Paola Rumore, L`ordine delle idee

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La Consulta Nazionale di Filosofia ha assegnato il premio “Opera Prima di Filosofia” per l’anno
2008 al libro:
Paola Rumore, L’ordine delle idee. La genesi del concetto di
‘rappresentazione’ in Kant attraverso le sue fonti wolffiane (1747-1787),
Firenze, Le Lettere 2007
Si segnalano i libri:
2) Edoardo Simonotti, La svolta antropologica. Scheler interprete di Nietzsche, Pisa, ETS, 2006.
3) Tristana Dini, Il «filo storico» della verità. La storia della filosofia secondo Friedrich Heinrich
Jacobi, Soveria Mannelli, Rubbettino 2005
Paola Rumore, L’ordine delle idee. La genesi del concetto di ‘rappresentazione’ in Kant attraverso
le sue fonti wolffiane (1747-1787), Firenze, Le Lettere 2007
La “storia delle fonti del concetto kantiano di rappresentazione”, che il libro di Paola Rumore ci
offre, costituisce per molti versi una via di accesso preziosa e aggiornata alla lettura della Kritik der
reinen Vernunft. Come Norbert Hinske segnala nella Premessa, l’indagine archeologica del concetto
di rappresentazione, condotta soprattutto sui testi di Wolff, Baumgarten e Meier, mette il lettore
dinanzi a un processo articolato e complesso di rielaborazione del lascito leibniziano, che integra in
maniera significativa le conoscenze circa l’apporto decisivo della cultura filosofica tedesca alla
formazione e allo sviluppo della riflessione kantiana, proponendo una rettifica attendibile di alcune
pur autorevoli e importanti acquisizioni storiografiche. Paola Rumore conduce un’analisi accurata
delle diverse posizioni considerate e delle variazioni che in esse vengono profilandosi; in
riferimento a Kant, non manca di valersi di strumenti importanti quali sono le trascrizioni delle
Vorlesungen e in tal modo fornisce una ricostruzione, dalla quale emergono molti elementi utili sia
all’approfondimento degli autori via via esaminati, sia alla comprensione della genesi del pensiero
di Kant (valgano ad esempio la distinzione wolffiana tra differentia perceptionum formalis seu
materialis, p. 60, o il problema del fundus animae in Baumgarten e Wolff, p. 90, o ancora le
numerose suggestioni offerte dalla discussione della Vernunftlehre di Meier e dalle diverse
prospettive che lo stesso autore assume a proposito del problema del pregiudizio, pp.135 ss.).
Su questo sfondo, la trattazione degli scritti kantiani redatti tra il 1747 e il 1766 e la successiva
analisi dei Träume e della Dissertatio del ’70 permettono di avere un quadro preciso e molto
istruttivo della specifica problematica filosofica a partire dalla quale giunge a costituirsi, infine, la
prospettiva trascendentale: una svolta reale e di vasta portata teoretica, che si disegna sulla base di
uno sforzo paziente e minuzioso di chiarificazione del concetto di esperienza e della enigmatica
natura rappresentativa del pensiero – uno sforzo, nel quale lo scambio con Lambert rappresenta un
episodio la cui importanza è opportunamente sottolineata da Paola Rumore.
Il capitolo finale, sul “decennio silenzioso”, si segnala per l’indagine condotta intorno alla
Stufenleiter della rappresentazione che Kant proporrà nella Kritik der reinen Vernunft, ma che è
preparata da un lungo travaglio documentato nelle Reflexionen, di cui lo studio di Rumore dà conto.
Questa indagine è particolarmente apprezzabile sia per l’intrinseca consistenza storiografica, sia
come esempio di un uso felice e appropriato dell’analisi lessicale, che del resto rappresenta un tratto
metodologico ricorrente nel lavoro. Il repertorio lessicale nel quale si articola la Stufenleiter si
modifica nel corso del tempo e, attraverso le variazioni, i concetti in gioco vengono ridefinendosi,
sino ad assumere la configurazione attestata nella Kritik der reinen Vernunft. Questa configurazione
rappresenta l’esito conclusivo dell’elaborazione precedente e Rumore mostra come essa sia
giustificata nel suo assetto e nei suoi termini rispetto al contesto cui appartiene, ma rileva anche
come non manchino nuovi elementi di problematicità legati a questo stesso contesto e concernenti,
in particolare, la questione dello schematismo.
Per la sicurezza nella trattazione delle fonti e per il solido impianto metodologico e critico, il lavoro
di Paola Rumore si distingue per maturità storiografica e originalità di risultati, e rappresenta un
contributo significativo pur entro un ambito di ricerca tra i più impegnativi e complessi a livello
internazionale. E’ quindi senz’altro meritevole di conseguire il premio “Opera prima” della
Consulta Nazionale di Filosofia.
