Quale società, quale sociologia?

Quale società, quale sociologia?
Idee per un manifesto editoriale
Una rivista di sociologia perché?
Il progetto di lavorare a una rivista di sociologia viene disegnato da un gruppo
di ricercatori che si dedica da tempo allo studio teorico ed empirico delle dinamiche sociali su una scala europea adottando una prospettiva analitica per la
quale l’intreccio tra società e politica ha una valenza esplicativa di forte significato. Il gruppo, nel corso di questi anni, si è aperto naturalmente verso l’esterno
e continuerà a farlo, ma esiste un nucleo fondatore che ha avviato il progetto
della rivista e che firma questa nota editoriale introduttiva. La firma è di: Gianfranco Bettin Lattes, Lorenzo Grifone Baglioni, Carlo Colloca, Stella Milani,
Andrea Pirni, Luca Raffini, Anna Taglioli, Lorenzo Viviani. Il gruppo ha le
sue radici istituzionali ed il suo laboratorio di studio prediletto nel Centro Interuniversitario di Sociologia politica dell’Università di Firenze (Ciuspo) dove è
impegnato in un programma di ricerche sul mutamento sociale e politico della
società contemporanea nei suoi molteplici aspetti. Il Centro – fondato nel 1987
da Luciano Cavalli1 – conduce studi su tematiche sociali e politiche di forte
attualità in seno alla comunità scientifica e alla società civile. I promotori della
rivista italiana di sociologia «SocietàMutamentoPolitica» (SMP) si sono, altresì,
dedicati, a partire dal 1995, all’analisi più in generale degli effetti sociali del
processo di europeizzazione, un tema che risulta a tutt’oggi poco praticato dalla ricerca sociologica italiana. Fra i principali filoni di ricerca ci sono lo studio
delle nuove generazioni di europei e delle trasformazioni della cultura politica
democratica2. La scelta di studiare i giovani è orientata dall’idea che l’Europa
Sulle numerose ricerche condotte da Cavalli sulla sociologia dei fenomeni politici e sulla
leadership politica si veda G. Bettin Lattes e P. Turi (a cura di), La sociologia di Luciano Cavalli,
Firenze University Press, Firenze, 2008.
2 Quali sono le chance europee di riproduzione della cultura politica democratica? A questo
interrogativo cruciale tentano di rispondere gli studi empirici sulle rappresentazioni della demo1 societàmutamentopolitica, issn 2038-3150, vol. 1, n. 1, pp. 1-17, 2010
2010 © Firenze University Press – www.fupress.com/smp
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società mutamentopolitica
di domani camminerà sulle gambe dei giovani d’oggi. I fondatori di SMP si dedicano, altresì, nell’ambito di una cornice metodologica omogenea, ad alcuni
temi interdipendenti: la relazione tra mutamento socio-territoriale e mutamento politico; le basi sociali della democrazia; le nuove forme della cittadinanza in
un quadro societario multiculturale; i partiti politici e la partecipazione sociale;
l’identità civica dei giovani e l’apatia politica; le rappresentazioni sociali e il
mondo dell’immigrazione; localismo e cosmopolitismo.
La rivista SMP collabora attivamente, oltre che con il Ciuspo, anche con il
dottorato in Sociologia con sede a Firenze, nella realizzazione di seminari di
studio e di convegni utili alla formazione dei dottorandi ed è in contatto con
network universitari europei, con cui da tempo è stata avviata una proficua collaborazione. Non è un caso che tutti i redattori abbiano conseguito il dottorato a
Firenze presso la Facoltà di Scienze Politiche «Cesare Alfieri» alla quale la rivista si sente idealmente ancorata, anche per il ruolo fondamentale che la facoltà
fiorentina ha svolto e svolge per la ricerca sociologica italiana e, soprattutto, per
aver coltivato una dimensione di studio che intreccia costantemente fenomenologia sociale e fenomenologia politica. Il radicamento istituzionale di un gruppo
è importante per spiegare la sua continuità di impegno e l’adozione di uno stile
di lavoro, ma questo elemento non è sufficiente per comprenderne le scelte tematiche e i progetti. Il gruppo è legato, infatti, a una visione comune di cosa sia
la sociologia maturata insieme nel tempo, una visione che è opportuno dichiarare qui in una forma articolata perché dà senso al progetto stesso della rivista.
crazia tra le nuove generazioni condotte dai ricercatori del Ciuspo che sono parte attiva di SMP,
prima in una chiave comparata nell’Europa mediterranea e poi a diversi livelli socio-territoriali.
Il riferimento qui è alla collaborazione intrapresa in relazione alla ricerca, promossa da un consorzio internazionale, dal titolo: Euyoupart. I giovani e la democrazia in Europa, che riguarda i giovani
di otto paesi europei (Austria, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia,
Slovacchia) e il loro rapporto con la politica all’inizio del nuovo secolo. L’impegno dei ricercatori
del Ciuspo è stato rivolto all’analisi delle ottomila interviste raccolte sul tema in questione e alla
pubblicazione di una monografia: I figli del disincanto. Giovani e partecipazione politica in Europa, Bruno Mondadori, Milano, 2007. L’obiettivo innovativo legato alle dinamiche di un’integrazione
transnazionale problematica ma ineludibile si sta manifestando in alcuni segmenti della società
civile europea e in alcune istituzioni fondamentali come l’università, dove i giovani sono gli attori
protagonisti, tramite processi di mobilità che rimescolano le appartenenze e pongono le basi
per un’Europa multiculturale. Il Ciuspo ha esplorato queste tematiche di frontiera; qui si possono ricordare la ricerca e la relativa monografia: Generazione Erasmus? L’identità europea tra vissuto
e istituzioni, Firenze University Press, Firenze, 2008 e il recente volume a cura di Andrea Pirni et
al., Tra il Palazzo e la strada. Gioventù e democrazia nella società europea, Rubbettino, Soveria Mannelli,
2008 nonché i lavori dedicati all’associazionismo e alle seconde generazioni di immigrati. A
questo tipo di studi si aggiunge l’approfondito esame di un topos classico della sociologia politica
comparata con il libro di Lorenzo Viviani, L’Europa dei partiti. Per una sociologia dei partiti politici nel
processo di integrazione europea, Firenze University Press, Firenze, 2009.
