Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della Società Internazionale di Musica Contemporanea in Italia negli anni Venti* Davide Ceriani (Rowan University, Glassboro, NJ) [email protected] Introduzione Al termine della Prima guerra mondiale si assistette in Europa alla nascita di manifestazioni musicali che coinvolsero personalità di paesi fino a poco tempo prima ostili fra loro. Tra le più importanti, per quanto riguarda il repertorio contemporaneo, vi fu una rassegna di musica moderna da camera organizzata nel 1922 da Rudolf Réti (in collaborazione con Egon Wellesz e Paul Stefan) inserita nel contesto del festival di Salisburgo, dal titolo Internationale Kammermusikaufführungen1. I partecipanti all’evento decisero di dare un seguito a quest’iniziativa per non disperdere i contatti avviati e per creare una sede sovranazionale di confronto permanente: un festival di musica moderna sarebbe stato ospitato con cadenza annuale in ognuno dei paesi che avesse voluto partecipare a questo progetto2. Per facilitare lo scambio di informazioni, nell’agosto 1922 fu creata la Società Internazionale di Musica Contemporanea (SIMC) con sede a Londra. Fu in questa città che nel gennaio 1923, sotto la presidenza del musicologo Edward J. Dent, dieci delegati in rappresentanza di otto paesi europei e degli Stati Uniti si riunirono per stabilire le regole comuni che ogni sezione nazionale avrebbe dovuto seguire3. Ciascun paese sarebbe * . L’autore desidera ringraziare Fiamma Nicolodi, Carol J. Oja e Anne Shreffler per i loro commenti e suggerimenti; un ringraziamento speciale va a mio padre, Roberto Ceriani, per l’assistenza nella ricerca delle fonti primarie. Precedenti versioni di quest’articolo sono state lette presso il Dipartimento di Musica della Harvard University nel novembre 2009 e il Dipartimento di Italian Studies della University of California at Berkeley nel novembre 2011. 1 . Haefeli – Oehlschlägel. 2 . Gli eventi riguardanti la nascita della SIMC e le prime deliberazioni di quest’organizzazione sono riportati in Haefeli 1982, pp. 38-54. 3 . Questi i nomi dei delegati che si riunirono a Londra: Edwin Evans (Inghilterra), Svend Felumb (Danimarca), Guido M. Gatti (Italia), Karel B. Jirák (Cecoslovacchia, gruppo etnico ceco), Maurice Ravel (Francia), Werner Reinhart (Svizzera), Rudolf Réti (Austria), César Journal of Music Criticism, Volume 1, Issue 1 (March 2017), pp. 17-71 © Centro Studi Opera Omnia Luigi Boccherini. All rights reserved. Davide Ceriani stato rappresentato da un proprio delegato nel comitato della SIMC e una commissione formata dai membri dei diversi stati avrebbe stabilito, di anno in anno, quali fossero i compositori ammessi a presentare un loro brano alla manifestazione4. Nel corso degli anni Venti, si tennero in Italia due festival di questa Società: il primo a Venezia nel 1925 limitatamente alla musica da camera (il repertorio sinfonico e concertistico fu eseguito a Praga) e il secondo a Siena nel 19285. L’Italia mostrò un forte interesse verso le attività della SIMC, grazie soprattutto all’entusiastica adesione di Alfredo Casella; quest’ultimo, figura centrale (con gli altri fondatori Gian Francesco Malipiero e Gabriele d’Annunzio) della neonata Corporazione delle Nuove Musiche (CDNM) che funse da sezione italiana della SIMC, si prodigò per organizzare in Italia i due festival sopracitati6. La decisione d’allestire l’edizione del 1925 a Venezia fu il risultato d’un processo diplomatico che seguì le incomprensioni verificatesi nel primo ritrovo della Società nel 1923 a Salisburgo: in quell’occasione il numero di compositori della penisola invitati a intervenire fu così limitato che la delegazione italiana rifiutò di partecipare. Il solo Casella si recò nella città austriaca come osservatore, con il dichiarato scopo di appianare ogni malinteso e rilanciare il ruolo dell’Italia7. Il musicista riuscì nel suo intento, al punto che Venezia fu designata città ospitante del terzo festival seppure, come accennato in precedenza, limitatamente alla sezione cameristica8. Il prestigio della sezione italiana crebbe così velocemente che, dopo i due festival tenuti a Zurigo nel 1926 e a Francoforte sul Meno nel 1927, si decise di organizzare la sesta edizione nuovamente in Italia — questa volta, appunto, a Siena. Saerchinger (Stati Uniti), Erich Steinhard (Cecoslovacchia, gruppo etnico tedesco) e Adolf Weissmann (Germania). L’elenco è contenuto in Haefeli 1982, p. 56. Dent fu presidente della SIMC fino al 1938 e poi nuovamente dal 1945 al 1949. 4 . Il pianoforte 1923. 5 . Anche in questo caso il festival fu dedicato esclusivamente al repertorio da camera ma, al contrario del 1925, nessuna città ospitò la sezione sinfonica e concertistica. Inoltre, è importante ricordare che un terzo festival SIMC si svolse in Italia nel 1934, in questa occasione a Firenze. 6 . Sulle origini della Corporazione delle Nuove Musiche si veda Zanetti 1985; Casella 1941, pp. 212-215; Labroca 1959, pp. 97-101. È anche importante ricordare che, grazie a questa iniziativa, Casella dette visibilità internazionale alla CDNM. Si veda per esempio Il resto del Carlino 1925a, dove si annunciava la presenza di ben trentacinque critici, solo fra i tedeschi, e Labroca 1959, p. 112, dove nella sua veste d’organizzatore dell’evento, egli stimava in circa seicento le persone accorse a Venezia appositamente per assistere al festival. 7 . Gli eventi che portarono alla decisione d’organizzare il festival a Venezia sono dettagliati in Nicolodi 1981, pp. 141-157. 8 . Anche nel 1924 il festival SIMC si tenne in due città separate: a Praga fu eseguito il repertorio cameristico mentre Salisburgo si concentrò su quello sinfonico e concertistico. 18 Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti Il presente contributo tratta due aspetti, distinti ma complementari, connessi ai due festival ospitati sulla penisola. Il primo riguarda il loro utilizzo da parte di Benito Mussolini, per promuovere un’immagine positiva di se stesso e del fascismo negli anni della stabilizzazione del regime. La sua decisione di concedere l’alto patronato e l’assistenza economica a entrambe le manifestazioni contribuì a legittimare il fascismo come una forma di dittatura ‘illuminata’ e, contemporaneamente, a costruire intorno alla figura di Mussolini stesso un’aura di leader carismatico aperto alla modernità. Accreditarsi presso i circoli intellettuali come estimatore della musica contemporanea italiana e straniera significava, tra l’altro, adottare un nuovo e più ricercato metodo di comunicazione mediatico-culturale sconosciuto ai suoi predecessori. Il secondo aspetto concerne la narrazione legata ai commenti apparsi sulla stampa italiana riguardo ai brani più innovativi dei compositori esteri. Molto di questo repertorio, specialmente quello basato su tecniche atonali, sui quarti di tono e sul genere jazzistico, fu dismesso come immeritevole d’essere presentato a dei festival ospitati in Italia. Nessuno di tali lavori divenne oggetto di seri tentativi d’analisi e alcuni di essi furono dileggiati, talvolta con animosità. L’atteggiamento pregiudizialmente contrario ai pezzi più sperimentali dei musicisti stranieri, dimostrato dalla quasi totalità dei critici italiani, suggerisce un’avversione di questi ultimi non soltanto nei confronti del repertorio proposto ai festival ma anche — e soprattutto — verso gli intenti programmatici della SIMC e gli sforzi di alcuni compositori come Casella di diffonderli in Italia9. L’opportunismo di Mussolini e il contegno antimodernista tenuto dai critici dimostrano quindi come il sistema politico-culturale esistente in Italia negli anni Venti utilizzò i festival di Venezia e Siena per raggiungere scopi antitetici a quelli promossi dall’organizzazione stessa. Invece di rafforzare la causa della musica contemporanea, le due rassegne consolidarono la reputazione del regime e del duce. Quest’amara ironia è il risultato dell’unicità del caso italiano, dove forze reazionarie assunsero il potere prima che in altri paesi europei, trasformando nel giro di pochi anni il sistema liberale in dittatura. I dirigenti della sezione italiana della SIMC dovettero quindi rapportarsi a un dittatore con molti anni d’anticipo rispetto, per esempio, ai 9 . Fra i compiti statutari della SIMC vi erano quelli di «coltivare la musica contemporanea di valore senza riguardo alla nazionalità, alle opinioni politiche o religiose dei compositori, di proteggere e incoraggiare specialmente quelle tendenze che sono sperimentali e di difficile approccio, di rappresentare e salvaguardare gli ideali artistici che i musicisti contemporanei hanno in comune». Per questa citazione si veda Zanetti 2004. 19 Davide Ceriani loro colleghi tedeschi o austriaci10. Questi due festival, inoltre, servirono a una parte consistente dei critici italiani per manifestare una forte ostilità verso tecniche, idee e principi musicali concepiti recentemente all’estero. Sebbene, in alcuni rari casi, le posizioni apparse sulla stampa esprimessero una visione equilibrata, gli autori degli articoli si mostrarono per la maggior parte riluttanti (e forse inidonei) a valutare con obiettività i lavori composti in linguaggi a loro non familiari e contrari ai valori tradizionali di riferimento. I festival SIMC e la legittimazione culturale del regime fascista Tra i problemi che Mussolini dovette affrontare nei primi anni che seguirono la sua nomina a presidente del consiglio nell’ottobre 1922, vi fu quello di legittimare culturalmente il fascismo. Se tra la fine degli anni Dieci e l’inizio dei Venti, la baldanza rivoluzionaria dello squadrismo era stata tra gli elementi fondanti dell’identità fascista, s’imponeva adesso la necessità d’offrire un’immagine colta e rassicurante di questa fazione politica11. Per questo motivo, subito dopo il suo insediamento, il futuro dittatore dette inizio a un processo mitopoietico proponendosi come un uomo politico di larghe vedute, intellettuale e interessato alle arti: così facendo, egli avrebbe convalidato anche il movimento di cui era a capo12. Sebbene tra i suoi primi interventi pubblici vi fossero numerosi discorsi tenuti in occasione di mostre o convegni concernenti le arti figurative, la musica si rivelò ben presto un ottimo mezzo per accreditarsi tra coloro che continuavano a esprimere scetticismo nei suoi confronti13. Non a caso, ancora prima della sua designazione a capo del governo, Mussolini aveva paragonato il fascismo a «una grande orchestra, dove ognuno suona uno strumento diverso» e nella quale «il tutto fluisce, quando l’intonazione sia perfetta nel mare comune di una divina Armonia»14. 10 . L’arrivo al governo dei fascisti avvenne quasi in contemporanea con la creazione della SIMC e precedette di pochi mesi l’inizio del processo che portò alla formazione della CDNM. 11 . Tra i più importanti convegni su questo tema, si veda Il popolo d’Italia 1925. 12 . Biguzzi 2003. 13 . Il 26 marzo 1923 Mussolini tenne un discorso in occasione della sua visita presso la mostra pittorica del movimento artistico Novecento a Milano: si veda Il popolo d’Italia 1923 (anche in Mussolini 1956, p. 188). Il 20 maggio 1924 Mussolini parlò a Roma per l’inaugurazione del primo convegno delle associazioni artistiche: si veda Il popolo d’Italia 1924a e Il popolo d’Italia 1924b (anche in Mussolini 1956, p. 276). 14 . Il popolo d’Italia 1921. 20 Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti Nel periodo compreso fra la fine del 1922 e il discorso in Parlamento del 3 gennaio 1925 che segnò l’inizio del regime, Mussolini incontrò o ebbe contatti indiretti attraverso lettere o telegrammi con importanti rappresentanti del campo musicale15. Questi colloqui ebbero una vasta eco sui quotidiani e rispecchiano, presumibilmente, la sincera volontà del presidente del consiglio d’informarsi sull’attività d’ognuno di essi; tuttavia, Mussolini non propose né promise alcuna soluzione ai problemi che gli furono presentati16. Dal 1925, il numero di incontri o contatti con compositori, interpreti e altre personalità legate al mondo musicale esplose letteralmente, segno di un rapporto biunivoco nel quale Mussolini voleva assicurarsi il favore degli appartenenti a tale settore, e questi ultimi garantirsi la benevolenza del dittatore17. Altre operazioni d’immagine relative all’ambito musicale riguardarono la pubblicazione di fotografie nelle quali Mussolini si faceva ritrarre nell’atto di suonare il violino o davanti a un pianoforte18. Nonostante fosse soltanto un dilettante, queste istantanee rafforzarono la percezione presso l’opinione pubblica di trovarsi di fronte a un leader raffinato e appassionato di musica. Esse contribuirono inoltre a distanziare la sua figura dalle manifestazioni più violente del fascismo (quali lo squadrismo) e dai dirigenti locali più rozzi e ottusi (quali Roberto Farinacci e Achille Starace). Come Mussolini ebbe a dichiarare al giornalista Yvon de Begnac nel marzo del 1940, rendere pubbliche queste fotografie fu d’aiuto nella costruzione della sua reputazione: «dopo tutto», disse, «non suonavo la ‘armonica’ degli emigrati o l’organetto di Barberia dei questuanti»19. . Sul discorso del gennaio 1925 si veda De Felice 1995. . Senza pretesa di esaustività, questo è l’elenco in ordine cronologico delle personalità che ebbero contatti con Mussolini fino all’inizio del 1925: Don Lorenzo Perosi (28 dicembre 1922), Pietro Mascagni (26 gennaio 1923), Arturo Toscanini (31 marzo 1923), Alfredo Cuscinà (data incerta fra la fine di agosto 1923 e l’inizio di settembre 1923), Giacomo Puccini (1 dicembre 1923) e Arrigo Pedrollo (4 ottobre 1924). Mussolini interagì anche con i compositori Riccardo Pick-Mangiagalli e il direttore d’orchestra Bernardino Molinari, ma le date esatte non sono note. Informazioni specifiche riguardo a questi contatti sono in Ceriani 2003, p. 115. 17 . Nella seconda metà degli anni Venti, Mussolini interagì a vario titolo con decine di rappresentanti del settore musicale. Oltre agli innumerevoli contatti con Mascagni (almeno sei occasioni fra il 23 novembre 1925 e il 18 marzo 1929 quando nominò il compositore membro dell’Accademia d’Italia), tra le personalità più importanti vi furono Ildebrando Pizzetti, Franco Alfano, Ottorino Respighi, Umberto Giordano, Tito Schipa e Arturo Toscanini (sebbene la stampa non facesse menzione dei crescenti attriti fra il dittatore e il direttore d’orchestra). Informazioni specifiche riguardo a questi incontri sono in Ceriani 2003, pp. 115-116. 18 . Queste fotografie sono contenute in apertura del volume di De Rensis 1927. 19 . De Begnac 1950. In questa stessa intervista Mussolini chiariva che le immagini dov’era ritratto a suonare il violino risalivano al 1922. 