ESEMPI DI ARCHITETTURA Spazi di riflessione 5

ESEMPI DI ARCHITETTURA
Spazi di riflessione
5
Direttore
Olimpia Niglio
Kyoto University, Giappone
Comitato scientifico
Taisuke Kuroda
Kanto Gakuin University, Yokohama
Rubén Hernández Molina
Universidad Jorge Tadeo Lozano, Bogotá
Alberto Parducci
Università degli Studi eCampus
Enzo Siviero
Università Iuav di Venezia, Venezia
Alberto Sposito
Università degli Studi di Palermo
Comitato di redazione
Sara Cacciola
Università degli Studi eCampus
Giuseppe De Giovanni
Università degli Studi di Palermo
Marzia Marandola
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Alessio Pipinato
Università degli Studi di Padova
Bruno Pelucca
Università degli Studi di Firenze
Chiara Visentin
Università degli Studi di Pisa
ESEMPI DI ARCHITETTURA
La collana editoriale Esempi di Architettura nasce per divulgare
pubblicazioni scientifiche edite dal mondo universitario e dai centri di
ricerca, che focalizzino l’attenzione sulla lettura critica dei proget­ti. Si vuole
così creare un luogo per un dibattito culturale su argomenti interdisciplinari
con la finalità di approfondire tematiche attinenti a differenti ambiti di
studio che vadano dalla storia, al restauro, alla progettazione architettonica
e strutturale, all’analisi tecnologica, al paesaggio e alla città.
Le finalità scientifiche e culturali del progetto EDA trovano le ragioni nel
pensiero di Werner Heisenberg Premio Nobel per la Fisica nel 1932.
… È probabilmente vero, in linea di massima, che nella storia del pensiero
umano gli sviluppi più fruttuosi si verificano spesso nei punti d’interferenza
tra diverse linee di pensiero. Queste linee possono avere le loro radici
in parti assolutamente diverse della cultura umana, in diversi tempi
ed in ambienti culturali diversi o di diverse tradizioni religiose; perciò,
se esse veramente si incontrano, cioè, se vengono a trovarsi in rapporti
sufficientemente stretti da dare origine ad un’effettiva interazione, si può
allora sperare che possano seguire nuovi ed interessanti sviluppi.
Spazi di riflessione
La sezione Spazi di riflessione della collana EdA, Esempi di Architettura,
si propone di contribuire alla conoscenza e alla diffusione, attraverso
un costruttivo confronto di idee e di esperienze, di attività di ricerca
interdisciplinari svolte in ambito sia nazionale che internazionale. La
collana, con particolare attenzione ai temi della conservazione del
patrimonio costruito nonché dell’evoluzione del processo costruttivo
anche in ambito ingegneristico, è finalizzata ad approfondire temi teorici
e metodologici propri della progettazione, a conoscere i protagonisti
promotori di percorsi evolutivi nonché ad accogliere testimonianze
operative e di attualità in grado di apportare validi contributi scientifici.
Le attività di ricerca accolte nella collana EdA e nella sezione Spazi di
riflessione possono essere in lingua straniera.
Alessandro Lo Faro
Il Conservatorio delle Verginelle in Catania
Indagini preliminari e progetto di riuso di una fabbrica tradizionale
Copyright © MMXII
Giuseppe Alaimo
ARACNE editrice S.r.l.
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[email protected]
via Raffaele Garofalo, 133/A–B
00173 Roma
(06) 93781065
isbn 978–88–548–5405–5
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: novembre 2012
Ai miei genitori
L’autore ringrazia
Il prof. ing. Angelo Salemi per gli indirizzi metodologici e la guida scientifica
al presente lavoro
Il prof. ing. Salvatore Barbera per gli iniziali suggerimenti sulla conduzione
della ricerca
Il prof. Roberto Tufano ed il dott. Marcello Proietto per la revisione dei
documenti d’archivio
Il Dott. Ernesto De Luca, amministratore dell’IPAB Istituti femminili riuniti
Provvidenza e S. Maria del Lume per aver concesso la consultazione delle carte
dell’archivio del Conservatorio delle Verginelle
Il geom. Antonino Leonardi per il supporto occulto al progetto definitivo e
per il sempre amichevole ma altrettanto rigoroso scambio di opinioni
La sua famiglia che l’ha talvolta spronato e sempre sostenuto
Indice
Introduzione
1
2
3
4
9
L’indagine storico – archivistica
11
11
15
23
Il rilievo geometrico – spaziale
41
41
1.1
1.2
1.3
2.1
Il Conservatorio ed il contesto urbano
Breve storia del Conservatorio
Le vicende costruttive
Il rilievo metrico e la descrizione della fabbrica
Il riconoscimento dell’apparecchiatura tecnico-costruttiva 61
3.1
3.2
3.3
3.4
3.5
3.6
Le fondazioni e le chiusure orizzontali di base
Le chiusure verticali
Le chiusure orizzontali piane e voltate
L’apparecchiatura lapidea di facciata
Le coperture ed i collegamenti verticali
Gli infissi e gli elementi di protezione
Il progetto delle indagini preliminari
4.1
4.2
4.3
4.4
4.5
4.6
I sondaggi geognostici
Le prospezioni georadar
L’indagine endoscopica
L’indagine magnetometrica
L’analisi dello stato tensionale delle murature
con il metodo dei martinetti piatti
L’analisi delle deformazioni delle chiusure orizzontali
mediante prove di carico
5
Lo stato di conservazione del complesso edilizio
6.
Il progetto di riuso: un plesso didattico per
l’Ateneo di Catania
5.1
5.2
5.3
6.1
6.2
Le manifestazioni visibili di decadimento sui fronti esterni
La rappresentazione del quadro fessurativo
La diagnosi delle patologie riscontrate
Le ragioni del riuso delle fabbriche tradizionali
Il progetto di riuso dell’ex Conservatorio
delle Verginelle (2006 – 2008)
62
63
65
69
71
74
83
86
87
91
94
94
101
109
111
115
115
123
123
126
Conclusioni
145
Note
149
Bibliografia
177
Fonti archivistiche
182
Fonti delle illustrazioni
183
Introduzione
Gli insediamenti universitari presso la collina di Montevergine, consolidati
negli ultimi anni dalla fruizione della quasi totalità degli spazi dell’ex
monastero dei P.P. Benedettini di S. Nicolò l’Arena, hanno contribuito a
riscattare un’area marginale del tessuto urbano catanese, il quartiere
Antico Corso, connotata in passato dalla compresenza di un’edilizia
minuta e di grandi “contenitori urbani” destinati quasi esclusivamente ai
servizi sanitari (gli ospedali Vittorio Emanuele, S. Bambino, S. Marta e
Villermosa, la ex Casa della Divina Nutrizione).
