ESEMPI DI ARCHITETTURA Spazi di riflessione 5 Direttore Olimpia Niglio Kyoto University, Giappone Comitato scientifico Taisuke Kuroda Kanto Gakuin University, Yokohama Rubén Hernández Molina Universidad Jorge Tadeo Lozano, Bogotá Alberto Parducci Università degli Studi eCampus Enzo Siviero Università Iuav di Venezia, Venezia Alberto Sposito Università degli Studi di Palermo Comitato di redazione Sara Cacciola Università degli Studi eCampus Giuseppe De Giovanni Università degli Studi di Palermo Marzia Marandola Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Alessio Pipinato Università degli Studi di Padova Bruno Pelucca Università degli Studi di Firenze Chiara Visentin Università degli Studi di Pisa ESEMPI DI ARCHITETTURA La collana editoriale Esempi di Architettura nasce per divulgare pubblicazioni scientifiche edite dal mondo universitario e dai centri di ricerca, che focalizzino l’attenzione sulla lettura critica dei proget­ti. Si vuole così creare un luogo per un dibattito culturale su argomenti interdisciplinari con la finalità di approfondire tematiche attinenti a differenti ambiti di studio che vadano dalla storia, al restauro, alla progettazione architettonica e strutturale, all’analisi tecnologica, al paesaggio e alla città. Le finalità scientifiche e culturali del progetto EDA trovano le ragioni nel pensiero di Werner Heisenberg Premio Nobel per la Fisica nel 1932. … È probabilmente vero, in linea di massima, che nella storia del pensiero umano gli sviluppi più fruttuosi si verificano spesso nei punti d’interferenza tra diverse linee di pensiero. Queste linee possono avere le loro radici in parti assolutamente diverse della cultura umana, in diversi tempi ed in ambienti culturali diversi o di diverse tradizioni religiose; perciò, se esse veramente si incontrano, cioè, se vengono a trovarsi in rapporti sufficientemente stretti da dare origine ad un’effettiva interazione, si può allora sperare che possano seguire nuovi ed interessanti sviluppi. Spazi di riflessione La sezione Spazi di riflessione della collana EdA, Esempi di Architettura, si propone di contribuire alla conoscenza e alla diffusione, attraverso un costruttivo confronto di idee e di esperienze, di attività di ricerca interdisciplinari svolte in ambito sia nazionale che internazionale. La collana, con particolare attenzione ai temi della conservazione del patrimonio costruito nonché dell’evoluzione del processo costruttivo anche in ambito ingegneristico, è finalizzata ad approfondire temi teorici e metodologici propri della progettazione, a conoscere i protagonisti promotori di percorsi evolutivi nonché ad accogliere testimonianze operative e di attualità in grado di apportare validi contributi scientifici. Le attività di ricerca accolte nella collana EdA e nella sezione Spazi di riflessione possono essere in lingua straniera. Alessandro Lo Faro Il Conservatorio delle Verginelle in Catania Indagini preliminari e progetto di riuso di una fabbrica tradizionale Copyright © MMXII Giuseppe Alaimo ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133/A–B 00173 Roma (06) 93781065 isbn 978–88–548–5405–5 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: novembre 2012 Ai miei genitori L’autore ringrazia Il prof. ing. Angelo Salemi per gli indirizzi metodologici e la guida scientifica al presente lavoro Il prof. ing. Salvatore Barbera per gli iniziali suggerimenti sulla conduzione della ricerca Il prof. Roberto Tufano ed il dott. Marcello Proietto per la revisione dei documenti d’archivio Il Dott. Ernesto De Luca, amministratore dell’IPAB Istituti femminili riuniti Provvidenza e S. Maria del Lume per aver concesso la consultazione delle carte dell’archivio del Conservatorio delle Verginelle Il geom. Antonino Leonardi per il supporto occulto al progetto definitivo e per il sempre amichevole ma altrettanto rigoroso scambio di opinioni La sua famiglia che l’ha talvolta spronato e sempre sostenuto Indice Introduzione 1 2 3 4 9 L’indagine storico – archivistica 11 11 15 23 Il rilievo geometrico – spaziale 41 41 1.1 1.2 1.3 2.1 Il Conservatorio ed il contesto urbano Breve storia del Conservatorio Le vicende costruttive Il rilievo metrico e la descrizione della fabbrica Il riconoscimento dell’apparecchiatura tecnico-costruttiva 61 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6 Le fondazioni e le chiusure orizzontali di base Le chiusure verticali Le chiusure orizzontali piane e voltate L’apparecchiatura lapidea di facciata Le coperture ed i collegamenti verticali Gli infissi e gli elementi di protezione Il progetto delle indagini preliminari 4.1 4.2 4.3 4.4 4.5 4.6 I sondaggi geognostici Le prospezioni georadar L’indagine endoscopica L’indagine magnetometrica L’analisi dello stato tensionale delle murature con il metodo dei martinetti piatti L’analisi delle deformazioni delle chiusure orizzontali mediante prove di carico 5 Lo stato di conservazione del complesso edilizio 6. Il progetto di riuso: un plesso didattico per l’Ateneo di Catania 5.1 5.2 5.3 6.1 6.2 Le manifestazioni visibili di decadimento sui fronti esterni La rappresentazione del quadro fessurativo La diagnosi delle patologie riscontrate Le ragioni del riuso delle fabbriche tradizionali Il progetto di riuso dell’ex Conservatorio delle Verginelle (2006 – 2008) 62 63 65 69 71 74 83 86 87 91 94 94 101 109 111 115 115 123 123 126 Conclusioni 145 Note 149 Bibliografia 177 Fonti archivistiche 182 Fonti delle illustrazioni 183 Introduzione Gli insediamenti universitari presso la collina di Montevergine, consolidati negli ultimi anni dalla fruizione della quasi totalità degli spazi dell’ex monastero dei P.P. Benedettini di S. Nicolò l’Arena, hanno contribuito a riscattare un’area marginale del tessuto urbano catanese, il quartiere Antico Corso, connotata in passato dalla compresenza di un’edilizia minuta e di grandi “contenitori urbani” destinati quasi esclusivamente ai servizi sanitari (gli ospedali Vittorio Emanuele, S. Bambino, S. Marta e Villermosa, la ex Casa della Divina Nutrizione). L’immutato interesse da parte della popolazione studentesca per gli studi umanistici (l’offerta formativa promossa dalle sole Scienze della Formazione attrae nell’Ateneo di Catania circa 4.200 studenti) e la impossibilità di incrementare ulteriormente le sedi già esistenti, hanno