15 16 21 Davide Ceriani È in questa continuità narrativa che s’inserisce la decisione del dittatore di concedere il patronato ai festival SIMC di Venezia e Siena. Furono le personalità alla guida della CDNM a chiedere al giornalista e deputato fascista Franco Ciarlantini di fungere da tramite col duce, al fine di sollecitare un appoggio morale e finanziario in vista dell’evento veneziano previsto per il settembre 1925. Ciarlantini acconsentì e scrisse a Mussolini che la concessione dell’alto patronato avrebbe contribuito «a dare a tutti coloro che interverranno a questa festa una chiara idea dell’interessamento fascista ai problemi spirituali della Nazione ed ai suoi rapporti intellettuali con gli altri paesi»20. Il dittatore scorse probabilmente un’ottima opportunità per rafforzare la sua reputazione e concesse l’alto patronato, un finanziamento di 10.000 lire e lo sconto del trenta per cento sul costo dei biglietti ferroviari per chi volesse recarsi a Venezia durante la rassegna musicale21. Tre anni dopo, in occasione del festival di Siena, fu lo stesso Casella, in veste di presidente della CDNM e organizzatore dell’evento, a rivolgersi a Mussolini per caldeggiare un sostegno all’iniziativa. Il compositore adottò una strategia simile a quella di Ciarlantini, alludendo ai vantaggi d’immagine che il successo del festival avrebbe comportato per il fascismo: «Lei […] sa come debba apparire agli occhi degli stranieri ogni aspetto della nostra nuova vita nazionale»22. Il dittatore, sensibile a quest’appello, fu ancora più prodigo di aiuti elargendo 30.000 lire e dimezzando il costo dei biglietti ferroviari per chi avesse voluto recarsi a Siena23. L’eco di tanta munificenza non tardò a riverberarsi sulla stampa: in occasione della manifestazione veneziana, numerosi quotidiani menzionarono il supporto di Mussolini, sebbene con approcci differenti fra la critica italiana ed estera. Mentre, per esempio, quella di lingua francese si limitava ad accennare al dittatore come uno fra i personaggi che avevano reso possibile il festival, i quotidiani e le riviste musicali italiane ne magnificavano l’impareggiabile ruolo di prodigo mecenate senza il quale gli sforzi organizzativi della CDNM sarebbero stati vani24. Il riferimento più esplicito fu quello di Casella in una missiva indirizzata al direttore de Il giornale d’Italia, dove il compositore sottolineava la funzione cruciale di Mussolini sia in veste di sostenitore morale del festival sia per la «importante somma» erogata in 20 . La lettera di Ciarlantini a Mussolini, datata 8 giugno 1925, è citata in Nicolodi 1981, p. 157. 21 . Riguardo all’entità del finanziamento, si veda Labroca 1959, p. 115. Questa somma equivale a 8.000 euro nel 2017. Riguardo allo sconto sui biglietti ferroviari, si veda Le figaro 1925. 22 . La lettera di Casella a Mussolini, datata 15 aprile 1928, è citata in Nicolodi 1981, p. 160. 23 . Ibidem. La somma elargita da Mussolini corrisponde all’equivalente di 27.000 euro nel 2017. 24 . Le figaro 1925. Trafiletti senza titolo sullo stesso tema apparvero sul Journal de Genève 1925 e sulla Gazette de Lausanne 1925; si veda inoltre Comoedia 1925a. 22 Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti favore dell’evento25. Altri accenni a tale supporto offerto dal dittatore apparvero nella Gazzetta di Venezia e sulle pagine de Il convegno26. In occasione dell'incontro musicale senese, la stampa italiana tenne un atteggiamento ancora più compiacente verso Mussolini e il governo fascista. Commentando sulla prima giornata di lavori, Luigi Colacicchi sosteneva che, «forte dell’appoggio governativo e spronata dal nome del Duce», la rassegna della SIMC avrebbe attratto un interesse mai visto prima. Senza purtroppo citare le fonti a sostegno della sua tesi, il critico congetturava sul fatto che mentre le precedenti edizioni dei festival di musica moderna si erano svolte «fra l’indifferenza generale», in Italia «la partecipazione ufficiale del Governo Nazionale è stata una leva eccellente per muovere l’apatia di coloro che fin qui avevan finto d’ignorare questo genere di manifestazioni»27. Sulla scia di una simile narrazione pro-governativa, Raffaello De Rensis sottolineava come il concerto inaugurale del festival fosse stato «offerto dall’Italia per volontà del Duce»; un gesto, continuava il critico, accolto «dagli ospiti internazionali con schietta gratitudine»28. Tuttavia, i contributi più favorevoli a Mussolini furono ancora una volta quelli espressi da Casella. Nel primo, apparso sotto forma d’intervista sulle pagine de Il mattino a cura del critico Antonino Procida, si legge: Così, grazie all’apporto del Duce, del Governo Nazionale, del Monte dei Paschi e del Conte Guido Chigi […] è stato possibile organizzare una settimana di Concerti e di festeggiamenti che sarà certo un’alta affermazione delle nostre possibilità nel campo musicale e organizzativo. La mia opinione nei riguardi della I.S.C.M. […] è la stessa del nostro Duce nei riguardi della Società delle Nazioni: poiché la cosa esiste, l’Italia deve starci e starci bene […]. Sono fiero […] che per la seconda volta l’appoggio del Duce e del Governo valga a dimostrare a tutti che i miei sforzi sono stati riconosciuti validi ed utili da chi regge i destini della nostra Nazione29. . Il giornale d’Italia 1925d. . Gazzetta di Venezia 1925; Il convegno 1925, p. 427. 27 . Il popolo di Roma 1928a. 28 . Il giornale d’Italia 1928a. Il concerto inaugurale, tenuto presso la Basilica di San Francesco, servì da preludio alla manifestazione di musica moderna vera e propria, e fu dedicato al repertorio compreso fra il primo Seicento e il primo Ottocento. Bernardino Molinari diresse pezzi di Claudio Monteverdi, Antonio Vivaldi, Arcangelo Corelli, Domenico Cimarosa e Gioachino Rossini. 29 . Il mattino 1928a. Sullo stesso tema si veda anche Modern Music 1928. In questi articoli l’acronimo di Società Internazionale di Musica Contemporanea era citato nella sua versione inglese — ISCM stava appunto per International Society for Contemporary Music. 25 26 23 Davide Ceriani Il secondo, ancora più incisivo e a firma di Casella stesso, fu pubblicato sulle pagine de La propaganda musicale: Dobbiamo adesso ricordare […] che la settimana senese fu resa possibile solo per volontà personale del Duce. Dietro un Suo ordine, ogni ingranaggio della macchina statale e burocratica fu in moto a nostra disposizione e tutto si realizzò con una facilità davvero impressionante. Quando si pensa a come venivano trattate, dai passati Governi italiani, altissime questioni artistiche e quando si sa come sono andate le faccende senesi, par di sognare. Ma l’altissimo interessamento del nostro Capo, il quale è anche per noi musici un militante ‘collega’, se significa riconoscimento della bontà dei nostri sforzi, concentra sulle spalle nostre una somma di gravi responsabilità30. Le incombenze cui accennava Casella riguardavano ovviamente la riuscita del festival ed erano di natura sia artistica sia organizzativa. Le prime saranno trattate in modo specifico nelle sezioni successive di quest’articolo, mentre le seconde furono considerate impeccabili dagli stessi partecipanti all’evento. Dent, per esempio, inviò una missiva a Mussolini al fine d’esprimere la propria riconoscenza «per il validissimo appoggio morale e materiale offertoci in ogni momento dal Governo Italiano» che includeva, oltre ai già citati contributi finanziari e riduzioni ferroviarie, anche la piena «collaborazione dei funzionari preposti all’ordinamento della manifestazione»31. Numerosi elementi confermano quanto scritto dall’eminente musicologo: la presenza del podestà di Siena Fabio Bargagli Petruzzi e del prefetto Ugo Pignetti in rappresentanza del governo alla cerimonia iniziale32, il ricevimento offerto dalla Federazione provinciale fascista in chiusura del festival nel corso del quale l’onorevole Adolfo Balocchi esaltò il «diuturno lavoro che compie il duce per l’elevazione dello spirito del popolo italiano»33, il contributo organizzativo offerto dal funzionario del Ministero della pubblica istruzione Francesco Fedele investito dall’autorità centrale per tale scopo34, e infine il «merito precipuo del Governo Nazionale che ha aperto tutte le porte»35 menzionato dal musicologo Guido Pannain, testimoniano quanto il dittatore avesse a cuore la buona riuscita dell’evento musicale senese36. Non . La propaganda musicale 1928b. . La lettera di Dent a Mussolini, datata 15 settembre 1928, è citata in Nicolodi 1981, pp. 160-161. 32 . La stampa 1928a e Corriere della sera 1928b. 33 . Corriere della sera 1928d. 34 . Musica d’oggi 1928, p. 341. 35 . La propaganda musicale 1928c, p. 6. 36 . Un altro riferimento al patronato di Mussolini è in La nazione 1928a. 30 31 24 Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti c’è quindi da sorprendersi se Dent terminasse come di seguito la sua lettera a Mussolini: Nell’ambiente suggestivo e sereno in cui si è svolto il nostro convegno, nell’atmosfera di liberalità e di equilibrio che ci ha costantemente circondati, noi abbiamo sentito non soltanto la poesia e la bellezza tradizionali dello spirito italiano ma anche l’impronta nuova impressa dall’E.V. alla vita di questa Nazione meravigliosa37. Le autorità non tardarono a utilizzare il festival per scopi propagandistici: due settimane dopo la sua fine, il quotidiano del partito fascista Il popolo d’Italia pubblicò un articolo che elencava tutti i recenti successi ottenuti dal regime nella città di Siena38. Tra questi figurava l’evento di musica moderna o, più esattamente, il ruolo cruciale avuto dal regime nel garantire una degna accoglienza agli ospiti accorsi da tutto il mondo e nell’offrire il miglior servizio possibile alla causa dell’arte musicale. Sebbene non sia dimostrabile che Mussolini in persona ordinò la pubblicazione di quest’articolo, è evidente che l’organo a stampa del fascismo aveva tutto l’interesse, in misura ancora maggiore rispetto ad altri quotidiani, a pubblicizzare l’ottimo esito del festival. La critica musicale italiana e i festival della SIMC La narrazione ‘politica’ fin qui analizzata mirava a trasmettere un’immagine positiva delle manifestazioni musicali di Venezia e Siena, entrambe caratterizzate da un successo organizzativo riconosciuto sia in patria sia all’estero; nondimeno, essa strideva impietosamente con i resoconti dei critici italiani riguardanti una consistente parte del repertorio eseguito nelle due città. Al tono enfatico (e presumibilmente interessato) degli interventi che magnificavano il ruolo di Mussolini e sottolineavano la partecipazione delle autorità fasciste, corrispondeva specularmente una serie di commenti fra lo sprezzante e il sarcastico in merito ai brani più innovativi presentati ai festival. Quest’atteggiamento aveva probabilmente una radice identitaria: sebbene molti compositori italiani avessero ampliato i loro orizzonti armonico-formali tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, dall’inizio degli anni Venti si assistette a una parziale rivalutazione di stilemi e linguaggi propri dei periodi precedenti. Notava a questo proposito Roman Vlad nel suo saggio in occasione del cinquantennale del festival SIMC . Dent a Mussolini, 15 settembre 1928. Si veda nota 31. . Il popolo d’Italia 1928c. 37 38 25 Davide Ceriani di Siena: «mentre i primi due decenni del Novecento erano stati caratterizzati da un fervore di scoperte di una novità rivoluzionaria senza precedenti nella storia musicale, i due decenni successivi videro un generale processo di assestamento, di ordinamento e di organizzazione delle precedenti conquiste»39. In coincidenza degli eventi SIMC in Italia, questa tendenza fu utilizzata dai recensori più conservatori per rafforzare la dicotomia fra il ritorno all’ordine musicale da una parte (da loro associato principalmente ai compositori italiani) e le sperimentazioni atonali, jazzistiche e più in generale moderniste dall’altra (quest’ultime accostate soprattutto ai musicisti dell’area mitteleuropea e anglosassone)40. L’articolo di Procida (con annessa l’intervista a Casella) menzionato in precedenza, pubblicato a pochi giorni dall’inizio del festival di Siena, può essere assimilato a una sorta di manifesto dei cambiamenti avvenuti nel corso degli anni passati. L’uso di termini quali «chiarezza», «ordine» e «buon senso», qui riferiti alla recente produzione del compositore torinese, echeggiò sovente nei contributi pubblicati in corrispondenza delle manifestazioni italiane della SIMC. Scriveva Procida: Signori, qui ci diamo tutti la mano: la crisi, in via di risoluzione da qualche anno, è passata. Le idee generali sulle tendenze della musica si sono chiarite sino alla trasparenza assoluta. Tendenze e stili sembrano volersi unificare: si può, cioè, sperare di raggiungere quella concordia di intenti che da tempo era auspicata e che soltanto oggi, dopo il lungo e martoriato periodo di esperimentazioni [sic] e di tentativi, può realizzarsi efficacemente e con risultati tangibili41. Citando Casella, così proseguiva l’articolo: È questa l’epoca della costruzione e della solidità […]. Sono finiti gli esperimenti, dei quali il pubblico di ogni paese, e non a torto, è stufo. Ma si può considerare in pari tempo finito il vasto e profondo malessere spirituale che ha [sic] durato dalla morte di Wagner sino al dopo guerra. È finita del pari l’avventura atonale. Nessuno scrive più musica del genere42. E infine, con un accenno all’inderogabile ruolo di guida che spettava agli artisti della penisola, l’organizzatore del festival senese terminava in questo modo: . Vlad 1978. . Tra contributi più importanti, che discutono il ‘ritorno all’ordine’ degli anni Venti partendo dal significato attribuito al termine neoclassicismo, vi sono Messing 1988 e Quaranta 2003. Di grande utilità la voce ‘neoclassicismo’ in Nicolodi – Trovato 2007. 41 . Il mattino 1928a. I corsivi in questa citazione e in quelle successive sono contenuti nell’originale. 42 . Ibidem. 39 40 26 Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti Oggi i compositori devono pensare ad offrire al pubblico la musica della quale esso sente la necessità, e non a scrivere per loro stessi e per un esiguo gruppo di amici […]. In questo vasto lavorio internazionale di costruzione e di chiarificazione l’Italia ha un compito di prim’ordine da assolvere, compito strettamente conforme al genio della sua razza ed al suo passato43. Sebbene rilasciate nel 1928, queste dichiarazioni sono parimenti assimilabili alla situazione italiana nel periodo del festival veneziano, e aiutano a comprendere meglio il rifiuto dei critici di misurarsi in modo costruttivo con la sfida all’ordine tonale proposta dal circolo viennese o con altri generi innovativi provenienti dall’estero. Se, com’è ragionevole supporre, l’intervento di Casella e Procida rispecchiava il sentimento di molti fra quanti scrivevano per le testate giornalistiche italiane, è altrettanto logico aspettarsi che lo spazio di dialogo con repertori estranei alla narrazione del ritorno all’ordine fosse molto limitato — se non addirittura inesistente. Di conseguenza, per quanto invitati ai due festival con lo scopo d’offrire programmi diversificati che riflettessero la varietà della produzione contemporanea, compositori come Arnold Schönberg e Anton Webern, Alois Hába e Emil František Burian, Wilhelm Grosz e Louis Gruenberg (in rappresentanza di tecniche e stili quali atonalità, quarti di tono e jazz) non solo non furono capiti, ma nemmeno vennero presi in seria considerazione. Sezioni di questo contributo saranno dedicate ai brani presentati da ciascuno di questi musicisti, sia per offrire un resoconto quanto più dettagliato dei pareri espressi dai critici italiani sia per esaminare individualmente i motivi dei loro giudizi. Una doverosa aggiunta ai nomi dei compositori summenzionati riguarderà William Walton: nonostante il suo Façade (eseguito a Siena) fosse un lavoro stilisticamente eterogeneo, innumerevoli articoli lo associarono all’idioma jazzistico. Prima d’addentrarci in queste analisi è però necessario soffermarsi sui pareri complessivi espressi dai recensori italiani riguardo ai due festival. Tre temi ritornano con insistenza nelle valutazioni generali apparse sulla stampa: la carenza di brani che esprimessero parametri musicali (in primo luogo forma e armonia) sufficientemente in linea con la tradizione per poter essere analizzati, il (supposto) modesto livello dei lavori presentati e, infine, il problema dell’accessibilità del repertorio moderno presso il vasto pubblico — quindi, al di fuori della ristretta cerchia degli specialisti. Riguardo al primo aspetto, è significativo notare come molti dei commentatori dubitassero perfino del fatto che una parte dei pezzi eseguiti fosse associabile al concetto stesso di ‘musica’. La mancanza di riferimenti formali tradizionali (o almeno dai critici a essi . Ibidem. 