Una proposta di introduzione storica intuitiva ai concetti entropici Angelo Baracca, Dipartimento di Fisica, Università di Firenze ([email protected]) Il secondo principio della termodinamica riveste un ruolo peculiare nell’insegnamento della fisica: da un lato esso è la legge che tratta in modo più diretto i processi reali; dall’altro, però, lo fa con un’applicazione molto sottile del processo di astrazione (che spesso, giustamente, risulta molto ostico agli studenti), passando attraverso il concetto di trasformazione reversibile, ed introducendo uno dei concetti più difficili, quello di entropia. In questo caso un approccio storico può risultare particolarmente efficace, perché gli studenti devono affrontare in poche settimane problemi la cui comprensione ha richiesto più di un secolo agli scienziati, e il ricorso ai concetti (provvisori o rigorosi) che questi via via svilupparono può fornire un valido supporto. Non deve spaventare, da questo punto di vista, la possibilità di ricorrere anche a ragionamenti o analogie che oggi appaiono “erronei” a noi che abbiamo una preparazione accademica: d’altra parte, lo studente non ha il nostro concetto scientifico di “dimostrazione”, e non credo che basti una prova rigorosa per convincerlo, o fargli capire un concetto o una legge. Inoltre, solo una parte degli studenti affronteranno una carriera scientifica, ma la scuola ha il compito di fornire al cittadino comune nozioni e un abito mentale sostanzialmente corretti e duraturi, e non necessariamente nozioni quantitative che verranno per lo più scordate rapidamente. Nel caso del secondo principio l’opera di Sadi Carnot del 1824 ha costituito una pietra miliare, ma verso di essa permane uno strano atteggiamento. È noto che Sadi adottò per lo studio dei motori termici un’analogia idraulica, che si è soliti interpretare dicendo che egli considerava il calore come un fluido che si conserva, una concezione che sappiamo essere errata. È vero che a quel tempo la teoria del fluido calorico era la più comune (con l’eccezione semmai di Rumford, un personaggio che fu però a metà strada tra lo scienziato e l’avventuriero1), ma non sembra che il libro di Carnot vi faccia riferimento in termini univoci. D’altra parte, egli non poteva certamente avere una teoria del calore: e in effetti il modo in cui si riferisce al calore non appare univoco, a volte parla di calorico, altre di calore, o fuoco2. Senza contare che in un manoscritto giuntoci postumo, di poco successivo (Sadi morì nel 1832), egli afferma esplicitamente che «il calore non è altro che potenza motrice o piuttosto movimento che ha cambiato di forma, un movimento delle particelle dei corpi»3, e giunge perfino a calcolare (anche se non è chiaro come) un valore per l’equivalente meccanico del calore di 3,7 J/cal, notevolmente vicino a quello attuale4. A prescindere dalla “interpretazione autentica” del pensiero di Sadi, che qui non mi interessa, vorrei proporre una “lettura” del suo approccio che si presta a dare una base intuitiva, materiale, al complesso concetto di entropia: semmai non - soprattutto per coloro che possono storcere il naso come deduzione rigorosa, ma come supporto, analogia comprensibile, da completare poi con la dimostrazione formale tradizionale. L’idea è di usare come analogia idraulica solo quella tra la “quota termica” e la quota geometrica, senza introdurre nessuna concezione per il calore: portando questa analogia fino alle estreme conseguenze, si può arrivare a trarre un’indicazione sull’espressione che deve avere la quantità fisica che si conserva “attraversando” la macchina 1 Può risultare divertente anche per gli studenti la lettura del libretto di S. C. Brown, Il Conte Rumford, un Avventuriero Scienziato, Bologna, Zanichelli, 1966; v. anche S. Bergia, G. Dragoni, G. Gottardi, Dizionario Biografico degli Scienziati e dei Tecnici, Bologna, Zanichelli, 1999; AIF, Il Fisico della Settimana, http://www.aif.it/index.php?FISICI_4/fisico13.htm. 2 Questa questione è stata discussa nella storiografia della scienza, v. ad esempio le note di E.Mendoza alla traduzione inglese, Reflexions on the Motive Power of Fire by S. Carnot, New York, 1960, p. XVII. Questa questione è legata anche all’uso che qui proponiamo dell’analogia idraulica per introdurre un concetto di entropia, anche se il nostro scopo è puramente didattico e non ha pretese di fedeltà storica: v. la nota 15, p. 86, della traduzione italiana di G. Peruzzi: Sadi Carnot, Riflessioni sulla Potenza Motrice del Fuoco, Bollati Boringhieri, 1992. 