L’immutato interesse da parte della popolazione studentesca per gli studi
umanistici (l’offerta formativa promossa dalle sole Scienze della
Formazione attrae nell’Ateneo di Catania circa 4.200 studenti) e la
impossibilità di incrementare ulteriormente le sedi già esistenti, hanno
stimolato l’Amministrazione universitaria a ricercare nella collina di
Montevergine nuovi immobili da riutilizzare e destinare alla didattica.
L’ex Conservatorio delle Verginelle, con la sua posizione privilegiata di
fronte al polo umanistico insediato presso il monastero dei Benedettini,
era da anni quasi abbandonato o quantomeno sotto - utilizzato. Il parziale
acquisto del complesso ed il suo successivo riuso sono sembrate, pertanto,
le soluzioni più semplici e razionali conseguendo un duplice scopo:
garantire un migliore servizio alla popolazione studentesca e recuperare
un’altra parte del patrimonio edilizio cittadino, altrimenti destinata
all’obsolescenza. Il complesso da recuperare è un insieme di più corpi di
fabbrica tradizionali inseriti in un contesto urbano di elevatissima qualità
ambientale, meritevole cioè di tutte quelle attente e rigorose analisi
preliminari che sono lo strumento irrinunciabile per qualsiasi intervento
sul costruito storico che ambisca ad essere congruente e compatibile.
Negli interventi che hanno per oggetto le fabbriche tradizionali, il dispiego
di risorse intellettuali sembra infatti sbilanciato più verso la fase della
conoscenza preliminare che verso la reale progettazione. Ma questa è
l’unica strada da percorrere quando l’obiettivo è la salvaguardia del
patrimonio edilizio anche attraverso un suo uso/riuso consapevole che
10
fondi la valutazione della vocazione alla trasformabilità sulla base della
reale conoscenza del bene da trasformare. Tale conoscenza si è arricchita,
nel caso dell’ex Conservatorio delle Verginelle, di una sequenza di fasi
operative tra loro correlate (un’estesa indagine storica, un rigoroso rilievo
metrico e specifici protocolli diagnostici atti ad accertare lo stato di
conservazione e le capacità prestazionali dei principali elementi di
fabbrica) che hanno successivamente guidato le scelte progettuali e le
procedure riabilitative poste in essere nell’intervento di recupero qui
esposto. Chi scrive si è trovato nella esaltante circostanza di seguire tutte
le fasi dell’intervento: dalle indagini preliminari, al progetto, all’esecuzione.
Dei risultati conseguiti con il progetto di riuso, se non felici si spera
corretti, si vuole esporre in questo lavoro, sperando di tracciare un utile
iter metodologico a cui inspirarsi quando si interviene sulle fabbriche
tradizionali.
Alessandro Lo Faro
1. L’indagine storico - archivistica
1.1 Il Conservatorio e l’evoluzione del contesto urbano
L’area attualmente occupata dal Conservatorio delle Verginelle di S. Agata
ricade nella collina di Montevergine1, nella parte occidentale del centro
storico della città di Catania. In essa sorgono numerose emergenze
architettoniche fra cui spicca l’imponente mole del monastero benedettino
di S. Nicolò l’Arena2.
In tale contesto urbano si può riscontrare la maggior continuità abitativa
fra i siti appartenenti al centro storico etneo. A poche centinaia di metri
ad Ovest del Conservatorio, all’interno del perimetro dell’ex monastero
dei Benedettini, strati preistorici documentano una frequentazione del
sito già in età neolitica, che si protrae con continuità fino al periodo della
Fig. 2. Vista a volo d’uccello (a fianco in rosso)
e dell’alto dell’ex Conservatorio inserito nel
contesto urbano fra cui emerge il monastero di
S. Nicolò l’Arena
12
colonizzazione calcidese della città (VIII sec. a. C.)3. Ulteriori ritrovamenti,
ancora all’interno del monastero, confermano livelli greci dal VI sec. a.C
alla fine del V – IV sec. a.C. a cui si sovrappongono ulteriori strutture
romane del I secolo ma rimaste in uso fino al II – III sec. d.C. La quantità
e distribuzione dei ritrovamenti ha fatto desumere agli studiosi che il sito
accogliesse l’acropoli della città greca nel primitivo impianto calcidese4.
L’area rimase fortemente urbanizzata anche nei secoli successivi, fino ad
accogliere interventi di monumentalizzazione durante l’età tardo imperiale,
quali l’impianto termale ritrovato nel secondo decennio del XX secolo
dal prof. Libertini durante la sistemazione dello spiazzo (attuale piazza
Dante) delimitato dal monastero e dal prospetto occidentale del
Conservatorio5. Qualche anno prima al di sotto di esso furono rinvenuti
resti di muri romani e condotte, che il Libertini volle porre in relazione
con l’impianto termale scoperto in piazza Dante. Lo studioso fu giustamente
prudente nel formulare questa sua ipotesi, non avendo avuto modo di
verificare la continuità dei condotti presenti nello scavo di piazza Dante
con quelli rinvenuti all’interno del Conservatorio delle Verginelle. Ciò
nonostante è plausibile pensare all’esistenza di un’insula collocata sulla
sommità della collina di Montevergine, come hanno dimostrato i successivi
ritrovamenti effettuati in prossimità del muro di cinta e nel cortile est del
Monastero dei Benedettini. Gli ambienti ed i condotti ritrovati, insieme
ad alcune monete, fanno datare tali avanzi fra il III ed il IV secolo d.C.6
La contrazione dell’abitato in età tardo antica e lo spostamento del centro
politico-religioso presso la platea magna ed il porto durante la dominazione
normanna, resero la collina di Montevergine marginale rispetto al nucleo
direttivo della città medioevale7. Pur perdurando tale situazione, nel
1588, i P.P. Benedettini decisero di costruire il loro convento intra moenia
nella pianura del Parco o contrada Cipriana, il cui toponimo potrebbe
rimandare ad una vasta area di pertinenza demaniale in cima alla collina
stessa8. L’impulso costruttivo derivante dal nuovo cenobio contribuì
certamente a rendere l’area più densamente popolata: di fronte al Piano
di S. Nicolò, spazio di rispetto fra un edificato prevalentemente modesto
e residenziale ed il monastero stesso, si insediò dopo qualche anno il
Conservatorio delle Verginelle, dedicato a S. Agata.
La colata lavica del 1669 interessò il margine occidentale della collina,
penetrando all’interno delle mura urbane e lesionando gravemente la
chiesa di S. Nicolò. La dimora delle Verginelle non ne fu interessata. La
lenta ripresa dopo il sisma del 1693 vide la riconferma dei siti su cui
sorgevano le fabbriche pre terremoto e si dovrà attendere il piano di
risanamento dell’ing. comunale Bernardo Gentile Cusa (1888) per ovviare
ai forti ed irregolari dislivelli altimetrici diffusi in quell’intorno urbano. La
definitiva sistemazione dello spiazzo antistante il monastero avverrà nel
1923 ed avrà rilevanti conseguenze sull’assetto definitivo del
Conservatorio9.