43 27 Davide Ceriani assimilabili) provocò giudizi pungenti sia nel 1925 sia tre anni dopo. Michele Lessona, autore d’innumerevoli appunti sarcastici sulle pagine della Gazzetta del popolo, scrisse che nel corso del festival veneziano si erano uditi «un linguaggio armonico inusitato, ritmi ossessionanti, timbri ed impasti non sospettati prima d’ora; meno facile rintracciare la musica»44. A questa considerazione il critico ne affiancava un’altra, ancora più caustica, indicativa della mancanza — a suo dire — d’idee e personalità capaci di distinguersi nel nebuloso programma del festival: «tale è […] la somiglianza degli atteggiamenti e dei mezzi di uso più frequente, che si potrebbero, in una pubblica esecuzione, scambiare i titoli delle opere e i nomi degli autori e appaiarli a caso, senza pericolo di rettifiche»45. Non meno severo e sostanzialmente in linea con quello di Lessona era il parere del compositore Adriano Lualdi, ben noto oppositore delle tendenze moderniste, il quale descriveva il festival di Venezia come una «pochade» di scarsa consistenza, un momento di «rammollimento collettivo» al quale non riconosceva la qualifica d’evento artistico: «non è più di arte che si tratta: si tratta di moda e di snobismo»46. Il musicista archiviava quindi la manifestazione veneziana come una vacua passerella, un fenomeno di costume immeritevole dell’attenzione ricevuta da critici e compositori provenienti da tutta Europa e dalle Americhe. Rilevanti paralleli emergono fra i giudizi di Lessona e Lualdi e quelli, apparsi in coincidenza della manifestazione senese, di un altro critico musicale professionista come Luigi Colacicchi e di un compositore tra i più in vista del suo tempo come Alceo Toni. Il primo così riassumeva le sue impressioni al termine della seconda giornata del festival SIMC nella cittadina toscana: «Il guaio serio è questo: che, dopo due giornate e tre concerti del festival, più che di musica buona o cattiva, si può già discutere di musica o non musica»47. Più elaborato, per quanto simile nei contenuti, il parere di Toni, particolarmente importante perché apparso sulle colonne de Il popolo d’Italia — il quotidiano fondato da Mussolini nel 1914, presso il quale egli esercitò la mansione di critico musicale dal 1922 fino alla caduta del regime48. Toni separò il suo intervento in due parti: nella . Gazzetta del popolo 1925a. . Ibidem. 46 . Lualdi 1928. Si veda anche Malipiero 1982, p. 4. Scrivendo, molti anni dopo, del festival SIMC di Venezia, il maestro veneziano dichiarava che «[i]l settembre [mese di abituale svolgimento dei festivals SIMC] riuniva, in quei tempi lontanissimi, il fior fiore dello snobismo internazionale». 47 . Il popolo di Roma 1928b. 48 . Pur senza essere identificato come la voce ufficiale della critica musicale fascista è importante ricordare che grazie a questo ruolo Toni fu, tra gli appartenenti al settore musicale, una delle personalità più vicine a Mussolini. Fu lui, per esempio, a presentare il dittatore, nell’ottobre 1926, ad alcuni fra i suoi più importanti colleghi quali Franco Alfano, Renzo Bossi, Adriano Lualdi e Ildebrando Pizzetti. Si veda Lualdi 1927. 44 45 28 Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti prima, in polemica con quanto udito al festival, definiva la maggior parte dei brani come esempi di «speculazioni cerebrali, di magia tecnica, in taluni casi; di esasperazione e di ossessione chimica, in altri, e talvolta di bluffismi pagliacceschi […]. Si vuole nei programmi del Festival una musica di una scrittura irretita d’ogni accidentalità, complicata, complessa»49. Nella seconda egli offriva una chiave interpretativa per motivare l’esistenza di questi brani, piegandola alla sua agenda politico-musicale. Toni sosteneva che i compositori stranieri autori dei pezzi — a suo dire — più problematici andavano separati dagli italiani perché laddove le musiche dei primi contenevano «speculazioni cerebrali» o altre inutili complessità, quelle dei secondi costituivano esempi di coerenza e linearità di linguaggio. Scriveva Toni che gli italiani «non [avevano] mai corso all’impazzata nelle piste delle più pazze gare rivoluzionarie», aggiungendo come la musica di questo paese era all’epoca attraversata da una «volontà di restaurazione: è come assetata di semplicità e chiarezza» e desiderava soltanto un «facile [e] spontaneo eloquio»50. Queste caratteristiche si ponevano, ovviamente, in antitesi alle creazioni più innovative presentate a Siena. In merito al secondo aspetto, relativo al dibattito sulla presunta mediocrità di parte dei programmi, assistiamo a uno schema che fu sostanzialmente identico per entrambi i festival: ai molti recensori che commentavano negativamente sulle scelte delle commissioni selezionatrici, Casella rispose difendendone l’operato — e quindi giustificando indirettamente il proprio, giacché egli fu membro delle commissioni stesse. Nonostante il tono occasionalmente risentito, il compositore ribadì con fermezza sia la sua onestà intellettuale nel processo di selezione dei brani sia il suo sincero desiderio di far ascoltare ai critici italiani più riottosi un repertorio con il quale, altrimenti, non si sarebbero mai confrontati. Osservazioni avverse riguardo alla qualità della manifestazione veneziana nel suo complesso apparvero poco dopo la sua chiusura a firma, fra gli altri, di stimati critici (Antonino Procida), musicologi (Ferdinando Liuzzi) e compositori (Mario Castelnuovo-Tedesco). Notava Procida che il festival aveva prodotto una «tempesta di polemiche, di malcontenti, di critiche»51 e, in un articolo a quattro mani, Liuzzi e Castelnuovo-Tedesco si auguravano scendesse l’«oblio» su molti dei brani eseguiti in quella sede, auspicando che i loro autori fossero ispirati da «Dio […] al silenzio»52. Mesi dopo Castelnuovo-Tedesco tornò sull’argomento 49 . Il popolo d’Italia 1928b. Altri atti d’accusa contro l’eccessivo cerebralismo della musica eseguita a Siena sono in Il resto del Carlino 1928a e Il resto del Carlino 1928b. 50 . Il popolo d’Italia 1928b. 51 . Il mattino 1925. 52 . Il pianoforte 1925. 29 Davide Ceriani ricordando lo «spettacolo […] poco consolante […] che la musica moderna [aveva offerto] attraverso le audizioni veneziane»53. Ancora più tagliente il giudizio di Lessona, che così sentenziava: Magro bilancio […] dal punto di vista artistico. Anzi, se si dovesse credere che oggi la musica è soltanto ciò che abbiamo sentito a Venezia, ci sarebbe veramente da disperare del nostro tempo, e si sarebbe indotti a rifugiarsi nel passato (un passato che potrebbe essere anche molto prossimo) nell’attesa di veder cessare questa specie di flagello piombato come un castigo universale sul mondo musicale contemporaneo […]. Il recente Festival — eccettuati i singoli casi che è debito segnalare — è stata una trionfante esibizione di nullità, un’affermazione orgiastica del vacuo, dell’inutile, dell’ingombrante. A parte ogni questione di metodi o direttive, l’impressione dominante fu quella del molto dimenarsi per poco concludere, del lungo promettere per poco mantenere, infine del molto rumore (è proprio il caso di dirlo) per nulla54. A detta dei quotidiani, anche due personaggi in vista quali Richard Strauss e Arturo Toscanini dimostrarono scarso apprezzamento per la selezione operata dalla commissione della SIMC: mentre il primo, dopo un breve assaggio del repertorio modernista preferì recarsi esclusivamente ai concerti di musica antica offerti in concomitanza alla manifestazione, il secondo raccomandò più prosaicamente di «disinfettare il teatro» della Fenice dove si era svolto il festival55. L’eco delle polemiche veneziane si riverberò con altrettanta irruenza sull’evento senese: Lualdi, per esempio, tratteggiava un quadro a tinte fosche quando asseriva che la SIMC s’ispirava a modelli «di bruttezza e di spiacevolezza» dettati da «conati di rivoluzione ad ogni costo»56 e Procida invitava a «reagire contro l’accademia del nuovo meccanicismo», intendendo presumibilmente questo termine non tanto nella sua accezione filosofica quanto piuttosto nell’apparente sensazione di ripetitività che, come si vedrà in seguito, certi brani lasciarono sull’uditorio57. Nel tentativo di trovare un responsabile per l’esito poco felice . Vita musicale italiana 1926. . La gazzetta del popolo 1925b. 55 . Il giornale d’Italia 1925e. Il contenuto di questo articolo fu poi parzialmente riportato in Il resto del Carlino 1925d. Si veda anche Il giornale d’Italia, 1925b e Lualdi 1928, p. 194. Adriano Lualdi sostenne di aver ricevuto l’autorizzazione di Toscanini a riportare pubblicamente quest’affermazione, nonostante essa fosse stata rilasciata in un contesto informale. 56 . Gazzetta del popolo 1928a. Questo articolo fu anche riprodotto in Il resto del Carlino 1928c. 57 . Il mattino 1928b. 53 54 30 Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti di questo festival, Liuzzi accusava la commissione giudicatrice d’aver «dato prova di un gusto meno che mediocre», augurandosi altresì che in futuro non s’includessero così tanti lavori scadenti58. I criteri, insomma, dovevano cambiare, pena la disaffezione del pubblico. Inevitabilmente, chi come Casella aveva investito le proprie energie, tempo e reputazione per organizzare i due festival, rispose a tono sia all’attacco di Liuzzi sia ai commenti negativi di tre anni prima. Il musicista torinese elencò puntigliosamente le difficoltà incontrate nel suo ruolo di organizzatore, sfidò i critici musicali e colleghi compositori a concepire programmi migliori di quelli da lui elaborati e, infine, ricordò i vantaggi nel tenere eventi del genere in Italia a scadenza regolare. A manifestazione terminata, per esempio, Casella definì i concerti di Venezia «un trionfo» e una «affermazione di intellettualità come non si sperava»59; rivendicò inoltre il merito d’aver tentato di cambiare la percezione che gli stranieri avevano del nostro paese, dimostrando che «l’orecchiantismo ed il provincialismo della vecchia Italia comincia ormai a cedere il posto a una maggiore dignità di costumi»60. Le maggiori istituzioni musicali della penisola come La Fenice, in altre parole, potevano e dovevano ospitare rassegne musicali che fossero diverse dal consueto repertorio operistico ottocentesco, ancora ampiamente diffuso a scapito di quello moderno e strumentale. Casella ammise che parte dei lavori potesse lasciare a desiderare ma negò negligenze o trascuratezze da parte della commissione di cui aveva fatto parte. Il motivo di alcune scelte infelici era piuttosto da ricercarsi nel fatto che, se al primo festival salisburghese si era potuto vagliare fra la migliore produzione degli ultimi anni, a Venezia ci si era dovuti accontentare di quella dei dodici mesi precedenti, con inevitabili ricadute negative sulla qualità dei programmi. Il musicista segnalava che, per risolvere questo problema, i cinque concerti di Venezia sarebbero diventati tre nell’edizione successiva61. Una stoccata finale era riservata a Toscanini; pur dichiarandosi amico e ammiratore del direttore, Casella asseriva che «avrebbe fatto assai meglio a non assistere alla manifestazione» vista la sua «antipatia» verso le musiche moderne62. . . 60 . 61 . Nuova antologia 1928, p. 406. Il mattino 1925. Il giornale d’Italia 1925d. Il convegno 1925, p. 428. Casella pubblicò anche un articolo sul Christian Science Monitor dove riassumeva i punti salienti trattati nei contributi da lui scritti per la stampa italiana; si veda Casella 2014. 62 . Il giornale d’Italia 1925d. Pochi giorni dopo Cucchetti rispondeva alle considerazioni di Casella in Il giornale d’Italia 1925e: «per caso non sarebbero musiche moderne la Debora di Pizzetti, Il Diavolo sul [sic] campanile di Lualdi ecc. alla Scala, eseguite sotto la magistrale bacchetta di Arturo Toscanini? Che se il M. Casella voleva dire ‘moderniste’ ovvero: cerebrali, atonali, 58 59 31 Davide Ceriani Tre anni dopo, in occasione del festival di Siena, il compositore polemizzò ancora una volta con i «troppi cafoni ed analfabeti che ancora esistono in Italia», i quali giudicavano la SIMC come una «fonte di corruzione musicale»; pur amareggiato da tanta miopia, Casella concludeva con una nota ottimistica: «vedranno i nostri giovani che una profonda e realistica conoscenza dei valori stranieri rimane oggi più che mai il miglior modo di divenire dei buoni ed autentici italiani»63. Quest’ultima costatazione è particolarmente importante perché espressione del suo credo sincretista, fedele all’idea del primato italiano ma consapevole dell’importanza di misurarsi con le idee d’oltreconfine. Come giustamente rilevato da Virgilio Bernardoni, già dalla metà degli anni Venti il compositore «non [aveva] dubbi sul fatto che la musica italiana [dovesse] assimilare il modernismo europeo secondo criteri selettivi di inclusione/ esclusione […] e scommettere apertamente sul primato di una sorta di idioma italiano nel contesto internazionale»64. Un abile organizzatore come Mario Labroca, tra l’altro segretario della CDNM, e un autorevole critico come Guido M. Gatti avallarono le posizioni di Casella, pur da prospettive diverse. Il primo sostenne l’importanza del ritrovo veneziano come luogo di confronto culturale ma anche — e soprattutto — d’incontro, per scopi promozionali e commerciali: «lungi dallo scandalizzarci per questa forma di mercato», commentava Labroca, «siamo ben felici che i poveri musicisti abbiano trovato anch’essi un centro ed un’epoca per il piazzamento della loro opera»65. Decenni dopo, Labroca ammetterà che il «bacillo del ‘prestigio nazionale’» aveva parzialmente viziato il senso di questi ritrovi modernisti, al punto che le commissioni finivano per «correre dietro ai capricci, ai brontolii, alle proteste dei vari delegati nazionali»66; tuttavia, nell’articolo scritto in concomitanza del festival nella città lagunare, egli enfatizzava «l’importanza sempre più grande che assumono nella vita musicale le manifestazioni concertistiche [della SIMC], l’interesse che le più moderne tendenze suscitano nel pubblico, il valore pratico di riunioni siffatte che permettono efficaci scambi di idee aritmiche […] allora immagino che la cordiale antipatia di Toscanini esista davvero ed esista in parecchie altre personalità musicali del mondo». 63 . La propaganda musicale 1928b. 64 . Bernardoni 2003. 