stimolato l’Amministrazione universitaria a ricercare nella collina di Montevergine nuovi immobili da riutilizzare e destinare alla didattica. L’ex Conservatorio delle Verginelle, con la sua posizione privilegiata di fronte al polo umanistico insediato presso il monastero dei Benedettini, era da anni quasi abbandonato o quantomeno sotto - utilizzato. Il parziale acquisto del complesso ed il suo successivo riuso sono sembrate, pertanto, le soluzioni più semplici e razionali conseguendo un duplice scopo: garantire un migliore servizio alla popolazione studentesca e recuperare un’altra parte del patrimonio edilizio cittadino, altrimenti destinata all’obsolescenza. Il complesso da recuperare è un insieme di più corpi di fabbrica tradizionali inseriti in un contesto urbano di elevatissima qualità ambientale, meritevole cioè di tutte quelle attente e rigorose analisi preliminari che sono lo strumento irrinunciabile per qualsiasi intervento sul costruito storico che ambisca ad essere congruente e compatibile. Negli interventi che hanno per oggetto le fabbriche tradizionali, il dispiego di risorse intellettuali sembra infatti sbilanciato più verso la fase della conoscenza preliminare che verso la reale progettazione. Ma questa è l’unica strada da percorrere quando l’obiettivo è la salvaguardia del patrimonio edilizio anche attraverso un suo uso/riuso consapevole che 10 fondi la valutazione della vocazione alla trasformabilità sulla base della reale conoscenza del bene da trasformare. Tale conoscenza si è arricchita, nel caso dell’ex Conservatorio delle Verginelle, di una sequenza di fasi operative tra loro correlate (un’estesa indagine storica, un rigoroso rilievo metrico e specifici protocolli diagnostici atti ad accertare lo stato di conservazione e le capacità prestazionali dei principali elementi di fabbrica) che hanno successivamente guidato le scelte progettuali e le procedure riabilitative poste in essere nell’intervento di recupero qui esposto. Chi scrive si è trovato nella esaltante circostanza di seguire tutte le fasi dell’intervento: dalle indagini preliminari, al progetto, all’esecuzione. Dei risultati conseguiti con il progetto di riuso, se non felici si spera corretti, si vuole esporre in questo lavoro, sperando di tracciare un utile iter metodologico a cui inspirarsi quando si interviene sulle fabbriche tradizionali. Alessandro Lo Faro 1. L’indagine storico - archivistica 1.1 Il Conservatorio e l’evoluzione del contesto urbano L’area attualmente occupata dal Conservatorio delle Verginelle di S. Agata ricade nella collina di Montevergine1, nella parte occidentale del centro storico della città di Catania. In essa sorgono numerose emergenze architettoniche fra cui spicca l’imponente mole del monastero benedettino di S. Nicolò l’Arena2. In tale contesto urbano si può riscontrare la maggior continuità abitativa fra i siti appartenenti al centro storico etneo. A poche centinaia di metri ad Ovest del Conservatorio, all’interno del perimetro dell’ex monastero dei Benedettini, strati preistorici documentano una frequentazione del sito già in età neolitica, che si protrae con continuità fino al periodo della Fig. 2. Vista a volo d’uccello (a fianco in rosso) e dell’alto dell’ex Conservatorio inserito nel contesto urbano fra cui emerge il monastero di S. Nicolò l’Arena 12 colonizzazione calcidese della città (VIII sec. a. C.)3. Ulteriori ritrovamenti, ancora all’interno del monastero, confermano livelli greci dal VI sec. a.C alla fine del V – IV sec. a.C. a cui si sovrappongono ulteriori strutture romane del I secolo ma rimaste in uso fino al II – III sec. d.C. La quantità e distribuzione dei ritrovamenti ha fatto desumere agli studiosi che il sito accogliesse l’acropoli della città greca nel primitivo impianto calcidese4. L’area rimase fortemente urbanizzata anche nei secoli successivi, fino ad accogliere interventi di monumentalizzazione durante l’età tardo imperiale, quali l’impianto termale ritrovato nel secondo decennio del XX secolo dal prof. Libertini durante la sistemazione dello spiazzo (attuale piazza Dante) delimitato dal monastero e dal prospetto occidentale del Conservatorio5. Qualche anno prima al di sotto di esso furono rinvenuti resti di muri romani e condotte, che il Libertini volle porre in relazione con l’impianto termale scoperto in piazza Dante. Lo studioso fu giustamente prudente nel formulare questa sua ipotesi, non avendo avuto modo di verificare la continuità dei condotti presenti nello scavo di piazza Dante con quelli rinvenuti all’interno del Conservatorio delle Verginelle. Ciò nonostante è plausibile pensare all’esistenza di un’insula collocata sulla sommità della collina di Montevergine, come hanno dimostrato i successivi ritrovamenti effettuati in prossimità del muro di cinta e nel cortile est del Monastero dei Benedettini. Gli ambienti ed i condotti ritrovati, insieme ad alcune monete, fanno datare tali avanzi fra il III ed il IV secolo d.C.6 La contrazione dell’abitato in età tardo antica e lo spostamento del centro politico-religioso presso la platea magna ed il porto durante la dominazione normanna, resero la collina di Montevergine marginale rispetto al nucleo direttivo della città medioevale7. Pur perdurando tale situazione, nel 1588, i P.P. Benedettini decisero di costruire il loro convento intra moenia nella pianura del Parco o contrada Cipriana, il cui toponimo potrebbe rimandare ad una vasta area di pertinenza demaniale in cima alla collina stessa8. L’impulso costruttivo derivante dal nuovo cenobio contribuì certamente a rendere l’area più densamente popolata: di fronte al Piano di S. Nicolò, spazio di rispetto fra un edificato prevalentemente modesto e residenziale ed il monastero stesso, si insediò dopo qualche anno il Conservatorio delle Verginelle, dedicato a S. Agata. La colata lavica del 1669 interessò il margine occidentale della collina, penetrando all’interno delle mura urbane e lesionando gravemente la chiesa di S. Nicolò. La dimora delle Verginelle non ne fu interessata. La lenta ripresa dopo il sisma del 1693 vide la riconferma dei siti su cui sorgevano le fabbriche pre terremoto e si dovrà attendere il piano di risanamento dell’ing. comunale Bernardo Gentile Cusa (1888) per ovviare ai forti ed irregolari dislivelli altimetrici