La presenza di numerosi edifici a destinazione termale anche nelle
immediate vicinanze del reclusorio delle Verginelle (si pensi agli avanzi di 5 vani
Alessandro Lo Faro
Fig. 3. Particolare della pianta della città di
Catania di Sebastiano Ittar (1833).
Sono distinguibili il Conservatorio delle
verginelle di S. Agata (126), il monastero dei
PP. Benedettini (101) e i Vestigj delle Terme
Ninfee (39). (Biblioteca Civica Ursino Recupero
di Catania).
Fig. 4. Particolare della pianta della città di
Catania allegata al Voyage pittoresque des isles de
Sicilia di J. Houel (1784). Di fronte al monastero
dei Benedettini la lettera G fa riferimento a
fondaments d’edifices antiques.
IL CONSERVATORIO DELLE VERGINELLE IN CATANIA
Fig. 5. Foto d’insieme e di dettaglio degli scavi
visibili in piazza Dante.
Fig. 6 Avanzi di terme scoperti dal Biscari nei
pressi della chiesa di S. Maria dell’Itria.
Incisione di A. Zacco da un disegno di L.
Mayer (1776 circa).
13
rinvenuti nel 1947, sotto il piano stradale presso la chiesa di S. Maria
dell’Itria) era ben nota già nell’800, quando, Sebastiano Ittar nella sua
pianta topografica di Catania del 1833, segnò con il numero 39 - Vestigj
delle Terme Ninfee - sia il tratto terminale dell’attuale via G. Clementi che
l’interno del muro di cinta del monastero benedettino, di fronte la
fabbrica del reclusorio. Informazioni già contenute nella pianta di Catania
elaborata da J. Houel nel 1784 a corredo del suo viaggio per le antichità
siciliane, condotto, durante il soggiorno catanese, in compagnia del
principe di Biscari, Ignazio Paternò Castello10.
L’abbondanza di acque presso la collina di Montevergine era motivata
dalla presenza dell’acquedotto romano che in quel sito trovava il suo
punto di distribuzione alla città: la cosiddetta Botte dell’acqua11.
Gli ulteriori scavi condotti negli anni 1958 - 59, nell’area della piazza
Dante compresa tra il monastero e l’ex reclusorio, hanno portato alla luce
altri ambienti a destinazione termale12. L’insieme delle scoperte effettuate
fuori e dentro il recinto benedettino, soprattutto le più recenti, e la lettura
delle relazioni fra i resti ed il contesto hanno suggerito agli studiosi una
nuova attribuzioni per gli avanzi delle grandi terme che segnano, semmai,
un diverso e più stimolante disegno urbano: nella collina di Montevergine
insisteva un elegante quartiere residenziale della Catina tardo imperiale, la
cui fitta trama viaria, caratterizzata da sezioni stradali lastricate, individuava
ampi isolati saturati da domus patrizie, talune dotate di piccoli bagni
privati. A questa categoria appartengono gli scavi oggi visibili in piazza
Dante13 e, come si preciserà più avanti, i resti archeologici al di sotto sia
del corpo di fabbrica a Nord Est quanto del prospetto Ovest del
reclusorio delle Verginelle, a circa 2 metri al di sotto dell’attuale quota
stradale.
Un’idonea campagna diagnostica potrebbe fornire utili elementi per comprendere l’effettiva estensione del costruito di età greco - romana in questa parte della città, dove la maggior parte dei rinvenimenti è avvenuta in
conseguenza degli interventi urbanistici ed infrastrutturali14.
14
Alessandro Lo Faro
IL CONSERVATORIO DELLE VERGINELLE IN CATANIA
Fig. 7 (a fianco). Sovrapposizione dei ritrovamenti
archeologici effettuati all’interno del
Monastero dei Benedettini sul tessuto urbano
di piazza Dante. Tratteggiata in rosso la trama
viaria lastricata che circoscrive gli isolati della
città romana.
Fig. 8. La collina di Montevergine circondata
dalle lave del 1669, in un’incisione di anonimo
del 1686. L’edificio lambito dalla colata è il
monastero dei P.P. Benedettini nel suo assetto
originario. Tra gli edifici che lo fronteggiano vi
è il Conservatorio delle vergini
15
1.2 Breve storia del Conservatorio
La Casa delle fanciulle vergini sotto il titolo di S. Agata, o Conservatorio
come fu chiamato durante il XIX sec., era un’istituzione pia laica il cui
scopo era quello di “conservare” le virtù delle fanciulle orfane ed
indigenti, dando loro un’istruzione ed insegnandogli un mestiere
con cui mantenersi o crearsi una dote15.
I conservatori delle virtù, più verosimilmente detti reclusori, erano
enti con cui la monarchia, la Chiesa e le deputazioni comunali
istituzionalizzavano le forme private di beneficenza; essi
rientrano nella politica assistenziale della società dell’età moderna,
che difende un sistema patrilineare in cui il controllo della sessualità
femminile assicura il passaggio dei patrimoni ed il mantenersi
dell’ordine sociale consolidato16. Le donne da tutelare erano
infatti distinte in peccatrici o pericolate (ovvero ex prostitute, adultere
abbandonate dai mariti, ragazze madri) e pericolanti cioè le giovinette
la cui virtù era messa a rischio a causa del disagio economico della
famiglia di provenienza17. Il Conservatorio delle Verginelle
accoglieva questa seconda categoria di giovani.
La Casa fu fondata nella seconda metà del XVI sec. per volontà del
patrizio catanese Giovanni La Rocca; fonte di sostentamento erano
i beni dello stesso La Rocca e le elemosine. Nel 1588 il Senato di
Catania diede al Conservatorio una sede e pose l’istituto sotto il
controllo di un patrizio con la qualifica di Rettore18.
In quegli anni il Senato catanese patrocinava due istituti laici dediti
alla beneficenza ed all’assistenza: uno riservato alle fanciulle ed un
altro alle donne. Le finalità dei due istituti erano analoghe: sostenere
le donne prive di mezzi, fornendo loro gli strumenti per condurre
una vita onesta, preservandole dal pericolo del meretricio e quindi
dallo scandalo che ciò generava nella pubblica morale.
Accogliendo positivamente la richiesta formulata dai Rettori dei
due istituti, Cristoforo Hernandez Hores, Vicario generale per la
sede vescovile vacante di Catania, insieme al Sindaco ed ai Giurati,
il 7 agosto 1593 fuse le due istituzioni in una sola sotto il titolo di
S. Agata, patrona della città di Catania19. La casa delle Vergini era
stata costruita da recente e quindi, come risulta dall’atto, era idonea
ad accogliere anche le ospiti adulte. Il Monte di Pietà donò a tal fine
36 onze annue a cui si aggiunsero, ancora per disposizione del
Vicario generale, 1000 onze donate dal Consiglio Generale insieme
a numerose elemosine offerte da privati cittadini.
Il viceré Conte di Olivares, confermò il Conservatorio con biglietto
del 6 ottobre 1595 ed impose che la nomina dei Rettori avvenisse fra
i nominativi appartenenti allo stesso elenco di candidati per la
16
Rettoria del Monte di Pietà, da sorteggiare mediante il sistema del
bussolotto.
