Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della Società

Mussolini, la critica musicale italiana
e i festival della Società Internazionale
di Musica Contemporanea in Italia
negli anni Venti*
Davide Ceriani
(Rowan University, Glassboro, NJ)
[email protected]
Introduzione
Al termine della Prima guerra mondiale si assistette in Europa alla
nascita di manifestazioni musicali che coinvolsero personalità di paesi fino a
poco tempo prima ostili fra loro. Tra le più importanti, per quanto riguarda il
repertorio contemporaneo, vi fu una rassegna di musica moderna da camera
organizzata nel 1922 da Rudolf Réti (in collaborazione con Egon Wellesz e Paul
Stefan) inserita nel contesto del festival di Salisburgo, dal titolo Internationale
Kammermusikaufführungen1. I partecipanti all’evento decisero di dare un seguito
a quest’iniziativa per non disperdere i contatti avviati e per creare una sede
sovranazionale di confronto permanente: un festival di musica moderna
sarebbe stato ospitato con cadenza annuale in ognuno dei paesi che avesse
voluto partecipare a questo progetto2. Per facilitare lo scambio di informazioni,
nell’agosto 1922 fu creata la Società Internazionale di Musica Contemporanea
(SIMC) con sede a Londra. Fu in questa città che nel gennaio 1923, sotto la
presidenza del musicologo Edward J. Dent, dieci delegati in rappresentanza di
otto paesi europei e degli Stati Uniti si riunirono per stabilire le regole comuni
che ogni sezione nazionale avrebbe dovuto seguire3. Ciascun paese sarebbe
*
. L’autore desidera ringraziare Fiamma Nicolodi, Carol J. Oja e Anne Shreffler per i loro
commenti e suggerimenti; un ringraziamento speciale va a mio padre, Roberto Ceriani, per
l’assistenza nella ricerca delle fonti primarie. Precedenti versioni di quest’articolo sono state lette
presso il Dipartimento di Musica della Harvard University nel novembre 2009 e il Dipartimento
di Italian Studies della University of California at Berkeley nel novembre 2011.
1
. Haefeli – Oehlschlägel.
2
. Gli eventi riguardanti la nascita della SIMC e le prime deliberazioni di quest’organizzazione
sono riportati in Haefeli 1982, pp. 38-54.
3
. Questi i nomi dei delegati che si riunirono a Londra: Edwin Evans (Inghilterra), Svend
Felumb (Danimarca), Guido M. Gatti (Italia), Karel B. Jirák (Cecoslovacchia, gruppo etnico
ceco), Maurice Ravel (Francia), Werner Reinhart (Svizzera), Rudolf Réti (Austria), César
Journal of Music Criticism, Volume 1, Issue 1 (March 2017), pp. 17-71
© Centro Studi Opera Omnia Luigi Boccherini. All rights reserved.
Davide Ceriani
stato rappresentato da un proprio delegato nel comitato della SIMC e una
commissione formata dai membri dei diversi stati avrebbe stabilito, di anno
in anno, quali fossero i compositori ammessi a presentare un loro brano alla
manifestazione4.
Nel corso degli anni Venti, si tennero in Italia due festival di questa
Società: il primo a Venezia nel 1925 limitatamente alla musica da camera (il
repertorio sinfonico e concertistico fu eseguito a Praga) e il secondo a Siena
nel 19285. L’Italia mostrò un forte interesse verso le attività della SIMC,
grazie soprattutto all’entusiastica adesione di Alfredo Casella; quest’ultimo,
figura centrale (con gli altri fondatori Gian Francesco Malipiero e Gabriele
d’Annunzio) della neonata Corporazione delle Nuove Musiche (CDNM) che
funse da sezione italiana della SIMC, si prodigò per organizzare in Italia i due
festival sopracitati6. La decisione d’allestire l’edizione del 1925 a Venezia fu il
risultato d’un processo diplomatico che seguì le incomprensioni verificatesi
nel primo ritrovo della Società nel 1923 a Salisburgo: in quell’occasione il
numero di compositori della penisola invitati a intervenire fu così limitato
che la delegazione italiana rifiutò di partecipare. Il solo Casella si recò nella
città austriaca come osservatore, con il dichiarato scopo di appianare ogni
malinteso e rilanciare il ruolo dell’Italia7. Il musicista riuscì nel suo intento, al
punto che Venezia fu designata città ospitante del terzo festival seppure, come
accennato in precedenza, limitatamente alla sezione cameristica8. Il prestigio
della sezione italiana crebbe così velocemente che, dopo i due festival tenuti a
Zurigo nel 1926 e a Francoforte sul Meno nel 1927, si decise di organizzare la
sesta edizione nuovamente in Italia — questa volta, appunto, a Siena.
Saerchinger (Stati Uniti), Erich Steinhard (Cecoslovacchia, gruppo etnico tedesco) e Adolf
Weissmann (Germania). L’elenco è contenuto in Haefeli 1982, p. 56. Dent fu presidente della
SIMC fino al 1938 e poi nuovamente dal 1945 al 1949.
4
. Il pianoforte 1923.
5
. Anche in questo caso il festival fu dedicato esclusivamente al repertorio da camera ma, al
contrario del 1925, nessuna città ospitò la sezione sinfonica e concertistica. Inoltre, è importante
ricordare che un terzo festival SIMC si svolse in Italia nel 1934, in questa occasione a Firenze.
6
. Sulle origini della Corporazione delle Nuove Musiche si veda Zanetti 1985; Casella
1941, pp. 212-215; Labroca 1959, pp. 97-101. È anche importante ricordare che, grazie a questa
iniziativa, Casella dette visibilità internazionale alla CDNM. Si veda per esempio Il resto del
Carlino 1925a, dove si annunciava la presenza di ben trentacinque critici, solo fra i tedeschi,
e Labroca 1959, p. 112, dove nella sua veste d’organizzatore dell’evento, egli stimava in circa
seicento le persone accorse a Venezia appositamente per assistere al festival.
7
. Gli eventi che portarono alla decisione d’organizzare il festival a Venezia sono dettagliati
in Nicolodi 1981, pp. 141-157.
8
. Anche nel 1924 il festival SIMC si tenne in due città separate: a Praga fu eseguito il
repertorio cameristico mentre Salisburgo si concentrò su quello sinfonico e concertistico.
18
Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti
Il presente contributo tratta due aspetti, distinti ma complementari,
connessi ai due festival ospitati sulla penisola. Il primo riguarda il loro
utilizzo da parte di Benito Mussolini, per promuovere un’immagine positiva
di se stesso e del fascismo negli anni della stabilizzazione del regime. La sua
decisione di concedere l’alto patronato e l’assistenza economica a entrambe
le manifestazioni contribuì a legittimare il fascismo come una forma di
dittatura ‘illuminata’ e, contemporaneamente, a costruire intorno alla figura
di Mussolini stesso un’aura di leader carismatico aperto alla modernità.
Accreditarsi presso i circoli intellettuali come estimatore della musica
contemporanea italiana e straniera significava, tra l’altro, adottare un nuovo
e più ricercato metodo di comunicazione mediatico-culturale sconosciuto
ai suoi predecessori. Il secondo aspetto concerne la narrazione legata ai
commenti apparsi sulla stampa italiana riguardo ai brani più innovativi dei
compositori esteri. Molto di questo repertorio, specialmente quello basato su
tecniche atonali, sui quarti di tono e sul genere jazzistico, fu dismesso come
immeritevole d’essere presentato a dei festival ospitati in Italia. Nessuno di
tali lavori divenne oggetto di seri tentativi d’analisi e alcuni di essi furono
dileggiati, talvolta con animosità. L’atteggiamento pregiudizialmente
contrario ai pezzi più sperimentali dei musicisti stranieri, dimostrato dalla
quasi totalità dei critici italiani, suggerisce un’avversione di questi ultimi
non soltanto nei confronti del repertorio proposto ai festival ma anche —
e soprattutto — verso gli intenti programmatici della SIMC e gli sforzi di
alcuni compositori come Casella di diffonderli in Italia9.
L’opportunismo di Mussolini e il contegno antimodernista tenuto dai
critici dimostrano quindi come il sistema politico-culturale esistente in Italia
negli anni Venti utilizzò i festival di Venezia e Siena per raggiungere scopi
antitetici a quelli promossi dall’organizzazione stessa. Invece di rafforzare
la causa della musica contemporanea, le due rassegne consolidarono la
reputazione del regime e del duce. Quest’amara ironia è il risultato dell’unicità
del caso italiano, dove forze reazionarie assunsero il potere prima che in
altri paesi europei, trasformando nel giro di pochi anni il sistema liberale
in dittatura. I dirigenti della sezione italiana della SIMC dovettero quindi
rapportarsi a un dittatore con molti anni d’anticipo rispetto, per esempio, ai
9
. Fra i compiti statutari della SIMC vi erano quelli di «coltivare la musica contemporanea
di valore senza riguardo alla nazionalità, alle opinioni politiche o religiose dei compositori, di
proteggere e incoraggiare specialmente quelle tendenze che sono sperimentali e di difficile approccio, di rappresentare e salvaguardare gli ideali artistici che i musicisti contemporanei hanno
in comune». Per questa citazione si veda Zanetti 2004.
19
Davide Ceriani
loro colleghi tedeschi o austriaci10. Questi due festival, inoltre, servirono a
una parte consistente dei critici italiani per manifestare una forte ostilità verso
tecniche, idee e principi musicali concepiti recentemente all’estero. Sebbene,
in alcuni rari casi, le posizioni apparse sulla stampa esprimessero una visione
equilibrata, gli autori degli articoli si mostrarono per la maggior parte riluttanti
(e forse inidonei) a valutare con obiettività i lavori composti in linguaggi a loro
non familiari e contrari ai valori tradizionali di riferimento.
I festival SIMC e la legittimazione culturale del regime fascista
Tra i problemi che Mussolini dovette affrontare nei primi anni che
seguirono la sua nomina a presidente del consiglio nell’ottobre 1922, vi fu
quello di legittimare culturalmente il fascismo. Se tra la fine degli anni Dieci
e l’inizio dei Venti, la baldanza rivoluzionaria dello squadrismo era stata tra
gli elementi fondanti dell’identità fascista, s’imponeva adesso la necessità
d’offrire un’immagine colta e rassicurante di questa fazione politica11. Per
questo motivo, subito dopo il suo insediamento, il futuro dittatore dette
inizio a un processo mitopoietico proponendosi come un uomo politico di
larghe vedute, intellettuale e interessato alle arti: così facendo, egli avrebbe
convalidato anche il movimento di cui era a capo12. Sebbene tra i suoi
primi interventi pubblici vi fossero numerosi discorsi tenuti in occasione
di mostre o convegni concernenti le arti figurative, la musica si rivelò ben
presto un ottimo mezzo per accreditarsi tra coloro che continuavano a
esprimere scetticismo nei suoi confronti13. Non a caso, ancora prima della
sua designazione a capo del governo, Mussolini aveva paragonato il fascismo
a «una grande orchestra, dove ognuno suona uno strumento diverso» e nella
quale «il tutto fluisce, quando l’intonazione sia perfetta nel mare comune di
una divina Armonia»14.
10
. L’arrivo al governo dei fascisti avvenne quasi in contemporanea con la creazione della
SIMC e precedette di pochi mesi l’inizio del processo che portò alla formazione della CDNM.
11
. Tra i più importanti convegni su questo tema, si veda Il popolo d’Italia 1925.
12
. Biguzzi 2003.
13
. Il 26 marzo 1923 Mussolini tenne un discorso in occasione della sua visita presso la
mostra pittorica del movimento artistico Novecento a Milano: si veda Il popolo d’Italia 1923
(anche in Mussolini 1956, p. 188). Il 20 maggio 1924 Mussolini parlò a Roma per l’inaugurazione
del primo convegno delle associazioni artistiche: si veda Il popolo d’Italia 1924a e Il popolo
d’Italia 1924b (anche in Mussolini 1956, p. 276).
14
. Il popolo d’Italia 1921.
20
Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti
Nel periodo compreso fra la fine del 1922 e il discorso in Parlamento
del 3 gennaio 1925 che segnò l’inizio del regime, Mussolini incontrò o ebbe
contatti indiretti attraverso lettere o telegrammi con importanti rappresentanti
del campo musicale15. Questi colloqui ebbero una vasta eco sui quotidiani e
rispecchiano, presumibilmente, la sincera volontà del presidente del consiglio
d’informarsi sull’attività d’ognuno di essi; tuttavia, Mussolini non propose né
promise alcuna soluzione ai problemi che gli furono presentati16. Dal 1925, il
numero di incontri o contatti con compositori, interpreti e altre personalità
legate al mondo musicale esplose letteralmente, segno di un rapporto
biunivoco nel quale Mussolini voleva assicurarsi il favore degli appartenenti
a tale settore, e questi ultimi garantirsi la benevolenza del dittatore17.
Altre operazioni d’immagine relative all’ambito musicale riguardarono la
pubblicazione di fotografie nelle quali Mussolini si faceva ritrarre nell’atto
di suonare il violino o davanti a un pianoforte18. Nonostante fosse soltanto
un dilettante, queste istantanee rafforzarono la percezione presso l’opinione
pubblica di trovarsi di fronte a un leader raffinato e appassionato di musica.
Esse contribuirono inoltre a distanziare la sua figura dalle manifestazioni
più violente del fascismo (quali lo squadrismo) e dai dirigenti locali più
rozzi e ottusi (quali Roberto Farinacci e Achille Starace). Come Mussolini
ebbe a dichiarare al giornalista Yvon de Begnac nel marzo del 1940, rendere
pubbliche queste fotografie fu d’aiuto nella costruzione della sua reputazione:
«dopo tutto», disse, «non suonavo la ‘armonica’ degli emigrati o l’organetto
di Barberia dei questuanti»19.
. Sul discorso del gennaio 1925 si veda De Felice 1995.
. Senza pretesa di esaustività, questo è l’elenco in ordine cronologico delle personalità che
ebbero contatti con Mussolini fino all’inizio del 1925: Don Lorenzo Perosi (28 dicembre 1922),
Pietro Mascagni (26 gennaio 1923), Arturo Toscanini (31 marzo 1923), Alfredo Cuscinà (data
incerta fra la fine di agosto 1923 e l’inizio di settembre 1923), Giacomo Puccini (1 dicembre
1923) e Arrigo Pedrollo (4 ottobre 1924). Mussolini interagì anche con i compositori Riccardo
Pick-Mangiagalli e il direttore d’orchestra Bernardino Molinari, ma le date esatte non sono note.
Informazioni specifiche riguardo a questi contatti sono in Ceriani 2003, p. 115.
17
. Nella seconda metà degli anni Venti, Mussolini interagì a vario titolo con decine di
rappresentanti del settore musicale. Oltre agli innumerevoli contatti con Mascagni (almeno sei
occasioni fra il 23 novembre 1925 e il 18 marzo 1929 quando nominò il compositore membro
dell’Accademia d’Italia), tra le personalità più importanti vi furono Ildebrando Pizzetti, Franco
Alfano, Ottorino Respighi, Umberto Giordano, Tito Schipa e Arturo Toscanini (sebbene
la stampa non facesse menzione dei crescenti attriti fra il dittatore e il direttore d’orchestra).
Informazioni specifiche riguardo a questi incontri sono in Ceriani 2003, pp. 115-116.
18
. Queste fotografie sono contenute in apertura del volume di De Rensis 1927.
19
. De Begnac 1950. In questa stessa intervista Mussolini chiariva che le immagini dov’era
ritratto a suonare il violino risalivano al 1922.
15
16
21
Davide Ceriani
È in questa continuità narrativa che s’inserisce la decisione del dittatore
di concedere il patronato ai festival SIMC di Venezia e Siena. Furono le
personalità alla guida della CDNM a chiedere al giornalista e deputato fascista
Franco Ciarlantini di fungere da tramite col duce, al fine di sollecitare un
appoggio morale e finanziario in vista dell’evento veneziano previsto per il
settembre 1925. Ciarlantini acconsentì e scrisse a Mussolini che la concessione
dell’alto patronato avrebbe contribuito «a dare a tutti coloro che interverranno
a questa festa una chiara idea dell’interessamento fascista ai problemi spirituali
della Nazione ed ai suoi rapporti intellettuali con gli altri paesi»20. Il dittatore
scorse probabilmente un’ottima opportunità per rafforzare la sua reputazione e
concesse l’alto patronato, un finanziamento di 10.000 lire e lo sconto del trenta
per cento sul costo dei biglietti ferroviari per chi volesse recarsi a Venezia
durante la rassegna musicale21. Tre anni dopo, in occasione del festival di
Siena, fu lo stesso Casella, in veste di presidente della CDNM e organizzatore
dell’evento, a rivolgersi a Mussolini per caldeggiare un sostegno all’iniziativa.
Il compositore adottò una strategia simile a quella di Ciarlantini, alludendo
ai vantaggi d’immagine che il successo del festival avrebbe comportato per il
fascismo: «Lei […] sa come debba apparire agli occhi degli stranieri ogni aspetto
della nostra nuova vita nazionale»22. Il dittatore, sensibile a quest’appello, fu
ancora più prodigo di aiuti elargendo 30.000 lire e dimezzando il costo dei
biglietti ferroviari per chi avesse voluto recarsi a Siena23.
L’eco di tanta munificenza non tardò a riverberarsi sulla stampa: in occasione
della manifestazione veneziana, numerosi quotidiani menzionarono il supporto di
Mussolini, sebbene con approcci differenti fra la critica italiana ed estera. Mentre,
per esempio, quella di lingua francese si limitava ad accennare al dittatore come
uno fra i personaggi che avevano reso possibile il festival, i quotidiani e le riviste
musicali italiane ne magnificavano l’impareggiabile ruolo di prodigo mecenate senza
il quale gli sforzi organizzativi della CDNM sarebbero stati vani24. Il riferimento
più esplicito fu quello di Casella in una missiva indirizzata al direttore de Il giornale
d’Italia, dove il compositore sottolineava la funzione cruciale di Mussolini sia in
veste di sostenitore morale del festival sia per la «importante somma» erogata in
20
. La lettera di Ciarlantini a Mussolini, datata 8 giugno 1925, è citata in Nicolodi 1981,
p. 157.