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SMP è uno strumento di comunicazione a disposizione della comunità
degli scienziati sociali per promuovere un dialogo e un confronto aperto. In
questa prospettiva si intende privilegiare l’apporto delle nuove generazioni di
sociologi impegnati nell’università e nelle diverse istituzioni di ricerca italiane
e straniere secondo una visione – tipica degli orientamenti del gruppo redazionale – che auspica collaborazioni interdisciplinari. La rivista intende adottare
tra le sue finalità primarie quella di contribuire non solo ad animare il dibattito
della comunità scientifica sociologica, ma anche alla diffusione della conoscenza sociologica tra gli studenti che seguono un percorso formativo nelle scienze
sociali. Una finalità che, sia detto tra parentesi, comporta l’adozione di un
linguaggio idoneo. L’attenzione ai giovani discende dalla consapevolezza che
sono i destinatari dell’offerta formativa, ma sono anche coinvolti nelle vicende
che a vari livelli ridisegnano il mondo dell’educazione e lo statuto della conoscenza. Oltre la metà della popolazione giovanile europea compie oggi studi
universitari ed entra in contatto con un’istituzione deputata alla trasmissione
della conoscenza, alla riflessione sui processi della società, alla preparazione
professionale in vista dell’ingresso nella vita adulta, ma soprattutto entra in
contatto con un’istituzione dove l’autonomia della ricerca e dell’insegnamento consente la libertà di un impegno creativo rivolto all’accrescimento e alla
condivisione del sapere. L’università è l’alveo nel quale si sviluppa la conoscenza scientifica, elemento chiave della società moderna, che caratterizza le
radici e l’unità dello spirito europeo e che si traduce in un modello cognitivo originale riconosciuto e utilizzato universalmente. L’università è il luogo
dell’insegnamento, ma allo stesso tempo è palestra di cittadinanza, di dialogo
e acquisizione della capacità critica per leggere la società in cui si è chiamati a
vivere e, in futuro, operare. Nella società tardo-moderna il dibattito si amplia
e investe non tanto il tema dell’autorità e della struttura dell’istituzione universitaria, ma mette in discussione la stessa posizione del sapere nel senso di
una reale democratizzazione della conoscenza e di una riflessione critica sulla
configurazione generale della società. La critica sociale oggi si estende fino a
comprendere la richiesta di un’inclusione dei cittadini nell’ambito dei processi
cognitivi mentre sorge una nuova identità in cui la vecchia idea di universitas viene insidiata dalla molteplicità delle nuove istituzioni cognitive e viene
progressivamente sostituita da una multiversitas che si fonda sull’eterogeneità e
sulla riflessività della conoscenza. L’università si trova perciò nella delicata posizione di elemento di snodo tra la società e i processi decisionali, luogo della
riflessività e della critica, istituzione cruciale per i processi di socializzazione e
di democratizzazione che ha nei giovani uno dei suoi interlocutori principali.
La nostra rivista, pertanto, intende promuovere un dibattito intergenerazionale fra i sociologi, coinvolgendo anche gli studenti al fine di favorire una
comunicazione tra forme diverse del sapere, tra la conoscenza sviluppata nel
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mondo accademico, le iniziative delle istituzioni e le strutture cognitive attive
all’interno della società. Un rapporto che diviene fondamentale nella società
contemporanea dove l’università deve assumere maggiormente la connotazione di uno spazio pubblico aperto al dibattito e di un’istituzione che si fa carico
di dare un contributo essenziale per la formazione di un buon cittadino, e
tramite questo un miglioramento continuo della qualità della democrazia.
La nostra immagine di sociologia
La sociologia è una forma di conoscenza con un oggetto specifico, orientata
da un metodo che ha una funzione politicamente corretta: svelare la società
e interpretare il suo mutamento. Questa finalità si realizza in concomitanza
con una configurazione del potere che, responsabilmente, reclama – forse meglio dovrebbe – reclamare dalla sociologia le conoscenze utili per assumere le
decisioni cruciali e implementarle a beneficio della collettività. La sociologia
non è una forma decadente di ideologia né tanto meno può ridursi ad essere,
come è avvenuto nei regimi totalitari, uno strumento di propaganda. Dunque
il rapporto delicato ma cruciale tra sociologia e potere è analogo a quello che
sussiste tra il potere e tutte le altre scienze. Il punto che sta a cuore al gruppo
fondatore di SMP è che la sociologia ha un suo metodo e che questo metodo ha
una sua valenza deontologica che va rispettata e coltivata. Perché ciò avvenga
è importante che il lavoro del sociologo si realizzi fuori da qualsiasi condizionamento che non sia quello del rigore dell’analisi. Fare sociologia nell’università pubblica significa beneficiare di questa garanzia di libertà che è uno dei
presupposti del fare buona sociologia. L’università ha un pubblico che è il punto
di riferimento imprescindibile del lavoro del sociologo – e ovviamente più in
generale di tutte le scienze politiche e sociali – in quanto lavoro formativo di
una coscienza civica criticamente matura. Contribuire a fare degli studenti dei
buoni cittadini in una società democratica e animata dalla partecipazione civica è sicuramente uno degli obiettivi della sociologia e dunque anche di questa
rivista che elegge gli studenti come uno dei suoi pubblici più importanti. Il
respiro della rivista parte da questa precisa esigenza formativa, ma non si pone
il limite ristretto della finalità didattica e come tale non si preclude di rivolgersi
alla più ampia comunità di sociologi, ricercatori delle scienze sociali, cittadini
critici, e infine personale politico in cerca di luoghi e temi di riflessione.