diffusi in quell’intorno urbano. La definitiva sistemazione dello spiazzo antistante il monastero avverrà nel 1923 ed avrà rilevanti conseguenze sull’assetto definitivo del Conservatorio9. La presenza di numerosi edifici a destinazione termale anche nelle immediate vicinanze del reclusorio delle Verginelle (si pensi agli avanzi di 5 vani Alessandro Lo Faro Fig. 3. Particolare della pianta della città di Catania di Sebastiano Ittar (1833). Sono distinguibili il Conservatorio delle verginelle di S. Agata (126), il monastero dei PP. Benedettini (101) e i Vestigj delle Terme Ninfee (39). (Biblioteca Civica Ursino Recupero di Catania). Fig. 4. Particolare della pianta della città di Catania allegata al Voyage pittoresque des isles de Sicilia di J. Houel (1784). Di fronte al monastero dei Benedettini la lettera G fa riferimento a fondaments d’edifices antiques. IL CONSERVATORIO DELLE VERGINELLE IN CATANIA Fig. 5. Foto d’insieme e di dettaglio degli scavi visibili in piazza Dante. Fig. 6 Avanzi di terme scoperti dal Biscari nei pressi della chiesa di S. Maria dell’Itria. Incisione di A. Zacco da un disegno di L. Mayer (1776 circa). 13 rinvenuti nel 1947, sotto il piano stradale presso la chiesa di S. Maria dell’Itria) era ben nota già nell’800, quando, Sebastiano Ittar nella sua pianta topografica di Catania del 1833, segnò con il numero 39 - Vestigj delle Terme Ninfee - sia il tratto terminale dell’attuale via G. Clementi che l’interno del muro di cinta del monastero benedettino, di fronte la fabbrica del reclusorio. Informazioni già contenute nella pianta di Catania elaborata da J. Houel nel 1784 a corredo del suo viaggio per le antichità siciliane, condotto, durante il soggiorno catanese, in compagnia del principe di Biscari, Ignazio Paternò Castello10. L’abbondanza di acque presso la collina di Montevergine era motivata dalla presenza dell’acquedotto romano che in quel sito trovava il suo punto di distribuzione alla città: la cosiddetta Botte dell’acqua11. Gli ulteriori scavi condotti negli anni 1958 - 59, nell’area della piazza Dante compresa tra il monastero e l’ex reclusorio, hanno portato alla luce altri ambienti a destinazione termale12. L’insieme delle scoperte effettuate fuori e dentro il recinto benedettino, soprattutto le più recenti, e la lettura delle relazioni fra i resti ed il contesto hanno suggerito agli studiosi una nuova attribuzioni per gli avanzi delle grandi terme che segnano, semmai, un diverso e più stimolante disegno urbano: nella collina di Montevergine insisteva un elegante quartiere residenziale della Catina tardo imperiale, la cui fitta trama viaria, caratterizzata da sezioni stradali lastricate, individuava ampi isolati saturati da domus patrizie, talune dotate di piccoli bagni privati. A questa categoria appartengono gli scavi oggi visibili in piazza Dante13 e, come si preciserà più avanti, i resti archeologici al di sotto sia del corpo di fabbrica a Nord Est quanto del prospetto Ovest del reclusorio delle Verginelle, a circa 2 metri al di sotto dell’attuale quota stradale. Un’idonea campagna diagnostica potrebbe fornire utili elementi per comprendere l’effettiva estensione del costruito di età greco - romana in questa parte della città, dove la maggior parte dei rinvenimenti è avvenuta in conseguenza degli interventi urbanistici ed infrastrutturali14. 14 Alessandro Lo Faro IL CONSERVATORIO DELLE VERGINELLE IN CATANIA Fig. 7 (a fianco). Sovrapposizione dei ritrovamenti archeologici effettuati all’interno del Monastero dei Benedettini sul tessuto urbano di piazza Dante. Tratteggiata in rosso la trama viaria lastricata che circoscrive gli isolati della città romana. Fig. 8. La collina di Montevergine circondata dalle lave del 1669, in un’incisione di anonimo del 1686. L’edificio lambito dalla colata è il monastero dei P.P. Benedettini nel suo assetto originario. Tra gli edifici che lo fronteggiano vi è il Conservatorio delle vergini 15 1.2 Breve storia del Conservatorio La Casa delle fanciulle vergini sotto il titolo di S. Agata, o Conservatorio come fu chiamato durante il XIX sec., era un’istituzione pia laica il cui scopo era quello di “conservare” le virtù delle fanciulle orfane ed indigenti, dando loro un’istruzione ed insegnandogli un mestiere con cui mantenersi o crearsi una dote15. I conservatori delle virtù, più verosimilmente detti reclusori, erano enti con cui la monarchia, la Chiesa e le deputazioni comunali istituzionalizzavano le forme private di beneficenza; essi rientrano nella politica assistenziale della società dell’età moderna, che difende un sistema patrilineare in cui il controllo della sessualità femminile assicura il passaggio dei patrimoni ed il mantenersi dell’ordine sociale consolidato16. Le donne da tutelare erano infatti distinte in peccatrici o pericolate (ovvero ex prostitute, adultere abbandonate dai mariti, ragazze madri) e pericolanti cioè le giovinette la cui virtù era messa a rischio a causa del disagio economico della famiglia di provenienza17. Il Conservatorio delle Verginelle accoglieva questa seconda categoria di giovani. La Casa fu fondata nella seconda metà del XVI sec. per volontà del patrizio catanese Giovanni La Rocca; fonte di sostentamento erano i beni dello stesso La Rocca e le elemosine. Nel 1588 il Senato di Catania diede al Conservatorio una sede e pose l’istituto sotto il controllo di un patrizio con la qualifica di Rettore18. In quegli anni il Senato catanese patrocinava due istituti laici dediti alla beneficenza ed all’assistenza: uno riservato alle fanciulle ed un altro alle donne. Le finalità dei due istituti erano analoghe: sostenere le donne prive di mezzi, fornendo loro gli strumenti per condurre una vita onesta, preservandole dal pericolo del meretricio e quindi dallo scandalo che ciò generava nella pubblica morale. Accogliendo positivamente la richiesta formulata dai Rettori dei due istituti, Cristoforo Hernandez Hores, Vicario generale per la sede vescovile vacante di Catania, insieme al Sindaco ed ai Giurati, il 7 agosto 1593 fuse le due istituzioni in una sola sotto il titolo di S. Agata, patrona della città di Catania19. La casa delle Vergini era stata costruita da recente e quindi, come risulta dall’atto, era idonea ad accogliere anche le ospiti adulte. Il Monte di Pietà donò a tal fine 36 onze