SCHEDE SULLA LOGICA
Alcune nozioni di logica
La logica sarebbe programma di prima, ma chiaramente ci sono parti che non è utile insegnare nella prima adolescenza,
perché mancano le strutture cognitive e non si ha sufficiente esperienza, né in matematica né nella vita quotidiana. Pertanto
se ne tratta qui, usando la logica come introduzione al calcolo delle probabilità.
Giudizi
Un giudizio è una frase costituita da un soggetto (ed eventuali complementi collegati), un verbo essere e un predicato (ed
eventuali complementi collegati).
Esempio: la mela è rossa.
Il soggetto è ‘la mela’, il verbo essere è ‘è’, il predicato è ‘rossa’.
Esempio: il cane di Melandro sarà stanco per la corsa.
Il soggetto è ‘il cane di Melandro’, il verbo è ‘sarà’, il predicato è ‘stanco per la corsa’.
Esistono frasi che in apparenza non sono giudizi, ma possono essere letti come tali.
Esempio: piove.
Il soggetto (sottinteso) è ‘il tempo atmosferico (ora e qui)’, il verbo è ‘è’, il predicato è ‘piovoso’.
Non tutte le frasi sono giudizi: ad esempio, non lo sono le esclamazioni, le domande, gli ordini. Non vanno trattate come
giudizi nemmeno le frasi in cui il soggetto o il predicato non sono ben definiti.
Esempio: la mamma è buona.
Questo non è un giudizio, perché il predicato ‘buona’ non è ben definito.
Esempio: i bimbi piccoli usano i pannolini.
Questo non è un giudizio, perché non è chiaro che cosa si intenda per ‘bimbi piccoli’: a che età ci fermiamo? O ne facciamo
una questione di peso? O di capacità di pronunciare la ‘s’?
Gli insiemi sono predicati
La logica si collega all’insiemistica: il giudizio la matita è gialla può essere letto in termini insiemistici come l’elemento matita
appartiene all’insieme delle cose gialle. Questo suggerisce forti legami fra i concetti che seguono ed alcuni concetti di insiemistica.
I valori di verità
In sostanza, un giudizio è una frase con una struttura che si può ridurre a
soggetto - verbo essere - predicato
e che ha sempre senso chiedersi se sia vera o falsa. La logica di cui si tratterà nel seguito, prima di introdurre il calcolo delle
probabilità, sarà appunto una logica in cui i giudizi possono essere soltanto veri o falsi; tale logica si chiama binaria.
Nel seguito, è comodo indicare la verità di un giudizio con 1 e la falsità con 0. I valori 1 e 0 si chiamano valori di verità.
Dovrebbe essere intuitivo il motivo dell’indicazione: un giudizio vero è “pieno” di verità, cioè è vero al 100% e 100% = 1.
Invece, un giudizio falso è “vuoto” di verità, cioè è vero allo 0% e 0% = 0.
I connettivi
Nell’italiano corrente, le frasi sono collegate da congiunzioni. Non è facile dare un senso logico chiaro a tutte le
congiunzioni, ma per alcune è possibile. In questi casi, vengono chiamate connettivi.
* NON (simbolo logico: ). Se il giudizio A è vero, allora A è falso; se il giudizio A è falso, allora il giudizio A è vero.
Mettiamo i risultati in tabella. Tabelle come la seguente, che mostrano come cambiano i valori di un giudizio quando questo
viene cambiato mediante una congiunzione, si chiamano tavole di verità.
A
1
0
A
0
1
1
Una regola algebrica abbastanza naturale per collegare A e A è A = 1A.
La negazione in logica è analoga al complemento in insiemistica.
* E (simbolo logico: ). Se due giudizi sono veri, anche il giudizio che li adotta insieme lo è. Ma basta che uno dei giudizi sia
falso e l’intera congiunzione è falsa.
Esempio: A: gli alberi sono di legno; B: gli alberi sono ramificati.
Entrambi giudizi sono veri ed è vera anche la loro congiunzione AB: gli alberi sono di legno e ramificati.