Essendo un istituto di beneficenza, il Conservatorio era sottoposto
anche al controllo vescovile: Bonaventura Secusio, nella sua visita
pastorale del 26 ottobre 1612 riferì semplicemente dell’esistenza di
un monastero di povere fanciulle vergini20. Dalla relazione del
vescovo Marco Antonio Gussio apprendiamo che nel 1655 le
fanciulle ospitate erano 2321.
Le sorti del Conservatorio furono fortemente condizionate dal regio
milite nonché dottore utriusque iuris Giuseppe Asmundo Sigona e
Mendicino, rettore in carica già dal 166922. Con donazione dell’11
dicembre 1706, agli atti del notaio Francesco Puglisi, Giuseppe
Asmundo devolse al Conservatorio alcune proprietà immobiliari
(tenimenti di case), site in contrada S. Anna23 o di S. Filippo e
consistenti in diversi corpi di fabbrica, comprensivi di case
appalazzate, botteghe, magazzini, dispense, depositi, un portico,
cortili e pozzi. Tutti questi edifici erano ancora in corso di costruzione,
per cui l’Asmundo impegnò se stesso ed i suoi eredi a completarli
al più presto, in quanto era sua volontà che la Venerabile Casa delle
fanciulle Vergini debba possedere tutto integralmente e nel migliore dei modi24.
Il tenimentum domorum di proprietà dell’Asmundo era a oriente
confinante con il fondaco di Don Luigi Gagliani, dottore in medicina
e filosofia, a mezzogiorno prospettava su via pubblica (la strada di
S. Filippo, denominata poi Ferdinandea ovvero l’attuale via
Garibaldi), con una via privata a Nord Est e con il convento di
S. Anna ad occidente. Le proprietà erano situate di fronte agli altri
possedimenti della famiglia Asmundo che dimostrarono un indubbio
interesse nei confronti di questa parte della città, dove concentrarono
buona parte dei propri beni urbani: nel 1694, per concessione del
duca di Camastra, Don Adamo Asmundo Paternò, nipote del
succitato Giuseppe, si era infatti impegnato a costruire a proprie
Alessandro Lo Faro
Fig. 9. L’atto di fondazione del Conservatorio
del 1593.
Fig. 10. Particolare del piano di S. Nicolò tratto
dall’affresco di G. Platania conservato nella
sacrestia della Cattedrale e raffigurante la città
di Catania minacciata dalle lave del 1669.
IL CONSERVATORIO DELLE VERGINELLE IN CATANIA
Fig. 11. L’insegna della casata Asmundo dei
principi di Gisira.
Fig. 12. Il quadrato di piazza Mazzini (il
numero 12) in un particolare dell’incisione
Vacca (1780).
Fig. 13. Il piano di S. Filippo, visto da Est.
Incisione allegata al Voyage pittoresque di J. C. de
Saint Non (1786).
17
spese le 24 botteghe destinate a chianche seu pubblici macelli poste al
piano terra della piazza porticata detta piano di S. Filippo. Nel quarto
di Sud Est Adamo Asmundo fece costruire quella che sarà una
delle case magnatizie dei suoi discendenti: i principi di Gisira25.
Nello stesso atto di donazione Giuseppe Asmundo dispose che
venisse celebrata quotidianamente una messa in suffragio dell’anima
sua, dei suoi consanguinei e dei suoi successori, incaricando a tal
fine un sacerdote scelto da lui stesso e che in futuro sarà scelto dai
suoi discendenti. Per il sostentamento del cappellano, tale
Sebastiano Caruso che all’atto della donazione non era stato ancora
consacrato, fu assegnata la somma di 12 onze l’anno26.
Nel documento l’Asmundo stabilì inoltre di voler affrancare le
proprietà donate da ogni gravame fiscale, obbligo che fu esteso
anche ai suoi successori, impegnandosi a completare la Casa delle
fanciulle vergini in amplissima forma. Gli introiti derivanti dall’affitto
degli immobili serviranno al Rettore pro tempore per tutti i necessari
lavori di manutenzione, per il vettovagliamento delle fanciulle e per
il compenso al cappellano. Già da allora era in animo dell’Asmundo
ampliare l’edificio donato alla Casa delle Verginelle: tale
ampliamento doveva interessare la parte meridionale del fabbricato
(cioè quella confinante con la via del Corso); anche le nuove rendite
derivanti dall’ampliamento, calcolate in 4 onze, 42 tarì e 20 grani
all’anno, dovevano restare in potere del Conservatorio27.
Con una successiva donazione del 7 maggio 1711 Giuseppe
Asmundo arricchì ulteriormente il patrimonio immobiliare posseduto
dalla Casa delle fanciulle vergini, donando un altro tenimento di
case terrane dotate di giardino alberato, pozzo ed altri ambienti
18
Alessandro Lo Faro
coperti con tettoie, confinanti ad oriente con le proprietà
precedentemente donate dallo stesso Asmundo, con le case di
Don Michele Corvaia a settentrione, con via pubblica ad occidente e
con il convento di S. Anna a meridione28.
Gli immobili urbani del Conservatorio erano pertanto concentrati
nelle vicinanze della piazza di S. Filippo ad ulteriore dimostrazione
che gli Asmundo furono fra i più munifici donatori. Dalla lettura
del Cessato Catasto Terreni, che fornisce lo stato di tali beni a partire
dal 1843, si evince che essi consistevano in diversi appartamenti
(quartini), botteghe, terranei (abitazioni al piano terra con ingresso
direttamente sulla sede stradale), magazzini, cantine e bassi che si
affacciavano o sulla via Ferdinanda o sulle traverse vicine (via e vico
della Lettera), secondo il seguente schema riepilogativo:
Tipologia
Quantità
quartino
2
Localizzazione Rendita (in Note
ducati)
1° piano
via Ferdinanda
71.82
quartino
2
via Ferdinanda
128.80
botteghe
5
via Ferdinanda
265.39
terraneo
1
via Ferdinanda
6.56
magazzino
2
via Ferdinanda
15.37
cantina
1
via della Lettera
72
quartino
5
vico della Lettera 48.98
bottega
5
vico della Lettera 77.48
magazzino
2
vico della Lettera 19.47
basso
1
vico della Lettera 5.30
camera
1
vico della Lettera 5.40
terraneo
1
cortile del gelso
2° piano
4.63
Con codicillo del 3 luglio 1717, Giuseppe Asmundo perfezionò le
volontà espresse nel suo testamento pubblicato il 10 luglio 1717,
ponendo la condizione che i beni donati al Conservatorio dovessero
esser amministrati da un fedecommissario scelto fra i suoi parenti,
colla facoltà di eleggerlo o in vita o in circostanza di morte29, sotto
pena di caducità se l’elezione fosse avvenuta per atto pubblico. Fu
nominato quale fidecommissario Michele Asmundo e Landolina, futuro
principe di Gisira, suo pronipote. Giuseppe Asmundo così, per
mezzo dell’istituzione di un fedecommissario, affidò ai suoi
Fig. 14. Il piano di S. Filippo, visto da Ovest, in
un acquerello ottocentesco. Sulla sinistra la
casa magnatizia dei principi di Gisira.