annue a cui si aggiunsero, ancora per disposizione del Vicario generale, 1000 onze donate dal Consiglio Generale insieme a numerose elemosine offerte da privati cittadini. Il viceré Conte di Olivares, confermò il Conservatorio con biglietto del 6 ottobre 1595 ed impose che la nomina dei Rettori avvenisse fra i nominativi appartenenti allo stesso elenco di candidati per la 16 Rettoria del Monte di Pietà, da sorteggiare mediante il sistema del bussolotto. Essendo un istituto di beneficenza, il Conservatorio era sottoposto anche al controllo vescovile: Bonaventura Secusio, nella sua visita pastorale del 26 ottobre 1612 riferì semplicemente dell’esistenza di un monastero di povere fanciulle vergini20. Dalla relazione del vescovo Marco Antonio Gussio apprendiamo che nel 1655 le fanciulle ospitate erano 2321. Le sorti del Conservatorio furono fortemente condizionate dal regio milite nonché dottore utriusque iuris Giuseppe Asmundo Sigona e Mendicino, rettore in carica già dal 166922. Con donazione dell’11 dicembre 1706, agli atti del notaio Francesco Puglisi, Giuseppe Asmundo devolse al Conservatorio alcune proprietà immobiliari (tenimenti di case), site in contrada S. Anna23 o di S. Filippo e consistenti in diversi corpi di fabbrica, comprensivi di case appalazzate, botteghe, magazzini, dispense, depositi, un portico, cortili e pozzi. Tutti questi edifici erano ancora in corso di costruzione, per cui l’Asmundo impegnò se stesso ed i suoi eredi a completarli al più presto, in quanto era sua volontà che la Venerabile Casa delle fanciulle Vergini debba possedere tutto integralmente e nel migliore dei modi24. Il tenimentum domorum di proprietà dell’Asmundo era a oriente confinante con il fondaco di Don Luigi Gagliani, dottore in medicina e filosofia, a mezzogiorno prospettava su via pubblica (la strada di S. Filippo, denominata poi Ferdinandea ovvero l’attuale via Garibaldi), con una via privata a Nord Est e con il convento di S. Anna ad occidente. Le proprietà erano situate di fronte agli altri possedimenti della famiglia Asmundo che dimostrarono un indubbio interesse nei confronti di questa parte della città, dove concentrarono buona parte dei propri beni urbani: nel 1694, per concessione del duca di Camastra, Don Adamo Asmundo Paternò, nipote del succitato Giuseppe, si era infatti impegnato a costruire a proprie Alessandro Lo Faro Fig. 9. L’atto di fondazione del Conservatorio del 1593. Fig. 10. Particolare del piano di S. Nicolò tratto dall’affresco di G. Platania conservato nella sacrestia della Cattedrale e raffigurante la città di Catania minacciata dalle lave del 1669. IL CONSERVATORIO DELLE VERGINELLE IN CATANIA Fig. 11. L’insegna della casata Asmundo dei principi di Gisira. Fig. 12. Il quadrato di piazza Mazzini (il numero 12) in un particolare dell’incisione Vacca (1780). Fig. 13. Il piano di S. Filippo, visto da Est. Incisione allegata al Voyage pittoresque di J. C. de Saint Non (1786). 17 spese le 24 botteghe destinate a chianche seu pubblici macelli poste al piano terra della piazza porticata detta piano di S. Filippo. Nel quarto di Sud Est Adamo Asmundo fece costruire quella che sarà una delle case magnatizie dei suoi discendenti: i principi di Gisira25. Nello stesso atto di donazione Giuseppe Asmundo dispose che venisse celebrata quotidianamente una messa in suffragio dell’anima sua, dei suoi consanguinei e dei suoi successori, incaricando a tal fine un sacerdote scelto da lui stesso e che in futuro sarà scelto dai suoi discendenti. Per il sostentamento del cappellano, tale Sebastiano Caruso che all’atto della donazione non era stato ancora consacrato, fu assegnata la somma di 12 onze l’anno26. Nel documento l’Asmundo stabilì inoltre di voler affrancare le proprietà donate da ogni gravame fiscale, obbligo che fu esteso anche ai suoi successori, impegnandosi a completare la Casa delle fanciulle vergini in amplissima forma. Gli introiti derivanti dall’affitto degli immobili serviranno al Rettore pro tempore per tutti i necessari lavori di manutenzione, per il vettovagliamento delle fanciulle e per il compenso al cappellano. Già da allora era in animo dell’Asmundo ampliare l’edificio donato alla Casa delle Verginelle: tale ampliamento doveva interessare la parte meridionale del fabbricato (cioè quella confinante con la via del Corso); anche le nuove rendite derivanti dall’ampliamento, calcolate in 4 onze, 42 tarì e 20 grani all’anno, dovevano restare in potere del Conservatorio27. Con una successiva donazione del 7 maggio 1711 Giuseppe Asmundo arricchì ulteriormente il patrimonio immobiliare posseduto dalla Casa delle fanciulle vergini, donando un altro tenimento di case terrane dotate di giardino alberato, pozzo ed altri ambienti 18 Alessandro Lo Faro coperti con tettoie, confinanti ad oriente con le proprietà precedentemente donate dallo stesso Asmundo, con le case di Don Michele Corvaia a settentrione, con via pubblica ad occidente e con il convento di S. Anna a meridione28. Gli immobili urbani del Conservatorio erano pertanto concentrati nelle vicinanze della piazza di S. Filippo ad ulteriore dimostrazione che gli Asmundo furono fra i più munifici donatori. Dalla lettura del Cessato Catasto Terreni, che fornisce lo stato di tali beni a partire dal 1843, si evince che essi consistevano in diversi appartamenti (quartini), botteghe, terranei (abitazioni al piano terra con ingresso direttamente sulla sede stradale), magazzini, cantine e bassi che si affacciavano o sulla via Ferdinanda o sulle traverse vicine (via e vico della Lettera), secondo il seguente schema riepilogativo: Tipologia Quantità quartino 2 Localizzazione Rendita (in Note ducati) 1° piano via Ferdinanda 71.82 quartino 2 via Ferdinanda 128.80 botteghe 5 via Ferdinanda 265.39 terraneo 1 via Ferdinanda 6.56 magazzino 2 via Ferdinanda 15.37 cantina 1 via della Lettera 72 quartino 5 vico della Lettera 48.98 bottega 5 vico della Lettera 77.48 magazzino 2 vico della Lettera 19.47 basso 1 vico della Lettera 5.30 camera 1 vico della Lettera 5.40 terraneo 1 cortile del gelso 2° piano 4.63 Con codicillo del 3 luglio 1717, Giuseppe Asmundo perfezionò le volontà espresse nel suo testamento pubblicato il 10 luglio 1717, ponendo la condizione che i beni donati al Conservatorio dovessero esser amministrati da un fedecommissario