Basta tuttavia che una sola fra A e B sia falsa e AB diventa falsa: poniamo A: gli alberi sono di ferro e teniamo la vecchia B; si
ottiene AB: gli alberi sono di ferro e ramificati, che è chiaramente falsa.
Il discorso è simile se si usa la vecchia A e una nuova B: gli alberi sono senza rami.
Figuriamoci poi se sono false sia A sia B.
Mettiamo i risultati in tabella.
B
AB
1
0
A
1
1
0
0
0
0
Un modo più comune di scrivere la tabella è il seguente, che sarà sempre adottato nel seguito.
A
1
1
0
0
B
1
0
1
0
AB
1
0
0
0
Si noti che i valori nelle colonne A e B sono combinati in modo che si ottengano su ogni riga tutte le 4 combinazioni
possibili: 1 e 1, 1 e 0, 0 e 1, 0 e 0.
Una regola algebrica abbastanza naturale per collegare A, B e AB è AB = AB; un’altra regola è AB = min(A, B).
La congiunzione in logica è analoga all’intersezione in insiemistica.
* O (simbolo logico: ). Se due giudizi sono falsi, anche il giudizio che li adotta insieme lo è. Ma basta che uno dei giudizi sia
vero e l’intera disgiunzione è vera.
Esempio: A: in un buon processo penale, l’imputato è assolto se non ha compiuto il fatto (un caso particolare si ha quando il fatto non
sussiste); B: in un buon processo penale, l’imputato è assolto se il fatto non costituisce reato.
Chiaramente, basta una delle due condizioni (l’imputato non ha compiuto il fatto o il fatto non costituisce reato) per essere
assolto. Infatti la frase completa corretta dev’essere una disgiunzione AB: in un buon processo penale, l’imputato è assolto se non ha
compiuto il fatto o se il fatto non costituisce reato. L’unico caso in cui non si è assolti è quando si compie il fatto e questo costituisce
reato.
Mettiamo i risultati in tabella.
A
1
1
0
0
B
1
0
1
0
AB
1
1
1
0
Una regola abbastanza naturale per collegare A, B e AB è AB = A+BAB; un’altra è AB = max(A, B).
La disgiunzione in logica è analoga all’unione in insiemistica.
* QUINDI (simbolo logico: ). Si assume che un’implicazione sia sempre vera, tranne quando si parte da una verità e si
arriva ad una falsità (questo è il concetto di eccezione).
Esempio: partiamo da A: lascio andare un oggetto e B: l’oggetto va verso il basso.
Si ottiene subito la regola AB: lascio andare un oggetto, quindi l’oggetto va verso il basso. La stessa regola può essere letta anche in
altri modi:
2
se lascio andare un oggetto, (allora) l’oggetto va verso il basso;
un oggetto lasciato andare va verso il basso;
lasciar andare un oggetto implica che l’oggetto vada verso il basso;
basta lasciar andare un oggetto affinché quello vada verso il basso e così via.
Come tutte le regole, anche questa è confutata soltanto da un’eccezione (che quindi, come peraltro dovrebbe essere ovvio a
chiunque, non conferma affatto la regola; questa bella trovata è al massimo una battuta di basso livello) e l’eccezione si ha
soltanto se è vero che io lasci andare un oggetto ed è falso che questo vada verso il basso.
Mettiamo i risultati in tabella.
A
1
1
0
0
B
1
0
1
0
AB
1
0
1
1
Una regola abbastanza naturale per collegare A, B e AB è AB = 1A+AB; un’altra è AB = max(1A, B).
L’implicazione in logica è analoga all’inclusione in insiemistica, nel senso che AB è analogo a AB.
Vanno notate anche le relazioni AB = AB e AB = AB.
Nota critica: questa nozione di implicazione funziona molto bene in matematica, ma presenta alcune debolezze in altri ambiti,
chiamate paradossi dell’implicazione. Ecco le principali.
* Risulta essere 11 = 1, perciò da qualunque giudizio vero si ottiene correttamente qualunque giudizio vero; ad esempio,
l’esistenza delle lasagne al forno implica che i conigli hanno le orecchie lunghe.