La migliore tradizione sociologica ci ha insegnato che uno dei compiti del
sociologo è quello di spiegare sia i problemi collettivi sia i problemi privati rivelando i condizionamenti sociali che questi problemi fanno insorgere. Questa
operazione di svelamento critico, che è un prerequisito della formazione alla
cittadinanza, si compie alimentando nel proprio pubblico l’immaginazione socio-
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logica di cui ci parlava Charles Wright Mills3 nel lontano, ma non lontanissimo,
1959. È appena il caso di precisare che questo orientamento non si traduce
certo in un atteggiamento di presa di distanza nei confronti della sociologia
professionale, anzi il gruppo redazionale ritiene che è proprio in una salutare
interdipendenza tra sociologia professionale e sociologia accademica che la
sociologia troverà la strada giusta per adempiere le sue finalità sia politiche
sia etiche più autentiche. Il punto chiave è che la sociologia è una scienza che
può dare il meglio di sé solo se opera in una società democratica di cui intende
approfondire la conoscenza per migliorarla.
La sociologia critica, alimentata da autori come Robert S. Lynd4 e Charles
Wright Mills, ha rivitalizzato sia teoricamente sia metodologicamente la nostra
professione, ma non può esaurirsi in sé stessa e soprattutto deve tener conto del
radicale, costante, complesso mutamento del contesto entro il quale operano i
sociologi del nuovo secolo. La transnazionalità incoraggia lo studio macro-sociologico e la comparazione e dunque apre nuove vie alla ricerca e dà un inedito
significato alla riflessione sociologica. La globalizzazione, nella sua complessa
multidimensionalità, obbliga la sociologia ad adottare delle lenti differenti dal
passato, perché sta corrodendo una delle unità di base preferite dalla sociologia: lo Stato-nazione. Ciò si traduce in una spinta alla sprovincializzazione del
lavoro del sociologo, ma ancor più nella necessità di rielaborare il suo apparato
categoriale costituito da strutture conoscitive e da un lessico non più idonei allo
studio di una realtà sociale in via di rapida complessificazione. Il processo di
trasformazione del lavoro del sociologo, tuttavia, non va sovradimensionato e
va affrontato con la giusta cautela. Il processo di globalizzazione è erratico e discontinuo nei suoi effetti e forse non irreversibile, lo Stato-nazione è in crisi, ma
è tutt’altro che in ginocchio, la comunità locale, infine, si è rafforzata nelle sue
potenzialità e la sua dignità come campo di ricerca è tutt’altro che scossa.
Un principio che orienta nel suo disegno SMP è che una sociologia che si
limiti alla descrizione dei processi sociali, all’interno di una definizione economicista della società globale, tradisce il suo ruolo di scienza critica. Globalizzazione, transnazionalizzazione e avvento della network society non configurano
una spazialità sociale «liscia», a livello globale, ma danno origine a nuove
forme di distinzione sociale, a nuove dinamiche di inclusione e di esclusione,
definite da confini di tipo culturale, la cui salienza non è inferiore a quella dei
tradizionali confini territoriali. Siamo con Alain Touraine quando ci ricorda che le nuove forme di marginalità trovano origine in una separazione tra
C.W. Mills, The Sociological Imagination, Oxford University Press, New York, 1959.
R. Lynd, Knowledge for What? The Place of Social Science in American Culture, Princeton University
Press, Princeton, 1939.
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mondo universale dei mercati e mondo particolare delle identità. La separazione tra questi due mondi comporta una corrosione della rappresentazione
socio-politica della vita sociale. Una sociologia «oltre la società» si ridefinisce,
oggi, proprio nella tensione tra sociologia dell’attore e sociologia del sistema, e
trova una sua ragione di essere nella riscoperta della dimensione sociale, quale
dimensione intermedia tra il mondo dell’appartenenza culturale e il mondo
della strumentalità. Nell’ambito dei processi di globalizzazione e di europeizzazione, la sociologia è chiamata a confrontarsi, nel contesto di una realtà sociale in profonda trasformazione, con gli interrogativi chiave che si ponevano
i padri fondatori, a partire da Weber e Durkheim al momento del passaggio
epocale dalla società tradizionale alla società moderna, a partire dalla definizione dell’integrazione sociale, quale tipo di solidarietà riflessiva che non si
riduce alla forma di integrazione calda offerta dall’appartenenza culturale e
all’integrazione fredda fondata sulla strumentalità. La risposta a questi interrogativi, nei padri fondatori, non si limitava a una speculazione teorica, ma si
fondava sull’incontro tra l’elaborazione di una teoria sociale di ampio respiro
e lo studio empirico dei fenomeni sociali, configurando la sociologia non come
una scienza meramente descrittiva, ma come una scienza critica e riflessiva.
Va detto, altresì, che la sociologia è scienza che studia il mutamento sociale
e che oggi, in particolare, la dimensione politica del mutamento merita un’attenzione specifica. I tentativi più recenti di declinare, in una forma adeguata,
la sociologia del mutamento muovono dalla problematizzazione della modernizzazione come processo e della società moderna come risultato difficile da
decodificare nella sua estrema complessità. Tuttavia, l’analisi del mutamento
sfocia ancora troppo spesso nella definizione di un progetto di trasformazione
– talvolta oscuro – più che nell’individuazione e nell’interpretazione del suo
divenire. Il mutamento per essere indagato richiede l’accertamento che lo stato
attuale della società sia storicamente differente dal precedente: in questo senso
è imprescindibile il riferimento al passato e al processo che mette in relazione
i diversi stati del fenomeno. Una buona sociologia deve alimentare la memoria
collettiva e contrastare la cultura ossessiva del presente: ciò significa che la sociologia deve essere il ponte tra passato e presente, ma altrettanto deve esserlo
tra presente e futuro dove, peraltro, può esprimere appieno la propria critica
della società. Postulare il passaggio dalla retrospettiva alla prospettiva sociologica
significa operativamente ritornare agli attori del mutamento e immaginare,
a partire dall’azione di questi, gli scenari che vanno configurandosi. Questo
orientamento tuttavia non richiede necessariamente un appiattimento sul passato, ma anzi auspica un rafforzamento metodologico della disciplina nella
direzione di alimentarne la valenza previsiva troppo di frequente sacrificata
in nome di una sociologia della contingenza che sembra andare a rimorchio
dei fatti sociali perdendo una visione d’insieme delle dinamiche trasformative
Quale società , quale sociologia?