21
. Riguardo all’entità del finanziamento, si veda Labroca 1959, p. 115. Questa somma
equivale a 8.000 euro nel 2017. Riguardo allo sconto sui biglietti ferroviari, si veda Le figaro
1925.
22
. La lettera di Casella a Mussolini, datata 15 aprile 1928, è citata in Nicolodi 1981, p. 160.
23
. Ibidem. La somma elargita da Mussolini corrisponde all’equivalente di 27.000 euro nel 2017.
24
. Le figaro 1925. Trafiletti senza titolo sullo stesso tema apparvero sul Journal de
Genève 1925 e sulla Gazette de Lausanne 1925; si veda inoltre Comoedia 1925a.
22
Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti
favore dell’evento25. Altri accenni a tale supporto offerto dal dittatore apparvero
nella Gazzetta di Venezia e sulle pagine de Il convegno26.
In occasione dell'incontro musicale senese, la stampa italiana tenne un
atteggiamento ancora più compiacente verso Mussolini e il governo fascista.
Commentando sulla prima giornata di lavori, Luigi Colacicchi sosteneva che,
«forte dell’appoggio governativo e spronata dal nome del Duce», la rassegna
della SIMC avrebbe attratto un interesse mai visto prima. Senza purtroppo
citare le fonti a sostegno della sua tesi, il critico congetturava sul fatto che
mentre le precedenti edizioni dei festival di musica moderna si erano svolte
«fra l’indifferenza generale», in Italia «la partecipazione ufficiale del Governo
Nazionale è stata una leva eccellente per muovere l’apatia di coloro che fin
qui avevan finto d’ignorare questo genere di manifestazioni»27. Sulla scia
di una simile narrazione pro-governativa, Raffaello De Rensis sottolineava
come il concerto inaugurale del festival fosse stato «offerto dall’Italia per
volontà del Duce»; un gesto, continuava il critico, accolto «dagli ospiti
internazionali con schietta gratitudine»28. Tuttavia, i contributi più favorevoli
a Mussolini furono ancora una volta quelli espressi da Casella. Nel primo,
apparso sotto forma d’intervista sulle pagine de Il mattino a cura del critico
Antonino Procida, si legge:
Così, grazie all’apporto del Duce, del Governo Nazionale,
del Monte dei Paschi e del Conte Guido Chigi […] è stato possibile
organizzare una settimana di Concerti e di festeggiamenti che
sarà certo un’alta affermazione delle nostre possibilità nel campo
musicale e organizzativo. La mia opinione nei riguardi della
I.S.C.M. […] è la stessa del nostro Duce nei riguardi della Società
delle Nazioni: poiché la cosa esiste, l’Italia deve starci e starci
bene […]. Sono fiero […] che per la seconda volta l’appoggio del
Duce e del Governo valga a dimostrare a tutti che i miei sforzi
sono stati riconosciuti validi ed utili da chi regge i destini della
nostra Nazione29.
. Il giornale d’Italia 1925d.
. Gazzetta di Venezia 1925; Il convegno 1925, p. 427.
27
. Il popolo di Roma 1928a.
28
. Il giornale d’Italia 1928a. Il concerto inaugurale, tenuto presso la Basilica di San
Francesco, servì da preludio alla manifestazione di musica moderna vera e propria, e fu dedicato
al repertorio compreso fra il primo Seicento e il primo Ottocento. Bernardino Molinari diresse
pezzi di Claudio Monteverdi, Antonio Vivaldi, Arcangelo Corelli, Domenico Cimarosa e
Gioachino Rossini.
29
. Il mattino 1928a. Sullo stesso tema si veda anche Modern Music 1928. In questi articoli
l’acronimo di Società Internazionale di Musica Contemporanea era citato nella sua versione
inglese — ISCM stava appunto per International Society for Contemporary Music.
25
26
23
Davide Ceriani
Il secondo, ancora più incisivo e a firma di Casella stesso, fu pubblicato
sulle pagine de La propaganda musicale:
Dobbiamo adesso ricordare […] che la settimana senese fu
resa possibile solo per volontà personale del Duce. Dietro un Suo
ordine, ogni ingranaggio della macchina statale e burocratica fu
in moto a nostra disposizione e tutto si realizzò con una facilità
davvero impressionante. Quando si pensa a come venivano
trattate, dai passati Governi italiani, altissime questioni artistiche e
quando si sa come sono andate le faccende senesi, par di sognare.
Ma l’altissimo interessamento del nostro Capo, il quale è anche per
noi musici un militante ‘collega’, se significa riconoscimento della
bontà dei nostri sforzi, concentra sulle spalle nostre una somma di
gravi responsabilità30.
Le incombenze cui accennava Casella riguardavano ovviamente la riuscita
del festival ed erano di natura sia artistica sia organizzativa. Le prime saranno
trattate in modo specifico nelle sezioni successive di quest’articolo, mentre le
seconde furono considerate impeccabili dagli stessi partecipanti all’evento.
Dent, per esempio, inviò una missiva a Mussolini al fine d’esprimere la propria
riconoscenza «per il validissimo appoggio morale e materiale offertoci in ogni
momento dal Governo Italiano» che includeva, oltre ai già citati contributi
finanziari e riduzioni ferroviarie, anche la piena «collaborazione dei funzionari
preposti all’ordinamento della manifestazione»31. Numerosi elementi confermano
quanto scritto dall’eminente musicologo: la presenza del podestà di Siena Fabio
Bargagli Petruzzi e del prefetto Ugo Pignetti in rappresentanza del governo alla
cerimonia iniziale32, il ricevimento offerto dalla Federazione provinciale fascista
in chiusura del festival nel corso del quale l’onorevole Adolfo Balocchi esaltò
il «diuturno lavoro che compie il duce per l’elevazione dello spirito del popolo
italiano»33, il contributo organizzativo offerto dal funzionario del Ministero della
pubblica istruzione Francesco Fedele investito dall’autorità centrale per tale
scopo34, e infine il «merito precipuo del Governo Nazionale che ha aperto tutte
le porte»35 menzionato dal musicologo Guido Pannain, testimoniano quanto
il dittatore avesse a cuore la buona riuscita dell’evento musicale senese36. Non
. La propaganda musicale 1928b.
. La lettera di Dent a Mussolini, datata 15 settembre 1928, è citata in Nicolodi 1981,
pp. 160-161.
32
. La stampa 1928a e Corriere della sera 1928b.
33
. Corriere della sera 1928d.
34
. Musica d’oggi 1928, p. 341.
35
. La propaganda musicale 1928c, p. 6.
36
. Un altro riferimento al patronato di Mussolini è in La nazione 1928a.
30
31
24
Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti
c’è quindi da sorprendersi se Dent terminasse come di seguito la sua lettera a
Mussolini:
Nell’ambiente suggestivo e sereno in cui si è svolto il
nostro convegno, nell’atmosfera di liberalità e di equilibrio che ci
ha costantemente circondati, noi abbiamo sentito non soltanto
la poesia e la bellezza tradizionali dello spirito italiano ma anche
l’impronta nuova impressa dall’E.V. alla vita di questa Nazione
meravigliosa37.
Le autorità non tardarono a utilizzare il festival per scopi propagandistici:
due settimane dopo la sua fine, il quotidiano del partito fascista Il popolo d’Italia
pubblicò un articolo che elencava tutti i recenti successi ottenuti dal regime nella
città di Siena38. Tra questi figurava l’evento di musica moderna o, più esattamente,
il ruolo cruciale avuto dal regime nel garantire una degna accoglienza agli ospiti
accorsi da tutto il mondo e nell’offrire il miglior servizio possibile alla causa
dell’arte musicale. Sebbene non sia dimostrabile che Mussolini in persona ordinò
la pubblicazione di quest’articolo, è evidente che l’organo a stampa del fascismo
aveva tutto l’interesse, in misura ancora maggiore rispetto ad altri quotidiani, a
pubblicizzare l’ottimo esito del festival.
La critica musicale italiana e i festival della SIMC
La narrazione ‘politica’ fin qui analizzata mirava a trasmettere un’immagine
positiva delle manifestazioni musicali di Venezia e Siena, entrambe caratterizzate
da un successo organizzativo riconosciuto sia in patria sia all’estero; nondimeno,
essa strideva impietosamente con i resoconti dei critici italiani riguardanti
una consistente parte del repertorio eseguito nelle due città. Al tono enfatico
(e presumibilmente interessato) degli interventi che magnificavano il ruolo di
Mussolini e sottolineavano la partecipazione delle autorità fasciste, corrispondeva
specularmente una serie di commenti fra lo sprezzante e il sarcastico in
merito ai brani più innovativi presentati ai festival. Quest’atteggiamento aveva
probabilmente una radice identitaria: sebbene molti compositori italiani avessero
ampliato i loro orizzonti armonico-formali tra la fine dell’Ottocento e i primi del
Novecento, dall’inizio degli anni Venti si assistette a una parziale rivalutazione
di stilemi e linguaggi propri dei periodi precedenti. Notava a questo proposito
Roman Vlad nel suo saggio in occasione del cinquantennale del festival SIMC
. Dent a Mussolini, 15 settembre 1928. Si veda nota 31.
. Il popolo d’Italia 1928c.
37
38
25
Davide Ceriani
di Siena: «mentre i primi due decenni del Novecento erano stati caratterizzati da
un fervore di scoperte di una novità rivoluzionaria senza precedenti nella storia
musicale, i due decenni successivi videro un generale processo di assestamento,
di ordinamento e di organizzazione delle precedenti conquiste»39. In coincidenza
degli eventi SIMC in Italia, questa tendenza fu utilizzata dai recensori più
conservatori per rafforzare la dicotomia fra il ritorno all’ordine musicale da una
parte (da loro associato principalmente ai compositori italiani) e le sperimentazioni
atonali, jazzistiche e più in generale moderniste dall’altra (quest’ultime accostate
soprattutto ai musicisti dell’area mitteleuropea e anglosassone)40.
L’articolo di Procida (con annessa l’intervista a Casella) menzionato in
precedenza, pubblicato a pochi giorni dall’inizio del festival di Siena, può essere
assimilato a una sorta di manifesto dei cambiamenti avvenuti nel corso degli
anni passati. L’uso di termini quali «chiarezza», «ordine» e «buon senso», qui
riferiti alla recente produzione del compositore torinese, echeggiò sovente nei
contributi pubblicati in corrispondenza delle manifestazioni italiane della SIMC.
Scriveva Procida:
Signori, qui ci diamo tutti la mano: la crisi, in via di risoluzione
da qualche anno, è passata. Le idee generali sulle tendenze della
musica si sono chiarite sino alla trasparenza assoluta. Tendenze e
stili sembrano volersi unificare: si può, cioè, sperare di raggiungere
quella concordia di intenti che da tempo era auspicata e che soltanto
oggi, dopo il lungo e martoriato periodo di esperimentazioni [sic] e
di tentativi, può realizzarsi efficacemente e con risultati tangibili41.
Citando Casella, così proseguiva l’articolo:
È questa l’epoca della costruzione e della solidità […].
Sono finiti gli esperimenti, dei quali il pubblico di ogni paese, e non
a torto, è stufo. Ma si può considerare in pari tempo finito il vasto
e profondo malessere spirituale che ha [sic] durato dalla morte di
Wagner sino al dopo guerra. È finita del pari l’avventura atonale.
Nessuno scrive più musica del genere42.
E infine, con un accenno all’inderogabile ruolo di guida che spettava agli artisti
della penisola, l’organizzatore del festival senese terminava in questo modo:
. Vlad 1978.
. Tra contributi più importanti, che discutono il ‘ritorno all’ordine’ degli anni Venti
partendo dal significato attribuito al termine neoclassicismo, vi sono Messing 1988 e Quaranta
2003. Di grande utilità la voce ‘neoclassicismo’ in Nicolodi – Trovato 2007.
41
. Il mattino 1928a. I corsivi in questa citazione e in quelle successive sono contenuti
nell’originale.
42
. Ibidem.
39
40
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Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti
Oggi i compositori devono pensare ad offrire al pubblico
la musica della quale esso sente la necessità, e non a scrivere per
loro stessi e per un esiguo gruppo di amici […]. In questo vasto lavorio
internazionale di costruzione e di chiarificazione l’Italia ha un
compito di prim’ordine da assolvere, compito strettamente conforme al
genio della sua razza ed al suo passato43.
Sebbene rilasciate nel 1928, queste dichiarazioni sono parimenti
assimilabili alla situazione italiana nel periodo del festival veneziano, e aiutano a
comprendere meglio il rifiuto dei critici di misurarsi in modo costruttivo con la
sfida all’ordine tonale proposta dal circolo viennese o con altri generi innovativi
provenienti dall’estero. Se, com’è ragionevole supporre, l’intervento di Casella e
Procida rispecchiava il sentimento di molti fra quanti scrivevano per le testate
giornalistiche italiane, è altrettanto logico aspettarsi che lo spazio di dialogo con
repertori estranei alla narrazione del ritorno all’ordine fosse molto limitato — se
non addirittura inesistente. Di conseguenza, per quanto invitati ai due festival
con lo scopo d’offrire programmi diversificati che riflettessero la varietà della
produzione contemporanea, compositori come Arnold Schönberg e Anton
Webern, Alois Hába e Emil František Burian, Wilhelm Grosz e Louis Gruenberg
(in rappresentanza di tecniche e stili quali atonalità, quarti di tono e jazz) non
solo non furono capiti, ma nemmeno vennero presi in seria considerazione.
Sezioni di questo contributo saranno dedicate ai brani presentati da ciascuno
di questi musicisti, sia per offrire un resoconto quanto più dettagliato dei
pareri espressi dai critici italiani sia per esaminare individualmente i motivi dei
loro giudizi. Una doverosa aggiunta ai nomi dei compositori summenzionati
riguarderà William Walton: nonostante il suo Façade (eseguito a Siena) fosse un
lavoro stilisticamente eterogeneo, innumerevoli articoli lo associarono all’idioma
jazzistico. Prima d’addentrarci in queste analisi è però necessario soffermarsi sui
pareri complessivi espressi dai recensori italiani riguardo ai due festival.
Tre temi ritornano con insistenza nelle valutazioni generali apparse sulla
stampa: la carenza di brani che esprimessero parametri musicali (in primo luogo
forma e armonia) sufficientemente in linea con la tradizione per poter essere
analizzati, il (supposto) modesto livello dei lavori presentati e, infine, il problema
dell’accessibilità del repertorio moderno presso il vasto pubblico — quindi,
al di fuori della ristretta cerchia degli specialisti. Riguardo al primo aspetto, è
significativo notare come molti dei commentatori dubitassero perfino del fatto
che una parte dei pezzi eseguiti fosse associabile al concetto stesso di ‘musica’.
La mancanza di riferimenti formali tradizionali (o almeno dai critici a essi
. Ibidem.
43
27
Davide Ceriani
assimilabili) provocò giudizi pungenti sia nel 1925 sia tre anni dopo. Michele
Lessona, autore d’innumerevoli appunti sarcastici sulle pagine della Gazzetta del
popolo, scrisse che nel corso del festival veneziano si erano uditi «un linguaggio
armonico inusitato, ritmi ossessionanti, timbri ed impasti non sospettati prima
d’ora; meno facile rintracciare la musica»44. A questa considerazione il critico
ne affiancava un’altra, ancora più caustica, indicativa della mancanza — a suo
dire — d’idee e personalità capaci di distinguersi nel nebuloso programma del
festival: «tale è […] la somiglianza degli atteggiamenti e dei mezzi di uso più
frequente, che si potrebbero, in una pubblica esecuzione, scambiare i titoli delle
opere e i nomi degli autori e appaiarli a caso, senza pericolo di rettifiche»45. Non
meno severo e sostanzialmente in linea con quello di Lessona era il parere del
compositore Adriano Lualdi, ben noto oppositore delle tendenze moderniste, il
quale descriveva il festival di Venezia come una «pochade» di scarsa consistenza,
un momento di «rammollimento collettivo» al quale non riconosceva la
qualifica d’evento artistico: «non è più di arte che si tratta: si tratta di moda e di
snobismo»46. Il musicista archiviava quindi la manifestazione veneziana come
una vacua passerella, un fenomeno di costume immeritevole dell’attenzione
ricevuta da critici e compositori provenienti da tutta Europa e dalle Americhe.
Rilevanti paralleli emergono fra i giudizi di Lessona e Lualdi e quelli,
apparsi in coincidenza della manifestazione senese, di un altro critico musicale
professionista come Luigi Colacicchi e di un compositore tra i più in vista del
suo tempo come Alceo Toni. Il primo così riassumeva le sue impressioni al
termine della seconda giornata del festival SIMC nella cittadina toscana: «Il guaio
serio è questo: che, dopo due giornate e tre concerti del festival, più che di musica
buona o cattiva, si può già discutere di musica o non musica»47. Più elaborato, per
quanto simile nei contenuti, il parere di Toni, particolarmente importante perché
apparso sulle colonne de Il popolo d’Italia — il quotidiano fondato da Mussolini
nel 1914, presso il quale egli esercitò la mansione di critico musicale dal 1922
fino alla caduta del regime48. Toni separò il suo intervento in due parti: nella
. Gazzetta del popolo 1925a.
. Ibidem.
46
. Lualdi 1928. Si veda anche Malipiero 1982, p. 4. Scrivendo, molti anni dopo, del festival
SIMC di Venezia, il maestro veneziano dichiarava che «[i]l settembre [mese di abituale svolgimento
dei festivals SIMC] riuniva, in quei tempi lontanissimi, il fior fiore dello snobismo internazionale».
47
. Il popolo di Roma 1928b.
48
. Pur senza essere identificato come la voce ufficiale della critica musicale fascista è
importante ricordare che grazie a questo ruolo Toni fu, tra gli appartenenti al settore musicale,
una delle personalità più vicine a Mussolini. Fu lui, per esempio, a presentare il dittatore,
nell’ottobre 1926, ad alcuni fra i suoi più importanti colleghi quali Franco Alfano, Renzo Bossi,
Adriano Lualdi e Ildebrando Pizzetti. Si veda Lualdi 1927.
