OPINIONI•PERSONA Soggetti deboli Costituzione, diritto civile e soggetti deboli di Pasquale Stanzione La molteplicità di forme e di modelli di intervento del legislatore sulle minorità si ricompone con il richiamo alla categoria unificante dello status personae. La persona, spogliata della diversità del sesso, della razza,della lingua,delle condizioni personali è posta al centro del sistema normativo (artt. 2 e 3 Cost.). Ma le tecniche di tutela sono diversificate: si trascorre dall’iperprotezionismo (ad es. il consumatore; l’embrione) all’anomia temuta (il malato terminale) a quella voluta (il convivente more uxorio). La stessa debolezza derivante dall’età è, significativamente, trattata in modo diverso: altri sono i minori; altri gli anziani. La cultura della diversità si traduce, pertanto, in una disciplina ispirata ai principi della flessibilità e dell’elasticità: come accade, ad es., nell’amministrazione di sostegno. Ne consegue un itinerario normativo che partito dalla persona a questa ritorna nella protezione offerta dal diritto. 1. Minorità, status, capacità Nel vichiano succedersi della storia è singolare osservare la ciclicità con la quale la delicata tematica della tutela dei soggetti deboli si impone alla considerazione del giurista. Il ripetersi sistematico del tentativo di tracciare un limen ai suoi mobili e non di rado incerti confini, se comprova l’attualità del profilo, ne denuncia, al tempo stesso, la complessità; e ciò non già o non soltanto per il carattere necessariamente relativo e non assoluto della nozione che ne sottende i contenuti (il concetto di debolezza, appunto), quanto piuttosto per la natura articolata e non lineare del dibattito sugli aspetti giuridici della persona che da sempre ne influenza la riflessione. La definizione della “minorità” risente, in altri termini, del difficile rapporto fra capacità e status, quali istituti idonei a spiegare la differenziazione giuridica tra individuo ed individuo. Il loro diverso relazionarsi chiarisce, in un continuo processo di composizione e di scomposizione, come l’affermarsi della cultura della diversità proceda tra riconoscimento e confusione, tra emarginazione e integrazione, articolandosi in una molteplicità di forme e di modelli di intervento, che rispondono a spinte differenti: la necessità ora di seguire precise linee di politica sociale (è l’ipotesi dei portatori di handicap o degli infermi di mente); ora di dare attuazione ad un programma di solidarietà che annulli lo svantaggio in cui si trova lo straniero, il disoccupato, il drogato; ora, in via più generale, di predisporre strategie a tutela dei soggetti deboli (1). La descritta tendenza alla frammentazione si ricompone solamente attraverso il richiamo alla categoria unificante dello status personae che - in una lettura prospettica dei concetti - riassume, senza negare, le pecu- liarità della singola condizione soggettiva dalla quale, poi, originano le distinte soluzioni di politica legislativa. Sul piano concreto delle tecniche di tutela e non già su quello astratto delle categorizzazioni si gioca, così, la vera partita circa l’affermazione di un principio di giustizia sostanziale. Lo si evince, a livello giuridico, dagli artt. 2 e 3 Cost.: l’uno poiché, come è noto, pone la “regola aurea” in tema di libertà inviolabili spettanti a ciascun uomo; l’altro, perché più concretamente individua i presupposti dell’inverarsi di una condizione di debolezza. L’una come l’altra disposizione non si sottraggono, tuttavia, ad obiezioni e rilievi critici. In discussione non è soltanto il valore normativo dell’art. 2 Cost., se clausola aperta (2) o previsione tassativa di diritti, ma il significato stesso del principio di eguaglianza sostanziale indicato dall’art. 3 Cost. quale fine ultimo della tutela da assicurare ai soggetti svantaggiati. Sotto il primo profilo, l’antitesi tra le suggerite opzioni ermeneutiche è, però, soltanto apparente: la disposizione costituzionale sembra, infatti, sottrarsi alla drastica dicotomia e partecipare piuttosto degli elementi dell’una come dell’altra impostazione. Indulgere, pertanto, verso un’interpretazione chiusa della norma risulta riduttivo in quanto significa subordinare il riconoscimenNote: (1) In argomento sia consentito il rinvio a Stanzione, Tutela dei soggetti deboli, Roma, 2004, passim, ed all’ampia bibliografia ivi richiamata. Sul punto v. anche M.N. Bugetti, Nuovi strumenti di tutela dei soggetti deboli tra famiglia e società, Milano, 2008. (2) Sull’art. 2 come clausola aperta cfr. Martines, Diritto costituzionale, Milano, 2005, 594. FAMIGLIA E DIRITTO N. 3/2009 305 OPINIONI•PERSONA to dei diritti inviolabili dell’uomo al filtro dello ius positum e, dunque, all’esistenza di specifiche prescrizioni; vuol dire, ancora e conseguentemente, ridurre le posizioni di debolezza concretamente rilevanti alle sole esemplificazioni contenute, inter alia, nell’art. 31 Cost. in materia di protezione della maternità e dell’infanzia; nell’art. 32 Cost. in tema di diritto alla salute; nell’art. 33 Cost. relativo al diritto all’effettività dell’istruzione ovvero ancora nell’art. 35 Cost. in ordine alla tutela dei lavoratori. Ex altera parte, “i caratteri della giuridicità e della forza inviolabile dell’interesse non possono attingersi altro che all’interno del sistema e all’interno della stessa categoria (3)”, di guisa che l’idea di una semplice connotazione aperta dell’art. 2 Cost. è destinata, a sua volta, a subire un ridimensionamento a tutto vantaggio di un’interpretazione “eclettica” della disposizione che tenga conto della sua natura “ibrida”. Di là dalle pur innegabili suggestioni giusnaturalistiche (4) (evocate dall’impiego del verbo riconoscere) o da reminiscenze kelseniane dell’ordinamento (5), la norma apre, in tal senso, ad una visione autopoietica delle libertà fondamentali e degli strumenti di protezione nel rispetto dei lineamenti e degli equilibri immanenti all’ordinamento (6). Sullo sfondo la differente Weltanschauung che la società esprime ne traccia le coordinate del sorgere e dell’affermarsi, in linea con le mutate esigenze della persona. Il giurista, dal canto suo, segue i cambiamenti con atteggiamenti contrastanti e non sempre recettivi. Egli, almeno in una prima approssimazione al nuovo, è per sua natura indotto a tentare di inglobare l’innovazione nel rassicurante universo delle regole vigenti. Laddove ciò non sia possibile, il diritto tende a vietare aprioristicamente tutto ciò che non possa essere assorbito nelle categorie usuali, compreso e spiegato nelle nozioni abituali, inquadrato negli istituti preesistenti (7). Il modello del diniego - lungi dal porsi quale reviviscenza di un novello post modernismo giuridico - traduce, in sostanza, la carica conflittuale che il delinearsi di istanze inattese di protezione inevitabilmente porta con sé (8). Eppure - come sempre accade - “è un dissenso a generare un nuovo consenso morale (9)”. 2. I presupposti normativi della condizione di debolezza: le rationes distinguendi dell’art. 3 Cost. I valori che rivendicano attenzione da parte del legislatore rispondono ad una precisa gerarchia che vede all’apice l’armonica ed armoniosa affermazione della persona umana (art. 2 Cost.). Il nostro ordinamento, non contiene un espresso riconoscimento del c.d. diritto alla felicità e tuttavia si prefigge la realizzazione di uno stato di completo benessere fisio-psichico del soggetto (10) e, quindi, il superamento della sua condizione di debolezza. A tal fine, l’art. 3 Cost., con accenti spiccatamente classificatori e toni volutamente generici, indica nel sesso, nella razza, nella lingua, nella religione, nelle opi- 306 FAMIGLIA E DIRITTO N. 3/2009 nioni politiche nonché nelle condizioni personali e sociali il criterio primo ed elettivo di identificazione delle fattispecie nelle quali concretamente si profila un’esigenza di protezione. Le richiamate rationes distinguendi, in altri termini, mentre concorrono a fissare le coordinate della normalità, tracciano, contestualmente e direi quasi contraddittoriamente, l’opposto confine della diversità, in cui ad essere protagonista è “l’altro da sé”, il debole, colui cioè che è impedito, per il loro stesso ricorrere, nell’esercizio dei diritti fondamentali; colui, ancora, che si affida al diritto per affermare le ragioni della propria esistenza (11). La risposta del diritto non si