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e non impegnandosi nel coglierne gli effetti perversi o virtuosi. Una buona
sociologia è la comprensione del mutamento, come legame e processo che
si pone fra società e politica, e che rappresenta l’universo conoscitivo a cui si
ispira la rivista, a partire dalla forza evocativa del nome scelto per il nostro
progetto editoriale, in cui il termine «mutamento» appare non a caso ciò che
tiene insieme le due dimensioni. Questo percorso è quello che la nostra rivista
intende riprodurre e sviluppare con umiltà e con determinazione.
Sociologie di ieri, sociologie di oggi
La fondazione di una rivista sociologica non può avvenire senza un confronto
sulla definizione della disciplina. Va detto che la comunità dei sociologi è oggi
sostanzialmente concorde nel rilevare la difficoltà di una definizione univoca
di ciò che è sociologia. Dalla concezione comtiana che le attribuiva il ruolo
di scientia scientiarum e, nel perorarne la scientificità la definiva come una fisica
sociale, la sociologia ha vissuto oltre un secolo di revisioni critiche sul proprio significato. E, tuttavia, nella riflessione teorica dei padri fondatori sono presenti
da subito, seppur in forma embrionale, quegli elementi di problematizzazione
che hanno poi trovato ampia trattazione nel dibattito interno alla disciplina.
Con Durkheim la sociologia individua il proprio dominio nei fatti sociali;
essi sono «manières d’agir e de penser», sono rappresentazioni, realtà caratterizzate da una «estrema immaterialità»5 che, tuttavia, come cose si sostanziano all’esterno delle coscienze individuali esercitando su queste una «influenza
coercitiva» tale da costituire un vincolo («contrainte») per l’agire6. La realtà
sociale è, pertanto, una realtà sui generis che si invera grazie al processo associativo e nella quale Durkheim riconosce un’interconnessione tra le strutture
sociali e le strutture cognitive mediata dai sistemi simbolici. In tal senso con la
prospettiva durkheimiana si inaugura nell’ambito sociologico un’ampia riflessione in merito alla riconfigurazione della solidarietà e del legame sociale nelle
società moderne con particolare riferimento al ruolo esercitato dalla dimensione simbolico-rappresentativa della realtà. Si tratta di un aspetto che assume
particolare centralità nella sociologia contemporanea nella quale l’analisi della dimensione simbolica della realtà sociale, e in particolare delle rappresentazioni sociali e del senso comune, diviene una chiave di lettura privilegiata per
lo studio dei processi di appartenenza e di identificazione.
É. Durkheim, Le regole del metodo sociologico. Sociologia e filosofia, Edizioni di Comunità, Milano,
1969, p. 92 [ed. orig. 1895].
6 Ivi, p. 17.
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Nella lezione simmeliana si riscontra invece, come è noto, una messa in discussione della categoria analitica di società che mostra una straordinaria attualità.
La sociologia di Simmel, seppur scarsamente condivisibile nelle sue implicazioni
più radicali di scienza formale, ha avuto il merito di evidenziare la rilevanza delle
dinamiche di interazione fino ad allora considerate minori. Ciò ha implicato un
rinnovato interesse per i processi sociali che si realizzano nell’interazione quotidiana oltre che un’estensione del campo di studi della sociologia; si pensi, ad
esempio, agli studi sul denaro, sulla moda, sulla vita nelle metropoli e sulla figura
dello straniero. Con Simmel, pertanto, l’intento della sociologia diviene quello
di procedere nella «scoperta dei tenui fili, delle relazioni minime tra gli uomini»;
si tratta di studiare quei «processi primari che creano la società dall’immediato
materiale individuale (e che) sono quindi da sottoporre a una considerazione formale accanto ai processi e alle formazioni superiori e più complicate»7.
E, ancora, nella prospettiva teorica di Max Weber si possono cogliere le
origini di almeno due delle questioni fondamentali attorno alle quali si snoda
la riflessione sociologica anche e forse soprattutto nella tarda modernità, vale
a dire: «come è possibile contemperare l’irriducibile singolarità individuale
e, congiuntamente, l’esistenza di una dimensione propriamente sociale?» e
«quale è lo scopo e la portata euristica di un’elaborazione teorica che si ponga come obiettivo quello di analizzare la realtà sociale?». Come è noto, con
Weber la sociologia è una scienza che «si propone di intendere, in virtù di
un procedimento interpretativo, l’agire sociale»8. Grazie alla doppia caratterizzazione dell’agire sociale – come agire soggettivamente intenzionato e
reciprocamente orientato – si delinea una prima articolazione della relazione
individuo-società che ne evidenzia la natura complessa e problematica e che
costituisce senza dubbio uno dei punti focali della successiva riflessione sociologica. Nella lezione di Weber è così già presente la consapevolezza di un
necessario abbandono delle concezioni olistiche tipiche dei primi paradigmi
sociologici, una consapevolezza che emergerà poi con tutta la sua evidenza
nelle elaborazioni teoriche del Secondo Dopoguerra. In sintonia con la prospettiva weberiana è la proposta di Robert K. Merton di adottare approcci teorici di medio raggio, vale a dire «teorie intermedie fra le ipotesi di lavoro che
si formulano abbondantemente durante la routine quotidiana della ricerca e
le speculazioni omnicomprensive basate su uno schema concettuale centrale,
da cui si spera di derivare un largo numero di uniformità di comportamento
sociale empiricamente osservabili»9. A nostro parere, oggi, una sociologia che
G. Simmel, Sociologia, Edizioni di Comunità, Milano, 1989, p. 21 [ed. orig. 1894].
M. Weber, Economia e società, Edizioni di Comunità, Milano, 1995, p. 40 [ed. orig. 1922].
9 R. Merton, Teoria e struttura sociale, il Mulino, Bologna, 1992, p. 13 [ed. orig. 1966].
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non si voglia confinare nelle specificità settoriali che hanno avuto largo sviluppo a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, è chiamata a far dialogare
la dimensione analitica microsociologica con le dinamiche macrosociologiche
pur nella necessaria consapevolezza che un’unica teoria generale della società
costituisce un traguardo utopico. Nello stesso tempo, oggi più che mai, in una
congiuntura di crisi della disciplina che reclama una seria innovazione nelle
categorie fondamentali, risulta velleitario aspirare a una teoria sociale generale di natura metastorica, perché darsi questa finalità significherebbe tradire il
senso del sapere sociologico contemporaneo.