44
45
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Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti
prima, in polemica con quanto udito al festival, definiva la maggior parte dei
brani come esempi di «speculazioni cerebrali, di magia tecnica, in taluni casi; di
esasperazione e di ossessione chimica, in altri, e talvolta di bluffismi pagliacceschi
[…]. Si vuole nei programmi del Festival una musica di una scrittura irretita
d’ogni accidentalità, complicata, complessa»49. Nella seconda egli offriva una
chiave interpretativa per motivare l’esistenza di questi brani, piegandola alla sua
agenda politico-musicale. Toni sosteneva che i compositori stranieri autori dei
pezzi — a suo dire — più problematici andavano separati dagli italiani perché
laddove le musiche dei primi contenevano «speculazioni cerebrali» o altre inutili
complessità, quelle dei secondi costituivano esempi di coerenza e linearità di
linguaggio. Scriveva Toni che gli italiani «non [avevano] mai corso all’impazzata
nelle piste delle più pazze gare rivoluzionarie», aggiungendo come la musica di
questo paese era all’epoca attraversata da una «volontà di restaurazione: è come
assetata di semplicità e chiarezza» e desiderava soltanto un «facile [e] spontaneo
eloquio»50. Queste caratteristiche si ponevano, ovviamente, in antitesi alle
creazioni più innovative presentate a Siena.
In merito al secondo aspetto, relativo al dibattito sulla presunta mediocrità
di parte dei programmi, assistiamo a uno schema che fu sostanzialmente identico
per entrambi i festival: ai molti recensori che commentavano negativamente
sulle scelte delle commissioni selezionatrici, Casella rispose difendendone
l’operato — e quindi giustificando indirettamente il proprio, giacché egli fu
membro delle commissioni stesse. Nonostante il tono occasionalmente risentito,
il compositore ribadì con fermezza sia la sua onestà intellettuale nel processo di
selezione dei brani sia il suo sincero desiderio di far ascoltare ai critici italiani più
riottosi un repertorio con il quale, altrimenti, non si sarebbero mai confrontati.
Osservazioni avverse riguardo alla qualità della manifestazione veneziana nel
suo complesso apparvero poco dopo la sua chiusura a firma, fra gli altri, di
stimati critici (Antonino Procida), musicologi (Ferdinando Liuzzi) e compositori
(Mario Castelnuovo-Tedesco). Notava Procida che il festival aveva prodotto una
«tempesta di polemiche, di malcontenti, di critiche»51 e, in un articolo a quattro
mani, Liuzzi e Castelnuovo-Tedesco si auguravano scendesse l’«oblio» su molti
dei brani eseguiti in quella sede, auspicando che i loro autori fossero ispirati da
«Dio […] al silenzio»52. Mesi dopo Castelnuovo-Tedesco tornò sull’argomento
49
. Il popolo d’Italia 1928b. Altri atti d’accusa contro l’eccessivo cerebralismo della musica
eseguita a Siena sono in Il resto del Carlino 1928a e Il resto del Carlino 1928b.
50
. Il popolo d’Italia 1928b.
51
. Il mattino 1925.
52
. Il pianoforte 1925.
29
Davide Ceriani
ricordando lo «spettacolo […] poco consolante […] che la musica moderna [aveva
offerto] attraverso le audizioni veneziane»53. Ancora più tagliente il giudizio di
Lessona, che così sentenziava:
Magro bilancio […] dal punto di vista artistico. Anzi, se
si dovesse credere che oggi la musica è soltanto ciò che abbiamo
sentito a Venezia, ci sarebbe veramente da disperare del nostro
tempo, e si sarebbe indotti a rifugiarsi nel passato (un passato
che potrebbe essere anche molto prossimo) nell’attesa di veder
cessare questa specie di flagello piombato come un castigo
universale sul mondo musicale contemporaneo […]. Il recente
Festival — eccettuati i singoli casi che è debito segnalare — è stata
una trionfante esibizione di nullità, un’affermazione orgiastica del
vacuo, dell’inutile, dell’ingombrante. A parte ogni questione di
metodi o direttive, l’impressione dominante fu quella del molto
dimenarsi per poco concludere, del lungo promettere per poco
mantenere, infine del molto rumore (è proprio il caso di dirlo)
per nulla54.
A detta dei quotidiani, anche due personaggi in vista quali Richard Strauss
e Arturo Toscanini dimostrarono scarso apprezzamento per la selezione operata
dalla commissione della SIMC: mentre il primo, dopo un breve assaggio del
repertorio modernista preferì recarsi esclusivamente ai concerti di musica
antica offerti in concomitanza alla manifestazione, il secondo raccomandò più
prosaicamente di «disinfettare il teatro» della Fenice dove si era svolto il festival55.
L’eco delle polemiche veneziane si riverberò con altrettanta irruenza
sull’evento senese: Lualdi, per esempio, tratteggiava un quadro a tinte fosche
quando asseriva che la SIMC s’ispirava a modelli «di bruttezza e di spiacevolezza»
dettati da «conati di rivoluzione ad ogni costo»56 e Procida invitava a «reagire
contro l’accademia del nuovo meccanicismo», intendendo presumibilmente questo
termine non tanto nella sua accezione filosofica quanto piuttosto nell’apparente
sensazione di ripetitività che, come si vedrà in seguito, certi brani lasciarono
sull’uditorio57. Nel tentativo di trovare un responsabile per l’esito poco felice
. Vita musicale italiana 1926.
. La gazzetta del popolo 1925b.
55
. Il giornale d’Italia 1925e. Il contenuto di questo articolo fu poi parzialmente riportato
in Il resto del Carlino 1925d. Si veda anche Il giornale d’Italia, 1925b e Lualdi 1928, p. 194.
Adriano Lualdi sostenne di aver ricevuto l’autorizzazione di Toscanini a riportare pubblicamente
quest’affermazione, nonostante essa fosse stata rilasciata in un contesto informale.
56
. Gazzetta del popolo 1928a. Questo articolo fu anche riprodotto in Il resto del
Carlino 1928c.
57
. Il mattino 1928b.
53
54
30
Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti
di questo festival, Liuzzi accusava la commissione giudicatrice d’aver «dato
prova di un gusto meno che mediocre», augurandosi altresì che in futuro non
s’includessero così tanti lavori scadenti58. I criteri, insomma, dovevano cambiare,
pena la disaffezione del pubblico.
Inevitabilmente, chi come Casella aveva investito le proprie energie,
tempo e reputazione per organizzare i due festival, rispose a tono sia all’attacco
di Liuzzi sia ai commenti negativi di tre anni prima. Il musicista torinese elencò
puntigliosamente le difficoltà incontrate nel suo ruolo di organizzatore, sfidò i
critici musicali e colleghi compositori a concepire programmi migliori di quelli
da lui elaborati e, infine, ricordò i vantaggi nel tenere eventi del genere in Italia
a scadenza regolare. A manifestazione terminata, per esempio, Casella definì i
concerti di Venezia «un trionfo» e una «affermazione di intellettualità come non
si sperava»59; rivendicò inoltre il merito d’aver tentato di cambiare la percezione
che gli stranieri avevano del nostro paese, dimostrando che «l’orecchiantismo
ed il provincialismo della vecchia Italia comincia ormai a cedere il posto a una
maggiore dignità di costumi»60. Le maggiori istituzioni musicali della penisola
come La Fenice, in altre parole, potevano e dovevano ospitare rassegne
musicali che fossero diverse dal consueto repertorio operistico ottocentesco,
ancora ampiamente diffuso a scapito di quello moderno e strumentale. Casella
ammise che parte dei lavori potesse lasciare a desiderare ma negò negligenze o
trascuratezze da parte della commissione di cui aveva fatto parte. Il motivo di
alcune scelte infelici era piuttosto da ricercarsi nel fatto che, se al primo festival
salisburghese si era potuto vagliare fra la migliore produzione degli ultimi anni,
a Venezia ci si era dovuti accontentare di quella dei dodici mesi precedenti, con
inevitabili ricadute negative sulla qualità dei programmi. Il musicista segnalava che,
per risolvere questo problema, i cinque concerti di Venezia sarebbero diventati
tre nell’edizione successiva61. Una stoccata finale era riservata a Toscanini; pur
dichiarandosi amico e ammiratore del direttore, Casella asseriva che «avrebbe
fatto assai meglio a non assistere alla manifestazione» vista la sua «antipatia»
verso le musiche moderne62.
. . 60
. 61
. Nuova antologia 1928, p. 406.
Il mattino 1925.
Il giornale d’Italia 1925d.
Il convegno 1925, p. 428. Casella pubblicò anche un articolo sul Christian Science
Monitor dove riassumeva i punti salienti trattati nei contributi da lui scritti per la stampa italiana;
si veda Casella 2014.
62
. Il giornale d’Italia 1925d. Pochi giorni dopo Cucchetti rispondeva alle considerazioni
di Casella in Il giornale d’Italia 1925e: «per caso non sarebbero musiche moderne la Debora di
Pizzetti, Il Diavolo sul [sic] campanile di Lualdi ecc. alla Scala, eseguite sotto la magistrale bacchetta
di Arturo Toscanini? Che se il M. Casella voleva dire ‘moderniste’ ovvero: cerebrali, atonali,
58
59
31
Davide Ceriani
Tre anni dopo, in occasione del festival di Siena, il compositore polemizzò
ancora una volta con i «troppi cafoni ed analfabeti che ancora esistono in
Italia», i quali giudicavano la SIMC come una «fonte di corruzione musicale»;
pur amareggiato da tanta miopia, Casella concludeva con una nota ottimistica:
«vedranno i nostri giovani che una profonda e realistica conoscenza dei valori
stranieri rimane oggi più che mai il miglior modo di divenire dei buoni ed
autentici italiani»63. Quest’ultima costatazione è particolarmente importante
perché espressione del suo credo sincretista, fedele all’idea del primato italiano
ma consapevole dell’importanza di misurarsi con le idee d’oltreconfine. Come
giustamente rilevato da Virgilio Bernardoni, già dalla metà degli anni Venti
il compositore «non [aveva] dubbi sul fatto che la musica italiana [dovesse]
assimilare il modernismo europeo secondo criteri selettivi di inclusione/
esclusione […] e scommettere apertamente sul primato di una sorta di idioma
italiano nel contesto internazionale»64. Un abile organizzatore come Mario
Labroca, tra l’altro segretario della CDNM, e un autorevole critico come
Guido M. Gatti avallarono le posizioni di Casella, pur da prospettive diverse.
Il primo sostenne l’importanza del ritrovo veneziano come luogo
di confronto culturale ma anche — e soprattutto — d’incontro, per scopi
promozionali e commerciali: «lungi dallo scandalizzarci per questa forma di
mercato», commentava Labroca, «siamo ben felici che i poveri musicisti abbiano
trovato anch’essi un centro ed un’epoca per il piazzamento della loro opera»65.
Decenni dopo, Labroca ammetterà che il «bacillo del ‘prestigio nazionale’»
aveva parzialmente viziato il senso di questi ritrovi modernisti, al punto che le
commissioni finivano per «correre dietro ai capricci, ai brontolii, alle proteste
dei vari delegati nazionali»66; tuttavia, nell’articolo scritto in concomitanza
del festival nella città lagunare, egli enfatizzava «l’importanza sempre più
grande che assumono nella vita musicale le manifestazioni concertistiche
[della SIMC], l’interesse che le più moderne tendenze suscitano nel pubblico,
il valore pratico di riunioni siffatte che permettono efficaci scambi di idee
aritmiche […] allora immagino che la cordiale antipatia di Toscanini esista davvero ed esista in
parecchie altre personalità musicali del mondo».
63
. La propaganda musicale 1928b.
64
. Bernardoni 2003.
65
. Il resto del Carlino 1925b.
66
. Labroca, 1959, pp. 112-117. Chiosava Labroca: «La commissione che si riuniva
durante l’inverno per selezionare i lavori ricevuti dai diversi paesi, si lasciava spesso guidare
da considerazioni politiche; era più grave, evidentemente, scontentare qualche paese che non
gettare sulla musica contemporanea l’ombra di opere che forse era più opportuno eseguire in
altra sede, se non addirittura dimenticare nei cassetti degli autori».
32
Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti
tra artisti»67. Scrivendo al termine dell’evento senese e pur senza negare la
rilevanza dell’aspetto commerciale, Gatti insistette quasi esclusivamente
sui contenuti ideali dei festival SIMC, quali fertile terreno per lo studio di
tendenze e orientamenti tanto divergenti. L’aspetto cruciale del suo intervento
riguardava l’importanza di tenere queste rassegne sulla penisola a scadenze
regolari, al fine di far conoscere ai compositori italiani i più recenti sviluppi
della musica all’estero:
Soprattutto ci pare augurabile che i ‘festivals’ abbian luogo
in Italia quanto più spesso possibile: è noto che gli italiani viaggiano
poco, in generale, e i musicisti italiani anche meno (fatta eccezione
per Casella e per qualche altro che s’è messo a seguirne l’esempio
da poco tempo) […]. Non riusciamo a comprendere […] il sacro
terrore che hanno i custodi della tradizione per quanto riguarda
l’importazione dell’arte di fuori: tutta la storia ci insegna che l’arte
ed il pensiero di un paese non vivono se non si rinnovano in certi
momenti al contatto straniero. La tradizione musicale italiana
concepita come qualcosa di immutabile e immutato, può essere
un efficace strumento polemico, ma non resiste ad una seria ed
obiettiva disamina storica68.
Una visione, questa, aperta e ottimistica, destinata però a rimanere
minoranza: che le opinioni di Casella, Labroca e Gatti fossero isolate appare
particolarmente chiaro quando si leggono i commenti riguardanti il tema
dell’accessibilità del repertorio moderno presso il vasto pubblico.
Da una parte, i numeri apparsi sulla stampa paiono confortare la tesi
secondo la quale i due festival attrassero una vasta platea che includeva addetti
ai lavori, ascoltatori non specializzati e semplici curiosi. A Venezia, per esempio,
erano attesi quarantacinque critici musicali solo dalla Germania e almeno dieci
direttori d’orchestra dagli Stati Uniti; seicento stranieri avevano chiesto la tessera
ferroviaria che consentiva d’ottenere lo sconto per recarsi alla manifestazione
e il numero dei presenti ai concerti fu almeno doppio rispetto alle edizioni
precedenti69. Inoltre, a detta di Casella, il variegato uditorio confluito nella
città lagunare sembrò essere particolarmente attratto da quelle sessioni che
includevano brani destinati a far discutere — come ad esempio la Serenade Op. 24
di Schönberg e la Sonata per pianoforte di Stravinsky, che segnalarono un tutto
. Il resto del Carlino 1925b.
. La rassegna musicale 1928, pp. 553-554.
69
. Le informazioni di cui sopra sono tratte da: trafiletto senza titolo sul Journal de Genève
1925; Gazzetta di Venezia 1925; Comoedia 1925b; Il giornale d’Italia 1925d; Labroca 1959,
p. 112.
67
68
33
Davide Ceriani
esaurito70. Numeri simili, anche se leggermente inferiori forse a causa della
posizione più defilata della città in questione, erano menzionati in occasione
del festival SIMC di Siena: un articolo apparso sul Corriere della sera indicava
in circa trecento gli stranieri accorsi nel centro senese, cui si aggiungevano
duecento italiani71. È comunque possibile che i numeri fossero anche superiori,
considerando che il contributo contenente queste cifre era stato scritto qualche
giorno prima dell’inizio della rassegna.
Ben diverso è il quadro offerto da quanti professarono scarsa simpatia
per i repertori modernisti eseguiti ai due festival. In corrispondenza dell’evento
veneziano, apparve su Il giornale d’Italia una nota riguardante lo scarso pubblico
intervenuto ai vari concerti, «forse perché alle nuove preferisce le musiche della
buona tradizione, a quelle cioè che non hanno dato l’ostracismo alla melodia»72.
Impietosa, ma certo viziata da stereotipi riguardo ai comportamenti del pubblico
italiano a teatro, è la descrizione del corrispondente del New York Times:
If at previous festivals of the society — at Prague and
Salzburg — the audience had consisted of people who had
come for the occasion and knew what awaited them, such was
not the case at Venice. Rather, the performing artists and the
composers here faced a crowd of foreign tourists of a more or less
unsophisticated and snobbish sort, sprinkled with a few hundred
natives who brought to the Teatro Fenice the attitude customary in
Italy toward opera stagiones [sic]. They acted as though they were
witnessing a circus — or what is worse, a provincial Italian opera
production. Some had brought their whistles with them, while
others, more modestly, relied on their own lung capacity for hissing
and yells of ‘Basta’ or ironical cries of ‘Bis’. The real Italian loves
melodiousness and catchy tunes (which could not well be expected
in modern chamber music), and he likes shortness above all73.
In base a questa descrizione si può concludere che non vi fu un atteggiamento
particolarmente costruttivo da parte del pubblico verso i brani più sperimentali.
Nonostante l’ottimismo che Casella, Labroca e Gatti infusero nei loro interventi
70
. Il giornale d’Italia 1925d. Per quanto indubbiamente importante nel contesto del
festival, si è scelto di non trattare della Sonata per pianoforte di Stravinsky dato che, a causa del
suo linguaggio accessibile e della sua chiarezza formale, questo brano non provocò gli stessi
animati commenti del pezzo di Schönberg o d’altri brani discussi in questo saggio. Il più recente
lavoro sul rapporto tra Schönberg e Stravinsky, con particolare riferimento al festival SIMC di
Venezia, è quello di Restagno 2014.
71
. Corriere della sera 1928a.
72
. Il giornale d’Italia 1925a.
73
. New York Times 1925.
34
Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti
e indipendentemente dal reale numero di spettatori presenti a ciascun concerto
o da quanto affollate fossero le esecuzioni dei brani di Schönberg o Stravinsky,
l’articolo del New York Times semina più di un ragionevole dubbio sul livello di
preparazione della platea non specializzata per un adeguato apprezzamento della
rassegna musicale.