65 . Il resto del Carlino 1925b. 66 . Labroca, 1959, pp. 112-117. Chiosava Labroca: «La commissione che si riuniva durante l’inverno per selezionare i lavori ricevuti dai diversi paesi, si lasciava spesso guidare da considerazioni politiche; era più grave, evidentemente, scontentare qualche paese che non gettare sulla musica contemporanea l’ombra di opere che forse era più opportuno eseguire in altra sede, se non addirittura dimenticare nei cassetti degli autori». 32 Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti tra artisti»67. Scrivendo al termine dell’evento senese e pur senza negare la rilevanza dell’aspetto commerciale, Gatti insistette quasi esclusivamente sui contenuti ideali dei festival SIMC, quali fertile terreno per lo studio di tendenze e orientamenti tanto divergenti. L’aspetto cruciale del suo intervento riguardava l’importanza di tenere queste rassegne sulla penisola a scadenze regolari, al fine di far conoscere ai compositori italiani i più recenti sviluppi della musica all’estero: Soprattutto ci pare augurabile che i ‘festivals’ abbian luogo in Italia quanto più spesso possibile: è noto che gli italiani viaggiano poco, in generale, e i musicisti italiani anche meno (fatta eccezione per Casella e per qualche altro che s’è messo a seguirne l’esempio da poco tempo) […]. Non riusciamo a comprendere […] il sacro terrore che hanno i custodi della tradizione per quanto riguarda l’importazione dell’arte di fuori: tutta la storia ci insegna che l’arte ed il pensiero di un paese non vivono se non si rinnovano in certi momenti al contatto straniero. La tradizione musicale italiana concepita come qualcosa di immutabile e immutato, può essere un efficace strumento polemico, ma non resiste ad una seria ed obiettiva disamina storica68. Una visione, questa, aperta e ottimistica, destinata però a rimanere minoranza: che le opinioni di Casella, Labroca e Gatti fossero isolate appare particolarmente chiaro quando si leggono i commenti riguardanti il tema dell’accessibilità del repertorio moderno presso il vasto pubblico. Da una parte, i numeri apparsi sulla stampa paiono confortare la tesi secondo la quale i due festival attrassero una vasta platea che includeva addetti ai lavori, ascoltatori non specializzati e semplici curiosi. A Venezia, per esempio, erano attesi quarantacinque critici musicali solo dalla Germania e almeno dieci direttori d’orchestra dagli Stati Uniti; seicento stranieri avevano chiesto la tessera ferroviaria che consentiva d’ottenere lo sconto per recarsi alla manifestazione e il numero dei presenti ai concerti fu almeno doppio rispetto alle edizioni precedenti69. Inoltre, a detta di Casella, il variegato uditorio confluito nella città lagunare sembrò essere particolarmente attratto da quelle sessioni che includevano brani destinati a far discutere — come ad esempio la Serenade Op. 24 di Schönberg e la Sonata per pianoforte di Stravinsky, che segnalarono un tutto . Il resto del Carlino 1925b. . La rassegna musicale 1928, pp. 553-554. 69 . Le informazioni di cui sopra sono tratte da: trafiletto senza titolo sul Journal de Genève 1925; Gazzetta di Venezia 1925; Comoedia 1925b; Il giornale d’Italia 1925d; Labroca 1959, p. 112. 67 68 33 Davide Ceriani esaurito70. Numeri simili, anche se leggermente inferiori forse a causa della posizione più defilata della città in questione, erano menzionati in occasione del festival SIMC di Siena: un articolo apparso sul Corriere della sera indicava in circa trecento gli stranieri accorsi nel centro senese, cui si aggiungevano duecento italiani71. È comunque possibile che i numeri fossero anche superiori, considerando che il contributo contenente queste cifre era stato scritto qualche giorno prima dell’inizio della rassegna. Ben diverso è il quadro offerto da quanti professarono scarsa simpatia per i repertori modernisti eseguiti ai due festival. In corrispondenza dell’evento veneziano, apparve su Il giornale d’Italia una nota riguardante lo scarso pubblico intervenuto ai vari concerti, «forse perché alle nuove preferisce le musiche della buona tradizione, a quelle cioè che non hanno dato l’ostracismo alla melodia»72. Impietosa, ma certo viziata da stereotipi riguardo ai comportamenti del pubblico italiano a teatro, è la descrizione del corrispondente del New York Times: If at previous festivals of the society — at Prague and Salzburg — the audience had consisted of people who had come for the occasion and knew what awaited them, such was not the case at Venice. Rather, the performing artists and the composers here faced a crowd of foreign tourists of a more or less unsophisticated and snobbish sort, sprinkled with a few hundred natives who brought to the Teatro Fenice the attitude customary in Italy toward opera stagiones [sic]. They acted as though they were witnessing a circus — or what is worse, a provincial Italian opera production. Some had brought their whistles with them, while others, more modestly, relied on their own lung capacity for hissing and yells of ‘Basta’ or ironical cries of ‘Bis’. The real Italian loves melodiousness and catchy tunes (which could not well be expected in modern chamber music), and he likes shortness above all73. In base a questa descrizione si può concludere che non vi fu un atteggiamento particolarmente costruttivo da parte del pubblico verso i brani più sperimentali. Nonostante l’ottimismo che Casella, Labroca e Gatti infusero nei loro interventi 70 . Il giornale d’Italia 1925d. Per quanto indubbiamente importante nel contesto del festival, si è scelto di non trattare della Sonata per pianoforte di Stravinsky dato che, a causa del suo linguaggio accessibile e della sua chiarezza formale, questo brano non provocò gli stessi animati commenti del pezzo di Schönberg o d’altri brani discussi in questo saggio. Il più recente lavoro sul rapporto tra Schönberg e Stravinsky, con particolare riferimento al festival SIMC di Venezia, è quello di Restagno 2014. 71 . Corriere della sera 1928a. 72 . Il giornale d’Italia 1925a. 73 . New York Times 1925. 34 Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti e indipendentemente dal reale numero di spettatori presenti a ciascun concerto o da quanto affollate fossero le esecuzioni dei brani di Schönberg o Stravinsky, l’articolo del New York Times semina più di un ragionevole dubbio sul livello di preparazione della platea non specializzata per un adeguato apprezzamento della rassegna musicale. Non troppo diversa, stando ai resoconti, fu l’esperienza senese, sebbene si assista in questo caso a una maggiore diversità di punti di vista. Prima dell’inizio del festival, il critico del quotidiano La nazione Edgardo Fiorilli incoraggiava gli ascoltatori a recarsi nella cittadina toscana senza pregiudizi verso le novità: Vi è una pigrizia intellettuale […] che ci porta ad escludere dal nostro spirito tutte le forme che esorbitano dai confini di una acquisita e fissata sensibilità, che ci tiene passivamente avvinti alle vecchie formule […], che ci vieta qualunque sforzo per penetrare concezioni nuove, visioni più larghe e più libere, manifestazioni rudi e sincere della rinnovata coscienza estetica di un dato tempo. Contro queste radicate abitudini […] bisogna reagire, ricordando che anche l’arte, come tutte le forme della vita, è sottoposta ad una continua trasformazione e revisione dei suoi valori74. Questo passaggio è particolarmente rilevante perché allude alla presenza, nel mondo musicale italiano, di un consistente gruppo d’orientamento conservatore capace d’influenzare, attraverso i propri commenti sulla stampa, l’opinione che i lettori si sarebbero fatti riguardo al festival e alla musica moderna più in generale. Malgrado gli ammonimenti di Fiorilli e le migliori intenzioni di quella parte dei critici non tacciabili di conservatorismo, le impressioni riguardo ai programmi ascoltati a Siena non furono delle più positive. In particolare, appare chiaro che la pletora di orientamenti estetico-musicali e le complesse metodologie applicate ai processi creativi di molti dei brani presentati, costituirono un ostacolo spesso insormontabile al godimento degli stessi. Guido Pannain, per esempio, segnalò l’importanza dei festival SIMC come indispensabili momenti di confronto ma 74 . La nazione 1928a. Si veda inoltre La nazione 1928b, dove lo stesso Fiorilli sosteneva che la tendenza dei moderni compositori a ricercare nuove forme espressive rispecchiava i loro crescenti interessi interdisciplinari: «L’incremento della cultura filosofico-letteraria dei musicisti, così vivace in questi ultimi tempi, ha contribuito non poco a conferire nuovi aspetti all’arte dei suoni. La maggior parte degli odierni musicisti sono scrittori e critici d’arte e a tutti è nota la profonda cultura letteraria estetica di un Pizzetti, di un Liuzzi, di un Casella, di un Gui, di un Castelnuovo ecc. per citarne solo alcuni e nell’ambito dei compositori. Questa critica consapevolezza dei processi e dei mezzi onde l’artista giunge ad estrinsecare la propria visione interiore non può rimanere senza effetto sullo svolgimento artistico». 35 Davide Ceriani aggiungeva che le voci dei protagonisti «cad[evano] spesso nel frammento» a causa della «ricchezza di tendenze quale non si [era] mai vista nel corso della storia della musica»; proprio perché così numerose, tali tendenze erano quindi destinate a essere «poco durature»75. A suo dire, questa diversità rendeva necessario un esame approfondito d’ogni singolo pezzo, tanto era difficile trovarne di assimilabili: per questo motivo, Pannain notava che ai concerti ci si doveva recare «con l’animo disposto più allo studio che al divertimento»76. Anche Bruno Revel, prestato in quest’occasione alla critica musicale, ma noto soprattutto per la sua attività di linguista e letterato, osservava con disappunto come in questi consessi dedicati alla musica contemporanea il pubblico — anche quello specializzato — doveva confrontarsi con arditezze musicali partorite da idee e teorie che spesso non comprendeva, finendo quindi per rigettarle: Io credo che tutti i congressisti siano stati per tutta la settimana in preda ad un dubbio che si può riassumere così: se dovevan preoccuparsi piuttosto delle tendenze o delle sue realizzazioni […]. Ma non credete che possano darsi composizioni musicali le quali essendo meri tentativi di realizzazioni tecniche manchino poi di ogni contenuto lirico e restino perciò, anche se espresse — diventate note, suoni — semplici tendenze agli effetti dell’arte viva e vera? E che quindi se ne possa discutere, che esistano di fatto e vengano eseguite, ma sono suoni e non musica, intenzioni e non arte. Tant’è vero che ci recavamo ai concerti come bravi scolaretti, avendo piene le saccocce di foglietti volanti e di spiegazioni programmatiche e di delucidazioni tecnicistiche come ai beati tempi delle musiche a programma. Ma di fronte al vuoto assoluto di alcune fra quelle musiche e colla testa colma di schemi teorici e di codici armonici nuovissimi che altro potevamo trovare se non appunto intenzioni, tendenze, rimaste ahimé tali sul terreno artistico, cioè non realizzate, non sentite, non vissute e quindi […] pari al puro nulla77? Il problema sollevato da Revel rimandava a due questioni più ampie di cui si darà conto nelle sezioni successive. La prima riguarda la poca confidenza con i manuali e, più in generale, con la trattatistica di compositori stranieri, raramente disponibili in italiano. È del tutto credibile che una parte considerevole di quei critici italiani, chiamati a recensire i brani eseguiti a Venezia e Siena, considerasse sinceramente «nuovissimi» quegli «schemi teorici» e «codici armonici» con cui si doveva confrontare, nonostante le «spiegazioni programmatiche» e le . La propaganda musicale 1928c, p. 5. . Ibidem. 77 . Bollettino bibliografico musicale 1928a, pp. 28-30. 75 76 36 Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti «delucidazioni tecnicistiche» a essi collegati fossero già da qualche tempo disponibili in altre lingue e aree geografiche. La seconda, strettamente connessa a quella precedente, concerne il legame fra i brani originati da queste nuove teorie e la loro supposta mancanza di «contenuto lirico» citato da Revel. Per quanto sfuggente possa essere questa definizione, egli essenzialmente sosteneva che l’approccio scarsamente intuitivo sul piano della resa musicale di tecniche poco conosciute o praticate (almeno in Italia) rendeva difficile, da parte dell’auditorio, apprezzare i pezzi basati su questi principi. Pur con le dovute eccezioni, una disamina della ricezione di questi brani fornirà le prove a supporto di questa tesi. Primo caso di studio: La Serenade Op. 24 di Arnold Schönberg e il Trio Op. 20 di Anton von Webern Tra i molti brani eseguiti ai due festival, la critica italiana riservò particolare attenzione a quelli presentati da due dei principali esponenti della cosiddetta scuola musicale di Vienna: la Serenade Op. 24 di Schönberg per clarinetto, clarinetto basso, mandolino, chitarra, violino, viola, violoncello e voce maschile (terminata nel 1923 ed eseguita a Venezia) e il Trio Op. 20 di Webern per violino, viola e violoncello (terminato nel 1927 e presentato a Siena). Schönberg ottenne, logicamente, più spazio rispetto a Webern: del primo, infatti, si parlava già da tempo in Italia, mentre il secondo fu identificato come un discepolo e non necessariamente come un membro di primo piano della scuola viennese78. La recente letteratura in merito alla ricezione in Italia, nella prima metà del ventesimo secolo, delle teorie di Schönberg ha sostanzialmente evidenziato tre aspetti salienti79. Il primo concerne la confusione terminologica della stampa coeva riguardo a lemmi quali atonalità e dodecafonia: i critici meno versati in analisi musicale e non in confidenza con i principi elaborati dal compositore viennese ebbero difficoltà a offrire definizioni appropriate. Il secondo riguarda l’opposizione fra la supposta senescenza delle tecniche elaborate da Schönberg e la fin troppo reclamizzata vitalità e chiarezza della musica italiana degli anni Venti cui si è accennato in precedenza. Il terzo è relativo, in egual misura, sia al crescente nazionalismo musicale che fece da corollario al consolidamento del regime fascista sia agli influssi dell’estetica crociana. Come ha giustamente notato Luca Conti in un autorevole studio su questi argomenti: . La stampa 1928b; Il resto del Carlino 1928d. . Conti 2003. 