fa, peraltro, attendeNote: (3) In questi termini Navarretta, Ripensare il sistema dei danni non patrimoniali, in Resp. civ. prev., 2004, 1, 6. (4) Analoghe suggestioni ritornano nel testo dell’art. 29 Cost. in cui, ancora una volta, l’impiego del verbo riconoscere sembra attestare una preesistenza del valore al diritto. In ragione della natura pre-giuridica dei diritti inviolabili, pertanto, la giurisprudenza ha finito col trasformare l’art. 2 Cost. in una sorta di clausola aperta, che lascia all’interprete ed al giurista, in particolare, la possibilità di verificare se nell’evoluzione sociale emergano regole e norme direttamente dalla consapevolezza della necessità di tutela del soggetto. Di qui l’idea di un’atipicità dei diritti della persona, caratterizzati, sul piano soggettivo, dall’essere universali in quanto riferiti all’uomo tout court e non al cittadino. Soluzione non dissimile è quella che connota la Costituzione tedesca che richiama i diritti della personalità speciale, senza peraltro elencarli, diversamente da quanto accade, ad esempio, nella Carta fondamentale spagnola, portoghese o greca. In tal senso può dirsi che la Costituzione italiana si differenzi, altresì, dalla Carta di Nizza che propone, al contrario, una codificazione dettagliata dei diritti fondamentali protetti nel quadro dell’Unione Europea. La struttura della Carta si fonda, così, sull’oggetto della protezione e dei settori nei quali essa deve trovare attuazione. Cfr. Pocar, Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in Pocar F. (a cura di), Commentario breve ai trattati della Comunità e dell’Unione europea, Padova, 2001, 1179. (5) In cui lo Stato è fonte del diritto e diritto esso stesso. Cfr. Kelsen, La dottrina pura del diritto, Saggio introduttivo e traduzione di M. Losano, Torino, 1966. (6) Si v. sul punto Pizzorusso, Il patrimonio costituzionale comune, Bologna, 2002, 60 ss. (7) La riflessione ha costituito oggetto di approfondimento e di analisi nel volume Stanzione, Itinerari di diritto privato, Salerno, 2007, passim, alla cui lettura pertanto si rinvia. Per un inquadramento del profilo in chiave comparata, si v., invece, Autorino, Sica, Comparazione e diritto civile. Percorsi, Salerno, 2007. (8) Non si intende, per tale via, indulgere verso forme di postmodernismo giuridico e, dunque, giungere ad asserire che “l’applicazione di regole e principi giuridici è in definitiva destinata a produrre conflitti, contraddizioni e indeterminatezza” (Rosenfeld, Interpretazioni. Il diritto fra etica e politica, trad.it., Bologna, 2000, 36). È, infatti, opinione condivisa quella secondo cui occorre dare un esito costruttivo alle premesse scettiche del postmodernismo. In tal senso il conflitto deve essere visto quale fase che precede necessariamente e opportunamente il momento costruttivo ed innovativo del diritto. (9) L’espressione è di Peces Barba, Teoria dei diritti fondamentali, Milano, 1993, 247. (10) Come inequivocabilmente riprova il dettato dell’art. 32 Cost. (11) Sono i piccoli del Vangelo, quelli che Cristo predilige, con i quali preferisce sedere a mensa ed a cui promette il suo sostegno:«Venite a Me voi tutti che siete affaticati ed oppressi». Lo ricorda Padre Valeriano Giordano in occasione del convegno Costituzione e tutela dei soggetti deboli, Salerno, 4 febbraio 2005. OPINIONI•PERSONA re; al contrario, pungolata dall’emergere normativo delle “condizioni personali”, si traduce in un’atipicità giuridica degli strumenti di protezione pur a discapito della (possibile) tipicità sociale della categoria. Tant’è che il comma 3 dell’art. 3 Cost. affida allo Stato il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”, senza specificazione alcuna. Il “nudo” soggetto, spogliato della diversità del sesso, della razza, della lingua, delle condizioni personali, viene, così, posto al centro della norma, al centro del sistema delle norme e diviene persona alla quale i pubblici poteri si rapportano, “in ossequio ai più moderni postulati di una concezione sociale ispirata ai canoni della solidarietà verso i deboli” (12), ed alla quale assicurano protezione. Quale, poi, in concreto sia la formula da prediligere in termini di effettività della tutela, l’art. 3 Cost. non lo precisa, restando il suo contenuto come sospeso in attesa di essere chiarito nelle modalità di attuazione dal raffronto con le peculiarità della singola vicenda. Per certo, l’idea rousseauviana (13) della legge quale unico strumento idoneo ad assicurare all’uomo “giustizia e libertà” perde la sua assolutezza, destinata com’è ad entrare fortemente in discussione (almeno) in una pluralità indistinta di situazioni in cui il rispetto della dignità dell’uomo rischia di conciliarsi a fatica con forme di etero-regolamentazione della sfera privata. I nuovi deboli, “vittime” del progresso medico scientifico o dell’evolversi dei costumi oscillano tra il costante bisogno di una difesa normativa e l’anelito non meno avvertito ad un rechtsfreier Raum, in cui vedere ugualmente assicurato il rispetto della propria condizione. Si trascorre, così, da un iperprotezionismo legislativo (è il caso del consumatore e, sotto certi aspetti, dell’embrione), ad un’anomia voluta (si pensi ai conviventi) o temuta (in relazione ad esempio ai pazienti in stato vegetativo), passando attraverso forme di progressiva evoluzione del diritto, in cui il perfezionarsi della regola risente ora della peculiare personalità dei destinatari (minori, anziani o, in genere, incapaci) ora del quadro politico od economico della società (per quanto attiene ai risparmiatori o ai poveri). 3. Un esempio di iperprotezionismo legislativo: la vicenda del consumatore e dell’embrione Emblematica, sotto il primo profilo, si presenta la vicenda del consumatore. Questi, soggetto debole, rectius contraente debole per eccellenza all’indomani del venir meno dell’artificiosa distinzione tra il codice civile ed il codice di commercio (14), ha assistito al graduale evolversi degli strumenti di protezione in suo favore: dalle regole generali in materia contrattuale fino al d.lgs. 6 settembre 2005, contenente l’ormai noto Codice di consumo (15), ed alle sue successive modificazioni in tema di class action e di pubblicità ingannevole. L’inseri- mento della disciplina dei contratti dei consumatori all’interno del codice civile (16) ha segnato, anzi, lo sgretolarsi del “vecchio quadro normativo fondato sull’assioma dell’intoccabilità dell’atto di autonomia privata (17)”, a tutto vantaggio di una regolamentazione finalizzata ad una tutela globale dei suoi rilevanti interessi. Il cittadino consumatore viene proiettato nella dimensione costituzionale, in cui vede le proprie prerogative delineate da noti referenti normativi: si pensi alla clausola generale della personalità (art. 2 Cost.); all’esplicarsi del principio di uguaglianza sostanziale (art. 3 Cost.); al diritto alla salute (art. 32 Cost.); ai controlli sulle attività d’impresa (art. 41 Cost.). Egli, cioè, gode e si avvale della centralità, della priorità della persona umana nel sistema dei valori apprestato e tutelato dalla Costituzione sì che in ipotesi di conflitto tra le sue esigenze e quelle del libero mercato, sono le prime a prevalere e le seconde a cedere secondo un rapporto di funzionalizzazione che subordina le vicende patrimoniali al compiuto svolgersi di quelle esistenziali. In quest’ottica vanno riguardati tutti gli interventi normativi che si sono succeduti nel tempo all’interno della legislazione ordinaria: la normativa in tema di sicurezza dei giocattoli (d.lgs. n. 313/1991); le vendite commerciate porta a porta (d.lgs. n. 50/1992); le operazioni di credito al consumo (l. n. 142/1992); la disciplina delle vendite piramidali (l. n. 173/2005); la legge in materia di sicurezza Note: (12) L’età liberale segna un progressivo mutamento del ruolo dello Stato, da guardiano dell’ordine costituito a soggetto impegnato in favore delle categorie sociali deboli ed emarginate. Si assiste, in altri termini, al passaggio dalla concezione liberale classica di uno Stato astensionista rispetto al mondo economico e sociale, ad un’altra, al contrario, spiccatamente interventista. In argomento v. Dalla Torre, Stato e società civile: una prospettiva storico giuridica, in Dir. eccl., 2000, 2, 417 ss. (13) Nel Discours sur l’economie politique compilato per l’Enciclopedie, 1755, Rousseau sostiene, more kantiano, che «è la legge soltanto che assicura all’uomo giustizia e libertà; è quest’organo della volontà di tutti, che ristabilisce nell’ordine del diritto l’eguaglianza naturale fra gli uomini». (14) Per riprendere l’espressione del Vivante nel suo Trattato di diritto commerciale, Milano, 1922. (15) In argomento, Stanzione, Sciancalepore, Commentario al codice del consumo, Milano, 2006, e l’ampia bibliografia ivi contenuta. (16) Come è noto, il Capo XIV, Dei contratti del consumatore, dapprima aggiunto dall’art. 2, l. 6 febbraio 1996, n. 52, è stato successivamente modificato ad opera dell’art. 142 d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, che ha sostituito con l’attuale art. 1469 bis gli originari artt. da 1469 bis a 1469 sexies c.c. (17) In questi termini Bianca, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano, 2000, 394, il quale evidenzia come la nuova disciplina del codice ha introdotto il principio del controllo sostanziale del contratto quale regola che tutela il contraente non in ragione delle sue peculiari condizioni o qualità ma in ragione della sua soggezione al potere di regolamentazione del contratto detenuto dai produttori di beni e servizi. «Il controllo sostanziale del contratto» - prosegue l’Autore - «è cioè in funzione della tutela di un contraente istituzionalmente debole e il nuovo principio del diritto dei contratti sancisce il dovere della parte forte di non abusare del suo potere contrattuale per squilibrare in suo favore il regolamento del contratto». FAMIGLIA E DIRITTO N. 3/2009 307 OPINIONI•PERSONA alimentare (l. n. 17/2006) ovvero ancora, da ultimo, la legge contente misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche e la nascita di nuove imprese (l. n. 40/2007 di conversione del d.l. 31 gennaio 2007, n. 7). L’articolata legislazione extracodicistica, sotto il costante influsso della normativa comunitaria, colma, così, il gap e le asimmetrie informative fra le parti; introduce efficaci meccanismi di controllo sui regolamenti negoziali (18); crea un “nuovo paradigma contrattuale, significativamente diverso da quello del contratto di diritto comune, consegnatoci dalla tradizione (19)”. Se ed in quale misura, poi, l’evoluzione del formante determini un sostanziale capovolgimento delle posizioni dei contraenti e del rapporto di necessaria interdipendenza tra imprenditore e consumatore è sospetto che la descritta ipertrofia legislativa quanto meno sollecita. Il soggetto forte, il professionista, gravato com’è da una serie indefinita di obblighi - tra cui primeggiano quelli d’informazione o di corretta pubblicità o, ancora, di lealtà e buona fede - rischia, infatti, di apparire (e, forse, di essere) “più debole del debole”; vittima, per così dire, di quello che, con formula provocatoria, potremmo definire un ri-ribaltamento dell’iniziale squilibrio normativo. Di qui, allora, la doverosità di non generalizzare la tutela, ma di personalizzarla, distinguendo le prerogative, le posizioni, i diritti e le azioni a seconda delle sembianze che il consumatore di volta in volta assume: investitore di borsa, azionista, assicurato, multiproprietario, contraente a distanza; giacché - ricorda Vivante - il cittadino ha bisogno dell’imprenditore per nascere, per vivere, per morire. Nell’“età dei diritti” (20), in cui dai diritti individuali di libertà (21) si trascorre ai diritti sociali, ai diritti cioè rispetto ai quali “non esiste l’uomo generico (22)”, il legislatore è, dunque, costretto a fare i conti con il diffondersi di situazioni soggettive differenti e differenziate, rispetto alle quali la stessa nozione di debolezza spazia da una dimensione esclusivamente socio-economica ad un’altra, al contrario, spiccatamente socio-esistenziale. Del resto, ricorda la dottrina d’Oltralpe, è proprio l’idea di un principe de différence - di là da pur possibili suggestioni rawlseniane (23) - ad essere complementare e funzionale alla condizione d’ègales opportunités (24). 4. L’embrione “soggetto debole”? Le difficoltà si accentuano, invece, quando ad essere in discussione è la qualità stessa di persona del soggetto da tutelare, quando cioè, essendo questi ancora nel corpo della madre (o addirittura al di fuori di esso), homo non recte fuisse dicitur (Papiniano, D. 35, 2, 9, I). Il riferimento è al nascituro ed, in particolare, all’embrione, su cui si sofferma con puntualità ed attenzione la novella disciplina in tema di procreazione medicalmente assistita. L’equiparazione ai fini della tutela agli “altri soggetti” coinvolti nel procedimento è anzi a tal punto voluta dal legislatore da essere consacrata nella lett. dell’art. 1, 308 FAMIGLIA E DIRITTO N. 3/2009 l. n. 40/2004. Ivi, appunto, il superamento della tradizionale ipostatizzazione dell’embrione (25) è accentuato dall’icastico delinearsi di una sua soggettività giuridica: l’embrione, cioè, non più spes vitae, non più mera mulieris portio viscerum (fr. 1 § D. 25.4) (26), acquista, grazie ad una scienza che dimostra la “separabilità biologica (27)” del suo destino rispetto a quello della madre (28), una propria distinta individualità (29), alla Note: (18) In argomento, tra gli altri, Capo, La normativa sull’affiliazione commerciale e la tutela contrattuale dell’imprenditore “debole”. Appunti per uno studio sulla disciplina della contrattazione “asimmetrica” fra imprese, in Scritti in onore di V. Buonocore, IV, Diritto civile, Milano, 2005, 4312 ss. (19) Come appunta Roppo, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppi, in Riv. dir. priv., 2001, 798. (20) La definizione è di Bobbio, L’età dei diritti, Torino, 1992, passim. (21) Si tratta dei diritti che spettano ad ogni uomo in condizioni di eguaglianza, senza qualificazione alcuna. (22) “L’uomo astratto”, infatti, chiarisce Ferrando, Il beneficiario, in L’amministrazione di sostegno. Familia. Quaderni, Milano, 2005, 26, “cede il passo al bambino, all’anziano, alla donna, al disabile, al consumatore, al lavoratore e così via”. (23) Della c.d. rawlsienne vision discorre la dottrina francese (cfr. Triomphe, La compensation du handicap dans la loi 11 février 2005: du mythe à la réalité, in Revue de droit sanitarie et social, 2005, 3, 371) rievocando il pensiero filosofico di John Rawls. (24) Per riprendere espressioni e pensiero del legislatore francese nella loi 11 février 2005 sur les personnes handicapées. (25) Per un approfondimento del profilo e, più in generale, per un’analisi dell’evoluzione del c.d. diritto alla maternità ed alla nascita, dalla l. n. 194/78 all’odierna l. n. 40/2004, sia consentito il rinvio a Stanzione, Linee d’ombra e tratti di (di)continuità legislativa: il “diritto” alla maternità tra aborto e procreazione medicalmente assistita, in Itinerari di diritto privato, Salerno, 2007, 71 ss. (26) I principi del diritto romano riguardanti i concepiti sono enunciati nel libro primo dei Digesta di Giustiziano (Titolo V, De statu hominum). Si deve così alla tradizione latina l’immagine del concepito quale “essere esistente” (in rerum natura esse: Giuliano D. 1.5.26), al pari di chi è già nato (in rebus humanis esse), almeno allorquando si tratti di riconoscergli un vantaggio (commodum: Paolo D. 1.5.7). che egli sia poi soggetto distinto dalla madre chiaramente affermato da Marciano (D. 1.5.5.2.): non debet calamitas matris nocere ei qui in ventre est. (27) La locuzione metaforica è di Grossi, Alcune considerazioni in merito al problema della tutela giuridica del concepito, in Procreazione assistita: problemi e prospettive, Roma, 31 gennaio 2005. (28) Il pensiero corre subito alla maternità c.d. surrogata, alla possibilità di gravidanze condotte in uteri diversi, quasi a dimostrare come “nel momento in cui si da vita a una distinta realtà naturale, il feto non è più una parte delle viscere materne”: Trabucchi, Il figlio, nato o nascituro, inestimabile res, e non soltanto res extra commercium, in Riv. dir. civ., 1991, I, 220. (29) In senso contrario, con toni critici, si esprime, invece, Lipari, Legge sulla procreazione assistita, in “Procreazione assistita: problemi e prospettive, cit., il quale denuncia, appunto, “la ineleganza della locuzione” e “la stessa improprietà del sostantivo”, dal momento che il legislatore mostra di dare “per scontato che vi sia un concepimento al momento stesso in cui si determina la fecondazione tra i due gameti, ancorché in sede estranea al corpo della