* Risulta essere 01 = 1, perciò da qualunque giudizio falso si ottiene correttamente qualunque giudizio vero; ad esempio,
l’inesistenza delle lasagne al forno implica che i conigli hanno le orecchie lunghe.
* Il seguente schema è sempre vero, come si trova facilmente con le tavole di verità: (AB)[(AC)B].
Ma prendiamo A: frego un fiammifero, B: vedo una fiamma e C: il fiammifero è bagnato. In questo caso, chiaramente lo schema dà
risultati assurdi.
Va notato tuttavia che, volendo essere intuitivamente corretti, bisognerebbe adottare A1: frego correttamente un fiammifero; e A2:
il fiammifero è funzionante; nel qual caso, si avrebbe C = A2 e lo schema diventerebbe (A1A2B)[(A1A2A2)B],
che smette di essere vero per A1 = A2 = 1.
* CIOÈ (simbolo logico: solitamente , ma è sensato anche usare =). Si ha una verità se due giudizi sono veri insieme o
falsi insieme, altrimenti si ha una falsità.
Esempio: partiamo da A: il triangolo ha i tre lati uguali e B: il triangolo ha i tre angoli uguali.
Le due affermazioni sono vere insieme o false insieme. Questa equivalenza si scrive AB o anche A = B: il triangolo ha i
tre lati uguali, cioè il triangolo ha i tre angoli uguali. I due giudizi hanno uguale valore di verità, il che giustifica il simbolo =.
Invece di CIOÈ, si può anche usare il cattivo italiano SE E SOLO SE (a volte anche i matematici scrivono come burocrati)
o il migliore italiano SEMPRE E SOLTANTO SE.
Mettiamo i risultati in tabella.
A
1
1
0
0
B
1
0
1
0
AB
1
0
0
1
Una regola abbastanza naturale per collegare A, B e AB si trova notando che invece di AB si può scrivere (AB) 
(BA),
da
cui
si
ottiene
(1A+AB)(1B+AB)
=
1B+ABA+ABA2B+ABAB2+A2B2
=
1AB+3ABA2BAB2+A2B2.
In logica binaria, si ha A2 = A e B2 = B, perciò l’espressione si semplifica in 1AB+3ABABAB+AB = 1AB+2AB =
1A2B2+2AB = 1(A2+B22AB) = 1(AB)2.
Riassumendo, si ottiene AB = 1(AB)2.
L’implicazione in logica è analoga all’uguaglianza in insiemistica, nel senso che AB è analogo a A = B.
3
Altre congiunzioni di cui si può trovare una chiara tavola di verità
* MA: prendiamo i giudizi A: sono stanco e B: sono contento, da cui si ottiene la frase A MA B: sono stanco, ma contento.
Si trova facilmente che la sua tavola di verità è la stessa di E. Quindi anche per MA si può usare il simbolo . Lo stesso
simbolo si può usare, per gli stessi motivi, anche per SEBBENE e tutte le altre congiunzioni concessive.
* PERCHÉ (causale): prendiamo le frasi A: corro e B: sudo. Vale chiaramente l’implicazione AB: corro, quindi sudo.
Questa frase si può anche leggere BA: sudo perché corro. Uno studio attento della tavola di verità seguente conferma che
l’idea è corretta.
A
1
1
0
0
B
1
0
1
0
AB
1
1
0
1
Quindi per PERCHÉ si può usare il simbolo , nel preciso significato di ‘ inverso’.
* SENZA CHE: prendiamo le frasi A: mangio e B: bevo, da cui posso ottenere A SENZA CHE B: mangio senza che io beva
o mangio senza bere.
Questa frase è vera soltanto se mangio e non bevo, perciò equivale a AB.
La tavola di verità è questa.
A
1
1
0
0
B
1
0
1
0
C = B
0
1
0
1
AC
0
1
0
0
Si noti che AB è la negazione di AB; ad esempio, la frase mangio e non bevo è la negazione di se mangio allora bevo; infatti
rappresenta proprio l’eccezione a questa regola.