*
Nel pluralismo teorico scaturito dal rifiuto delle teorie omnicomprensive tipiche
della fase nascente della sociologia si riscontrano, tuttavia, alcuni elementi di
sostanziale continuità e unitarietà su ciò che è il ruolo della disciplina e di coloro
che decidono di mettere la propria professionalità al suo servizio. La fine delle
grandi meta-narrazioni e la crisi delle ideologie alimentano un consenso diffuso
nel riconoscere la sociologia come un sapere che diventa strumento razionale
e responsabile per il governo e per la critica della società. Sociologia e società
moderna fioriscono e si sviluppano in sostanziale sincronia così che si ripropone
la questione del peculiare rapporto che la disciplina intrattiene con il proprio
oggetto di studio. Assumere la società come ambito problematico e come oggetto in movimento impone di contemperare la dimensione della problematicità
come dimensione costitutiva della disciplina sociologica stessa. Si tratta di un
aspetto che appare imprescindibile per una sociologia che non si voglia pensare
come uno specchio mero descrittore dello status quo, ma che al contrario eserciti
una funzione di analisi critica della realtà sociale, una funzione le cui implicazioni per lo sviluppo della democrazia sembrano evidenti. Se la sociologia contemporanea appare, come si è detto, un insieme composito di programmi scientifici,
una relativa unitarietà si può quindi riscontrare, oltre che nell’assunzione della
problematicità del suo oggetto di studi, anche facendo riferimento all’esperienza
di lavoro e all’impegno di chi si pensa come sociologo.
Nella prima modernità, lo Stato-nazione è il referente empirico politico primario della società; analizzare la società significa allora studiare sistemi sociali,
intesi come spazi territoriali, circoscritti da confini fisici e culturali, identificanti
un sistema politico, economico, culturale, i cui tratti è possibile comparare.
La ridefinizione delle pratiche sociali al di là dei confini, la ricomposizione
dell’esperienza sociale all’interno dei processi di compressione spazio-temporale, comportano il superamento di una concezione di società dai confini, non
solo territoriali, ben delimitati. I processi di globalizzazione e di europeizzazione non rappresentano solo un salto di scala nell’esperienza sociale degli indivi-
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dui, ma si accompagnano a processi di trasformazione qualitativa del concetto
stesso di società, determinando nuove forme di identificazione e nuove differenziazioni. De-socializzazione e de-istituzionalizzazione decretano, secondo
un’autorevole lettura, la «fine della società», o una sua riconfigurazione instabile e contingente, nei termini di una «società liquida», di una «società del
rischio» e dell’«incertezza», di una «società rete», in cui l’accento si sposta dalle
istituzioni ai flussi, dai confini alle reti, dall’ordine al dis-ordine.
Il processo di transnazionalizzazione chiede di ripensare la sociologia «oltre
la società»10, o, con un parossismo, «senza la società»11. Quale diventa il compito della sociologia a fronte di un superamento dell’idea di società «contenitore»? La risposta prevalente, anche in relazione alla sociologia dell’Europa,
è quella della specializzazione nello studio di specifici processi sociali. L’idea
sottostante a questo approccio è che lo studio delle forme di interazione sociale, a diversi livelli, lo studio delle forme organizzative, delle configurazioni istituzionali, compongono, insieme, un quadro analitico che forma lo studio della
società. Una risposta alternativa sottolinea la necessità, da parte della sociologia, di recuperare una dimensione di riflessione di ampio respiro, fondata sulla
problematizzazione dei suoi concetti chiave. Lo studio empirico dei fenomeni
sociali, e prima ancora, la costruzione di cornici interpretative idonee, diviene
uno strumento per l’elaborazione di nuovi scenari sociali e quindi parte attiva
della stessa costruzione della società, contribuendo all’esercizio della storicità.
Come ci insegna Touraine, il grado di consapevolezza di una società di essere
una costruzione sociale, un prodotto umano, è il vero primo passo per opporre
all’integrazione sistemica una forma di integrazione sociale12. In questo modo
una società cerca di riconquistare il proprio potere configurativo, a fronte di
quello che, nel contesto della globalizzazione neoliberista, si è affermato come
un discorso egemonico sulla società e sulla politica.
Il rapporto fra teoria e ricerca
La sociologia per il suo particolare oggetto di studio si trova frequentemente
di fronte a una domanda di coordinate teoriche e di prospettive di ricerca capaci di adattarsi al mutare della società. La teoria è lo strumento per generare
conoscenza e si caratterizza per la sua capacità esplicativa, vale a dire per
la quantità e per la qualità delle conoscenze generate, ma anche per la sua
J. Urry, Sociology Beyond Societies: Mobilities for the Twenty-first Century, Routledge, London,
1999.
11 A. Touraine, La ricerca di sé: dialogo sul soggetto, il Saggiatore, Milano, 2003 [ed. orig. 2000].
12 A. Touraine, La produzione della società, il Mulino, Bologna, 1975 [ed. orig. 1973].
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traduzione empirica ed applicazione metodologica. È convinzione della redazione di SMP che il potere analitico di una teoria sociologica sia strettamente
legato al rapporto che essa ha con la ricerca empirica e la metodologia. Oggi
si assiste a una debole integrazione fra queste dimensioni che influisce sensibilmente sulla concreta capacità esplicativa delle diverse proposte teoriche
sempre più impegnate in una sorta di concettualizzazione del mondo e della
vita sociale con livelli di astrazione molto elevati e con intenti prevalentemente
classificatori. Una scissione tra speculazione, da una parte, e ipersettorialismo di ricerca empirica (a un livello sempre più micro), dall’altra. Un deficit
di integrazione fra teoria e ricerca che rappresenta lo «scandalo»13 della sociologia contemporanea soprattutto perché raramente è percepito come tale
dalla comunità scientifica che, in taluni casi, argomenta e difende lo sviluppo
separato di teoria e ricerca14. Sembra che la teoria sociologica tenda verso la
metateoria, priva di un referente nella realtà empirica e allo stesso tempo la
ricerca si limiti ad analisi superficiali per variabili o a un empirismo eclettico15.