IL CONSERVATORIO DELLE VERGINELLE IN CATANIA
19
Fig. 15. Particolare della pianta Ittar
(1833) con evidenziato in blu l’isolato dove
ricadevano gli immobili di proprietà del
Conservatorio. Sul lato opposto della strada
Ferdinandea erano le residenze dei principi
di Gisira.
Fig. 16. (in alto) Pianta di tutti i beni urbani
della eredità del fu Principe di Gisira, esistenti in
Catania (1846), ovvero i quarti Est ed
Ovest dell’attuale piazza Mazzini.
discendenti la Rettoria perpetua del Conservatorio e la gestione
amministrativa dei beni lasciati in eredità; indirettamente però il
Rettore aveva autorità anche sulle rendite e proprietà non derivanti
dai lasciti Asmundo, come nel caso dell’eredità Zappalà Russo30.
La scelta del fedecommissario doveva comunque assoggettarsi
all’avallo del Senato catanese, che per tutto il XVIII sec. confermò
un componente della famiglia Asmundo a Rettore e Conservatore
della Casa delle vergini31. Già nel 1753 un Reale Dispaccio approvò
definitivamente il Conservatorio che fu dichiarato opera pia laicale
soggetta alla Reale giurisdizione, svincolandolo così dall’autorità
vescovile (relativamente alla nomina del cappellano della chiesa) e
consentendo ai Rettori di invocare direttamente il giudizio sovrano
nelle successive dispute con il Senato catanese, in merito alla gestione
dei lasciti e delle proprietà immobiliari non derivanti dall’eredità
Asmundo. Nei primi anni dell’800 il Decurionato rivendicò la
propria autonomia nella scelta del Rettore del Conservatorio,
intraprendendo una lunga disputa con la famiglia Asmundo che si
risolse solo con l’intervento diretto della Corona32. Tra le varie
motivazioni esposte in propria difesa, gli eredi Asmundo, non
senza qualche iperbole, avocarono a se la ricostruzione dell’istituto
dopo il terremoto del 1693 che raso al suolo tornò pure a nuova vita a
spesa intieramente del Cavalier D.n Giuseppe Asmundo per la restaurazione
del locale in Città e per le largizioni in beni stabili e rendite, che d’allora fin
oggi costituiscono la vita morale di quel pio luogo33.
Gli Asmundo dimostrarono non poco interesse nel difendere il
20
diritto di scegliere in vita il fidecommissario del Conservatorio:
oltre alla gestione dei beni immobili donati dal proprio avo,
tale carica conferiva un indubbio prestigio al casato e la scelta
generalmente ricadeva, non a caso, sui secondogeniti che non
potevano fregiarsi del titolo nobiliare di principe di Gisira, in
quanto spettante al primogenito.
La sequenza dei fidecommissari fu pertanto la seguente:
1.
Giuseppe Asmundo Sigona e Mendicino, fondatore della
fidecommissaria (donazione del 1706 e 1711 agli atti del
notaio Francesco Puglisi);
2.
Don Michele Asmundo e Landolina, barone e successivamente
principe di Gisira, II fidecommissario nominato dal prozio Don
Giuseppe Asmundo e Mendicino (codicillo notaio Antonio
Longo 02 luglio 1717);
3.
Gaetano Asmundo e Asmundo, III fidecommissario, nominato
dal padre Don Michele Asmundo e Landolina (notaio
Gaetano Arcidiacono 12 settembre 1776);
4.
Domenico Asmundo e Rizzari, dei principi di Gisira, IV
fidecommissario, nominato dal fratello consanguineo Don
Gaetano Asmundo e Asmundo (notaio Giuseppe Virgillito 8
marzo 1798);
5.
Francesco Asmundo Sammartino dei principi di Gisira, V
fidecommissario, nominato dallo zio Domenico Asmundo e
Rizzari, dei principi di Gisira (notaio Salvatore Maccarrone 6
aprile 1807);
6.
Adamo Benedetto Asmundo Sammartino dei principi di
Gisira, VI fidecommissario, nominato dal fratello Francesco
Asmundo Sammartino (notaio Vincenzo Virgillito 8 settembre
1813);
7.
Giuseppe Asmundo Cirino dei principi di Gisira, VII
fidecommissario, nominato dal padre Adamo Benedetto
Asmundo Sammartino (notaio Cesare Costantino 24 agosto
1827);
8.
Adamo Benedetto Asmundo Capizzi, VIII fidecommissario,
nominato dal padre Giuseppe Asmundo Cirino dei principi
di Gisira (notaio Arcangelo Maravigna 16 marzo 1846)
9.
Giuseppe Asmundo Pellegrino, barone di S. Demetrio, IX
fidecommissario, nominato da Adamo Benedetto Asmundo
Capizzi (1864)
10. Giovanni Crispino, commissario prefettizio, dal 1 febbraio
1916 al 27 gennaio 1917;
11. Adamo Benedetto Asmundo di Gisira, barone di San
Demetrio, X fidecommissario, nominato dal padre Giuseppe
Asmundo Pellegrino (27 gennaio 1917);
12. Giovanni Sapuppo Asmundo, commissario prefettizio, in
Alessandro Lo Faro
Fig. 17. Targa posta nell’atrio del
Conservatorio da Adamo Benedetto
Asmundo, X fidecommissario in ricordo dei
suoi predecessori (1921).
IL CONSERVATORIO DELLE VERGINELLE IN CATANIA
Fig. 18. Frontespizi dei regolamenti interni
del Conservatorio: 1878 e 1898.
21
quanto Adamo Benedetto Asmundo fu richiamato alle armi
come tenente di fanteria, il 12 marzo 1917;
13. Adamo Benedetto Asmundo di Gisira subentrò nuovamente
al commissario prefettizio Giovanni Sapuppo Asmundo il 2
aprile 1919;
14. Vincenzo Di Dio, Commissario prefettizio, dal 15 marzo
1950 al maggio 1952;
15. Ugo Asmundo, delegato dal padre barone Adamo Benedetto
Asmundo il 29 maggio 1952;
16. Adamo Benedetto Asmundo, XI fidecommissario, nominato
dal nonno omonimo (notaio Santi Zinno, testamento del 10
gennaio 1947 reso esecutivo il 7 gennaio 1961).
Durante tutto l’Ottocento il Conservatorio continuò a mantenere
la sua funzione assistenziale, con lievi oscillazioni nel numero delle
giovani ospitate: nel 1833 risiedevano nel conservatorio 50 fanciulle,
assistite da 13 religiose, come relazionò al vescovo la direttrice suor
Maria Catanuto. Oltre ad un’educazione religiosa le fanciulle dovevano
fatigare per la loro sussistenza con lavori prevalentemente di cucito, ricamo
e tessere la seta per confezionare fittucce34.