donna”. Vedi, però, contra Busnelli, L’inizio della vita umana, in Riv. dir. civ., 2004, 533 ss., e Mazzoni, I diritti dell’embrione e del feto nel diritto privato, in Nuova giur. civ. comm., 2002, II, 577 ss. Negli stessi termini, altresì, Palazzani, La legge italiana sulla procreazione assi(segue) OPINIONI•PERSONA quale la legge conferisce, poi, il crisma della giuridicità (30). Non si intende ripercorrere in questa sede le note ed ormai stanche dispute filosofiche, scientifiche, morali sulla condizione dell’embrione, trattandosi, peraltro, di profilo che a tutt’oggi non registra consensi unanimi. Né si vuole sciogliere l’ormai atavico dilemma sulla sua capacità giuridica (31), se capacità anticipata o fictio iuris (32) o qualità soggetta alla condizione sospensiva della nascita ovvero ancora fattispecie a formazione progressiva (33). Tuttavia, se è vero che il diritto, “in quanto razionalità collettiva (…) non può porre le conseguenze prima dei presupposti (34)”, si deve convenire che il problema non è probabilmente di capacità giuridica; ma attiene, al contrario, alla “esistenza e consistenza del principio di vita nel quale è già tutto l’uomo futuro (35)”; afferisce precipuamente alla distinta nozione di soggettività, quale “caratterizzata da una gradualità che si presta ad assecondare la specificità della condizione del nascituro (36)”.Tanto più poi che la capacità appare “categoria plasmata sull’approccio prettamente patrimonialistico” della legislazione del 1942. Il diritto civile, del resto, non si esaurisce nel codice civile; si integra e si completa, al contrario, nel raffronto con la legislazione speciale e con i principi e le norme costituzionali (37), non soltanto in una rilettura dello stesso alla luce della costituzione, ma in una interpretazione doverosamente orientata costituzionalmente. L’idea della persona quale “realtà umana che preesiste” anche giuridicamente (38) - “al diritto positivo e a causa della quale il diritto stesso è costituito (39)”, cede così il passo ad una diversa visione in cui la soggettività, come individuata, rispecchia “l’evoluzione biologica dell’individuo” (40) e per ciò stesso rivendica ed esige protezione. La portata innovativa della conclusione non stupisce. La procreazione medicalmente assistita è, infatti, tematica che più di ogni altra “mette a dura prova” le tradizionali categorie civilistiche: talune di esse sopravvivono esigendo alcuni adattamenti - si pensi al negozio giuridico di natura personale o alla revoca del consenso prestato -; altre si ritrovano nella pratica e giuridica impossibilità di essere utilizzate - si ponga mente all’esecuzione forzata di trasferire l’embrione nel grembo della donna non più consenziente -; altre ancora, come il diritto soggettivo, che già in crisi in diversi settori del diritto civile, qui vede decretata la proprio scomparsa. Tant’è che il legislatore della natività avrebbe dovuto preferire a tale ultima nozione, l’altra, più appropriata di “interesse esistenziale”, vuoi per connotare la posizione giuridica della madre, vuoi per ridefinire quella nascente dell’embrione. A tale categoria, del resto, ricorre la giurisprudenza (41) nelle occasioni in cui si pronuncia sul loro (possibile) confliggere, che essa compone nell’ottica di un bilanciamento in cui l’interesse “a venire al mondo” del nascituro si ritrae al cospetto di quello alla tutela del benessere fisio-psichico della madre (art. 32 cost.). L’iperprotezionismo legislativo ne esce ridimensionato, “costretto” a scontare il filtro delle potenzialità di vita dell’embrione, di una scienza che deve “imitare la natura” (42), di una legge, la n. 194/78, che delimita il “diritto a nascere”, di una giurisprudenza - ancora - che riguarda il nascituro dalla sola ottica risarcitoria (43). Note: (continua nota 29) stita: aspetti filosofico-giuridici, in Dir. fam. e pers., 1999, 752, per la quale l’embrione è “bio-geneticamente e ontologicamente umano”. Infatti «sin dal momento della fecondazione, con la formazione dello zigote, la prima cellula embrionaria, inizia un organismo, ossia un singolo essere vivente con un sistema unico, integrato e organizzato (non più scomponibile nei componenti che lo hanno generato, le cellule germinali), che contiene in sé intrinsecamente tutte le informazioni genetiche, individuali e specifiche, orientate autonomamente all’attuazione dell’organismo completo, nelle diverse fasi dello sviluppo continuo, graduale e coordinato. L’embrione umano è già, a tutti gli effetti (dunque, “in atto”), un individuo umano autonomo che inizia, dal momento del concepimento, il suo ciclo vitale: quindi è un soggetto di diritto che esige la tutela nella coesistenza». (30) Incisivo in tal senso Lipari, Legge sulla procreazione assistita, cit. (31) È l’impostazione del Cicu, Successioni per causa di morte, Milano, 2000, 70. (32) Secondo quanto suggerisce Santoro Passarelli, Su un nuovo profilo dell’istituzione dei nascituri, in Saggi di diritto civile, Napoli, 1961, II, 747 ss. (33) Il riferimento è a Coviello jr., Capacità di succedere a causa di morte, in Enc. dir., VI, Milano, 1960, 57 ss. (34) Il diritto «in quanto razionalità collettiva (…) non può porre le conseguenze prima dei presupposti»; dunque, «non è possibile stabilire cosa si può fare e cosa non si può fare riguardo all’embrione, se prima non decidiamo cosa è l’embrione»: così Casini, Appello al diritto, Siena, 1997, 22 ss. (35) Oppo, Declino del soggetto e ascesa della persona, in Riv. dir. civ., I, 2002, 829. (36) La considerazione è di Scalisi, Lo statuto giuridico dell’embrione umano alla luce della legge n. 40 del 2004, in tema di procreazione medicalmente assistita, in questa Rivista, 2005, 206. (37) Ad analoghe conclusioni si può giungere e si è giunti con riguardo al recente istituto dell’amministrazione di sostegno. Sul punto cfr., per tutti, Stanzione, Amministrazione di sostegno. Commento alla legge 9 gennaio 2004, n. 6, Milano, 2004, 100 ss. (38) Secondo quando precisa Catalano, Il concepito “soggetto di diritto” secondo il sistema giuridico romano, in Procreazione assistita: problemi e prospettive, cit. (39) Oppo, Declino del soggetto e ascesa della persona, cit., 829, il quale allude al chiaro passo di Ermogene. (40) Cfr. A. Scalisi, op. cit., 206. (41) Tra le prime in argomento, Corte cost., 18 febbraio 1975, n. 27, in Foro it., 1975, I, c. 515 ss., a giudizio della quale «l’interesse costituzionalmente protetto relativo al concepito può venire in collisione con altri beni che godano pur essi di tutela costituzionale e (…) di conseguenza, la legge non può dare al primo una prevalenza così totale ed assoluta, negando ai secondi adeguata protezione». (42) Si pensi, in tal senso, ai divieti di crioconservazione; di diagnosi preimpianto (anche se ridefiniti); si sovra numerazione. (43) La giurisprudenza, così, desume non senza una certa difficoltà dalle strette maglie della l. n. 194/1978 un “diritto a nascere”e precisamente a “nascere sani”, ma la conclusione non va oltre il limitato fine di determinare il risarcimento del danno da insuccesso della pratica abortiva. (segue) FAMIGLIA E DIRITTO N. 3/2009 309 OPINIONI•PERSONA 5. Dalla tutela risarcitoria a quella “costitutiva”: l’anomia temuta del legislatore La c.d. tematica della wrongful life (44), in particolare, si inscrive all’interno di quel processo di moltiplicazione delle categorie di danno risarcibile (biologico, morale, esistenziale, sessuale, edonistico e via enumerando) (45) che esprime l’ampia (e discutibile) tendenza a risolvere la protezione dei soggetti deboli sul piano - appunto - risarcitorio e non già su quello costitutivo. Si assiste, in altri termini, ad un tentativo di “costituzionalizzazione dei danni” in nome del quale risarcire la lesione di qualsivoglia interesse della persona, sul presupposto per cui il prodursi di un pregiudizio esistenziale avrebbe come riflesso immediato l’offesa al diritto al libero svolgimento della propria personalità (46). E sul punto,è intervenuta con parole chiarificatrici la Cassazione, sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972 (47). Inevitabile il paradosso linguistico, posto che la Costituzione non protegge danni, bensì diritti ed interessi (48). Inevitabili, altresì, le ricadute sul sistema costituzionale e della responsabilità civile: l’uno destinato ad essere rivisitato nei suoi stessi principi