3 Sadi Carnot, Riflessioni sulla Potenza Motrice del Fuoco, trad. it, cit., Appendice, Note fisico matematiche, p. 73. 4 Ivi, p. 74, e nota 122, p. 118; v. anche l’Introduzione di R. Fox, p. XLI. termica ideale. Tale quantità risulta essere Q/T, e non Q. Ritengo che per lo studente, che non ha precedenti idee rigorose sul calore (né si persuade con le nostre dimostrazioni rigorose), possa risultare intuitivo accettare questa indicazioni, ed assimilare il concetto che Q non si conserva (collegandolo così al primo principio e al rendimento), mentre Q/T si conserva “attraverso” la macchina ideale5. Si tratta certo di un modo di intendere l’entropia un po’ diverso da quello a cui siamo abituati noi fisici: mostrerò però che questo uso dell’approccio di Sadi si presta per svolgere ragionamenti intuitivi, ma rigorosi, sui dispositivi energetici, la qualità dell’energia e il suo uso razionale, che è un problema così attuale, e più interessante per il cittadino istruito del calcolo dello stato di equilibrio in un processo irreversibile. Inoltre, questo “criterio di Carnot”, basandosi sulla qualità dell’energia, corrisponde proprio all’efficienza di secondo principio, che è stata introdotta nell’ultima trentina d’anni (dopo lo shock petrolifero del 1973), criticando il tradizionale concetto di rendimento perché dipende solo dalla quantità di energia. Per presentare questo approccio all’opera di Sadi Carnot è necessaria una premessa sugli sviluppi precedenti della tecnologia idraulica, ai quali infatti Sadi fa diretto riferimento (anche perché erano stati generalizzati da suo padre Lazare). Efficienza e dissipazione nell’uso dell’energia meccanica, primi studi sulle ruote idrauliche L’impostazione concettuale di Sadi Carnot affonda infatti le radici nella nascita dei concetti energetici nell’Inghilterra del 18o secolo, sviluppati nel contesto della “meccanica pratica” inglese, applicati direttamente alle macchine, in particolare alle macchine idrauliche. Al decollo della Prima Rivoluzione Industriale si presentava un collo di bottiglia energetico, che venne risolto inizialmente dall’energia idraulica: i perfezionamenti, pratici e concettuali, che John Smeaton (1724-1792) apportò alle ruote idrauliche nel 1759 6 furono così efficaci che ritardarono fino al secolo successivo la necessità del ricorso massiccio all’energia del vapore, nonostante i progressi fatti anche in quel campo. Il passaggio da una mentalità meccanica ad una termodinamica non fu immediato: si può dire che quest’ultima venne inaugurata da Watt, mentre Smeaton, anche quando migliorò la macchina di Newcomen, non superò l’orizzonte della meccanica (per molto tempo la macchina a vapore di Watt venne utilizzata per sollevare acqua ed azionare da sopra una ruota idraulica). Il grande avanzamento di Smeaton si può riassumere come segue. Le ruote idrauliche esistevano da secoli. Smeaton introdusse la prima definizione moderna di potenza e di lavoro meccanici (peso per l’altezza a cui viene sollevato nell’unità di tempo) e, dovendo comparare nella discesa dell’acqua da una certa altezza il dislivello da essa percorso in caduta libera con il dislivello percorso azionando le pale della ruota, utilizzò correttamente i concetti che oggi distinguiamo come energia cinetica ed energia potenziale. Egli affermava infatti che i due tratti sarebbero del tutto equivalenti (in termini moderni: trasformazione di energia potenziale in energia cinetica o in lavoro), se non intervenisse la circostanza cruciale che l’urto dell’acqua sulle pale è inelastico, per cui in esso si dissipa gran parte dell’energia cinetica acquistata nella caduta libera. Questa considerazione fondamentale (forse oggi intuitiva per qualsiasi studente, anche se non avesse capito formalmente la conservazione dell’energia meccanica) lo condusse a formulare la prescrizione per Un collega tedesco, Friedrich Herrmann dell’Università di Karlsruhe, ha proposto un manuale di fisica per la Scuola Secondaria che introduce e sviluppa in modo coerente