Gli attuali assetti sociali si connotano del resto per un’evidente transitorietà
che alimenta nella sociologia un disorientamento cognitivo e una fase di incertezza teorica testimoniate da suggestive etichette: «società postmoderna»,
«società liquida», «società del rischio» che sintetizzano articolate analisi non
ancora in grado, però, di interpretare fino in fondo il moltiplicarsi dei processi
sociali che caratterizzano la quotidianità.
SMP intende contribuire al dibattito sul rapporto fra teoria sociologica e
ricerca empirica partendo dalla convinzione che le argomentazioni di una teoria generale devono necessariamente generare vantaggi esplicativi per essere
scientificamente significative. Una maggiore integrazione fra teoria e ricerca
richiede, altresì, il superamento di epistemologie dogmatiche, di specializzazioni empiriche e di nuovi paradigmi frequentemente enunciati soltanto per
una ricerca della distinzione a ogni costo, quando non per una fascinazione da
cambiamento, a cui si accompagna la pratica dell’ invenzione di un’etichetta –
per lo più vuota di significato – a effetto. L’intento è quello di problematizzare
un modo di fare sociologia che punti su approcci teorici trasversali ai fenomeni
sociali, approcci da sottoporre a un rigoroso controllo empirico per evitare
che le teorie diventino un fine in sé o che si sviluppino teorie eccessivamente
contingenti ai fenomeni. Occorre superare, altresì, l’assunto secondo il quale i
J.H. Goldthorpe, The Integration of Sociological Research and Theory, «Rationality and Society»,
9, 1997, pp. 405-426.
14 J.C. Alexander, Neofunctionalism and After, Blackwell, Oxford, 1998; A. Giddens, The Constitution of Society, Polity Press, Cambridge, 1984.
15 P. Hedström, Dissecting the Social. On the Principles of Analytical Sociology, Cambridge, Cambridge, Unversity Press, 2005.
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società mutamentopolitica
risultati di una ricerca possono parlare da soli senza necessità di specificazioni
teoriche e, al contempo, rifiutare il monismo metodologico a vantaggio di una
metodologia mista che intersechi approcci quantitativi e qualitativi. E a proposito dell’influenza che la ricerca empirica può avere sulla teoria sociologica
non si trascurerà l’effetto di serendipity che può svolgere un ruolo determinante,
sempre che si mantenga viva quella immaginazione sociologica necessaria per saper cogliere i risultati imprevisti e i significati nascosti che talvolta emergono
nella ricerca scientifica. Per coltivare un siffatto approccio alla teoria e alla ricerca sociologica l’imperativo è quello di sfuggire alla tentazione pigra dell’autoreferenzialità e di coltivare, invece, un confronto sistematico con la comunità
scientifica più accreditata e con gli studenti che sono i primi fruitori del nostro
lavoro ispirandosi a una «riflessività riformista»16. L’obiettivo è cercare la spiegazione della complessità dei processi sociali attraverso una critica riflessiva
capace di assicurare alla sociologia una maggiore solidità istituzionale e al
sociologo un grado superiore di libertà rispetto a possibili vincoli e condizionamenti di natura politica ed economica e di qualsivoglia provenienza.
Le trasformazioni che attraversano la realtà sociale, culturale e politica
contemporanea chiedono al sociologo, come già ricordato, di rivedere le sue
tradizionali categorie analitiche e metodologiche e di aprirsi a una logica interdisciplinare. La globalizzazione impone nuove sfide di natura epistemologica, presuppone il superamento di un’assiomatica fondata sulla geopolitica della prima modernità e sulla “trappola territoriale” verso l’applicazione
di una logica dialettica come attraversamento delle polarità categoriali che
tradizionalmente contraddistinguevano la disciplina. La problematizzazione
degli strumenti analitici delle scienze sociali è una derivazione necessaria dei
processi di differenziazione sociale e di transnazionalizzazione che permettono alla sociologia di dialogare con le altre scienze sociali, secondo l’esigenza
moderna di una riflessività applicata al sapere.
Il compito sociale e politico della sociologia di favorire la comprensione
razionale delle dinamiche collettive e dei mutamenti strutturali della realtà
politica e culturale per lo sviluppo di criticità, riflessività nonché di una partecipazione consapevole alla vita pubblica si inserisce in un percorso che si
articola in naturale sinergia con le altre scienze sociali. L’interdisciplinarità
in questa chiave di lettura è un valore aggiunto per un’analisi multiprospettica dei fenomeni sociali ai quali la sociologia è chiamata a dare un raccordo,
una direzione e un riscontro in termini teorici ed empirico-metodologici. In
questo modo la disciplina esce da una logica unilaterale del sapere per analizzare le trasformazioni che attraversano le categorie, gli attori, i territori e i
16 P. Bourdieu, Science de la science et réflexivité, Raisons d’Agir, Paris, 2001.
Quale società , quale sociologia?
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processi sociali, strutturati su dinamiche di resistenza e mutamento, fornendo
una conoscenza propositiva nel campo di analisi e contribuendo all’elaborazione delle politiche e delle riforme sociali. La necessità di un confronto
e di uno scambio reciproco emerge, in particolare, tra la sociologia e quelle
discipline che già Talcott Parsons identificava come «scienze dell’azione» in
quanto inerenti lo studio dell’azione umana seppur a diversi livelli empirici
o, più in generale, con quelle che egli definiva «scienze umane», vale a dire:
l’economia, la psicologia, l’antropologia, la scienza della politica e la storia17.