cardine; l’altro condannato a smarrire i suoi tratti essenziali ed a vederli sfumare nel limbo indefinito del soggettivismo (49). Ciò che il debole invoca, del resto, non è tanto (o non è soltanto) il ristoro del nocumento patito quanto piuttosto la rimozione di quegli ostacoli giuridici e materiali che si frappongono al conseguimento di una condizione di normalità. È il c.d. droit à compensation. È, al tempo stesso, il bisogno di non essere lasciato “in balia di se stesso” (50). Il pensiero corre subito al minore, all’anziano, all’infermo, al malato terminale, e più in generale a tutte quelle vicende in cui la minorità ripete l’immagine kantiana dell’“impossibilità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro” (51). All’altro (al genitore, al tutore, all’amministratore di sostegno, al coniuge, allo Stato) si richiede di assistere senza sostituire, ovvero, in una parola, di “compensare” la diversità senza negare la dignità della persona. Mirabili, in tal senso, le parole della Cassazione, in una sentenza dai toni forti e contestati (52), in cui il silenzio del debole, del malato in stato vegetativo, è riempito dal rappresentante che decide “non al posto” né Note: (continua nota 43) Anche, peraltro, a volere ammettere un siffatto diritto, (ancorché nella sua accezione negativa, di diritto di non nascere affatto), si è comunque costretti a prendere atto della sua natura adespota, come ricorda, per prima, Cass. civ., 29 luglio 2004, n. 14488, in questa Rivista, 2004, p. 559: «Il diritto a “nascere sani” significa solo che, sotto il profilo privatistico della responsabilità contrattuale, extracontrattuale, e da “contatto sociale”, nessuno può procurare al nascituro lesioni o malattie (con comportamento omissivo o commissivo, colposo o doloso), e, sotto il profilo - in senso lato - pubblicistico, che siano predisposti quegli istituti normativi o quelle strutture di tutela, di cura e di assistenza della maternità, idonei a garantire, nell’ambito delle umane possibilità, la nascita sana». 310 FAMIGLIA E DIRITTO N. 3/2009 (44) In argomento per la dottrina italiana Guarnieri, Nascita di figlio malformato, errore diagnostico del medico e regola di responsabilità civile, in Riv. dir. civ., 2002, 6, 848 ss. Il dibattito è molto vivace nell’area francese dove nasce con l’arrêt Perruche. Sul punto, per la dottrina straniera, Leduc, Handicaps génétique ou congénital et responsabilità civile, in Resp. civ. et ass., 2001, 4; Seriaux, Perruche et autres. La Cour de Cassation entre mystère et mystification, in Rec. Dalloz, 2002, 1996. (45) Di nuovi danni discorre, tra gli altri, Cendon, Trattato breve dei nuovi danni, Padova, 2002, 1 ss. (46) In argomento Cendon-Ziviz, Il risarcimento del danno esistenziale, Milano, 2003, 95 ss. (47) V. Cass. civ., SS.UU., 11 novembre 2008, n. 26972, con nota di G. Facci, Il danno non patrimoniale nelle relazioni familiari dopo le sentenze delle sezioni unite dell’11 novembre 2008, in questa Rivista, 2009, 113 ss. (48) Lo ricorda, opportunamente, Navaretta, Ripensare il sistema dei danni non patrimoniali, in Resp. civ. e prev., 2004, I, 3. (49) L’inadeguatezza della prospettiva risarcitoria non è ignota alla stessa giurisprudenza, che in più di un’occasione ha avuto modo di evidenziare l’inidoneità del solo profilo patrimoniale alla risoluzione di tematiche di ordine esistenziale. Le principali esemplificazioni si rinvengono in materia di affidamento di minori. Si legge così che “sono ben conosciute le pronunce che hanno ritenuto la rilevanza essenziale dell’incapacità dell’ambiente familiare di garantire un equilibrato ed armonioso sviluppo della personalità del minore, anche a prescindere dalla materiale corresponsione delle cure finalizzate al mantenimento” (Cass. civ., 28 marzo 2002, n. 4503, in Giust. civ. mass., 2002, 541 ss.). Nello stesso senso: Cass. civ., 14 febbraio 2000, n. 1612, ibidem, 2000, 232 ss, nonché Cass. civ., 7 febbraio 2002, n. 1674, ibidem, 2002, 204 ss. (50) Così Pisapia, Maltrattamenti in famiglia verso i fanciulli, in Dig. pen., X, 1993, 215. (51) Kant, Risposta alla domanda: cos’è l’illuminismo?, Konisberg, 1784. (52) Il riferimento è a Cass. civ., 16 ottobre 2007, n. 21748, ed al commento a cura di Stanzione, Salito, Il rifiuto “presunto” alle cure: il potere di autodeterminazione del soggetto incapace. Note a margine di Cass. civ., 16 ottobre 2007, n. 21748, in Justitia, 2008, 1, 55 ss. V. anche Cass. civ., sez. I, 16 ottobre 2007, n. 21748, con nota di R. Campione, Stato vegetativo permanente e diritto all’identità personale in un’importante pronuncia della suprema Corte, in questa Rivista, 2008, 129 ss. Da ultimo sul punto in giur. App. Milano, 9 luglio 2008, in Red. Giuffrè, 2008, a giudizio della quale:«Ove il malato giaccia da moltissimi anni (nella specie, oltre quindici) in stato vegetativo permanente, con conseguente radicale incapacità di rapportarsi al mondo esterno, e sia tenuto artificialmente in vita mediante un sondino nasogastrico che provvede alla sua nutrizione ed idratazione, su richiesta del tutore che lo rappresenta, e nel contraddittorio con il curatore speciale, il giudice può quindi autorizzare la disattivazione di tale presidio sanitario (fatta salva l’applicazione delle misure suggerite dalla scienza e dalla pratica medica nell’interesse del paziente), unicamente in presenza dei seguenti presupposti: (a) quando la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno; e (b) sempre che tale istanza sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, univoci e convincenti, della voce del paziente medesimo, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l’idea stessa di dignità della persona. Ove l’uno o l’altro presupposto non sussista, il giudice deve negare l’autorizzazione, dovendo allora essere data incondizionata prevalenza al diritto alla vita, indipendentemente dal grado di salute, di autonomia e di capacità di intendere e di volere del soggetto interessato e dalla percezione, che altri possano avere, della qualità della vita stessa». V. anche App. Milano, 9 luglio 2008, con nota di R. Pacia, Sull’interruzione delle cure del malato in stato vegetativo permanente, in questa Rivista, 2008, 903 ss. OPINIONI•PERSONA “per” l’incapace, ma “con” l’incapace. La preposizione prescelta “decidere con” sottolinea, appunto, come l’intervento di quel terzo non intacchi la sostanza del decisum, né lo alteri, ma al contrario lo completi e lo esprima, “tenendo conto” dei desideri espressi prima della perdita della coscienza, “ovvero inferendo quella volontà dalla sua personalità, dal suo stile di vita, dalle sue inclinazioni, dai suoi valori di riferimento e dalle sue convinzioni etiche, religiose, culturali, filosofiche” (53). Consentire all’incapace di esprimersi rispetto alle scelte concernenti la propria persona attraverso il suo legale rappresentante, così, “colma una lacuna, riduce la (n.d.r.) diversità”. (54) È soltanto nel momento del “conflitto”, allorquando cioè la volontà del soggetto, nella sua accezione negativa di rifiuto alle cure, collide con i doveri cui normalmente sono tenute le persone (il medico, il tutore) (55) chiamate ad assicurarne rispetto ed attuazione, che le certezze dogmatiche, faticosamente costruite, entrano nuovamente in crisi. Le indubbie remore della tradizione, le ombre dei sentimenti contingenti sulla vera essenza di una “volontà presunta” incrinano il principio di autodeterminazione sancito dall’art. 32 Cost. e pongono il legislatore di fronte all’inquietante interrogativo circa l’opportunità di una legge. È l’anomia “temuta” dell’ordinamento, cui solo in parte l’amministrazione di sostegno (56)od il negozio di designazione preventiva dell’art. 408 c.c. pongono rimedio. Restano, sullo sfondo, i dubbi sulla vincolatività di una “volontà non più attuale” amplificati dalla sostanziale “ignoranza diagnostica” che ne precede la manifestazione; sull’ammissibilità di negozi unilaterali atipici, quali testamenti biologici e direttive anticipate; sulla coercibilità di un’obbligazione soltanto morale. Il debole si rivolge allora al diritto per affermare le proprie ragioni; ma è il diritto stesso, sul punto, a rivelarsi debole. E tuttavia, pur in tale confusione, rimane indiscussa l’affermazione del diritto alla vita, assecondato dall’idratazione e dall’alimentazione forzata che non si risolvono necessariamente in accanimento terapeutico. 