Caduto il governo borbonico, lo stato sabaudo sciolse i Consigli
degli Ospizi e creò una nuova struttura amministrativa, l’Opera Pia,
controllata dalle Deputazioni provinciale35. Si attivarono pertanto i
controlli per verificare lo stato patrimoniale dei numerosi reclusori
femminili (12 nella sola provincia di Catania): nel 1861 erano ospitate
75 ragazze (65 posti a titolo gratuito e 10 a pagamento) mentre il
rettore amministrava fondi rurali per un valore di 45.800 lire, titoli
per 203.000 lire e capitoli, censi e canoni vari per altre 78.400 lire,
raffigurando così il reclusorio etneo con più alto reddito36.
Oltre a regolarne l’amministrazione ed il regime economico/contabile,
lo stato italiano invitò le numerose Opere Pie presenti sul territorio
a dotarsi e/o aggiornare il proprio regolamento. Il Conservatorio
diede alle stampe il proprio statuto organico nel 1878, a seguito
della Regia approvazione. In esso si precisava che erano accolte sia
fanciulle indigenti, nel numero massimo di 43, che convittrici a
pagamento. I 2/3 del prodotto del lavoro delle fanciulle paganti,
sarebbe stato accumulato e restituito loro all’uscita dall’Istituto. A
differenza di quanto avveniva nei decenni precedenti, l’organizzazione
del personale interno al Conservatorio era assai strutturata: la
direzione e vigilanza sull’economia interna era affidata ad una
Direttrice che doveva essere una maestra patentata. Da essa
dipendevano direttamente le maestre (di studio e di lavoro), le
infermiere e la portinaia. La direttrice e le maestre erano solitamente
delle religiose che, in quegli anni, obbedivano alla regola
carmelitana 36 . L’amministrazione era seguita da un segretario, un
22
ragioniere, un commesso, un tesoriere ed un inserviente. Era previsto
un servizio legale (composto da un avvocato, un procuratore ed una
agente) ed uno sanitario (due medici, un chirurgo ed un salassatore).
La somma direzione ed amministrazione del Conservatorio era
ovviamente affidata al Rettore che avocava a se la scelta del
personale, la sua durata in servizio e la retribuzione.
Dalla lettura del regolamento si evince come sia mutato nel tempo
il ruolo assunto dal Conservatorio: le giovani ivi accolte non
svolgevano solamente lavori artigianali ma si dava maggiore
importanza alla loro formazione, in modo da poter gestire in
futuro l’economia del focolare domestico e l’educazione dei
figli38. Il regolamento interno del 20 giugno 1878 fu aggiornato ed
approvato il 25 giugno 1898, prevedendo una drastica riduzione
della pianta organica, sia per il convergere di diverse mansioni sulla
stessa persona che, soprattutto, per gravi ristrettezze finanziarie39.
Le riforme crispine e giolittiane, poste in essere tra la fine
dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, coinvolsero grandemente
gli istituti di beneficenza italiani, puntando a trasformare l’apparato
assistenziale di antico regime in un più moderno ed efficiente sistema
sanitario: si assistette ad una progressiva contrazione degli istituti
per il mantenimento di donne espulse dal circuito familiare, a cui
fece fronte l’incremento degli ospedali pubblici e degli istituti di
assistenza all’infanzia40.
Alessandro Lo Faro
Fig. 18. Cartolina viaggiata nel 1929 raffigurante
l’ex Conservatorio. Nel retro suor Cecilia scrive
alla signora Elisa Iacona di Gela in merito alla
vendita di fasce di merletto.
IL CONSERVATORIO DELLE VERGINELLE IN CATANIA
23
La carica di Rettore del Conservatorio continuò ad assumere grande
rilevanza e, come abbiamo visto, sarà ricoperta da esponenti della
famiglia Asmundo fino agli anni ’70 del Novecento, quando il
Conservatorio si fuse con gli Istituti femminili riuniti Provvidenza e
S. Maria del Lume. Tale fusione fu motivata per la quasi mancanza dei
proventi patrimoniali e per la poca remuneratività delle rette di ricovero delle
fanciulle ospitate41. L’Istituto SS. Provvidenza, inoltre, aveva gli stessi
fini statutari del Conservatorio ed un componente della famiglia
Asmundo continuò a partecipare alla sua gestione in qualità di
membro del consiglio d’amministrazione.
L’I.P.A.B. affittò a privati gli appartamenti con ingresso su via
Teatro Greco, mentre la maggior parte dell’edificio fu affidata nel
primo ventennio del Novecento alle suore Serve dei Poveri, dette
del boccone del povero, e nei primi anni ‘80 alle Missionarie del
Buon Maestro. Le consacrate vi risiedevano ed educavano i bambini,
seguendoli nella crescita dall’infanzia alla scuola primaria. Il 25
maggio 2002, agli atti del notaio Giuseppe Boscarino, l’I.P.A.B.
vendette all’Università degli Studi di Catania la parte dell’immobile
occupato dalle religiose, riservando per se la chiesa e le sue
pertinenze a levante.
1.3 Le vicende costruttive
Fig. 20. L’assetto urbano della collina di
Montevergine prima del 1669. Al numero
44 (nel riquadro in rosso) il monastero dei
P.P. Benedettini
L’impianto originario
La primitiva sede del Conservatorio sorse nei pressi della chiesa di
S. Biagio, successivamente trasferita nelle vicinanze del Collegio dei
Gesuiti42. Nel 1619 l’istituto trovò la sua collocazione definitiva nel
piano di S. Nicolò, di fronte al monastero dei P.P. Benedettini, essendo
rettore Antonio Abate. Lì esisteva una chiesetta dedicata a San
Costantino il vecchio e riconsacrata a S. Agata fin dal 159343.
Nel 1690, come ci testimonia un erudito locale, nella Casa delle
fanciulle vergini erano stati eseguiti lavori di ampliamento riguardanti
la Chiesa, i dormitori ed altri corpi di fabbrica non meglio precisati44.
Tali lavori consentirono di incrementare il numero delle giovani
fino a circa 90 ospiti.
Il sisma dell’11 gennaio 1693 danneggiò gravemente l’istituto: quasi
60 fanciulle rimasero sepolte sotto le macerie45. Le rimanenti 30
trovarono rifugio in capanne, sotto la guida della Prefetta Giuseppa
Torrisi: la madre badessa era defunta a causa del terremoto46.
Il Conservatorio si estendeva, allora, su una superficie di 344
canne quadrate (circa 1460 mq) ed era costituito da diversi corpi di
fabbrica fra cui un dormitorio, la chiesa, un magazzino ed era dotato
di due pozzi47.