78 79 37 Davide Ceriani In molti casi Schönberg è definito interessante, geniale, ma alla fine è considerato soprattutto un autore da rifiutare in partenza, anzi in certi casi da fermare letteralmente alla frontiera, di cui parlare da lontano a scopo apotropaico con l’implicita intenzione di stroncare qualsiasi approccio emulativo da parte delle nuove generazioni di musicisti italiani […]80. Infatti, dopo il fatidico 1924 [anno in cui il compositore austriaco, con l’aiuto di Casella, presentò il Pierrot lunaire in Italia] la musica di Schönberg e allievi, la dodecafonia, il principio della serie, raramente saranno sottoposte a indagini di tipo tecnico; la partita si gioca tutta sul terreno estetico, magari con il pretesto di un’adesione alle idee di Croce81. I commenti apparsi sulla stampa confermano in buona parte quanto asserito dallo studioso: lo spoglio sistematico di quotidiani e riviste musicali specializzate testimonia la totale assenza d’osservazioni analitiche, ancorché rudimentali. La Serenade Op. 24 è certamente un lavoro di difficile catalogazione per la sua originale amalgama strumentale e perché, come già notato nell’analisi condotta da Luigi Rognoni e Bryan Simms, adotta procedimenti compositivi diversi in ognuno dei sette movimenti82. In tre di questi (il terzo, il quarto e il quinto) Schönberg esplora tecniche dodecafoniche o comunque a esse assimilabili: il terzo (Variationen) è costruito — ironicamente — su una serie di quattordici note invece delle consuete dodici, il quarto (Sonnet) è basato su un sonetto di Petrarca e la parte vocale adotta tredici esposizioni non trasposte della serie di dodici note e, infine, il quinto (Tanzscene) è imperniato su due esacordi complementari83. Per quanto potesse essere arduo seguire nel dettaglio le tecniche utilizzate dal compositore austriaco, dalle recensioni si comprende come il pregiudizio nei suoi confronti fosse così radicato da vanificare qualunque sforzo volto a offrire una corretta interpretazione della sua musica. Gli articoli, per esempio, segnalavano lo smarrimento che aveva colto l’auditorio nel corso dell’esecuzione della Serenade, senza però aiutare il lettore a comprenderne il motivo. Tra i giudizi più ingenerosi vi furono quelli di Liuzzi e CastelnuovoTedesco, i quali associavano al compositore un’immagine poco edificante — . Ibidem, p. 157 . Ibidem, p. 181. Per la ricezione del Pierrot lunaire in Italia si veda Testa 1982, pp. 6383 e Casella 1941, pp. 219-220; per la ricezione, sempre in Italia, dei termini atonalità e dodecafonia, e più in generale dei compositori della Seconda scuola di Vienna, si veda Somigli 2002 e Nicolodi 2013. 82 . Rognoni 1966, pp. 88-89 e Simms 2000. Altri importanti saggi che discutono aspetti analitici della Serenade Op. 24 sono Crawford 1963 e Heneghan 2009. 83 . Whittall 1972. 80 81 38 Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti rappresentato a «macera[rsi] tra i detriti friabili di ricchezze [musicali] inaridite»84. In un successivo contributo scritto individualmente, Castelnuovo-Tedesco definiva la Serenade una composizione di una «esasperante monotonia» in grado unicamente di «suscita[re] […] un senso di profonda pena»85. Solo in apparenza più indulgente, Lessona sosteneva che a causa delle tecniche di Schönberg «l’ufficio espressivo dell’armonia era venuto […] a restringersi miseramente, anziché ampliarsi»; nondimeno egli aggiungeva, con una similitudine non propriamente benevola, che tale linguaggio armonico era «sconnesso e incoerente come il delirio di un febbricitante»86. Lessona terminava il suo intervento parlando di un «senso opprimente di noia e stanchezza», «pesantezza opaca del discorso»87 e, in un altro articolo, di «monotonia disperante»88. Infine, un contributo non firmato sulla Rivista nazionale di musica identificava la Serenade come un «gioco di ritmi e di combinazioni armoniche e disarmoniche pazze o bizzarre» che consisteva in un insieme di «angoli, spicchi e gocce di aneddoti staccati, balzati alla rinfusa con sorprese da caleidoscopio»89. Altri commenti apparsi in queste recensioni riguardarono l’accostamento, poco gradito, di strumenti particolarmente eterogenei come quelli utilizzati da Schönberg in questo brano; se possibile, la presenza d’impasti timbrici così compositi rese ancor più negativo il giudizio dei critici. A questa serie di pareri negativi fecero da contrappunto alcuni interventi più articolati di Casella e Labroca; le loro conclusioni, però, furono ancora più radicali rispetto alle valutazioni dei vari Liuzzi, Castelnuovo-Tedesco e Lessona. I due, infatti, presero spunto dalla performance della Serenade (giudicata comunque negativamente) per allargare il ragionamento al sistema atonale, relegando quest’ultimo a tentativo, meritevole ma non riuscito, di sostituire il linguaggio tonale. Labroca, per esempio, ribadiva come la Serenade fosse «viziata da una naturale e logica monotonia» dovuta alla «ripetizione costante di modi armonici»; una terminologia quantomeno approssimativa utilizzata, presumibilmente, per indicare le serie presenti in alcuni dei movimenti di questo pezzo90. Tale considerazione ne originava un’altra di carattere generale per cui il senso di frustrazione, provocato dalla Serenade e da altre simili composizioni presentate alla kermesse veneziana, aveva sancito la «fine assoluta e definitiva delle maniere impressionistiche» e il «lento vaporare [sic] di quei procedimenti e tendenze che […] . . 86 . 87 . 88 . 89 . 90 . 84 85 Il pianoforte 1925. Vita musicale italiana 1926. Gazzetta del popolo 1925a. Ibidem. Gazzetta del popolo 1925b. Rivista nazionale di musica 1925. Il resto del Carlino 1925c. 39 Davide Ceriani si erano sparsi per il mondo a creare una specie di atmosfera internazionale»91. L’uso dell’aggettivo impressionistico può sembrare fuori luogo se utilizzato in rapporto a Schönberg ma questo termine era già stato impiegato da Casella nelle note di sala che introducevano il Pierrot lunaire nel corso della tournée italiana del 1924: «Si potrebbe chiamare questa musica super-impressionista. Ed infatti appare impressionismo spinto alle sue estreme conseguenze. Mentre Debussy poggiava sempre su scale diatoniche, Schönberg giunge d’un colpo […] a ‘pensare’ su dodici suoni»92. È quindi possibile che Labroca avesse tratto spunto da questo programma che molto probabilmente aveva letto. Nelle stesse note di sala, Casella definiva il compositore austriaco «geniale» e, una volta terminato il festival SIMC di Venezia, osservò che tra i meriti di Schönberg vi era quello di aver condotto una ricerca sistematica e coscienziosa nella direzione del rinnovamento. Tuttavia, Casella aggiunse di ritenere esaurita la spinta propulsiva delle sperimentazioni armoniche coltivate tra fine Ottocento e i primi del Novecento: in conseguenza di questa situazione, i tentativi del maestro austriaco di proseguire su questa strada erano destinati ad arenarsi: Schönberg ha realmente creato qualcosa di unico nella Storia della musica e perciò merita la maggiore attenzione. Convengo che la atonalità non è musicalmente concepibile e posso giurare che le musiche di Schönberg non si udranno mai da noi […]. Non nego, d’altronde, che la impressione di sbalordimento e la sensazione profonda di novità suscitate da quest’arte [atonale] così singolare non solo scemano, a lungo andare, ma cedono il posto ad un inevitabile senso di monotonia93. Queste opinioni erano confermate dallo stesso Casella in un successivo contributo apparso su Il convegno, dove il compositore dichiarava come l’esperienza atonale fosse ormai giunta all’«estremo tramonto» e che questo genere d’arte apparteneva «ormai al passato»94. Tali dichiarazioni funsero da prodromi alla polemica a distanza fra Schönberg e Casella, nella seconda metà degli anni Venti, sui destini della musica occidentale, con particolare riferimento al linguaggio che i compositori moderni avrebbero adottato nell’immediato futuro95. Influenti personalità si unirono a questa discussione che continuò, fra l’altro, sulle pagine di quotidiani e altre pubblicazioni italiane in occasione dell’esecuzione del Trio di Webern al festival SIMC tenuto a Siena. . . 93 . 94 . 95 . 91 92 Ibidem. Casella 1924. Il mattino 1925. Il convegno 1925, p. 430. Testa 1982, pp. 84-125 e Nicolodi 1984. 40 Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti Sebbene i mezzi a stampa fossero più avari di commenti sul brano di Webern rispetto a quanto lo furono riguardo alla Serenade di Schönberg, il Trio suscitò reazioni ancora più estreme addirittura nel corso della sua stessa esecuzione. Rudolf Kolisch, uno dei membri del trio che eseguì il pezzo, raccontò a Webern quanto successe e questi, a sua volta, lo narrò a Schönberg. Scrisse Webern: Nel corso delle prime misure del secondo movimento, l’irrequietezza [del pubblico] divenne talmente invadente che [Kolisch] decise d’interrompere [l’esecuzione]. L’applauso convinto che seguì questo gesto riportò la calma, e Kolisch poté iniziare nuovamente l’esecuzione dall’inizio del secondo movimento per portarlo a termine. A quel punto, però, ci fu un’esplosione di collera da parte di un critico italiano, il quale dichiarò che avrebbe convinto Mussolini a interrompere il festival. [Secondo il critico] esecuzioni di questo genere di musica non dovevano essere permesse in Italia. Il critico tedesco [Hermann] Springer ribatté e il critico italiano si avventò su di lui. Parte del pubblico salì sul palco e a quel punto [Alfredo] Casella e [Edward] Dent presero la parola per riportare la calma, ordinando al critico di lasciare la sala. Si mormora che quest’ultimo abbia sfidato Casella a duello96. Questa descrizione rende bene il clima avverso che il repertorio del circolo viennese si trovò ad affrontare, in quel periodo, in Italia. Oltre alle dichiarazioni di Casella sulla fine della «avventura atonale» cui si è accennato in precedenza, il Trio di Webern ebbe una ricezione difficoltosa a causa della sua portata innovativa97. Pur basato su forme tradizionali quali il rondò (nel primo movimento) e la sonata (nel secondo movimento, introdotto da un passaggio Molto sostenuto ed espressivo che soppianta l’adagio normalmente inserito fra il movimento iniziale e quello finale), Webern utilizza in modo sistematico la tecnica dodecafonica e predilige la «breviloquenza» tematica che da molti anni costituiva il suo stile di riferimento98. Come giustamente rilevato da alcuni tra i più autorevoli studiosi di Webern, la complessità di questo brano maschera la chiarezza strutturale 96 . Traduzione della versione inglese della lettera originariamente scritta in tedesco da Webern a Schönberg ora in Hayes 1995, p. 161. Secondo De Rensis, la personalità italiana che intervenne a riportare la calma insieme a Dent non fu Casella ma Alceo Toni: si veda Il giornale d’Italia 1928c. 97 . Si veda nota 42. 98 . Il termine «breviloquenza» è contenuto in Kolneder 1996, p. 139. Si veda anche Hayes 1995, p. 151. 41 Davide Ceriani che può essere individuata solo attraverso uno studio accurato della partitura99. A un primo ascolto, quindi, dovette risultare molto difficile per gli spettatori presenti al festival riconoscere le forme del rondò e della sonata nonostante esse fossero descritte nel programma che introduceva il brano; allo stesso tempo fu impossibile individuare un accenno di coerenza tematica, così importante per molti di quei critici italiani chiamati a recensire il repertorio presentato a Siena100. La protesta del critico italiano descritta da Kolisch, per quanto colorita, è soltanto la punta dell’iceberg di un’insofferenza generalizzata verso il Trio di Webern: dall’ironia di Lualdi («Webern […] mostra nella sua musica tutti i difetti di cacofonia, prolissità, monotonia, aridità, pedanteria, atassia locomotrice […] che hanno resa illustre la musica del suo maestro»)101, all’irritazione di Colacicchi («Un pasticcio, quel trio, un sì urtante balbettio di ritmi frazionati, tale un’inconcludenza d’idee meschine, da scalmanare il più sereno degli spettatori»)102, alla semplice derisione di Procida («miagolii, grugniti, fischietti, muggiti, frammentari e disordinati, sostituiscono i suoni»)103, non è possibile trovare un esponente della critica italiana che ebbe la volontà d’offrire spunti analitici i quali potessero favorirne, se non la piena comprensione, almeno una visione meno approssimativa. È inoltre importante notare come al nome di Webern fosse costantemente associato quello di Schönberg, quasi a voler sottolineare che solo l’influenza negativa di quest’ultimo poteva aver condotto il suo seguace a scrivere un pezzo tanto stravagante. Scriveva Alberto Gasco, compositore e critico musicale de La tribuna: Causa di tanto guaio [l’alterco descritto in precedenza] è stato il compositore viennese Anton von Webern, allievo di 99 . Dettagliate analisi del Trio sono presenti in Rognoni 1966, pp. 338-342; Kolneder 1996, pp. 135-142; Russo 2006; Nolan 2013. 100 . Nell’introduzione al Trio approvata da Webern stesso, Erwin Stein (tradotto e citato in Kolneder 1996, p. 136) fornisce una chiave d’interpretazione di questo lavoro. Dal contributo di Colacicchi apparso in Il popolo di Roma 1928b s’intuisce che questa descrizione fu la stessa offerta al pubblico che assistette all’esecuzione del pezzo. Questo un passaggio tra i più importanti: «Nella stesura di un movimento, la tecnica di variare temi e motivi è la stessa dei maestri classici. Ben diverso dai classici è il modo in cui sono sviluppati i motivi e trattai i temi. Qui gli uni e gli altri sono trattati in molti modi, e a ogni ricomparsa risultano sempre alterati. Una serie fornisce il materiale di base dell’intero pezzo, secondo la composizione con dodici note in relazione reciproca di Schönberg. In Webern ogni voce è formata, come in un mosaico, da frammenti di serie. Così, combinazioni sempre diverse generano sempre nuove figure sonore». 101 . Il resto del Carlino 1928d; pubblicato anche in Gazzetta del popolo 1928b. 102 . Il popolo di Roma 1928b. 103 . Il mattino 1928c. In un articolo di poco successivo, Procida insisteva nella stessa direzione: «Sembrano [i suoni del Trio] vagiti e muggiti in libertà, senza guida e senza mèta, pur essendo il prodotto d’un calcolo spietato e rigoroso». Si veda Il mattino 1928d. 42 Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti Arnoldo [sic] Schönberg e suo imitatore troppo coscienzioso. L’illustre critico dottor [Adolf] Weissmann […] ci ha detto che le prime opere del Webern erano brillanti e robuste […] ma che in seguito […] sotto la terribile influenza dello Schönberg ha deviato dal retto sentiero […]104. Sebbene non sia possibile stabilire se Weissmann avesse espresso il proprio parere in termini tanto ostili, appare chiaro che Gasco voleva evidenziare un legame causale: la citazione indiretta da lui utilizzata implicava che solo gli insegnamenti fuorvianti del maestro avevano potuto condurre l’allievo a concepire un pezzo tanto impenetrabile quanto lo era stata la Serenade. Dai commenti di Gasco («Che cos’è questo Trio? Un colloquio sui generis fra tre strumenti che sospirano, starnutiscono e si strofinano l’un l’altro stridendo e scricchiolando come il gesso sulla lavagna e [ripetono] con ostinazione demenziale lo stesso disegno»)105 e da quelli, espressi a festival terminato, di altri suoi colleghi (musica «ermetica»106, «decrepit[a]»107 e ispirata da «voluttà di martirio»108) si può quindi facilmente concludere che Webern, come Schönberg anni prima, suscitò alcune delle reazioni più negative in assoluto. Il suggello al supposto fallimento dell’esperienza dodecafonica in ambito senese fu probabilmente apposto dal compositore Renzo Massarani, che all’astrusità del Trio oppose l’assennatezza del linguaggio armonicoformale utilizzato dagli italiani: «[Il Trio] non ci piace né tanto né poco e neppure ci interessa perché per noi latini e gente di buon senso questo genere è arabo»109. Certamente, il linguaggio dodecafonico adottato negli anni Venti dai più importanti esponenti della scuola viennese non contribuì, specialmente ai primi ascolti, a incoraggiare un atteggiamento collaborativo da parte della critica italiana. Nondimeno, l’aperto biasimo contenuto nelle reazioni sia alla Serenade sia al Trio fa supporre che, anche in presenza di spiegazioni più dettagliate da parte di Schönberg e Webern, il tono della stampa difficilmente sarebbe stato modificato. . . 