Gli stessi ragionamenti valgono anche per TRANNE.
L’analogo insiemistico di questo connettivo è la differenza, nel senso che A SENZA CHE B è analogo a AB.
Tautologie, contraddizioni, contingenze
Una frase sempre vera, cioè con una tavola di verità che si conclude con una colonna che contiene soltanto 1, si chiama
tautologia.
Una frase sempre falsa, cioè una tavola di verità che si conclude con una colonna che contiene soltanto 0, si chiama
contraddizione.
Una frase a volte vera e a volte falsa, cioè che si conclude con una colonna che contiene qualche 1 e qualche 0, si chiama
contingenza.
Le più utili sono le tautologie, perché sono schemi di ragionamento validi indipendentemente dal valore di verità delle frasi
che li compongono. Ecco alcuni casi, ma se ne potrebbero dare molti altri.
Nota critica: sia chiaro che molte delle tautologie che seguono funzionano soltanto quando gli unici valori di verità sono 1 e 0.
Ad esempio, poniamo che ci sia un terzo valore di verità, pari a ½, a cui attribuiamo il significato di possibile. Allora usando
la regola secondo cui è AB = AB, il principio di non contraddizione, enunciato subito sotto, dà 1[½(1½)] = ¾; invece,
adottando la regola secondo cui è AB = min(A, B), dà 1min[½, (1½)] = ½. In ogni caso, non dà 1.
Non contraddizione
Secondo questo principio, non è accettabile che una cosa sia in un modo e insieme non sia in quel modo.
Ad esempio, non è accettabile che una persona sia insieme diplomata e non diplomata.
In formule, (AA).
Ecco la dimostrazione con le tavole di verità.
A
1
0
B = A
0
1
C = AB
0
0
C
1
1
4
Come si nota, in logica binaria il valore di questa formula è sempre 1.
Terzo escluso
Secondo questo principio, una cosa è in un modo o non è il quel modo; non ci sono altre possibilità (il terzo modo che
appunto viene escluso).
Ad esempio, una persona o è diplomata o non lo è, terzo escluso.
In formule, AA.
Ecco la dimostrazione con le tavole di verità.
A
1
0
B = A
0
1
AB
1
1
Leggi di De Morgan
* Negare la congiunzione di due giudizi è come affermare la disgiunzione delle loro negazioni.
Ad esempio, il divieto di correre a piedi nudi e di graffiare i piccioni equivale al divieto di correre a piedi nudi o al divieto di
graffiare i piccioni.
In formule, è (AB) = AB.
Ecco la dimostrazione con le tavole di verità.
A
1
1
0
0
B
1
0
1
0
C = AB
1
0
0
0
C
0
1
1
1
D = A
0
0
1
1
E = B
0
1
0
1
D E
0
1
1
1
Come si nota le due colonne in grassetto sono uguali, come prescrive l’uguaglianza scritta sopra.
* Negare la disgiunzione di due giudizi è come affermare la congiunzione delle loro negazioni.
Ad esempio, non accettare di mangiare farfalle o di nuotare nel Naviglio equivale a non accettare di mangiare farfalle e a non
accettare di nuotare nel Naviglio.
In formule, è (AB) = AB.
Ecco la dimostrazione con le tavole di verità.
A
1
1
0
0
B
1
0
1
0
C = AB
1
1
1
0
C
0
0
0
1
D = A
0
0
1
1
E = B
0
1
0
1
D E
0
0
0
1
Come si nota le due colonne in grassetto sono uguali, come prescrive l’uguaglianza scritta sopra.
Maggior ragione
Chiamato anche a fortiori.
Se vale un certo giudizio, aggiungendo un altro giudizio il primo continua a valere.
Ad esempio, se la sporcizia favorisce le malattie e inoltre ci sono pochi medici, la sporcizia favorisce le malattie a maggior
ragione.
In formule è (AB)A.
La dimostrazione è lasciata per esercizio.