scelto fra i suoi parenti, colla facoltà di eleggerlo o in vita o in circostanza di morte29, sotto pena di caducità se l’elezione fosse avvenuta per atto pubblico. Fu nominato quale fidecommissario Michele Asmundo e Landolina, futuro principe di Gisira, suo pronipote. Giuseppe Asmundo così, per mezzo dell’istituzione di un fedecommissario, affidò ai suoi Fig. 14. Il piano di S. Filippo, visto da Ovest, in un acquerello ottocentesco. Sulla sinistra la casa magnatizia dei principi di Gisira. IL CONSERVATORIO DELLE VERGINELLE IN CATANIA 19 Fig. 15. Particolare della pianta Ittar (1833) con evidenziato in blu l’isolato dove ricadevano gli immobili di proprietà del Conservatorio. Sul lato opposto della strada Ferdinandea erano le residenze dei principi di Gisira. Fig. 16. (in alto) Pianta di tutti i beni urbani della eredità del fu Principe di Gisira, esistenti in Catania (1846), ovvero i quarti Est ed Ovest dell’attuale piazza Mazzini. discendenti la Rettoria perpetua del Conservatorio e la gestione amministrativa dei beni lasciati in eredità; indirettamente però il Rettore aveva autorità anche sulle rendite e proprietà non derivanti dai lasciti Asmundo, come nel caso dell’eredità Zappalà Russo30. La scelta del fedecommissario doveva comunque assoggettarsi all’avallo del Senato catanese, che per tutto il XVIII sec. confermò un componente della famiglia Asmundo a Rettore e Conservatore della Casa delle vergini31. Già nel 1753 un Reale Dispaccio approvò definitivamente il Conservatorio che fu dichiarato opera pia laicale soggetta alla Reale giurisdizione, svincolandolo così dall’autorità vescovile (relativamente alla nomina del cappellano della chiesa) e consentendo ai Rettori di invocare direttamente il giudizio sovrano nelle successive dispute con il Senato catanese, in merito alla gestione dei lasciti e delle proprietà immobiliari non derivanti dall’eredità Asmundo. Nei primi anni dell’800 il Decurionato rivendicò la propria autonomia nella scelta del Rettore del Conservatorio, intraprendendo una lunga disputa con la famiglia Asmundo che si risolse solo con l’intervento diretto della Corona32. Tra le varie motivazioni esposte in propria difesa, gli eredi Asmundo, non senza qualche iperbole, avocarono a se la ricostruzione dell’istituto dopo il terremoto del 1693 che raso al suolo tornò pure a nuova vita a spesa intieramente del Cavalier D.n Giuseppe Asmundo per la restaurazione del locale in Città e per le largizioni in beni stabili e rendite, che d’allora fin oggi costituiscono la vita morale di quel pio luogo33. Gli Asmundo dimostrarono non poco interesse nel difendere il 20 diritto di scegliere in vita il fidecommissario del Conservatorio: oltre alla gestione dei beni immobili donati dal proprio avo, tale carica conferiva un indubbio prestigio al casato e la scelta generalmente ricadeva, non a caso, sui secondogeniti che non potevano fregiarsi del titolo nobiliare di principe di Gisira, in quanto spettante al primogenito. La sequenza dei fidecommissari fu pertanto la seguente: 1. Giuseppe Asmundo Sigona e Mendicino, fondatore della fidecommissaria (donazione del 1706 e 1711 agli atti del notaio Francesco Puglisi); 2. Don Michele Asmundo e Landolina, barone e successivamente principe di Gisira, II fidecommissario nominato dal prozio Don Giuseppe Asmundo e Mendicino (codicillo notaio Antonio Longo 02 luglio 1717); 3. Gaetano Asmundo e Asmundo, III fidecommissario, nominato dal padre Don Michele Asmundo e Landolina (notaio Gaetano Arcidiacono 12 settembre 1776); 4. Domenico Asmundo e Rizzari, dei principi di Gisira, IV fidecommissario, nominato dal fratello consanguineo Don Gaetano Asmundo e Asmundo (notaio Giuseppe Virgillito 8 marzo 1798); 5. Francesco Asmundo Sammartino dei principi di Gisira, V fidecommissario, nominato dallo zio Domenico Asmundo e Rizzari, dei principi di Gisira (notaio Salvatore Maccarrone 6 aprile 1807); 6. Adamo Benedetto Asmundo Sammartino dei principi di Gisira, VI fidecommissario, nominato dal fratello Francesco Asmundo Sammartino (notaio Vincenzo Virgillito 8 settembre 1813); 7. Giuseppe Asmundo Cirino dei principi di Gisira, VII fidecommissario, nominato dal padre Adamo Benedetto Asmundo Sammartino (notaio Cesare Costantino 24 agosto 1827); 8. Adamo Benedetto Asmundo Capizzi, VIII fidecommissario, nominato dal padre Giuseppe Asmundo Cirino dei principi di Gisira (notaio Arcangelo Maravigna 16 marzo 1846) 9. Giuseppe Asmundo Pellegrino, barone di S. Demetrio, IX fidecommissario, nominato da Adamo Benedetto Asmundo Capizzi (1864) 10. Giovanni Crispino, commissario prefettizio, dal 1 febbraio 1916 al 27 gennaio 1917; 11. Adamo Benedetto Asmundo di Gisira, barone di San Demetrio, X fidecommissario, nominato dal padre Giuseppe Asmundo Pellegrino (27 gennaio 1917); 12. Giovanni Sapuppo Asmundo, commissario prefettizio, in Alessandro Lo Faro Fig. 17. Targa posta nell’atrio del Conservatorio da Adamo Benedetto Asmundo, X fidecommissario in ricordo dei suoi predecessori (1921). IL CONSERVATORIO DELLE VERGINELLE IN CATANIA Fig. 18. Frontespizi dei regolamenti interni del Conservatorio: 1878 e 1898. 21 quanto Adamo Benedetto Asmundo fu richiamato alle armi come tenente di fanteria, il 12 marzo 1917; 13. Adamo Benedetto Asmundo di Gisira subentrò nuovamente al commissario prefettizio Giovanni Sapuppo Asmundo il 2 aprile 1919; 14. Vincenzo Di Dio, Commissario prefettizio, dal 15 marzo 1950 al maggio 1952; 15. Ugo Asmundo, delegato dal padre barone Adamo Benedetto Asmundo il 29 maggio 1952; 16. Adamo Benedetto Asmundo, XI fidecommissario, nominato dal nonno omonimo (notaio Santi Zinno, testamento del 10 gennaio 1947 reso esecutivo il 7 gennaio 1961). Durante tutto l’Ottocento il Conservatorio continuò a mantenere la sua funzione assistenziale, con lievi oscillazioni nel numero delle giovani ospitate: nel 1833 risiedevano nel conservatorio 50 fanciulle, assistite da 13 religiose, come relazionò al vescovo la direttrice suor Maria Catanuto. Oltre ad un’educazione religiosa le fanciulle dovevano fatigare per la loro sussistenza con lavori prevalentemente di cucito, ricamo e tessere la seta per confezionare fittucce34. Caduto il governo borbonico, lo stato sabaudo sciolse i Consigli degli Ospizi e creò una nuova struttura amministrativa, l’Opera Pia, controllata dalle Deputazioni