106 . 107 . 108 . 109 . 104 105 La tribuna 1928b. Ibidem. Bollettino bibliografico musicale 1928b. La propaganda musicale 1928c, p. 5. La rassegna musicale 1928, p. 555. Musica d’oggi 1928, p. 343. 43 Davide Ceriani Secondo caso di studio: Jazzband di Wilhelm Grosz, The Daniel Jazz di Louis Gruenberg e Façade di William Walton Tra le decisioni più importanti della commissione che selezionò il repertorio da eseguire al festival SIMC di Venezia vi fu quella d’includere brani contenenti riferimenti stilistici al genere jazzistico. Uno di questi fu Jazzband per violino e pianoforte del compositore austriaco Wilhelm Grosz, allora poco più che trentenne; l’altro fu The Daniel Jazz per voce e otto strumenti (clarinetto, tromba, pianoforte, percussioni e quartetto d’archi) dell’americano (ma russo di nascita) Louis Gruenberg, già quarantenne nel 1925 e autore d’innumerevoli lavori vocali e orchestrali. Il fatto che la quasi totalità dei recensori della rassegna modernista disapprovasse questa scelta non deve far pensare al jazz come un genere privo di simpatizzanti in Italia; al contrario, fin dai primi anni Venti, compositori d’età diverse e con esperienze professionali fra le più varie avevano scritto musiche ispirate a questo repertorio. Tra i nomi più celebri vi sono quelli di Alfredo Casella e Virgilio Mortari con i loro Fox-Trot, e di Franco Casavola con le allusioni stilistiche utilizzate nel balletto Hop-Frog110. Casavola, fervente futurista, espresse il suo interesse verso il jazz in contributi nei quali collegava la portata innovativa di questa musica al movimento fondato da Marinetti. Nel 1924, per esempio, scrisse nel manifesto La musica futurista: «Il Jazz Band rappresenta oggi l’attuazione pratica […] dei nostri principi: la individualità del canto dei suoi strumenti […], la persistenza dei suoi ritmi, decisi e necessari, costituiscono la base della musica futurista»111. Anche Casella, nel 1929, proclamò il suo interesse per questo genere in un articolo intitolato ‘Il Jazz’ apparso su L’Italia letteraria — quinto di una serie dove il compositore discuteva alcuni degli aspetti salienti riguardo la musica negli Stati Uniti, paese nel quale si recò più volte nel corso degli anni Venti112. Tuttavia, altri importanti personaggi della scena culturale italiana quali il compositore Pietro Mascagni e l’esponente politico e culturale Guido Carlo Visconti di Modrone manifestarono la loro contrarietà al jazz, rilevando i pericoli della sua influenza sui giovani compositori italiani. In una dichiarazione del 1926, rilasciata a La tribuna, Mascagni notava: «Quando ascolto le orchestrine di ‘jazzband’, coi loro boati, miagolii, rumori brutali, provo una indicibile sofferenza. 110 . Il titolo completo del brano di Mortari è Fox Trot futurista per il Teatro della Sorpresa (si veda Lombardi 2009). Riguardo al balletto Hop-Frog di Casavola, si veda Colazzo 2005. 111 . Casavola 1924 citato in Ianniello 2010, p. 58. 112 . Casella 2001. Quest’articolo rappresenta uno dei pochi casi d’approccio sistematico e analitico nell’interpretare correttamente il fenomeno del jazz: si veda Cerchiari 2003, pp. 114117. 44 Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti Oh, quell’uomo con la pipa […] cioè il saxofono che cerca di emettere la voce degli animali più ignobili!»113. In un’altra intervista di poco successiva al Corriere della sera, il compositore ribadiva che «i Governi di tutto il mondo dovrebbero vietarlo [il jazz] come vietano l’oppio e la cocaina, perché questa musica è per lo spirito quello che oppio e cocaina sono per il corpo»114. Pochi anni dopo, nel 1929, Visconti di Modrone avrebbe rincarato la dose arrivando a chiedere misure repressive contro il jazz: Eppure oggi, in pieno fascismo, noi, che possediamo un patrimonio musicale che è fra tutti quelli dei popoli civili indubbiamente il più ricco ed il più vario […] ci siamo rassegnati a riconoscere […] il predominio della musica selvaggia dei negri […]. Bisogna reagire contro il jazz-band, come si è reagito contro la cocaina. Ma chi deve intraprendere questa crociata? La Chiesa, la Stampa, gli Istituti di educazione, in genere l’opinione pubblica? Non basta; ci vogliono provvedimenti coercitivi, quali solo il Governo può adottare115. Questi commenti indicano che la polarizzazione a favore o contro il repertorio jazzistico difficilmente avrebbe favorito un approccio misurato e analitico, anche da parte della stampa più avveduta. Come ha giustamente rilevato Luca Cerchiari, la critica italiana fu impreparata a rispondere alle sollecitazioni provenienti da questo nuovo genere, arrivando a confondere lo stile con il mezzo: «Si pensi solo a come, su quasi tutte le riviste di varietà, di musica, d’arte e sui quotidiani nazionali, il jazz sia confuso, per tutti gli anni Venti, con il suo organico strumentale, venendo erroneamente denominato Jazz Band»116. I commenti riguardo ai pezzi di Grosz e Gruenberg, nonché quelli relativi alla Façade di William Walton eseguita nel 1928 a Siena, confermano ampiamente la modesta competenza di molti recensori, talvolta unita a pregiudizi che caratterizzavano il jazz come una musica chiassosa e umoristica. Il fatto che questo genere avesse influenzato, negli anni successivi al primo conflitto mondiale, il repertorio colto rese probabilmente i recensori italiani più conservatori, ancora più sospettosi nei confronti di queste contaminazioni117. Il caso di Grosz è emblematico di questo desiderio, da parte delle nuove generazioni di compositori, di confrontarsi con l’innovativo idioma jazzistico: già allievo di Franz Schreker all’Accademia di musica di Vienna e di Guido Adler . . 115 . 116 . 117 . 113 114 La tribuna 1926. Corriere della sera 1926. Si veda anche La propaganda musicale 1928a. Il giornale d’Italia 1929. Cerchiari 2003, p. 53. Cook 1988. 45 Davide Ceriani all’Università della stessa città, Grosz si dedicò alla direzione e alla composizione di opere e operette nella prima metà degli anni Venti, oltreché lavorare come pianista. Questo curriculum di tutto rispetto non gli impedì d’allargare i propri interessi verso la musica d’oltreoceano, creando così quel Jazzband che fu presentato nel corso del primo concerto al festival SIMC di Venezia. In un intervento che condannava impietosamente la quasi totalità dei nuovi lavori eseguiti nella città lagunare, Michele Lessona si chiedeva, retoricamente, dove potersi rivolgere per ascoltare «qualcosa di più e di meglio» dei brani che a suo parere facevano «uscire il massimo rumore possibile da un pianoforte o da un altro strumento»; la conclusione, scontata, era che il «furibondo Jazz Band [sic] per piano e violino di Wilhelm Grosz» non poteva offrire la risposta desiderata118. Ancora più sferzante il giudizio apparso su Il giornale d’Italia, dove il recensore additava il pezzo di Grosz come «musica a base di rumori e di cacofonie, o meglio, un oltraggio alla maestà dei timpani!»119. Nello stesso articolo, l’anonimo recensore qualificava però come «inevitabile» la presenza del brano di Grosz, implicando che un genere così popolare come il jazz dovesse avere una rappresentanza in una rassegna modernista e internazionale com’era quella della SIMC. Non migliore fortuna ebbe l’altro pezzo influenzato dal linguaggio jazzistico in programma a Venezia, The Daniel Jazz di Gruenberg su testo del poeta americano Vachel Lindsay120. Allievo di pianoforte presso il Conservatorio nazionale di New York in giovane età e poi, una volta trasferitosi a Berlino, di Ferruccio Busoni, Gruenberg iniziò a dedicarsi alla composizione grazie all’incoraggiamento di quest’ultimo. Tornato negli Stati Uniti allo scoppio della Prima guerra mondiale, fu tra i fondatori nel 1923 della League of Composers, un’organizzazione dedita alla divulgazione di musica contemporanea. La League of Composers favorì orientamenti neoclassici ma alcuni dei suoi membri, tra i quali Gruenberg, seguirono anche tendenze vernacolari con particolare attenzione al jazz121. Il compositore, infatti, dichiarò in questo periodo di voler scrivere brani che si rifacessero allo spirito americano e The Daniel Jazz (1924) è tra i risultati più rappresentativi di questa decisione122. Come accennato in precedenza, l’esito dell’esecuzione veneziana non fu tra i migliori sia per quanto riguarda la ricezione della critica sia in merito alla risposta del pubblico. Mentre Lessona parlò, senza dedicargli troppo spazio, di The Daniel Jazz come d’un «poemetto» riducibile . Gazzetta del popolo 1925a. . Il giornale d’Italia 1925a. 120 . Oja 2000, pp. 172-176. 121 . Mead – Ballard; si veda anche Oja 2000, pp. 186-190. 122 . Tra gli altri brani di questo periodo che contengono importanti riferimenti al linguaggio jazz vi sono Jazzberries per pianoforte e Jazz-Suite per orchestra (1925), Jazzettes per violino e pianoforte (1926), Jazz-Masks e Six Jazz Epigrams per pianoforte (1929). 118 119 46 Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti a «parodia», Federico Candida (all’epoca collaboratore di punta della rivista musicale Musica e scena) stese un duro editoriale contro questo lavoro, in forma di lettera aperta indirizzata al critico de Il giornale d’Italia Matteo Incagliati. Dopo aver menzionato «quell’aberrazione che si chiama jazz», Candida argomentava: Consoliamoci che il musicista [Gruenberg] non sia italiano, ma non consoliamoci affatto se nel cerchio dell’attività della nominata Corporazione [Delle Nuove Musiche] sia possibile che entrino manifestazioni di tanto esotismo e di perversa mentalità. Si trattava, è vero, di un Festival internazionale, ma ciò non basta e non doveva bastare a considerar tipo d’arte quel ch’è appena detrito123. A giudicare dalla stampa straniera, l’atteggiamento del pubblico fu altrettanto negativo. Uno dei problemi consistette nella difficoltà di far comprendere a una platea così composita, in termini di lingua e cultura, le sottigliezze delle tecniche utilizzate da Gruenberg e gli aspetti salienti del testo di Lindsay. Il cantante, tra l’altro, non fu probabilmente l’interprete ideale per questo compito, come osservò il critico del New York Times: «The now well-known Daniel Jazz […] has a humor and negro idiom that completely escaped the international crowd, and lacked genuine color in the rendition of an all-too English tenor»124. Forse per questo motivo, W. H. Haddon Squire notò sul Christian Science Monitor che «Vachel Lindsay’s jazz poem, to which the music really only plays a secondary role, reduced most of the audience to a laughter. This work must have been a Chinese puzzle to those who did not understand English, or perhaps one ought to say American»125. (Un commento simile era apparso poco prima sulle colonne del Daily Telegraph126.) Ai problemi d’analisi musicale si erano quindi aggiunti quelli riguardanti l’idioma verbale: è possibile che la commissione esaminatrice avesse sottovalutato quest’aspetto all’atto della selezione dei brani, ma è altrettanto vero che i critici chiamati a Venezia avrebbero potuto documentarsi almeno sul contenuto poetico del lavoro di Gruenber — cosa che, stando alle cronache, non avvenne. Osservazioni in negativo sul jazz tornarono, seppure con minore enfasi, in occasione del festival senese; in questo caso vi fu un unico brano, Façade di William Walton e Edith Sitwell, che aveva riferimenti al jazz, seppure non espliciti come i due presentati a Venezia. La Sitwell, ben conosciuta negli ambienti letterari britannici al pari dei suoi fratelli Sacheverell e Osbert, divenne . . 125 . 126 . 123 124 Il giornale d’Italia 1925c. New York Times 1925. Christian Science Monitor 1925. Daily Telegraph 1925. 47 Davide Ceriani amica di Walton nel periodo in cui il compositore frequentava l’Università di Oxford, alla fine degli anni Dieci; da quel momento i due instaurarono un duraturo rapporto di collaborazione artistica. Negli stessi anni la Sitwell scrisse una serie di poemi che nel 1922 sarebbero stati pubblicati presso la Favil Press sotto il titolo di Façade; Walton ne musicò alcuni per voce, flauto, clarinetto, sassofono, tromba, violoncello e batteria e, in questa versione, Façade divenne un successo internazionale. A una prima esecuzione privata nel gennaio 1922 ne seguì una pubblica nel giugno del 1923 presso la Aeolian Hall di Londra, che però non riscosse il successo sperato127. Nell’aprile 1926 vi fu un’altra performance, presso il New Chenil Galleries di Chelsea, in una nuova versione: non soltanto la parte della voce recitante fu offerta a un interprete, George Lambert, che valorizzò gli elementi ritmici dei poemi della Sitwell declamandoli con l’aiuto di un megafono, ma Walton arricchì il lavoro di nuovi numeri influenzati dal linguaggio jazzistico — un genere cui si era appassionato grazie alla professione di arrangiatore per una big band che si esibiva presso il Savoy Hotel128. Di poco successivo fu l’invito a presentare Façade a Siena, prontamente accolto anche grazie al lungo rapporto che univa Walton e i Sitwell con l’Italia: il loro primo viaggio sulla penisola risaliva, infatti, al 1920 e influenzò profondamente lo stile musicale del compositore129. La versione eseguita a Siena si avvalse di un sipario del pittore Gino Severini, il quale aveva sia decorato gli interni di un castello che il padre della Sitwell, George, aveva acquistato in Toscana sia curato la copertina e il frontespizio del volume pubblicato dalla Favil Press. Nella descrizione del critico Alberto Gasco, il sipario nascondeva gli esecutori alla vista del pubblico; su di esso era disegnata la facciata di un palazzo ai cui lati si trovavano due maschere, rispettivamente di Pulcinella e Arlecchino130. La loro presenza costituiva un naturale elemento di continuità nell’estetica di Severini in quegli anni, specialmente dopo la sua conversione al neoclassicismo e il suo interesse per i personaggi della commedia dell’arte, come professato nel saggio del 1921 Du cubisme au classicisme131. Nel mezzo della palazzina si apriva un arco attraverso il quale Lambert recitò, accompagnato dagli strumenti, i poemi della Sitwell. Ancora prima della musica, fu questa messa in scena e l’uso della lingua inglese a provocare sarcasmi e dubbi. Questi ultimi riguardavano la possibilità che . . 129 . 130 . 131 . 127 128 Neill 1978. Barringer 2010. Adams. La tribuna 1928c. Severini 1921. 