6. L’anomia “voluta” e la presunta debolezza del convivente Considerazioni ben distinte possono svolgersi, invece, in relazione a quella che, con formula sintetica, si è scelto di definire “anomia voluta”. Nella specie, ossia convivenza more uxorio, al diniego di normazione opposto dal legislatore corrisponde, nella generalità dei casi, la volontà degli stessi interessati di sottrarsi a determinate forme di regolamentazione. Al diritto, in altri termini, si richiede unicamente di disciplinare quei settori (successioni, assegnazione della casa familiare, rottura della convivenza, obbligazione di mantenimento) in cui la posizione del soggetto, recte del convivente, si suppone essere debole. Per il resto, ciò che la persona desidera è il rispetto incondizionato della propria sfera di libertà, onde sottrarsi all’astringente imposizione normativa di quei doveri e di quei diritti di cui gli artt. 143 e ss. c.c. gravano e riconoscono come titolare il coniuge. Se, dunque, è di debolezza che si intende parimenti discorrere si deve, però, convenire sul fatto che il significato della nozione diverge rispetto ai suoi contenuti ordinari. Nessuna limitazione all’esercizio dei diritti e delle libertà fondamentali sconta, infatti, il convivente a causa della sua condizione, la quale, al contrario, è scelta e non già “subita”, come accade per i soggetti “tradizionalmente deboli”. Le stesse argomentazioni normative a fondamento delle ricordate rivendicazioni - e tra queste, in primis, il richiamo all’art. 2 Cost. (57) ed ai non meno importanti principi del personalismo, del solidarismo, della democraticità (58) - se comprovano la rilevanza del fenomeno della convivenza more uxorio non valgono ad assicurare ad esso una posizione privilegiata all’interno dell’ampio genus delle formazioni sociali né a consentirne l’analogica sussunzione sotto il dettato esclusivo dell’art. 29 Cost. Note: (53) Il rischio di un’eccessiva discrezionalità altrui ne esce, peraltro, ridimensionato dal duplice confronto con la volontà del rappresentato, come ricostruita, e con quella del sanitario, unico dotato delle conoscenze indispensabili per attualizzare, in maniera altamente probabile, le decisioni mediche antecedentemente espresse dalla persona non in condizione di ripeterle. (54)Né vi osta il carattere personalissimo della decisione, (specie allorquando essa, come nel caso al vaglio della Corte, concerna il consenso od il dissenso alle cure), salvo non si tratti di atti del diritto di famiglia (matrimonio, riconoscimento del figlio naturale) per i quali torna ad essere operante il divieto di sostituzione rappresentativa. Diversamente, la cura della persona si pone quale dovere specifico del rappresentante, chiaramente individuato dagli artt. 357 e 424 c.c. che ne discorrono, peraltro, in senso ampio e generale. In merito v., altresì, Ferrando, Protezione dei soggetti deboli e misure di sostegno, in La riforma dell’interdizione e dell’inabilitazione, S. Patti (a cura di), Milano, 2002, 138 ss. (55) Di recente, in argomento, Cass. pen., 14 marzo 2008, in Mass., 2008. La Corte, chiamata ad affrontare tutt’altro problema (configurabilità o meno dell’omicidio preterintenzionale a carico del medico per la prestazione di un trattamento chirurgico senza il consenso del paziente, deceduto in seguito all’operazione) ha precisato che la prestazione, da parte del paziente, del consenso al trattamento costituisce un vero e proprio presupposto di liceità dell’attività del medico, cui non è attribuibile un generico ed incondizionato diritto di curare, atteso che l’ordinamento riconosce allo stesso paziente non solo la facoltà di scegliere tra diverse soluzioni terapeutiche, ma anche quella di eventualmente rifiutare qualsiasi terapia o di interromperla in qualunque momento. (56) Significativo, da ultimo, il decreto di Trib. Modena, 16 settembre 2008. (57) Se è in tema di formazioni sociali garantite dall’art. 2 cost. che si verte il richiamo non può ritenersi circoscritto alla sola famiglia di fatto ma riguarda più in generale tutte quelle situazioni in cui si assiste ad un Mit-Dasein tra individui: “convivenze tra giovani per ragioni di studio, tra persone mature per darsi sostegno reciproco nel progredire degli anni; convivenze tra parenti, tra fratelli e sorelle”: per riprendere le parole di Ferrando, Gli accordi di convivenza: esperienze a confronto, in Riv. crit. dir. priv., 2000, 163. (58) Per una più ampia lettura del profilo Autorino, Stanzione, Unioni di fatto e patti civili di solidarietà. Prospettive de iure condendo, in Trattato teorico pratico di diritto di famiglia, Torino, 2007, V, 1 ss. FAMIGLIA E DIRITTO N. 3/2009 311 OPINIONI•PERSONA L’ordinamento, del resto, non priva del tutto i conviventi di forme di tutela. Molti degli istituti tradizionali (donazione, obbligazione naturale, liberalità, comunione ordinaria, contratto, pagamento traslativo) sono, ad esempio, applicati dalla giurisprudenza per assicurarne le esigenze, quanto meno patrimoniali. La legislazione ordinaria, a sua volta, ne disciplina in più di una disposizione la condizione: così nella legge sull’amministrazione di sostegno, nel codice della privacy, in diverse disposizioni del codice civile (si pensi, tra le altre, all’art. 342 bis c.c.), in alcuni codici deontologici (quale quello di deontologia medica), nella legge sulla procreazione assistita. Se, poi, ciò sia il preludio ad una disciplina organica o la compiuta negazione della sua necessità è interrogativo accattivante quanto pericoloso per le inevitabili implicazioni giuridiche, etiche, morali. Un dato, peraltro, resta certo allo stato attuale, quello, vale a dire, per cui il diritto non supera il momento del riconoscimento di singole, determinate prerogative o posizioni. Quando lo fa - è il caso della l. n. 54/2006 sta pensando, in realtà, “ai figli di genitori non coniugati”(art. 4). 7. La debolezza quale conseguenza dell’età: il minore e l’anziano Il minore, soggetto fragile tra i più fragili, riceve costante attenzione da parte del sistema. L’intera disciplina in suo favore ne riassume la storia, riflettendone il costante tentativo di affrancarsi dalla soggezione ad un’altra persona (sia esso il genitore o il tutore) per acquisire dignità di persona e raggiungere la piena autonomia. L’esperienza giuridica segue la dimensione temporale, scandisce i ritmi dell’esistenza e culmina nella formulazione di quella straordinaria “nozione magica” - per riprendere le parole di Carbonnier (59) - che è l’interesse del minore. Questa “clausola generale, nozione a contenuto”, proprio perché intimamente legato ad una personalità ancora in fieri è concetto di difficile ma non impossibile determinazione (60). Il codice civile ne discorre in più di una disposizione, alternandone talvolta il richiamo alla distinta ma collegata figura dell’“interesse della famiglia”, come nel caso dell’art. 143, secondo comma, c.c. (ovvero, in senso similare, dell’art. 144 c.c.); talaltra prediligendone un riferimento esclusivo (artt. 155 e ss. c.c.) o prioritario (nel caso, in particolare, dell’art. 155 quater c.c.); talaltra, ancora, indicando i criteri per la sua determinazione: così nell’art. 333 c.c., da cui è dato inferire come l’interesse del minore implichi la necessità di tenerlo indenne da gravi pregiudizi di natura fisica o psichica, o nell’art. 147 c.c. ove si delineano, sulla falsariga della disciplina costituzionale, gli elementi (considerazione della “capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni”) che devono presiederne la valutazione. La legislazione speciale, a sua volta, richiama l’interesse del minore in sede di adozione, di 312 FAMIGLIA E DIRITTO N. 3/2009 affidamento condiviso, di procedimenti giurisdizionali. Giammai, tuttavia, ne viene offerta una definizione astratta e generale, essendo la stessa destinata a modellarsi - per precisa scelta normativa - sulle singole fattispecie concrete, sul singolo minore e sulle sue peculiari caratteristiche, “attraverso un’analisi casistica che tenga conto della sua personalità, delle sue inclinazioni, della sua maturità, ovvero, in una parola, del suo vissuto” (61). L’immediato riflesso sul piano della tutela è il ricorso a strumenti dal contenuto elastico, che si perfezionano e mutano con il modificarsi delle esigenze della persona tutelata. La potestà dei genitori, in simile scenario, si