Non troppo diversa, stando ai resoconti, fu l’esperienza senese, sebbene si
assista in questo caso a una maggiore diversità di punti di vista. Prima dell’inizio
del festival, il critico del quotidiano La nazione Edgardo Fiorilli incoraggiava gli
ascoltatori a recarsi nella cittadina toscana senza pregiudizi verso le novità:
Vi è una pigrizia intellettuale […] che ci porta ad escludere
dal nostro spirito tutte le forme che esorbitano dai confini di una
acquisita e fissata sensibilità, che ci tiene passivamente avvinti alle
vecchie formule […], che ci vieta qualunque sforzo per penetrare
concezioni nuove, visioni più larghe e più libere, manifestazioni
rudi e sincere della rinnovata coscienza estetica di un dato tempo.
Contro queste radicate abitudini […] bisogna reagire, ricordando
che anche l’arte, come tutte le forme della vita, è sottoposta ad una
continua trasformazione e revisione dei suoi valori74.
Questo passaggio è particolarmente rilevante perché allude alla presenza,
nel mondo musicale italiano, di un consistente gruppo d’orientamento
conservatore capace d’influenzare, attraverso i propri commenti sulla stampa,
l’opinione che i lettori si sarebbero fatti riguardo al festival e alla musica
moderna più in generale.
Malgrado gli ammonimenti di Fiorilli e le migliori intenzioni di quella parte
dei critici non tacciabili di conservatorismo, le impressioni riguardo ai programmi
ascoltati a Siena non furono delle più positive. In particolare, appare chiaro che
la pletora di orientamenti estetico-musicali e le complesse metodologie applicate
ai processi creativi di molti dei brani presentati, costituirono un ostacolo spesso
insormontabile al godimento degli stessi. Guido Pannain, per esempio, segnalò
l’importanza dei festival SIMC come indispensabili momenti di confronto ma
74
. La nazione 1928a. Si veda inoltre La nazione 1928b, dove lo stesso Fiorilli sosteneva
che la tendenza dei moderni compositori a ricercare nuove forme espressive rispecchiava i
loro crescenti interessi interdisciplinari: «L’incremento della cultura filosofico-letteraria dei
musicisti, così vivace in questi ultimi tempi, ha contribuito non poco a conferire nuovi aspetti
all’arte dei suoni. La maggior parte degli odierni musicisti sono scrittori e critici d’arte e a tutti
è nota la profonda cultura letteraria estetica di un Pizzetti, di un Liuzzi, di un Casella, di un
Gui, di un Castelnuovo ecc. per citarne solo alcuni e nell’ambito dei compositori. Questa critica
consapevolezza dei processi e dei mezzi onde l’artista giunge ad estrinsecare la propria visione
interiore non può rimanere senza effetto sullo svolgimento artistico».
35
Davide Ceriani
aggiungeva che le voci dei protagonisti «cad[evano] spesso nel frammento» a
causa della «ricchezza di tendenze quale non si [era] mai vista nel corso della
storia della musica»; proprio perché così numerose, tali tendenze erano quindi
destinate a essere «poco durature»75. A suo dire, questa diversità rendeva
necessario un esame approfondito d’ogni singolo pezzo, tanto era difficile
trovarne di assimilabili: per questo motivo, Pannain notava che ai concerti ci
si doveva recare «con l’animo disposto più allo studio che al divertimento»76.
Anche Bruno Revel, prestato in quest’occasione alla critica musicale, ma noto
soprattutto per la sua attività di linguista e letterato, osservava con disappunto
come in questi consessi dedicati alla musica contemporanea il pubblico — anche
quello specializzato — doveva confrontarsi con arditezze musicali partorite da
idee e teorie che spesso non comprendeva, finendo quindi per rigettarle:
Io credo che tutti i congressisti siano stati per tutta
la settimana in preda ad un dubbio che si può riassumere così:
se dovevan preoccuparsi piuttosto delle tendenze o delle sue
realizzazioni […]. Ma non credete che possano darsi composizioni
musicali le quali essendo meri tentativi di realizzazioni tecniche
manchino poi di ogni contenuto lirico e restino perciò, anche se
espresse — diventate note, suoni — semplici tendenze agli effetti
dell’arte viva e vera? E che quindi se ne possa discutere, che
esistano di fatto e vengano eseguite, ma sono suoni e non musica,
intenzioni e non arte. Tant’è vero che ci recavamo ai concerti come
bravi scolaretti, avendo piene le saccocce di foglietti volanti e di
spiegazioni programmatiche e di delucidazioni tecnicistiche come
ai beati tempi delle musiche a programma. Ma di fronte al vuoto
assoluto di alcune fra quelle musiche e colla testa colma di schemi
teorici e di codici armonici nuovissimi che altro potevamo trovare
se non appunto intenzioni, tendenze, rimaste ahimé tali sul terreno
artistico, cioè non realizzate, non sentite, non vissute e quindi […]
pari al puro nulla77?
Il problema sollevato da Revel rimandava a due questioni più ampie di cui
si darà conto nelle sezioni successive. La prima riguarda la poca confidenza con i
manuali e, più in generale, con la trattatistica di compositori stranieri, raramente
disponibili in italiano. È del tutto credibile che una parte considerevole di quei
critici italiani, chiamati a recensire i brani eseguiti a Venezia e Siena, considerasse
sinceramente «nuovissimi» quegli «schemi teorici» e «codici armonici» con
cui si doveva confrontare, nonostante le «spiegazioni programmatiche» e le
. La propaganda musicale 1928c, p. 5.
. Ibidem.
77
. Bollettino bibliografico musicale 1928a, pp. 28-30.
75
76
36
Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti
«delucidazioni tecnicistiche» a essi collegati fossero già da qualche tempo
disponibili in altre lingue e aree geografiche. La seconda, strettamente
connessa a quella precedente, concerne il legame fra i brani originati da queste
nuove teorie e la loro supposta mancanza di «contenuto lirico» citato da Revel.
Per quanto sfuggente possa essere questa definizione, egli essenzialmente
sosteneva che l’approccio scarsamente intuitivo sul piano della resa musicale
di tecniche poco conosciute o praticate (almeno in Italia) rendeva difficile,
da parte dell’auditorio, apprezzare i pezzi basati su questi principi. Pur con le
dovute eccezioni, una disamina della ricezione di questi brani fornirà le prove
a supporto di questa tesi.
Primo caso di studio: La Serenade Op. 24 di Arnold Schönberg
e il Trio Op. 20 di Anton von Webern
Tra i molti brani eseguiti ai due festival, la critica italiana riservò particolare
attenzione a quelli presentati da due dei principali esponenti della cosiddetta
scuola musicale di Vienna: la Serenade Op. 24 di Schönberg per clarinetto,
clarinetto basso, mandolino, chitarra, violino, viola, violoncello e voce maschile
(terminata nel 1923 ed eseguita a Venezia) e il Trio Op. 20 di Webern per violino,
viola e violoncello (terminato nel 1927 e presentato a Siena). Schönberg ottenne,
logicamente, più spazio rispetto a Webern: del primo, infatti, si parlava già da
tempo in Italia, mentre il secondo fu identificato come un discepolo e non
necessariamente come un membro di primo piano della scuola viennese78.
La recente letteratura in merito alla ricezione in Italia, nella prima metà
del ventesimo secolo, delle teorie di Schönberg ha sostanzialmente evidenziato
tre aspetti salienti79. Il primo concerne la confusione terminologica della stampa
coeva riguardo a lemmi quali atonalità e dodecafonia: i critici meno versati in
analisi musicale e non in confidenza con i principi elaborati dal compositore
viennese ebbero difficoltà a offrire definizioni appropriate. Il secondo riguarda
l’opposizione fra la supposta senescenza delle tecniche elaborate da Schönberg
e la fin troppo reclamizzata vitalità e chiarezza della musica italiana degli anni
Venti cui si è accennato in precedenza. Il terzo è relativo, in egual misura, sia
al crescente nazionalismo musicale che fece da corollario al consolidamento
del regime fascista sia agli influssi dell’estetica crociana. Come ha giustamente
notato Luca Conti in un autorevole studio su questi argomenti:
. La stampa 1928b; Il resto del Carlino 1928d.
. Conti 2003.
78
79
37
Davide Ceriani
In molti casi Schönberg è definito interessante, geniale, ma
alla fine è considerato soprattutto un autore da rifiutare in partenza,
anzi in certi casi da fermare letteralmente alla frontiera, di cui
parlare da lontano a scopo apotropaico con l’implicita intenzione
di stroncare qualsiasi approccio emulativo da parte delle nuove
generazioni di musicisti italiani […]80.
Infatti, dopo il fatidico 1924 [anno in cui il compositore
austriaco, con l’aiuto di Casella, presentò il Pierrot lunaire in Italia]
la musica di Schönberg e allievi, la dodecafonia, il principio della
serie, raramente saranno sottoposte a indagini di tipo tecnico; la
partita si gioca tutta sul terreno estetico, magari con il pretesto di
un’adesione alle idee di Croce81.
I commenti apparsi sulla stampa confermano in buona parte quanto asserito
dallo studioso: lo spoglio sistematico di quotidiani e riviste musicali specializzate
testimonia la totale assenza d’osservazioni analitiche, ancorché rudimentali.
La Serenade Op. 24 è certamente un lavoro di difficile catalogazione per la sua
originale amalgama strumentale e perché, come già notato nell’analisi condotta
da Luigi Rognoni e Bryan Simms, adotta procedimenti compositivi diversi in
ognuno dei sette movimenti82. In tre di questi (il terzo, il quarto e il quinto)
Schönberg esplora tecniche dodecafoniche o comunque a esse assimilabili: il
terzo (Variationen) è costruito — ironicamente — su una serie di quattordici note
invece delle consuete dodici, il quarto (Sonnet) è basato su un sonetto di Petrarca
e la parte vocale adotta tredici esposizioni non trasposte della serie di dodici
note e, infine, il quinto (Tanzscene) è imperniato su due esacordi complementari83.
Per quanto potesse essere arduo seguire nel dettaglio le tecniche utilizzate
dal compositore austriaco, dalle recensioni si comprende come il pregiudizio
nei suoi confronti fosse così radicato da vanificare qualunque sforzo volto a
offrire una corretta interpretazione della sua musica. Gli articoli, per esempio,
segnalavano lo smarrimento che aveva colto l’auditorio nel corso dell’esecuzione
della Serenade, senza però aiutare il lettore a comprenderne il motivo.
Tra i giudizi più ingenerosi vi furono quelli di Liuzzi e CastelnuovoTedesco, i quali associavano al compositore un’immagine poco edificante —
. Ibidem, p. 157
. Ibidem, p. 181. Per la ricezione del Pierrot lunaire in Italia si veda Testa 1982, pp. 6383 e Casella 1941, pp. 219-220; per la ricezione, sempre in Italia, dei termini atonalità e
dodecafonia, e più in generale dei compositori della Seconda scuola di Vienna, si veda Somigli
2002 e Nicolodi 2013.
82
. Rognoni 1966, pp. 88-89 e Simms 2000. Altri importanti saggi che discutono aspetti
analitici della Serenade Op. 24 sono Crawford 1963 e Heneghan 2009.
83
. Whittall 1972.
80
81
38
Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti
rappresentato a «macera[rsi] tra i detriti friabili di ricchezze [musicali] inaridite»84.
In un successivo contributo scritto individualmente, Castelnuovo-Tedesco
definiva la Serenade una composizione di una «esasperante monotonia» in grado
unicamente di «suscita[re] […] un senso di profonda pena»85. Solo in apparenza più
indulgente, Lessona sosteneva che a causa delle tecniche di Schönberg «l’ufficio
espressivo dell’armonia era venuto […] a restringersi miseramente, anziché
ampliarsi»; nondimeno egli aggiungeva, con una similitudine non propriamente
benevola, che tale linguaggio armonico era «sconnesso e incoerente come il
delirio di un febbricitante»86. Lessona terminava il suo intervento parlando di un
«senso opprimente di noia e stanchezza», «pesantezza opaca del discorso»87 e, in
un altro articolo, di «monotonia disperante»88. Infine, un contributo non firmato
sulla Rivista nazionale di musica identificava la Serenade come un «gioco di ritmi e
di combinazioni armoniche e disarmoniche pazze o bizzarre» che consisteva in
un insieme di «angoli, spicchi e gocce di aneddoti staccati, balzati alla rinfusa
con sorprese da caleidoscopio»89. Altri commenti apparsi in queste recensioni
riguardarono l’accostamento, poco gradito, di strumenti particolarmente eterogenei
come quelli utilizzati da Schönberg in questo brano; se possibile, la presenza
d’impasti timbrici così compositi rese ancor più negativo il giudizio dei critici.
A questa serie di pareri negativi fecero da contrappunto alcuni interventi
più articolati di Casella e Labroca; le loro conclusioni, però, furono ancora più
radicali rispetto alle valutazioni dei vari Liuzzi, Castelnuovo-Tedesco e Lessona. I
due, infatti, presero spunto dalla performance della Serenade (giudicata comunque
negativamente) per allargare il ragionamento al sistema atonale, relegando
quest’ultimo a tentativo, meritevole ma non riuscito, di sostituire il linguaggio
tonale. Labroca, per esempio, ribadiva come la Serenade fosse «viziata da una
naturale e logica monotonia» dovuta alla «ripetizione costante di modi armonici»;
una terminologia quantomeno approssimativa utilizzata, presumibilmente,
per indicare le serie presenti in alcuni dei movimenti di questo pezzo90. Tale
considerazione ne originava un’altra di carattere generale per cui il senso di
frustrazione, provocato dalla Serenade e da altre simili composizioni presentate
alla kermesse veneziana, aveva sancito la «fine assoluta e definitiva delle maniere
impressionistiche» e il «lento vaporare [sic] di quei procedimenti e tendenze che […]
. . 86
. 87
. 88
. 89
. 90
. 84
85
Il pianoforte 1925.
Vita musicale italiana 1926.
Gazzetta del popolo 1925a.
Ibidem.
Gazzetta del popolo 1925b.
Rivista nazionale di musica 1925.
Il resto del Carlino 1925c.
39
Davide Ceriani
si erano sparsi per il mondo a creare una specie di atmosfera internazionale»91.
L’uso dell’aggettivo impressionistico può sembrare fuori luogo se utilizzato in
rapporto a Schönberg ma questo termine era già stato impiegato da Casella nelle
note di sala che introducevano il Pierrot lunaire nel corso della tournée italiana del
1924: «Si potrebbe chiamare questa musica super-impressionista. Ed infatti appare
impressionismo spinto alle sue estreme conseguenze. Mentre Debussy poggiava
sempre su scale diatoniche, Schönberg giunge d’un colpo […] a ‘pensare’ su
dodici suoni»92. È quindi possibile che Labroca avesse tratto spunto da questo
programma che molto probabilmente aveva letto.
Nelle stesse note di sala, Casella definiva il compositore austriaco «geniale»
e, una volta terminato il festival SIMC di Venezia, osservò che tra i meriti di
Schönberg vi era quello di aver condotto una ricerca sistematica e coscienziosa
nella direzione del rinnovamento. Tuttavia, Casella aggiunse di ritenere esaurita
la spinta propulsiva delle sperimentazioni armoniche coltivate tra fine Ottocento
e i primi del Novecento: in conseguenza di questa situazione, i tentativi del
maestro austriaco di proseguire su questa strada erano destinati ad arenarsi:
Schönberg ha realmente creato qualcosa di unico nella
Storia della musica e perciò merita la maggiore attenzione.
Convengo che la atonalità non è musicalmente concepibile e posso
giurare che le musiche di Schönberg non si udranno mai da noi
[…]. Non nego, d’altronde, che la impressione di sbalordimento
e la sensazione profonda di novità suscitate da quest’arte [atonale]
così singolare non solo scemano, a lungo andare, ma cedono il
posto ad un inevitabile senso di monotonia93.
Queste opinioni erano confermate dallo stesso Casella in un successivo
contributo apparso su Il convegno, dove il compositore dichiarava come l’esperienza
atonale fosse ormai giunta all’«estremo tramonto» e che questo genere d’arte
apparteneva «ormai al passato»94. Tali dichiarazioni funsero da prodromi alla
polemica a distanza fra Schönberg e Casella, nella seconda metà degli anni Venti,
sui destini della musica occidentale, con particolare riferimento al linguaggio
che i compositori moderni avrebbero adottato nell’immediato futuro95. Influenti
personalità si unirono a questa discussione che continuò, fra l’altro, sulle pagine
di quotidiani e altre pubblicazioni italiane in occasione dell’esecuzione del Trio di
Webern al festival SIMC tenuto a Siena.
. . 93
. 94
. 95
. 91
92
Ibidem.
Casella 1924.
Il mattino 1925.
Il convegno 1925, p. 430.
Testa 1982, pp. 84-125 e Nicolodi 1984.
40
Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti
Sebbene i mezzi a stampa fossero più avari di commenti sul brano di
Webern rispetto a quanto lo furono riguardo alla Serenade di Schönberg, il
Trio suscitò reazioni ancora più estreme addirittura nel corso della sua stessa
esecuzione. Rudolf Kolisch, uno dei membri del trio che eseguì il pezzo,
raccontò a Webern quanto successe e questi, a sua volta, lo narrò a Schönberg.
Scrisse Webern:
Nel corso delle prime misure del secondo movimento,
l’irrequietezza [del pubblico] divenne talmente invadente che
[Kolisch] decise d’interrompere [l’esecuzione]. L’applauso
convinto che seguì questo gesto riportò la calma, e Kolisch
poté iniziare nuovamente l’esecuzione dall’inizio del secondo
movimento per portarlo a termine. A quel punto, però, ci fu
un’esplosione di collera da parte di un critico italiano, il quale
dichiarò che avrebbe convinto Mussolini a interrompere il
festival. [Secondo il critico] esecuzioni di questo genere di
musica non dovevano essere permesse in Italia. Il critico tedesco
[Hermann] Springer ribatté e il critico italiano si avventò su di
lui. Parte del pubblico salì sul palco e a quel punto [Alfredo]
Casella e [Edward] Dent presero la parola per riportare la
calma, ordinando al critico di lasciare la sala. Si mormora che
quest’ultimo abbia sfidato Casella a duello96.
Questa descrizione rende bene il clima avverso che il repertorio del circolo
viennese si trovò ad affrontare, in quel periodo, in Italia. Oltre alle dichiarazioni di
Casella sulla fine della «avventura atonale» cui si è accennato in precedenza, il Trio
di Webern ebbe una ricezione difficoltosa a causa della sua portata innovativa97.