48 Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti il pubblico italiano potesse cogliere almeno parte dei testi; come riportato dalla quasi totalità dei contributi, le parole furono, infatti, pressoché incomprensibili. I critici si concentrarono quindi sui caratteri fonico-musicali del testo declamato seppure, essendo il volume della Sitwell già celebre da qualche anno, essi avrebbero potuto reperirlo con relativa facilità e commentarne almeno parte dei contenuti132. Il sarcasmo, ben manifestato nell’articolo di Pannain, concerneva invece l’aspetto visuale della performance. Così si esprimeva il critico napoletano: Gli esecutori sono tolti alla vista degli spettatori, per mezzo d’un sipario sul quale sono dipinti la facciata d’una casetta con nel mezzo un buco da cui esce la voce del megafono ed ai lati due mostruosi pupazzi: un pulcinella e, se ben ricordo, un pierrot [sic]. Povero nostro vecchio defunto Pulcinella, di quanto mal non fu madre l’ammirazione che per te sposò la barbarica gente. Lessero il tuo nome nel Baedeker ed appresero la tua faccia di bianco e nero da le cartoline illustrate; e ciò bastò perché tu divenissi il luogo comune d’ogni pagliaccesca scempiaggine133. Innumerevoli interventi accostarono questo lavoro al repertorio jazzistico, specialmente grazie alla presenza di strumenti tipici per quel genere negli anni Venti. Si conferma quindi la teoria di Cerchiari menzionata in precedenza, secondo la quale il jazz era principalmente associato a un parametro — quello dell’organico strumentale — e, solo in seconda battuta, ad altri quali il ritmo o la melodia134. Procida, per esempio, commentò sulla timbrica utilizzata da Walton: E la musica? L’orchestrina (un vero jazz: flauto, clarinetto, saxofono, tromba, cello e una ben nudrita [sic] batteria) è al di là della facciata [ovvero, il sipario di Severini]. Accompagna, segue o guida non si sa bene, il declamato. Ecco tutto […]. Musica jazz, dunque. Spesso graziosa, a volte ricca di brio, in un sol momento delicata (Nella Serenata ad un elefante, nella quale saxofono e clarino mugolano nei bassi un comico onomatopeismo [sic]). Ma anche qui siamo in regime di caffè concerto. (I dischi grammofonici ci hanno resi famigliari i più reputati jazz americani non facilmente uguagliabili)135. 132 . Si veda l’intervento di Gasco in La tribuna 1928c: «Si noti che il poema […] è in lingua inglese e quindi, per il pubblico italiano, incomprensibile». 133 . La propaganda musicale 1928c, p. 6. Il Baedeker era una guida turistica pubblicata in Germania fin dal diciannovesimo secolo e nota per la sua estrema accuratezza. 134 . Si veda nota 116. 135 . Il mattino 1928d. 49 Davide Ceriani Pur con un tono complessivamente bonario, Procida definiva Façade come un brano compatibile col genere jazz ma qualitativamente non comparabile con l’originale; gradevole, quindi, ma privo di quella patente di artisticità che sembrava implicitamente riconoscere alle registrazioni provenienti da oltreoceano. Simili opinioni ma con toni meno amichevoli erano quelle di Adriano Lualdi, del compositore e direttore d’orchestra Ettore Desderi, e del critico del Corriere della sera Vittorio Nivellini, concordi nel definire Façade un lavoro che, nonostante gli echi jazzistici, non andava oltre le modeste caratteristiche del caffè concerto136. Ben più articolato Luigi Colacicchi: nonostante, nella prima parte del suo contributo sostenesse che in Façade «tutto si riduce a una declamazione accompagnata da una piccola orchestra di tipo jazzbandistico» e, con un tono canzonatorio paragonabile a quello di Pannain, accennasse al fatto che «a rendere completo tale spettacolo di varietà, ci voleva una buona dozzina di girls sgambettanti», nella sezione successiva metteva in chiaro come l’ambiguità stilistica della parte vocale era quanto l’avesse realmente disturbato137. Scriveva il critico: Tale problema non potrebbe essere che quello ormai decrepito dei rapporti fra suono strumentale e suono vocale, e sempre al dannato scopo di soppiantare il canto, il bel canto nostrano spiegato e alato. Con Façade […] non si può [fare] a meno di constatare che il declamato, quando non sia puramente parlato, ha delle tendenze che specie noi latini, non possiamo non considerare pericolose138. Come ulteriori prove di questa tendenza, Colacicchi menzionava il Pierrot lunaire (pur senza citarne esplicitamente il titolo) e il Voice Band di Burian. Queste similitudini fecero breccia anche in un altro autorevole esponente della critica come Liuzzi, il quale parlò di Façade e del Voice Band come di «attrazioni» e di «arte da cabaret»: lavori cui non si poteva elargire, in definitiva, la patente di legittimità artistica139. A causa dell’estrema eterogeneità stilistica del lavoro di Burian non fu possibile, da parte dei recensori, utilizzare l’etichetta di ‘composizione jazz’ com’era stato fatto per Walton. Quest’autore fu quindi associato al suo collega Alois Hába non per ragioni di natura musicale, quanto piuttosto d’ordine geografico; essi individuarono la scuola moderna cecoslovacca come una fucina d’idee nuove, seppure non particolarmente apprezzate. . . 138 . 139 . 136 137 Corriere della sera 1928c; Il resto del Carlino 1928d; La stampa 1928b. Il popolo di Roma 1928c. Ibidem. Nuova antologia 1928, p. 405. 50 Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti Terzo caso di studio: Le tecniche microtonali di Alois Hába e il Voice Band di Emil Burian Negli anni immediatamente successivi alla Prima guerra mondiale, alcuni compositori d’avanguardia del neonato stato cecoslovacco decisero d’imprimere un’accelerazione in senso modernista alla cultura musicale del loro paese. Tra i più audaci nel perseguire queste sperimentazioni vi furono i fratelli Hába — Alois e Karel — ed Emil Burian. Entrambi i fratelli Hába si dedicarono alla creazione di lavori microtonali, ma il più anziano dei due (Alois era nato nel 1893, Karel nel 1898) è a tutti gli effetti l’ideatore del nuovo sistema basato sui quarti, sesti e dodicesimi di tono; Karel fu semplicemente un seguace del fratello. L’interesse di Alois per un tale innovativo repertorio si manifestò in giovane età, quando fu esposto alla tradizione folclorica vocale della Valacchia morava, la quale fa uso d’intervalli più brevi del semitono. Nel corso degli studi formali a Praga, Vienna e Berlino (rispettivamente con Vítězslaw Novák, Franz Schreker e Ferruccio Busoni), Alois Hába concepì gli strumenti per quarti e sesti di tono che l’avrebbero reso celebre, ma attese il suo definitivo ritorno a Praga nel settembre 1923 per iniziare a costruirli. Qui creò un dipartimento di studi microtonali presso il locale conservatorio e, nel 1935, fu tra gli organizzatori del festival SIMC tenuto nella capitale cecoslovacca. Il lavoro di fabbricazione di tali strumenti lo tenne impegnato per quasi vent’anni, dal 1924 al 1943; in particolare, tra il 1924 e i primi anni Trenta creò tre diversi tipi di piano e un harmonium per quarti di tono; i brani presentati a Siena, scritti fra il 1923 e il 1927, furono eseguiti su questi strumenti140. Un altro giovane e innovativo compositore cecoslovacco (classe 1904) invitato a presentare i suoi lavori nella città toscana fu Burian. Artista versatile, egli si dedicò a vari generi nel corso della sua carriera; negli anni Venti si concentrò soprattutto sulla musica folcloristica e sul jazz, organizzando tra l’altro eventi teatrali e di musica contemporanea141. Il suo complesso per l’esecuzione di cori parlanti, da lui stesso chiamato Voice Band, riscosse un discreto interesse in patria; non altrettanta fortuna ebbe il concerto-dimostrazione al festival SIMC del 1928, anche se i commenti dei critici italiani furono certamente più benevoli di quelli ricevuti da Hába. Nella sessione dedicata alla musica microtonale, Hába presentò due brani per pianoforte solo (una Fantasia e una Suite) e uno per pianoforte e viola (un’altra Fantasia); scrisse anche una nota dove esponeva i suoi convincimenti riguardo alle potenzialità del sistema microtonale. Il critico Bruno Revel . Whitman 1967; Vysloužil; Clapham. . Bek. 140 141 51 Davide Ceriani trascrisse per intero la nota, scritta in terza persona, di cui si riportano i passaggi salienti: Se noi consideriamo lo svolgimento della musica come una corrente di sviluppo culturale in marcia dall’oriente all’occidente, noi notiamo che la ritmica e il sistema tonale nella musica dell’Europa occidentale sono giunte a un periodo di rigidità […]. La musica del quarto di tono del xx secolo significa in Europa l’inversione dello svolgimento della musica; dall’occidente all’oriente. La musica del quarto di tono rappresenta la adozione di quanto ancora vivamente attivo nella musica d’oriente […]. Nella musica di Alois Hába, tutte le voci, durante un intero pezzo, portano sempre dal principio alla fine, un contenuto melodico nuovo. Anche le forme musicali sono nuove e indipendenti nella loro struttura dai tipi di forma della musica classica […]. Il nuovo timbro e la nuova nervatura di forma pretendono però assai dall’ascoltatore142! Sulla base dei contributi raccolti si può asserire che Hába pretese troppo dai recensori convenuti a Siena ma che, allo stesso tempo, questi ultimi concessero assai meno del minimo che il compositore cecoslovacco si sarebbe aspettato; i commenti, infatti, furono ancora più impietosi di quanto non lo fossero stati per gli esponenti della Seconda scuola viennese. Desderi, per esempio, descriveva la tecnica propugnata dal musicista come un esempio di «pseudo-musica amorfa e incolore» ma, in compenso, tentava almeno di discutere i tre pezzi di Hába sotto il profilo analitico — uno sforzo cui si era raramente assistito fino a quel momento. Il critico così riassumeva il suo punto di vista: «Con questo sistema si giunge, attraverso una diluizione del cromatismo, ad una sfumatura dei contorni melodici ed ad una attenuazione dei rapporti armonici, il che non può condurre a nulla di buono»143. Questo riferimento all’incerto profilo motivico tornò in modo ricorrente, probabilmente a causa del passaggio in cui Hába parlava del «contenuto melodico nuovo» dei suoi lavori. Colacicchi, per esempio, definì l’esperimento «fallito» nel suo complesso, e i brani presentati come «tentativi che per ora non superano il campo dell’acustica musicale»; il «contenuto melodico nuovo» era soltanto nelle intenzioni dell’autore e il risultato si riduceva quindi a una «esasperante uniformità»144. Liuzzi proseguiva sulla stessa linea: dopo aver parlato di «desolata malinconia» e di «lugubri esercitazioni», il musicologo terminava asserendo che «neppure due fra le tante note somministrateci dallo Hàba apparvero concepite secondo una necessità . Bollettino bibliografico musicale 1928a, pp. 41-42. . La stampa 1928b. 144 . Il popolo di Roma 1928b. 142 143 52 Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti melodica alla quale i famosi quarti di tono dovessero o potessero corrispondere: onde l’azione effettiva dei nuovi intervalli si limitò ad un fluttuante oscillare dell’intonazione generale dei pezzi»145. Se questi commenti, per quanto negativi, lasciano almeno intravedere la volontà di discutere aspetti specifici della produzione di Hába, altri (la maggioranza) non andarono oltre lo scherno. A causa di ciò fu impossibile per i lettori farsi un’idea dei risultati prodotti dalla tecnica microtonale e, soprattutto, in cosa realmente essa consistesse. Procida, per esempio, si limitò a definire Hába un «seviziatore» e la sua musica come il risultato di «elucubrazioni paradossali»146; Gasco parlò del «famigerato» compositore cecoslovacco come di qualcuno che aveva «inflitto tormenti iniqui» all’auditorio147; Pannain lo definì «invasato» e, superficialmente, concluse: «il suo pianoforte a quarti di tono è niente di più che un pianoforte scordato e la sua prolissa ed inutile musica si riduce ad una solenne rottura di scatole»148. Per quanto negativa potesse essere stata l’esperienza di questo stimato novero di commentatori, evitando ogni accenno a spiegazioni analitiche, ognuno di loro ridusse le proprie opinioni a semplici battute di dubbio spirito. L’insuccesso dell’esibizione e l’approccio poco professionale dei recensori furono due dei fattori che contribuirono all’eclissarsi di queste pratiche sperimentali sulla penisola per gli anni a venire. Anche se Hába continuò le sue ricerche in patria, non sono note, almeno nel periodo immediatamente successivo all’esibizione senese, performance di musica microtonale da parte di questo compositore o d’altri seguaci delle sue tecniche. Il lavoro di Burian, che consisteva in un gruppo di otto fra cantanti ed esecutori al pianoforte e alle percussioni, non fu trattato con lo stesso atteggiamento di dileggio misto a irritazione riservato ai quarti di tono di Hába. Certo, i commenti ambigui o addirittura negativi non mancarono: in molti, per esempio, parlarono di un numero che aveva ispirato ilarità senza però chiarire se questo termine dovesse essere inteso in modo ostile o favorevole, mentre altri sembrarono suggerire che si dovesse derubricare il Voice Band a semplice numero di varietà, com’era successo per la Façade di Walton. Due dei critici musicali più conservatori, Desderi e Procida, arrivarono a equiparare le tecniche di Burian allo sprechstimme di Schönberg; il loro scopo era sostenere che queste due pratiche vocali avevano segnato un momento di declino nella storia della musica occidentale dal quale, invece, gli italiani erano usciti immuni. In altri recensori, al contrario, il Voice Band stimolò un apprezzabile interesse grazie alle applicazioni che esso . . 147 . 148 . 145 146 Nuova antologia 1928, p. 405. Corsivo nell’originale. Il mattino 1928d. La tribuna 1928b. La propaganda musicale 1928c, p. 6. 53 Davide Ceriani poteva apportare, tra le altre, alle tecniche di recitazione teatrale. Un aspetto positivo è che molti fra i commentatori prestarono considerevole attenzione alle premesse teoriche formulate da Burian, delle quali Revel fu ancora una volta fedele trascrittore: Con le prove del Voice-band io vi conduco nel mondo dell’astratto. Voi non ascolterete qui né l’abituale combinazione di toni e mezzi toni, né la costruzione diatonica dei classici e neppure la cromatica dei romantici […]. Il Voice-band è un organismo giovane per espressione e per forma, e deve la sua esistenza al coro drammatico degli antichi Greci, al cerimoniale di rito degli Indiani e dei Cinesi, alla musica primitiva dei Negri, al Jazz ed infine al coro realistico di recitazione […]. Il Voice-band rigetta tutta la musicalità dei cori per canto e, sulla base del ritmo della parola e della melodica della parola, si costruisce la sua musicalità propria speciale, traendola da elementi primitivi. Lo individualizzano per ora il suono crudo, quasi naturalistico e il ritmo nella sua maniera più primitiva149. Colacicchi, per esempio, apprezzava la molteplicità dei riferimenti culturali di questa nota teorica ma osservava altresì che, alla chiarezza del programma innovativo in essa contenuta, non corrispondeva un linguaggio musicale altrettanto accessibile: «Peccato però che non sempre il risultato di siffatto procedimento sia musicale, ed allora l’accozzaglia di suoni e di rumori ci porta ben lontani dall’ambiente in cui l’audizione si svolge»150. Anche De Rensis citava parti di questa introduzione scritta come elemento necessario per comprendere appieno il senso della performance del Voice Band, seppure riconoscesse onestamente di non poter verificare la presenza di così tanti riferimenti musicali; in ogni caso, a suo parere, l’influenza del jazz era quella più facilmente identificabile151. Altri recensori manifestarono un’ampia varietà di vedute riguardo alla performance musicale: le più sfavorevoli furono indubbiamente quelle di Desderi, per il quale Burian aveva creato effetti «risibili, ancor più che grotteschi»152, e di Procida, per il quale il Voice Band «non aveva nulla a che fare con la musica»153. Entrambi coglievano l’occasione per includere il Pierrot lunaire nel loro ragionamento, accomunandolo con il Voice Band e argomentando che gli esperimenti vocali di Burian e di Schönberg si trovavano agli antipodi . . 151 . 152 . 153 . 