24
Oltre alla proprietà degli edifici che prospettavano sul piano di San
Nicolò, la Casa delle Verginelle godeva dei canoni provenienti da
altri immobili siti in contrada S. Orsola48, dell’Ogninella nonché da
alcuni appezzamenti di terreno, prevalentemente boschi e frutteti,
posti sul versante orientale dell’Etna (cosiddetto loco del Fleri): il
terremoto aveva gravemente danneggiato le proprietà che in
quegli anni non producevano reddito, pertanto i censi non
erano più esigibili.
Con quali risorse finanziarie si poteva procedere alla ricostruzione?
In potere del Conservatorio restavano i pii legati, uniche fonti di
sostentamento dopo il sisma. Fu la stessa prefetta Giuseppa Torrisi
a scrivere al Santo Padre, Innocenzo XII, per richiedere la devoluzione
delle rendite derivanti dai legati di maritaggio o di monacazione
fondati a beneficio delle orfanelle, per impiegarle nella ricostruzione
della Casa49. Il papa l’11 luglio 1699 diede il suo assenso alla supplica,
ordinando per suo tramite al vescovo Andrea Riggio di destinare i
legati di maritaggio alla ricostruzione ma solo per il decennio
seguente e per una sola volta, ad eccezione delle 12 onze annuali
destinate per obbligo di fondazione ai poveri, da continuare a
distribuire tutti i venerdì, e della rendita derivante dall’eredità
Mancarella Leonardi50. Sembrerebbe pertanto che la ricostruzione
del Conservatorio sia avvenuta grazie alle rendite derivanti dai pii
legati, senza il diretto intervento del Rettore di allora Don
Giuseppe Asmundo. I generosi lasciti in proprietà immobiliari di
cui si è detto nel precedente paragrafo contribuirono comunque
alla ripresa dell’attività assistenziale, in quanto l’affitto di quelle
proprietà forniva le risorse necessarie al sostentamento delle
fanciulle e delle religiose.
Non sappiamo con esattezza come fosse il Conservatorio nei primi
decenni del XVIII secolo in quanto non è stato possibile reperire
documenti che facciano riferimento a quegli anni51. Un’interessante
fonte di analisi è comunque fornita dalla documentazione iconografica:
le viste a volo d’uccello che raffigurano la città di Catania a cavallo fra
XVIII e XIX secolo rappresentano, però, il Conservatorio come se
fosse ampliamente ultimato e ben più vasto di quanto non apparirà
nell’iconografia successiva. Tanto nell’incisione di F. Orlando (1761)52
quanto in quella di A. Vacca (1780)53 il Conservatorio è rappresentato
come un edificio che satura completamente l’isolato e dotato di una
corte interna chiusa da corpi di fabbrica: immagine evocativa di un
luogo dove le fanciulle erano custodite e protette piuttosto che la fedele
rappresentazione della realtà. Attendibile è la collocazione topografica
del Conservatorio e dell’annessa chiesa di S. Agata delle verginelle:
entrambi insistono nell’allora piano di S. Nicolò.
Alessandro Lo Faro
Fig. 21. Particolare della vista Orlando (1760).
Al n. 10 il monastero dei Benedettini e (nel
riquadro in rosso) la casa delle vergini.
Fig. 22. Particolare della vista Vacca (1780). Al
n. 10 il monastero dei Benedettini e di fronte
ad esso un edifico a doppia corte rappresenta
l’ex Conservatorio.
IL CONSERVATORIO DELLE VERGINELLE IN CATANIA
25
Il progetto di ampliamento (1 842 – 1 856)
L’incisione di Sebastiano Ittar (1833) in cui è rappresentata la prima
pianta topografica della città di Catania, ci mostra con maggiore
attendibilità l’edificio nei primi decenni del XIX secolo, qui indicato
con il numero 126 – Ritiro delle verginelle: attorno alla chiesa dedicata a
S. Agata si addensavano corpi di fabbrica di varia estensione
planimetrica. Osservando la pianta Ittar, si percepisce un blocco
avente forma a C, forse ad unica campata, sul cui lato corto si adagia
la chiesa. Ortogonale ad esso un corpo di fabbrica doppio accoglieva
probabilmente i dormitori. La corte interna è risolta congiungendo i
lati corti del blocco a C con un muro di cinta. L’insieme degli
edifici che compongono il Conservatorio sembra pertanto assai
irregolare: la sua realizzazione è dovuta probabilmente al succedersi
di fasi costruttive anche cronologicamente lontane fra loro.
Una linea tratteggiata congiungeva a Nord il Conservatorio con
l’edificio adiacente. Con lo stesso simbolismo sono indicati alcuni
ritrovamenti archeologici avvenuti nel piano ed all’interno del
convento dei PP Benedettini, lì segnalati con il numero 39 –
Vestigj delle Terme Ninfee.
La distribuzione funzionale delle fabbriche di pertinenza del
Conservatorio comprendeva allora 2 ambienti al piano terra
destinati a dormitorio ed un altro di minor dimensione al piano
superiore, un refettorio, la stanza dove le fanciulle si dedicavano
al loro lavoro (laboratorio), un locale destinato a parlatorio, la
chiesa con la relativa sacrestia54ed i locali di commodità.
Fig. 23. Particolare della pianta Ittar
(1833): al numero 126 il Ritiro delle verginelle.
26
Una scala nell’angolo Nord ovest consentiva il collegamento fra le due
elevazioni. Facevano inoltre parte dello stesso plesso 4 case terranee,
un basso, un casaleno ed un appartamento (quartino); questo
ultimo era assegnato al cappellano che vi risiedeva stabilmente per
espletare in modo più agevole l’assistenza morale alle fanciulle recluse55.
Nella prima metà dell’Ottocento, fu intendimento del rettore
Giuseppe Asmundo Cirino, VII fidecommissario, ingrandire il
Conservatorio ampliando la fabbrica esistente perché ristretta e poco
ventilata56: fu dato incarico verbale al Capitano Carmine Lanzerotti,
allora impegnato nei lavori di costruzione del nuovo molo del
porto di Catania57. Il 6 maggio 1842 il Lanzerotti consegnò la perizia
estimativa dei lavori, da cui è possibile dedurre quali fossero le sue
intenzioni progettuali58. Il nuovo edificio fu concepito a due
elevazioni, come quello già esistente, e prevedeva al primo livello il
refettorio, l’anticucina, la cucina ed un disimpegno (andito di
comunicazione) fra i corpi di fabbrica per renderli indipendenti l’uno dall’altro;
al secondo livello un dormitorio per trenta posti letto. I magazzini
e le stanze da lavoro trovavano posto nel piano terra dell’edificio
preesistente, mentre un vano destinato a deposito nella seconda
elevazione (magazzino per grascia) doveva essere convertito in piccolo
dormitorio per sei letti. Le soluzioni di dettaglio dei prospetti
esterni dovevano riproporre quelle dell’edificio preesistente.
