10 ottobre 2006 Palermo - Se un medico cura un latitante, ha davvero l'obbligo di denunciarlo o può invocare il segreto professionale? E ancora: può decidere di non prestare la sua opera? I medici vorrebbero saperne di più e per questo il loro Ordine professionale ha riunito a Palermo avvocati, magistrati e studiosi di diritto. Per i camici bianchi il rispetto del codice di deontologia professionale non è sufficiente a mettere i medici al riparo da guai giudiziari e il quadro si complica a causa di sentenze contrastanti anche da parte della Corte di Cassazione. “Abbiamo il dovere di dare delle risposte a molti quesiti - ha detto il Presidente dell'Ordine dei medici di Palermo, Toti Amato -. Uno di questi è proprio il comportamento da adottare nel caso di cura di mafiosi latitanti, su cui abbiamo deciso di interpellare anche gli avvocati”. Il dibattito è controverso anche nelle aule dei tribunali e molto spesso non basta appellarsi all'articolo 365 del codice penale “che - ha spiegato Francesco Geraci, presidente dell'Ordine dei medici di Agrigento - stabilisce l’obbligo del medico ospedaliero di presentare referto all'autorità giudiziaria nel momento in cui ha prestato la sua opera o la sua assistenza a una persona che ha commesso un reato perseguibile d’ufficio”. Oltre all’omissione di referto o di soccorso, per il medico si configurano reati molto più gravi quando decide di curare un mafioso, che vanno dal favoreggiamento, al concorso esterno o alla partecipazione in associazione criminale. “Dobbiamo subito chiarire - ha detto Giovanni Fiandaca, ordinario di diritto penale all’Università di Palermo - che il medico non ha nessun obbligo di denunciare il criminale, proprio come un normale cittadino. Tra l’altro il libero professionista può scegliere di non curare, tranne le urgenze, nel caso in cui teme di essere coinvolto in situazioni che lo possono mettere in difficoltà”. Secondo la giurisprudenza più recente, comunque, il medico che si attiene solo alle cure necessarie, come farebbe con qualsiasi altro paziente, non può rischiare di incorrere in procedimenti penali. “Per commettere un reato - ha continuato Fiandaca - è necessario che il medico non si limiti alle normali cure ma faccia attività aggiuntive, come falsificazione di cartelle cliniche, o contribuisca in qualche modo alla sopravvivenza dell’associazione criminale, quando per esempio ne sia il medico di riferimento”. Diventa poi sempre più difficile capire quali sono le distinzioni tra i reati di favoreggiamento e concorso esterno in associazione mafiosa. “L'orientamento che ha prevalso - ha detto Enrico Sanseverino, presidente dell’Ordine degli avvocati - è la condanna al favoreggiamento quando si tratta di aiuto illecito a una sola persona, al concorso esterno quando si favorisca l'intera organizzazione”. Ma anche questa distinzione diventa molto labile quando ad essere curato è un boss. “Purtroppo - ha concluso il Sostituto Procuratore di Palermo, Fabio Taormina - le sentenze non ci consentono di poter avere un unico indirizzo. La situazione va sempre valutata caso per caso e i dubbi e le perplessità in molti casi restano”