La visione di un’economia sociale di mercato di Antonio Tajani Vicepresidente della Commissione europea, Responsabile per l’Industria e l’Imprenditoria Nel marzo 2010 la Commissione europea ha varato – attraverso il suo principale documento programmatico, Europa 2020 – una strategia per il prossimo decennio, saldamente improntata ai principi dell’economia sociale di mercato. Dalla crisi finanziaria ed economica abbiamo tratto innumerevoli lezioni. Fra tutte spicca, sicuramente, la necessità di liberarci dalla grande speculazione – la finanza fine a se stessa – restituendo piena centralità all’industria, alle piccole e medie imprese, agli imprenditori e ai lavoratori. Oggi comprendiamo, più che mai, come i mercati finanziari internazionali abbiano bisogno di regole, affinché possano funzionare in modo sostenibile. Abbiamo bisogno di un contesto globale in grado di mantenersi al passo con le innovazioni dei mercati finanziari. Nonostante le attuali avversità e i nodi regolatori irrisolti, sono convinto che le forze di mercato siano in grado di creare crescita, prosperità e benessere in tutto il mondo. Il potere dell’economia di mercato di generare benessere e di ampliare la libertà è, fino ad ora, ineguagliato, ma questa crisi ci ha anche ricordato una delle lezioni principali di Ludwig Erhard (artefice del miracolo economico tedesco): senza le istituzioni appropriate e le giuste condizioni di fondo, il mercato può muoversi senza controllo. Questo deve essere evitato, poiché il mercato non si esaurisce in se stesso, ma dovrebbe essere al servizio dei cittadini. Europa 2020 contiene un forte impegno nella dimensione sociale. Infatti, tra gli obiettivi che si prefissa all’orizzonte del 2020 figurano iniziative per la lotta alla povertà, la riduzione del tasso di abbandono scolastico (dal 15% al 10%) e l’innalzamento al 75% della percentuale di occupati tra la popolazione attiva (oggi siamo fermi al 69%). Una delle cinque priorità di questa strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, riguarda proprio la promozione dell’inclusione sociale, in particolare attraverso la riduzione della povertà, mirando a liberare almeno 20 milioni di persone dai rischi di povertà e di esclusione entro il 2020. Una delle sette iniziative-faro che sostengono e promuovono il conseguimento degli obiettivi di Europa 2020 è la Piattaforma europea per la lotta contro la povertà. Basandosi sull’eredità dell’Anno europeo 2010, questa Piattaforma avrà il 63 La visione di un’economia sociale di mercato compito di integrare la dimensione sociale nelle varie priorità politiche. 64 In questo contesto mi piace ricordare l’importanza della politica per la responsabilità sociale d’impresa (RSI), di cui mi occupo in qualità di Commissario europeo all’Industria e all’Imprenditoria. Siamo consapevoli che le nostre imprese devono rafforzare la propria competitività. Questi sforzi, tuttavia, non sono mai fini a se stessi. L’Europa ha bisogno di imprese competitive, ma anche di imprese socialmente responsabili. L’obiettivo della crescita, legato a quello della competitività, non deve mai perdere di vista il vero orizzonte: creare le premesse per diffondere il benessere nonché eguali e migliori condizioni a favore di tutti i cittadini europei. La responsabilità sociale d’impresa rappresenta un valore aggiunto che è perfettamente compatibile con tale visione. Le imprese non sono fatte soltanto dall’imprenditore e dal capitale che vi è investito. Le imprese sono fatte di persone, di donne e uomini che quotidianamente vi lavorano, per realizzare idee, prodotti, servizi e – in ultima analisi – per produrre benessere a vantaggio di tutti. Non dobbiamo sottovalutare il potenziale di cui la responsabilità sociale d’impresa è dotata, in particolare per la sua peculiare capacità di costruire (e ripristinare) la fiducia dei cittadini nei confronti delle imprese e, più in generale, del mercato stesso. Entro l’estate presenterò una nuova Comunicazione in materia di RSI nel corso del prossimo anno. E un tema che intendo inserire nel testo della nuova Comunicazione è quello dei Diritti umani. Legare la ripresa economica alla centralità dell’uomo Superare le degenerazioni di un’economia “virtuale” basata sulla finanza, ha imposto alle nostre agende politiche il ritorno all’economia reale, dove le imprese e l’industria riacquistano un posto e un ruolo centrale. Riaffermare una visione etica – vero punto di incontro tra cattolici e laici – rappresenta sicuramente l’approccio migliore su cui fondare qualsiasi manifesto programmatico per la ripresa economica, legandola alla centralità dell’uomo, come individuo e cittadino. Su mandato del presidente Barroso, lo scorso ottobre, ho definito un quadro strategico per una nuova politica industriale integrata e davvero europea. Una strategia basata su un nuovo approccio, capace di guidare e mantenere saldamente la barra della ripresa mentre – allo stesso tempo – siamo chiamati a rafforzare i nostri sforzi per preparare la transizione verso un’economia più verde, più sostenibile, più rispettosa dell’ambiente. Vedere come Italia, Germania, Spagna, Francia e Inghilterra, solo per citare alcuni Paesi che già hanno preso spunto da tale riferimento per l’adozione di una strategia nazionale per una rinnovata politica industriale dove si dia spiccata attenzione alle necessità delle PMI, mi rassicura e stimola ancor di più nell’andar avanti in tal senso. Durante la fase di stesura del documento mi sono in particolare battuto affinché fosse riconosciuto alle PMI un ruolo da protagonista. Infatti, una delle linee d’azione pone l’accento proprio sulla necessità di migliorare il clima imprenditoriale per le PMI e di favorirne l’internazionalizzazione. Non possiamo infatti dimenticare che il 15% del PIL europeo è generato dal comparto manifatturiero, che, inoltre, occupa oltre 20 milioni di persone a livello continentale. Innanzitutto, la nuova politica industriale europea ha il compito di rilanciare l’economia, creando le condizioni affinché le nostre imprese siano competitive sui mercati mondiali. Come ha ricordato recentemente l’industriale indiano Mukesh Ambani – l’uomo più ricco dell’India – spronando gli industriali del suo Paese a farsi carico della povertà diffusa nel Paese: «I profitti sono importanti per gli azionisti, ma nessuna attività economica è sostenibile, a meno che gli imprenditori non abbiano una visione più ampia e non contribuiscano a cambiare le vite di milioni di persone». 65