione ST
(i due processi sono considerati un continuum):
° Storia:
- età avanzata (>70)
- Diabete Mellito
- angina o infarto
- malattie vascolari periferiche pregresse
- pregresso infarto
° Presentazione clinica:
- Classe II o III di Braunwald (dolore acuto o subacuto a riposo)
- Classe B (a. instabile secondaria)
- Ipotensione o danno cardiaco (aritmia ventricolare)
Test predittivi
- ECG da sforzo (utile per a. stabile cronica o a. instabile nelle fasi quiescenti, MAI in fase
acuta), che però dà falsi positivi nelle donne con problemi mammari o negli ipertesi che non
abbiano un danno coronarico epicardico visibile.
- ECG (sovraslivellamento ST o sottoslivellamento ST o blocco di branca sinistra mai
comparso prima dell’episodio anginoso, alto predittore prognostico che indica che l’episodio
ischemico ha alterato il fascicolo di conduzione).
- Scintigrafia miocardica: spesso, però, dà falsi positivi nelle sofferenze della zona inferiore
del cuore, zona in cui tale esame ha un basso potere diagnostico.
- TC multistrato: a seconda della velocità di acquisizione delle immagini, si vedono bene le
coronarie. E’ come una coronarografia indolore. Molto dipende da quante immagini si
acquisiscono al sec; oggi molto buone sono quelle da 64 acquisizioni/sec e stanno per uscirne
altre da 128/sec. La TC sul cuore è meno efficiente perché si tratta di un organo in
movimento, soprattutto la coronaria destra oscilla maggiormente nello spazio; inoltre, la TC
non permette di vedere nulla sotto lo stent.
La Risonanza Magnetica non è molto utile per diagnosticare una stenosi; è più utile per
analizzare la vitalità del miocardio.
Diversi studi sono stati condotti per stabilire se intervenire subito con un’angioplastica
(invasiva) o procedere prima con una terapia (conservativa). Vi sono due correnti di pensiero:
1. Non c’è differenza: appoggiata dagli studi TIMI IIIB (riguardo la mortalità o l’infarto
a 6 settimane, in 1500 pazienti con angina instabile non c’era un gran vantaggio a fare
l’angioplastica d’urgenza), VANQWISH (riguardo alla mortalità o l’infarto a 3 anni,
non c’era un forte vantaggio alla sopravvivenza scegliendo la terapia invasiva al posto
delle conservativa), OASIS.
2. Occorre privilegiare la terapia invasiva: appoggiata dagli studi FRISC 2 (la mortalità a
6 mesi si riduce adottando l’angioplastica), TACTICS-TIMI 18 (la terapia invasiva
registra maggiori vantaggi, soprattutto in pazienti con Troponina più alta).
Ciò in parte dipende anche dal fatto che la farmacologia, a differenza dell’angioplastica, non
ha fatto molti passi avanti.
E’ stato poi dimostrato che, in presenza d’infiammazione, la prognosi è peggiore, per aumento
della Proteina C Reattiva. Se ai pazienti dosiamo Troponina e PCR ed esse sono negative, la
prognosi a 3 mesi è buona, contro una mortalità del 50% circa per chi ha i due indici positivi.
In conclusione, bisogna sempre valutare gli indici di necrosi, infiammazione, di ECG, di
anamnesi.
Sempre nello studio FRISC 2, si è cercato di capire se convenga fare la terapia con dalteparina
nei pazienti con a. instabile e si è visto che è indispensabile in chi non viene sottoposto ad
angioplastica e utile in chi subisce l’angioplastica. A quest’ultimo gruppo, se l’instabilità è
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elevata, conviene fare, oltre all’aspirina e agli inibitori dell’ADP (clopidogrel e ticlopidina),
gli inibitori della glicoproteina IIb/IIIa.
Nello studio CURE, si è sottolineata l’efficacia del clopidogrel, in aggiunta all’aspirina, che
va SEMPRE data, tranne se il paziente ha un’ulcera; in tal caso, si usa il solo clopidogrel.
Prima, a chi faceva l’angioplastica venivano somministrate aspirina e ticlopidina, ma si è
compreso, da alcune metanalisi, che quest’ultima causa leucopenia, problemi ematologici e
problemi epatici; dunque, la ticlopidina è stata sostituita dal clopidogrel.
Digressione sugli stent medicati:
Le sostanze più usate per ricoprire gli stent medicati sono: il taxolo, che è un antiblastico, o il
sirolimus e derivati, appartenenti agli antinfiammatori.
Gli stent non medicati, dunque metallici, nei primi 6 mesi causano una riocclusione in un 2030% dei casi. I meccanismi attraverso i quali si può avere riocclusione sono: trombosi (evento
acuto o subacuto che si manifesta nelle prime ore o nei primi giorni) o eccessiva
riepitelizzazione dello stent (evento cronico), che nel tempo viene ricoperto da endotelio.
Gli stent medicati danno invece riocclusione nel 9% dei casi e non all’interno dello stent,
bensì ai bordi. Si elimina l’eccessiva riepitelizzazione dello stent, quindi anche il processo
infiammatorio e il seguente processo riparativo, grazie all’uso di antiblastici o
antinfiammatori. L’elemento negativo è la più facile trombizzazione causata dagli stent
medicati, se non si fa un’antiaggregazione attenta e prolungata: questo perché la
riepitelizzazione è molto lenta (a causa dell’antiblastico), dunque c’è un maggior tempo di
esposizione al metallo dello stent, che risulta più trombigeno del tessuto endoteliale, già per il
solo fatto che non produce nitrossido. Inoltre, se la quantità di antiblastico viene rilasciata
presto o in modo eccessivo, può causare la comparsa di aneurisma (raro).
Clopidogrel e aspirina, oggi, si somministrano ai pazienti con stent medicati per circa un anno
e mezzo.
Nell’infarto acuto, vengono rilasciati talmente tanti fattori aggreganti (come Trombossano)
che uno stent medicato sarebbe deleterio, essendo esso stesso più trombigeno.
Lo stent non medicato, invece, causa un’occlusione più in cronico.
Da varie metanalisi, si è osservato che gli stent medicati, proprio perché si chiudono in acuto,
sono più mortali. Oggi si sta lavorando su studi che confutino tale risultato. Per cui il prof.
non sa dire se sia più vantaggioso uno stent medicato o non medicato. E’ certo che più gli
stent sono lunghi e piccoli, più tendono a chiudersi.
Nei diabetici gli stent si chiudono nel 30% in più di casi rispetto ai non diabetici.
Al di sopra dei 4 mm di diametro, non serve introdurre lo stent medicato. Dai 3,5 mm in giù,
risulta più utile inserirlo.
Caso: diabetica con infarto inferiore e con conseguente blocco atrioventricolare (la coronaria
destra irrora la parte inferiore del setto, ove passa il fascio di His). La coronaria destra era
ostruita all’inizio del suo percorso. E’ stato inserito un catetere, è stato iniettato il mdc, che ha
permesso di visualizzare la coronaria e le diverse stenosi presenti. Si procede con riperfusione
e posizionamento dello stent. Comincia uno stato di malessere della paziente, dunque si fa
un’altra iniezione e il mdc inizia a vedersi anche nel muscolo, fuori dalle coronarie. Si arriva
ad una completa imbibizione della parete inferiore del ventricolo e del setto: danno da
ischemia-riperfusione. Sarebbe stato meglio non riperfondere! Ma non si poteva prevedere
tutto questo.
Josè
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