provinciale35. Si attivarono pertanto i controlli per verificare lo stato patrimoniale dei numerosi reclusori femminili (12 nella sola provincia di Catania): nel 1861 erano ospitate 75 ragazze (65 posti a titolo gratuito e 10 a pagamento) mentre il rettore amministrava fondi rurali per un valore di 45.800 lire, titoli per 203.000 lire e capitoli, censi e canoni vari per altre 78.400 lire, raffigurando così il reclusorio etneo con più alto reddito36. Oltre a regolarne l’amministrazione ed il regime economico/contabile, lo stato italiano invitò le numerose Opere Pie presenti sul territorio a dotarsi e/o aggiornare il proprio regolamento. Il Conservatorio diede alle stampe il proprio statuto organico nel 1878, a seguito della Regia approvazione. In esso si precisava che erano accolte sia fanciulle indigenti, nel numero massimo di 43, che convittrici a pagamento. I 2/3 del prodotto del lavoro delle fanciulle paganti, sarebbe stato accumulato e restituito loro all’uscita dall’Istituto. A differenza di quanto avveniva nei decenni precedenti, l’organizzazione del personale interno al Conservatorio era assai strutturata: la direzione e vigilanza sull’economia interna era affidata ad una Direttrice che doveva essere una maestra patentata. Da essa dipendevano direttamente le maestre (di studio e di lavoro), le infermiere e la portinaia. La direttrice e le maestre erano solitamente delle religiose che, in quegli anni, obbedivano alla regola carmelitana 36 . L’amministrazione era seguita da un segretario, un 22 ragioniere, un commesso, un tesoriere ed un inserviente. Era previsto un servizio legale (composto da un avvocato, un procuratore ed una agente) ed uno sanitario (due medici, un chirurgo ed un salassatore). La somma direzione ed amministrazione del Conservatorio era ovviamente affidata al Rettore che avocava a se la scelta del personale, la sua durata in servizio e la retribuzione. Dalla lettura del regolamento si evince come sia mutato nel tempo il ruolo assunto dal Conservatorio: le giovani ivi accolte non svolgevano solamente lavori artigianali ma si dava maggiore importanza alla loro formazione, in modo da poter gestire in futuro l’economia del focolare domestico e l’educazione dei figli38. Il regolamento interno del 20 giugno 1878 fu aggiornato ed approvato il 25 giugno 1898, prevedendo una drastica riduzione della pianta organica, sia per il convergere di diverse mansioni sulla stessa persona che, soprattutto, per gravi ristrettezze finanziarie39. Le riforme crispine e giolittiane, poste in essere tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, coinvolsero grandemente gli istituti di beneficenza italiani, puntando a trasformare l’apparato assistenziale di antico regime in un più moderno ed efficiente sistema sanitario: si assistette ad una progressiva contrazione degli istituti per il mantenimento di donne espulse dal circuito familiare, a cui fece fronte l’incremento degli ospedali pubblici e degli istituti di assistenza all’infanzia40. Alessandro Lo Faro Fig. 18. Cartolina viaggiata nel 1929 raffigurante l’ex Conservatorio. Nel retro suor Cecilia scrive alla signora Elisa Iacona di Gela in merito alla vendita di fasce di merletto. IL CONSERVATORIO DELLE VERGINELLE IN CATANIA 23 La carica di Rettore del Conservatorio continuò ad assumere grande rilevanza e, come abbiamo visto, sarà ricoperta da esponenti della famiglia Asmundo fino agli anni ’70 del Novecento, quando il Conservatorio si fuse con gli Istituti femminili riuniti Provvidenza e S. Maria del Lume. Tale fusione fu motivata per la quasi mancanza dei proventi patrimoniali e per la poca remuneratività delle rette di ricovero delle fanciulle ospitate41. L’Istituto SS. Provvidenza, inoltre, aveva gli stessi fini statutari del Conservatorio ed un componente della famiglia Asmundo continuò a partecipare alla sua gestione in qualità di membro del consiglio d’amministrazione. L’I.P.A.B. affittò a privati gli appartamenti con ingresso su via Teatro Greco, mentre la maggior parte dell’edificio fu affidata nel primo ventennio del Novecento alle suore Serve dei Poveri, dette del boccone del povero, e nei primi anni ‘80 alle Missionarie del Buon Maestro. Le consacrate vi risiedevano ed educavano i bambini, seguendoli nella crescita dall’infanzia alla scuola primaria. Il 25 maggio 2002, agli atti del notaio Giuseppe Boscarino, l’I.P.A.B. vendette all’Università degli Studi di Catania la parte dell’immobile occupato dalle religiose, riservando per se la chiesa e le sue pertinenze a levante. 1.3 Le vicende costruttive Fig. 20. L’assetto urbano della collina di Montevergine prima del 1669. Al numero 44 (nel riquadro in rosso) il monastero dei P.P. Benedettini L’impianto originario La primitiva sede del Conservatorio sorse nei pressi della chiesa di S. Biagio, successivamente trasferita nelle vicinanze del Collegio dei Gesuiti42. Nel 1619 l’istituto trovò la sua collocazione definitiva nel piano di S. Nicolò, di fronte al monastero dei P.P. Benedettini, essendo rettore Antonio Abate. Lì esisteva una chiesetta dedicata a San Costantino il vecchio e riconsacrata a S. Agata fin dal 159343. Nel 1690, come ci testimonia un erudito locale, nella Casa delle fanciulle vergini erano stati eseguiti lavori di ampliamento riguardanti la Chiesa, i dormitori ed altri corpi di fabbrica non meglio precisati44. Tali lavori consentirono di incrementare il numero delle giovani fino a circa 90 ospiti. Il sisma dell’11 gennaio 1693 danneggiò gravemente l’istituto: quasi 60 fanciulle rimasero sepolte sotto le macerie45. Le rimanenti 30 trovarono rifugio in capanne, sotto la guida della Prefetta Giuseppa Torrisi: la madre badessa era defunta a causa del terremoto46. Il Conservatorio si estendeva, allora, su una superficie di 344 canne quadrate (circa 1460 mq) ed era costituito da diversi corpi di fabbrica fra cui un dormitorio, la chiesa, un magazzino ed era dotato di due pozzi47. 