Pur basato su forme tradizionali quali il rondò (nel primo movimento) e la
sonata (nel secondo movimento, introdotto da un passaggio Molto sostenuto ed
espressivo che soppianta l’adagio normalmente inserito fra il movimento iniziale
e quello finale), Webern utilizza in modo sistematico la tecnica dodecafonica e
predilige la «breviloquenza» tematica che da molti anni costituiva il suo stile di
riferimento98. Come giustamente rilevato da alcuni tra i più autorevoli studiosi
di Webern, la complessità di questo brano maschera la chiarezza strutturale
96
. Traduzione della versione inglese della lettera originariamente scritta in tedesco da
Webern a Schönberg ora in Hayes 1995, p. 161. Secondo De Rensis, la personalità italiana che
intervenne a riportare la calma insieme a Dent non fu Casella ma Alceo Toni: si veda Il giornale
d’Italia 1928c.
97
. Si veda nota 42.
98
. Il termine «breviloquenza» è contenuto in Kolneder 1996, p. 139. Si veda anche Hayes
1995, p. 151.
41
Davide Ceriani
che può essere individuata solo attraverso uno studio accurato della partitura99.
A un primo ascolto, quindi, dovette risultare molto difficile per gli spettatori
presenti al festival riconoscere le forme del rondò e della sonata nonostante esse
fossero descritte nel programma che introduceva il brano; allo stesso tempo fu
impossibile individuare un accenno di coerenza tematica, così importante per
molti di quei critici italiani chiamati a recensire il repertorio presentato a Siena100.
La protesta del critico italiano descritta da Kolisch, per quanto colorita,
è soltanto la punta dell’iceberg di un’insofferenza generalizzata verso il Trio
di Webern: dall’ironia di Lualdi («Webern […] mostra nella sua musica tutti i
difetti di cacofonia, prolissità, monotonia, aridità, pedanteria, atassia locomotrice
[…] che hanno resa illustre la musica del suo maestro»)101, all’irritazione di
Colacicchi («Un pasticcio, quel trio, un sì urtante balbettio di ritmi frazionati,
tale un’inconcludenza d’idee meschine, da scalmanare il più sereno degli
spettatori»)102, alla semplice derisione di Procida («miagolii, grugniti, fischietti,
muggiti, frammentari e disordinati, sostituiscono i suoni»)103, non è possibile
trovare un esponente della critica italiana che ebbe la volontà d’offrire spunti
analitici i quali potessero favorirne, se non la piena comprensione, almeno
una visione meno approssimativa. È inoltre importante notare come al nome
di Webern fosse costantemente associato quello di Schönberg, quasi a voler
sottolineare che solo l’influenza negativa di quest’ultimo poteva aver condotto
il suo seguace a scrivere un pezzo tanto stravagante. Scriveva Alberto Gasco,
compositore e critico musicale de La tribuna:
Causa di tanto guaio [l’alterco descritto in precedenza]
è stato il compositore viennese Anton von Webern, allievo di
99
. Dettagliate analisi del Trio sono presenti in Rognoni 1966, pp. 338-342; Kolneder
1996, pp. 135-142; Russo 2006; Nolan 2013.
100
. Nell’introduzione al Trio approvata da Webern stesso, Erwin Stein (tradotto e citato in
Kolneder 1996, p. 136) fornisce una chiave d’interpretazione di questo lavoro. Dal contributo di
Colacicchi apparso in Il popolo di Roma 1928b s’intuisce che questa descrizione fu la stessa offerta
al pubblico che assistette all’esecuzione del pezzo. Questo un passaggio tra i più importanti:
«Nella stesura di un movimento, la tecnica di variare temi e motivi è la stessa dei maestri classici.
Ben diverso dai classici è il modo in cui sono sviluppati i motivi e trattai i temi. Qui gli uni e gli
altri sono trattati in molti modi, e a ogni ricomparsa risultano sempre alterati. Una serie fornisce
il materiale di base dell’intero pezzo, secondo la composizione con dodici note in relazione
reciproca di Schönberg. In Webern ogni voce è formata, come in un mosaico, da frammenti di
serie. Così, combinazioni sempre diverse generano sempre nuove figure sonore».
101
. Il resto del Carlino 1928d; pubblicato anche in Gazzetta del popolo 1928b.
102
. Il popolo di Roma 1928b.
103
. Il mattino 1928c. In un articolo di poco successivo, Procida insisteva nella stessa
direzione: «Sembrano [i suoni del Trio] vagiti e muggiti in libertà, senza guida e senza mèta, pur
essendo il prodotto d’un calcolo spietato e rigoroso». Si veda Il mattino 1928d.
42
Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti
Arnoldo [sic] Schönberg e suo imitatore troppo coscienzioso.
L’illustre critico dottor [Adolf] Weissmann […] ci ha detto che le
prime opere del Webern erano brillanti e robuste […] ma che in
seguito […] sotto la terribile influenza dello Schönberg ha deviato
dal retto sentiero […]104.
Sebbene non sia possibile stabilire se Weissmann avesse espresso il proprio
parere in termini tanto ostili, appare chiaro che Gasco voleva evidenziare
un legame causale: la citazione indiretta da lui utilizzata implicava che solo
gli insegnamenti fuorvianti del maestro avevano potuto condurre l’allievo a
concepire un pezzo tanto impenetrabile quanto lo era stata la Serenade.
Dai commenti di Gasco («Che cos’è questo Trio? Un colloquio sui
generis fra tre strumenti che sospirano, starnutiscono e si strofinano l’un
l’altro stridendo e scricchiolando come il gesso sulla lavagna e [ripetono] con
ostinazione demenziale lo stesso disegno»)105 e da quelli, espressi a festival
terminato, di altri suoi colleghi (musica «ermetica»106, «decrepit[a]»107 e ispirata
da «voluttà di martirio»108) si può quindi facilmente concludere che Webern,
come Schönberg anni prima, suscitò alcune delle reazioni più negative in
assoluto. Il suggello al supposto fallimento dell’esperienza dodecafonica in
ambito senese fu probabilmente apposto dal compositore Renzo Massarani,
che all’astrusità del Trio oppose l’assennatezza del linguaggio armonicoformale utilizzato dagli italiani: «[Il Trio] non ci piace né tanto né poco e
neppure ci interessa perché per noi latini e gente di buon senso questo genere
è arabo»109. Certamente, il linguaggio dodecafonico adottato negli anni Venti
dai più importanti esponenti della scuola viennese non contribuì, specialmente
ai primi ascolti, a incoraggiare un atteggiamento collaborativo da parte della
critica italiana. Nondimeno, l’aperto biasimo contenuto nelle reazioni sia
alla Serenade sia al Trio fa supporre che, anche in presenza di spiegazioni più
dettagliate da parte di Schönberg e Webern, il tono della stampa difficilmente
sarebbe stato modificato.
. . 106
. 107
. 108
. 109
. 104
105
La tribuna 1928b.
Ibidem.
Bollettino bibliografico musicale 1928b.
La propaganda musicale 1928c, p. 5.
La rassegna musicale 1928, p. 555.
Musica d’oggi 1928, p. 343.
43
Davide Ceriani
Secondo caso di studio: Jazzband di Wilhelm Grosz,
The Daniel Jazz di Louis Gruenberg e Façade di William Walton
Tra le decisioni più importanti della commissione che selezionò il
repertorio da eseguire al festival SIMC di Venezia vi fu quella d’includere brani
contenenti riferimenti stilistici al genere jazzistico. Uno di questi fu Jazzband per
violino e pianoforte del compositore austriaco Wilhelm Grosz, allora poco più
che trentenne; l’altro fu The Daniel Jazz per voce e otto strumenti (clarinetto,
tromba, pianoforte, percussioni e quartetto d’archi) dell’americano (ma russo
di nascita) Louis Gruenberg, già quarantenne nel 1925 e autore d’innumerevoli
lavori vocali e orchestrali. Il fatto che la quasi totalità dei recensori della rassegna
modernista disapprovasse questa scelta non deve far pensare al jazz come un
genere privo di simpatizzanti in Italia; al contrario, fin dai primi anni Venti,
compositori d’età diverse e con esperienze professionali fra le più varie avevano
scritto musiche ispirate a questo repertorio. Tra i nomi più celebri vi sono quelli di
Alfredo Casella e Virgilio Mortari con i loro Fox-Trot, e di Franco Casavola con le
allusioni stilistiche utilizzate nel balletto Hop-Frog110. Casavola, fervente futurista,
espresse il suo interesse verso il jazz in contributi nei quali collegava la portata
innovativa di questa musica al movimento fondato da Marinetti. Nel 1924, per
esempio, scrisse nel manifesto La musica futurista: «Il Jazz Band rappresenta oggi
l’attuazione pratica […] dei nostri principi: la individualità del canto dei suoi
strumenti […], la persistenza dei suoi ritmi, decisi e necessari, costituiscono la
base della musica futurista»111. Anche Casella, nel 1929, proclamò il suo interesse
per questo genere in un articolo intitolato ‘Il Jazz’ apparso su L’Italia letteraria —
quinto di una serie dove il compositore discuteva alcuni degli aspetti salienti
riguardo la musica negli Stati Uniti, paese nel quale si recò più volte nel corso
degli anni Venti112.
Tuttavia, altri importanti personaggi della scena culturale italiana quali
il compositore Pietro Mascagni e l’esponente politico e culturale Guido Carlo
Visconti di Modrone manifestarono la loro contrarietà al jazz, rilevando i pericoli
della sua influenza sui giovani compositori italiani. In una dichiarazione del 1926,
rilasciata a La tribuna, Mascagni notava: «Quando ascolto le orchestrine di ‘jazzband’, coi loro boati, miagolii, rumori brutali, provo una indicibile sofferenza.
110
. Il titolo completo del brano di Mortari è Fox Trot futurista per il Teatro della Sorpresa (si
veda Lombardi 2009). Riguardo al balletto Hop-Frog di Casavola, si veda Colazzo 2005.
111
. Casavola 1924 citato in Ianniello 2010, p. 58.
112
. Casella 2001. Quest’articolo rappresenta uno dei pochi casi d’approccio sistematico e
analitico nell’interpretare correttamente il fenomeno del jazz: si veda Cerchiari 2003, pp. 114117.
44
Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti
Oh, quell’uomo con la pipa […] cioè il saxofono che cerca di emettere la voce
degli animali più ignobili!»113. In un’altra intervista di poco successiva al Corriere
della sera, il compositore ribadiva che «i Governi di tutto il mondo dovrebbero
vietarlo [il jazz] come vietano l’oppio e la cocaina, perché questa musica è per
lo spirito quello che oppio e cocaina sono per il corpo»114. Pochi anni dopo, nel
1929, Visconti di Modrone avrebbe rincarato la dose arrivando a chiedere misure
repressive contro il jazz:
Eppure oggi, in pieno fascismo, noi, che possediamo
un patrimonio musicale che è fra tutti quelli dei popoli civili
indubbiamente il più ricco ed il più vario […] ci siamo rassegnati
a riconoscere […] il predominio della musica selvaggia dei negri
[…]. Bisogna reagire contro il jazz-band, come si è reagito contro
la cocaina. Ma chi deve intraprendere questa crociata? La Chiesa,
la Stampa, gli Istituti di educazione, in genere l’opinione pubblica?
Non basta; ci vogliono provvedimenti coercitivi, quali solo il
Governo può adottare115.
Questi commenti indicano che la polarizzazione a favore o contro il
repertorio jazzistico difficilmente avrebbe favorito un approccio misurato e
analitico, anche da parte della stampa più avveduta. Come ha giustamente rilevato
Luca Cerchiari, la critica italiana fu impreparata a rispondere alle sollecitazioni
provenienti da questo nuovo genere, arrivando a confondere lo stile con il mezzo:
«Si pensi solo a come, su quasi tutte le riviste di varietà, di musica, d’arte e sui
quotidiani nazionali, il jazz sia confuso, per tutti gli anni Venti, con il suo organico
strumentale, venendo erroneamente denominato Jazz Band»116. I commenti
riguardo ai pezzi di Grosz e Gruenberg, nonché quelli relativi alla Façade di
William Walton eseguita nel 1928 a Siena, confermano ampiamente la modesta
competenza di molti recensori, talvolta unita a pregiudizi che caratterizzavano il
jazz come una musica chiassosa e umoristica. Il fatto che questo genere avesse
influenzato, negli anni successivi al primo conflitto mondiale, il repertorio colto
rese probabilmente i recensori italiani più conservatori, ancora più sospettosi nei
confronti di queste contaminazioni117.
Il caso di Grosz è emblematico di questo desiderio, da parte delle nuove
generazioni di compositori, di confrontarsi con l’innovativo idioma jazzistico:
già allievo di Franz Schreker all’Accademia di musica di Vienna e di Guido Adler
. . 115
. 116
. 117
. 113
114
La tribuna 1926.
Corriere della sera 1926. Si veda anche La propaganda musicale 1928a.
Il giornale d’Italia 1929.
Cerchiari 2003, p. 53.
Cook 1988.
45
Davide Ceriani
all’Università della stessa città, Grosz si dedicò alla direzione e alla composizione
di opere e operette nella prima metà degli anni Venti, oltreché lavorare come
pianista. Questo curriculum di tutto rispetto non gli impedì d’allargare i propri
interessi verso la musica d’oltreoceano, creando così quel Jazzband che fu presentato
nel corso del primo concerto al festival SIMC di Venezia. In un intervento che
condannava impietosamente la quasi totalità dei nuovi lavori eseguiti nella città
lagunare, Michele Lessona si chiedeva, retoricamente, dove potersi rivolgere
per ascoltare «qualcosa di più e di meglio» dei brani che a suo parere facevano
«uscire il massimo rumore possibile da un pianoforte o da un altro strumento»;
la conclusione, scontata, era che il «furibondo Jazz Band [sic] per piano e violino
di Wilhelm Grosz» non poteva offrire la risposta desiderata118. Ancora più
sferzante il giudizio apparso su Il giornale d’Italia, dove il recensore additava il
pezzo di Grosz come «musica a base di rumori e di cacofonie, o meglio, un
oltraggio alla maestà dei timpani!»119. Nello stesso articolo, l’anonimo recensore
qualificava però come «inevitabile» la presenza del brano di Grosz, implicando
che un genere così popolare come il jazz dovesse avere una rappresentanza in
una rassegna modernista e internazionale com’era quella della SIMC.
Non migliore fortuna ebbe l’altro pezzo influenzato dal linguaggio
jazzistico in programma a Venezia, The Daniel Jazz di Gruenberg su testo del
poeta americano Vachel Lindsay120. Allievo di pianoforte presso il Conservatorio
nazionale di New York in giovane età e poi, una volta trasferitosi a Berlino,
di Ferruccio Busoni, Gruenberg iniziò a dedicarsi alla composizione grazie
all’incoraggiamento di quest’ultimo. Tornato negli Stati Uniti allo scoppio della
Prima guerra mondiale, fu tra i fondatori nel 1923 della League of Composers,
un’organizzazione dedita alla divulgazione di musica contemporanea. La League
of Composers favorì orientamenti neoclassici ma alcuni dei suoi membri, tra i quali
Gruenberg, seguirono anche tendenze vernacolari con particolare attenzione al
jazz121. Il compositore, infatti, dichiarò in questo periodo di voler scrivere brani
che si rifacessero allo spirito americano e The Daniel Jazz (1924) è tra i risultati
più rappresentativi di questa decisione122. Come accennato in precedenza, l’esito
dell’esecuzione veneziana non fu tra i migliori sia per quanto riguarda la ricezione
della critica sia in merito alla risposta del pubblico. Mentre Lessona parlò, senza
dedicargli troppo spazio, di The Daniel Jazz come d’un «poemetto» riducibile
. Gazzetta del popolo 1925a.
. Il giornale d’Italia 1925a.
120
. Oja 2000, pp. 172-176.
121
. Mead – Ballard; si veda anche Oja 2000, pp. 186-190.
122
. Tra gli altri brani di questo periodo che contengono importanti riferimenti al linguaggio
jazz vi sono Jazzberries per pianoforte e Jazz-Suite per orchestra (1925), Jazzettes per violino e
pianoforte (1926), Jazz-Masks e Six Jazz Epigrams per pianoforte (1929).
118
119
46
Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti
a «parodia», Federico Candida (all’epoca collaboratore di punta della rivista
musicale Musica e scena) stese un duro editoriale contro questo lavoro, in forma
di lettera aperta indirizzata al critico de Il giornale d’Italia Matteo Incagliati. Dopo
aver menzionato «quell’aberrazione che si chiama jazz», Candida argomentava:
Consoliamoci che il musicista [Gruenberg] non sia italiano,
ma non consoliamoci affatto se nel cerchio dell’attività della
nominata Corporazione [Delle Nuove Musiche] sia possibile che
entrino manifestazioni di tanto esotismo e di perversa mentalità.
Si trattava, è vero, di un Festival internazionale, ma ciò non basta
e non doveva bastare a considerar tipo d’arte quel ch’è appena
detrito123.
A giudicare dalla stampa straniera, l’atteggiamento del pubblico fu altrettanto
negativo. Uno dei problemi consistette nella difficoltà di far comprendere a una
platea così composita, in termini di lingua e cultura, le sottigliezze delle tecniche
utilizzate da Gruenberg e gli aspetti salienti del testo di Lindsay. Il cantante, tra
l’altro, non fu probabilmente l’interprete ideale per questo compito, come osservò
il critico del New York Times: «The now well-known Daniel Jazz […] has a humor and
negro idiom that completely escaped the international crowd, and lacked genuine
color in the rendition of an all-too English tenor»124. Forse per questo motivo,
W. H. Haddon Squire notò sul Christian Science Monitor che «Vachel Lindsay’s jazz
poem, to which the music really only plays a secondary role, reduced most of
the audience to a laughter. This work must have been a Chinese puzzle to those
who did not understand English, or perhaps one ought to say American»125. (Un
commento simile era apparso poco prima sulle colonne del Daily Telegraph126.) Ai
problemi d’analisi musicale si erano quindi aggiunti quelli riguardanti l’idioma
verbale: è possibile che la commissione esaminatrice avesse sottovalutato
quest’aspetto all’atto della selezione dei brani, ma è altrettanto vero che i critici
chiamati a Venezia avrebbero potuto documentarsi almeno sul contenuto poetico
del lavoro di Gruenber — cosa che, stando alle cronache, non avvenne.