e completo la termodinamica partendo dal concetto seguente: tutto torna perfettamente e rigorosamente se quello che nel senso comune si intende come il calore scambiato tra due temperature lo si interpreta come entropia. Egli recupera effettivamente su questa base tutta la termodinamica che conosciamo, e sostiene che questo approccio risulta intuitivo ed efficace per gli studenti: in effetti, essi non devono “cancellare” i concetti imprecisi di senso comune per “sostituirli” con concetti “rigorosi”. F. Herrmann, Der Karlsruher Physikkurs, Ein Lehrbuch für den Unterricht der Sekundarstufe, AULIS-Verlag, Köln (http://www.physikdidaktik.uni-karlsruhe.de/); trad. italiana, Il Corso di Fisica di Karlsruhe, Volume 1: Energia, Quantità di Moto, Entropia, 2006 (http://job-stiftung.de/index.php?id=50,0,0,1,0,0). Sull’impostazione generale del corso si possono vedere: H. Fuchs, The Dynamics of Heat, Springer, New York, 1996; G. Job, Neudarstellung der Wärmelehre, Akademische Verlagsgesellschaft, Frankfurt, 1972. 6 John Smeaton, “An experimental enquiry concerning the natural powers of water and wind to turn mills and other machines depending on a circular motion”, Phil. Trans., 51 (1759). 5 migliorare il funzionamento (oggi diremmo il rendimento) della ruota: occorre ridurre al minimo il tratto hlib del dislivello percorso dall’acqua in caduta libera hlib minimo (1) Il “principio di Smeaton” è rimasto la base dei principi fondamentali della moderna tecnologia idraulica: in una turbina l’acqua deve entrare ed uscire con velocità relativa minima rispetto alle pale. Questo principio di Smeaton fu generalizzato nel 1783 dal padre di Sadi, Lazare Carnot (17531823), nel criterio che nelle macchine meccaniche è necessario eliminare (o ridurre al minimo) gli urti tra le parti, e trasmettere il moto “per gradi insensibili”: su questa base egli formulò, anche in termini quantitativi, la teoria generale delle macchine meccaniche. A questo proposito, dal punto di vista storico, si tenga presente che la “meccanica pratica” britannica veniva tradotta in “meccanica razionale”, sistematica e matematizzata, nella Francia pre-rivoluzionaria, dove la borghesia era ancora ingabbiata dall’Ancien Régime assoluto e non poteva che sublimare in termini ideologici e razionali le realizzazioni della borghesia britannica (illuminismo, Enciclopedie). James Watt: necessità di due sorgenti di calore Il ruolo di James Watt (1736-11819) nello sviluppo non solo della tecnologia, ma anche della scienza del calore è stato enorme (malgrado vi siano trattati di storia della scienza che nemmeno lo citano, considerandolo un “tecnico”) e può avere applicazioni didattiche interessantissime, anche se qui accenneremo solo ad alcuni aspetti pertinenti per la nostra analisi. Watt giunse al riconoscimento esplicito che il funzionamento di una macchina termica ciclica necessita di (almeno) due sorgenti di calore a temperatura diversa, cioè di un “salto di temperatura”. Egli se ne rese conto quando, essendo stato incaricato di riparare una macchina di Newcomen, capì la necessità di tenere il cilindro allo stesso tempo più caldo possibile all’ingresso del vapore, e più freddo possibile nella sua condensazione: il dilemma, apparentemente insolubile, lo condusse alla fondamentale invenzione del condensatore separato. Il ragionamento di Watt porta a toccare con mano la necessità di due sorgenti di calore a temperature diverse, e si presta ad introdurre la formulazione di Kelvin del secondo principio, nonché il concetto tradizionale di rendimento. Inoltre, come Smeaton aveva definito il lavoro meccanico, Watt introdusse concretamente il lavoro termodinamico attraverso il diagramma indicatore, realizzato con un geniale manometro che riportava in continua i valori del volume e della pressione all’interno del cilindro, cioè il ciclo della macchina nel piano P-V 7: questo si rese per lui necessario quando la macchina non funzionava più come pompa, cioè come macchina meccanica, ma azionava direttamente i macchinari, trasformando il moto alternato in moto circolare. Sadi Carnot: la dinamica del calore Veniamo alla teoria delle macchine termiche sviluppata da Sadi Carnot nel 1824. Egli adottò effettivamente l’analogia idraulica, ma non è affatto necessario assumere che