Il nuovo plesso doveva estendersi a Nord, a ridosso dell’esistente,
fino a raggiungere il confine della proprietà, su di un’aria nella
planimetria di Ittar stranamente rappresentata come già occupata
da un altro corpo di fabbrica. Nella relazione del Lanzerotti si
precisava che i materiali di risulta derivanti dalle demolizioni potevano
ritenersi compensativi degli oneri della stessa demolizione, non
esplicitando a quali fabbriche il progettista si riferisse. In tal modo
però potevano restare inalterate alcune casucce date in affitto, che
prospettavano sul piano dei Benedettini.
Il costo complessivo della costruzione fu stimato in 3.700 ducati.
Le commode fabbriche per l’alloggio e per l’esercizio delle varie manifatture che
il Lanzerotti progettò, sono l’espressione di una concezione della
assistenza che cerca di andare oltre il mero ricovero degli indigenti,
a che vede nel lavoro uno strumento di autentico riscatto sociale.
Dall’attenta lettura di quello che oggi chiameremmo computo
metrico estimativo, è possibile ricavare anche i dati dimensionali del
nuovo plesso nonché conoscere le soluzioni costruttive che il
progettista voleva porre in essere: il nuovo edificio doveva avere
una dimensione di circa 28x10 m, diviso longitudinalmente da una
sequenza di 5 pilastri in muratura (dimensioni in pianta 103x70
cm). I muri d’ambito dovevano essere costruiti in conci irregolari
di basalto legati con malta di azolo59, aventi uno spessore di circa
Alessandro Lo Faro
Fig. 24. Foto del prospetto della chiesa di Santa
Agata e dei locali annessi, un tempo assegnati
al cappellano (foto del 1983).
IL CONSERVATORIO DELLE VERGINELLE IN CATANIA
27
60 cm ed un’altezza, alla prima elevazione di 4,5 m. Una sequenza
di archi, anch’essi in muratura, garantiva il collegamento tra i pilastri
ed i muri perimetrali, delimitando campate di circa 7x5 m. Al piano
superiore i solidi murari si innalzavano per ulteriori 4 metri e
riducevano la loro sezione di circa 5 cm. Per le chiusure orizzontali
intermedie si prevedevano volte a crociera in mattoni, legati con
malta di calce e azolo60; al livello superiore, invece, volte in
conglomerato di rottami laterizi e malta di gesso rinforzate con
archi in mattoni, da disporsi ad intervalli di 6 palmi (circa ogni 150
cm)61. Le mostre delle finestre dovevano essere in conci di pietra
bianca apparecchiata a tutto lavoro cioè lavorata su tutte le facce e bene
squadrata. I prospetti esterni erano da rifinire con malta (smalto) di
calce e azolo. L’attacco a terra di tutto il nuovo corpo di fabbrica
era risolto con una zoccolatura in lastre di pietra lavica aventi
larghezza di circa 22 cm.
La chiusura orizzontale di copertura era a libro: quattro capriate
(cavalletti) dovevano sorreggere un’orditura secondaria (coscialettoni)
su cui si poggiavano i listelli (serratizzi) che sopportavano un manto
di coppi e canali alla siciliana. L’essenza adoperata per tutti gli
elementi di fabbrica della copertura era il castagno.
La luce e l’areazione erano garantite da 28 finestre alla maltese62
distribuite fra le due elevazioni e protette da grate metalliche a
petto d’oca, tinte a due mani d’olio di lino color verdone63.
Il progetto originale prevedeva dunque la costruzione di un edificio
a corpo doppio, dove il muro di spina era sostituito da una sequenza
di pilastri a loro volta collegati da archi. I materiali previsti per le
strutture resistenti erano quelli tipici della tradizione costruttiva
catanese: conci di basalto, azolo e ghiara. Non si può notare una
distinzione significativa nel modus construendi dei solidi murari in
base alla finalità: era sempre prevista una fabbrica incerta, ovvero
realizzata con conci informi di basalto lavico legati con malta di
grassello di calce e azolo, tanto per le fondazioni quanto per i
solidi murari in elevazione. Meno frequenti, invece, appaiono le
soluzioni proposte per gli orizzontamenti voltati: si suggeriva infatti
di realizzare volte a crociere con mattoni a zoccolo (20x11x3 cm)
posti di taglio, legati con malta di calce e azolo alla prima elevazione
e volte a concrezione, adoperando frammenti di laterizi e malta di
gesso, nella seconda. La prassi costruttiva locale prevedeva piuttosto
l’uso di pomice vulcanica e/o scaglie di basalto, legate con malta di
azolo e gesso, incrementando semmai gli spessori a seconda della
capacità portante richiesta (generalmente non inferiore agli 8-10 cm
in chiave e progressivamente crescente alle reni). Le tipologie dei altri
elementi di fabbrica (intonaci, pavimenti, infissi, apparecchiatura lapidea
di facciata) erano coerenti con la tradizione costruttiva catanese.
28
Alessandro Lo Faro
Fig. 25. Particolare dalla vista a volo d’uccello
disegnata da A. Guesdon (1849). Si riconosce
la mole del monastero benedettini e la casa delle
vergini (nel riquadro in rosso).
Nel luglio del 1842 il capitano Lanzerotti fu sollevato dall’incarico
della direzione lavori del nuovo molo64, dimostrandosi forse
indisponibile anche ad eventuali modifiche ed integrazioni al
progetto di ampliamento del Conservatorio: infatti, a distanza di
pochi mesi, il 18 marzo 1843, l’architetto Michelangelo Consoli65
ricevette l’incarico di redigere una relazione supplitoria a quella del
Lanzerotti, dove furono stimati lavori per ulteriori 810 ducati, relativi
ad opere necessarie per cose e comodità del Conservatorio e per lavori di
abbellimento nel prospetto a mezzogiorno nella parte interna ed esterna del
Cortile. In realtà la perizia integrativa del Consoli non modificò
l’originale progetto Lanzerotti, prevedendo soprattutto interventi
manutentivi sull’immobile preesistente:
1.
il rifacimento dell’intonaco a base di azolo nel prospetto di
mezzogiorno e nel cortile di tramontana;
2.
la riparazione del coronamento alla cappuccina nello stesso
prospetto;
3.
il rifacimento dell’intonaco interno nella volta che delimitava
superiormente l’ingresso del reclusorio;
4.
la sostituzione di una tettoia che copriva un pozzo;
5.
diversi lavori di tinteggiatura a latte di calce (inalbatura) fra
cui l’ingresso, alcune volte, i nuovi intonaci, parte del muro
di prospetto, nei corridoi, nel coro di notte delle religiose,
nelle parti a vista del tetto;
6.
la fornitura di nuovi infissi (finestre e porte finestre);
7.
il rifacimento dei cornicioni a mezzo stucco nel primo e
secondo ordine del prospetto della chiesa. Furono previsti
inoltre 35 metri lineari di muro di cinta che, dovendo proteggere le fanciulle dalla vista, era alto ben 6 metri.
Affinché fosse possibile appaltare i lavori era necessario il beneplacito
del Consiglio Generale degli Ospizi, organo di controllo delle