Osservazioni in negativo sul jazz tornarono, seppure con minore enfasi,
in occasione del festival senese; in questo caso vi fu un unico brano, Façade
di William Walton e Edith Sitwell, che aveva riferimenti al jazz, seppure non
espliciti come i due presentati a Venezia. La Sitwell, ben conosciuta negli
ambienti letterari britannici al pari dei suoi fratelli Sacheverell e Osbert, divenne
. . 125
. 126
. 123
124
Il giornale d’Italia 1925c.
New York Times 1925.
Christian Science Monitor 1925.
Daily Telegraph 1925.
47
Davide Ceriani
amica di Walton nel periodo in cui il compositore frequentava l’Università
di Oxford, alla fine degli anni Dieci; da quel momento i due instaurarono
un duraturo rapporto di collaborazione artistica. Negli stessi anni la Sitwell
scrisse una serie di poemi che nel 1922 sarebbero stati pubblicati presso la
Favil Press sotto il titolo di Façade; Walton ne musicò alcuni per voce, flauto,
clarinetto, sassofono, tromba, violoncello e batteria e, in questa versione,
Façade divenne un successo internazionale. A una prima esecuzione privata
nel gennaio 1922 ne seguì una pubblica nel giugno del 1923 presso la Aeolian
Hall di Londra, che però non riscosse il successo sperato127. Nell’aprile 1926
vi fu un’altra performance, presso il New Chenil Galleries di Chelsea, in una
nuova versione: non soltanto la parte della voce recitante fu offerta a un
interprete, George Lambert, che valorizzò gli elementi ritmici dei poemi della
Sitwell declamandoli con l’aiuto di un megafono, ma Walton arricchì il lavoro
di nuovi numeri influenzati dal linguaggio jazzistico — un genere cui si era
appassionato grazie alla professione di arrangiatore per una big band che si
esibiva presso il Savoy Hotel128.
Di poco successivo fu l’invito a presentare Façade a Siena, prontamente
accolto anche grazie al lungo rapporto che univa Walton e i Sitwell con
l’Italia: il loro primo viaggio sulla penisola risaliva, infatti, al 1920 e influenzò
profondamente lo stile musicale del compositore129. La versione eseguita a Siena
si avvalse di un sipario del pittore Gino Severini, il quale aveva sia decorato
gli interni di un castello che il padre della Sitwell, George, aveva acquistato in
Toscana sia curato la copertina e il frontespizio del volume pubblicato dalla
Favil Press. Nella descrizione del critico Alberto Gasco, il sipario nascondeva
gli esecutori alla vista del pubblico; su di esso era disegnata la facciata di un
palazzo ai cui lati si trovavano due maschere, rispettivamente di Pulcinella e
Arlecchino130. La loro presenza costituiva un naturale elemento di continuità
nell’estetica di Severini in quegli anni, specialmente dopo la sua conversione
al neoclassicismo e il suo interesse per i personaggi della commedia dell’arte,
come professato nel saggio del 1921 Du cubisme au classicisme131. Nel mezzo della
palazzina si apriva un arco attraverso il quale Lambert recitò, accompagnato
dagli strumenti, i poemi della Sitwell.
Ancora prima della musica, fu questa messa in scena e l’uso della lingua
inglese a provocare sarcasmi e dubbi. Questi ultimi riguardavano la possibilità che
. . 129
. 130
. 131
. 127
128
Neill 1978.
Barringer 2010.
Adams.
La tribuna 1928c.
Severini 1921.
48
Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti
il pubblico italiano potesse cogliere almeno parte dei testi; come riportato dalla
quasi totalità dei contributi, le parole furono, infatti, pressoché incomprensibili.
I critici si concentrarono quindi sui caratteri fonico-musicali del testo
declamato seppure, essendo il volume della Sitwell già celebre da qualche anno,
essi avrebbero potuto reperirlo con relativa facilità e commentarne almeno
parte dei contenuti132. Il sarcasmo, ben manifestato nell’articolo di Pannain,
concerneva invece l’aspetto visuale della performance. Così si esprimeva il
critico napoletano:
Gli esecutori sono tolti alla vista degli spettatori, per mezzo
d’un sipario sul quale sono dipinti la facciata d’una casetta con nel
mezzo un buco da cui esce la voce del megafono ed ai lati due
mostruosi pupazzi: un pulcinella e, se ben ricordo, un pierrot [sic].
Povero nostro vecchio defunto Pulcinella, di quanto mal non fu
madre l’ammirazione che per te sposò la barbarica gente. Lessero il
tuo nome nel Baedeker ed appresero la tua faccia di bianco e nero
da le cartoline illustrate; e ciò bastò perché tu divenissi il luogo
comune d’ogni pagliaccesca scempiaggine133.
Innumerevoli interventi accostarono questo lavoro al repertorio jazzistico,
specialmente grazie alla presenza di strumenti tipici per quel genere negli anni
Venti. Si conferma quindi la teoria di Cerchiari menzionata in precedenza,
secondo la quale il jazz era principalmente associato a un parametro — quello
dell’organico strumentale — e, solo in seconda battuta, ad altri quali il ritmo
o la melodia134. Procida, per esempio, commentò sulla timbrica utilizzata da
Walton:
E la musica? L’orchestrina (un vero jazz: flauto, clarinetto,
saxofono, tromba, cello e una ben nudrita [sic] batteria) è al di là
della facciata [ovvero, il sipario di Severini]. Accompagna, segue
o guida non si sa bene, il declamato. Ecco tutto […]. Musica jazz,
dunque. Spesso graziosa, a volte ricca di brio, in un sol momento
delicata (Nella Serenata ad un elefante, nella quale saxofono e clarino
mugolano nei bassi un comico onomatopeismo [sic]). Ma anche
qui siamo in regime di caffè concerto. (I dischi grammofonici ci
hanno resi famigliari i più reputati jazz americani non facilmente
uguagliabili)135.
132
. Si veda l’intervento di Gasco in La tribuna 1928c: «Si noti che il poema […] è in lingua
inglese e quindi, per il pubblico italiano, incomprensibile».
133
. La propaganda musicale 1928c, p. 6. Il Baedeker era una guida turistica pubblicata in
Germania fin dal diciannovesimo secolo e nota per la sua estrema accuratezza.
134
. Si veda nota 116.
135
. Il mattino 1928d.
49
Davide Ceriani
Pur con un tono complessivamente bonario, Procida definiva Façade come
un brano compatibile col genere jazz ma qualitativamente non comparabile con
l’originale; gradevole, quindi, ma privo di quella patente di artisticità che sembrava
implicitamente riconoscere alle registrazioni provenienti da oltreoceano. Simili
opinioni ma con toni meno amichevoli erano quelle di Adriano Lualdi, del
compositore e direttore d’orchestra Ettore Desderi, e del critico del Corriere della
sera Vittorio Nivellini, concordi nel definire Façade un lavoro che, nonostante gli
echi jazzistici, non andava oltre le modeste caratteristiche del caffè concerto136.
Ben più articolato Luigi Colacicchi: nonostante, nella prima parte del
suo contributo sostenesse che in Façade «tutto si riduce a una declamazione
accompagnata da una piccola orchestra di tipo jazzbandistico» e, con un tono
canzonatorio paragonabile a quello di Pannain, accennasse al fatto che «a
rendere completo tale spettacolo di varietà, ci voleva una buona dozzina di
girls sgambettanti», nella sezione successiva metteva in chiaro come l’ambiguità
stilistica della parte vocale era quanto l’avesse realmente disturbato137. Scriveva
il critico:
Tale problema non potrebbe essere che quello ormai
decrepito dei rapporti fra suono strumentale e suono vocale,
e sempre al dannato scopo di soppiantare il canto, il bel canto
nostrano spiegato e alato. Con Façade […] non si può [fare] a meno
di constatare che il declamato, quando non sia puramente parlato, ha
delle tendenze che specie noi latini, non possiamo non considerare
pericolose138.
Come ulteriori prove di questa tendenza, Colacicchi menzionava il Pierrot
lunaire (pur senza citarne esplicitamente il titolo) e il Voice Band di Burian. Queste
similitudini fecero breccia anche in un altro autorevole esponente della critica
come Liuzzi, il quale parlò di Façade e del Voice Band come di «attrazioni» e di «arte
da cabaret»: lavori cui non si poteva elargire, in definitiva, la patente di legittimità
artistica139. A causa dell’estrema eterogeneità stilistica del lavoro di Burian non
fu possibile, da parte dei recensori, utilizzare l’etichetta di ‘composizione jazz’
com’era stato fatto per Walton. Quest’autore fu quindi associato al suo collega
Alois Hába non per ragioni di natura musicale, quanto piuttosto d’ordine
geografico; essi individuarono la scuola moderna cecoslovacca come una fucina
d’idee nuove, seppure non particolarmente apprezzate.
. . 138
. 139
. 136
137
Corriere della sera 1928c; Il resto del Carlino 1928d; La stampa 1928b.
Il popolo di Roma 1928c.
Ibidem.
Nuova antologia 1928, p. 405.
50
Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti
Terzo caso di studio: Le tecniche microtonali di Alois Hába
e il Voice Band di Emil Burian
Negli anni immediatamente successivi alla Prima guerra mondiale, alcuni
compositori d’avanguardia del neonato stato cecoslovacco decisero d’imprimere
un’accelerazione in senso modernista alla cultura musicale del loro paese. Tra
i più audaci nel perseguire queste sperimentazioni vi furono i fratelli Hába —
Alois e Karel — ed Emil Burian. Entrambi i fratelli Hába si dedicarono alla
creazione di lavori microtonali, ma il più anziano dei due (Alois era nato nel
1893, Karel nel 1898) è a tutti gli effetti l’ideatore del nuovo sistema basato
sui quarti, sesti e dodicesimi di tono; Karel fu semplicemente un seguace del
fratello. L’interesse di Alois per un tale innovativo repertorio si manifestò in
giovane età, quando fu esposto alla tradizione folclorica vocale della Valacchia
morava, la quale fa uso d’intervalli più brevi del semitono. Nel corso degli studi
formali a Praga, Vienna e Berlino (rispettivamente con Vítězslaw Novák, Franz
Schreker e Ferruccio Busoni), Alois Hába concepì gli strumenti per quarti e
sesti di tono che l’avrebbero reso celebre, ma attese il suo definitivo ritorno a
Praga nel settembre 1923 per iniziare a costruirli. Qui creò un dipartimento
di studi microtonali presso il locale conservatorio e, nel 1935, fu tra gli
organizzatori del festival SIMC tenuto nella capitale cecoslovacca. Il lavoro
di fabbricazione di tali strumenti lo tenne impegnato per quasi vent’anni, dal
1924 al 1943; in particolare, tra il 1924 e i primi anni Trenta creò tre diversi tipi
di piano e un harmonium per quarti di tono; i brani presentati a Siena, scritti
fra il 1923 e il 1927, furono eseguiti su questi strumenti140. Un altro giovane
e innovativo compositore cecoslovacco (classe 1904) invitato a presentare i
suoi lavori nella città toscana fu Burian. Artista versatile, egli si dedicò a vari
generi nel corso della sua carriera; negli anni Venti si concentrò soprattutto
sulla musica folcloristica e sul jazz, organizzando tra l’altro eventi teatrali e di
musica contemporanea141. Il suo complesso per l’esecuzione di cori parlanti,
da lui stesso chiamato Voice Band, riscosse un discreto interesse in patria; non
altrettanta fortuna ebbe il concerto-dimostrazione al festival SIMC del 1928,
anche se i commenti dei critici italiani furono certamente più benevoli di quelli
ricevuti da Hába.
Nella sessione dedicata alla musica microtonale, Hába presentò due brani
per pianoforte solo (una Fantasia e una Suite) e uno per pianoforte e viola
(un’altra Fantasia); scrisse anche una nota dove esponeva i suoi convincimenti
riguardo alle potenzialità del sistema microtonale. Il critico Bruno Revel
. Whitman 1967; Vysloužil; Clapham.
. Bek.
140
141
51
Davide Ceriani
trascrisse per intero la nota, scritta in terza persona, di cui si riportano i
passaggi salienti:
Se noi consideriamo lo svolgimento della musica come una
corrente di sviluppo culturale in marcia dall’oriente all’occidente, noi
notiamo che la ritmica e il sistema tonale nella musica dell’Europa
occidentale sono giunte a un periodo di rigidità […]. La musica del
quarto di tono del xx secolo significa in Europa l’inversione dello
svolgimento della musica; dall’occidente all’oriente. La musica del
quarto di tono rappresenta la adozione di quanto ancora vivamente
attivo nella musica d’oriente […]. Nella musica di Alois Hába, tutte
le voci, durante un intero pezzo, portano sempre dal principio alla
fine, un contenuto melodico nuovo. Anche le forme musicali sono
nuove e indipendenti nella loro struttura dai tipi di forma della
musica classica […]. Il nuovo timbro e la nuova nervatura di forma
pretendono però assai dall’ascoltatore142!
Sulla base dei contributi raccolti si può asserire che Hába pretese troppo dai
recensori convenuti a Siena ma che, allo stesso tempo, questi ultimi concessero
assai meno del minimo che il compositore cecoslovacco si sarebbe aspettato; i
commenti, infatti, furono ancora più impietosi di quanto non lo fossero stati per
gli esponenti della Seconda scuola viennese. Desderi, per esempio, descriveva
la tecnica propugnata dal musicista come un esempio di «pseudo-musica
amorfa e incolore» ma, in compenso, tentava almeno di discutere i tre pezzi di
Hába sotto il profilo analitico — uno sforzo cui si era raramente assistito fino
a quel momento. Il critico così riassumeva il suo punto di vista: «Con questo
sistema si giunge, attraverso una diluizione del cromatismo, ad una sfumatura
dei contorni melodici ed ad una attenuazione dei rapporti armonici, il che
non può condurre a nulla di buono»143. Questo riferimento all’incerto profilo
motivico tornò in modo ricorrente, probabilmente a causa del passaggio in cui
Hába parlava del «contenuto melodico nuovo» dei suoi lavori. Colacicchi, per
esempio, definì l’esperimento «fallito» nel suo complesso, e i brani presentati
come «tentativi che per ora non superano il campo dell’acustica musicale»;
il «contenuto melodico nuovo» era soltanto nelle intenzioni dell’autore e il
risultato si riduceva quindi a una «esasperante uniformità»144. Liuzzi proseguiva
sulla stessa linea: dopo aver parlato di «desolata malinconia» e di «lugubri
esercitazioni», il musicologo terminava asserendo che «neppure due fra le
tante note somministrateci dallo Hàba apparvero concepite secondo una necessità
. Bollettino bibliografico musicale 1928a, pp. 41-42.
. La stampa 1928b.
144
. Il popolo di Roma 1928b.
142
143
52
Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti
melodica alla quale i famosi quarti di tono dovessero o potessero corrispondere:
onde l’azione effettiva dei nuovi intervalli si limitò ad un fluttuante oscillare
dell’intonazione generale dei pezzi»145.
Se questi commenti, per quanto negativi, lasciano almeno intravedere
la volontà di discutere aspetti specifici della produzione di Hába, altri (la
maggioranza) non andarono oltre lo scherno. A causa di ciò fu impossibile per i
lettori farsi un’idea dei risultati prodotti dalla tecnica microtonale e, soprattutto,
in cosa realmente essa consistesse. Procida, per esempio, si limitò a definire Hába
un «seviziatore» e la sua musica come il risultato di «elucubrazioni paradossali»146;
Gasco parlò del «famigerato» compositore cecoslovacco come di qualcuno che
aveva «inflitto tormenti iniqui» all’auditorio147; Pannain lo definì «invasato» e,
superficialmente, concluse: «il suo pianoforte a quarti di tono è niente di più che
un pianoforte scordato e la sua prolissa ed inutile musica si riduce ad una solenne
rottura di scatole»148. Per quanto negativa potesse essere stata l’esperienza di
questo stimato novero di commentatori, evitando ogni accenno a spiegazioni
analitiche, ognuno di loro ridusse le proprie opinioni a semplici battute di
dubbio spirito. L’insuccesso dell’esibizione e l’approccio poco professionale dei
recensori furono due dei fattori che contribuirono all’eclissarsi di queste pratiche
sperimentali sulla penisola per gli anni a venire. Anche se Hába continuò le
sue ricerche in patria, non sono note, almeno nel periodo immediatamente
successivo all’esibizione senese, performance di musica microtonale da parte di
questo compositore o d’altri seguaci delle sue tecniche.
Il lavoro di Burian, che consisteva in un gruppo di otto fra cantanti
ed esecutori al pianoforte e alle percussioni, non fu trattato con lo stesso
atteggiamento di dileggio misto a irritazione riservato ai quarti di tono di Hába.
Certo, i commenti ambigui o addirittura negativi non mancarono: in molti, per
esempio, parlarono di un numero che aveva ispirato ilarità senza però chiarire se
questo termine dovesse essere inteso in modo ostile o favorevole, mentre altri
sembrarono suggerire che si dovesse derubricare il Voice Band a semplice numero
di varietà, com’era successo per la Façade di Walton. Due dei critici musicali più
conservatori, Desderi e Procida, arrivarono a equiparare le tecniche di Burian
allo sprechstimme di Schönberg; il loro scopo era sostenere che queste due pratiche
vocali avevano segnato un momento di declino nella storia della musica occidentale
dal quale, invece, gli italiani erano usciti immuni. In altri recensori, al contrario,
il Voice Band stimolò un apprezzabile interesse grazie alle applicazioni che esso
. . 147
. 148
. 145
146
Nuova antologia 1928, p. 405. Corsivo nell’originale.
Il mattino 1928d.
La tribuna 1928b.
La propaganda musicale 1928c, p. 6.