La prospettiva storica, in particolare, fornisce l’ancoraggio dinamico per una
lettura più approfondita dei processi di continuità e di mutamento sociale. La
redazione di SMP è convinta che la sociologia debba dialogare con la storia,
visitando l’archivio degli eventi e delle teorie per esercitare una funzione di
controllo empirico e di analisi critico-strutturale. La comparazione diacronica
e sincronica rileva la complessità delle dinamiche di mutamento sociale e delle
costruzioni di senso a queste connesse. Rispetto alla storia globale in sociologia
la prospettiva storico-comparativa prende le distanze dagli approcci classici
della modernizzazione, sia quello che legge la modernità come antitesi alla
tradizione sia quello strutturato sulla convergenza delle società e permette di
rilevare raffronti sistematici di fasi diverse della società-mondo. La sociologia
oggi si concentra sui collegamenti plurali tra i livelli della realtà sociale, globale e locale, nelle loro dimensioni socio-economiche, giuridico-istituzionali,
politiche e culturali tramite un paragone sistematico e combinatorio sia a livello disciplinare sia metodologico. Oggi dunque l’interdisciplinarietà diventa la
possibilità di costruire una rete di connessioni e riferimenti tra discipline che si
occupano di strutture e relazioni umane, riconoscendo tanto la loro inesaustività quanto la necessità conoscitiva di una loro integrazione con un indiscutibile reciproco arricchimento in termini teorici, analitici e metodologici.
Sociologia e democrazia: il ruolo del sociologo nella sfera pubblica
La democrazia è un tema di studio presente fin dall’origine della teoria sociale
e della sociologia politica, da Weber fino agli autori della teoria classica delle
élites, ed è in particolare all’interno della comunità scientifica americana e nella
comunità scientifica europea successiva alla Seconda Guerra Mondiale che il
tema si afferma come campo di ricerca di crescente interesse per le scienze sociali. Diversamente da altre discipline che si concentrano sui meccanismi politico-istituzionali della forma di governo democratico, la sociologia ha spostato
17 T. Parsons, Il sistema sociale, Edizioni di Comunità, Milano, 1965 [ed. orig. 1951].
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progressivamente la propria attenzione dalle basi istituzionali alle dinamiche
sociali di cui si compone la sfera politica democratica. Nel fiorente dibattito
scientifico è possibile osservare come l’interesse per lo sviluppo democratico
sia costantemente accompagnato dalla ricerca sui temi delle disuguaglianze
sociali, delle discriminazioni e delle basi sociali che rendono la democrazia
un processo sostanziale e non un astratto paradigma affidato meramente a
indicatori di tipo istituzionale o elettorale. La critica sociologica alle società
democratiche, che comprende e travalica il confine della forma di governo,
non si limita alla dimensione classificatoria del regime politico, alle sue regole
costituzionali di funzionamento, né ha la sua centralità nell’elaborazione di
un’ideologia della democrazia, quanto invece si interessa al processo con cui
essa si realizza, si trasforma, si mantiene e insieme si rigenera e, parimenti, ai
processi di una sua possibile manipolazione18. La riflessione teorica che sottende e orienta la ricerca empirica non esprime la volontà di formulare un
archetipo a cui uniformarsi, ma contribuisce a superare definizioni meramente normative che confinano la democrazia a una etichetta di regole, di fatto
non riconducendola al più ampio campo dei comportamenti politici e, prima
ancora, delle rappresentazioni sociali. In ciò seguendo l’insegnamento di Durkheim: «Nei confronti delle dottrine pratiche, il nostro metodo permette ed
impone […] indipendenza. La sociologia così intesa non sarà né individualistica, né comunistica, né socialistica, nel senso che si attribuisce volgarmente a
questi termini. In linea di principio essa ignora le teorie alle quali non potrebbe riconoscere nessun valore scientifico, poiché esse tendono direttamente non
già a esprimere i fatti, ma a riformarli. Se si interessa a queste teorie, essa lo fa
nella misura in cui vi scorge dei fatti sociali che possono aiutarla a comprendere la realtà sociale, manifestando i bisogni che travagliano la società. […].
La sociologia da questo punto di vista deve appunto consistere nel renderci
indipendenti da tutti i partiti - non tanto opponendo una dottrina alle dottrine,
quanto piuttosto imponendo agli spiriti, nei confronti di queste questioni, un
atteggiamento specifico che soltanto la scienza può dare mediante il contatto
diretto con le cose. Soltanto essa può infatti insegnare a trattare con rispetto,
ma senza feticismo, le istituzioni storiche quali che siano, rendendoci consapevoli di ciò che esse hanno a un tempo di necessario e di provvisorio, della loro
forza di resistenza e della loro infinita variabilità»19.
La ricerca teorica ed empirica affronta la complessità di cui si compone la
democrazia da un punto di vista processuale, altrimenti definibile come de-
L. Cavalli, Il sociologo e la democrazia, Silva Editore, Milano, 1964; L. Cavalli, La democrazia
manipolata, Edizioni di Comunità, Milano, 1965.
19 Durkheim, Le regole del metodo sociologico cit., p. 130.
18 Quale società , quale sociologia?
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mocratizzazione, riconducibile ad alcune dimensioni complementari: i fattori
strutturali, che comprendono la nascita e lo sviluppo del capitalismo, la stratificazione sociale, il controllo dei mezzi di comunicazione di massa e la complessa formazione e riproduzione delle élites; i fattori psico-sociali, al cui interno si
collocano le dinamiche proprie dei processi di socializzazione politica, il ruolo
e le caratteristiche delle masse, e il rapporto tra religione e sfera pubblica; i
fattori culturali, con le diverse teorie e ideologie che accompagnano e declinano il regime democratico. Uno sguardo sociologico sulla democrazia non
può che rivelarsi un’analisi che scandaglia, interpreta, critica e svela l’insieme
delle diverse dimensioni indicate, e così ricostruisce le rappresentazioni di cui
si alimenta l’idea di democrazia, e come essa muta nel tempo, in relazione alla
struttura delle opportunità sociali e politiche, e ai diversi contesti culturali.
Proprio da questo sforzo nasce e si sviluppa l’interesse e la ricerca prediletta
nei programmi di SocietàMutamentoPolitica verso le configurazioni mutevoli
che la democrazia assume nel succedersi di diverse generazioni politiche, e
con esse i nuovi contenuti e i repertori di azione che queste offrono alla dinamicità delle società democratiche. In altri termini, la sociologia contribuisce
a superare la definizione procedurale e minima di democrazia, ampliandone
la dimensione partecipativa e comunitaria, facendo della democrazia stessa
l’istituzione che assicura il massimo cambiamento sociale compatibile con la
garanzia di continuità delle relazioni sociali e delle istituzioni politiche.