24 Oltre alla proprietà degli edifici che prospettavano sul piano di San Nicolò, la Casa delle Verginelle godeva dei canoni provenienti da altri immobili siti in contrada S. Orsola48, dell’Ogninella nonché da alcuni appezzamenti di terreno, prevalentemente boschi e frutteti, posti sul versante orientale dell’Etna (cosiddetto loco del Fleri): il terremoto aveva gravemente danneggiato le proprietà che in quegli anni non producevano reddito, pertanto i censi non erano più esigibili. Con quali risorse finanziarie si poteva procedere alla ricostruzione? In potere del Conservatorio restavano i pii legati, uniche fonti di sostentamento dopo il sisma. Fu la stessa prefetta Giuseppa Torrisi a scrivere al Santo Padre, Innocenzo XII, per richiedere la devoluzione delle rendite derivanti dai legati di maritaggio o di monacazione fondati a beneficio delle orfanelle, per impiegarle nella ricostruzione della Casa49. Il papa l’11 luglio 1699 diede il suo assenso alla supplica, ordinando per suo tramite al vescovo Andrea Riggio di destinare i legati di maritaggio alla ricostruzione ma solo per il decennio seguente e per una sola volta, ad eccezione delle 12 onze annuali destinate per obbligo di fondazione ai poveri, da continuare a distribuire tutti i venerdì, e della rendita derivante dall’eredità Mancarella Leonardi50. Sembrerebbe pertanto che la ricostruzione del Conservatorio sia avvenuta grazie alle rendite derivanti dai pii legati, senza il diretto intervento del Rettore di allora Don Giuseppe Asmundo. I generosi lasciti in proprietà immobiliari di cui si è detto nel precedente paragrafo contribuirono comunque alla ripresa dell’attività assistenziale, in quanto l’affitto di quelle proprietà forniva le risorse necessarie al sostentamento delle fanciulle e delle religiose. Non sappiamo con esattezza come fosse il Conservatorio nei primi decenni del XVIII secolo in quanto non è stato possibile reperire documenti che facciano riferimento a quegli anni51. Un’interessante fonte di analisi è comunque fornita dalla documentazione iconografica: le viste a volo d’uccello che raffigurano la città di Catania a cavallo fra XVIII e XIX secolo rappresentano, però, il Conservatorio come se fosse ampliamente ultimato e ben più vasto di quanto non apparirà nell’iconografia successiva. Tanto nell’incisione di F. Orlando (1761)52 quanto in quella di A. Vacca (1780)53 il Conservatorio è rappresentato come un edificio che satura completamente l’isolato e dotato di una corte interna chiusa da corpi di fabbrica: immagine evocativa di un luogo dove le fanciulle erano custodite e protette piuttosto che la fedele rappresentazione della realtà. Attendibile è la collocazione topografica del Conservatorio e dell’annessa chiesa di S. Agata delle verginelle: entrambi insistono nell’allora piano di S. Nicolò. Alessandro Lo Faro Fig. 21. Particolare della vista Orlando (1760). Al n. 10 il monastero dei Benedettini e (nel riquadro in rosso) la casa delle vergini. Fig. 22. Particolare della vista Vacca (1780). Al n. 10 il monastero dei Benedettini e di fronte ad esso un edifico a doppia corte rappresenta l’ex Conservatorio. IL CONSERVATORIO DELLE VERGINELLE IN CATANIA 25 Il progetto di ampliamento (1 842 – 1 856) L’incisione di Sebastiano Ittar (1833) in cui è rappresentata la prima pianta topografica della città di Catania, ci mostra con maggiore attendibilità l’edificio nei primi decenni del XIX secolo, qui indicato con il numero 126 – Ritiro delle verginelle: attorno alla chiesa dedicata a S. Agata si addensavano corpi di fabbrica di varia estensione planimetrica. Osservando la pianta Ittar, si percepisce un blocco avente forma a C, forse ad unica campata, sul cui lato corto si adagia la chiesa. Ortogonale ad esso un corpo di fabbrica doppio accoglieva probabilmente i dormitori. La corte interna è risolta congiungendo i lati corti del blocco a C con un muro di cinta. L’insieme degli edifici che compongono il Conservatorio sembra pertanto assai irregolare: la sua realizzazione è dovuta probabilmente al succedersi di fasi costruttive anche cronologicamente lontane fra loro. Una linea tratteggiata congiungeva a Nord il Conservatorio con l’edificio adiacente. Con lo stesso simbolismo sono indicati alcuni ritrovamenti archeologici avvenuti nel piano ed all’interno del convento dei PP Benedettini, lì segnalati con il numero 39 – Vestigj delle Terme Ninfee. La distribuzione funzionale delle fabbriche di pertinenza del Conservatorio comprendeva allora 2 ambienti al piano terra destinati a dormitorio ed un altro di minor dimensione al piano superiore, un refettorio, la stanza dove le fanciulle si dedicavano al loro lavoro (laboratorio), un locale destinato a parlatorio, la chiesa con la relativa sacrestia54ed i locali di commodità. Fig. 23. Particolare della pianta Ittar (1833): al numero 126 il Ritiro delle verginelle. 26 Una scala nell’angolo Nord ovest consentiva il collegamento fra le due elevazioni. Facevano inoltre parte dello stesso plesso 4 case terranee, un basso, un casaleno ed un appartamento (quartino); questo ultimo era assegnato al cappellano che vi risiedeva stabilmente per espletare in modo più agevole l’assistenza morale alle fanciulle recluse55. Nella prima metà dell’Ottocento, fu intendimento del rettore Giuseppe Asmundo Cirino, VII fidecommissario, ingrandire il Conservatorio ampliando la fabbrica esistente perché ristretta e poco ventilata56: fu dato incarico verbale al Capitano Carmine Lanzerotti, allora impegnato nei lavori di costruzione del nuovo molo del porto di Catania57. Il 6 maggio 1842 il Lanzerotti consegnò la perizia estimativa dei lavori, da cui è possibile dedurre quali fossero le sue intenzioni progettuali58. Il nuovo edificio fu concepito a due elevazioni, come quello già esistente, e prevedeva al primo livello il refettorio, l’anticucina, la cucina ed un disimpegno (andito di comunicazione) fra i corpi di fabbrica per renderli indipendenti l’uno dall’altro; al secondo livello un dormitorio per trenta posti letto. I magazzini e le stanze da lavoro trovavano posto nel piano terra dell’edificio preesistente, mentre un vano destinato a deposito nella seconda elevazione (magazzino per grascia) doveva essere convertito in piccolo dormitorio per sei letti. Le soluzioni di dettaglio dei prospetti esterni dovevano riproporre quelle dell’edificio preesistente. Il nuovo plesso doveva estendersi a Nord, a ridosso dell’esistente, fino a raggiungere il confine della proprietà, su di un’aria nella planimetria di Ittar stranamente rappresentata come già occupata da un altro corpo di fabbrica. Nella relazione del Lanzerotti si precisava che i materiali di risulta derivanti dalle