Edoardo Simonotti, La svolta antropologica. Scheler interprete di Nietzsche, Pisa, ETS, 2006.
Il libro di Simonotti, equilibrato e ben informato, ha il merito di indagare l’influenza di Nietzsche
su Scheler, tenendo conto anche del contesto storico e filosofico, senza indulgere a semplificazioni
unilaterali e appoggiandosi con scrupolo alle fonti testuali (tra le quali anche un manoscritto inedito
di Scheler su Nietzsche, frammento di un più ampio e incompiuto lavoro sul filosofo della “volontà
di potenza” progettato nella primavera del 1927 [pp. 128-130]). L’autore colloca la ‘scoperta’ di
Nietzsche da parte di Scheler nel clima del primo Novecento filosofico tedesco, percorso
insistentemente dai temi della vita e della Lebensphilosophie (Simmel, Dilthey, Klages, Spengler,
Ziegler, Keyserling, Theodor Lessing e naturalmente anche Bergson), dal rapporto e dalla tensione
tra vita e spirito, dalla critica ai valori tradizionali della società borghese, dalla necessità di
configurare un nuovo sviluppo dell’uomo che è all’origine della «svolta antropologica» che trova in
Nietzsche se non il suo alfiere, certamente la sua premessa indispensabile.
Simonotti illustra bene in qual senso Nietzsche rappresenti un «evento decisivo» per Scheler
(p. 68); e tuttavia egli è anche attento a mostrare in che cosa Scheler si distanzi sostanzialmente da
Nietzsche: nel contesto di una valutazione ben diversa del significato e del ruolo attuale del
cristianesimo, Scheler non solo non considera mai la vita il valore supremo, anteponendo invece i
valori spirituali e del sacro (p. 102), ma nemmeno vede nel valore l’esito dell’atto creatore
dell’individuo, concependolo piuttosto come qualcosa che viene scoperto «nella partecipazione
delle persone ad un comune ordine assiologico oggettivo» (p. 119). Proprio nel superamento del
vitalismo si può dunque scorgere tutta la distanza di Scheler da Nietzsche (cfr. anche p. 146); ed è
intorno a questo nodo cruciale che si dipana la più tarda riflessione antropologica di Scheler,
segnata dalla volontà di riappropriarsi dei valori spirituali intesi come sublimazione, e non già come
negazione o rifiuto, dell’impulso vitale (pp. 147-151). Per quanto fortemente influenzata dal Wille
zur Macht nietzscheano, quella di Scheler è e rimane una Philosophie des Geistes, dello spirito che
– nella cornice di una metafisica dualistica – è autonomo e originario tanto quanto il Drang (pp.
154-155). Di qui anche la contrapposizione tra l’Uebermensch di Nietzsche e l’Allmensch di
Scheler, che Simonotti intelligentemente legge sullo sfondo delle vicende ideologico-politiche della
Repubblica di Weimar e che interpreta alla luce di due opposte soluzioni: quella ‘individualistica’ e
tendenzialmente autoritaria, e quella democratica che mira alla formazione di nuove élites dirigenti
(pp. 186-187).
In conclusione il libro di Simonotti rende plausibile l’ipotesi che l’influenza di Nietzsche su
Scheler sia sì profonda e cruciale, ma non al punto da rendere evanescente quello che è un punto
fondamentale dell’antropologia filosofica scheleriana: l’impossibilità di identificarsi «con un
unilaterale vitalismo» o per converso «con uno spiritualismo disincarnato» (p. 197). Nonostante
alcuni aspetti del lavoro di Simonotti siano certamente emendabili, in specie per quanto riguarda,
nel quarto capitolo, la presentazione dell’etica kantiana attraverso la lente esclusiva di Scheler e
della sua critica al “vuoto” formalismo dell’etica critica (si veda per es. p. 105 sull’idea kantiana di
dignità, che scaturendo dall’imperativo formale della ragione sarebbe «quindi priva di contenuto
assiologico» [corsivo nostro]), non vi è dubbio che si tratti di un libro pregevole, meritevole di
essere collocato al secondo posto della graduatoria finale per il Premio 2008 della Consulta
Nazionale di Filosofia.