trasforma: da diritto di direttiva diviene, con il progredire degli anni, diritto di controllo, all’interno di una ridefinizione della “concezione istituzionale” della famiglia a tutto vantaggio di una, al contrario, «costituzionale», ove l’emersione degli interessi dei singoli rispetto a quelli del gruppo si svolge all’insegna di un principio di “equilibrio delle libertà” individuali. Altre categorie tradizionali - parimenti - non si sottraggono ad una rivisitazione alla luce dei principi espressi dalla Costituzione: il superamento della dicotomia capacità giuridica-personalità si impone, anzi, come doveroso nell’ottica di una (ri)scoperta della capacità naturale del soggetto, della sua maturità di intendere e di volere. E mentre la rigorosa lettera del codice (art. 2 c.c.) continua a fissare per le situazioni patrimoniali il limite del raggiungimento della maggiore età per accedere al loro esercizio, per quelle esistenziali si delinea in maniera sempre più netta il requisito della capacità di discernimento. (62) Il rilievo assunto dalla nozione è comprovato dal moltiplicarsi dei richiami normativi e degli strumenti pensati per una sua più compiuta valorizzazione, non ultimo l’avvocato del minore, nei procedimenti di adottabilità ed in quelli de potestate (in attuazione del dettato della l. Note: (59) L’espressione di Carbonnier è riportata da Ronfani, Interesse del minore: “dato asimmetrico” o “nozione magica”?, in Sociologia del diritto, 1997, I, 48. (60) In questi termini G. Autorino, Diritto di famiglia, Torino, 2003, 195. (61) Come suggerisce, altresì, Dogliotti, L’interesse del minore nella separazione fra coniugi, in Dir. fam. e pers., 1986, 1126, a giudizio del quale «al medesimo fanciullo in circostanze diverse faranno capo interessi diversi. Sembrano affermazioni ovvie, sulle quali il consenso dovrebbe essere unanime. Ed invece, talora, specialmente nell’ambito della magistratura minorile, si sono manifestate posizioni di pregiudizio aprioristico, come se l’interesse del minore-tipo fosse stato scoperto una volta per tutte e unico depositario di esso fosse proprio il giudice minorile». (62) La nozione trascorre dalla meditazione dello studioso (v. Stanzione, Capacità e minore età nella problematica della persona umana, CamerinoNapoli, 1975, 12) alla penna del legislatore che con la l. n. 149/2001 prima e con la l. n. 54/2006 poi ne positivizza i contenuti. È singolare, in merito, come il rilievo della categoria non resti circoscritto al minore, rispetto al quale si era venuto delineando onde consentire la partecipazione ai traffici giuridici, ma si estenda all’incapace maggiore di età, secondo quanto implicitamente riprova la l. n. 6/2004 specie laddove rivaluta l’agire dell’interdetto (cfr. art. 427 c.c.). OPINIONI•PERSONA 28 marzo 2001, n. 149) (63). La figura, se riflette una logica di eccessivo garantismo, risponde al tempo stesso al bisogno di favorire la manifestazione da parte del minore delle sue inclinazioni, delle sue scelte, specialmente in relazione a momenti delicati della sua crescita (crisi della famiglia ed adozione). L’avvocato del minore è, così, chiamato a presiedere e ad attendere all’audizione del soggetto, a prestarvi attenzione, a capire l’interlocutore e recepirne le istanze ancorché inespresse (64), onde completarne la tutela e lo sviluppo. Una volta, del resto, riconosciuto che il minore è persona al pari dell’adulto, la difesa della sua autodeterminazione si impone come doverosa all’interno di una sistema che si prefigge come fine la salvaguardia della dignità dell’individuo (65). L’età, pertanto, giovanile come adulta, infantile come anziana, lungi dal risolversi in uno statico e sterile dato numerico, concorre a stabilire l’identità della persona e, per tale via, ad incidere sulla disciplina normativa. Di qui l’elogio alla l. n. 6/2004 di riforma dell’incapacità per non avere incluso l’anzianità - altra condizione debole per eccellenza - tra i presupposti di applicazione tout court dell’amministrazione di sostegno. L’antico brocardo senectus ipsa morbus non trova, infatti, oggi più corretta rispondenza nell’immagine che il progresso scientifico consegna della fase ultima della vita dell’uomo; e, dunque, non essendo (più) la senilità una condizione patologica, essa non può comportare alcun intervento sulla capacità. L’anziano, pertanto, andrà tutelato se e in quanto risulti bisognoso di cure. Diversamente opinando si finirebbe, altrimenti, con “il giustificare, in nome del principio di eguaglianza sostanziale, uno statuto di deroga all’eguaglianza formale” (66), laddove la scienza medica insegna che “le persone, già dotate di potenzialità differenti, invecchiano anche differentemente”, dal momento che “il ritmo dell’invecchiamento biologico ed intellettuale è lungi dall’essere uguale per tutti” (67). L’effettività della tutela passa, così, ancora una volta, attraverso un meccanismo di differenziazione ed individuazione dei bisogni che esalta la differenza, senza mai negare l’unitarietà della persona. 8. Le misure di protezione in favore dell’adulto incapace. La rivalutazione della sua partecipazione ai traffici giuridici La cultura della diversità, l’attenzione all’evolversi della personalità dei soggetti da tutelare può dirsi, anzi, il leit motiv del moderno atteggiamento del diritto al cospetto della minorità. La riprova inequivocabile è offerta dalla più volte richiamata l. n. 6/2004, che, nel riformare gli istituti di protezione dell’incapace, li struttura interamente sui principi della flessibilità e dell’elasticità. Si sottolinea, non a caso, come l’amministrazione di sostegno sia una tailored measure (68), un istituto “su misura”, in grado di assicurare una piena tutela, specie sul piano esistenziale, alle esigenze concrete del disabile, Note: (63) L’opportunità, recte necessità di nominare un avvocato di fiducia al minore all’interno dei procedimenti di cui sia parte non era del tutto estranea alla valutazione del legislatore come non era avulsa dalla prassi giurisprudenziale, avvezza, al contrario, a valutazioni di carattere discrezionale finalizzate alla nomina di un curatore speciale per la risoluzione dei conflitti di interesse con i genitori. Sul piano concreto, tuttavia, alcuna disposizione contemplava espressamente la figura e le esigue norme dedicate al profilo apparivano piuttosto disomogenee e non sempre rigorosamente pertinenti. Le remore nascevano principalmente da considerazioni di natura esistenziale e soggettiva cui seguivano riflessioni di valenza spiccatamente giuridica: le une erano variamente motivate, fondandosi ora sull’assenza di conoscenze specifiche, soprattutto ad opera del giudice, in grado di assicurare il corretto e sereno svolgimento dell’ascolto, ora sulla pericolosità dell’audizione nel segnare la psiche del minore, responsabilizzato in maniera eccessiva nella definizione delle liti familiari, ora, ancora, sulla naturale inattendibilità del figlio ad essere testimone imparziale degli eventi familiari; le altre, al contrario, erano dettate dalla difficile conciliabilità tra le funzioni tipiche dell’avvocato e la “difesa” di un soggetto privo, non di rado, della stessa capacità di discernimento. (64) Né un simile ruolo, per il contesto in cui è destinato ad essere svolto e per le situazioni rispetto alle quali è richiesto, può essere svolto dal genitore o dal tutore, ancorché legali rappresentati. L’avvocato del minore, in tal senso, differisce altresì dalla figura del curatore speciale, di cui vi è disciplina nell’art. 320 c.c. che ne limita l’intervento ai soli casi in cui sussista il rischio di “un conflitto di interessi patrimoniali tra i figli oggetti alla stessa potestà o tra essi e i genitori o quello di essi che esercita in via esclusiva la potestà”. (65) Non a caso, la stessa riforma della (in)capacità, attuata dalla l. n. 6/2004, muove proprio dalla finalità di “tutelare con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia”. Per un primo commento alla legge cfr. Autorino Stanzione, Zambrano, Amministrazione di sostegno. Commento alla legge 9 gennaio 2004, n. 6, Milano, 2004. Sul punto, per singoli specifici profili, v., altresì, Salito, Matera, Amministrazione di sostegno: il ruolo del notaio, in Notariato, 2004, 6, 772 ss.; Id., Amministrazione di sostegno tra sein und sollen, in Giur. merito, 2005, I, 1090 ss. (66) Testualmente Lisella, Infermità