149 150 Bollettino bibliografico musicale 1928a, pp. 42-43. Il popolo di Roma 1928b. Il giornale d’Italia 1928b. La stampa 1928b. Il mattino 1928c. 54 Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti di quanto proposto dai compositori italiani154. Procida, per esempio, osservava che «per fortuna in Italia le cose procedono assai diversamente, ché il popolo è ben sano e aborre da ogni sorta di contaminazione e degenerazione estetica»155; Desderi optava invece per un approccio storico, seppure discutibile, mettendo a contrasto le tecniche di Burian e di Schönberg con il recitar cantando di Giulio Caccini. Il compositore e direttore concludeva che la presunta evoluzione del genere vocale degli ultimi anni era stata in realtà un’involuzione e, per sillogismo, che lo stile di canto preferibile era quello inventato dagli italiani156. Più sfumate erano le posizioni di quei critici che vedevano nel Voice Band un genere umoristico, influenzato a tratti dal jazz come già notato da De Rensis. Lualdi descriveva la composizione di Burian come un lavoro «con qualche complicazione di arsenale da jazz, creato e diretto dal compositore della, diremmo, musica più curiosa e comica che si possa immaginare»157; più meditata la posizione di Gasco, il quale sosteneva che «ascoltando questo jazz vocale si ride a crepapelle, dapprima, poi vien fatto di domandarsi se esso non racchiuda gli elementi di una nuova arte canora e perciò la si ascolta con interesse sempre crescente»158. Toni descriveva il Voice Band come un «‘recitar cantando’ a diverse parti, in consonanze più o meno perfette, e più recitativo che cantabile con accompagnamento di Jazz band»159 e, infine, De Rensis equiparava il lavoro di Burian a un intrattenimento leggero con risvolti potenzialmente positivi nel lungo termine: «Può darsi che simile tentativo — specie quando le voci s’intrecciano ai suoni del Jazz — esuli dal campo strettamente artistico e varchi le tavole del Varietà; ma è certo che esso merita ogni considerazione e che, in seguito, può determinare contributi e sviluppi imprevisti ed utili»160. Queste applicazioni, secondo alcuni recensori, potevano estendersi all’ambito teatrale che era, tra l’altro, uno dei campi d’interesse di Burian. Così, ad esempio, Colacicchi riconosceva che «l’esperimento di Burian […] può rientrare nell’ambito del teatro drammatico e portarvi un suo contributo»161, 154 . Un altro critico che menzionò il parallelo fra le tecniche vocali di Burian e quelle di Schönberg fu Massarani, il quale scrisse che «Questo Voice Band […] è l’estremo limite del recitativo tedesco che da Wagner è passato a Strauss poi allo Schönberg del Pierrot Lunaire e dell’Erwartung». Si veda Musica d’oggi 1928, pp. 344-345. 155 . Il mattino 1928c. 156 . La stampa 1928b. 157 . Gazzetta del popolo 1928b. L’articolo fu anche riprodotto in Il resto del Carlino 1928c. 158 . La tribuna 1928a. 159 . Il popolo d’Italia 1928b. 160 . Il giornale d’Italia 1928b. 161 . Il popolo di Roma 1928b. 55 Davide Ceriani mentre Gatti annotava: «ci parve di assistere ad una vociferazione quale abbiamo conosciuto in certe commedie moderne»162. Quello che più colpisce dell’insieme degli articoli dedicati a Burian è la presenza di un tono più conciliante rispetto agli altri compositori analizzati in precedenza, ma a condizione che il suo Voice Band fosse considerato alla stregua d’un fenomeno non degno d’una seria disamina; solo la potenziale attinenza al settore teatrale poteva in qualche modo legittimarlo. Al contrario, come sostenevano Desderi e Procida, quando si toccava il terreno musicale, Burian aveva fornito l’ennesimo esempio di un decadimento che, a detta di questi recensori, non aveva comunque coinvolto l’Italia. Conclusioni Nei mesi immediatamente precedenti e successivi al festival SIMC tenuto a Siena, numerose pubblicazioni ospitarono interventi volti a celebrare l’impegno che Mussolini aveva dedicato, dall’inizio del suo mandato come presidente del consiglio, a sostenere e disciplinare il settore musicale in Italia163. Questi contributi rafforzarono la narrativa agiografica che il duce stava costruendo negli anni Venti e che, come dimostrato dai saggi di Luisa Passerini, Renzo De Felice e Luigi Goglia, porterà in breve tempo alla creazione di una mitologia mussoliniana, fondamentale per il consolidamento del regime164. Il dittatore demiurgo, capace per la prima volta dall’unità d’Italia di creare le premesse per attribuire alla musica il suo giusto valore nel più ampio quadro della cultura italiana, fu quindi molto apprezzato dalla comunità di compositori, esecutori, critici musicali e musicologi; la decisione d’appoggiare finanziariamente e moralmente i due festival SIMC poté solo irrobustire l’opinione già largamente positiva che tali categorie professionali avevano di lui. Questo culto della reputazione, tenacemente perseguito da Mussolini, ebbe i suoi effetti anche presso eminenti studiosi esteri come dimostrano le parole di ringraziamento al duce professate in pubblico e in privato da Dent. Riguardo all’atteggiamento tenuto dalla stampa, la varietà dei brani eseguiti alle rassegne di Venezia e Siena rende impossibile una valutazione d’insieme dei due festival; per questo motivo il presente contributo si è concentrato su . La rassegna musicale 1928, p. 555. . De Rensis 1927; Il popolo d’Italia 1928a; Rivista nazionale di musica 1928 (questo intervento fu pubblicato anche in Bibliografia fascista 1928); La propaganda musicale 1928d; La propaganda musicale 1929. 164 . De Felice 1983 e Passerini 1991. 162 163 56 Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti un particolare aspetto, cioè la ricezione da parte dei critici italiani di tre gruppi di compositori stranieri che rappresentarono tecniche, stili e generi tra i più importanti del repertorio musicale moderno. Gli articoli analizzati indicano chiaramente come molti di questi recensori si fossero recati ai due festival quantomeno prevenuti contro la dodecafonia, il jazz e altri linguaggi sperimentali non consoni alle loro vedute estetiche. L’aperta ostilità di questi interventi andò di pari passo alla deliberata volontà d’ignorare i metodi e i criteri che regolavano i repertori maggiormente disapprovati dai commentatori; è ragionevole ipotizzare che ogni tentativo d’approfondimento sarebbe stato percepito come una forma di legittimazione verso quegli stessi repertori e, soprattutto, nei confronti dell’organizzazione che si era spesa per allestire questi incontri — fosse essa la SIMC o la corrispondente sezione italiana CDNM. I festival SIMC tenuti in Italia negli anni Venti, quindi, conseguirono paradossalmente risultati opposti rispetto a quelli per i quali erano stati inizialmente concepiti: in primo luogo, una società musicale che proclamava l’importanza di promuovere un’agenda culturale internazionalista finì per rafforzare la reputazione di un dittatore e di un regime che professavano una visione diametralmente antitetica. Inoltre, al dettato della SIMC che prevedeva di «proteggere e incoraggiare specialmente quelle tendenze che sono sperimentali e di difficile approccio», la quasi totalità della critica italiana contrappose un linguaggio che fu alternativamente denigratorio o d’irrisione; un ipotetico lettore non presente ai due festival avrebbe potuto addirittura chiedersi se la musica presentata in quelle sedi fosse legittimata a essere eseguita165. In definitiva, il tentativo d’aprire l’ambiente musicale italiano a più vasti orizzonti, perseguito dalla CDNM e da Casella in particolare, si risolse in un insuccesso non certo per responsabilità del compositore, quanto piuttosto per la sistematica avversione di una consistente parte dei recensori di discutere seriamente alcuni dei lavori maggiormente in linea con quando professato dallo statuto della SIMC. . Zanetti 2004. 165 57 Davide Ceriani Appendice Programma del Festival della Società Internazionale di Musica Contemporanea tenuto a Venezia fra il 3 e l’8 settembre 1925166 Primo concerto Erwin Schulhoff (Cecoslovacchia, 1894-1942), Quartetto d’archi, Op. 25. Gabriel Fauré (Francia, 1845-1924), L’horizon chimérique per voce e pianoforte, Op. 118. Hanns Eisler (Germania, 1898-1962), Duo per violino e violoncello, Op. 7/1. Henry Eichheim (Stati Uniti, 1870-1942), Nocturnal Impression of Peking e Korean Sketch per orchestra da camera. Wilhelm Grosz (Austria, 1894-1939), Jazzband per violino e pianoforte. Heitor Villa-Lobos (Brasile, 1887-1959), Epigramas irônicos e sentimentais e Historietas per voce e pianoforte. Paul Hindemith (Germania, 1895-1963), Concerto da camera n. 2 per pianoforte e orchestra, Op. 36, n. 1. Secondo concerto Gaspar Cassadò (Spagna, 1897-1966), Sonata per pianoforte e violoncello nello stile antico spagnuolo. Samuil Feinberg (Russia, 1890-1962), Sonata per pianoforte n. 6, Op. 13. Zoltán Székely (Ungheria, 1903-2001), Sonata per violoncello solo. Max Butting (Germania, 1888-1976), Cinque pezzi per quartetto d’archi, Op. 26. Ladislav Vycpálek (Cecoslovacchia, 1882-1969), Tre liriche. Leós Janáček (Cecoslovacchia, 1854-1928), Quartetto d’archi n. 1. Terzo concerto Erich Wolfgang Korngold (Austria — poi naturalizzato statunitense —, 1897-1957), Quartetto d’archi n. 1, Op. 16. Jacques Ibert (Francia, 1890-1962), Due movimenti per due flauti, clarinetto e fagotto. Arthur Honegger (Svizzera, 1892-1955), Sonata per violoncello e pianoforte, H. 32. Albert Roussel (Francia, 1869-1937), Joueurs de flûte, quattro pezzi per flauto e pianoforte, Op. 27. Maurice Ravel (Francia, 1875-1937), Tzigane per violino e pianoforte. Vittorio Rieti (Italia — poi naturalizzato statunitense —, 1898-1994), Sonata per flauto, oboe, fagotto e pianoforte. Quarto concerto Mario Labroca (Italia, 1896-1973), Quartetto d’archi n. 1. Artur Schnabel (Austria, 1882-1951), Sonata per pianoforte. Ralph Vaughan Williams (Inghilterra, 1872-1958), Merciless Beauty per voce, due violini e violoncello. Arnold Schönberg (Austria, 1874-1951), Serenade, Op. 24. Quinto concerto Karol Szymanowski (Polonia, 1882-1937), Quartetto d’archi n. 1, Op. 37. 166 . L’elenco contiene solo i brani moderni, approvati dalla commissione selezionatrice; sono quindi esclusi quelli di musica antica, eseguiti come contorno alla manifestazione della SIMC. 58 Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti Gian Francesco Malipiero (Italia, 1882-1973), Le stagioni italiche per canto e pianoforte. Carl Ruggles (Stati Uniti, 1876-1971), Angels per sei trombe. Igor Stravinsky (Russia — naturalizzato francese e poi statunitense —, 1882-1971), Sonata per pianoforte. Louis Gruenberg (Stati Uniti — di origini russe —, 1884-1964), The Daniel Jazz per voce e piccola orchestra, Op. 21. *** Programma del Festival della Società Internazionale di Musica Contemporanea tenuto a Siena fra il 10 e il 15 settembre 1928167 Primo concerto Vincenzo Tommasini (Italia, 1878-1950), Quartetto d’archi n. 2. Karel Hába (Cecoslovacchia, 1898-1972), Sonatina per flauto e pianoforte, Op. 13. Paul Hindemith (Germania, 1895-1963), Suite per pianoforte, Op. 37. Maurice Ravel (Francia, 1875-1937), Sonata per violino e pianoforte n. 2. Alexander von Zemlinsky (Austria, 1871-1942), Quartetto d’archi n. 3. Concerto-dimostrazione Alois Hába (Cecoslovacchia, 1893-1973), Fantasia per pianoforte, Op. 27; Fantasia per viola e pianoforte, Op. 32; Suite per pianoforte, Op. 23. Emil František Burian (Cecoslovacchia, 1904-1959), Voice Band, musica su poemi di: Corrado Curcio, Lento e Con fuoco; Heinrich Heine, Der Arme Peter; Guillaume Apollinaire, Il pleut; Hilaire Belloc, The Python; Konstantin Biebl, Tango; Jaroslav Seifert, Charleston. Secondo concerto Frank Bridge (Inghilterra, 1879-1941), Quartetto d’archi n. 3, H. 175. Heinz Tiessen (Germania, 1887-1971), Duo per violino e pianoforte, Op. 35. Anton von Webern (Austria, 1883-1945), Trio per violino, viola e violoncello, Op. 20. Manuel de Falla (Spagna, 1876-1946), Concerto per clavicembalo e cinque strumenti. Robert Blum (Svizzera, 1900-1994), Musica per otto strumenti (flauto, oboe, fagotto, tromba, violino, viola, violoncello, contrabbasso). Audizione William Walton (Inghilterra, 1902-1983). Façade su poemi di Edith Sitwell e sipario di Gino Severini. Terzo concerto Bohuslav Martinů (Cecoslovacchia –— poi naturalizzato statunitense —, 1890-1959), Quartetto d’archi n. 2, H. 150. Franco Alfano (Italia, 1875-1954), Sonata per violoncello e pianoforte. Sergey Prokofiev (Unione Sovietica, 1891-1953), Quintetto per oboe, clarinetto, violino, viola, contrabbasso, Op. 39 (il pezzo non fu eseguito a causa del mancato arrivo degli spartiti). Ernest Bloch (Svizzera — poi naturalizzato statunitense —, 1880-1959), Quintetto per pianoforte e archi n. 1. . Ibidem. 167 59 Davide Ceriani Bibliografia Fonti primarie: articoli di periodici e quotidiani Bibliografia fascista 1928 Raeli, Vito. ‘Il duce e il fascismo per la musica’, in: Bibliografia fascista, iii/4 (1928), pp. 7-11. 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Questo saggio è riprodotto in Zanetti 1985, pp. 1610-1614. *** 65 Davide Ceriani Fonti primarie: volumi Casavola 1924 Casavola, Franco. La musica futurista: Manifesto futurista, Milano, Direzione del Movimento futurista, 11 dicembre 1924. Casella 1924 Casella, Alfredo. Arnold Schönberg ed il «Pierrot Lunaire», [Roma], Corporazione Delle Nuove Musiche, 1924, pp. 2-3. Casella 1941 Id. I segreti della giara, Firenze, Sansoni, 1941 (Documenti e testimonianze, 2). De Rensis 1927 De Rensis, Raffaello. Mussolini musicista, Mantova, Paladino, 1927 (Mussolinia: biblioteca di propaganda fascista, 25). Mussolini 1956 Mussolini, Benito. Opera omnia, a cura di Edoardo e Duilio Susmel, 44 voll., Firenze, La Fenice, 1951-1980, vol. xix, 1956. Severini 1921 Severini, Gino. Du cubisme au classicisme: Esthétique du compas et du nombre, Paris, Povolozky, 1921 (Les esthétiques anciennes et modernes). *** Fonti secondarie168 Adams Adams, Byron. ‘Walton, William’, in: Grove Music Online: Oxford Music Online, <http:// www.oxfordmusiconline.com.>, consultato il 27 dicembre 2016. Barringer 2010 Barringer, Tim. ‘Façades for Façade: William Walton, Visual Culture and English Modernism in the Sitwell Circle’, in: British Music and Modernism, a cura di Matthrew Riley, Farnham (UK)-Burlington (VT), Ashgate, 2010, pp. 135-140. Bek Bek, Josef. ‘Burian, Emil František’, in: Grove Music Online: Oxford Music Online, <http:// www.oxfordmusiconline.com.>, consultato il 25 gennaio 2017. 168 . Questo elenco include testi di Alfredo Casella originariamente pubblicati per L’Italia letteraria (1929) e per il Christian Science Monitor (1925) ma adesso reperibili in recenti edizioni critiche dei suoi scritti. 66 Mussolini, la critica musicale italiana e i festival della SICM in Italia negli anni Venti Bernardoni 2003 Bernardoni, Virgilio. ‘Trascrivere e assimilare: Strategie caselliane di confronto con la musica europea’, in: Alfredo Casella e l’Europa: Atti del convegno internazionale di studi (Siena 7-9 giugno 2001), a cura di Mila De Santis, Firenze, Olschki, 2003, p. 195. Biguzzi 2003 Biguzzi, Stefano. L’orchestra del duce: Mussolini, la musica e il mito del capo, Torino, UTET, 2003, p. 16. Casella 2001 Casella, Alfredo. ‘La musica negli Stati Uniti v. Il jazz’, in: L’Italia letteraria, 1 settembre 1929, pp. 5-6. In seguito pubblicato in Casella, Alfredo. 21+26, a cura di Alessandra Carlotta Pellegrini, Firenze, Olschki, 22001 (Studi di musica veneta. 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