53
Davide Ceriani
poteva apportare, tra le altre, alle tecniche di recitazione teatrale. Un aspetto
positivo è che molti fra i commentatori prestarono considerevole attenzione alle
premesse teoriche formulate da Burian, delle quali Revel fu ancora una volta
fedele trascrittore:
Con le prove del Voice-band io vi conduco nel mondo
dell’astratto. Voi non ascolterete qui né l’abituale combinazione di
toni e mezzi toni, né la costruzione diatonica dei classici e neppure
la cromatica dei romantici […]. Il Voice-band è un organismo
giovane per espressione e per forma, e deve la sua esistenza al coro
drammatico degli antichi Greci, al cerimoniale di rito degli Indiani
e dei Cinesi, alla musica primitiva dei Negri, al Jazz ed infine al
coro realistico di recitazione […]. Il Voice-band rigetta tutta la
musicalità dei cori per canto e, sulla base del ritmo della parola e
della melodica della parola, si costruisce la sua musicalità propria
speciale, traendola da elementi primitivi. Lo individualizzano per
ora il suono crudo, quasi naturalistico e il ritmo nella sua maniera
più primitiva149.
Colacicchi, per esempio, apprezzava la molteplicità dei riferimenti culturali
di questa nota teorica ma osservava altresì che, alla chiarezza del programma
innovativo in essa contenuta, non corrispondeva un linguaggio musicale altrettanto
accessibile: «Peccato però che non sempre il risultato di siffatto procedimento
sia musicale, ed allora l’accozzaglia di suoni e di rumori ci porta ben lontani
dall’ambiente in cui l’audizione si svolge»150. Anche De Rensis citava parti di
questa introduzione scritta come elemento necessario per comprendere appieno
il senso della performance del Voice Band, seppure riconoscesse onestamente di
non poter verificare la presenza di così tanti riferimenti musicali; in ogni caso, a
suo parere, l’influenza del jazz era quella più facilmente identificabile151.
Altri recensori manifestarono un’ampia varietà di vedute riguardo
alla performance musicale: le più sfavorevoli furono indubbiamente quelle
di Desderi, per il quale Burian aveva creato effetti «risibili, ancor più che
grotteschi»152, e di Procida, per il quale il Voice Band «non aveva nulla a che
fare con la musica»153. Entrambi coglievano l’occasione per includere il Pierrot
lunaire nel loro ragionamento, accomunandolo con il Voice Band e argomentando
che gli esperimenti vocali di Burian e di Schönberg si trovavano agli antipodi
. . 151
. 152
. 153
. 149
150
Bollettino bibliografico musicale 1928a, pp. 42-43.
Il popolo di Roma 1928b.
Il giornale d’Italia 1928b.
La stampa 1928b.
Il mattino 1928c.
54
Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti
di quanto proposto dai compositori italiani154. Procida, per esempio, osservava
che «per fortuna in Italia le cose procedono assai diversamente, ché il popolo è
ben sano e aborre da ogni sorta di contaminazione e degenerazione estetica»155;
Desderi optava invece per un approccio storico, seppure discutibile, mettendo a
contrasto le tecniche di Burian e di Schönberg con il recitar cantando di Giulio
Caccini. Il compositore e direttore concludeva che la presunta evoluzione del
genere vocale degli ultimi anni era stata in realtà un’involuzione e, per sillogismo,
che lo stile di canto preferibile era quello inventato dagli italiani156.
Più sfumate erano le posizioni di quei critici che vedevano nel Voice
Band un genere umoristico, influenzato a tratti dal jazz come già notato da
De Rensis. Lualdi descriveva la composizione di Burian come un lavoro «con
qualche complicazione di arsenale da jazz, creato e diretto dal compositore della,
diremmo, musica più curiosa e comica che si possa immaginare»157; più meditata
la posizione di Gasco, il quale sosteneva che «ascoltando questo jazz vocale si
ride a crepapelle, dapprima, poi vien fatto di domandarsi se esso non racchiuda
gli elementi di una nuova arte canora e perciò la si ascolta con interesse sempre
crescente»158. Toni descriveva il Voice Band come un «‘recitar cantando’ a diverse
parti, in consonanze più o meno perfette, e più recitativo che cantabile con
accompagnamento di Jazz band»159 e, infine, De Rensis equiparava il lavoro di
Burian a un intrattenimento leggero con risvolti potenzialmente positivi nel lungo
termine: «Può darsi che simile tentativo — specie quando le voci s’intrecciano
ai suoni del Jazz — esuli dal campo strettamente artistico e varchi le tavole del
Varietà; ma è certo che esso merita ogni considerazione e che, in seguito, può
determinare contributi e sviluppi imprevisti ed utili»160.
Queste applicazioni, secondo alcuni recensori, potevano estendersi
all’ambito teatrale che era, tra l’altro, uno dei campi d’interesse di Burian. Così,
ad esempio, Colacicchi riconosceva che «l’esperimento di Burian […] può
rientrare nell’ambito del teatro drammatico e portarvi un suo contributo»161,
154
. Un altro critico che menzionò il parallelo fra le tecniche vocali di Burian e quelle di
Schönberg fu Massarani, il quale scrisse che «Questo Voice Band […] è l’estremo limite del
recitativo tedesco che da Wagner è passato a Strauss poi allo Schönberg del Pierrot Lunaire e
dell’Erwartung». Si veda Musica d’oggi 1928, pp. 344-345.
155
. Il mattino 1928c.
156
. La stampa 1928b.
157
. Gazzetta del popolo 1928b. L’articolo fu anche riprodotto in Il resto del Carlino
1928c.
158
. La tribuna 1928a.
159
. Il popolo d’Italia 1928b.
160
. Il giornale d’Italia 1928b.
161
. Il popolo di Roma 1928b.
55
Davide Ceriani
mentre Gatti annotava: «ci parve di assistere ad una vociferazione quale
abbiamo conosciuto in certe commedie moderne»162. Quello che più colpisce
dell’insieme degli articoli dedicati a Burian è la presenza di un tono più conciliante
rispetto agli altri compositori analizzati in precedenza, ma a condizione che il
suo Voice Band fosse considerato alla stregua d’un fenomeno non degno d’una
seria disamina; solo la potenziale attinenza al settore teatrale poteva in qualche
modo legittimarlo. Al contrario, come sostenevano Desderi e Procida, quando
si toccava il terreno musicale, Burian aveva fornito l’ennesimo esempio di un
decadimento che, a detta di questi recensori, non aveva comunque coinvolto
l’Italia.
Conclusioni
Nei mesi immediatamente precedenti e successivi al festival SIMC tenuto a
Siena, numerose pubblicazioni ospitarono interventi volti a celebrare l’impegno
che Mussolini aveva dedicato, dall’inizio del suo mandato come presidente
del consiglio, a sostenere e disciplinare il settore musicale in Italia163. Questi
contributi rafforzarono la narrativa agiografica che il duce stava costruendo
negli anni Venti e che, come dimostrato dai saggi di Luisa Passerini, Renzo De
Felice e Luigi Goglia, porterà in breve tempo alla creazione di una mitologia
mussoliniana, fondamentale per il consolidamento del regime164. Il dittatore
demiurgo, capace per la prima volta dall’unità d’Italia di creare le premesse per
attribuire alla musica il suo giusto valore nel più ampio quadro della cultura
italiana, fu quindi molto apprezzato dalla comunità di compositori, esecutori,
critici musicali e musicologi; la decisione d’appoggiare finanziariamente e
moralmente i due festival SIMC poté solo irrobustire l’opinione già largamente
positiva che tali categorie professionali avevano di lui. Questo culto della
reputazione, tenacemente perseguito da Mussolini, ebbe i suoi effetti anche
presso eminenti studiosi esteri come dimostrano le parole di ringraziamento al
duce professate in pubblico e in privato da Dent.
Riguardo all’atteggiamento tenuto dalla stampa, la varietà dei brani eseguiti
alle rassegne di Venezia e Siena rende impossibile una valutazione d’insieme
dei due festival; per questo motivo il presente contributo si è concentrato su
. La rassegna musicale 1928, p. 555.
. De Rensis 1927; Il popolo d’Italia 1928a; Rivista nazionale di musica 1928 (questo
intervento fu pubblicato anche in Bibliografia fascista 1928); La propaganda musicale 1928d;
La propaganda musicale 1929.
164
. De Felice 1983 e Passerini 1991.
162
163
56
Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti
un particolare aspetto, cioè la ricezione da parte dei critici italiani di tre gruppi
di compositori stranieri che rappresentarono tecniche, stili e generi tra i più
importanti del repertorio musicale moderno. Gli articoli analizzati indicano
chiaramente come molti di questi recensori si fossero recati ai due festival
quantomeno prevenuti contro la dodecafonia, il jazz e altri linguaggi sperimentali
non consoni alle loro vedute estetiche. L’aperta ostilità di questi interventi andò
di pari passo alla deliberata volontà d’ignorare i metodi e i criteri che regolavano i
repertori maggiormente disapprovati dai commentatori; è ragionevole ipotizzare
che ogni tentativo d’approfondimento sarebbe stato percepito come una forma
di legittimazione verso quegli stessi repertori e, soprattutto, nei confronti
dell’organizzazione che si era spesa per allestire questi incontri — fosse essa la
SIMC o la corrispondente sezione italiana CDNM.
I festival SIMC tenuti in Italia negli anni Venti, quindi, conseguirono
paradossalmente risultati opposti rispetto a quelli per i quali erano stati
inizialmente concepiti: in primo luogo, una società musicale che proclamava
l’importanza di promuovere un’agenda culturale internazionalista finì per
rafforzare la reputazione di un dittatore e di un regime che professavano una
visione diametralmente antitetica. Inoltre, al dettato della SIMC che prevedeva di
«proteggere e incoraggiare specialmente quelle tendenze che sono sperimentali
e di difficile approccio», la quasi totalità della critica italiana contrappose un
linguaggio che fu alternativamente denigratorio o d’irrisione; un ipotetico lettore
non presente ai due festival avrebbe potuto addirittura chiedersi se la musica
presentata in quelle sedi fosse legittimata a essere eseguita165. In definitiva, il
tentativo d’aprire l’ambiente musicale italiano a più vasti orizzonti, perseguito
dalla CDNM e da Casella in particolare, si risolse in un insuccesso non certo per
responsabilità del compositore, quanto piuttosto per la sistematica avversione
di una consistente parte dei recensori di discutere seriamente alcuni dei lavori
maggiormente in linea con quando professato dallo statuto della SIMC.
. Zanetti 2004.
165
57
Davide Ceriani
Appendice
Programma del Festival della Società Internazionale di Musica Contemporanea
tenuto a Venezia fra il 3 e l’8 settembre 1925166
Primo concerto
Erwin Schulhoff (Cecoslovacchia, 1894-1942), Quartetto d’archi, Op. 25.
Gabriel Fauré (Francia, 1845-1924), L’horizon chimérique per voce e pianoforte, Op. 118.
Hanns Eisler (Germania, 1898-1962), Duo per violino e violoncello, Op. 7/1.
Henry Eichheim (Stati Uniti, 1870-1942), Nocturnal Impression of Peking e Korean Sketch per
orchestra da camera.
Wilhelm Grosz (Austria, 1894-1939), Jazzband per violino e pianoforte.
Heitor Villa-Lobos (Brasile, 1887-1959), Epigramas irônicos e sentimentais e Historietas per voce e
pianoforte.
Paul Hindemith (Germania, 1895-1963), Concerto da camera n. 2 per pianoforte e orchestra,
Op. 36, n. 1.
Secondo concerto
Gaspar Cassadò (Spagna, 1897-1966), Sonata per pianoforte e violoncello nello stile antico
spagnuolo.
Samuil Feinberg (Russia, 1890-1962), Sonata per pianoforte n. 6, Op. 13.
Zoltán Székely (Ungheria, 1903-2001), Sonata per violoncello solo.
Max Butting (Germania, 1888-1976), Cinque pezzi per quartetto d’archi, Op. 26.
Ladislav Vycpálek (Cecoslovacchia, 1882-1969), Tre liriche.
Leós Janáček (Cecoslovacchia, 1854-1928), Quartetto d’archi n. 1.
Terzo concerto
Erich Wolfgang Korngold (Austria — poi naturalizzato statunitense —, 1897-1957), Quartetto
d’archi n. 1, Op. 16.
Jacques Ibert (Francia, 1890-1962), Due movimenti per due flauti, clarinetto e fagotto.
Arthur Honegger (Svizzera, 1892-1955), Sonata per violoncello e pianoforte, H. 32.
Albert Roussel (Francia, 1869-1937), Joueurs de flûte, quattro pezzi per flauto e pianoforte, Op. 27.
Maurice Ravel (Francia, 1875-1937), Tzigane per violino e pianoforte.
Vittorio Rieti (Italia — poi naturalizzato statunitense —, 1898-1994), Sonata per flauto, oboe,
fagotto e pianoforte.
Quarto concerto
Mario Labroca (Italia, 1896-1973), Quartetto d’archi n. 1.
Artur Schnabel (Austria, 1882-1951), Sonata per pianoforte.
Ralph Vaughan Williams (Inghilterra, 1872-1958), Merciless Beauty per voce, due violini e violoncello.
Arnold Schönberg (Austria, 1874-1951), Serenade, Op. 24.
Quinto concerto
Karol Szymanowski (Polonia, 1882-1937), Quartetto d’archi n. 1, Op. 37.
166
. L’elenco contiene solo i brani moderni, approvati dalla commissione selezionatrice;
sono quindi esclusi quelli di musica antica, eseguiti come contorno alla manifestazione della
SIMC.
58
Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti
Gian Francesco Malipiero (Italia, 1882-1973), Le stagioni italiche per canto e pianoforte.
Carl Ruggles (Stati Uniti, 1876-1971), Angels per sei trombe.
Igor Stravinsky (Russia — naturalizzato francese e poi statunitense —, 1882-1971), Sonata per
pianoforte.
Louis Gruenberg (Stati Uniti — di origini russe —, 1884-1964), The Daniel Jazz per voce e
piccola orchestra, Op. 21.
***
Programma del Festival della Società Internazionale di Musica Contemporanea
tenuto a Siena fra il 10 e il 15 settembre 1928167
Primo concerto
Vincenzo Tommasini (Italia, 1878-1950), Quartetto d’archi n. 2.
Karel Hába (Cecoslovacchia, 1898-1972), Sonatina per flauto e pianoforte, Op. 13.
Paul Hindemith (Germania, 1895-1963), Suite per pianoforte, Op. 37.
Maurice Ravel (Francia, 1875-1937), Sonata per violino e pianoforte n. 2.
Alexander von Zemlinsky (Austria, 1871-1942), Quartetto d’archi n. 3.
Concerto-dimostrazione
Alois Hába (Cecoslovacchia, 1893-1973), Fantasia per pianoforte, Op. 27; Fantasia per viola e
pianoforte, Op. 32; Suite per pianoforte, Op. 23.
Emil František Burian (Cecoslovacchia, 1904-1959), Voice Band, musica su poemi di: Corrado
Curcio, Lento e Con fuoco; Heinrich Heine, Der Arme Peter; Guillaume Apollinaire, Il pleut;
Hilaire Belloc, The Python; Konstantin Biebl, Tango; Jaroslav Seifert, Charleston.
Secondo concerto
Frank Bridge (Inghilterra, 1879-1941), Quartetto d’archi n. 3, H. 175.
Heinz Tiessen (Germania, 1887-1971), Duo per violino e pianoforte, Op. 35.
Anton von Webern (Austria, 1883-1945), Trio per violino, viola e violoncello, Op. 20.
Manuel de Falla (Spagna, 1876-1946), Concerto per clavicembalo e cinque strumenti.
Robert Blum (Svizzera, 1900-1994), Musica per otto strumenti (flauto, oboe, fagotto, tromba,
violino, viola, violoncello, contrabbasso).
Audizione
William Walton (Inghilterra, 1902-1983). Façade su poemi di Edith Sitwell e sipario di Gino
Severini.
Terzo concerto
Bohuslav Martinů (Cecoslovacchia –— poi naturalizzato statunitense —, 1890-1959), Quartetto
d’archi n. 2, H. 150.
Franco Alfano (Italia, 1875-1954), Sonata per violoncello e pianoforte.
Sergey Prokofiev (Unione Sovietica, 1891-1953), Quintetto per oboe, clarinetto, violino, viola,
contrabbasso, Op. 39 (il pezzo non fu eseguito a causa del mancato arrivo degli spartiti).
Ernest Bloch (Svizzera — poi naturalizzato statunitense —, 1880-1959), Quintetto per
pianoforte e archi n. 1.
. Ibidem.
167
59
Davide Ceriani
Bibliografia
Fonti primarie: articoli di periodici e quotidiani
Bibliografia fascista 1928
Raeli, Vito. ‘Il duce e il fascismo per la musica’, in: Bibliografia fascista, iii/4 (1928), pp. 7-11.
Bollettino bibliografico musicale 1928a
R.[evel], B.[runo], ‘Il festival di musica moderna a Siena’, in: Bollettino bibliografico musicale,
iii/8-9 (1928).
Bollettino bibliografico musicale 1928b
‘Notiziario’, in: Bollettino bibliografico musicale, iii/10 (1928), p. 30.
Christian Science Monitor 1925
Haddon Squire, W. H. ‘The Venice Festival of Chamber Music’, in: Christian Science
Monitor, 26 settembre 1925.
Comoedia 1925a
‘Le festival des musiques contemporaines’, in: Comoedia, 1 settembre 1925.
Comoedia 1925b
‘Le troisième festival de la S.I.M.C. à Venise (3-8 Septembre 1925)’, in: Comoedia, 15
settembre 1925.
Il convegno 1925
Casella, Alfredo. ‘Dopo il festival di Venezia’, in: Il convegno, vi/8 (1925).
Corriere della sera 1926
‘Mascagni contro la musica ‘jazz’’, in: Corriere della sera, 16 giugno 1926.
Corriere della sera 1928a
‘La settimana musicale di Siena’, in: Corriere della sera, 4 settembre 1928.
Corriere della sera 1928b
‘La settimana musicale di Siena’, in: Corriere della sera, 12 settembre 1928.
Corriere della sera 1928c
N[ivellini], V[ittorio]. ‘Il Palio medioevale e la musica novecentista nella penultima
giornata del Festival a Siena’, in: Corriere della sera, 15 settembre 1928.