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Tristana Dini, Il «filo storico» della verità. La storia della filosofia secondo Friedrich Heinrich
Jacobi, Soveria Mannelli, Rubbettino 2005
Lo studio di Tristana Dini contribuisce in modo decisivo alla ricostruzione della figura e della
fortuna di Jacobi, un tema ancora vivo della storiografia filosofica, e mira a liberarle dai luoghi
comuni che per molto tempo non hanno permesso di comprendere pienamente l’importanza di
questo pensatore. Riprendendo il giudizio di Hegel che considerava il pensiero di Jacobi un «punto
di svolta», la studiosa ricorda gli aspetti salienti della sua biografia intellettuale, dalla critica della
filosofia di Spinoza e dallo Spinozismusstreit, alla riflessione sull’idealismo trascendentale e sulla
cosa in sé, all’interpretazione dell’idealismo in chiave nichilistica, per poi focalizzare la ricerca su
Jacobi storico della filosofia. In questa prospettiva, la studiosa mostra in modo molto documentato
come da una parte la storia della filosofia si intrecci in Jacobi con la filosofia e con la critica della
filosofia speculativa e come, d’altra parte, l’interesse speculativo spinga Jacobi a «rintracciare la
coerenza interna, il nocciolo o lo spirito dei sistemi di pensiero presi in esame, cercando di
ricondurne le idee fondamentali ad un nucleo definitivo dal quale emergano le conseguenze ultime»
(p. 13), dunque a elaborare un consapevole metodo di indagine storiografica.
Nell’analizzare con competenza storica e filologica e con rigore le interpretazioni jacobiane di
Platone, Aristotele, Spinoza, Kant, la studiosa ricostruisce anche nell’insieme il confronto di Jacobi
con i contemporanei, ricordando dettagliatamente discussioni e polemiche filosofiche e in
particolare di «filosofia della storia della filosofia» (p. 17); tanto più dispiace per questo che manchi
un confronto tra la concezione che Jacobi ha del rapporto tra filosofia e storia e quella di Hegel.
A partire dalla kantiana storia della ragione e dai suoi nessi con la rifondazione della metafisica, e
dalla critica di Hamann ad una storia della filosofia intesa come mera erudizione, Jacobi – nel
prendere motivata distanza da queste due posizioni – sviluppa l’idea di un metodo ermeneutico che
tende ad individuare il nucleo di ogni sistema filosofico; e considera questo come un risultato che
ha un proprio autonomo valore conoscitivo e che nello stesso tempo consente di sviluppare la critica
e il confronto filosofico. Attraverso l’accurata disamina in particolare di scritti come Von den
göttlichen Dingen und ihrer Offenbarung (1811), Vorrede, zugleich Einleitung in des Verfassers
sämmtliche philosophische Schriften (1815) emergono i tratti del «razionalismo ‘corretto’» (p. 58),
il «tema della ‘doppia direzione’» per cui «l’uomo è di questo mondo, ma, allo stesso tempo, lo
trascende» (p. 81) e dell’uso corretto della facoltà intellettuale, cioè i temi peculiari della filosofia di
Jacobi, che entrano in rapporto con le riflessioni sul pensiero dei grandi filosofi, da Jacobi studiati
con grande serietà, come dimostrano le Kladden, i suoi quaderni di appunti. Anche attraverso dense
note, Tristana Dini ricostruisce il lavoro storiografico di Jacobi, e le sue principali tesi sulla genesi
del razionalismo, che ha trasformato la ragione da organo del soprasensibile a strumento di calcolo
e di riflessione a partire da Aristotele, sulla genesi dell’egoismo speculativo in Cartesio, del primato
della sostanza sul pensiero in Spinoza, cui la studiosa dedica pagine particolarmente significative,
sulla genesi dell’idealismo in Kant. L’analisi del pensiero di Kant a partire dall’appendice al
dialogo David Hume del 1787, intitolata Űber den transzendentalen Idealismus, offre a Jacobi gli
strumenti per confrontarsi con il pensiero a lui contemporaneo, considerato per più versi – nelle
figure di Fichte e Schelling – uno sviluppo del criticismo e un contributo a risolverne le
contraddizioni, anche se in puro nichilismo (p. 206).
L’idea della filosofia come rivelazione dell’esistenza (p. 157), il tentativo di fondare una scienza del
vero sono infine i temi del pensiero di Jacobi di cui la studiosa riesce a dimostrare in modo
persuasivo l’origine nella riflessione sulla storia della filosofia e nel modo in cui Jacobi la
concepisce articolata, individuandovi uno spartiacque nelle contraddizioni del pensiero di Kant (p.
226). Come confronto con esse e con la soluzione che Fichte, a sua volta, ha creduto di poter
trovare con la dottrina della scienza, che si risolve invece in una sorta di spinozismo rovesciato (p.
228), Jacobi sviluppa le proprie idee sulla filosofia come scienza del non-sapere (p. 263). Questa
ricerca merita così di essere segnalata – al terzo posto – nella graduatoria del Premio “Opera prima”
della Consulta Nazionale di Filosofia.
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