demolizioni potevano ritenersi compensativi degli oneri della stessa demolizione, non esplicitando a quali fabbriche il progettista si riferisse. In tal modo però potevano restare inalterate alcune casucce date in affitto, che prospettavano sul piano dei Benedettini. Il costo complessivo della costruzione fu stimato in 3.700 ducati. Le commode fabbriche per l’alloggio e per l’esercizio delle varie manifatture che il Lanzerotti progettò, sono l’espressione di una concezione della assistenza che cerca di andare oltre il mero ricovero degli indigenti, a che vede nel lavoro uno strumento di autentico riscatto sociale. Dall’attenta lettura di quello che oggi chiameremmo computo metrico estimativo, è possibile ricavare anche i dati dimensionali del nuovo plesso nonché conoscere le soluzioni costruttive che il progettista voleva porre in essere: il nuovo edificio doveva avere una dimensione di circa 28x10 m, diviso longitudinalmente da una sequenza di 5 pilastri in muratura (dimensioni in pianta 103x70 cm). I muri d’ambito dovevano essere costruiti in conci irregolari di basalto legati con malta di azolo59, aventi uno spessore di circa Alessandro Lo Faro Fig. 24. Foto del prospetto della chiesa di Santa Agata e dei locali annessi, un tempo assegnati al cappellano (foto del 1983). IL CONSERVATORIO DELLE VERGINELLE IN CATANIA 27 60 cm ed un’altezza, alla prima elevazione di 4,5 m. Una sequenza di archi, anch’essi in muratura, garantiva il collegamento tra i pilastri ed i muri perimetrali, delimitando campate di circa 7x5 m. Al piano superiore i solidi murari si innalzavano per ulteriori 4 metri e riducevano la loro sezione di circa 5 cm. Per le chiusure orizzontali intermedie si prevedevano volte a crociera in mattoni, legati con malta di calce e azolo60; al livello superiore, invece, volte in conglomerato di rottami laterizi e malta di gesso rinforzate con archi in mattoni, da disporsi ad intervalli di 6 palmi (circa ogni 150 cm)61. Le mostre delle finestre dovevano essere in conci di pietra bianca apparecchiata a tutto lavoro cioè lavorata su tutte le facce e bene squadrata. I prospetti esterni erano da rifinire con malta (smalto) di calce e azolo. L’attacco a terra di tutto il nuovo corpo di fabbrica era risolto con una zoccolatura in lastre di pietra lavica aventi larghezza di circa 22 cm. La chiusura orizzontale di copertura era a libro: quattro capriate (cavalletti) dovevano sorreggere un’orditura secondaria (coscialettoni) su cui si poggiavano i listelli (serratizzi) che sopportavano un manto di coppi e canali alla siciliana. L’essenza adoperata per tutti gli elementi di fabbrica della copertura era il castagno. La luce e l’areazione erano garantite da 28 finestre alla maltese62 distribuite fra le due elevazioni e protette da grate metalliche a petto d’oca, tinte a due mani d’olio di lino color verdone63. Il progetto originale prevedeva dunque la costruzione di un edificio a corpo doppio, dove il muro di spina era sostituito da una sequenza di pilastri a loro volta collegati da archi. I materiali previsti per le strutture resistenti erano quelli tipici della tradizione costruttiva catanese: conci di basalto, azolo e ghiara. Non si può notare una distinzione significativa nel modus construendi dei solidi murari in base alla finalità: era sempre prevista una fabbrica incerta, ovvero realizzata con conci informi di basalto lavico legati con malta di grassello di calce e azolo, tanto per le fondazioni quanto per i solidi murari in elevazione. Meno frequenti, invece, appaiono le soluzioni proposte per gli orizzontamenti voltati: si suggeriva infatti di realizzare volte a crociere con mattoni a zoccolo (20x11x3 cm) posti di taglio, legati con malta di calce e azolo alla prima elevazione e volte a concrezione, adoperando frammenti di laterizi e malta di gesso, nella seconda. La prassi costruttiva locale prevedeva piuttosto l’uso di pomice vulcanica e/o scaglie di basalto, legate con malta di azolo e gesso, incrementando semmai gli spessori a seconda della capacità portante richiesta (generalmente non inferiore agli 8-10 cm in chiave e progressivamente crescente alle reni). Le tipologie dei altri elementi di fabbrica (intonaci, pavimenti, infissi, apparecchiatura lapidea di facciata) erano coerenti con la tradizione costruttiva catanese. 28 Alessandro Lo Faro Fig. 25. Particolare dalla vista a volo d’uccello disegnata da A. Guesdon (1849). Si riconosce la mole del monastero benedettini e la casa delle vergini (nel riquadro in rosso). Nel luglio del 1842 il capitano Lanzerotti fu sollevato dall’incarico della direzione lavori del nuovo molo64, dimostrandosi forse indisponibile anche ad eventuali modifiche ed integrazioni al progetto di ampliamento del Conservatorio: infatti, a distanza di pochi mesi, il 18 marzo 1843, l’architetto Michelangelo Consoli65 ricevette l’incarico di redigere una relazione supplitoria a quella del Lanzerotti, dove furono stimati lavori per ulteriori 810 ducati, relativi ad opere necessarie per cose e comodità del Conservatorio e per lavori di abbellimento nel prospetto a mezzogiorno nella parte interna ed esterna del Cortile. In realtà la perizia integrativa del Consoli non modificò l’originale progetto Lanzerotti, prevedendo soprattutto interventi manutentivi sull’immobile preesistente: 1. il rifacimento dell’intonaco a base di azolo nel prospetto di mezzogiorno e nel cortile di tramontana; 2. la riparazione del coronamento alla cappuccina nello stesso prospetto; 3. il rifacimento dell’intonaco interno nella volta che delimitava superiormente l’ingresso del reclusorio; 4. la sostituzione di una tettoia che copriva un pozzo; 5. diversi lavori di tinteggiatura a latte di calce (inalbatura) fra cui l’ingresso, alcune volte, i nuovi intonaci, parte del muro di prospetto, nei corridoi, nel coro di notte delle religiose, nelle parti a vista del tetto; 6. la fornitura di nuovi infissi (finestre e porte finestre); 7. il rifacimento dei cornicioni a mezzo stucco nel primo e secondo ordine del prospetto della chiesa. Furono previsti inoltre 35 metri lineari di muro di cinta che, dovendo proteggere le fanciulle dalla vista, era alto ben 6 metri. Affinché fosse possibile appaltare i lavori era necessario il beneplacito del Consiglio Generale degli Ospizi, organo di controllo delle