Corriere della sera 1928d
‘La chiusura del festival senese’, in: Corriere della sera, 16 settembre 1928.
Daily Telegraph 1925
Senza titolo, in: Daily Telegraph, 16 settembre 1925.
60
Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti
Le figaro 1925
‘Le festival international de musique moderne à Venise’, in: Le figaro, 13 agosto 1925.
Gazette de Lausanne 1925
Senza titolo, in: Gazette de Lausanne, 24 agosto 1925.
Gazzetta del popolo 1925a
Lessona, Michele. ‘Nuovi orizzonti musicali al Festival internazionale di Venezia’, in:
Gazzetta del popolo, 8 settembre 1925.
Gazzetta del popolo 1925b
Id. ‘Impressioni sulla musica d’oggi’, in: Gazzetta del popolo, 12 settembre 1925.
Gazzetta del popolo 1928a
Lualdi, Adriano. ‘Il Festival internazionale di musica moderna a Siena’, in: Gazzetta del
popolo, 18 settembre 1928.
Gazzetta del popolo 1928b
Id. ‘Il festival senese: Musica moderna di tutto il mondo. La solenne chiusura’, in: Gazzetta
del popolo, 20 settembre 1928.
Gazzetta di Venezia 1925
‘Il iii° festival di musica contemporanea che s’inaugura domani a Venezia’, in: Gazzetta di
Venezia, 2 settembre 1925.
Il giornale d’Italia 1925a
‘Il festival delle nuove musiche alla Fenice di Venezia’, in: Il giornale d’Italia, 15 settembre 1925.
Il giornale d’Italia 1925b
‘Toscanini contro il Festival di Venezia’, in: Il giornale d’Italia, 17 settembre 1925.
Il giornale d’Italia 1925c
Candida, Federico. ‘Il jazz-band e le correnti musicali’, in: Il giornale d’Italia, 18 settembre 1925.
Il giornale d’Italia 1925d
Casella, Alfredo. ‘Una battuta polemica sul festival di Venezia’, in: Il giornale d’Italia, 18
settembre 1925.
Il giornale d’Italia 1925e
Cucchetti, Gino. ‘Toscanini e il ‘festival’’, in: Il giornale d’Italia, 22 settembre 1925.
Il giornale d’Italia 1928a
De Rensis, Raffaello. ‘Musicisti e critici di tutto il mondo alla settimana musicale di Siena’,
in: Il giornale d’Italia, 12 settembre 1928.
Il giornale d’Italia 1928b
Id. ‘Programmi antichi e musiche nuovissime al Festival della Settimana di Siena’, Il
Giornale d’Italia, 14 settembre 1928.
61
Davide Ceriani
Il giornale d’Italia 1928c
Id. ‘Il festival di Siena: L’ombra di Wagner e la giovine scuola’, in: Il giornale d’Italia, 16
settembre 1928.
Il giornale d’Italia 1929
Visconti [di Modrone], Guido Carlo. ‘Per la tutela del patrimonio musicale’, in: Il giornale
d’Italia, 12 settembre 1929.
Journal de Genève 1925
Senza titolo, in: Journal de Genève, 16 agosto 1925.
Il mattino 1925
Procida, Antonino. ‘Alcune idee di Casella: Il Festival di Venezia, gli italiani e la critica’,
in: Il mattino, 16-17 ottobre 1925.
Il mattino, 1928a
Id. ‘La musica verso l’ordine e il buon senso: Importanti dichiarazioni di Casella’, in: Il
mattino, 7-8 settembre 1928.
Il mattino 1928b
Id. ‘La settimana musicale a Siena’, in: Il mattino, 15-16 settembre 1928.
Il mattino 1928c
Id. ‘Atonalità, quarti di tono e “voice band” al festival di Siena’, in: Il mattino, 16-17
settembre 1928.
Il mattino 1928d
Id. ‘A festival chiuso: La morale della favola’, in: Il mattino, 21-22 settembre 1928.
Modern Music 1928
Casella, Alfredo. ‘Siena’s festival’, in: Modern Music, n. 1 (1928), pp. 35-38.
Musica d’oggi 1928
Massarani, Renzo. ‘Il sesto convegno internazionale di musica moderna a Siena’, in:
Musica d’oggi, x/10 (1928).
La nazione 1928a
Fiorilli, Edgardo. ‘La settimana musicale a Siena: I modernisti nella musica
contemporanea’, in: La nazione, 4 settembre 1928.
La nazione 1928b
Id. ‘Settimana musicale senese: Casella, Strawinski, De Falla’, in: La nazione, 7 settembre
1928.
New York Times 1925
‘What a Correspondent in Venice Heard of ‘Contemporaries’’, in: New York Times, 4
ottobre 1925.
62
Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti
Nuova antologia 1928
Liuzzi, Ferdinando. ‘La settimana di musica moderna a Siena’, in: Nuova antologia,
lxiii/1357 (1928).
Il pianoforte 1923
‘Società Internazionale per la Musica Contemporanea’, in: Il pianoforte,
pp. 47-48.
iv/2
(1923),
Il pianoforte 1925
Castelnuovo-Tedesco, Mario – Liuzzi, Ferdinando. ‘Festival 1925 di musica moderna a
Venezia’, in: Il pianoforte, vi/10 (1925), p. 230.
Il popolo di Roma 1928a
Colacicchi, Luigi. ‘Il vi festival Internazionale di musica moderna: La settimana musicale
inaugurata a Siena’, in: Il popolo di Roma, 11 settembre 1928.
Il popolo di Roma 1928b
Id. ‘La settimana musicale di Siena: Bilancio di due giornate’, in: Il popolo di Roma, 14
settembre 1928.
Il popolo di Roma 1928c
Id. ‘La settimana musicale di Siena: Stravinschi, Casella e Walton’, in: Il popolo di Roma, 16
settembre 1928.
Il popolo d’Italia 1921
Mussolini, Benito. ‘Da provincia rossa a provincia fascista’, in: Il popolo d’Italia, 30
marzo 1921.
Il popolo d’Italia 1923
‘La giornata del Presidente alla mostra del ‘Novecento’: Parole di Mussolini sull’Arte e sul
Governo’, in: Il popolo d’Italia, 27 marzo 1923.
Il popolo d’Italia 1924a
‘Il Presidente inaugurerà oggi il 1° convegno delle Associazioni artistiche’, in: Il popolo
d’Italia, 20 maggio 1924.
Il popolo d’Italia 1924b
‘Il Presidente inaugura con un forte discorso il 1° Convegno delle Associazioni artistiche’,
in: Il popolo d’Italia, 21 maggio 1924.
Il popolo d’Italia 1925
Vitali, Guido. ‘L’odierno convegno di cultura fascista a Roma sarà una solenne
affermazione di fede e di intellettualità: Tempus aedificandi’, in: Il popolo d’Italia, 29 marzo 1925.
Il popolo d’Italia 1928a
Toni, A.[lceo]. ‘In margine alla politica: Asterischi musicali’, in: Il popolo d’Italia, 28
marzo 1928.
63
Davide Ceriani
Il popolo d’Italia 1928b
Id. ‘La settimana musicale senese: Il Festival’, in: Il popolo d’Italia, 21 settembre 1928.
Il popolo d’Italia 1928c
‘Verso la celebrazione della marcia su Roma: Le opere del regime a Siena dell’anno vi’, in:
Il popolo d’Italia, 30 settembre 1928.
La propaganda musicale 1928a
‘Mascagni contro il jazz’, in: La propaganda musicale, i/2 (1928), p. 10.
La propaganda musicale 1928b
Casella, Alfredo. ‘Il festival di Siena’, in: La propaganda musicale, i/4-5 (1928), p. 2.
La propaganda musicale 1928c
Pannain, Guido. ‘Il festival di Siena’, in: La propaganda musicale, i/6 (1928), pp. 5-6.
La propaganda musicale 1928d
‘La vita musicale al sorgere dell’anno vii’, in: La propaganda musicale, i/8 (1928), pp. 1-2.
La propaganda musicale 1929
Incagliati, Matteo. ‘Mussolini e la musica’, in: La propaganda musicale, ii/6-7 (1929),
pp. 1-2.
La rassegna musicale 1928
G.[atti], G.[uido] M.[aggiorino], ‘Lettera da Siena: Il
rassegna musicale, i/10 (1928).
vi
festival internazionale’, in: La
Il resto del Carlino 1925a
L. R. ‘Teatri e concerti: Il festival veneziano della Corporazione delle Nuove Musiche’, in:
Il resto del Carlino, 3 settembre 1925.
Il resto del Carlino 1925b
Labroca, Mario. ‘Il Terzo Festival di musica moderna a Venezia’, in: Il resto del Carlino, 13
settembre 1925.
Il resto del Carlino 1925c
Id. ‘Il terzo Festival di Musica moderna’, in: Il resto del Carlino, 18 settembre 1925.
Il resto del Carlino 1925d
[Cucchetti, Gino]. ‘Strauss, Toscanini e le musiche moderne’, in: Il resto del Carlino, 23
settembre 1925.
Il resto del Carlino 1928a
Gaianus [Paglia, Cesare]. ‘La ‘realtà musicale’: (Dedicato ai ‘festivalisti’ di Siena)’, in: Il
resto del Carlino, 11 settembre 1928.
64
Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti
Il resto del Carlino 1928b
Id. ‘La definizione della ‘realtà musicale’ (Dedicato ai ‘festivalisti’ di Siena)’, in: Il resto del
Carlino, 12 settembre 1928. Nonostante il titolo leggermente diverso, questo articolo riproduce
integralmente l’intervento del giorno precedente.
Il resto del Carlino 1928c
[Lualdi, Adriano]. ‘Il festival musicale di Siena: Riepilogo di una rassegna internazionale’,
in: Il resto del Carlino, 19 settembre 1928.
Il resto del Carlino 1928d
Id. ‘La chiusura del festival internazionale di Siena’, in: Il resto del Carlino, 20 settembre
1928.
Rivista nazionale di musica 1925
‘Notizie’, in: Rivista nazionale di musica, vi/197 (1925), p. 1111.
Rivista nazionale di musica 1928
Raeli, Vito. ‘Il duce e il fascismo per la musica’, in: Rivista nazionale di musica,
(1928), pp. 1509-1513.
ix/251
La stampa 1928a
‘La settimana musicale di Siena: Il ricevimento dei congressisti’, in: La stampa, 11
settembre 1928.
La stampa 1928b
Desderi, Ettore. ‘La settimana musicale di Siena’, in: La stampa, 22 settembre 1928.
La tribuna 1926
‘Conversando col M.° Mascagni’, in: La tribuna, 7 marzo 1926.
La tribuna 1928a
Gasco, Alberto. ‘La musica moderna a Siena: Gioie ed affanni dei congressisti al sesto
Festival internazionale’, in: La tribuna, 14 settembre 1928.
La tribuna 1928b
Id. ‘Dispute a zuffe per la nuova musica al festival di Siena’, in: La tribuna, 15 settembre
1928.
La tribuna 1928c
Id. ‘Antichi capolavori e bizzarrie nuove’, in: La tribuna, 16 settembre 1928.
Vita musicale italiana 1926
Castelnuovo-Tedesco, Mario. ‘Il carnevale di Venezia’, in: Vita musicale italiana, i/1
(1926). Questo saggio è riprodotto in Zanetti 1985, pp. 1610-1614.
***
65
Davide Ceriani
Fonti primarie: volumi
Casavola 1924
Casavola, Franco. La musica futurista: Manifesto futurista, Milano, Direzione del Movimento
futurista, 11 dicembre 1924.
Casella 1924
Casella, Alfredo. Arnold Schönberg ed il «Pierrot Lunaire», [Roma], Corporazione Delle
Nuove Musiche, 1924, pp. 2-3.
Casella 1941
Id. I segreti della giara, Firenze, Sansoni, 1941 (Documenti e testimonianze, 2).
De Rensis 1927
De Rensis, Raffaello. Mussolini musicista, Mantova, Paladino, 1927 (Mussolinia: biblioteca
di propaganda fascista, 25).
Mussolini 1956
Mussolini, Benito. Opera omnia, a cura di Edoardo e Duilio Susmel, 44 voll., Firenze, La
Fenice, 1951-1980, vol. xix, 1956.
Severini 1921
Severini, Gino. Du cubisme au classicisme: Esthétique du compas et du nombre, Paris, Povolozky,
1921 (Les esthétiques anciennes et modernes).
***
Fonti secondarie168
Adams
Adams, Byron. ‘Walton, William’, in: Grove Music Online: Oxford Music Online, <http://
www.oxfordmusiconline.com.>, consultato il 27 dicembre 2016.
Barringer 2010
Barringer, Tim. ‘Façades for Façade: William Walton, Visual Culture and English
Modernism in the Sitwell Circle’, in: British Music and Modernism, a cura di Matthrew Riley,
Farnham (UK)-Burlington (VT), Ashgate, 2010, pp. 135-140.
Bek
Bek, Josef. ‘Burian, Emil František’, in: Grove Music Online: Oxford Music Online, <http://
www.oxfordmusiconline.com.>, consultato il 25 gennaio 2017.
168
. Questo elenco include testi di Alfredo Casella originariamente pubblicati per L’Italia
letteraria (1929) e per il Christian Science Monitor (1925) ma adesso reperibili in recenti edizioni
critiche dei suoi scritti.
66
Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti
Bernardoni 2003
Bernardoni, Virgilio. ‘Trascrivere e assimilare: Strategie caselliane di confronto con la
musica europea’, in: Alfredo Casella e l’Europa: Atti del convegno internazionale di studi (Siena 7-9 giugno
2001), a cura di Mila De Santis, Firenze, Olschki, 2003, p. 195.
Biguzzi 2003
Biguzzi, Stefano. L’orchestra del duce: Mussolini, la musica e il mito del capo, Torino, UTET,
2003, p. 16.
Casella 2001
Casella, Alfredo. ‘La musica negli Stati Uniti v. Il jazz’, in: L’Italia letteraria, 1 settembre
1929, pp. 5-6. In seguito pubblicato in Casella, Alfredo. 21+26, a cura di Alessandra Carlotta
Pellegrini, Firenze, Olschki, 22001 (Studi di musica veneta. Archivio Alfredo Casella, 1),
pp. 96-102.
Casella 2014
Id. ‘Italians and Foreigners at Venice’, in Christian Science Monitor, 7 novembre 1925. In
traduzione italiana in La musica al tempo dell’aereo e della radio, a cura di Francesco Lombardi,
Torino, EdT, 2014 (Biblioteca di cultura musicale. Musica italiana del Novecento), pp. 52-55.
Casella 2016
Id. I segreti della giara, (1941), a cura di Cesare De Marchi, Milano, Il saggiatore, 2016 (La
cultura, 997).
Cerchiari 2003
Cerchiari, Luca. Jazz e fascismo: Dalla nascita della radio a Gorni Kramer, Palermo, L’Epos,
2003 (I suoni del mondo, 4).
Ceriani 2003
Ceriani, Davide. Un decennio di vita musicale italiano durante il fascismo attraverso la stampa:
1922-1932, 2 voll., tesi di laurea, Firenze, Università degli Studi di Firenze, 2003, vol. i.
Clapham
Clapham, John et al. ‘Czech Republic’, in: Grove Music Online: Oxford Music Online,
<http://www.oxfordmusiconline.com>, consultato il 21 gennao 2017.
Colazzo 2005
Colazzo, Salvatore. Estasi brevi. Futuristi di Puglia: Casavola, Luciani e gli altri, Castrignano
dei Greci (LE), Amaltea, 2005 (Musicalia, 4), pp. 53-58.
Conti 2003
Conti, Luca. ‘La scuola di Vienna e la dodecafonia nella pubblicistica italiana (19111945)’, in: Nuova rivista musicale italiana, vii n.s./2 (2003), pp. 7-28 [155-196].
Cook 1988
Cook, Susan. Opera for a New Republic: The Zeitopern of Krenek, Weill, and Hindemith, Ann
Arbor (MI), UMI Research Press, 1988 (Studies in Musicology, 96), pp. 185-190.
67
Davide Ceriani
Crawford 1963
Crawford, John Charlton. The Relationship of Text and Music in the Vocal Works of Schoenberg,
1908-1924, Ph.D. Diss., Cambridge (MA), Harvard University/Ann Arbor (MI), UMI Research
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De Begnac 1950
De Begnac, Yvon. Palazzo Venezia: Storia di un regime, Roma, La Rocca, 1950 (Documenti
del mezzo secolo, 1), p. 650.
De Felice 1983
De Felice, Renzo – Goglia, Luigi. Mussolini: Il mito, Roma-Bari, Laterza, 1983 (Grandi
opere), pp. 103-128.
De Felice 1995
Id. Mussolini il fascista: L’organizzazione dello Stato fascista 1925-1929, Torino, Einaudi, 21995
(Einaudi tascabili, 332), p. 3.
Haefeli 1982
Haefeli, Anton. Die Internationale Gesellschaft für Neue Musik (IGNM). Ihre Geschichte von
1922 bis zur Gegenwart, Zurigo, Atlantis, 1982.
Haefeli – Oehlschlägel
Id. – Oehlschlägel, Reinhard. ‘International Society for Contemporary Music’, in:
Grove Music Online: Oxford Music Online, <http://www.oxfordmusiconline.com>, consultato il 20
novembre 2016.
Hayes 1995
Hayes, Malcolm. Anton von Webern, Londra, Phaidon Press, 1995 (20. century composers).
Heneghan 2009
Heneghan, Áine. ‘The ‘Popular Effect’ in Schoenberg’s Serenade’, in: Schoenberg’s Chamber
Music, Schoenberg’s World, a cura di James K. Wright e Alan M. Gillmor, Hillsdale (NY), Pendragon
Press, 2009, pp. 37-51.
Ianniello 2010
Ianniello, Lucia. The Sound of Jazz: Sonorità peculiari, qualità di una diversità, tesi di
diploma accademico di primo livello, Frosinone, Conservatorio di musica ‘Licinio Refice’,
Scuola di Jazz, 2010.
Kolneder 1996
Kolneder, Walter. Webern, traduzione di Marcello Piras, Milano, Rusconi, 1996 (La
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