l’analogo del «fluido» che “attraversa” la macchina sia il calore. Assumiamo infatti che l’analogo della “quota geometrica” h sia la temperatura T (assumiamo direttamente la temperatura assoluta, che è la vera temperatura termodinamica; non ipotizziamo nulla sulla natura del calore): h→T (2) Rifacendoci al criterio di Smeaton (1), chiediamoci come si può pensare di realizzare una ruota idraulica ideale, capace cioè di trasformare integralmente l’energia potenziale dell’acqua in energia della ruota. Per questo è necessario eliminare qualsiasi dislivello finito attraverso cui l’acqua cada in caduta libera, Δhlib = 0. A ben vedere, per evitare qualsiasi urto inelastico, l’acqua non solo deve entrare ed uscire dalle pale senza percorrere nessun tratto in caduta libera, ma deve venirvi V. ad esempio R. L. Hills e A. J. Pacey, “The measurement of power in the early steam driven textile mills”, Technology and Culture, 13 (1972); A. Baracca, “Sadi Carnot e la teoria del calore: storia e attualità didattica”, Giornale di Fisica, 27, 57-78 (1987). 7 depositata in modo infinitamente lento (le pale sarebbero opportunamente sostituite da “tazze”, fig. 1), e la ruota deve ruotare in modo infinitamente lento. Traducendo questa prescrizione, Carnot deduce che in una macchina termica ideale è necessario evitare qualsiasi passaggio diretto di calore attraverso un salto finito di temperatura 8 (3) Tdir 0 Da questo criterio seguono direttamente la macchina ideale e la reversibilità termodinamica. Possiamo osservare che questo “criterio” è in accordo con i requisiti dell’entropia: infatti il passaggio diretto di una quantità di calore Q da una temperatura T1 ad una temperatura T2 T1 Q Q 0 , cioè una degradazione. comporterebbe un aumento di entropia S T1 T2 Guida intuitiva al concetto di entropia “Forziamo” ora l’analogia, al di là del ragionamento di Carnot9. Scriviamo formalmente il “rendimento” della ruota idraulica ideale come Mg h1 Mg h2 h1 h2 ID . (4) idr Mg h1 h1 In realtà esso è uguale ad 1 perché la quota di riferimento in meccanica è arbitraria, per cui si può assumere h2=0. Se usiamo l’analogia (2), troviamo per il rendimento del motore termico ideale T T2 ID . (5) term 1 T1 La (5) non può raggiungere il valore 1 perché la “quota” zero per la temperatura non può essere scelta arbitrariamente (zero assoluto della temperatura). Facciamo ora un ulteriore passo. Sappiamo che la quantità di calore non si conserva “azionando” la macchina, cioè Q2 ≠ Q1: possiamo individuare, dal paragone con il caso meccanico, una quantità termodinamica che si conservi? (Ovviamente nella macchina ideale, reversibile) Nel caso meccanico si conserva sicuramente la massa (o il peso) Mg dell’acqua: ma, essendo Emecc = Mgh, essa si può esprimere formalmente come E (6) Mg mecc . h Dall’analogia idraulica possiamo allora ipotizzare che nei processi termodinamici reversibili si conserva la quantità Q (7) S rev , T che chiamiamo variazione di entropia (come si vede, il calore è considerato alla stregua di un’energia). In effetti, nella trattazione solita, dal rendimento (5) della macchina ideale si deduce Q2,rev Q1,rev Q2,rev T 1 1 2 , (7) Q1,rev T1 T1 T2 cioè la quantità (7) effettivamente si conserva “azionando” la macchina ideale. 8 Sadi Carnot, Riflessioni sulla Potenza Motrice del Fuoco, trad. it, cit., p. 14: «la condizione necessaria per raggiungere il massimo [di potenza motrice] è che non si produca, nei corpi impiegati per realizzare la potenza motrice del calore, alcuna variazione di temperatura che non sia dovuta a una variazione di volume»; e più chiaramente, p. 15, per condensare il vapore non si deve «rimetterlo subito a contatto con» il corpo usato per generarlo, perché «vi sarebbe allora contatto tra corpi a temperature diverse e quindi perdita di potenza motrice». Sadi è consapevole che è necessario supporre che vi sia una differenza di temperatura «infinitamente piccola» (p. 16). Si vedano anche le note di commento 20 (sulla discendenza da Lazare) e 21, p. 88. 