Gli itinerari della democratizzazione e le forme assunte dal mutamento sociale richiedono, quasi impongono, al sociologo un’analisi in grado di cogliere la
reciproca influenza fra i due processi, con un’attività di continuo aggiornamento
delle categorie concettuali e degli strumenti di ricerca capace di leggere le trasformazioni in atto, a partire dalla critica a indicatori meramente quantitativi
nella misurazione della qualità delle democrazie. Per di più, nelle società europee contemporanee, variamente indicate come post-industriali o a modernità
radicale, la sfida che si prospetta è superare le diverse fascinazioni della crisi
della democrazia tout court, a cui immancabili si accompagnano scenari postdemocratici o anti-democratici. Pur nella evidenza di segnali di mutamento
nelle rappresentazioni di democrazia nelle società occidentali contemporanee,
sembra corretto introdurre una differenza fra disaffezione verso gli attori della
democrazia (partiti e regime dei partiti) e disaffezione verso la democrazia stessa, come due forme distinte e non in relazione di causa-effetto, che il sociologo
contribuisce a spiegare e a rendere evidenti nella loro diversità20. Da qui lo sforzo di comprendere come i processi di personalizzazione della politica e della
Cfr. per un’analisi acuta di questo topos L. Cavalli, Il primato della politica nell’Italia del secolo XXI,
Cedam, Padova, 2001.
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leadership di vertice possano essere non la causa, come una parte dell’opinione
pubblica e della comunità scientifica indica, ma uno degli strumenti di trasformazione e di nuova legittimazione per le forme della democrazia oggi.
I processi in atto testimoniano la tensione verso le forme tradizionali di legittimazione della democrazia rappresentativa, nata e sviluppatasi all’interno
dello Stato-nazione, e la sfida che a tale equilibrio deriva in corrispondenza
dell’intensificarsi, da una parte, del processo di globalizzazione, e dall’altra
della riscoperta della dimensione locale. In questa doppia spinta centrifuga, la
democrazia rappresentativa, dotata di un carattere partecipativo tradizionale,
necessita di essere posta al centro della ricerca sociale, per comprendere come
l’erosione di alcuni strumenti tradizionali non segni la fine della democrazia,
né un completo superamento della dimensione partecipativa e rappresentativa, così come non sia unidirezionale il venir meno dell’ancoraggio nazionale del sistema democratico21. Se si accosta al concetto di crisi la possibilità
di un’opportunità di sviluppo, si potrà osservare come il mutamento attuale
corrisponda a una nuova fase di democratizzazione della democrazia, non
più – o non solo – a livello nazionale, ma a livello sovranazionale (europeo) e
a livello locale. «L’indagine sociologica – che non tratta i fenomeni politici in
una presunta dimensione autonoma – mostra come la società nella sua evoluzione maturi, insieme alla insofferenza per la vecchia politica, nuove esigenze
di razionalizzazione della rappresentanza e della partecipazione e della guida
politica; e come il moto delle cose renda possibile anche la razionalizzazione
della selezione dei leader di governo» 22.
Allo scienziato sociale e, nei dovuti limiti, anche a una nuova rivista di sociologia è richiesto di comprendere i nuovi fenomeni della società contemporanea, e al tempo stesso svelare gli stereotipi della democrazia (e della retorica
sulla post-democrazia), siano essi di carattere positivo e negativo, e in tal modo
operare contro possibili manipolazioni dei processi in atto. In tal senso, dal
momento che lo sviluppo democratico è un processo e non un dato immutabile, e come tale non ha una funzione storicamente confinata, l’insorgere di
nuovi itinerari di democratizzazione richiede uno sforzo concettuale in cui la
sociologia e la sociologia della politica rappresentano strumenti per intervenire sulla qualità stessa della democrazia, secondo due prospettive parallele. La
prima è quella di creare le condizioni per un dibattito informato e consapevole
da parte di cittadini che, venuto meno il ruolo dei tradizionali intermediari fra
istituzioni e società, sono chiamati a un nuovo e diretto protagonismo nella
R. Dahrendorf, La società riaperta.Dal crollo del Muro alla guerra in Iraq, Laterza, Roma-Bari,
2005.
22 Cavalli, Il primato della politica cit., p. IX.
21 Quale società , quale sociologia?
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sfera pubblica; la seconda è quella di un processo di formazione delle élites, che
contribuisca a incrementare la qualità della classe politica e delle sue scelte.
Due prospettive di difficile percorribilità eppure imprescindibili. Rendere più
democratica la democrazia non appare quindi il tentativo utopico di chi vuol
imporre un ordine dotato del sigillo dello scienziato sociale, quanto invece la
missione della ricerca sociologica di svelare le manipolazioni in atto, possibile
proprio a partire dalla libertà che garantisce la democrazia stessa. La manipolazione della democrazia non risponde soltanto, o del tutto, al venir meno
del principio maggioritario, quanto all’attenuarsi delle sue forme partecipative
e alla trasformazione delle basi sociali che la costituiscono. In altri termini
la democrazia appare esposta ai possibili effetti perversi di una involuzione
silenziosa che si realizza attraverso i processi di socializzazione e le forme più
o meno visibili di controllo sociale che accompagnano un uso dei mass-media
non sempre finalizzato alla formazione di una libera opinione pubblica. Il
sociologo allora non è chiamato a svolgere l’attività di censore di un autoritarismo post-democratico, tanto paventato quanto di difficile riproposizione nelle
forme tradizionali, quanto a svelare le forme e i processi di depotenziamento
silente della democrazia stessa, consapevolmente o meno innescati da atteggiamenti e comportamenti sia dei cittadini sia della stessa classe politica. Il
sociologo, come intellettuale che è parte della sfera pubblica e soggetto attivo
della società civile democratica, ha il compito, originale e costitutivo della sua
attività di studio e ricerca, di leggere la società e, in essa, le trasformazioni delle
nuove generazioni, della famiglia, del lavoro, della classe politica, degli attori
della scena pubblica (dai partiti ai movimenti sociali), nell’intento pedagogico
di leggere criticamente la politica e la democrazia, sapendo che se muore la
democrazia muore anche la sociologia e la libera ricerca.
Firenze, 7 febbraio 2010
La Redazione