Nota critica: l’argomento va usato con discernimento: se A è una regola e B un’eccezione, allora il fatto che alla fine valga A
mostra che c’è qualcosa di sbagliato. In effetti, l’incongruenza sta nello scrivere una generica B invece che esplicitamente
A; la formula resta una tautologia, ma nella forma (AA)A assume un significato diverso: se parto affermando tutto e
il contrario di tutto, cioè AA, posso concludere con qualunque giudizio, anche con A. Questa formula mostra la portata
devastante degli errori in un ragionamento.
5
Inferenza per esclusione
Possono essere vere soltanto due cose; dato che una delle due non vale, vale l’altra.
Ad esempio, soltanto uno dei due cani, Fido e Fuffi, può aver scavato nel giardino; Fido non è stato (perché è rimasto in
casa tutto il tempo), quindi è stato Fuffi.
In formule, è [(AB)A]B.
La dimostrazione è lasciata per esercizio.
Modus ponens
Se una cosa ne implica un’altra e la prima capita, allora capita anche la seconda.
Ad esempio, se correre implica che si ansima e capita di correre, allora capita di ansimare.
In formule è [(AB)A]B.
La dimostrazione è lasciata per esercizio.
Modus tollens
Se una cosa ne implica un’altra e la seconda non capita, allora non capita nemmeno la prima.
Ad esempio, se il fatto che un numero finisca per 0 implica che sia divisibile per 5 e il numero non è divisibile per 5, allora il
numero non finisce per 0.
In formule è [(AB)B]A.
La dimostrazione è lasciata per esercizio.
Legge di Scoto
La forma comune è in latino: ex falso sequitur quodlibet, cioè da una falsità si ottiene qualunque cosa. Ad esempio, se sostengo
che si deve e non si deve mentire, secondo le circostanze potrò pretendere una verità o una menzogna; ma si può andare
oltre: secondo le circostanze, potrò pretendere qualunque verità o qualunque menzogna.
Per questo in ogni teoria degna di tal nome le contraddizioni vanno evitate: se non vengono evitate, dalla teoria si ottiene
tutto, cioè non si ottiene niente che abbia significato.
In formule è (AA)B.
La dimostrazione è lasciata per esercizio.
Transitività dell’implicazione
Se una prima cosa ne implica una seconda e la seconda ne implica una terza, allora la prima ne implica una terza.
Ad esempio, se un mio movimento causa la caduta di un vaso e la caduta del vaso determina la rottura del pavimento, allora
il mio movimento determina la rottura del pavimento.
In formule è [(AB)(BC)](AC).
Ecco la dimostrazione con le tavole di verità. Si ponga attenzione a come sono collocati gli 1 e gli 0 nelle prime tre colonne,
in modo da considerare tutte le situazioni possibili.
A
1
1
1
1
0
0
0
0
B
1
1
0
0
1
1
0
0
C
1
0
1
0
1
0
1
0
D = AB
1
1
0
0
1
1
1
1
E = BC
1
0
1
1
1
0
1
1
F = DE
1
0
0
0
1
0
1
1
G = AC
1
0
1
0
1
1
1
1
FG
1
1
1
1
1
1
1
1
Paradossi
Il “paradosso dell’avvocato”, tratto da Wikipedia.
“Il paradosso dell’avvocato (anche detto paradosso di Protagora) è un paradosso citato da Aulo Gellio e secondo la
tradizione riferito ad elaborazioni della scuola stoica.
Secondo questa versione, Protagora avrebbe formato agli studi di legge, come istitutore, un giovane promettente, Evatlo
(Euathlus), dal quale ebbe solo la metà di quanto richiesto per le lezioni e col quale stabilì che il resto sarebbe stato saldato
dopo che questi avesse vinto la sua prima causa.
6
Ma Evatlo non cominciò la professione di avvocato, anzi si diede alla politica, e non avendo vinto la sua prima causa poiché
non ne aveva mai fatte, Protagora non veniva pagato; quest’ultimo lo convenne dunque in giudizio per essere saldato del
prezzo delle sue lezioni.