9 V. anche A. Baracca, Fisica per Scienze Biologiche e Ambientali, McGraw-Hill, 2008,Cap. 4; “Approccio storico ai concetti di entropia e di efficienza energetica”, in Il Degrado dell’Energia, sito Internet Treccani Scuola. Possiamo “forzare” ulteriormente il ragionamento per i processi irreversibili. Nella ruota idraulica reale l’energia meccanica non si conserva: poiché Δhlib 0, l’energia utilizzata dalla ruota, Eutil, è minore dell’energia totale disponibile, Eutil < Emecc . Se nella (6) ci concentriamo sul secondo membro (M si conserva comunque), poiché il dislivello totale h non cambia, abbiamo nel caso reale rispetto a quello ideale Emecc Eutil . (8) h h L’analogia idraulica ci porta allora a concludere per un trasferimento di calore irreversibile alla medesima temperatura T Q Q (9) S rev irrev , T T che rappresenta proprio il secondo principio della termodinamica. Questo ragionamento non è chiaramente una “dimostrazione”, ma può rendere più intuitivo il concetto di entropia. Di fatto esso è confermato dal ragionamento rigoroso nel caso irreversibile Q2,rev Q2,rev Q1,irrev T 1 1 2 . (10) S Q1,irrev T1 T2 T1 Criterio intuitivo per valutare l’uso razionale dell’energia Al di là di queste “forzature” formali, il criterio (2) di Carnot si presta per valutare in termini intuitivi, ma rigorosi dal punto di vista entropico, l’efficienza dei dispositivi energetici e gli usi razionali dell’energia. Il criterio equivale a quella che viene chiamata efficienza di secondo principio (il rendimento reale in rapporto al rendimento di un dispositivo ideale), e corrisponde alla frazione del “salto termico” T1 T2 (qualità energetica) disponibile che viene effettivamente utilizzata in una trasformazione, o da uno specifico utilizzatore energetico (fig. 1.a). La scala della qualità dell’energia va infatti dal calore a temperatura più alta al calore a temperatura più bassa: nella nostra impostazione essa discende dal principio di Carnot (2), che identifica uno spreco con il passaggio diretto di calore da una temperatura più alta ad una più bassa10. É immediato capire, ad esempio, il vantaggio dei motori a combustione interna rispetto a quelli a combustione esterna: i primi utilizzano direttamente la temperatura di combustione, mentre i secondi utilizzano la temperatura Tvap del vapore, e quindi una frazione molto più piccola del “salto” disponibile (fig. 1.b), sprecando l’alta qualità del calore di combustione. L’uso razionale dell’energia consiste nell’usare una fonte energetica di qualità (temperatura) il più possibile vicina a quella di utilizzazione. Per avere un criterio del tutto generale è necessario potere trattare alla stessa stregua anche l’energia elettrica e meccanica. Poiché la qualità di queste energie è maggiore di quella del calore a qualsiasi temperatura (se si lancia un razzo nel centro del Sole, la sua energia meccanica si trasforma comunque in energia termica), basterà considerare le energie elettrica e meccanica equivalenti a calore a temperatura infinita. Si possono allora svolgere ragionamenti qualitativi, ma (entropicamente) rigorosi, su vari problemi energetici attuali. Ad esempio, si valutano facilmente gli usi impropri dell’energia elettrica, legati alla sua trasformazione diretta in energia termica, con un salto termico infinito inutilizzato: gli usi appropriati si hanno invece quando essa viene trasformata direttamente in energia pregiata (tipicamente meccanica), a parte naturalmente l’inevitabile dissipazione nei processi reali. Lo scaldabagno elettrico è l’esempio classico del massimo di spreco (fig. 1.c), anche se con una buona coibentazione l’usuale rendimento di primo principio può essere molto alto. Per quanto riguarda la generazione di elettricità, ci si rende conto dei principi della cogenerazione di energia e calore, o del “recupero” del calore (fig. 1 d): poiché una centrale termoelettrica produce energia pregiata scaricando calore a temperatura piuttosto alta, queste tecniche utilizzano anche l’ulteriore salto termico inferiore, cioè il calore di Herrmann, cit. nota 1, enuncia il criterio: “Più grande è la differenza di temperatura tra due corpi, maggiore sarà anche l’intensità del flusso di entropia tra di essi”. 10 scarico come tale (teleriscaldamento, o preriscaldamento di fluidi in processi industriali). Nel ciclo combinato gas-vapore (fig. 1.e) una turbina a gas (a combustione interna) utilizza la parte superiore del salto termico scaricando calore a 500 – 600 oC, che alimenta in cascata una turbina a vapore (a combustione esterna).