fisica o mentale e codice civile. Su una proposta di riforma, in Riv. dir. civ., I, 1987, 5. Sul punto, altresì, Dogliotti, I diritti dell’anziano, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1987, 719 ss. (67) Sullerot, Età e identità sociale, Roma, 1987, 98. Sul piano del diritto, la conclusione è comprovata da un sistema che individua nel limite massimo di età la fine di una limitazione e giammai il suo inizio. Dalla piena capacità, ad esempio, non si decade, almeno non per ragioni concernenti l’età. Così, per esemplificare, alla persona ultracentenaria è consentito riconoscere un figlio naturale: il che, invece, è notoriamente vietato a chi non è ancora pervenuto al sedicesimo anno di età (art. 250, comma 5, c.c.). limiti massimi di età come decadenza non esistono neppure per il testamento (art. 591 c.c.) o per il matrimonio. Sul punto, Stanzione, Tutela dei soggetti deboli, cit., 65. (68) Sul piano comparatistico, l’invito ad “adattare” al concreto bisogno di protezione la misura di tutela viene da Autorino Stanzione, Infermità mentale e tutela del disabile negli ordinamenti francese e spagnolo, Camerino-Napoli, 1990, 124, lì dove l’A. evidenzia l’opportunità, nell’ordinamento francese, di discorrere delle suavegardes de justice al plurale, nella consapevolezza che l’organizzazione del regime, l’applicazione delle norme, la loro funzione, si diversificano a seconda dell’ipotesi di protezione configurata. D’altro canto, la particolare variabilità delle situazioni esistenziali, in particolare di minorità, invoca ancor più di altri contesti un’adattabilità degli standards valutativi che consentano un adeguamento dell’effetto giuridico alla specificità del fatto concreto, come ricorda Falzea, Gli standards valutativi e la loro applicazione, in Riv. dir. civ., 1987, I, 1 ss. In materia di amministrazione di sostegno, sul punto Zambrano, Articolo 3, l. 9 gennaio 2004, n. 6 (art. 405 c.c.), cit., 125 ss.; nonché Matera, Norme di attuazione, di coordinamento e finali, in Amministrazione di sostegno, cit., 275 ss. FAMIGLIA E DIRITTO N. 3/2009 313 OPINIONI•PERSONA pur nel rispetto della sua (residua) capacità di agire (69). In tal senso l’impiego del termine, tecnicamente molto marcato, di amministratore per designare quello di sostegno solo prima facie evoca l’idea che il problema sia essenzialmente “quello di un patrimonio da gestire”, e non già la protezione di un individuo (70), lì dove, piuttosto, esso risponde alla volontà di cristallizzare, in una sola espressione, l’immagine di un soggetto (l’amministratore, appunto) che affiancandosi ad un altro (l’incapace) lo coadiuvi nella “gestione” della vita quotidiana. Ne consegue un rapporto che non è mai di semplice assistenza, o di totale sostituzione rappresentativa, ma che si sostanzia nella costante partecipazione della persona, ancorché interdetta (art. 427 c.c.), alle scelte che attengono alla sua sfera giuridica (71). Ritornano, così, nel corpo della riformata disciplina espressioni quali «il giudice tutelare […] deve tener conto […] dei bisogni e delle richieste» del disabile (art. 407, comma 2, c.c.), cui fa eco, qualche articolo più in là, l’imposizione del medesimo obbligo in capo all’amministratore di sostegno (art. 410, comma 1, c.c.); ovvero ancora precetti del tipo «l’amministratore di sostegno deve tempestivamente informare il beneficiario circa gli atti da compiere» (art. 410 c.c.). Ed è significativo che l’art. 405 c.c. faccia precedere la “cura della persona interessata” alla “conservazione del suo patrimonio”. Parimenti, il novellato testo dell’art. 414 c.c. in tema di interdizione punta l’attenzione sul soggetto, sulla valutazione delle sue effettive necessità, attraverso il richiamo ad un criterio casistico che spezza il rigore e l’astrattezza della misura: “Il maggiore di età ed il minore, i quali si trovino in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, sono interdetti quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione”. Anche in relazione ai ghettizzanti istituti tradizionali, pertanto, la volontà di “proteggere attraverso la perdita della capacità di agire (72)” scolorisce, adombrata dalla finalità di realizzare un “equilibrio tra le opposte esigenze di libertà e di protezione della persona disabile: assicurare cioè all’infermo la libertà che è possibile e indispensabile, e - quanto alla protezione dargli in più quella che è necessaria e togliergli invece quella che è superflua, dannosa, ingiusta (73)”. 9. Considerazioni conclusive: dal diritto alla persona Dalla persona al diritto, dunque. Tramontata la visione tradizionale degli status; ridefinita dal progresso medico la nozione di capacità giuridica, l’uomo, svestito della diversità che gli deriva dall’appartenenza ad una determinata categoria, si presenta al cospetto del diritto e ne rivendica la protezione. Ed il diritto, in questa dimensione che non conosce divisioni di razza, di sesso, di cittadinanza, di opinioni politiche, culturali, religiose, indugia e si sofferma sull’emergere delle sue “condizioni personali e sociali” in quanto momenti ineludibili di 314 FAMIGLIA E DIRITTO N. 3/2009 una tutela che possa e debba dirsi efficace. La Schutzgebotsfunktion dei diritti fondamentali, che l’art. 3 Cost. impone allo Stato, prende, per tale via, forma e si plasma sulle singole vicende esistenziali, mentre il rischio di un’eccessiva soggettivizzazione degli strumenti di protezione, di un loro esasperato relativismo, è scongiurato dal riferimento, costante, alla Costituzione (74). Lungo le coordinate della dignità umana, del libero sviluppo della personalità, del principio di eguaglianza, si svolge così la tutela di chi è debole, svantaggiato, minore, anziano, morente, malato, povero, consumatore. E si svolge pur a dispetto del silenzio costituzionale sulle loro prerogative, perché la Carta fondamentale, sede elettiva dei diritti e delle libertà personali, etico-sociali, politiche, economiche, tace sui diritti esistenziali della persona, li lascia sull’uscio socchiuso dei diritti fondamentali. Ma è proprio un simile atteggiamento a conferire al diritto quella duttilità che gli consente, da un lato, di rispondere alle istanze di protezione dei “nuovi deboli”; dall’altro di ripensare incessantemente la tutela di quelli “tradizionali”. Del resto, se “la persona identifica l’uomo che è, che esiste giuridicamente” (75) - “l’essere è ciò che è” sosteneva già Parmenide qualche millennio fa -, il legislatore non può che seguirne la continua evoluzione, ora soffermandosi sulla fase iniziale della sua vita (si pensi alla l. n. 40/2004 e, prima, alla l. n. 194/78), ora seguendone la crescita (nel caso del minore) od “amministrandone” la quotidianità (secondo quanto si richiede all’amministratore di sostegno, al tutore, al legale rappresentante); ora, ancora, indirizzandone le scelte patrimoniali (come fa nell’abbondante normativa relativa al consumatore); ora, infine, accompagnandola nella fase ultima dell’esistenza e restando, non di rado, suo muto spettatore. Dal diritto, dunque, alla persona. Note: (69) Per una completa ed esaustiva ricostruzione della nozione di incapacità, v., per tutti, ed in relazione al nuovo istituto Stanzione, Articolo 3, l. 9 gennaio 2004, n. 6 (artt. 404 e 409 c.c.), in Amministrazione di sostegno, cit., 59 ss. (70) L’affermazione è di Cendon, Infermi di mente ed altri “disabili” in una prospettiva di riforma del codice civile, in Pol. dir., 1987, 623. (71) In questi termini, Salito, Matera, Amministrazione di sostegno: il ruolo del notaio, cit., 772. (72) Che si tratti di una tecnica di protezione è chiarito da Calò, Amministrazione di sostegno. Legge 9 gennaio 2004, n. 6, Milano, 2004, 9, a giudizio del quale «proteggere attraverso la perdita della capacità di agire non è certo un paradosso ma una tecnica, che implica l’esistenza, a monte, di un’impostazione basata sulla necessaria irrilevanza della volontà del soggetto». (73) In questi termini Cendon, Infermi di mente e altri “disabili”in una proposta di riforma del codice civile, in Pol. dir., 1987, 621 ss. (74) Dove - lo si è detto - si definiscono i diritti e si pongono gli interessi “inerenti alla persona”: in questi termini Corte cost., 11 luglio 2003, n. 233, in Foro it., 2003, I, 2201 ss. (75) In questi termini Boniolo, De Anna, Vincenti, Individuo e persona. Tre saggi su chi siamo, Milano, 2007, 207..