Il giovane decise di difendersi da solo, divenendo perciò avvocato di sé medesimo, e creando questa situazione di
indeterminatezza:
secondo Protagora:
se Evatlo avesse vinto, avrebbe dovuto pagarlo in base all’accordo, perché avrebbe vinto la sua prima causa;
se Evatlo avesse perso, avrebbe dovuto pagarlo comunque per effetto della sentenza.
secondo Evatlo:
se Evatlo avesse vinto, non avrebbe dovuto pagare Protagora per effetto della sentenza;
se Evatlo avesse perso, non avrebbe dovuto pagare Protagora perché in base all’accordo non aveva vinto la sua prima
causa.”
Il “paradosso del mentitore”, tratto da Wikipedia.
“Secondo alcuni, quello che oggi chiamiamo paradosso nacque con una nota affermazione di Epimenide di Creta (VI secolo
a.C.), il quale, cretese egli stesso, ebbe a dire che «[tutti] i Cretesi sono bugiardi»; essendo come detto egli medesimo fra
questi, anch’egli avrebbe dovuto conseguentemente essere bugiardo e perciò l’affermazione avrebbe dovuto essere falsa
poiché proveniente da un bugiardo. Ma se così non fosse stato, se cioè Epimenide fosse stato un cretese che, almeno in
questa occasione, non diceva il falso, l’affermazione sarebbe risultata ugualmente falsa poiché non tutti i cretesi erano
bugiardi.”
Il “paradosso del barbiere”, tratto da Wikipedia.
“Il paradosso del barbiere è uno dei più famosi paradossi della filosofia matematica moderna, formulato da Bertrand Russell,
filosofo e matematico inglese, nel 1918, a seguito di alcune domande poste già nel 1901, tutt’oggi al centro di continue
discussioni.
Un villaggio ha tra i suoi abitanti uno ed un solo barbiere, uomo ben sbarbato.
Sull'insegna del suo negozio è scritto ‘il barbiere rade tutti - e unicamente - coloro che non si radono da soli’.
La domanda a questo punto è: chi rade il barbiere?
La risposta che siamo portati naturalmente a dare è ‘il barbiere si rade da solo’.
Ma in questo modo violiamo una premessa: il barbiere rasandosi non raderebbe unicamente coloro che non si radono da
soli. Allora viene spontaneo pensare che il barbiere sarà raso da qualcun altro, ma ancora una volta si viola una premessa:
che il barbiere rade tutti coloro che non si radono da soli (per dirla in altre parole, il barbiere se si rade da solo non dovrebbe
radersi, se non si rade da solo dovrebbe radersi).”
Il “paradosso del Comma 22”, tratto da Wikipedia.
“Il paradosso del Comma 22 è un paradosso contenuto nel libro ‘Catch 22’ (in italiano ‘Comma 22’) di Joseph Heller.
Il libro, edito nel 1961, rappresentò una feroce critica alla guerra narrando le avventure di un gruppo di aviatori statunitensi
dediti ai bombardamenti in Italia durante la seconda guerra mondiale. Riportava i regolamenti cui i piloti erano soggetti, e fra
questi due articoli contraddittori:
Articolo 12, Comma 1: L’unico motivo valido per chiedere il congedo dal fronte è la pazzia.
Articolo 12, Comma 22: Chiunque chieda il congedo dal fronte non è pazzo.
Gli articoli furono poi copiati in Star Trek nel cosiddetto Codice Militare Spaziale del Pianeta dei Klingon (fonte non
canonica con la serie televisiva).”
Un’applicazione poliziesca: il delitto di Goldhouse
Sir Gold invita a una cena d’affari un creditore, Mr. Money, che muore fra una portata e l’altra. Secondo l’autopsia, la causa
della morte è un veleno contenuto nella zuppa di cipolle. Il commissario Clear esamina i fatti e interroga le persone presenti
a Goldhouse al momento del delitto. I sospettati sono il cuoco, il maggiordomo e Sir Gold, che avevano tutti un movente e
l’occasione.
- Il cuoco, in precedenza al servizio della vittima, è stato cacciato senza preavviso con un’accusa di furto infondata;
naturalmente, per lui non sarebbe stato un problema inserire il veleno nella zuppa.
- Il maggiordomo ha una giovane sorella, illusa e abbandonata dalla vittima; niente di più facile che versare il veleno nella
zuppa, durante il tragitto dalla cucina alla sala da pranzo.
- Sir Gold è in ristrettezze finanziarie e difficilmente in condizioni di restituire il dovuto a Mr. Money, peraltro privo di eredi.
Un pretesto per distrarre brevemente la vittima e il veleno è già nella zuppa.
Le domande poste ai possibili testimoni danno le seguenti risposte.
* Sir Gold afferma di aver visto il maggiordomo portare la zuppa senza versare alcun veleno e che il cuoco è una persona
sincera.
* Il maggiordomo dichiara di aver visto il cuoco preparare la zuppa senza avvelenarla.
* Secondo il cuoco, Sir Gold ha mangiato la zuppa e il maggiordomo è una persona sincera.
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Il commissario Clear, esperto e dotato di intuito, non fatica a capire che l’assassino non ha complici e che al massimo c’è una
persona che mente, non necessariamente l’assassino. Infatti, bisogna considerare che a nessuno dei sospetti fa piacere
incriminare chi ha tolto di mezzo una persona detestata.
Chi ha avvelenato Mr. Money?
Anzitutto, bisogna capire chi è il bugiardo, in modo da rileggere le dichiarazioni dei testimoni avendo le idee più chiare.
Definiamo allora i seguenti giudizi.
C: il cuoco è sincero.
M: il maggiordomo è sincero.
G: Sir Gold è sincero.
c: il cuoco è innocente.
m: il maggiordomo è innocente.
g: Sir Gold è innocente.
In questo modo, si può rendere formali le risposte dell’interrogatorio.
Dichiarazione di Sir Gold: (Gm)(GC).
Dichiarazione del maggiordomo: (Mc).
Dichiarazione del cuoco: (Cg)(CM).
Si noti che queste implicazioni per se stesse sono complessivamente vere, perché sono il risultato dell’interrogatorio, che è
chiaramente un dato di fatto. Quindi la frase composta da tutte le implicazioni, cioè F =
(Gm)(GC)(Mc)(Cg)(CM), è vera.
Unendo queste conclusioni a quelle basate sull’intuito del commissario Clear, scopriamo che c’è esattamente un bugiardo
(quindi soltanto una fra C, M e G è falsa) ed esattamente un assassino (quindi soltanto una fra c, m e g è falsa).
Costruiamo allora una tabella che consideri tutti i possibili casi di falsità.
Se ad esempio sono false C e c, allora si ha
C
M
G
c
m
g
F
0
1
1
0
1
1
0
Il risultato di F si ottiene sostituendo i valori nella formula F e ottenendo (11)(10)(10)(01)(01) =
10011 = 0,
Se invece sono false C e m, allora si ha
C
0
M
1
G
1
c
1
m
0
g
1
F
0
Continuando così, si ottiene la tabella
C
0
0
0
1
1
1
1
1
1
M
1
1
1
0
0
0
1
1
1
G
1
1
1
1
1
1
0
0
0
c
0
1
1
0
1
1
0
1
1
m
1
0
1
1
0
1
1
0
1
g
1
1
0
1
1
0
1
1
0
F
0
0
0
0
0
0
0
1
0
Le prime tre righe in caratteri normali assumono che il cuoco sia l’assassino (dato che è falsa C), le seconde tre righe in
corsivo assumono che l’assassino sia il maggiordomo (dato che M è falsa), le terze tre righe in grassetto assumono che
l’assassino sia Sir Gold (dato che G è falsa).
Si nota che la penultima riga è l’unica che porta alla verità di F, cioè è l’unica riga che rende conto dei fatti; se ne ottiene che
sono G = 0 e m = 0, perciò Sir Gold ha mentito e il maggiordomo è colpevole.
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